sezioni unite civili; sentenza 18 giugno 1985, n. 3659; Pres. Moscone, Est. Maresca, P. M.Minetti (concl. conf.); Soc. Rosa Marina (Avv. E. Romanelli, Tarello) c. Cattaneo Della Volta(Avv. Alù, Pertusio). Conferma App. Genova 3 aprile 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2219/2220-2225/2226Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177980 .
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2219 PARTE PRIMA 2220
possa essere ini parte modificata, per escludere la confusione dei
prodotti, senza mutare sostanzialmente il pregio estetico del
prodotto. Tanto premesso, ha affermato che gli spots prodotti dalia società
convenuta sono assai simili a quelli prodotti dalla società attrice. Ma che essi non hanno potere individualizzante, nel senso che non caratterizzano dia produzione Targetti, in quanto numerose altre imprese hanno posto in commercio prodotti del1 tutto simili.
Ricorre la Tergetti con due motivi. Resiste la Emmedi con controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo (violazione dell'art. 2595 ex. e dell'art. 112 c.p.c.) si investe la sentenza perché: a) contraddittoriamente avrebbe richiesto che i faretti avessero una forma individualizzante pur avendo accertato che non erano
brevettati'; b) ha escluso la slealtà delia concorrenza per mancan za della forma individualizzante mentre il convenuto si difendeva sostenendo la differenza 'tra i due prodotti; c) non ha rilevato che la copiatura dei foretti Targetti era comunque concorrenza sleale a norma dell'art. 2598, n. 3. (Omissis)
Il ricorso va respinto. I punti a) e c) del primo motivo vanno
esaminati congiuntamente .perché ambedue investono la decisione
impugnata in quanto avrebbe negato la sussistenza di concorrenza
sleale ex art. 2598, n. 1 (imitazione servile dei prodotti del
concorrente) pur avendo constatato l'uguaglianza pressoché totale
dei prodotti Targetti ed Emmedf.
La decisione della corte di merito è invece esatta proprio
perché non sussiste la lamentata contraddizione.
Va premesso che la tutela brevettuale prevista per la forma dei
prodotti riguarda sia la novità di forma incidenti sulla maggiore utilità e comodità d'uso del prodotto (modelli di utilità) sia le
novità di forme incidenti sulla presentazione meramente estetica
del prodotto stesso (modelli ornamentali). Il fatto che sia prevista una tutela brevettuale, significa che in tanto quella tutela, ohe
consiste nell'esclusiva di produzione o di commercio dei prodotti brevettati in funzione della nuova forma, opera in quanto un
brevetto sia stato chiesto ed ottenuto e per tutto il tempo, ma
solo per il tempo, di durata della privativa brevettuale.
La conseguenza è che, se il relativo brevetto non è stato
chiesto e se chiesto non è stato rilasciato, chiunque può produrre o commerciare prodotti anche perfettamente identici a quello per
primo fabbricato e messo in commercio da altri: prevale il
principio fondamentale della libera applicazione di attività im
prenditoriale ove tale libertà non incida su tassativi casi1 di diritti
di esclusiva.
Tale fabbricazione e commercio di prodotti identici a quelli,
pur nuovi neBa forma, fabbricati e commercializzati inizialmente
da altri, appare limitata soltanto dalla norma contenuta all'art.
2598, n. 1, c.c.
Ma il divieto ivi contenuto ha come presupposto che l'imitazio
ne del prodòtto sia atto idoneo a creare confusione coi prodotti del concorrente. Non basta, dunque, che la forma dei due
prodotti sia anche identica, occorre che tale identità sia tale da
poter produrre confusione tra i due prodotti. La confusione tra due prodotti anche identici nella forma si
può avere solo se, quando sul mercato interviene il secondo
prodotto, il primo appariva individualizzato da quella forma, cioè
se quella forma era esclusiva al prodotto stesso fabbricato dal
concorrente, sì che, adempiendo ad una funzione individualizzante
del prodotto stesso nel genus dei prodotti dello stesso genere, funzionava di fatto come marchio di forma del prodotto. Protetta
dall'art. 2598, n. 1, è infatti! la funzione distintiva come tale della
forma, non la funzione utile o estetica, come tale proteggibile solo
in costanza di un valido brevetto per modello, di utilità od
ornamentale.
Poiché, nel caso di specie, con apprezzamento di fatto insinda
cabile in questo giudizio di legittimità, la corte d'appello ha
escluso sussistesse tale individualizzazione del predetto tramite la
sua forma, per il fatto stesso che quella forma era utilizzata già da altri imprenditori concorrenti, esattamente è stata negata l'esistenza della fattispecie prevista dall'art. 2598, n. 1.
Appare dunque irrilevante la circostanza che il convenuto si sia
difeso sostenendo esclusivamente la differenza rilevante dei due
prodotti. Il giudice di merito deve respingere la domanda quando non risultano esistenti gli elementi costitutivi essenziali della
fattispecie, dal verificarsi della quale l'attore deduce l'ammissibilità
della propria domanda. Accertato che il comportamento del
convenuto non era idòneo a creare confusione coi prodotti
dell'attore, la relativa domanda di quest'ultimo ex art. 2598, n. 1, doveva essere respinta.
Quanto al punto c) del primo motivo, va semplicemente rilevato che non toccava al giudice di merito esaminare se il
Il Foro Italiano — 1985.
comportamento lamentato poteva per ipoitesi essere genericamente contrario ai principi della correttezza professionale ex art. 2598, n.
3, quando la domanda eira fondata su una causa petendi del tutto
diversa, cioè la imitazione servile confusoria. Giova comunque ripetere che non è illecito copiare prodotti 'altrui non coperti da
brevetto, non può dunque tale comportamento ricadere nemmeno
nella più generica categoria degli atti contrari' ai principi della
correttezza professionale. Imitare i prodotti altrui non brevettati non è contrario ai principi della correttezza professionale perché è
comportamento conforme alle regole della libera concorrenza, che
può essere limitata soltanto in presenza di precise privative attribuite della legge. Sono salvi solo A due casi della c.d. concorrenza parassitaria, qui nemmeno ipotizzata, e della imita zione confusoria, qui esclusa in fatto dal ^iudtoe di merito.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 18
giugno 1985, n. 3659; (Pres. Moscone, Est. Maresca, P. M. Minetti (conci, conf.); Soc. Rosa Marina (Aw. E. Romanelli, Tarello) c. Cattaneo Della Volta (Aw. àlù, Pertusio). Conferma App. Genova 3 aprile 1979.
Edilizia e urbanistica — Norme di piano territoriale paesistico recepite nel piano regolatore generale — Natura integrativa delle norme del codice civile — Fattispecie (Cod. civ., art. 873).
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore generale — Arretramen to delle costruzioni dall'asse stradale — Nozione di strada —
Strade private — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 873).
Per effetto dell'art. 16 delle norme di fabbricabilità del piano regolatore generale della città di Genova, che ha recepito, ove non modificate, le previsioni del piano territoriale paesistico di Nervi S. Ilario, anche l'art. 6 del citato piano territoriale deve considerarsi norma integrativa del codice civile, laddove prescri ve l'inderogabile osservanza di zone di rispetto tra costruzioni finitime, con l'obbligo, per ciascun proprietario che intenda costruire di mantenere una determinata distanza dal confine; pertanto, la violazione di essa importa la facoltà di chiedere la riduzione in pristino ed il risarcimento del danno. (1)
(1) Sulle norme dei piani regolatori generali in materia di distacchi tra edifìci come norme integrative dell'art. 873 c.c., v. Cass. 6 dicembre 1984, n. 6410, Foro it., 1985, I, 725, con nota di richiami, cui adde Cass. 29 novembre 1984, n. 6197, id., Rep. 1984, voce Edilizia e urbanistica, n. 253; 5 maggio 1984, n. 2207, ibid., n. 269; in senso analogo, ma con riferimento alle norme che impongono una determinata distanza dal confine del fondo, Cass. 30 luglio 1984, n. 4519, ibid., n. 254; 29 aprile 1982, n. 2716, id., Rep. 1982, voce cit., n. 287; 5 febbraio 1982, n. 672, ibid., n. 286; 25 gennaio 1980, n. 618, id., Rep. 1980, voce cit., n. 304; 23 aprile 1976, n. 1455, id., 1976, I, 2412. In tale ultimo caso, però, si ritiene che le norme edilizie possano essere liberamente derogate dai privati a mezzo di convenzioni che pongano (in forma valida ed efficace anche nei confronti dei successivi aventi causa) la formazione del distacco a totale carico di uno solo dei due lotti, a condizione che sia complessi vamente rispettato il distacco dei fabbricati tra loro (Cass. 16 dicembre 1980, n. 6512, id., Rep. 1981, voce cit., n. 296, e Giur. it., 1981, I, 1, 604, con nota di Ros sello, In materia di deroghe convenzionali alle regole sui distacchi contenute in norme edilizie locali; e, sostanzialmente conf., Cass. 18 dicembre 1981, n. 6713, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 302; 12 gennaio 1980, n. 287, id., Rep. 1980, voce cit., n. 305; nel senso, invece, della inderogabilità, v. Cass. 30 marzo 1983, n. 2331, id., Rep. 1983, voce cit., n. 283, e, con riferimento alle norme sulle distanze tra le costruzioni contenute nei regolamenti edilizi e nei piani regolatori comunali, in genere, Cass. 13 ottobre 1979, n. 5362, id., 1980, I, 371).
Per App. Roma 20 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 335, invece, non si ha violazione di norme integrative del c.c. quando si costruisca senza rispettare le norme regolamentari che stabiliscono le distanze dai confini, ma attenendosi alle prescritte distanze tra le costruzioni.
Ad ogni modo, la violazione delle prescrizioni dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali importa sempre la lesione di diritti soggettivi, configurino o meno le disposizioni violate norme integrative del codice civile in materia di rapporti di vicinato, con la sola differenza che nel primo caso la tutela del privato giunge sino alla rimozione dell'opera costruita contra legem, mentre nel secondo caso è limitata al risarcimento del danno; con la conseguenza che, ai fini della decisione della controversia, ciò che rileva è soltanto la violazio ne delle norme di edilizia, essendo, invece, irrilevante (salva l'ipotesi delle c.d. licenze in deroga) l'esistenza o la legittimità degli atti amministrativ' (licenza, concessione, ecc.), che condizionano in concreto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La norma del piano territoriale paesistico di Nervi S. Ilario, recepita nel piano regolatore generale della città di Genova, che, in deroga alla previsione generale che impone alls costru zioni « isolate » un arretramento dal bordo stradale o un distacco dal confine di almeno sei metri lineari, consente di costruire un edificio (c.d. secondario) destinato esclusivamente ad uso di portineria o di autorimessa ad una distanza di al
m,?no quattro metri dall'asse stradale, va intesa nel senso di
far riferimento esclusivamente alle strade pubbliche ed a quelle ad esse assimilate. (2)
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 9 luglio 1975 Simonetta Cattaneo Della Volta conveniva dinanzi al Tribu nale di Genova la s.p.a. Rosa Marina esponendo che questa, proprietaria di un'area situata din Genova-Nervi, a monte di via Donato Somma, e compresa nella « quarta zona estensiva di
secondo grado a villini » di cui al piano territoriale paesistico di
Nervi-S. Ilario, approvato con d.m. 4 luglio 1953, vi) aveva iniziato la costruzione di due edifici, l'uno principale e l'altro
.secondario, rispettivamente indicati in progetto oome « villino » e « abitazione custode »; che l'edificio cosiddetto secondario, risul tando eretto a una distanza di soli m. 4,10 da un viale privato di
l'esercizio dello ius aedificandi sul piano del diritto pubblico, come
pure la conformità della costruzione a tali atti (Cass. 6197/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 152).
Quando i terreni o gli edifici confinanti ricadano in zone diverse del piano regolatore, sottoposte a diversa disciplina, per stabilire quale sia la distanza applicabile, occorre far riferimento alla zona in cui è situato il confine tra i due fondi, in modo da valutare con lo stesso criterio le limitazioni imposte ai due proprietari (Cass. 4519/84, ibid., n. 261). Se, poi, i fondi confinano tra loro esattamente in corrispondenza della linea di demarcazione tra due distinti territori comunali, il
proprietario dell'immobile ricadente in uno dei due comuni può far valere la violazione delle norme che prescrivono una determinata distanza dal confine compiuta nel territorio confinante, quando tale violazione si ripercuota in concreto sulla sua proprietà, incidendo sostan zialmente sulle relative facoltà dominicali (cosi Trib. Napoli 31 maggio 1983, id., Rep. 1984, voce Distanze legali, n. 13, e in Riv. giur. edilizia, 1984, I, 66, con nota di D'Angelo, Rapporti di vicinato tra immobili ricadenti in due comuni contigui).
Secondo Cass. 26 ottobre 1977, n. 4596, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 364, l'art. 3 delle norme di attuazione del p.r.g. di Roma, di cui al r.d.l. 6 luglio 1931 n. 981, che, con riguardo alle zone destinate a villini, dopo aver fissato un distacco dal confine non inferiore ai
quattro metri, consente di costruire, nell'area di rispetto tra i villini stessi, « locali accessori e di servizio costituiti da un solo piano terreno ed in giusto rapporto di proporzioni con le misure del fabbricato
principale e dell'area riservata a giardino », non è derogabile per accordo fra i privati confinanti per quel che concerne caratteristiche e destinazione di detti locali.
Sulla prevalenza delle prescrizioni del piano territoriale paesistico rispetto a quelle del piano di ricostruzione di un comune, mai attuato, v. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 1983, n. 536, id., Rep. 1983, voce cit., n. 247; nel senso che tali norme non incidono sul potere dell'autorità comunale di provvedere attraverso il p.r.g. alla divisione in zone del territorio comunale ed alla imposizione di vincoli e caratteri da osservare in ciascuna zona, v. Cass. 10 marzo 1981, n. 1334, id., Rep. 1981, voce cit., n. 173; nel senso, però, che l'art. 16 delle norme di edificabilità del p.r.g. di Genova, per il quale le previsioni del
piano territoriale paesistico costituiscono parte integrante della discipli na propria del p.r.g., non fa perdere al piano paesistico la sua natura di autonomo strumento urbanistico dettato per la preminente tutela di
esigenze paesistico-ambientali, con la conseguente illegittimità della variante tanto del p.r.g. che del piano paesistico approvata dalla
regione esclusivamente in funzione delle esigenze urbanistiche della zona, senza alcun rilievo per le esigenze di carattere paesaggistico e
ambientale, v. T.A.R. Liguria 24 maggio 1979, n. 241, id., Rep. 1979, voce cit., n. 207; del piano territoriale paesistico di Nervi S. Ilario si è occupato anche T.A.R. Liguria 8 gennaio 1976, n. 1, id., Rep. 1976, voce cit., n. 177.
Sul p.r.g. di Genova v. Vucusa, Il piano regolatore di Genova per una « città-regione », in Ammin. it., 1983, 758.
(2) Cfr., nel senso che l'art. 879, 2° comma, c.c., trova applicazione solo con riferimento alle strade pubbliche o a quelle private, ma
soggette a pubblico transito, Cass. 28 luglio 1983, n. 5199, Foro it., Rep. 1983, voce Distanze legali, n. 6; 18 gennaio 1982, n. 307, id., Rep. 1982, voce Cit., n. 28; 12 luglio 1979, n. 4036, id., Rep. 1979, voce cit., n. 22; in tal senso, con riferimento alla disciplina delle distanze in genere, v. T.A.R. Veneto 24 ottobre 1980, n. 307, id., Rep. 1981, voce Edilizia e urbanistica, n. 307, che argomenta dall'art. 9 d.m. 2 aprile 1968.
In dottrina, v. Pifferi, Dell'obbligo di rispetto delle distanze per le costruzioni lungo le strade vicinali, in Ammin. it., 1981, 853; Manera, Inapplicabilità delle distanze dal nastro stradale nelle costruzioni all'interno dell'abitato prospicienti strade private, in Giur. merito, 1978, 687.
Il Foro Italiano — 1985.
accesso alla villa Cattaneo, di proprietà della stessa istante,
dovevasi ritenere costruito in violazione dell'art. 6, 1° comma, del
sopirà citato piano territoriale paesistico, recepito, ai sensi dell'art.
16 delle norme di fabbricabiiità, come parte integrante del piano
regolatore generale della città d!i Genova, approvato con d.p.r. 14
ottobre 1959; che, invero, il citato art. 6, 1° comma, del piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario stabiliva che in quella zona i « distacchi » delle costruzioni dai « confini » fossero di
« almeno sei metri ». Chiedeva, pertanto, la condanna della con
venuta società alla demolizione dell'edificio cosiddetto secondario
e al risarcimento del danno.
La società Rosa Marina, costituitasi, resisteva ammettendo che
l'edificio cosiddétto secondario, che dichiarava essere destinato ad
abitazione del custode, fosse a .distanza di soli m. 4,10 dal
margine della strada privata esistente sul fondo Cattaneo e
gravata da servitù di transito a favore del fondo di proprietà della
stessa società. Deduceva, tuttavia, l'inapplicabilità — all'edificio
suddetto — del 1° comma del citato art. 6 del piano territoriale
paesistico di Nervi-S. Ilario sostenendo che dovesse, invece, trova re applicazione il 2° comma, ;i! quale, oltre il limite di superficie fabbricabile indicata per quella zona, consentiva l'utilizzazione di
altra superficie (di trenta metri quadrati) per la costruzione di « un edificio secondario a uso esclusivo di portineria o di autorimessa a distanza non minore di quattro metri dall'asse stradale ».
Il tribunale adito con sentenza del 12 gennaio 1977, in parziale accoglimento della domanda, che rigettava nel resto, condannava la società convenuta a demolire l'edificio cosiddetto secondario o ad arretrarlo di almeno sei metri dal confine con il viale privato Cattaneo.
Su gravame, svolto in via principale dalla società Rosa Marina
e din via incidentale condizionata dalla Cattaneo Della Volta, la
Corte d'appello di Genova con sentenza del 3 aprile 1979
confermava la decisione del primo giudice osservando che il piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario era stato recepito nel
piano regolatore generale della città di Genova, approvato nel
1959, talché le sue disposizioni circa le distanze costituivano norme integrative del codice civile, fonte di diritti1 soggettivi nei
rapporti tra privati; che la fattispecie in esame, relativa alla
costruzione dell'edificio cosiddetto secondario, dovevasi ritenere
disciplinata dal 1° e non dal 2° comma dell'art. 6 del piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario, perché il viale di villa Cattaneo non era pubblico ma privato, e parzialmente gravata da
una servitù convenzionale di transito a favore deli fondi limitrofi, e perché non era risultato che il sindaco di Genova, nel rilasciare
licenza edilizia, si fosse — contestualmente o con separato
provvedimento — avvalso della facoltà, attribuitagli dalle norme di fabbricabiiità, di equiparare, agli effetti di quelle sulle distan
ze, la via privata alila pubblica; che infine quando, come nel caso itn esame, Ila linea di demarcazione dei fondi sia assunta come termine di riferimento ai fini della distanza da rispettare nelle
costruzioni di edifici, l'inosservanza del relativo obbligo produce i
medesimi effetti derivanti dalla violazione delle norme del codice
civile 'Sulle distanze tea costruzioni.
Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione la società Rosa Marina, deducendo quattro mezzi. Resiste, mediante
controricorso, la Cattaneo Della Volta. Entrambe le partii hanno
depositato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo la società
ricorrente, denunciando, ai sensi dell'art. 360, n. 1, c.p.c., viola zione e/o falsa applicazione dell'art. 37 del1 codice di rito, in relazione all'art. 6 del piano territoriale paesistico di NerviLS.
Ilario, approvato con d.m. 4 luglio 1953, all'art. 23 del regolamen to edilizio di Genova, approvato con d.m. 28 gennaio 1952 n.
189, e all'art. 16 delle norme di fabbricabiiità del piano regolatore generale di quella città, approvato con d.p.r. 14 ottobre 1959, censura l'impugnata sentenza per aver ritenuto che la posizione fatta valere dalla Cattaneo Della Volta avesse consistenza di diritto soggettivo e che, pertanto, il giudice ordinario avesse
giurisdizione a conoscere dalla relativa controversia.
Premesso che l'art. 6, 2° comma, del piano territoriale paesisti co di Nervi-S. Ilario, nel prevedere che le costruzioni cosiddette secondarie possano essere erette a distanza minima di quattro metri dall'asse stradale, non precisa se tale disposizione sia riferibile solo alle strade pubbliche (e soggette a pubblico transi
to) ovvero anche alle strade private; premesso, ancora, che l'art. 23 del regolamento edilizio di Genova (mai specificamente abroga to, secondo assume la ricorrente) attribuisce al sindaco un potere discrezionale di considerare, agli effetti del regolamento, le strade
private come pubbliche, e che tale norma è stata ripresa, sia pure con espressione più restrittiva, nelle norme di fabbricabiiità del
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2223 PARTE PRIMA 2224
piano regolatore generale della città di Genova, approvato nel
1959, là dove — nell'art. 5 — attribuisce al sindaco, su parere della commissione edilizia, un potere discrezionale qualitativamen te identico; premesso, infine, che tale potere, nel caso concreto, dovevasi ritenere implicitamente esercitato attraverso il rilascio della licenza edilizia; tanto premesso, la società ricorrente sostiene ohe la controversia, implicando l'esame dell'esercizio di tale potere e della sua legittimità, non poteva avere per oggetto che un interesse legittimo, quali che fossero le parti do causa, e doveva, quindi, essere attribuita alla giurisdizione del giudice amministra tivo.
La censura è infondata. A parte, invero, la considerazione che l'art. 23 del regolamento edilizio (del 1952) devesi ritenere
implicitamente abrogato dall'art. 5 d'elite norme di fabbricabilità del piano regolatore generale (del 1959), che, disciplinando ex novo la materia, limita il potere del sindaco — di equiparare le
strade private e vicinali alle strade pubbliche, agli effetti della
fabbricabilità dei terreni limitrofi — aHUpotesi in cui questi
appartengano « ai medesimo proprietario o a uno dei compro
prietari della strada privata o vicinale », e condiziona l'esercizio
dii tale potere al parere della commissione edilizia; a parte ciò, è
pregnante il rilievo, su cui si fonda l'impugnata sentenza, che, in
ogni caso, l'esercizio di un siffatto potere non si sarebbe mai
potuto ravvisare nel mero rilasciò della licenza edili-zia, giacché
l'approvazione del progetto non equivale, di per se stessa, a
implicito 'esercizio di quel potere, dovendo esso risultare, in modo
testuale, o dalla stessa licenza o anche da un atto separato, si da
dare la certezza che tale equiparazione è stata considerata e fatta
(v. sent. 17 ottobre 1966, n. 2485, Foro it., Rep. 1966, voce Piano
regolatore, n. 189; nonché sez. un. 21 febbraio 1962, n. 347,
ibid., n. 173, entrambe con riferimento all'art. 23 del regolamento edilizio della città di Genova).
Ciò tanto più nel caso in esame in cui, come è stato accertato
in sede di merito sulla base della « nota » 10 ottobre 1974 del
comune di Genova, la licenza, 'relativamente 'alla progettata costruzione cosiddetta secondaria, risultava rilasciata alla società
Rosa Marina sull'erroneo presupposto che il viale privato di
accesso alla villa Cattaneo, insistente su proprietà dell'odierna
resistente, avesse natura di strada, anzi; di strada pubblica. Con il secondo mezzo la 'società ricorrente, denunciando ancora,
ai sensi dell'art. 360, n. 1, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 37 del codice di rito, in relazione all'art. 6 del piano
territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario e agli art. 4 e 5 1. 20
giugno 1939 n. 1497, toma a insistere sul lamentato difetto di
giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia.
Deduce che i piani territoriali paesistici, per loro natura, tutelano
in via immediata interessi pubblici, sicché la situazione del
privato che da essi possa essere indirettamente protetto ha
consistenza di interesse legittimo. Aggiunge che, nel caso 'in esame,
tale -situazione non cambiava natura per il fatto che le norme del
piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario fossero state recepite nel piano regolatore della città di Genova.
Anche tale censura è infondata. È 'indubitabile che la 1. 29
giugno 1939 'il. 1497, sulla protezione 'delle bellezze naturali,
persegua uno specifico fine pubblico e che à concreti provvedimen ti amministratiivi che su quella si fondino debbano conformarsi a
tal fine, con la conseguente esclusione che essi possano essere
fonte di diritti soggettivi per il singolo, al quale può riconoscersi
solo un interesse semplice o, tutt'al più, legittimo. Ciò non tòglie, tuttavia, ohe quando il piano territoriale
paesistico contenga anche norme di edilizia, rilevanti sul piano dei
rapporti di vicinato, dettate per la soddisfazione di interessi di
ordine generale ma che possono coincidere con l'interesse dei
privati alla miglior utilizzazione dei loro immobili; e tali' norme
siano recepite da regolamenti edilizi comunali o da piani regolato
ri, come nel caso in esame è 'accaduto per l'art. 6 del piano territorale paesistico di Nervi-S. Ilario, che è stato fatto proprio dalllart. 16 delle norme di fabbricabilità del piano regolatore
generale della città di Genova, ricevendone natura ed essenza di
norma urbanistica, impositiva di vincoli a protezione del paesag
gio; ciò non toglie — ripetesi — che in tal caso tali norme
possano essere fonte di diritti soggettivi per quanto riflette i
rapporti di vicinato.
È stato, invero, ritenuto dalla giurisprudenza di questa corte
che, a differenza dei vinicoli imposti a tutela delle bellezze
naturali con singoli provvedimenti discrezionali adottati dalia p.a. ad sensi della 1. n. 1497/39 (rispetto 'alla quale, come già rilevato, non possono configurarsi posizioni1 soggettive azionabili dinanzi al
giudice ordinario), i vincoli imposti a tutela dal paesaggio dai
regolamenti edilizi (o dai piani regolatori), stante la natura
normativa dei regolamenti stessi (come dei piani regolatori) e la
Il Foro Italiano — 1985.
duplice direzione della loro tutela (nel senso dell'interesse pubbli co e di interessi privati), possono ingenerare diritti soggettivi a
favore del proprietario avvantaggiato dal'imposizione del vincolo; con la conseguenza che egli, se danneggiato dalla violazione del
vincolo medesimo da parte del vicino, può convenire questo dinanzi al giudice ordinario per il risarcimento e, se si tratti d'i
norma sulle distanze tra costruzioni (come tale, integrativa del
codice civile), anche per il ripristino (sent. 5 novembre 1975, n.
3704, id., Rep. 1975, voce Edilizia e urbanistica, n. 342).
Con il terzo mezzo la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 872 c.c., in relazione all'art. 6 del
piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario e agli art. 4, 5 ss. 1.
29 giugno 1939 n. 1497, censura l'impugnata sentenza per avere ritenuto la disposizione dell'art. 6 del citato piano territoriale
paesistico integrativa del codice tìivile nonostante che essa, pur se
trasfusa nel successivo piano regolatore generale della città di
Genova, sia diretta a tutelare in via primaria interessi generali- e
non a regolare rapporti di vicinato. Sostiene, pertanto, che nel caso in esame non sii sarebbe potuta ordinare la riduzione in
pristino.
La censura è infondata. Con essa, invero, la ricorrente torna a
sottovalutare la portata dell'art. 16 delle norme di fabbricabilità del piamo regolatore generale della città di Genova, che ha
recepito, ove non modificate, le previsioni del piano territoriale
paesistico di Nervi-S. Bario, facendole proprie del citato piano regolatore e rendendole parte integrante di esso.
Ora, è indubitabile ohe la disposizione dell'art. 6 del piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario, avendo funzione di1 tutela delle bellezze naturali, e perciò diversa da quella che è propria dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori1, non possa di' per se stessa essere considerata norma integrativa del codice civile. Ma,
poiché è stata fatta propria dal successivo piano regolatore, è divenuta norma di quel piano regolatore. Con la conseguenza che
essa, là dove prescrive l'inderogabile osservanza di zone di
rispetto tra costruzioni finitime, con l'obbligo, per ciascun proprie tario che intenda costruire, di mantenere una determinata distanza
dal confine, configura una norma integrativa del codice civile in
materia di distanze fra le costruzioni e, pertanto, la violazione di essa importa la facoltà di chiedere la riduzione in pristino, oltre al risarcimento del danno, a norma dell'art. 872 c.c. È appena il caso di aggiungere che la giurisprudenza di questa corte è
costante nell'indicare tra le norme di edilizia richiamate all'art. 872 quelle contenute nei piani regolatori (v., fra le tante, sent. 22 febbraio 1980, n. 1298, id., Rep. 1980, voce cit., n. 333; 14 luglio 1979, n. 3125, ibid., n. 303; 22 luglio 1976, n. 2905, id., Rep. 1976, voce cit., n. 414; 10 dicembre 1973, n. 3353, id., Rep. 1973, voce cit., n. 213).
iCon il quarto e ultimo mezzo la società ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6, 1° e 2° comma, del
piano paesistico territoriale di Nervi-S. Ilario, censura l'impugnata sentenza per avere, nel caso concreto, applicato alla costruzione cosiddetta secondaria la disciplina dettata per i villini, e per aver
distinto, in tema di distanza dalle strade, le strade private dalle
pubbliche. Deduce che il 2° comma dell'art. 6 del citato piano paesistico
contiene per le costruzioni cosiddette secondarie una disciplina del
tutto autonoma rispetto a quella del 1° comma, dettata per i
villini, e ciò anche per quanto riguarda le distanze. Deduce,
inoltre, che la norma in questione, ai fini delle distanze, non
distìngue fra strade pubbliche e strade private.
La censura è infondata. Devesi rilevare che l'art. 6, 1° comma, del citato piano territoriale paesistico di Nervi-S. Ilario, divenuto a ogni effetto norma del piano regolatore generale della città di
Genova, per la « quarta zona estensiva di secondo grado a
villini » impone, quanto alle costruzioni « isolate » (cosiddette prin
cipali'), due distinte limitazioni, oltre a quelle concernenti la
superficie fabbricabile e l'altezza dell'edificio: l'arretramento dal
« bordo stradale » o il distacco dai « confini » per almeno sei
metri lineari; e che il 2° comma del citato art. 6 consente la
utilizzazione — oltre il limite di superficie fabbricabile per quella zona — di altra superficie, anch'essa limitata, per la costruzione
di un edificio (cosiddetto secondario) esclusivamente destinato a
uso di portineria o di autorimessa, avente una determinata altezza
e da erigersi a distanza di almeno quattro metri dall'« asse
stradale ». Devesi rilevare, 'inoltre, che entrambe le prescrizioni concernenti Ite distanze degli edifici, dettate dal 1° e dal 2°
comma con riguardo, rispettivamente, al « bordo stradale » e
all'« asse stradale », vanno intese far riferimento alle strade pub bliche e a quelle dalla giurisprudenza ad essa assimilate: ciò in
conformità tal costante indirizzo seguito dalla giurisprudenza me
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
desima Sii tema di regolamento di distanze legali ex art. 879, 2°
comma, c.c.
Dal coordinamento della disposizione del 1° comma con quella del 2° comma del citato art. 6 emerge che per le costruzioni
cosiddette principali i punti di riferimento, quanto alla distanza di
sei metri, sono due, Sin via alternativa: il1 bordo stradale o i
confini con le altre proprietà private, laddove per le costruzioni
cosiddette secondarie il punto di riferimento, quanto alla (minor) distanza di quattro metri, è uno solo: l'asse stradale. Ne discende
che la distanza di quattro metri, prevista dal 2° comma per le
costruzioni cosiddette secondarie, vale .soltanto per i lati1 a fronte
di una via pubblica o gravata da servitù di uso pubblico, non
anche per quelli a fronte di confini con altra proprietà privata, in
questo secondo caso dovendo l'edificio, ancorché secondario, essere
elevato alla maggior distamela di' sei metri, come previsto dal 1°
comma. La qual cosa si spiega agevolmente, sotto il profilo
razionale, ove sii consideri che la minor .distanza, prevista dal1 2°
oomma, va messa in relazione non tanto con lia natura e la
destinazione dell'edificio secondario, quanto con l'essere riferita
ala strada pubblica, e ohe, pertanto, non influisce sulle distanze
fra costruzioni.
L'impugnata decisione, in parte qua, si è correttamente ispirata a tale interpretazione della norma, avendo la corte del merito
accertato che il viale di accesso alla villa Cattaneo insiste, per tutta la sua lunghezza, su terreno di proprietà dell'attuale resisten
te, è gravato — in forza del rogito per notar Verde del 30
maggio 1954 — da servitù di transito in favore di fondi limitrofi, tra i quali l'area successivamente acquistata dalla socSetà Rosa
Marina, e quindi non può essere in alcun modo equiparato a una
strada pubblica. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 18 giugno
1985, n. 3656; Pres. Scanzano, Est. Sensale, iP. M. Amirante
(conci, diff.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Tallarida) c.
Zammuto (Avv. Provenzani, Caruselli). Cassa Trib. Roma
16 marzo 1982.
Prescrizione e decadenza — Finanziamento a favore dell'industria
zolfifera — Credito per la restituzione — Prescrizione —
Decorrenza (Cod. civ., art. 2935; 1. 25 giugno 1956 n. 695,
provvedimenti in favore dell'industria zolfifera, art. 9).
Quando il finanziamento in favore di un'industria zolfifera debba
essere recuperato dall'Ente zolfi italiano, ai sensi della legge istitutiva, nell'arco temporale di dieci anni mediante ritenute
sulla liquidazione dei ricavi, la prescrizione dell'azione per il
recupero del finanziamento da parte dell'ente inizia a decorrere
allo scadere del decennio, anche quando l'industria finanziata abbia cessato l'attività estrattiva prima di tale momento, se la
circostanza non è assunta specificamente come causa di deca
denza dai benefici del finanziamento dalla legge istitutiva. (1)
(1) Non constano precedenti in termini.
V., però, in materia di appalto di opere pubbliche, Cass. 29 giugno 1982, n. 3904, Foro it., Rep. 1983, voce Opere pubbliche, n. 312, e, sostanzialmente conf., Cass. 29 giugno 1982, n. 3902, ibid., voce Sicilia, n. 54, nel senso che, anche nel caso di rescissione del contratto di appal to, il diritto dell'amministrazione al recupero delle anticipazioni si rende azionabile solo dopo che, approvata la contabilità finale ed operata la
compensazione tra le opposte ragioni, si accerti la sussistenza di un credito dell'amministrazione appaltante per le anticipazioni non recupe rate, perché l'art. 15 1. reg. Sicilia 2 agosto 1954 n. 32 prevede, per le
anticipazioni sul corrispettivo in favore dell'appaltatore, il recupero mediante trattenuta sugli acconti disposti in base agli stati di avanza mento.
Diversa soluzione si sarebbe avuta se Li 1. 25 giugno 1956 n. 695 avesse previsto la cessazione dell'attività estrattiva come causa di decadenza dal beneficio del finanziamento (comminata, invece, dall'art.
8, per l'inosservanza dei patti di lavoro e degli accordi integrativi provin ciali e spedali, nonché per la corresponsione irregolare delle retribuzio
ni). In tal caso, infatti, l'azione per il recupero del finanziamento si sareb be iniziata a prescrivere con il verificarsi dell'evento che ne importava la decadenza (cfr., in materia di imposta di registro, per la decadenza dai benefici tributari previsti dalla 1. 2 luglio 1959 n. 408, Comm. trib. cen trale 9 marzo 1977, n. 647, id., Rep. 1977, voce Registro, n. 335; Cass. 4 dicembre 1972, n. 3495, id., Rep. 1973, voce cit., n. 1144; 27 gennaio 1972 n. 190, id., Rep. 1972, voce cit., n. 1195; 14 dicembre 1971, n. 3636, id., 1972, I, 2958).
In dottrina, sull'art. 2935 ex., v. De Lise e Cossu, Della tutela dei
Il Foro Italiano — 1985 — Parte /-143.
Svolgimento del processo. — Il ministero del tesoro, ufficio
liquidazione dell'Ente zolfi italiana, emetteva in diata 5 marzo
1974, >ai sensi del t.u. 14 aprite 1910 n. 639, ingiunzione per il
recupero del credito ddi lire 713.000, conseguente ad un fimamzia
meoto, effettuato ai sensi delia 1. 25 giugno 1956 n. 695, a favore dii Giuseppe Zammuto, produttore di zolfo.
Questi proponeva opposizione, deducendo che ài credito era
prescritto. L'eccezione era accolta dal Pretore d'i Roma, la cui decisione veniva impugnata dal ministero del1 tesoro, il quale sosteneva che il termine di prescrizione doveva farsi decorrere non dalla data di cessazione dell'attività mineraria svolta dallo
Zammuto, ma dalla data di scadenza del periodo di' dilazione decennale previsto dalla 1. n. 695/56.
Nel respingere il gravame, il Tribunale di' Roma ha ritenuto che il termine di prescrizione avesse iniziato il suo decorso d'alia cessazione dell'attività estrattiva da parte dello Zam
muto, avvenuta 1 21 febbraio 1957, come sì desumeva da
una certificazione del capo del distretto minerario di Caltanissetta
(da cui risultava che a quella data aveva avuto termine il
permesso 'di ricerca); ed ha osservato che, contrariamente a
quanto sostenuto dal ministero, l'art. 9 1. 695/56, nello stabilire
che il recupero di finanziamenti previsti' dalla stessa legge dovesse
avvenire mediante ritenute sui ricavi spettanti ài produttori per la vendite dello zolfo grezzo prodotto nel periodo di' dieci anni
decorrente dall'esercizio finanziario 1955-56, non prevede una pura e semplice dilazione decennale -per la restituzione delle anticipa zioni, ma subordina tale dilazione alla possibilità di' recuperare le
somme anticipate spettanti ai produttori per la vendita dello zolfo, si che, cessata l'attività prima dello scadere del termine decennale, si era verificata, nel caso concreto, la decadenza del beneficio
della dilazione e, ion conseguenza, l'Ente zolfi avrebbe potuto agire
per il recupero (art. 2935 c.c.). Contro tale 'Sentenza ricorre per cassazione iil ministero in base
ad un unico motivo, cui resiste con controricorso lb Zammuto. Il
ministero ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo dèi ricorso, il'
ministero denuncila la violazione dell'art. 9 1. 25 giugno 1956 n.
695, in relazione all'art. 2935 ex:., sostenendo che l'art. 9 1. cit.
prevedeva un termine dilatorio decennale per il rcupero delle
anticipazioni, attese anche le finalità di soccorso all'industria
estrattiva che te provvidenze intendevano realizzare, e per ciò il' termine di prescrizione non poteva che decorrere dalla scadenza del decennio. In ogni caso, la possibilità di agire per il recupero del credito, ove si fosse dovuto collegare alla cessazione dell'atti vità estrattiva, avrebbe supposto che tate evento fosse stato conosciuto dall'Ente zolfi; ma ciò non risultava e, a tale scopo, inidonea era la certificazione dèi distretto minerario circa la scadenza del permesso, poiché si trattava di uno stato di fatto con il quale la certificazione non aveva riferimento. Né era
legittimo ©allegare alla interruzione dell'attività estrattiva ed alla chiusura della miniera l'effetto automatico della caducazione del beneficio della restituzione graduate e dell'insorgere del
l'obbligo del produttore di restituire la somma dovuta in unica
soluzione, specialmente ove si consideri che la interruzione poteva essere anche temporanea.
La censura è fondata. Occorre premettere che — ai fini della individuazione dèi dies a quo del termine di prescrizione dell'a zione di recupero delle somme anticipate dall'Ente zolfi italiani ai
produttori, secondo le previsioni contenute nella 1. 25 giugno 1956 n. 695 — l'applicazione dell'art. 2935 (a norma del qualè là
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui 11 diritto può essere fatto valere), ritenuta decisiva nella sentenza impugnata per dedurne che l'azione potesse essere esercitata sin dal momento
della cessazione dell'attività estrattiva e che per ciò da tale data
la prescrizione avesse cominciato a decorrere, non può prescindere dalla interpretazione dell'art. 9, 2° comma, 1. cit. È necessario,
cioè, stabilite se in base a tale norma (« L'Ente zolfi recuperare te
... somme mediante ritenute sui ricavi spettanti ai produtto ri ... per la vendita dello zolfo grezzo prodotto nel periodo di
dieci anni decorrente dall'esercizio finanziario 1955-56 ») il recupe ro, mediante ritenuta sui ricavi, dalle somme 'anticipate ai produt tori dovesse avvenire secondo precise mansioni cronologiche riferia
te ai tempi di effettiva produzione dello zolfo (e, quindi, nella
ipotesi di anticipata cessazione dell'attività estrattiva, al recupero delle somme, che non avessero formato ancora oggetto di ritenuta, dovesse immediatamente procedersi alla data della cessatone),
diritti, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da V. De Martino, Roma, 1981, 426 ss.; Azzariti e Scarpello, Prescrizione e decadenza2, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1977, 220 ss.
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