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Sezioni unite civili; sentenza 20 luglio 1983, n. 4987; Pres. Mirabelli, Est. Sandulli, P. M. Fabi...

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Sezioni unite civili; sentenza 20 luglio 1983, n. 4987; Pres. Mirabelli, Est. Sandulli, P. M. Fabi (concl. conf.); Saitta e altri (Avv. Sansone) c. Istituto autonomo case popolari di Palermo. Regolamento preventivo di giurisdizione Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 2779/2780-2783/2784 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175431 . Accessed: 25/06/2014 03:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 03:47:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 20 luglio 1983, n. 4987; Pres. Mirabelli, Est. Sandulli, P. M. Fabi(concl. conf.); Saitta e altri (Avv. Sansone) c. Istituto autonomo case popolari di Palermo.Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 2779/2780-2783/2784Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175431 .

Accessed: 25/06/2014 03:47

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2779 PARTE PRIMA 2780

blica utilità) previsti dalla disciplina speciale, ma non può dar

luogo ad un rapporto diverso da quello da questa contemplato ». Nel testo della motivazione si legge, inoltre, che non vi è

spazio nel nostro ordinamento giuridico per una servitù di elettrodotto rientrante nello schema generale previsto dall'art. 1027 c.c. e che, di conseguenza, la servitù di elettrodotto, comunque costituita, è disciplinata in ogni caso dalle norme della

legge speciale, tra cui l'art. 122 che pone a carico dell'esercente le spese relative allo spostamento della linea, salvo che un diverso accordo delle parti abbia modificato a tale riguardo la

disciplina tipica del rapporto. Anche la sentenza 28 aprile 1981, n. 2579 giunge sostanzialmente alle medesime conclusioni.

Non ritiene questo collegio di poter aderire senza riserve a tale

orientamento che, unificando la disciplina delle servitù di elettro dotto in qualunque modo costituite, diverge sensibilmente sia

dall'opinione più diffusa in dottrina, secondo cui la disciplina relativa alle servitù coattive è applicabile, solo quando la volontà del proprietario del fondo servente sia stata necessitata dall'im manenza di un atto d'imperio conforme a disposizioni di legge, sia dalle precedenti pronunzie di questa corte (in particolare sez. un. 14 giugno 1971, n. 1822 e Cass. 7 novembre 1979, n. 5740), le quali hanno ritenuto rilevante la distinzione tra i diversi modi di costituzione della servitù di elettrodotto, che può « in certi casi essere strutturata in guida da escludere assolutamente l'inten to di evitare l'imposizione coattiva » e rendere in tali casi

inapplicabili le disposizioni della legge speciale, basate sul pre supposto della coattività.

A sostegno del criterio tradizionale, che lascia sussistere servitù volontarie di elettrodotto disciplinate dalle norme ordinarie ac canto alle servitù coattive tipiche, possono addursi numerosi

argomenti, sia testuali sia concettuali. Invero il passaggio coattivo di condutture elettriche è previsto dall'art. 1056 c.c. — contenu to nello stesso titolo VI, capo 2" che disciplina le servitù coattive di acquedotto, di scarico, di infissione di chiusa, di passaggio, ecc. — e, come nessuno dubita che le predette servitù, se costituite volontariamente, si sottraggono alle norme particolari relative alle servitù coattive (ad es., all'art. 1055 c.c.) cosi è da ritenere che anche alla servitù di elettrodotto, se derivante da una libera convenzione delle parti, ovvero da altro comportamen to volontario e non necessitato (destinazione del padre di fami

glia, testamento, donazione, ecc.) debbano applicarsi le disposi zioni generali in materia di servitù volontarie, tra le quali l'art. 1068 c.c., in luogo di quelle specifiche per le servitù coattive, dettate allo scopo di attenuare il sacrificio addossato dalla legge al proprietario di un fondo in determinate situazioni oggettive ed a tutela di rilevanti interessi generali.

Per dimostrare come sia impossibile unificare il trattamento delle servitù di elettrodotto comunque costituite, sembra decisivo osservare che esistono casi concreti (e non semplici ipotesi scolastiche) in cui si configurano servitù di elettrodotto non coattive, alle quali sarebbe incongruo estendere l'applicazione della legge speciale; infatti mentre l'art. 121 del citato t.u. vieta di infiggere supporti e ancoraggi per conduttori aerei « nei cortili, giardini e muri di case non prospicienti verso vie o piazze pubbliche », la concorde volontà delle parti può derogare a tale disposizione di legge e far passare la conduttura elettrica in luoghi normalmente esenti dalla servitù; in tale ipotesi non si tratta più, evidentemente, di servitù coattiva, dato che questa non

può essere imposta nei suddetti luoghi, e si è in presenza, quindi, di una servitù liberamente costituita dalla autonomia contrattuale delle parti.

Sembra evidente, perciò, che la normativa contenuta negli art. da 119 a 129 t.u. n. 1775/33 non è esclusiva e inderogabile (quasi avesse voluto creare una limitazione pubblica del diritto di proprietà e non una vera servitù prediale), bensì rappresenta il paradigma normale sul quale di solito si modella la servitù di

elettrodotto, cosi come le disposizioni contenute nel codice civile a proposito delle altre servitù coattive (di passaggio, di acquedot to, di infissione di chiusa, ecc.) regolano la forma legale minima di tali servitù, ma non impediscono che le corrispondenti servitù volontarie vengano costituite per libera convenzione delle parti o

negli altri modi previsti dall'ordinamento giuridico. L'unica differenza consiste nel fatto che le norme relative alle

predette servitù coattive sono contenute nel codice civile, mentre

per l'elettrodotto coattivo si è fatto riferimento alla legge specia le, per la necessità di una disciplina più dettagliata, contenente anche norme tecniche riguardanti la trasmissione e distribuzione

dell'energia elettrica (art. da 107 a 118), le quali peraltro sono rivolte esclusivamente agli esercenti delle imprese e sono conte nute in un capo diverso da quello intitolato « servitù di elettro dotto ».

Riconosciuto, quindi, che neppure in materia di elettrodotto

può eliminarsi la differenza di trattamento tra servitù volontarie

e coattive, differenza connessa alla sostanziale diversità di origine e di funzione economico-giuridica delle due forme di diritto

reale, rimane da stabilire se nel caso di servitù costituita per usucapione sia applicabile l'art. 1068 c.c. o l'art. 122 t.u. allorché debba essere modificato il percorso della conduttura elettrica per consentire la migliore utilizzazione del fondo.

Poiché l'usucapione è un modo d'aquisto basato su una situa zione obiettiva, nella quale è difficile scorgere un indizio di

volontà e non è, di regola, possibile stabilire se l'inerzia del

proprietario del fondo servente sia stata determinata dalla con

vinzione di non potersi opporre alla costituzione della servitù ovvero da altri motivi, l'indagine dovrà essere compiuta in base

alle modalità oggettive del possesso. Pertanto una servitù di elettrodotto costituita per usucapione

dovrà ritenersi coattiva quando il suo esercizio di fatto non si

discosta dal paradigma fissato dal t.u.; dovrà, invece, ritenersi

volontaria se è esercitata sui luoghi, indicati dal citato art. 121, nei quali la costituzione coattiva non è ammessa, cosi pure sarà

da considerare volontaria in tutte le altre ipotesi in cui il suo

esercizio di fatto sia contrastante con le norme della legge

speciale, ad esempio se durante il corso del ventennio la condut

tura sia stata spostata a spese del proprietario del fondo serven

te, oppure se la servitù sia stata esercitata da soggetto sprovvisto di qualsiasi autorizzazione ad impiantare linee elettriche.

Nel caso in esame è accertato che la servitù sul fondo Ceci

venne esercitata in primo tempo (a partire dal 1943) da un'im

presa privata e successivamente dall'E.n.el. sempre con modalità

conformi a quanto stabilito dal t.u. n. 1775/33 e perciò non

merita censura la sentenza d'appello che, ritenendo costituita la

servitù (con opere visibili e permanenti) secondo il modello

tipico dell'elettrodotto coattivo, ha messo a carico dell'E.n.el. le

spese di spostamento della linea.

Invero non può essere accettato l'argomento difensivo del ricorrente secondo cui alla costituzione della servitù coattiva

sarebbe di ostacolo, nella specie, la mancanza dell'autorizzazione

definitiva alla costruzione della linea elettrica; è da ricordare, a

tale riguardo, che l'art. 113 t.u. consente alle competenti autorità

amministrative di concedere autorizzazione provvisoria nei casi

d'urgenza; tale autorizzazione provvisoria, che nel caso in esame deve ritenersi a suo tempo concessa (non essendo stata contestata da nessuna delle parti) è sufficiente a mettere in moto il

procedimento di costituzione della servitù coattiva ed a far sorgere

per il proprietario del fondo l'obbligo concreto di dare passaggio alla conduttura elettrica.

Nella specie, quindi, l'esercizio del possesso della linea elettri

ca, materialmente costruita sul fondo Ceci dopo l'autorizzazione

provvisoria, ebbe inizio in conformità delle norme del t.u. e, non essendo intervenuto successivamente alcun fatto nuovo idoneo a modificarne la natura, è stata acquistata dall'E.n.el. per usucapio ne come servitù coattiva.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 20 lu

glio 1983, n. 4987; Pres. Mirabelli, Est. Sandulli, P.M. Fabi

(conci, conf.); Saitta e altri (Avv. Sansone) c. Istituto autonomo case popolari di Palermo. Regolamento preventivo di giurisdi zione.

Edilizia popolare ed economica — Alloggi dell'edilizia residen ziale pubblica — Assegnazione in locazione con patto di futura vendita — Successiva inclusione degli alloggi nella quota di ri serva — Situazione giuridica dell'assegnatario — Interesse le

gittimo — Giurisdizione amministrativa (D.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2, norme concernenti la disciplina della cessione in

proprietà degli alloggi di tipo popolare ed economico, art. 3).

L'assegnatario di alloggio dell'edilizia popolare ed economica

incluso, seconda la scelta discrezionale dell'amministrazione, nella quota di riserva prevista dall'art. 3 d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 è titolare soltanto di un interesse legittimo tutelabile, come tale, innanzi al giudice amministrativo sotto l'aspetto del corretto esercizio del potere di esclusione della cessione in

proprietà degli alloggi destinati a costituire la quota di ri serva. (1)

(1) Nei termini della controversia, non priva di interesse nonostante concerna l'interpretazione di una normativa ormai abrogata, v. Cass. 26 gennaio 1979, n. 599, Foro it., 1979, I, 2410, con nota di richiami cui si fa rinvio per ulteriori riferimenti: la sentenza di primo grado, ivi citata, del giudizio conclusosi con la decisione ora menzionata,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — Il problema che si pone attie

ne alla natura giuridica della posizione soggettiva dell'asse

gnatario di un alloggio economico e popolare, concessogli in

godimento a norma del d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2, il quale vanti la pretesa alla cessione in proprietà dell'alloggio, quando

questo sia ricompreso nella cosiddetta quota di riserva prevista dall'art. 3.

Trattasi di stabilire — ai fini della determinazione della giuris dizione — se, nella ipotesi descritta, la situazione giuridica

soggettiva dell'assegnatario sia configurabile come diritto soggetti vo o integri, in presenza di un potere discrezionale di scelta

dell'amministrazione, un mero interesse legittimo. Al fine di delineare gli esatti termini del problema proposto e

di meglio percepire gli aspetti fondamentali della disciplina nor

mativa, predisposta dal d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 e dalla 1. 27

aprile 1962 n. 231 in tema di riscatto degli alloggi economici e

popolari, vale procedere ad una schematizzazione storicistica.

11 r.d. 28 aprile 1938 n. 1165, t.u. delle disposizioni sull'edilizia

popolare ed economica, già prevedeva la possibilità di un trasfe

rimento della proprietà degli alloggi in favore degli assegnatari. Infatti l'art. 34 t.u. cit. consentiva ai comuni ed agli istituti

autonomi per le case popolari di vendere o assegnare in locazio

ne con patto di futura vendita, previa autorizzazione ministeriale,

gli stabili in qualunque tempo costruiti.

Se la vendita era « dilazionata », ossia se era convenuto il

pagamento rateale del prezzo, la stipula del contratto traslativo

di proprietà poteva avvenire soltanto dopo il pagamento dell'ul

tima rata (art. 35); il patto di futura vendita costituiva, quindi,

per l'istituto proprietario un'obbligazione accessoria di fare, in

dipendenza genetica e funzionale del rapporto di affitto, onde

l'istituto conservava la facoltà di revocare l'assegnazione nel caso

che l'inquilino veniva a perdere i requisiti voluti per l'assegna zione stessa (cfr. Cons. Stato 25 giugno 1948, n. 387, Foro it.,

Rep. 1949, voce Case popolari, n. 29); ove, invece, non v'era

motivo per la risoluzione del rapporto e l'assegnatario completava il pagamento del prezzo, l'istituto era obbligato a stipulare la

vendita. A seguito dell'entrata in vigore della Costituzione, il legislatore

— nell'intento di realizzare il principio fondamentale fissato nel

2° comma dell'art. 47 Cost. (« la repubblica favorisce l'accesso

del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione ») — in

troduceva, con il d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 (norme concer

nenti la disciplina della cessione in proprietà degli alloggi di

tipo economico e popolare -— cosiddetta legge delegata ema

nata in virtù dell'art, unico 1. 21 marzo 1958 n. 447, conte

nente la delega al governo per la disciplina della cessione in

proprietà a favore degli assegnatari degli alloggi di tipo po

polare ed economico costruiti a totale carico dello Stato ov

vero con il suo concorso o contributo) e con la 1. 27 aprile 1962 n. 231 (contenente modifiche al d.p.r. n. 2 del 1959), il

principio della generale « riscattabilità » degli alloggi economici e

popolari assegnati in godimento, attribuendo agli occupanti la

possibilità di chiederne « in qualsiasi momento » la cessione in

proprietà. Al riguardo, la normativa introdotta con il d.p.r. 17 gennaio

1959 n. 2 — per il quale la distinzione fra locazione semplice e

locazione con patto di futura vendita doveva ritenersi superata,

potendo stipularsi dopo l'entrata in vigore del d.p.r. del 1959, soltanto locazioni semplici — fissava alcuni punti essenziali.

Il d.p.r. n. 2 del 1959, nel dettare la disciplina della cessione

in proprietà degli alloggi di tipo economico — dopo avere

indicato, nell'art. 1, le categorie di alloggi ad essa soggetti (gli

alloggi costruiti con il concorso o con il contributo dello Stato

Trib. Roma 10 luglio 1968, è riportata in Foro it., 1969 (e non 1968),

I, 756. La sentenza negava all'istituto autonomo case popolari ed

economiche per i dipendenti del comune di Roma il potere di

escludere una quota degli alloggi dalla cessione in proprietà in attuazione della disposizione di cui all'art. 3 d.p.r. 17 gennaio 1959

n. 2, in quanto, nell'elenco tassativo degli enti cui la norma in

questione attribuiva il potere di sottrarre agli assegnatari gli alloggi destinati a costituire la quota di riserva, il nostro non era compreso. Nondimeno la sentenza, pur riconoscendo nel caso di specie la

sussistenza della giurisdizione ordinaria, affermava che, posta la natura

discrezionale del potere della p.a. nella formazione della quota di

riserva, ove l'assegnatario lamenti la scorrettezza (recte, l'illegittimità) dell'uso del potere dell'ente, senza negarne in toto la sussistenza, la

controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, con

ciò fornendo un valido supporto all'odierna pronuncia. Sull'individuazione della situazione giuridica lesa e sulla conseguente

tutela giurisdizionale nell'ipotesi in cui il diritto alla cessione sia

escluso in base ai criteri di cui all'art. 2 d.p.r. 2/59, cfr. Cass.

2 ottobre 1975, n. 3100, id., 1976, I, 74.

dalle province, dai comuni, dall'I.n.c.i.s., dagli istituti autonomi

per le case popolari e dagli enti indicati nei nn. 4, 6, 11 e 12

dell'art. 16 r.d. 28 aprile 1938 n. 1165; gli alloggi costruiti

dall'amministrazione delle ferrovie dello Stato ai sensi della parte

seconda, titolo secondo, del detto decreto, nonché quelli non di

servizio costruiti dalla stessa amministrazione; gli alloggi costruiti

dall'amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni e dal

l'azienda di Stato per i servizi telefonici; gli alloggi costruiti a

totale carico dello Stato), ed avere specificato, nell'art. 2, gli

alloggi esclusi dalla cessione in proprietà (gli alloggi costruiti ai

sensi dell'art. 343, 2° comma, t.u. delle leggi sull'edilizia popolare ed economica; gli alloggi la cui cessione è condizionata alla

prestazione in loco di un determinato servizio presso p.a.; gli alloggi che si trovano negli stessi immobili nei quali hanno sede

uffici, comandi, reparti e servizi delle amministrazioni predette) ed avere previsto, nell'art. 3, 1° comma, che « dalla cessione in

proprietà deve essere esclusa una quota pari al venti per cento

degli alloggi di proprietà delle province, dei comuni, degli istituti autonomi per le case popolari, dell'amministrazione delle ferrovie dello Stato, dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni e della azienda di Stato per i servizi telefonici ed una quota pari al trenta per cento degli alloggi dell'I.n.c.i.s. » — statuiva, nel l'art. 4, che « hanno diritto alla cessione in proprietà degli asse

gnatari degli alloggi di cui all'art. 1 » e, nell'art. 10, 2° comma, che « gli assegnatari degli alloggi non compresi nella quota di riserva, anche se di nuova costruzione, possono chiedere la cessione in

proprietà dell'alloggio del quale sono in godimento ».

Per la procedura di trasferimento era previsto che gli enti

pubblici proprietari degli alloggi erano tenuti a dare notizia dei

singoli stabili da cedere, con appositi bandi, dalla cui data di

pubblicazione decorreva il termine di sessanta giorni, concesso

agli assegnatari ed a determinati loro aventi causa, per chiedere il trasferimento in proprietà. Il che avveniva dopo che il prezzo, determinato da apposite commissioni (art. 6 e 7), era stato

integralmente pagato (art. 15). Il trasferimento era tuttavia possi bile soltanto per interi fabbricati e se era stato domandato dai sette decimi dei relativi occupanti (art. 11); e poteva essere escluso in considerazione della proporzione tra la superficie del

singolo alloggio ed il nucleo familiare dell'assegnatario richie dente (art. 5).

Con la 1. 27 aprile 1962 n. 231 il legislatore — al fine di

rendere più snella ed efficiente la procedura di cessione in

proprietà degli alloggi concessi agli assegnatari e di meglio

configurare la pretesa alla cessione (cfr. relazione dell'on. Zac

cagnini alla legge) — provvedeva ad abrogare interamente gli art.

5 e 11, ad eliminare le esclusioni soggettive di cui ai comma 2° e

successivi dell'art. 4, a semplificare il criterio di fissazione del

prezzo ed a capovolgere il sistema dei bandi, nel senso che gli enti erano tenuti a dare notizia non già degli alloggi da vendere, ma di quelli compresi nella quota di riserva.

Con l'art. 27 1. statale 28 agosto 1977 n. 513 (sull'edilizia residenziale pubblica) — dopo che con l'art. 22 1. reg. 22 maggio 1975 n. 26 della regione Friuli-Venezia Giulia si era stabilito che

« gli alloggi di edilizia residenziale pubblica realizzati nella regio ne sono assegnati esclusivamente in locazione », disponendo che « tuttavia, per i detti alloggi costruiti in base a leggi di finanzia

mento statale anteriore all'entrata in vigore della 1. 22 ottobre

1971 n. 865, è consentita l'assegnazione a riscatto, previa doman da da presentare a cura degli interessati agli istituti autonomi per le case popolari, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge » '— sono state abbrogate le disposizioni contenute

nel d.p.r. n. 2 del 1959 nonché nelle « leggi che comunque

disciplinano il trasferimento in proprietà agli assegnatari di allog

gi di edilizia residenziale pubblica già assegnati in locazione

semplice », pur lasciandosi sopravvivere (2° comma dell'art. 27) le domande per le quali non sia stato stipulato il relativo

contratto di cessione in proprietà, sempre se confermate entro sei

mesi dall'entrata in vigore della legge abolitiva.

Cosi delineato il quadro normativo, va rilevato come la vicen

da giudiziale oggetto di esame — essendo stata presentata la

domanda di riscatto, in base alla precedente normativa, prima della entrata in vigore della 1. n. 513 del 1977 — debba essere

risolta in base alle norme del d.p.r. n. 2 del 1959, come

modificate dalla 1. n. 231 del 1962, risultando, all'epoca del

l'esercizio della pretesa, già acquisita alla sfera giuridica del

l'assegnatario la posizione soggettiva relativa alla cessione in

proprietà dell'alloggio. In base a tale disciplina normativa, è agevole osservare come il

diritto dell'assegnatario alla cessione sia stato riaffermato dalla 1.

n. 231 del 1962 in termini più efficaci di quelli delineati nel

d.p.r. n. 2 del 1959, in quanto, essendo i requisiti soggettivi ed

oggettivi, richiesti per la cessione in proprietà, sottratti ad ogni

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2783 PARTE PRIMA 2784

valutazione discrezionale dell'ente concedente, questo, ove ne ricorrano le condizioni, dovrebbe ritenersi obbligato a vendere l'immobile richiestogli.

Peraltro, è del pari agevole considerare come un notevole

margine di discrezionalità, che consente all'ente, in alcuni casi, di sottrarsi alla vendita, sia rimasto, anche dopo la riforma del

1962, essendo stata mantenuta la previsione della quota di riserva.

Di fronte a tale discrezionalità dell'amministrazione si pone, quindi, il problema, proposto all'esame di queste sezioni unite ai fini della risoluzione del delineato profilo di giurisdizione, se —

restando salva, in presenza di un alloggio astrattamente suscettivo di cessione in proprietà per la sussistenza delle condizioni obiet tive all'uopo richieste, la facoltà discrezionale dell'amministrazio ne di includerlo nella quota di riserva — la pretesa dell'assegna tario abbia natura di diritto soggettivo o di interesse legittimo.

L'incidenza della quota di riserva nella economia del riscatto — pur essendo stata la sua rilevanza ben avvertita dal legislatore (dai lavori preparatori della 1. del 1962 è stato rilevare i vari orientamenti emersi in ordine alla opportunità o non di conser

vare la detta quota ed ai diversi criteri suggeriti per la costitu zione della stessa [rotazione, mobilità degli alloggi, ecc.]; vedi, in

Atti della IX commissione della Camera dei deputati, anni

1958-1963, p. 680 ss., gli interventi degli onorevoli Degli Occhi. De Pasquale, Venturini, Misefari, Cervone e Magri) — è causa di

notevoli perplessità (potendo essere incluso nella quota di riserva

qualsiasi alloggio che risulti già assegnato o da assegnare in uso). L'esame del problema proposto esige la determinazione della

relazione rapportuale intercorrente tra la pretesa degli assegnatari al riscatto ed il potere dell'ente di riservarsi in proprietà alcuni

alloggi. Va, innanzitutto, rilevato come la indiscriminata assoggettabilità

di tutti gli alloggi economici e popolari all'inclusione in riserva, consacrata nella normativa dettata dal d.p.r. del 1959 e dalla 1.

del 1962, implichi che fino a quando l'ente proprietario non abbia provveduto a costituire la quota, nessuno degli assegnatari

possa pretendere — vale a dire ottenere anche contro la volontà

dell'ente — il trasferimento in proprietà della casa concessagli in

assegnazione, non risultando se la stessa sia o no alienabile (cfr., in tal senso, Cass. 14 maggio 1980, n. 3173, id., Rep. 1980, voce Edilizia popolare ed economica, n. 166).

Va, poi, considerato come la formazione della quota di riserva — effettuata non a posteriori con il residuo degli appartamenti non richiesti in proprietà dagli assegnatari, ma a priori, mediante

la scelta discrezionale degli immobili da conservare al patrimonio dell'ente concedente al fine di assicurare i mezzi necessari all'e

spletamento dei compiti ad esso affidati — valga a privare gli

assegnatari degli alloggi in essa inclusi della possibilità di accede

re al riscatto.

Prima della formazione della quota di riserva, quindi, l'asse

gnatario non può far valere un diritto al trasferimento, essendo esso investito soltanto di una posizione soggettiva di interesse

legittimo, suscettibile di trasformarsi in diritto soggettivo, esclusi

vamente, dopo la formazione della quota, in ordine agli immobili che nella riserva non siano stati ricompresi.

Per modo che — insorgendo in favore degli assegnatari di case economiche e popolari il diritto alla cessione in proprietà, ex art. 4 d.p.r. n. 2 del 1959 (nel testo sostituito dall'art. 2 1. n. 231 del

1962), al momeno dell'assegnazione dell'alloggio, riguardando il

tempo di esercizio del riscatto il 2° comma dell'art. 10 del cit. decreto (nel testo sostituito dall'art. 7 della su richiamata legge), il quale stabilisce che, dopo la partecipazione ad essi da parte degli enti concedenti della notizia degli alloggi compresi nella

quota di riserva, gli assegnatari degli alloggi non compresi in detta quota possono chiedere la cessione in proprietà degli alloggi di cui sono in godimento, va rilevato come tra l'at

tribuzione a tutti gli assegnatari del diritto ad acquistare la

proprietà della casa e la possibilità di esercitare il diritto stesso si ponga il potere dell'amministrazione di rifiutare il trasferimen to di un certo numero di alloggi, includendoli nella quota di

riserva, al fine di conservarli al proprio patrimonio per il

perseguimento dei fini istituzionali.

L'esercizio di tale potere discrezionale, affievolendo il diritto

degli assegnatari degli alloggi ricompresi nella quota di riserva, consente la tutela della posizione dell'assegnatario come interesse

legittimo innanzi al giudice amministrativo.

Pertanto, ove l'amministrazione non includa l'alloggio nella cosiddetta quota di riserva e lasci lo stesso al di fuori dell'area interessata da detta quota, la situazione giuridica soggettiva di cui è investito l'assegnatario, essendo configurabile come diritto

soggettivo perfetto, riceve diretta ed immediata tutela, anche nei

confronti dell'amministrazione, in virtù di norme cosiddette di

relazione, innanzi al giudice ordinario.

Ove, invece, si verifichi l'ipotesi contraria, e cioè che l'ammi

nistrazione, avvalendosi del suo discrezionale potere autoritativo di scelta, ricomprenda l'alloggio nella quota di riserva, all'asse

gnatario non può che riconoscersi una posizione di interesse

legittimo, vale a dire l'interesse alla legittimità dell'azione ammi

nistrativa, tutelabile innanzi al giudice amministrativo per viola zione di norme cosiddette di azione (quali quelle relative all'eser cizio del potere di inclusione degli alloggi nella quota di riserva, alle sue modalità ed alla proporzione fra gli alloggi alienabili e

quelli da riservare al patrimonio dell'ente per la continuazione della funzione istituzionale).

E, a conforto di quanto affermato, vale ricordare come, ai fini

della corretta soluzione del tema proposto, non siano utilizzabili le precedenti decisioni di queste sezioni unite n. 3100 del 2 ottobre 1975 (id., 1976, I, 74) e n. 599 del 26 gennaio 1979 (id., 1979, I, 2410), le quali hanno affermato la giurisdizione dell'auto rità giudiziaria ordinaria, giacché mentre la prima si riferisce ad

alloggi (costruiti dall'I.n.c.i.s. su terreno dell'accademia navale di

Livorno) considerati nell'art. 2 d.p.r. n. 2 del 1959 (e non nel

successivo art. 3), posto che i criteri, in base ai quali un alloggio deve ritenersi appartenente ad una delle categorie indicate in detto articolo sono esclusivamente tecnici e giuridici, e quindi valutabili dal giudice ordinario, la seconda (riguardante alloggi costruiti dall'istituto autonomo per le case popolari per i dipen denti del comune di Roma, non rientrante fra gli enti indicati

nell'art. 3 d.p.r. n. 2 del 1959) ha imposto il criterio discrimina torio delle giurisdizioni (ordinaria ed amministrativa) sulla pro spettazione, e non sulla natura della situazione giuridica soggetti va protetta.

Per modo che deve ritenersi che la discriminazione della

giurisdizione, e la individuazione delle posizioni giuridiche spet tanti, nei diversi momenti, all'assegnatario in ordine alla cessione in proprietà dell'alloggio concessogli in godimento, debbano esse re operate (non in base alla circostanza che la richiesta della

cessione sia stata prospettata prima o dopo la formazione della

quota, ma) in base alla circostanza se l'amministrazione abbia esercitato o no, nel caso concreto, il potere discrezionale di

riservare l'alloggio al suo patrimonio, ricomprendendo lo stesso nella cosiddetta quota di riserva.

Pertanto, in caso di inclusione dell'alloggio nella riserva, la tutela accordata all'assegnatario è quella dell'interesse legittimo innanzi al giudice amministrativo (soltanto, nel caso in cui la

negazione della cessione in proprietà sia conseguente all'illegitti ma inclusione dell'alloggio nella riserva, accertata dal giudice amministrativo, potrebbe riconoscersi all'assegnatario il titolo

per chiedere al giudice ordinario il risarcimento dei danni). Ora — poiché, nell'ipotesi di specie, gli alloggi oggetto di

causa, concessi dall'I.a.c.p. di Palermo agli assegantari in locazio ne semplice, sono stati inclusi dall'ente concedente nella quota di

riserva di cui al 1" comma dell'art. 3 d.p.r. n. 2 del 1959 (come sostituito dall'art. 2 1. n. 231 del 1962) — deve ritenersi che, essendo gli assegnatari ricorrenti, portatori di meri interessi legit timi (e non di diritti soggettivi perfetti) tesi ad ottenere il trasferimento degli immobili goduti in locazione, competente a conoscere della controversia relativa alla pretesa alla cessione in

proprietà degli alloggi fatta valere in giudizio sia il giudice amministrativo, e non il giudice ordinario.

Deve, quindi, concludersi che correttamente il Tribunale di Palermo abbia affermato la giurisdizione del giudice amministra tivo e declinato la propria competenza giurisdizionale in ordine alla vertenza portata al suo esame in merito alla pretesa di trasferimento di proprietà degli alloggi assegnati ai ricorrenti.

In definitiva, il conflitto negativo di giurisdizione fra il Tribu nale ordinario di Palermo ed il Consiglio di giustizia amministra tiva per la regione siciliana, denunciato ex art. 362, 2° comma, c.p.c., va risolto nel senso che debba riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo.

Il ricorso per cassazione proposto dai ricorrenti va, perciò, rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 16 lu

glio 1983, n. 4895; Pres. Gambogi, Est. Lo Surdo, P. M. Fabi

(conci, conf.); Fantini e altri (Avv. Paone) c. Comune di Roma

(Aw. Galanti). Conferma App. Roma 5 maggio 1979.

Espropriazione per pubblico interesse — Mancata utilizzazione del bene espropriato — Retrocessione totale e parziale — Criterio distintivo — Fattispecie (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropria zioni per causa di pubblica utilità, art. 60, 63).

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