Sezioni unite civili; sentenza 21 marzo 1967, n. 626; Pres. Flore P., Est. La Farina, P. M. Di Majo(concl. conf.); Soc. edilizia «La Marina »(Avv. Cavalieri, Messineo, Magni, De Bernardi) c. Soc.Ferrari (Avv. Arnaboldi, Sangiuolo, Airenti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 90, No. 4 (APRILE 1967), pp. 695/696-699/700Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155346 .
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PARTE PRIMA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezioni unite civili; sentenza 31 marzo 1967, n. 713; Pres.
Scarpello P., Est. Modigliani, P. M. Di Majo (conci,
conf.); Banco di Napoli (Avv. Bugliari, Abbamonte) c. Romano.
(Regolamento di giurisdizione)
Impiegato dello Stato e pubblico — Banco di Napoli —
Controversia d'impiego — Giurisdizione ordinaria — Fat
tispecie.
La controversia d'impiego tra il Banco di Napoli e il dipen dente dispensato dal servizio per motivi di salute rientra nella cognizione del giudice ordinario. (1)
La Corte, ecc. — Il ricorrente Banco di Napoli sostiene, nella istanza per regolamento preventivo di giurisdizione, che, essendo esso un ente pubblico economico, le contro
versie relative ai rapporti di impiego con i suoi dipendenti devono essere decise dal giudice ordinario e non dal Con
siglio di Stato, del quale deve essere, quindi, negata la giuri sdizione a statuire sulla controversia in oggetto.
Il ricorso è fondato. La qualità di ente pubblico eco nomico è stata riconosciuta, con numerose pronunce "(cfr., tra le altre, le sentenze n. 1120 del 1965, Foro it., 1966, I, 126; n. 580 del 1966, id., Mass., 198), al Banco di Napoli da questa Suprema corte, la quale, a partire dalla sentenza n. 1089 del 1946 (id., 1946, I, 665), ha altresì stabilito, con nu merose e conformi decisioni (cfr., da ultimo, le sentenze n. 259 del 1965, id., 1965, I, 787; n. 1120 del 1965, cit.; n. 580 del
1966, cit.; n. 586 del 1966, id., Mass., 198), che la soppressione dell'ordinamento sindacale corporativo non ha affatto implicato la sottrazione alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordi naria delle controversie aventi ad oggetto rapporto di la voro o d'impiego con enti pubblici economici inquadrati sindacalmente, giacché, per quanto attiene strettamente allo
svolgimento dei rapporti stessi, l'ente si presenta, non in una posizione di supremazia, ma su un piano di parità giu ridica con i prestatori d'opera, vincolato, com'è, al pari di
loro, alla precostituita regolamentazione del rapporto. Tale
giurisdizione, di norma, va riferita anche agli atti con i
quali gli enti in discorso provvedono a estinguere i rapporti di lavoro o di impiego, giacché tali atti sono assimilabili alle manifestazioni di volontà di carattere privatistico e incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei dipendenti; il che importa la conseguenza che il giudice ordinario ha il potere-dovere di giudicare della legittimità dei provvedi menti di licenziamento determinati da motivi di salute, senza che al riguardo possano richiamarsi i limiti posti al giudice ordinario dal carattere pubblicistico degli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di un potere di supremazia. Vero è che recentemente questa corte (cfr., tra le altre, le sentenze n. 259 del 1965, cit.; n. 84 del 1964, id., Rep. 1964, voce Impiegato dello Stato, n. 676; n. 2071 del 1958, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 499-501; n. 1499 del
1957, id., Rep. 1957, voce Impiegato gov. e pubbl., nn. 569
571), richiamandosi al carattere prevalentemente pubblici stico che gli enti pubblici economici assumono, per quanto riguarda la propria costituzione e la propria struttura, e alla possibilità che determinati aspetti o momenti del rap
(1) In generale nel senso che il Banco di Napoli è un ente pubblico economico e pertanto le controversie d'impiego con i suoi dipendenti sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, cons. Cass. 26 febbraio 1966, n. 580 e n. 586, Foro it., Mass., 198; 7 giugno 1965, n. 1120, id., 1966, I, 126, con nota di richiami tra cui Cass. 15 gennaio 1964, n. 84 e 17 febbraio 1965, n. 259, richiamate al pari delle precedenti nella motivazione della presente.
Le altre sentenze della Cassazione, pure ricordate nel testo (16 giugno 1958, n. 2071, 4 maggio 1957, n. 1499, 6 agosto 1946, n. 1089), leggonsi rispettivamente nel Rep. 1958, voce Impiegato dello Stato, nn. 499-501, nel Rep. 1957, voce Impiegato gov. e pubbl., nn. 569-571 e nel Foro it., 1946, I, 665, con nota di ri chiami,
porto d'impiego o di lavoro con i propri dipendenti siano, nei singoli enti, condizionati ad esigenze di pubblico inte
resse o, comunque, attuati, modificati o estinti in funzione
di dette esigenze, ha ritenuto che, in tali casi, debba preva lere il profilo pubblicistico anche nel suo aspetto discrezio
nale, con la duplice conseguenza che i diritti soggettivi deri
vanti dal rapporto medesimo degradano a interessi legittimi e che viene meno la giurisdizione del giudice ordinario. In
tema di licenziamento, per altro, una situazione del genere, se può riguardare le ipotesi, in cui il recesso dal rapporto di lavoro sia dall'ente giustificato con ragioni di riduzione
di organico, di soppressione dell'attività, alla quale il dipen dente era addetto, o comunque attinenti all'interesse del
servizio ed a obiettive esigenze di ordinamento e funzio
namento, è manifestamente estranea al caso del Romano,
dispensato dal servizio per motivi di salute.
Alla stregua delle considerazioni svolte va dichiarata, in
accoglimento del ricorso, la giurisdizione del giudice ordi
nario a statuire sulla controversia in oggetto. Tuttavia ricor
rono giusti motivi per la totale compensazione, tra le parti, delle spese del giudizio di cassazione, non avendo, in cir
costanze analoghe, il Banco di Napoli eccepito il difetto di
giurisdizione del Consiglio di Stato, adito da propri dipen denti, ingenerando cosi in essi la convinzione della compe tenza del detto consesso.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezioni unite civili; sentenza 21 marzo 1967, n. 626; Pres.
Flore P., Est. La Farina, P. M. Di Majo (conci, conf.); Soc. edilizia « La Marina » (Avv. Cavalieri, Messineo,
Magni, De Bernardi) c. Soc. Ferrari (Avv. Arnaboldi,
Sangiuolo, Airenti).
(Conferma App. Genova 25 febbraio 1966)
Ipoteca — Ipoteca giudiziale — Iscrizione in base a condanna
revocata in appello — Pendenza di ricorso avverso la
sentenza di appello — Domanda di cancellazione — Pro
ponibilità (Cod. civ., art. 2884).
Ipoteca — Ipoteca giudiziale — Iscrizione in base a condanna
revocata con sentenza di appello non ancora passata in
giudicato — Ordine di cancellazione — Ammissibilità —
Condizioni (Cod. civ., art. 2885).
Ove la iscrizione di ipoteca giudiziale sia stata effettuata in
base a sentenza di condanna di primo grado riformata in appello, la pendenza di ricorso per cassazione avverso
quest'ultima pronuncia non rende improponibile l'azione del debitore diretta al fine di ottenere la declaratoria della illegittimità della iscrizione ed il relativo ordine di cancellazione. (1)
Quando ancora non sia passata in giudicato (nella specie,
per la pendenza di ricorso per cassazione) la sentenza
d'appello che ha revocato la condanna del debitore
pronunziata in primo grado, lo stesso giudice dell'ap
pello, oppure quello separatamente adito dal debitore a questo specifico fine, possono ordinare la cancella
zione della ipoteca, alla espressa condizione che essa
venga eseguita solo dopo il passaggio in giudicato della
sentenza di revocazione della condanna che costituì titolo
per la iscrizione ipotecaria. (2)
(1-2) Negli stessi termini non si rinvengono precedenti editi. Sulla perdita di efficacia dell'ipoteca giudiziale iscritta in base a sentenza di condanna pronunziata in primo grado e poi riformata in appello, cfr. Cass. 22 maggio 1945, Foro it., Rep. 1943-45, voce Ipoteca, n. 10; 11 gennaio 1943, id., 1943, I, 260, con nota di Torrente.
Quanto al pregiudizio a carico del proprietario del bene per il permanere dell'iscrizione ipotecaria non ostante la estinzione del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, ecc. — Con l'unico motivo di ricorso la
soc. La Marina, denunciando violazione e falsa applicazione
degli art. 2818 e 2884 cod. civ. e dell'art. 324 cod. proc.
civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.,
sostiene che: a) la corte di merito avrebbe errato nel
ritenere illegittima l'iscrizione delle due ipoteche effettuate
in base alla sentenza di primo grado poi riformata in ap
pello, perché, se è vero che la sentenza d'appello normal
mente riforma quella di primo grado, questo non si verifica
in materia ipotecaria, dove la legge, per dare una salda
base al sistema ipotecario, ha statuito delle forme parti
colari, tanto per l'iscrizione quanto per la cancellazione
delle ipoteche; b) la corte di merito avrebbe ancora errato
nel basare la sua pronuncia di cancellazione sull'afferma
zione che essa soc. La Marina, non appena venuta a cono
scenza della sentenza d'appello che aveva riformato quella
di primo grado, avrebbe dovuto chiedere la cancellazione
della iscrizione delle due ipoteche, perché l'art. 2884 cod.
civ. statuisce che per cancellare un'ipoteca è necessario che
chi domanda la cancellazione sia munito di una sentenza
passata in giudicato, o di un provvedimento definitivo, la
quale disposizione costituisce eccezione alle disposizioni
del codice di rito, che statuisce che tutte le sentenze di
appello sono provvisoriamente esecutive; c) contrariamente
a quanto ritenuto dalla corte di merito, nella specie, data
la pendenza del ricorso per cassazione, è ancora sub iudice
la questione base, se esista o meno la servitù non aedifi
candi sul terreno di essa soc. La Marina e, quindi, la soc.
Ferrari non avrebbe potuto iniziare il nuovo giudizio per
la cancellazione delle ipoteche, fino a quando non fosse
stata definita la questione attinente all'esistenza della ser
vitù; e ciò tanto più che la stessa soc. Ferrari non aveva
proposto nel giudizio di merito, vertito dinanzi alla corte
d'appello, istanza di cancellazione delle ipoteche nell'ipotesi
che fosse accolto il suo appello. Tali censure sono infondate. Il concetto fondamentale
che sta a base di esse si riassume nella proposizione che,
ove l'iscrizione di ipoteca giudiziale sia stata effettuata in
base a sentenza di primo grado successivamente riformata
in appello, l'azione del debitore diretta al fine di ottene
re la declaratoria di illegittimità della iscrizione e il
relativo ordine di cancellazione, a seguito della sopravve
nuta inefficacia del titolo, sia assolutamente improponibile
o inammissibile, fino a quando non sia passata in giudicato
la sentenza di riforma, o per decorso dei termini d'impu
gnazione, o per rigetto, da parte della Corte di cassazione,
del ricorso proposto contro la sentenza stessa; costituendo,
comunque, la pendenza del ricorso, ostacolo insuperabile
all'inizio di tale azione.
Ma tale proposizione non può essere accettata da questo
Supremo collegio. È noto che, per opinione quasi unanime
(benché contrastata da qualche isolata posizione dottrinale),
e conforme alla lettera della norma, le sentenze di con
danna, previste dall'art. 2818 quali titoli efficaci al fine
dell'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, possono essere anche
sentenze di primo grado, ancorché non passate in giudicato
e non fornite della clausola di esecuzione provvisoria.
Tuttavia, dottrina e giurisprudenza concordano nel rite
nere che, se la sentenza di condanna sia riformata con
credito cui essa si riferisce, vedi Cass. 5 maggio 1962, n. 897, id.,
Rep. 1962, voce cit., n. 30. Quanto alla responsabilità del creditore
per la mancata cancellazione, Cass. 3 novembre 1956, n. 4226,
nella motivazione (id., 1956, I, 1593, con nota di richiami) ha
affermato che, iscritta ipoteca in base ad una sentenza di primo
grado poi riformata in appello, l'obbligo di colui che ha chiesto
la iscrizione di rimuovere tale situazione sorge quando la sua con
trarietà al diritto sia divenuta certa in base ad una sentenza defi
nitiva del giudice superiore, e ciò indipendentemente da ogni istanza
o da ogni atto di costituzione in mora da parte di colui che ne è
ingiustamente gravato. Per la dottrina si consultino: Rubino, L'ipoteca immobiliare
e mobiliare, 1956, pag. 534 e segg.; Gorla, Delle ipoteche, in Com
mentario, a cura di Scialoja e Branca, pag. 444 e segg.; Maiorca,
Nota su la connessione tra ipoteca e credito, in Riv. dir. ipotecario,
1962, 3; nonché di quest'ultimo A., Ipoteca (diritto civile), voce
del Novissimo digesto, 1963, IX, pag. 44.
Il Foro Italiano — Volume LXXXX — Parte 7-45.
sentenza d'appello, ovvero la pronuncia di condanna venga meno a seguito di annullamento di cassazione, l'ipoteca
giudiziale perda valore, essendo venute meno la validità e
l'efficacia del titolo; cosi' come, per altro riflesso, ove l'ipo teca non fosse stata ancora iscritta, non potrebbe certa
mente provvedersi all'iscrizione in base a quella sentenza
di primo grado ormai travolta o dalla pronuncia di riforma
0 di annullamento. Insorgono, però, a questo punto, limi
tandosi a considerare i rapporti tra la sentenza di primo
grado sulla cui base l'iscrizione è stata attuata, e la sentenza
di appello che abbia riformato in toto la pronuncia e trascu
randosi ancora più complessi problemi derivanti dall'annul
lamento della condanna in sede di legittimità e dalla pen denza di un giudizio di rinvio, alcuni problemi derivanti
essenzialmente dalla norma dell'art. 2884 cod. civ., la
quale stabilisce che la cancellazione (ove, s'intende, difetti
il consenso del creditore espresso nelle opportune forme
negoziali: art. 2882 cod. civ.), deve essere eseguita dal con
servatore soltanto quando è ordinata con sentenza passata
in giudicato (ovvero con altro provvedimento definitivo
emesso dall'autorità competente). Tale norma, che vieta la cancellazione ove il relativo
provvedimento che la dispone non abbia acquistato un
grado di stabilità definitiva, mira, ovviamente, ad evitare
1 danni che potrebbero essere cagionati da una cancellazione
illegittima, o, comunque, prematura perché derivante da
un provvedimento provvisorio e soggetto a venire meno
nella sua efficacia; essa è disposizione di carattere generale,
non limitata al caso che il titolo per l'iscrizione sia stato
una sentenza, ma è comprensiva anche di questo caso.
Risulta, in conseguenza, che rientra tra i poteri del con
servatore cui la cancellazione (più propriamente, l'annota
zione di nullità o di inefficacia) sia stata richiesta, l'accer
tamento del passaggio in giudicato della sentenza che l'ha
ordinata, facendo anche tale circostanza o condizione parte
del titolo per la cancellazione, quale che sia la ragione per
cui a questa annotazione si debba procedere.
Da tale norma si è desunto che, affinché il conservatore
abbia il potere e il dovere di obbedire all'ordine di can
cellazione di un'ipoteca giudiziale accesa sulla base di una
sentenza di primo grado, successivamente riformata in
appello, è necessario che la sentenza di riforma sia pas
sata formalmente in giudicato, derogandosi, per questo
particolare riflesso, all'efficacia esecutiva normalmente in
sita nelle sentenze pronunciate in grado di appello, benché
ancora ricorribili. È stato osservato conseguentemente che,
in tal caso, a distruggere l'apparenza derivante dall'iscri
zione non può (a parte l'ipotesi che intervenga l'assenso
del creditore) essere sufficiente la presentazione al conser
vatore della sentenza di riforma, ove non risulti che questa
sia passata in giudicato. È stato, inoltre, posto in rilievo
che, medio tempore, fino a quando, cioè, la sentenza non
sia passata in giudicato, si determina una situazione di pen
denza, che non può, tuttavia, pregiudicare il debitore, per
ché l'ipoteca non può farsi valere con l'espropriazione per
mancanza di titolo esecutivo, mentre, al contrario, una
estinzione e cancellazione immediate potrebbero pregiudicare
irrimediabilmente il credito, ove nel frattempo l'immobile
venisse alienato o assoggettato ad altre iscrizioni a favore
di terzi.
Non basta, ché dalla lettera e dallo scopo della norma
dettata dall'art. 2284 si è desunto, questa, almeno, è l'opi
nione prevalente, che non sia sufficiente fornire al conser
vatore la documentazione della verificatasi formazione del
giudicato sul rigetto dell'originaria domanda di condanna,
ma occorra che un ordine specifico di cancellazione sia
stato emanato dal giudice, e che la stessa pronuncia di tale
ordine sia passata in giudicato.
Tale ordine, che dovrebbe essere, come si è detto,
espresso e specifico, e che non potrebbe desumersi per
implicito dalla pronuncia di riforma dell'originaria con
danna, può bene essere richiesto legittimamente allo stesso
giudice di appello investito del gravame contro la sen
tenza di condanna, non ostandovi il divieto di domande
nuove in secondo grado di cui all'art. 345 cod. proc. civ., in
quanto si tratta di una domanda accessoria relativa ad un
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PARTE PRIMA
fatto pregiudizievole (iscrizione dell'ipoteca giudiziale) com
piuto dalla parte vittoriosa posteriormente alla sentenza
impugnata. Se, poi, l'ordine espresso non sia stato emanato
dal giudice della riforma, perché, come nella specie, non
richiesto dall'appellante interessato, o anche per mera omis
sione del giudice, né l'altra parte acconsenta alla cancella
zione (sorgendone a suo carico l'obbligo relativo soltanto
dopo il passaggio in giudicato della sentenza di riforma), è necessario, per il debitore, promuovere un ordinario se
parato giudizio di cognizione, diretto specificamente a fare
pronunciare dal giudice l'ordine di cancellazione ( si tra
scura qui l'isolata opinione per cui, dopo il passaggio in
giudicato della sentenza di riforma, potrebbesi, anziché
instaurare un nuovo giudizio di cognizione, provocare, in
vece, un rifiuto del conservatore alla cancellazione, e, quindi, ricorrere alla più sbrigativa e sommaria procedura di re
clamo con il rito camerale prevista dagli art. 2888 cod. civ.
e 113 disp. att. cod. civ.).
E a questo punto, s'innesta il problema proprio del
ricorso in esame, se cioè una simile domanda possa essere
proposta, vale a dire, se l'ordinario separato giudizio di co
gnizione ordinaria possa essere instaurato dal debitore, e
se su di essa il giudice sia autorizzato a pronunciarsi, ordi
nando la cancellazione, quando ancora non sia passata in
giudicato, in specie, per la pendenza del ricorso per cas
sazione, la sentenza d'appello che ha revocato la condanna
del debitore.
A tale problema, inquadrato nell'ambito del sistema,
reputa questa corte che debba essere data soluzione posi tiva. Invero, dai principi sopra esposti, può argomentarsi soltanto che l'ordine di cancellazione non può essere ese
guito se non sia passata in giudicato la sentenza che revoca
la condanna del debitore, e non già che l'ordine stesso non
possa essere richiesto dalla parte e pronunciato dal giudice
prima di quel passaggio in giudicato. È da ritenere, invece,
che il giudice possa ordinare la cancellazione, prescindendo dal non ancora verificatosi evento del passaggio in giudicato, sia pure sottoponendo il proprio ordine alla espressa con
dizione che esso venga eseguito solo dopo il passaggio in
giudicato della sentenza che revoca la condanna. Con ciò,
la pronuncia del giudice si adegua concettualmente al di
sposto dell'art. 2885 cod. civ. (cancellazione sotto condizione),
per cui, « se è stato convenuto e ordinato che la cancella
zione non debba avere luogo che sotto la condizione di
nuova ipoteca, di nuovo impiego o sotto altra condizione,
la cancellazione non può essere eseguita se non si fa
constare al conservatore che la condizione è stata adem
piuta ».
In senso analogo si è espressa, sul problema in esame,
la più autorevole dottrina, osservando che, mediante tale
soluzione, viene ovviato ad ogni inconveniente, rimanendo
sospesa l'efficacia dell'ordine di cancellazione fino a quando non divenga cosa giudicata la revoca della condanna del
debitore, mentre si evita che costui sia posto nella necessità
di attendere l'esito del giudizio di cassazione prima di ini
ziare un nuovo giudizio, che può a sua volta protrarsi per
molto tempo, passando attraverso tutti i gradi di giurisdi zione. Invero, appena pronunciato dalla Cassazione il rigetto del ricorso, l'interessato potrà far eseguire dal conservatore
la cancellazione già ordinata dal giudice: solo cosi si con
ciliano le ragioni del diritto con quelle della equità, agevo
landosi, nello stesso tempo, con economia di tempo e di
spese, la liberazione del fondo da un onere illegittima mente imposto da chi ha riportato una vittoria effimera
in prima istanza.
Delineata l'efficacia della pronunzia del giudice della
cancellazione come duplicemente condizionata, espressa
mente, al passaggio in giudicato della sentenza di riforma,
e, implicitamente ed intrinsecamente, anche al passaggio in
giudicato della pronuncia stessa, nessun residuo ostacolo
di ordine concettuale si oppone a tale soluzione: non un
eventuale profilo di litispendenza, avendo il giudizio di
cancellazione un oggetto diverso da quello relativo alla
riforma della sentenza di condanna; non l'eventuale rap
porto di pregiudizialità tra il giudizio di condanna e quello
di cancellazione, giacché se tale rapporto potrebbe, per
determinazione discrezionale del giudice della cancellazione,
dar luogo alla sospensione del processo relativo (con il che,
ovviamente, verrebbero frustrate quelle sopra delineate esi
genze di economia e di celerità), tale eventualità, tuttavia,
non interferisce sulla proponibilità della domanda di cancel
lazione, e sulla validità della pronuncia relativa, ove alla
sospensione non sia stato dato luogo. Conviene, inoltre,
considerare che la tesi del ricorrente proverebbe troppo.
Infatti, risulta chiaro, da quanto sopra esposto, che la
domanda di cancellazione, cosi' come può formare oggetto di un giudizio autonomo, cosi può anche formare oggetto di un più rudimentale processo, cumulato, per ragioni di eco
nomia processuale e di connessione (valide a norma del
l'art. 345 cod. proc. civ.), con il giudizio di riforma della
sentenza di condanna; ove, in ipotesi, la tesi del ricorrente
fosse esatta, tale cumulo non sarebbe possibile, giacché il
giudice della riforma, anche se richiesto, non potrebbe emanare l'ordine, nell'ovvio difetto del presupposto con
sistente nel pregresso passaggio in giudicato della stessa
pronuncia di riforma.
Rimarrebbe, infine, da considerare astrattamente se,
presupposto che l'ordine di cancellazione, almeno quando sia emanato in un autonomo e separato giudizio, debba
essere espressamente condizionato dal giudice al passaggio
in giudicato della sentenza di riforma, non costituisca vizio
della sentenza d'appello impugnata in questa sede l'avere,
puramente e semplicemente, confermato l'ordine di can
cellazione, formalmente incondizionato e contenuto nella
sentenza di primo grado; ma su tale profilo non è il caso
di indugiarsi, in quanto esso è estraneo al thema decidendi,
essendosi la ricorrente limitata a negare in assoluto la pro
ponibilità della domanda e dell'ammissibilità della pronuncia del giudice fino a quando la sentenza di riforma della con
danna non sia passata in giudicato. Cosi pure, non occorre
soffermarsi sull'affermazione della corte di merito, che
l'avere il creditore rifiutato il proprio assenso alla cancel
lazione dell'ipoteca dopo la pronuncia della sentenza d'ap
pello costituisse un fatto illecito, produttivo di un danno
ingiusto, affermazione che può essere anche inesatta, perché l'errore addebitato alla corte di merito è che essa non
avrebbe tenuto conto che, prima del passaggio in giudicato
della sentenza che ordina la cancellazione, questa non può
essere chiesta o pretesa. La censura incide soltanto nel
l'ambito della cancellazione; ed è, di per sé, incongrua,
perché pone sullo stesso piano il conservatore dei registri
immobiliari e il creditore iscritto, come se questi, fatto
accorto della reale consistenza delle sue pretese all'ipoteca
dalla sentenza di riforma, non potesse addirittura dare un
valido assenso alla cancellazione o avesse il dovere di rifiu
tarsi. Contro la pronuncia di condanna ai danni non esiste
nel ricorso nessuna censura né esplicita né implicita.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione II civile; sentenza 9 marzo 1967, n. 555; Pres. Mar
letta P., Est. Bivona, P. M. De Ruggiero (conci, conf.);
Artero (Avv. Dodero) c. Chiavazza e Soc. condominio
Ventimiglia (Avv. Boggio Marzet, Mancuso) e Ditta
Comat (Avv. Sequi, Werthmììller).
(Cassa Trib. Torino 14 giugno 1963)
Comunione e condominio — Condominio negli edifici —
Compratore di alloggi in costruzione — Compimento del
l'edificio — Riscaldamento — Contratto di somministra
zione stipulato dall'amministratore — Effetti (Cod. civ.,
art. 1123, 1130, 1131).
Il compratore di alloggi d'uno stabile in costruzione risponde,
verso l'impresa somministratrice, del prezzo del riscal
damento (benché di questo non faccia uso in concre
to) se, compiuto l'edificio anche senza le ultime rifini
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