Sezioni unite civili; sentenza 21 gennaio 1960, n. 50; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M.Criscuoli (concl. conf.); Mori (Avv. Delli Santi, Pallottino) c. Comune di Mantova (Avv. Jemolo,Michelotto) e Prefetto di MantovaSource: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 2 (1961), pp. 319/320-321/322Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151920 .
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319 PARTE PRIMA 32(1
resse dei privati, di evitare, cioè, che i beni dei privati siano tenuti a tempo indeterminato sotto minaccia di
trasferimento coattivo, intralciandone la libertà di circola
zione e le possibilità di miglioramenti, finché il pericolo
dell'espropriazione incomba, e paralizzando inoltre, prati
camente, ad espropriazione avvenuta, l'eventuale esercizio
del diritto alla retrocessione per mancata esecuzione (nei
termini) dell'opera pubblica (v. art. 43 e 63 della legge
generale). E, se codeste ragioni sono valide per il caso di
dichiarazione espressa di pubblica utilità, non si vede
perchè esse, in mancanza di inequivoca deroga, non dovreb
bero essere parimenti valide e ritenersi operanti, sia pure
per il caso della così detta dichiarazione implicita, insita
nell'approvazione del progetto dell'opera pubblica. Da ultimo vi è ancora da osservare che non è esatto
l'assunto delle Amministrazioni ricorrenti, secondo il quale, nel caso dell'art. 30, capov., r. decreto 8 febbraio 1923
n. 422, la dichiarazione implicita di pubblica utilità, avendo
la sua fonte diretta nella legge speciale, sarebbe da inten
dere per ciò solo svincolata dall'osservanza dell'art. 13
in esame, relativo alla prefissione dei termini. E l'assunto
non è esatto, perchè, nel caso del quale si discute, la legge
speciale non autorizza essa medesima l'opera pubblica, ma regola, in maniera accelerata e semplificativa, il proce dimento amministrativo di dichiarazione di pubblica utilità
dell'opera. Il che vuol dire che la dichiarazione implicita di pubblica utilità, ancorché disciplinata, com'è naturale, dalla legge (al pari del resto della dichiarazione espressa), non è però contenuta essa medesima nella legge, ma è
bensì contenuta, come atto distinto, di diretta fonte ammi
nistrativa, nel provvedimento amministrativo di approva zione del progetto, al quale implicitamente essa dichia
razione. accede. E, andando quindi al fondo delle indagini, è su questo punto agevole riscontrare come, a parte la
differenza nel modo di formazione e di manifestazione della
volontà o determinazione amministrativa, in realtà sia la
dichiarazione espressa di pubblica utilità, ai sensi della
legge generale sulle espropriazioni, sia la dichiarazione
implicita di detta pubblica utilità, nei casi e ai sensi di
cui al capoverso dell'art. 30 r. decreto n. 422 del 1923, mettano entrambe identicamente capo ad un procedimento amministrativo, del quale sono parte e che le contiene,
costituendone, per l'una e per l'altra, la fonte immediata
e diretta, ancorché nel quadro, ripetesi, delle rispettive e distinte discipline legali. Onde è che, se una deduzione è da trarre dall'ora fatta constatazione, essa è ancora
nel senso che, là dove la legge speciale non si discosta dalla legge generale e fondamentale sulle espropriazioni, gli istituti e le norme non derogati e con la legge speciale
logicamente compatibili trovano, per parità di ragioni, uguale campo di applicazione così al caso della dichiara zione espressa come a quello della dichiarazione implicita (di fonte amministrativa) della pubblica utilità. E pertanto, anche sotto tale riflesso, si perviene alla medesima con clusione dell'applicabilità dell'art. 13 della legge generale in riferimento alla specie in esame.
Diverso è il caso, e diversi sono i problemi interpretativi che si pongono, in riferimento alle ipotesi di opere pubbli che autorizzate direttamente per legge e relativamente alle
quali la dichiarazione di pubblica utilità sia effettivamente contenuta nella legge autorizzativa, restando quindi elimi
nato, sul punto, l'intervento dell'Amministrazione o ridu cendosi questo, secondo i casi, ad un'attività d'identifica zione o di sussunzione dell'opera in rapporto di species rispetto al genus. Ma i quesiti che possono al riguardo profilarsi, sempre quando le leggi speciali nulla dispongano in materia di termini per l'inizio e il compimento dello
espropriazioni e dei lavori, esulano dal campo della pre sente controversia e di essi quindi non occorre qui occuparsi.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 21 gennaio 1960, n. 50 ; Pres. Oggioni P. P., Est. Flore, P. M. Criscuoli
(conci, conf.) ; Mori (Avv. Delli Santi, pallottino) c. Comune di Mantova (Avv. Jemolo, Michelotto) e Prefetto eli Mantova.
(Conferma Gons. Stato 18 aprile 1958)
Kspropria/.ionc per pubblico interesse — Heni alligni
all'opera pubblica da eseguirsi Potere «l'espro
priazione Presupposto (R. d. 8 febbraio 1923
n. 422, norme per l'esecuzione delle opere pubbliche, art. 34; 1. 17 agosto 1942 n. 1150. legge urbanistica, art. 20, 23).^
Espropriazione per pubblieo interesse Piano «li
risanamento Potere <1 i espropriazione — Pre
supposti (L. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 20, 23).
L'esercizio del potere di espropriare i beni attigui a quelli
indispensabili all'esecuzione dell'opera pubblica, di cui
all'art. 34 r. decreto 8 febbraio 1923 n. 422, non è subor
dinato agli inviti e alle interpellanze, previsti negli art.
20 e 23 della legge urbanistica. (1)
L'espropriazione di beni che rientrano in unai zona compresa in un piano di risanamento non è subordinata agli inviti
e alle interpellanze, previsti negli art. 20 e 23 della legge urbanistica. (2)
La Corte, ecc. — Si assume nel ricorso che in materia
di espropriazione di zone attigue o, comunque, di attua
zione di piani regolatori, allorché si tratta di procedere
(1-2) La decisione del Consiglio di Stato, ora confermata (riassunta nel nostro Rep. 1958, voce Espropriazione per p. i., n. 15), precisato che nella specie l'espropriazione era avvenuta
per la esecuzione del piano regolatore di Mantova, il quale, in base alla legge 22 luglio 1939 n. 846, ha anche finalità di risana mento, e constatato inoltre che i ricorrenti avevano dedotto che si verteva nell'ipotesi d'espropriazione di beni attigui, cioè di beni destinati ad uso privato, in rapporto di integrazione con le finalità dell'opera pubblica, rilevò che non era all'uopo invo cabile l'art. 34 r. decreto 8 febbraio 1923 n. 422, per sostenere che essi avrebbero dovuto essere previamente interpellati dal comune espropriante prima di procedere all'espropriazione. E ciò sotto un duplice profilo : a) in quanto nella specie l'espro priazione era avvenuta per la esecuzione del piano regolatore di Mantova e per l'esecuzione della parte del piano stesso rela tiva al risanamentD del vecchio abitato ; relativa ad opere quindi, che non si appalesavano complementari ed integrative dell'opera pubblica, ai sensi e per gli effetti della citata norma del r. de creto del 1923 ; b) comunque, poiché nella specie si trattava di attuazione di un piano regolatore, non era applicabile tale norma, bensì la legge urbanistica che i ricorrenti non avevano, peraltro, in alcun modo invocato.
Il Supremo collegio, quanto all'art. 34 r. decreto n. 422 del 1923, ne chiarisce la portata come riassunto nella prima mas sima (su di che, v. Landi, Rassegna di giurisprudenza sulla espro priazione per pubblica utilità, Milano, 1955, sub art. 22 e la deci sione, ivi citata, Cons. Stato, Sez. IV, 9 luglio 1949, Foro it., Rep. 1950, voce cit., n. 58. V. anche Cass. 30 gennaio 1930, id., Rep. 1930, voce cit., nn. 111-113 ; Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 1946, id., Rep. 1947, voce cit., n. 11) ; e chiarisce pure che nella specie veniva in considerazione il piano di risanamento per l'attuazione del quale il legislatore prevede un procedimento espropriativo del tutto autonomo, rispetto a quello previsto per l'attuazione del piano regolatore del Comune di Mantova.
Le sentenze (ricordate nel testo) Cass. 10 gennaio 1959, n. 42 e 19 febbraio 1957, n. 591, leggonsi, rispettivamente, in que sta rivista, 1959, I, 18 e 1957, I, 1204.
Per la possibilità, posta in evidenza dalla annotata sentenza, che anche i>er i piani di risanamento siano applicabili le norme previste per i piani regolatori, nella legge urbanistica, per coinci denza dei relativi presupposti con la fattispecie della legge spe ciale che regola il piano di risanamento, è da tener presente l'af fermazione che i piani di risanamento sono una specie di piani regolatori, particolarmente qualificati dalia preminenza del fine che con essi si vuole raggiungere : Cons. Stato, Sez. IV, 16 otto bre 1957, n. 799, id., Rep. 1957, voce Piano regolatore, n. 48.
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321 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 322
alle ricostruzioni edilizie su zone destinate appunto alla
privata edilizia, l'espropriante non possa procedere all'espro
priazione delle zone relative, senza l'interpellanza preve duta dall'art. 34 r. decreto legge 8 febbraio 1923 n. 422
0 senza quella prescritta dall'art. 23 della legge urba
nistica. In entrambi i casi il potere dell'Amministrazione
sorgerebbe soltanto dopo le risposte negative o l'inerzia
dell'interpellato. I ricorrenti si richiamano alle sentenze
n. 591 del 1957 (Foro- it., 1957, I, 1204) e n. 42 del 1959 di
queste Sezioni unite (icl., 1959, I, 18). Il ricorso è infondato. Già rimanendo negli stretti
termini della contestazione innanzi al Consiglio di Stato, che si tratti di espropriazioni di beni attigui all'opera
pubblica, sarebbe evidente che il potere dell'Amministra
zione, di espropriare, sussisterebbe. Infatti l'art. 34 r.
decreto 8 febbraio 1923 n. 422, 3° comma, afferma che, di fronte alla dichiarazione di privati dij voler procedere essi stessi alla costruzione degli immobili già insistenti
nelle zone attigue, la pubblica Amministrazione « può rinunciare » all'espropriazione. Si tratta, dunque, di una
facoltà, l'uso della quale è indubbiamente discrezionale, come l'uso del verbo « può » invece di « deve » sta ad indi
care, e come dimostrano, del resto, le ben diverse fattispecie
degliJart. 20 e 23 legge urbanistica (n. 1150 del 1942), nelle quali è nettamente scolpito che, soltanto dopo gli inviti e le interpellanze ivi previste, e il comportamento
negativo dei privati, la pubblica Amministrazione può
procedere all'espropriazione. Ma la specie presente riguarda tutt'altra situazione.
L'opera pubblica, per la quale fu pronunciata l'espro
priazione in danno dei Mori, consisteva nel « risanamento
edilizio di Mantova », risanamento che doveva perseguire anche scopi d'igiene. Infatti il piano particolareggiato della zona contemplava, a scopo di risanamento igienico, la copertura di un corso d'acqua facile agli inquinamenti, la demolizione di interi gruppi di case e la sistemazione
della rete stradale in qualche punto. Le case dei Mori
facevano parte di quella zona. Appare chiaro, quindi, che l'opera pubblica consisteva direttamente nella demoli
zione della zona suddetta, comprese le case dei ricorrenti
e che, di conseguenza, era esatta la osservazione del Con
siglio di Stato, che il potere di espropriazione conferito
dalla legge n. 846 del 1939 contemplava immediatamente
1 beni da demolire, e che le case dei Mori non potevano considerarsi in zona attigua dell'opera pubblica.
Per questa ragione il detto testo, oltre a prevedere il
normale procedimento di espropriazione, ne autorizzava
un altro, contrassegnato dall'urgenza, nell'art. 5, nel quale non era certamente preveduto che, prima di procedere
all'espropriazione dei beni da demolire, l'autorità provve desse ad interpellare gli interessati.
Escluso dunque che si trattasse di espropriazione di
zona attigua, e accertato che il piano era anche di risana
mento e che nell'attuazione del risanamento le case dei
Mori furono espropriate, ne consegue che non erano invo
cabili sic et simpliciter neanche le regole generali sui piani
regolatori, previste nella legge urbanistica, ma soltanto
sui limiti di compatibilità, per coincidenza di presupposti, con la fattispecie della legge speciale.
Questa coincidenza mancava, perchè, come si è detto, il potere di espropriazione sorgeva immediatamente connesso
con l'opera di risanamento, e, una volta esercitato, operava il trasferimento dei beni all'espropriante. Questi, di conse
guenza, non poteva essere tenuto ad interpellanze, ai sensi
dell'art. 23 legge urbanistica, perchè ciò riguarda appunto i casi nei quali, indipendentemente da espropriazioni verificatesi nella zona, i beni sono ancora di proprietà
privata e occorre dar loro una nuova sistemazione secondo
le prescrizioni dei comparti. Qui si spiega la sospensione del potere di espropriazione, perchè il bene è ancora nelle
mani dei privati, che possono, adempiendo alle prescri zioni dei comparti, conservarli. Ma nell'ipotesi di un'espro
priazione legittimamente avvenuta, non può pensarsi ad
altro, se mai, che ad una cessione o retrocessione dei beni
secondo le previsioni delle singole leggi : è superfluo dire
ohe la legge in esame non contiene norma alcuna in pro posito.
Queste semplici considerazioni superano tutte le illa zioni desunte dalle sentenze n. 591 del 1957 e n. 42 del 1959 ; in entrambe le cause non si trattava di opere pubbliche che avevano reso necessaria l'immediata espropriazione dei beni. La causa del 1957 era sorta in attuazione del piano
regolatore di Vercelli, disciplinato dal r. decreto legge n. 325 del 1939, l'art. 4 del quale concerneva appunto la facoltà di espropriazione di zone attigue (diverse da
quelle oggetto immediato dell'attività amministrativa),
previa interpellanza ai proprietari se intendessero o no
procedere essi alla ricostruzione del bene. La causa del
1959 concerneva l'applicazione della legge urbanistica, ed esaminava le fattispecie dell'art. 20 e dell'art. 23. In
tutti e due i casi, si trattava di applicare leggi, che espres samente subordinano il potere di espropriazione, indipen dentemente dall'esecuzione di opere pubbliche, in vista
di una conveniente sistemazione dell'edilizia privata, al
mancato accordo dei proprietari od al rifiuto di essi di
procedere direttamente alla sistemazione preveduta dai
piani e imposta legittimamente dall'autorità.
Consegue da quanto si è sopra detto che, avendo l'Am
ministrazione esercitato un potere che le competeva, i
Mori non potevano attendersi che la legittimità della sua
azione e, se lamentavano illegittimità, non avevano altro
mezzo che ricorrere a tutela dei loro interessi legittimi al
Consiglio di Stato. Il che essi hanno fatto ; e quel Consesso
aveva la giurisdizione, che oggi gli si nega, perchè, è da
ripetere, la pretesa lesione incide su interessi legittimi e
non su diritti soggettivi. Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 18 gennaio 1960, n. 24 ; Pres.
Fibbi P., Est. Marletta, P. M. Maccarone (conci,
conf.) ; Lambert ini (Avv. Aula, Rubino) c. Giuffrida
(Avv. Fernandez).
(Gassa App. Palermo 16 agosto 1958)
Cosa «(indicata in materia civile Ksteiisione So
luzione di pulito che costituisce premessa neces
saria della decisione Hicomprensione Fatti
specie in materia possessoria (Cod. civ., art. 2909).
Il giudicato si forma su tutto ciò die lui costituito oggetto della decisione, compresa la soluzione del punto che costi
tuisce premessa necessaria della pronuncia dispositiva, ancorché in relazione alla stessa non sia stato espressa mente richiesto l'accertamento incidentale. (1)
(1) La Suprema corte ha ripetutamente ribadito il principio secondo cui il giudicato sostanziale si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione e quindi anche sugli accer tamenti contenuti nel ccrso della motivazione, ove essi costi tuiscano il fondamento logico e giuridico della decisione adottata ; in tal senso consulta, da ultimo : sent. 11 febbraio 1960, n. 196, Foro it., Mass., 44 ; 6 aprile 1960, n. 785, ibid., 177 ; 30 gennaio 1958, nn. 256, 255, id,., Rep. 1958, voce Cosa giudicata civ., nn. 36, 37 ; 13 febbraio 1957, n. 534, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 6, 7 ; 25 maggio 1957, n. 1936, ibid., nn. 9-11 ; 21 gennaio 1956, n. 193, id., Rep. 1956, voce cit., n. 6 ; 13 aprile 1955, n. 1024, id., Rep. 1955, voce cit., n. 24.
Il limite insuperabile in cui il giudicato sul dedotto e sul
deducibile e quello sui presupposti logici della decisione o sui
punti di fatto pregiudiziali deve essere contenuto è, per una
corrente della Cassazione, quello della identificazione dell'azione,
oggetto della decisione di cui si intende far valere l'autorità, con l'azione esperita nel giudizio in cui l'autorità s'invoca ; e ciò perchè l'essenza del giudicato dal punto di vista oggettivo consiste, secondo la concezione chiovendiana (Istituzioni, I,
pag. 374), nella inammissibilità di una nuova discussione sul
bene o sulla pretesa oggetto della decisione ; si vedano in tal
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