sezioni unite civili; sentenza 20 maggio 1992, n. 6084; Pres. Montanari Visco, Est. Sammartino,P.M. Paolucci (concl. parz. diff.); Bagedda (Avv. Lubrano) c. Proc. gen. Cassazione e altri.Conferma Cons. naz. forense 24 gennaio 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2315/2316-2317/2318Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187558 .
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2315 PARTE PRIMA 2316
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 20 mag
gio 1992, n. 6084; Pres. Montanari Visco, Est. Sammarti
no, P.M. Paolucci (conci, parz. diff.); Bagedda (Avv. Lu
brano) c. Proc. gen. Cassazione e altri. Conferma Cons, naz
forense 24 gennaio 1991.
Avvocato e procuratore — Procedimento disciplinare — Sospen sione cautelare — Questione manifestamente infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 3, 4, 35; r.d.I. 27 novembre 1933
n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e procura
tore, art. 43). Avvocato e procuratore — Procedimento disciplinare — Sospen
sione cautelare — Fattispecie (R.d.I. 27 novembre 1933 n.
1578, art. 43).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 43, 3° comma, r.d.I. 27 novembre 1933 n.
1578, nella parte in cui conferisce al consiglio dell'ordine de
gli avvocati e procuratori il potere di pronunciare la sospen sione dell'avvocato dall'esercizio della professione a tempo indeterminato quando contro di lui sia stato emesso mandato
o ordine di comparizione o di accompagnamento, a differen
za della normativa in materia di pubblico impiego che preve de la revoca di diritto della sospensione dal servizio dopo cin
que anni, in riferimento all'art. 3 Cost, (in motivazione, la
corte — che ha anche ritenuto irrilevanti le questioni di legit timità costituzionale del medesimo art. 43, 30 comma, in rife rimento agli art. 4 e 35 Cost. — ha ritenuto opportuna la
disparità di trattamento rilevando che l'attribuzione di gravis simi reati, anche in mancanza di una sentenza definitiva, com
promette la reputazione professionale dell'avvocato, lede la
dignità della classe forense ed è comunque incompatibile con
lo svolgimento di attività professionali in ambienti giu
diziari). (1) Qualora l'avvocato risulti imputato per gravissimi reati, è cor
retta la decisione del Consiglio nazionale forense che non at tribuisce rilevanza ai fini di valutare la legittimità della so
spensione cautelare disposta dal consiglio locale né alla ridu
zione di pena operata dal giudice d'appello, né
all'annullamento con rinvio della sentenza d'appello in sede
di cassazione. (2)
(1-2) In senso conforme alla prima massima, Cass. 25 ottobre 1979, n. 5573, Foro it.. Rep. 1979, voce Avvocato, n. 95.
L'istituto della sospensione c.d. cautelare (che una risalente sentenza della Cassazione definisce non una vera e propria sanzione disciplinare: 28 luglio 1964, n. 2122, id., Rep. 1964, voce cit., n. 12 e Giusi, civ., 1964, I, 2206) è l'unico provvedimento del consiglio dell'ordine che può derivare direttamente dalla valutazione discrezionale delle vicende del
procedimento penale a prescindere da una pronuncia definitiva e senza
previo procedimento disciplinare, essendo per il resto pacifico, in giuris prudenza, che non sussiste alcuna correlazione automatica tra esiti del
giudizio penale e provvedimento/procedimento disciplinare: in tal sen
so, Cons. naz. forense 8 marzo 1988, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 56, ha escluso la sospensione necessaria del procedimento disciplina re in pendenza del procedimento penale avente ad oggetto l'accerta mento del fatto; Cass. 18 ottobre 1984, n. 5243, id., 1985, I, 1125, ha escluso che la sanzione disciplinare possa considerarsi alla stregua di pena accessoria a condanna penale. Il procedimento disciplinare, in
fatti, ha ad oggetto la tutela del prestigio della classe forense, da eserci tarsi sia in relazione a mancanze nell'esercizio della professione sia in relazione a fatti anche attinenti la vita privata dell'avvocato, purché in concreto idonei ad influire sulla sua reputazione personale con con
seguente menomazione del prestigio della classe forense (Cons. naz. fo rense 8 marzo 1988, cit.: pare pertanto ammissibile sia la rilevanza ai fini disciplinari di un fatto che non costituisce reato sia, al contrario, l'irrilevanza a tali fini di un fatto che costituisce reato; si pensi, in tal senso, a reati meramente formali).
Eccezione a tale principio di interdipendenza tra esiti del procedimen to penale e procedimento disciplinare è rappresentato dall'art. 42 r.d. 1578/33 che prevede la radiazione di diritto dall'albo a seguito di con danna per determinati reati, nonché dalle ipotesi di sospensione di dirit to di cui al 1° comma dell'art. 43; Cons, ordine avvocati e procuratori Venezia 19 dicembre 1988 (id., Rep. 1990, voce cit., n. 86 e Giur. co
stit., 1989, II, 2257) ha rimesso al vaglio della Corte costituzionale la
legittimità dell'art. 42, ma la corte (2 marzo 1990, n. 113, Foro it., 1990, I, 1765) ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione perché sollevata dal consiglio locale dell'ordine. In dottrina, con richia mi di giurisprudenza, Danovi, Corso di ordinamento forense e deonto logia, 2a ed., Giuffrè, Milano, 1990, 289 ss.
Il Foro Italiano — 1993.
Processo. — 1. - L'aw. Bruno Bagedda fu rinviato a giudi
zio, con sentenza 14 luglio 1984, per rispondere di vari reati
(sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio, tentato
omicidio, rapina a mano armata, soppressione di cadavere, estor
sione, porto e detenzione d'armi da guerra, riciclaggio di
300.000.000 di lire ed altri). La Corte d'assise d'appello di Cagliari lo condannò alla pena
di quindici anni di reclusione, ridotta poi a quattordici anni dalla Corte d'assise d'appello di Roma, in sede di rinvio dalla
Cassazione.
2. - Sospeso a tempo indeterminato dall'esercizio della pro
fessione, ex art. 43 r.d.l. 1578/33, il consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori di Nuoro con delibera del 15 febbraio
1988 rigettò l'istanza di revoca della sospensione. 3. - Con la decisione qui impugnata il Consiglio nazionale
forense ha rigettato il ricorso proposto da Bagedda contro detta
delibera, ritenendo che essa è «conforme ai principi vigenti in
materia, è congruamente motivata e in definitiva è sorretta da
un corretto iter logico che esclude qualsiasi prospettazione di
contraddittorietà».
4. - Col primo motivo del presente ricorso si denuncia ecces
so di potere sotto il profilo di difetto e contraddittorietà di mo
tivazione e si deduce:
1) che il Consiglio nazionale avrebbe dovuto considerare:
a) che la sentenza di condanna della Corte d'assise d'appello di Roma era stata — alla data dell'udienza avanti al consiglio stesso — annullata dalla Cassazione con sentenza 8815/90, la
quale aveva «notevole rilievo ai fini dell'accertamento della re
sponsabilità dell'imputato» e perciò era da presumere «che una
più corretta valutazione degli elementi in proposito rilevanti
avrebbe potuto portare ad una diversa decisione, in ordine alla
responsabilità» dell'imputato, da parte del nuovo giudice di
rinvio; ti) che la seconda sentenza di condanna aveva ridotto la pena;
2) che il consiglio è caduto in contraddizione avendo, da un
canto, ammesso la produzione dei documenti ritenuti rilevanti
da cui risultavano le «vicende processuali» sopra indicate, e,
dall'altro, negato poi ogni rilevanza probatoria ai medesimi.
Col secondo motivo di ricorso si solleva questione d'incosti
tuzionalità dell'art. 43 r.d.l. 1578/33 cit. — come sostituito con
l'art. 4 1. 91/71 — per contrasto con gli art. 3, 4 e 35 Cost., e si assume, rispettivamente:
a) che è violato il principio di parità rispetto alla situazione
del pubblico impiegato, in ordine a cui l'art. 9 1. 19/90 («modi fiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pe na e destituzione dei pubblici dipendenti») dispone che la so
spensione cautelare dal servizio, a causa del procedimento pe
nale, «è revocata di diritto» dopo cinque anni;
ti) che, «le conseguenze dannose» di un provvedimento di so
spensione dell'avvocato a tempo indeterminato «non sono eli
minabili retroattivamente (come, invece, può avvenire per il pub blico impiegato, che può ottenere la completa ricostruzione giu ridica ed economica del proprio rapporto)»;
c) che è leso «sostanzialmente il diritto al lavoro, di partico lare rilievo per un professionista (che nel periodo di sospensio ne cautelare non gode di alcuna misura di carattere sostentativo
alimentare)». Motivi. — Il ricorso non può accogliersi. Per ciò che concerne il secondo motivo — da esaminarsi per
pirmo datane la pregiudizialità — si osserva che le questioni d'incostituzionalità dell'art. 43 cit. sollevate in relazione agli art.
4 (diritto al lavoro) e 35 Cost, (tutela del lavoro) non sono
rilevanti nel presente giudizio di cassazione, la definizione del
quale non postula l'applicazione di una norma di legge dalla
declaratoria della cui illegittimità costituzionale possa derivare, a favore dell'avvocato sospeso in via cautelare dall'esercizio della
professione, il riconoscimento (o la tutela) di una qualche for
ma di sostentamento e/o una riparazione economica per il caso
che il procedimento penale si concluda con la proclamazione della sua innocenza.
Oggetto del giudizio è, invece, la (soluzione della) questione se, nell'applicare l'art. 43/3 cit. il Consiglio naazionale forense — stando al primo motivo, che concreta la vera e propria im
pugnazione della decisione consiliare, ai sensi dell'art. 56/3 r.d.l.
1578/33 — abbia o no ben motivato l'esercizio del potere della
legge ad esso conferito.
Dall'eventuale declaratoria d'illegittimità costituzionale di detto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
articolo nel senso auspicato dal ricorrente deriverebbe — donde
la rilevanza della questione sollevata in relazione all'art. 3 —
l'inapplicabilità del medesimo nel suo testo vigente e la declara
toria influirebbe sull'attuale stato di sospensione dell'avv. Ba
gedda dall'esercizio professionale — che costituisce l'oggetto del
procedimento a quo — e non certo — se non del tutto indiret
tamente — sulla condizione economica di lui.
Il collegio ritiene che l'art. 43/3 manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 3 Cost, nella parte in cui conferisce al
consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori il potere di
pronunciare la sospensione dell'avvocato dall'esercizio della pro fessione a tempo indeterminato quando egli sia stato colpito da mandato/ordine di comparizione/accompagnamento.
Manifestamente non è configurabile violazione del principio della parità di trattamento dell'avvocato rispetto al pubblico im
piegato, essendo le rispettive situazioni notevolmente diverse.
Evidenti sono, infatti, le ragioni di opportunità che giustifi cano la scelta di un diverso trattamento, da parte del legislato
re, dell'una situazione rispetto all'altra, ragioni correlate alla
stretta connessione tra la professione dell'avvocatura — eserci
tando la quale l'avvocato deve godere di una reputazione perso nale non compromessa a tenere indenne la dignità della classe
forense: art. 41 r.d.l. 1578/33 cit. — e l'attribuzione al profes sionista — attraverso il mandato/ordine e, ancor più gravemen te, perché basata non su semplici indizi di colpevolezza ma su
prove sufficienti, attraverso una «sentenza» di rinvio a giudizio — di reati in ordine ai quali l'attesa di una pronuncia giurisdi zionale definitiva lascia un pesante dubbio incompatibile con
quell'esercizio. Tale incompatibilità rischia di diventare assoluta se si ha ri
guardo all'attività professionale svolta negli ambienti giudiziari, deve il contrasto fra l'essere e il dover essere deontologico assu
me connotati di immediata percepibilità. Tutto ciò non accade nella situazione in cui versa il pubblico
impiegato che sia stato sospeso dal servizio per analogo motivo,
nel cui ambiente la relazione tra i fatti che hanno dato origine alla sospensione (sottoposizione al procedimento penale) e le
mansioni svolte non appare di cosi immediata e diretta perce zione da ledere altrettanto gravemente che nell'altro caso il pre
stigio di cui deve apparire circondato.
Il primo motivo non ha fondamento. Non è rinvenibile nella
decisione impugnata alcun difetto o contraddittorietà di moti
vazione:
1) a) b): permanendo — com'è pacifico — la condizione del
l'avv. Bagedda di imputato di gravissimi reati, non era rilevan
te, ai fini del procedimento avanti al consiglio, apprezzare il
fatto che la sanzione penale fosse stata dal giudice di rinvio
ridotta da quindici a quattordici anni di reclusione, né i motivi
per cui anche tale sentenza di condanna fosse stata annullata
dalla Cassazione; •
2) la valutazione probatoria, al momento della decisione, in
senso sfavorevole alla parte precedentemente autorizzata a pro durre i documenti in giudizio sul presupposto della loro rilevan
za, non costituisce vizio della motivazione sotto il profilo della
contraddittorietà poiché questa può sussistere soltanto nel rap
porto fra le diverse parti in cui la decisione si articola e non
nel rapporto tra la decisione nel suo complesso e precedenti
provvedimenti sia pure dello stesso giudice; in tal caso la «con
traddizione» non ha alcun rilievo giuridico al di fuori di specifi
che disposizioni della legge, nella specie (non indicate dal ricor
rente e comunque) non reperibili.
Il Foro Italiano — 1993.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 aprile
1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli
(conci, diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci, Cicolari). Cassa Trib. Bergamo 3
aprile 1989.
Sindacati — Condotta antisindacale — Trattative dirette con
i lavoratori — Illegittimità — Fattispecie (Cost., art. 39; 1.
20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e di
gnità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).
Costituisce condotta antisindacale l'iniziativa del datore di la
voro di intraprendere trattative, in occasione dei rinnovi con
trattuali, direttamente con i singoli lavoratori che si sono co
stituiti in gruppo e come tali, attraverso decisioni assunte in
assemblea, hanno mostrato di volersi contrapporre al datore
di lavoro nella vertenza e nella trattativa, ferma restando ogni iniziativa individuale dei lavoratori medesimi in dissenso da!
gruppo (nella specie, la sentenza riformata aveva escluso l'an
tisindacalità della distribuzione di una proposta contrattuale
per il rinnovo del premio aziendale, già due volte respinta all'unanimità dall'assemblea dei lavoratori, direttamente ai sin
goli dipendenti). (1)
(1) I. - Nel caso deciso, la proposta contrattuale per il rinnovo del
l'accordo sul premio annuale, raggiunta tra la direzione aziendale e il
consiglio di fabbrica, era stata sottoposta all'assemblea dei lavoratori, e respinta per due volte all'unanimità. Il contenuto di tale secondo ac
cordo era stato quindi sottoposto individualmente ai lavoratori, con
l'indicazione di un termine di accettazione per pagare il premio, mal
grado la richiesta di un nuovo incontro sollecitata dalle segreterie pro vinciali dei sindacati di categoria. Quindi i lavoratori, riuniti in assem
blea, avevano deciso il ricorso allo sciopero. Sulla delegittimazione del ruolo negoziale del sindacato, la sentenza
di primo grado (Pret. Bergamo 24 novembre 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Sindacati, n. 144 e Dir. e pratica lav., 1988, 1331), aveva qualifi cato antisindacale la trattativa individuale intrapresa dal datore di lavo
ro, precisando che quest'ultimo, pur non avendo alcun obbligo di trat
tare con il consiglio di fabbrica, «deve necessariamente accettarlo come
unico interlocutore laddove intenda negoziare questioni che interessino la collettività dei lavoratori».
La sentenza di secondo grado, ora riformata (Trib. Bergamo 3 aprile
1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 158 e Dir. e pratica lav., 1989,
2384) aveva invece concluso per la piena legittimità della condotta de
nunziata, in ragione del fallimento delle trattative con il sindacato, in
terrottesi su una piattaforma più volte respinta dall'assemblea. Quanto alla volontà manifestata dai dipendenti riuniti in assemblea, ad esclu derne ogni rilevanza era sembrata decisiva la circostanza che ad essa
non parteciparono tutti i lavoratori.
II. - La questione delle trattative dirette con i lavoratori aveva in
precedenza formato oggetto di una sola pronuncia della Corte di cassa
zione (sent. 15 aprile 1976, n. 1366, Foro it., 1976, I, 1132, con nota
di richiami), che si era espressa nel senso della sussistenza, per il datore
di lavoro, del «dovere di riconoscere, come proprio antagonista nella
determinazione delle condizioni di lavoro, la rappresentanza sindaca
le»; sicché, ferma restando l'insussistenza di un obbligo del datore di
lavoro a negoziare, dalla tutela dell'attività sindacale introdotta dallo
statuto dei lavoratori «deriva che, se l'imprenditore ritenga opportuno non assumere una posizione meramente negativa di fronte alle istanze
di cui si sono fatti, o stanno per farsi, portavoce i sindacati, deve trat
tare con costoro», senza che gli sia «consentito addurre a pretesto la
sua libertà di negoziare, o il diritto di rivolgersi ai lavoratori, per sca
valcare la rappresentanza aziendale e dar luogo ad un dibattito diretto
con i lavoratori stessi». Una successiva decisione della Suprema corte (sent. 17 gennaio 1990,
n. 207, id., 1990, I, 2591, con nota di richiami) ha ritenuto non censu
rabile il comunicato aziendale esprimente l'intento di rinegoziare diret
tamente con i dipendenti l'accordo istitutivo di un premio feriale annuo
divenuto troppo oneroso, dopo il fallimento della trattativa con il sin
dacato (sul rilievo antisindacale dei comunicati aziendali, cfr. i riferi
menti in nota a Pret. Roma 17 giugno 1992, Pret. Livorno 2 giugno
1992, Pret. Firenze 24 aprile 1992 e Pret. Roma 4 aprile 1992, id.,
1992, I, 2532). Al di là di dati normativi di per sé non decisivi (come l'art. 19 statuto
dei lavoratori, che non regola i diritti negoziali: per l'antisindacalità
della trattativa e della stipulazione di un accordo aziendale con una
commissione rappresentante la maggioranza del personale, affermata
in considerazione del pregiudizio recato alle rappresentanze sindacali
regolarmente costituite ai sensi dell'art. 19, v. comunque Pret. Firenze
11 ottobre 1979, id., 1980, I, 530, con nota di richiami. La decisione
è stata riformata da Trib. Firenze 27 giugno 1980, id., Rep. 1981, voce
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