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Sezioni unite civili; sentenza 19 febbraio 1982, n. 1050; Pres. Mirabelli, Est. Corda, P. M. Sgroi...

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Sezioni unite civili; sentenza 19 febbraio 1982, n. 1050; Pres. Mirabelli, Est. Corda, P. M. Sgroi V. (concl. conf.); Vecchione (Avv. Garofalo) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Azzardi). Regolamento di competenza avverso Trib. Pisa 20 maggio 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 177/178-181/182 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176848 . Accessed: 28/06/2014 18:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.102.36 on Sat, 28 Jun 2014 18:16:52 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 19 febbraio 1982, n. 1050; Pres. Mirabelli, Est. Corda, P. M. SgroiV. (concl. conf.); Vecchione (Avv. Garofalo) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Azzardi).Regolamento di competenza avverso Trib. Pisa 20 maggio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 177/178-181/182Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176848 .

Accessed: 28/06/2014 18:16

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

bazione ai soli atti contrattuali, ai quali soltanto, nel ragione vole esercizio di un potere discrezionale da parte del legislato

re, si è voluto riconoscere la possibilità di una diretta inserzione

nell'ordinamento italiano. Peraltro, la questione è priva di decisivo

rilievo nel caso concreto.

Invero, il rogito Sattler fu redatto con la partecipazione di

entrambe le parti dei precedenti contratti di mutuo e se si ri

tiene che esso abbia implicato non la sola ricezione della clau

cola di soggezione all'esecuzione attraverso un'attività meramen

te certificativa e autenticativa del notaio, ma la trasfusione e

l'assunzione per relationem del contenuto dei precedenti contratti

e della relativa obbligazione della parte mutuataria del paga mento di una somma di denaro, deve anche ritenersi che il ro

gito predetto costituisce atto contrattuale, contenente un'obbli

gazione di somme di denaro, in modo da realizzare sia le condi

zioni richieste dall'art. 474, n. 3, sia quelle previste dall'art. 804

ai fini della delibazione.

Con insindacabile accertamento di merito sorretto da adeguata motivazione, la corte d'appello ha rilevato che le parti, versando

al notaio le scritture private di mutuo, ne assunsero in sua pre senza il relativo contenuto che venne verificato sia dal pubblico ufficiale sia dai comparenti; che pertanto l'attività del notaio non

si esaurì' nell 'allegare le scritture al rogito e nel raccogliere le

sottoscrizioni degli interessati, ma, prendendo atto delle dichia

razioni delle parti, che avevano assunto nel rogito il contenuto

delle scritture, svolse la necessaria indagine circa la volontà dei

contraenti ed assunse di persona la direzione della redazione

complessiva del rogito. In esito a tale accertamento, la corte del merito ha dato al

l'atto una esatta qualificazione giuridica, alla stregua dei principi

prima richiamati, come contratto con contenuto determinato per

relationem, tale da soddisfare le condizioni richieste, ai fini

della delibazione, dall'art. 804 c. p. c.

Pertanto, il ricorso dev'essere rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 19 feb

braio 1982, n. 1050; Pres. Mirabelli, Est. Corda, P.M. Sgroi V.

(conci, conf.); Vecchione (Avv. Garofalo) c. Min. finanze (Avv.

dello Stato Azzardi). Regolamento di competenza avverso Trib.

Pisa 20 maggio 1980.

Competenza civile — Riscossione delle imposte — Opposizione alla esecuzione — Competenza del foro erariale (Cod. proc.

civ., art. 9, 25; r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, t u. sulla rappre sentanza e difesa in giudizio dello Stato e ordinamento dell'av

vocatura dello Stato, art. 8).

La controversia instaurata dal possessore dell'immobile espro

priato e destinatario dell'ingiunzione fiscale per il mancato pa

gamento dell'imposta di registro va qualificata come opposi zione all'esecuzione e non come opposizione di terzo alla ese

cuzione ed è attribuita alla competenza del tribunale del foro

erariale, in quanto non è in contestazione la sussistenza del

tributo ma il diritto dell'amministrazione finanziaria a proce

dere ad esecuzione forzata. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Con l'istanza per regolamento di

competenza, il ricorrente Vecchione sostiene che il Tribunale di

Pisa avrebbe errato nel dichiarare la propria incompetenza (ex

art. 8 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611), in quanto non avrebbe te

nuto conto che l'opposizione all'esecuzione (cosi qualificata dallo

stesso Tribunale di Pisa) riguardava « solo l'estraneità del ri

corrente alla procedura esecutiva instaurata dall'amministrazione

finanziaria per la riscossione dell'assunto suo credito». Non si

sostanziava, cioè, in una di quelle « controversie giudiziali ri

guardanti le tasse e sovrattasse, anche se insorte in sede di esecu

zione», per le quali la norma citata prevede la competenza del

(t) In termini, citata in motivazione, Cass. 5 marzo 1979, n. 1365,

Foro it., 1979, I, 1141, con nota di richiami: nel caso di specie l'amministrazione finanziaria era stata evocata in giudizio ai sensi

dell'art. 106 c. p. c. ed ugualmente la corte ha affermato la compe tenza del foro erariale. V. anche Cass. 10 luglio 1980, n. 4426,

id., Rep. 1980, voce Competenza civile, n. 142, per la quale ogni controversia fra i soggetti di un rapporto tributario è attribuita alla

competenza del foro erariale. Sulla nozione di controversia tribu

taria ex art. 9 c.p.c., v. Cass. 15 giugno 1982, n. 3864, id., 1982,

I, 774, con nota di richiami. Sulla tutela dei terzi nell'esecuzione

fiscale, v. Corte cost. 3 marzo 1982, n. 51, ibid., 1231, con osserva

zioni di A. Proto Pisani.

«foro erariale»; di modo che la competenza avrebbe dovuto es

sere stabilita secondo il disposto dell'art. 27 c. p. c. che, per le

cause di opposizione all'esecuzione forzata di cui agli art. 615 e

619, prevede la competenza del giudice del luogo dell'esecuzione.

Con la propria « scrittura difensiva » l'amministrazione finan

ziaria sostiene che sarebbe insussistente la giurisdizione del giudice

ordinario, poiché « le controversie in materia di imposta di re

gistro » appartengono alla giurisdizione delle commissioni tribu

tarie, ai sensi dell'art. 1 d. p. r. 26 ottobre 1972 n. 636. Censura

la sentenza del tribunale nel punto in cui ha dichiarato « irrile

vante » l'eccezione predetta (che anche in quella sede era stata

proposta), facendo notare che sarebbe erronea l'affermazione —

contenuta appunto nella sentenza — secondo cui alcune delle

questioni sollevate dal Vecchione erano state decise dalle com

missioni, mentre altre delle predette questioni non potevano più essere proposte in detta sede, per avvenuta decorrenza dei termi

ni. Chiarisce che un giudizio siffatto sarebbe spettato alle com

missioni tributarie, non già al giudice ordinario.

2. - Per risolvere le due questioni, di giurisdizione e di com

petenza, occorre per primo definire l'azione che, in concreto, era

stata proposta dall'attuale ricorrente, proprio perché da tale de

finizione possono discendere conseguenze diverse, con riferimento

sia alla giurisdizione che alla competenza. Tale definizione compete, ovviamente, alia Corte di cassazione

come sempre avviene quando dalla definizione predetta discen

dono conseguenze rilevanti per la giurisdizione e per la compe tenza. A ciò, pertanto, non contraddice la regola, ripetutamente

espressa con riferimento alle controversie in materia di esecu

zione civile, secondo cui l'individuazione della domanda concre

tamente proposta (individuazione che, normalmente, assume rile

vanza allorché debbasi stabilire quale sia il mezzo di impugna zione esperibile in concreto contro la pronuncia giudiziale che

ha deciso sulla domanda predetta) compete esclusivamente al

giudice di merito (cfr., fra le tante, sent. 17 dicembre 1980, n.

6531, Foro it., Rep. 1980, voce Esecuzione forzata in genere, n.

68). Tale regola, infatti, ha riguardo ai poteri, istituzionalmente

limitati, che la legge attribuisce alla Corte di cassazione, quale

giudice della stretta legittimità; essa perciò non trova applica zione quando la Corte di cassazione è investita di questioni atti

nenti alla giurisdizione o alla competenza, proprio perché in detta

materia la corte predetta è giudice anche « del fatto » nel senso

che ha il potere-dovere di accertare anche i presupposti di fatto

della propria pronuncia.

Ora, nel caso concreto, non vi è dubbio che l'azione a suo

tempo esperita dall'attuale ricorrente debba essere definita come

«opposizione all'esecuzione proposta ex art. 615 c.p.c. da un

debitore d'imposta escusso dall'amministrazione creditrice». Ana

loga definizione, peraltro, ne aveva sostanzialmente dato il tri

bunale con la pronuncia (sulla competenza) impugnata in que sta sede, allorché ha escluso che l'opposizione proposta potesse

(per gli effetti previsti dall'art. 7 r. d. 30 ottobre 1933 n. 1611)

essere qualificata come « di terzo ».

In realtà, si è accertato (dal tribunale) che in relazione al solo

rapporto tributario nel quale il Vecchione assumeva effettiva

mente la veste di « terzo » (cioè quello riferibile all'ingiunzione fiscale di cui al primo degli articoli di campione più indietro

ricordati) l'amministrazione non aveva agito esecutivamente. La

circostanza, quindi, che in relazione a tale rapporto il Vecchione

potesse effettivamente assumere la veste di « terzo possessore »

dell'immobile, oggetto dell'esecuzione, era assolutamente irrile

vante.

L'amministrazione predetta, invero, aveva agito esecutivamente

in base alle ingiunzioni relative agli altri due articoli di campio

ne, le quali concernevano un rapporto di imposta di registro ne!

quale il Vecchione aveva assunto la veste di debitore d'imposta

(rectius: di condebitore solidale). Occorre, peraltro, ricordare —

per meglio chiarire l'assunto dell'odierno ricorrente — che per l'esazione delle imposte di registro lo Stato ha azione personale

contro il contribuente e, di conseguenza, azione sui beni del de

bitore, nonché azione reale sui beni oggetto della contrattazione

colpita da imposta, in forza del privilegio di cui agli art. 97

della (vecchia) legge di registro (r. d. 30 dicembre 1923 n. 3269),

2758 (beni mobili) e 2772 (beni immobili) c. c. E il Vecchione,

tenendo a base del proprio assunto tali disposizioni di legge, ave

va sostenuto che la finanza si era concretamente avvalsa del po

tere di esercitare l'azione reale e che tale azione non fosse più

esperibile (e questo egli deduceva come « terzo possessore » del

l'immobile gravato dal privilegio) essendosi verificata l'estinzione

dell'azione, ai sensi del 2° comma dell'art. 97 da ultimo citato.

La realtà, però, è che la finanza aveva agito esecutivamente per

il recupero di una imposta della quale il Vecchione era diretto

debitore: avesse, quindi, o meno, la finanza fatto esplicito rife

Il Foro Italiano — 1983 — Parte /-12.

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PARTE PRIMA

rimento al disposto dell'art. 97 della (vecchia) legge di regi stro, è certo che essa esercitò in concreto non già l'azione reale, bensì quella personale, proprio perché agi esecutivamente con

tro un bene del debitore di imposta. L'azione di opposizione pro

posta da quest'ultimo, perciò, non avrebbe mai potuto essere

definita come « di terzo »; si trattava, infatti, della tipica oppo sizione del debitore proposta ex art. 615 c.p.c. per contestare

il diritto della finanza (il titolo) di agire esecutivamente (la que stione, poi, se la finanza potesse o meno pignorare il bene pre detto riguardava esclusivamente il merito dell'opposizione, non

già la definizione giuridica dell'azione di esecuzione proposta). 3. - Definita in tal modo l'opposizione in concreto proposta,

deve anzitutto essere risolta, per ovvie ragioni di logica giuri dica, la questione di giurisdizione. Questione che, come è evi

dente, va risolta con la negazione che la controversia possa con siderarsi rientrante nella categoria delle « controversie in materia di imposte di registro » di cui all'art. 1 d. p. r. 26 ottobre 1972

n. 636 (legge istitutiva delle nuove commissioni tributarie). Tale

norma, infatti, ha evidente riferimento alle controversie sull'an e sul quantum del tributo; mentre nel caso concreto non si discute affatto del rapporto giuridico d'imposta, ma solo del diritto del l'amministrazione di agire esecutivamente, p meglio di sottoporre a pignoramento un bene determinato.

Ad analoga conclusione del resto era già pervenuto il tribu nale, allorché ha dichiarato « irrilevante » l'eccezione di difetto di giurisdizione che, anche in quella sede, era stata sollevata dalla finanza. La motivazione della sentenza di detto tribunale (per la verità espressa in termini che si prestavano all'equivoco) è stata, in realtà, equivocata dall'amministrazione, la quale in definitiva sostiene (in questa sede) che un'eccezione di difetto di giurisdi zione potrebbe, bensì, essere respinta, ma non dichiarata « irri levante». La realtà però è che la detta eccezione è stata, pro prio, respinta dal tribunale, il quale ha in definitiva dichiarato che in sede di opposizione all'esecuzione non potevano più essere sollevate questioni attinenti all 'an del tributo, di modo che è « irri levante » eccepire che le questioni a ciò relative il contribuente avrebbe dovuto proporle davanti alle commissioni (come, pe raltro, aveva fatto senza successo). In altri termini, se in alcune delle questioni sollevate dall'opponente l'amministrazione intra vedeva il tentativo di rimettere in discussione problemi relativi alla debenza dell'imposta, ciò era assolutamente irrilevante, dal momento che le questioni predette non avrebbero mai potuto avere ingresso in quella sede, ove si discuteva solo del diritto della finanza di sottoporre a pignoramento quel bene determinato.

Per compiutezza d'indagine va, peraltro, osservato che l'ecce zione di giurisdizione (della cui infondatezza si è già detto) era in concreto proponibile in questa sede anche in difetto di uno

specifico gravame contro la statuizione del tribunale, essendosi

già ritenuto, da queste sezioni unite, che in sede di regolamento di competenza, ritualmente proposto a norma dell'art. 43 c.p.c. in relazione a una pronuncia di primo grado che abbia deciso anche sulla giurisdizione, la Corte di cassazione ha il potere dovere di statuire sulla giurisdizione del giudice adito, tenuto conto che la relativa questione è rilevabile, anche di ufficio, in

qualunque stato e grado del processo (sent. 18 luglio 1980, n.

4682, id., Rep. 1980, voce Competenza civile, n. 261). Non può, quindi, ritenersi che l'omessa proposizione di uno specifico ri corso sul capo della sentenza relativo alla statuizione sulla giu risdizione, da parte dell'amministrazione, abbia determinato una

preclusione, perché se tale regola vale per i ricorsi «ordinari», non può certo valere in tema di ricorsi per regolamento di com

petenza. E ciò perché, quando viene (da una delle parti) impu

gnato il capo sulla competenza, deve intendersi che l'impugna zione coinvolga, implicitamente, anche il capo di pronuncia sulla

giurisdizione, proprio per l'impossibilità di determinare la compe tenza se non viene, prima, ritenuta la giurisdizione del giudice della cui competenza si discute. In tale fattispecie quindi, se la

questione di giurisdizione è riesaminabile di ufficio, a fortiori

può essere riproposta dalla parte che resiste al ricorso per regola mento di competenza.

Tuttavia, per concludere, anche ammessa la concreta proponi bilità dell'eccezione predetta, la stessa deve essere respinta in virtù del principio (sostanzialmente enunciato anche dal tribu

nale) secondo cui in tema di opposizione all'esecuzione, anche

nell'ipotesi in cui questa sia iniziata dall'amministrazione finan ziaria per il recupero di un credito d'imposta, la giurisdizione appartiene sempre al giudice ordinario (giudice dell'esecuzione).

4. - Affermata, in tal modo, la giurisdizione del giudice ordi

nario, occorre ora risolvere la questione di competenza: occorre, cioè stabilire se il foro dello Stato (art. 25 c. p. c.) prevalga su

quello delle opposizioni all'esecuzione (art. 27 dello stesso codi

ce). Ciò è stato negato dal ricorrente, ma le ragioni del convinci

mento che lo ha determinato a sollevare la questione non sono

state chiaramente enunciate, se non nel limite che, al cospetto di due competenze stabilite entrambe in modo inderogabile, pre

valga quella che ha riferimento alla specialità della materia. Ma

un'impostazione siffatta non può essere condivisa.

L'art. 25 è integrativo delle leggi speciali sulla rappresentanza dello Stato in giudizio, dallo stesso richiamate: occorre, quindi, fare specifico riferimento (per stabilirne l'applicabilità, o meno) alla norma contenuta nell'art. 8 r. d. 30 ottobre 1933 n. 1611

(che ha il suo corrispondente nell'art. 147 1. di registro) ai sensi del quale appartiene alla competenza (territoriale inderogabile, cioè funzionale) del giudice ove ha sede l'avvocatura distrettuale

(nel cui distretto trovasi l'ufficio che ha liquidato la tassa o la sovrattassa controversa) la « controversia giudiziale riguardante le tasse e sovrattasse, anche se insorte in sede di esecuzione ».

Per risolvere la questione di competenza, quindi, occorre sta bilire se la controversia in atto (opposizione all'esecuzione pro mossa dalla finanza per il recupero di un credito d'imposta) rien tri fra quelle indicate nel predetto art. 8.

A tal fine è indispensabile, anzitutto, osservare che la norma è stata dettata quando vigeva la regola della « competenza » (giu risdizionale) del giudice ordinario in tutte le controversie di im

posta (con le vecchie commissioni, infatti, non si ponevano pro blemi di giurisdizione, essendo principio pacifico che contro la

ingiunzione fiscale l'opposizione potesse essere proposta tanto in via amministrativa che in via giudiziale, con l'unica conse

guenza che, in caso di omissione del procedimento amministra

tivo, l'amministrazione non potesse essere condannata alle spese di lite, ancorché soccombente: Sez. un. 12 gennaio 1951, n. 54, id., 1951, I, 1050). Istituite, però, le nuove commissioni, le cui decisioni hanno natura giurisdizionale, la portata della norma va sicuramente ridimensionata, poiché deve ritenersi che le « con troversie giudiziali » da essa menzionate sono soltanto quelle che non rientrano nella categoria delle « controversie » devolute alle commissioni dall'art. 1 d. p. r. n. 636 del 1972. Residuano, in so

stanza, le controversie in materie eventualmente diverse da quel le menzionate da tale norma (sempre che possano esistere, come ad es. in materie di imposte non specificamente menzionate dalla norma, ovvero di nuova istituzione, per le quali non fosse stabi lita la competenza giurisdizionale delle commissioni sulle relative controversie). Ora è sicuro che non compete alle sezioni unite, in questa sede (cioè nella sede della risoluzione dell'attuale con troversia), di individuare tutte le possibili controversie che fosse ro rimaste devolute al giudice ordinario: basta, infatti, per deci dere la questione di competenza qui proposta, stabilire se le con troversie sorte « in sede di esecuzione » circa il diritto della fi nanza di agire (esecutivamente) per il recupero di un credito

d'imposta rientrino fra quelle indicate nel predetto art. 8. Oc corre, in altri termini, raffrontare l'azione proposta dal contri buente (più sopra definita come « opposizione all'esecuzione pro mossa dalla finanza per il recupero di un credito relativo a una

imposta di registro ») con le controversie indicate da tale norma (anche sorte in sede di esecuzione) come appartenenti alla giu risdizione del giudice ordinario e per le quali è stabilita la com petenza del foro erariale.

Ora, non vi è dubbio che dal raffronto emerge una sicura corri spondenza tra i due tipi di controversia: entrambe, infatti, concer nono un giudizio di cognizione (che, nel caso concreto, è una « opposizione all'esecuzione ») inserito in un processo esecutivo che ha ad oggetto il recupero di un credito di imposta.

Tutto ciò, del resto, non sembra, in via di principio essere negato dal ricorrente, il quale sembra solo sostenere che la com petenza derogabile del giudice dell'opposizione all'esecuzione (art. 27) debba prevalere, per la specialità della materia, sull'altra com petenza, pure inderogabile (art. 25), del foro dello Stato. Ma una tesi siffatta non sembra in alcun modo sostenibile, se non altro

per l'evidente ragione che si fonda su un macroscopico para logismo.

È esatta la premessa maggiore del ragionamento (posta per implicito dal ricorrente) secondo cui occorre, per dirimere l'ap parente conflitto fra le due norme, stabilire quale di esse sia « ge nerale » e quale invece sia « speciale » (per farne discendere che la norma concretamente applicabile è quella che stabilisce l'ec cezione alla regola enunciata come generale). Palesemente erro nea è, però, la premessa minore della predetta costruzione logica, la quale individua come regola generale la norma che stabilisce il foro dello Stato e come norma speciale quella che individua il foro delle opposizioni alla esecuzione.

La verità è, invece, che nelle cause di cognizione (in tutte le cause di cognizione) la speciale competenza del foro erariale è

posta come eccezione alle regole generali, appunto, sulla compe tenza (sent. 17 marzo 1978, n. 1337, id., 1978, I, 1977). Il con

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

trario assunto, infatti, potrebbe avere base solo sull'inconsistente

rilievo che nella topografia del codice di rito la regola del foro

dell'esecuzione è posta dopo quella del foro erariale. Ma questo

semplice argomento di collocazione della norma cade, sicura

mente, di fronte al rilievo che l'art. 8 r. d. 30 ottobre 1933 n.

1611 (di cui l'art. 25 c.p.c. è — come già si è detto — solo

norma « integrativa ») nel distinguere per quali controversie, pro

prio in materia esecutiva, si applica il foro dello Stato, ovvero

quello stabilito dalle regole generali, chiaramente rivela la sua

natura di « norma speciale » applicabile, quindi, come « ecce

zione alla regola generale». E non vi -è dubbio, allora che se la

regola generale stabilisce il foro dell'opposizione alla esecuzione e l'eccezione è quella del foro dello Stato, la corretta costruzione

sillogistica non può condurre che a conclusione opposta a quella rappresentata dal ricorrente. Sarebbe, peraltro, ben difficile scor

gere la ragione per cui, la mancanza di una espressa esclusione

(e l'art. 8 cit. prevede, proprio, determinate esclusioni), dovrebbe

ritenersi che per tutte le cause di cognizione vale la regola del

foro erariale, ad eccezione di quelle che la legge definisce cause

di « opposizione all'esecuzione » e che sono, incontestabilmente, cause di cognizione. La specifica questione, del resto, ha già tro

vato soluzione, nella giurisprudenza di questa corte (v., da ulti

mo, sent. 5 marzo 1979, n. 1365, id., 1979, I, 1141), proprio nei

sensi sopra indicati, per cui trova scarsa giustificazione la ripro

posizione di essa, in difetto di valide argomentazioni che tengano conto dei precedenti arresti giurisprudenziali.

L'istanza di regolamento di competenza, deve, pertanto, es

sere respinta, con la conseguente dichiarazione di competenza del giudice del foro erariale (Tribunale di Firenze). (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 18 feb

braio 1982, n. 1028; Pres. Gabrieli, Est. Mattiello, P. M.

Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Sabatini e altro (Avv.

Nuzzo, Di Baldassarre) c. Florindi e altro (Avv. Di Primio).

Cassa Trib. Pescara 23 agosto 1979.

Locazione — Legge 392/1978 — Immobili ad uso non abitativo

— Pluralità di locatori — Necessità di destinare l'immobile ad

attività alberghiera — Recesso — Configurability di una so

cietà di fatto tra i locatori — Rilevanza — Esclusione '(L. 27

luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani,

art. 29, 73).

I locatori di un immobile adibito all'esercizio di un albergo pos

sono far valere nei confronti del conduttore, ai sensi degli art.

73 e 29, lett. b, /. 392/1978, la necessità di assumere in pro

prio la gestione dell'esercizio alberghiero, senza che possa ave

re rilevanza ostativa l'esistenza tra di loro di una società di

fatto. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 23 gen

naio 1982, n. 464; Pres. A. Caleca, Est. Lazzaro, P. M. Fer

raiuolo (conci, conf.); Bevilacqua (Avv. Sangiuoi.o) c. Berto

rello e altro (Avv. Amorosino). Conferma Trib. Genova 26

novembre 1980.

Locazione — Legge 392/1978 — Controversie per il rilascio del

l'immobile locato — Competenza — Ripartizione tra conciliatore

e pretore — Valore della causa — Determinazione — Criteri

(L. 23 maggio 1950 n. 253, disposizioni per le locazioni e su

blocazioni di immobili urbani, art. 18; 1. 27 luglio 1978 n. 392,

art. 29, 30, 73).

(1, 4) Nello stesso senso, cfr. Pret. Napoli 8 giugno 1979, Fo

ro it., Rep. 1980, voce Locazione, n. 292, e, con riguardo alla

normativa previgente, Cass. 25 marzo 1955, n. 894, id., Rep. 1955,

voce cit., n. 647; 14 aprile 1960, n. 887, id., Rep. 1960, voce

cit., n. 235; nonché Cass. 26 ottobre 1966, n. 2635, id.. Rep. 1966,

voce cit., n. 96 e Cass. 13 novembre 1980, n. 6083, id.. Rep. 1981,

voce cit., n. 651 (che ha esaminato la questione sottoponendo ad

approfondita analisi la disciplina e le caratteristiche delle società

di persona), entrambe richiamate nella motivazione della prima delle

due sentenze riportate. Aderiscono ad un indirizzo opposto, dive

nuto nel tempo minoritario: Pret. Vercelli 7 ottobre 1980, Rass.

equo canone, 1982, 175, e, con riferimento alla legislazione prece

dente, Cass. 27 luglio 1958, n. 2348, Foro it., Rep. 1958, voce cit.,

n. 369 e Cass. 13 maggio 1961, n. 1141, id., Rep. 1961, voce cit.,

n. 157, citate nella motivazione della sentenza 464/82, nonché Cass.

Locazione — Legge 392/1978 — Immobili ad uso non abitativo — Locatore socio di società di persona — Necessità di destinare

l'immobile all'esercizio dell'attività sociale — Recesso — Am

missibilità (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 29, 73).

Ai fini della ripartizione della competenza per valore tra concilia

tore e pretore ai sensi dell'art. 30, 2° comma, I. 392/1978, oc

corre aver riguardo alla misura del canone in concreto corri

sposto al momento della domanda e non a quella del canone

astrattamente dovuto in base alla disciplina legale. (2)

Ai fini della ripartizione della competenza tra conciliatore e pre

tore ai sensi dell'art. 30, 2° comma, l. 392/1978, il valore della

causa va determinato computando nel canone anche gli au

menti supplementari dovuti dal conduttore ai sensi dell'art. 18

l. 253/1950, per riparazioni straordinarie eseguite sull'immobi

le dal locatore. (3) Il locatore di un immobile adibito ad uso non abitativo, che sia

socio di una società di persone avente quale scopo l'esercizio

di un'attività commerciale o artigianale, può far valere nei con

fronti del conduttore, ai sensi degli art. 73 e 29, lett. b, /. 392/

1978, la necessità di destinare l'immobile all'esercizio dell'atti

vità sociale. (4)

3 novembre 1955, n. 3593, id., Rep. 1955, voce cit., n. 648; 18*ot

tobre 1961, n. 2209, id., Rep. 1961, voce cit., n. 156; 5 dicembre

1961, n. 2763, ibid., n. 155. I provvedimenti riportati, premesso il rilievo che le società di per

sone (e quelle di fatto) non sono dotate di personalità giuridica, fon

dano i principi enunciati nelle massime, essenzialmente, sulla consi

derazione che l'attività di tali enti, non essendo riferibile ad un'indi

vidualità soggettiva distinta da quella dei singoli soci, va imputata a ciascuno di questi, con la conseguenza che la destinazione dell'im

mobile di cui si chiede il rilascio all'esercizio dell'attività sociale si

pone come necessità del locatore di esercitare un'attività propria e

risponde, cosi, perfettamente alla fattispecie tipizzata dal legislatore. Unica eccezione al principio va ravvisata con riferimento alla ca

tegoria dei locatori soci-accomandanti di società in accomandita

semplice — ai quali, differentemente da quanto avviene per gii ac

comandatari e gli altri soci di società personali, è istituzionalmente

preclusa la partecipazione all'amministrazione dell'ente e alla de

terminazione della sua volontà — non potendosi considerare « pro

pria » di tali soggetti, ai fini di cui al combinato disposto dagli art.

73 e 29, lett. b, un'attività in relazione alla quale essi non hanno,

in definitiva, alcuna concreta ingerenza (cfr. Cass. 10 marzo 1982,

n. 1547, id., Mass., 329, e in Rass. equo canone, 1982, 170, con nota

di Paparella). La tesi opposta è, generalmente, fondata sulla considerazione che

il requisito della destinazione ad attività propria del locatore richie

sto dalla legge non può essere integrato che dalla prospettata uti

lizzazione dell'immobile locato ad un'attività che, oltre ad essere

personale del locatore, lo sia anche in modo esclusivo. Il Pretore

di Vercelli, nella sentenza sopra richiamata, la sostiene accentuando

la rilevanza dell'autonomia patrimoniale, di cui le società di per

sone, pur in assenza di personalità giuridica, sono dotate.

II diverso trattamento riservato dall'ordinamento alle società di

capitali (alle quali è, come è noto, espressamente riconosciuta per fetta personalità giuridica) porta ad escludere che, ai fini del recesso,

le esigenze di tali enti possano essere fatte valere dal singolo socio

e viceversa (cfr. Pret. Roma 7 novembre 1981, Tenti romana, 1981,

495, e Dattilo, Lo sfratto per necessità del locatore, 1981, 182). In dottrina, nello stesso senso delle sentenze riportate, si esprimo

no: Lazzaro-Preden-Varrone, Le locazioni in regime vincolistico,

1975, 316; Annunziata, Le locazioni di immobili urbani, 1975, 23;

Scannicchio, Equo canone, 1980, 291, sub art. 29; Dattilo, Lo

sfratto, cit., 183. Sulle società di persone e di fatto in genere, cfr.

G. Ferri, Le società, in Trattato dir. civ., diretto da Vassalli, 1971,

391; Galgano, Le società di persone, in Trattato dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, 1972, 111 ss.; Ghidini, Società perso

nali, 1972; Testi, Società di persone (rassegna di giurisprudenza), in

Oiur. comm., 1974, I, 782; Franceschelli, In tema di società di

fatto e società apparente, id., 1978, II, 151; Vinci-Gagliardi, La

società di fatto e la prova della sua esistenza, in Dir. e pratica trib.,

1980, II, 668.

(2-3) Con riferimento al profilo considerato nella seconda massima,

la decisione viene a confermare un orientamento interpretativo già

affermatosi anche a livello di giurisprudenza di legittimità: cfr. Cass.

16 settembre 1981, n. 5135, Foro it., Rep. 1981, voce Locazione,

n. 497; 11 febbraio 1981, n. 849, ibid., n. 505, nonché Cass. 13 no

vembre 1980, n. 6089 e Cass. 13 ottobre 1980, n. 5485, ibid., nn.

506, 507, citate in motivazione; per la giurisprudenza di merito, v.

Conc. Roma 12 marzo 1979, Pret. Milano 27 aprile 1979, Pret.

Foggia 14 giugno 1979, richiamate in Cappelli, L'equo canone, 1981,

245; Pret. Foggia 12 aprile 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n.

839; Pret. Amalfi 26 ottobre 1979, id., Rep. 1981, voce cit., n. 508.

In dottrina, nello stesso senso della sentenza riportata, si esprimo no Sforza Fogliani-Baclioni, Il codice delle locazioni e l'equo ca

none, 1980, 98; Varrone, Le locazioni di fronte al giudice, 1981,

143, e, con riferimento alla competenza ex art. 45 1. 392/1978, Ntco

letti-Redivo, II nuovo processo delle locazioni, 1981, 21.

La computabilità nel canone, ai fini della determinazione della

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