Sezioni unite civili; sentenza 21 ottobre 1983, n. 6177; Pres. Mirabelli, Est. R. Sgroi, P. M.Tamburrino (concl. conf.); Banco Ambrosiano (Avv. Gregori, Grande Stevens, Scoca, Nuzzo) c.Proc. gen. Corte conti. Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 129/130-139/140Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175952 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
merciale dalla L.a.de.la^., di minuscole righe di scrittura che
descrivono la leggenda dei Lazzaroni partiti dalla natia Sicilia e
pervenuti a Saronno e che non escludono in assoluto la prove nienza del prodotto dalla soc. Lazzaroni; /) l'uso della parola Amaretto al singolare (per il liquore) non introduce un valido
elemento differenziatore, poiché anche il biscotto, contenuto nella
scatola degli Amaretti, è denominato al singolare come amaret
to.
In concreto, pertanto, l'affermata confondibilità del marchio
della L.a.de.la.s. con la denominazione sociale e con i marchi
spettanti alla soc. Davide Lazzaroni si presenta fondata sopra motivazione adeguata e corretta.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 21
ottobre 1983, n. 6177; Pres. Mirabelli, Est. R. Sgroi, P. M.
Tamburrino (conci, conf.); Banco Ambrosiano (Avv. Gre
gori, Grande Stevens, Scoca, Nuzzo) c. Proc. gen. Corte
conti. Regolamento preventivo di giurisdizione.
Responsabilità contabile e amministrativa — Banche agenti per conto dell'Ufficio italiano cambi — Giurisdizione della Corte
dei conti (R.d. 18 novembre 1923 n. 2440, norme sull'ammini
strazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Sta
to, art. 83; r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, t.u. delle leggi sull'or
dinamento della Corte dei conti, art. 52).
Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sull'azione di
responsabilità amministrativa promossa nei confronti di una
banca agente per conto dell'Ufficio italiano cambi, per avere
consentito l'illegale costituzione all'estero di disponibilità valu
tarie. (1)
(1) Le sezioni unite confermano la soluzione già raggiunta nella
sentenza 4 gennaio 1980, n. 2, Foro it., 1980,1, 45, con nota di richiami, e che aveva provocato i rilievi critici di Piga, Responsabilità delle ban
che agenti nel regime del monopolio dei cambi e giurisdizione della Corte
dei conti, in Giust. civ., 1980, I, 908, giustificati anche con riferimento
all'impossibilità di configurare un rapporto di servizio tra l'azienda
di credito legittimata ad assumere rapporti rilevanti per l'ordinamento
valutario e lo Stato (la banca agente sarebbe soltanto mandataria
della Banca d'Italia) e di Alterio, Giurisdizione della Corte dei
conti sull'illegale esportazione di valuta, in Giur. it., 1981, I, 1, 825.
La corte ha fatto riferimento al concetto di sostituzione, rapporto che legherebbe la Banca d'Italia, da un lato, e le banche abilitate, dall'altro: ricostruzione del rapporto, questa, accolta da Mezzacapo, La Banca d'Italia e le banche « autorizzate a fungere da sue agenzie », in II sistema valutario italiano, a cura di Capriglione e Mezzacapo,
1981, 243, 249, e ripresa da Capriglione, Cambio e valuta, in Dizio
nario amministrativo, a cura di Guarino, 2' ed., 1983, 585, 595 (nella stessa opera, cfr. Fresa, Banca d'Italia, spec. 431 ss.; Mezzacapo, Banche {disciplina amministrativa), spec. 465).
Va rilevato, però, che Mezzacapo, La Banca d'Italia e le banche, cit., 251 ss., si esprime in termini critici rispetto alla pronuncia delle sezioni unite 4 gennaio 1980, n. 2, proprio con riferimento alla
possibilità di ritenere in proposito sussistente la giurisdizione della
Corte dei conti. La sentenza, che si riporta, nel dichiarato intento di replicare ai rilievi mossi in dottrina, affronta anche il problema della individuazione di un rapporto di servizio tra lo Stato ed
altra persona giuridica, e dell'individuazione di un danno nell'ipo tesi di violazione di norme valutarie. Quanto al secondo aspetto, la
motivazione, richiamate Cass. 18 aprile 1974, n. 1055, Foro it.,
Rep. 1975, voce Cambio e valuta, n. 3, che ha affermato la presun zione di sussistenza del danno per lo Stato nel caso di trasgressione di norme valutarie (ma nella specie — la pronuncia è per esteso in Rass. avv. Stato, 1974, >1, 956 — l'affermazione era riferita all'ir
rogazione della sanzione amministrativa al privato trasgressore), e
C. conti, sez. I, 16 dicembre 1980, n. 115, Foro it., 1982, III, 24, con nota di richiami di Verrienti (resa nel giudizio di responsa bilità in cui era intervenuta Cass. 4 gennaio 1980, n. 2, cit., quale
giudice sulla giurisdizione) si occupa, nei dichiarati limiti propri di
una valutazione finalizzata alla soluzione del problema della giu
risdizione, di concretizzare il possibile danno. In quest'ottica articola un discorso in modo più ampio di quanto
avesse fatto la stessa Corte dei conti, preoccupandosi di indivi
duare i danni che dall'illecita esportazione di valuta derivano al
l'attività valutaria dello Stato. Va considerato che già la Corte dei
conti, nella decisione citata, si era occupata del problema costi
tuito dal rapporto tra la responsabilità amministrativa dell'istituto di
credito, ed il relativo giudizio e la responsabilità civile e penale del
privato trasgressore, ed il relativo giudizio, escludendo una pre
giudizialità del secondo giudizio rispetto al primo. In generale, su
questi problemi (con considerazioni anche in ordine alla responsa bilità per introiti di carattere tributario) C. conti, sez. II, 3 set
Svolgimento del processo. — Con atto notificato 1*8 febbraio 1982 il procuratore generale presso la Corte dei conti citava dinanzi a quella giurisdizione contabile il Banco Ambrosiano
s.p.a. esponendo e chiedendo quanto segue. Il 17 novembre 1975 la « Centrale s.p.a. » di Milano aveva
acquistato con l'intermediazione del Banco Ambrosiano n. 1.110.934 azioni della soc. «Toro assicurazioni», sulla base di ordine conferito dalla Banca del Gottardo di Lugano per conto di alcune finanziarie estere, al prezzo unitario per azione di lire 35.000 e complessivo di lire 38.804.924.620 lorde e lire 38.740.905.199, al netto delle tasse e commissioni dell'Ufficio ita liano cambi (U.i.c.); e cioè ad un prezzo dichiarato nettamente superiore a quello di borsa che a quella data era di lire 13.775 per azione, per cui ne era conseguito un maggiore e non giustificato esborso verso l'estero di circa lire 23,4 miliardi. Ne era seguito un procedimento penale a carico di Roberto Calvi, Antonio Tonello ed altri, conclusosi in primo grado con sentenza (poi appellata) del Tribunale di Milano del 20 luglio 1981 che aveva dichiarato l'illecita costituzione all'estero, anteriormente al 6 marzo 1976, della disponibilità valutaria rappresentata dal prezzo dell'acquisto predetto, limitatamente alla parte eccedente la quotazione di borsa, e cioè per un importo pari a lire 23.579.574.150; disponibilità che era rimasta nel possesso de « La Centrale » almeno fino al 3 dicembre 1976, data in cui scadeva l'obbligo di fare la dichiarazione all'U.i.c. ai sensi dell'art. 2 1. 30 aprile 1976 n. 159, mod. dalla 1. 8 ottobre 1976 n. 689.
Premesse alcune valutazioni in fatto che confortavano l'esisten za di una esportazione illegale di valuta nella misura anzidetta, il procuratore generale affermava che essa concretava un danno erariale, avendo turbato la regolarità dell'utilizzazione delle di sponibilità valutarie e l'equilibrio della bilancia dei pagamenti, danno identificabile nella lesione dello specifico interesse pubblico di cui lo Stato — per le funzioni di cui è investito — è titolare, in quanto tale lesione è astrattamente idonea a tradursi in un pregiudizio economico ed a configurare perciò un danno antigiu ridico (Cass. 4 gennaio 1980, n. 2, Foro it., 1980, I, 45). In subordine, secondo l'avviso espresso dalla Corte dei conti, sez. I, 16 dicembre 1980, il danno al patrimonio dello Stato si verifica quando viene sottratto reddito imponibile alla imposizione fiscale.
Sotto il primo profilo, il danno poteva essere commisurato alla somma rappresentativa dell'apporto di reddito nazionale che sa rebbe entrato nel calcolo del prodotto nazionale lordo per gli anni dal 1976 al 1981, ove la somma non fosse stata illegalmente esportata; in tali anni, secondo i dati contenuti nelle relazioni generali sulla situazione del paese, la remunerazione del fattore « capitale » era stata calcolata in misure varie (23 %; 20,4 %; 18 %; 23,2 %; 23,8 %; 23,5 %) e pertanto il mancato apporto poteva essere calcolato in totale in lire 54.037.000.000, che rap presentava il danno all'economia nazionale ed all'erario dello Stato. |
Secondo l'altro criterio, il danno fiscale, nell'ipotesi della più banale delle utilizzazioni (quella del deposito in banca), sarebbe stato concretato dalla mancata riscossione dell'i.r.p.e.g. e del l'i.l.o.r. sui presunti interessi bancari, al tasso corrente, ed ascen deva in totale a lire 8.136.000.000.
Rilevava poi che gli istituti di credito, nel momento in cui
svolgono funzioni valutarie di vigilanza e di controllo devono considerarsi legati allo Stato da un rapporto di servizio, in
quanto sono investiti in via ausiliaria di una funzione pubblica e sono preposti in via vicaria ad un ufficio ed a compiti appartenen ti allo Stato medesimo. Nel caso di specie, al Banco Ambrosiano era fatto divieto, ai sensi dell'art. 14 d.l. 6 giugno 1956 n. 467, nella sua qualità di agente della Banca d'Italia e di delegato dell'U.i.c. e cioè della p.a., di dare esecuzione ad operazioni che non fossero effettuate in conformità alla legge. L'operazione che aveva portato all'illegale costituzione all'estero di disponibilità valutarie era stata resa possibile dall'intermediazione del Banco
Ambrosiano, posta in essere in patente violazione della normativa in vigore, ed in particolare delle disposizioni contenute nella circolare ministeriale del 17 settembre 1963 sulle transazioni invisibili.
tembre 1981, n. 119, id., 1982, III, 53, con nota di richiami, in tervenuta nella nota vicenda dello « scandalo dei petroli » (sul quale v. lo « speciale » di Questione giustizia n. 2 del 1983 su Petrolio, processi, potere, con introduzione di L. Pepino, Il lungo viaggio del petrolio, 335; alcune pagine della inedita Trib. Torino, sez. IV penale, 23 dicembre 1982, pres. ed est. Fassone, imp. Giudice ed altri, proposte in ordine talvolta modificato sotto il titolo La resi stibile ascesa del generale Giudice: nomina e gesta di un coman dante della guardia di finanza, 348-396; e con contributi di D. La bozzetta, Criminalità economica e potere giudiziario, 397 e di A. Sansa, Dieci anni dopo, 405).
Il Foro Italiano — 1984 — Parte 1-9.
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PARTE PRIMA
Il Banco Ambrosiano ha proposto ricorso per regolamento
preventivo di giurisdizione, illustrato con memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il Banco
Ambrosiano deduce il difetto assoluto di giurisdizione, osservando
che un danno all'economia nazionale il quale non si traduca
direttamente in un danno al patrimonio dello Stato non può essere fonte di responsabilità per l'autore del comportamento
dannoso, mancando la lesione di uno di quei diritti soggettivi
perfetti ai quali si riferisce l'art. 2043 c.c. (non potendo essere
considerato tale il semplice interesse dello Stato al buon anda
mento dell'economia nazionale).
Né potrebbe parlarsi di sottrazione di reddito imponibile all'im
posizione fiscale; da un lato, infatti, il diritto soggettivo dello
Stato al pagamento del tributo sorge solo con la produzione del
reddito imponibile e, dall'altro lato, manca la certezza del fatto
che i capitali illegalmente esportati, se fossero rimasti in Italia, sarebbero stati investiti in attività produttrici di reddito tassabile.
Con il secondo motivo, il Banco Ambrosiano deduce il difetto
di giurisdizione della Corte dei conti, non potendosi applicare alle « banche agenti », in materia valutaria l'art. 52 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214. Infatti, l'apparato organizzatorio di un ente pubbli co non può essere che quello risultante dalla sua pianta organica, con la conseguenza che per una persona giuridica privata la
quale esercita le funzioni di cui è titolare un ente pubblico in
tanto può dirsi che è diventata titolare di un ufficio, in quanto tale ufficio preesista o sia disciplinato dalla pianta organica. In
secondo luogo, non è concepibile che un provvedimento di
autorizzazione emesso dalla Banca d'Italia possa inserire il sogget to privato autorizzato nell'organizzazione di un altro ente pubbli
co, quale è l'Ufficio italiano cambi, senza che il primo ente debba
rispondere nei confronti di quest'ultimo quanto meno per culpa in eligendo o in vigilando. Tra l'Ufficio italiano cambi e le
« banche agenti » non si instaura quindi alcun rapporto organiz zatorio (interorganico o infrasoggettivo); ma un rapporto inter
soggettivo di concessione amministrativa, in base al quale tali
banche svolgono con i propri mezzi, nel proprio interesse e con
proprie responsabilità funzioni di cui è titolare l'U.i.c.
Il ricorso è infondato, dovendosi affermare la giurisdizione della Corte dei conti, adita dal procuratore generale presso quella
corte, a conferma dell'indirizzo assunto con la sentenza di queste sezioni unite 4 gennaio 1980, n. 2, la quale costituisce il punto di
partenza espresso o sottintenso, di quanto si deve aggiungere a
confutazione non solo delle ulteriori argomentazioni del ricorren
te, ma anche di quelle sorte nel vasto dibattito sollevato da
quella decisione.
I. - La tesi più radicale del Banco Ambrosiano (difetto assoluto
di giurisdizione) postula che l'interesse dedotto in giudizio non
sia riconducibile fra le situazioni soggettive rilevanti per l'ordi
namento, per mancanza di una norma astrattamente idonea a
tutelare (da ultimo, fra le altre, sez. un. 17 novembre 1982, n.
6149, id., Rep. 1982, voce Sindacati, n. 97). Per respingere la
suddetta tesi è necessario correggere sotto due profili l'imposta zione del ricorso.
Si deve premettere che nella fattispecie la determinazione della
giurisdizione riguarda un'azione della p.a. contro il privato, ma
che i termini del problema sono i consueti. Si tratta di stabilire se la p.a. postuli la tutela di un proprio diritto soggettivo, di un interesse legittimo o di un interesse di fatto, in base al petitum sostanziale e cioè verificando come è configurata — in astratto —
dall'ordinamento la posizione giuridica di cui si lamenta la
lesione.
L'indagine, pertanto, deve riguardare il processo in concreto e,
quindi, in primo luogo si deve dare atto che il presente giudizio è stato iniziato, nell'interesse indifferenziato di qualsiasi p.a. o
ente pubblico, dal procuratore generale presso la Corte dei conti,
organo ad istanza del quale il giudizio di responsabilità ex art. 52
t.u. 12 luglio 1934 n. 1214 deve essere istituito (art. 43 r.d. 13
agosto 1933 n. 1038). Il giudizio sottostà alla regola generale secondo cui la giurisdizione della Corte dei conti — particolar mente nei giudizi di conto e di responsabilità — è caratterizzata dalla natura inquisitoria e sindacatoria, in quanto le sue pronunce non sono legate alle richieste delle parti e neanche a quelle del
p.m. perché, una volta investita della causa, la Corte dei conti
procede in piena indipendenza all'affermazione del diritto, anche oltre i limiti oggettivi o soggettivi della domanda (cfr., fra le
altre, Corte dei conti, sez. II, 30 ottobre 1978, n. 176, id., Rep. 1979, voce Responsabilità contabile, n. 155; 19 ottobre 1973, n.
56, id., Rep. 1974, voce Corte dei conti, n. 46; 17 aprile 1971, n.
1, id., Rep. 1972, voce Responsabilità amministrativa, n. 199). Si è anche precisato che il procuratore generale non deve dare
definizioni giuridiche alle proprie domande (Corte dei conti, sez.
I, 4 giugno 1966, n. 13, id., 1966, III, 547) e le può modificare.
Pertanto, la suddetta regola ha ripercussioni anche in questa sede, in quanto il regolamento ha per oggetto l'identificazione del
giudice che deve conoscere del rapporto (ovvero l'accertamento che la potestas decidendi non spetti ad alcun giudice); rapporto da qualificarsi sulla base dei fatti allegati dall'attore e dal conve
nuto e degli elementi emergenti dal processo, senza alcun pregiu dizio per il merito (sez. un. 4 marzo 1975, n. 808, id., Rep. 1975, voce Giurisdizione civile, n. 187). Senza fermarsi alla prospetta zione della parte istante, questa corte deve verificare l'esistenza di
una o più norme dell'ordinamento che apprestino il tipo di tutela
invocato a favore dell'interesse patrimoniale della p.a. o di un ente pubblico, nel giudizio in concreto iniziato (si noti che il
procuratore generale non sarebbe legittimato ad un giudizio di
danni dinanzi alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione).
La seconda osservazione da fare è strettamente collegata alla
precedente: l'interesse fatto valere deve avere la consistenza di
un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo, in quanto la
domanda proposta ha per contenuto il risarcimento del danno
(che non è dato a tutela di interessi legittimi). Tuttavia, appare
incongruo il riferimento del ricorrente all'art. 2043 c.c. ed alle
sentenze di questa corte che hanno delimitato l'ambito di esten
sione della tutela aquiliana del credito (Cass. 25 gennaio 1971, n.
174, id., 1971, I, 342; 24 giugno 1972, n. 2135, id., 1973, I, 99,
quest'ultima cit. con la data erronea del 7 luglio 1972, n. 2263). Parimenti incongruo è il richiamo a Cass. 29 giugno 1981, n.
4204 (id., Rep. 1981, voce Responsabilità civile, n. 83), in tema di
responsabilità aquiliana della p.a. Infatti, la responsabilità ammi
nistrativa dedotta in giudizio è di natura contrattuale (cfr., fra le
altre, Corte conti, sez. I, 12 luglio 1974, n. 59, id, Rep. 1975, voce Responsabilità contabile, n. 58; sez. II 12 giugno 1972, n.
107, id., Rep. 1973, voce cit., n. 99; 31 ottobre 1972, n. 88, ibid., n. 25; 10 ottobre 1964, n. 140, id., Rep. 1965, voce Contabile
dello Stato, n. 138), in quanto è caratterizzata dal mancato
adempimento dei doveri assunti in forza di un vincolo preesisten te, e si inquadra nel principio generale posto dall'art. 1218 c.c.
perché per perfezionare la fattispecie produttiva del diritto al
risarcimento deve concorrere la violazione di un'obbligazione già assunta (non importa se in base a contratto o ad altra fonte, come si vedrà nella seconda parte della presente sentenza) dai
soggetti indicati dall'art. 52 t.u. sulla Corte dei conti.
Il rilievo esonera dalla verifica del carattere di assolutezza o
meno del diritto soggettivo leso dall'azione dell'obbligato, perché è evidente che nell'ambito dell'art. 1218 c.c. e delle altre norme
(v. infra) che ad esso si ispirano, qualsiasi tipo di diritto
soggettivo, anche di obbligazione, è tutelato con la sanzione del
risarciijiento del danno, ricorrendone gli altri presupposti (art. 1223 ss. c.c.) che attengono al merito e non vanno esaminati in
questa sede.
Il rilievo fatto è pertinente soprattutto in relazione alla seconda
ipotesi di danno fatta valere (quella concretata dalla mancata
percezione dei tributi, lesiva del diritto di credito dello Stato); ma non è da trascurare in termini più generali.
L'identificazione della posizione soggettiva lesa deve essere
compiuta, come ha sottolineato il procuratore generale in udienza, essenzialmente alla luce della normativa valutaria correlata con
gli altri interessi patrimoniali dello Stato e degli altri enti
pubblici. Già con sentenza della sez. I 18 aprile 1974, n. 1055
(id., Rep. 1975, voce Cambio e valuta, n. 3), questa corte ha affermato che in caso di trasgressione di norme valutarie il danno
per lo Stato è presunto.
Il monopolio ed il controllo dei cambi sono attività e funzioni riservate allo Stato, in intima interazione con la funzione crediti zia e monetaria.
Invero, dal punto di vista sostanziale degli interessi tutelati,
partendo dalla definizione di « cambio » come valore di una moneta espresso in termini di un'altra moneta (valore, in sostan
za, derivante dal rapporto dei rispettivi poteri d'acquisto) è evidente che tale rapporto può essere influenzato da un lato da variazioni del potere di acquisto proprio delle diverse monete, in relazione a vicende interne dei rispettivi Stati, e dall'altro dalle variazioni della domanda ed offerta di ciascuna divisa per motivi di scambi internazionali ovvero di speculazione. I rapporti eco nomici fra un paese e gli altri, in cui si traducono le operazioni transattive e speculative che danno luogo alla domanda ed offerta delle divise e concorrono quindi a formare il corso dei cambi, si
riflettono in un sistema contabile ohe prende il nome di « bilancia dei pagamenti ».
All'andamento della bilancia dei pagamenti lo Stato è interessa to — e pertanto assoggetta a vincoli, controlli e divieti le
operazioni che confluiscono in quel sistema di conti — non soltanto come ente esponenziale dell'interesse diffuso al buon andamento dell'economia nazionale nel suo complesso, ma anche
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
come operatore economico in proprio; l'intervento dello Stato
nell'economia pubblica e privata è un dato acquisito nell'ordina mento italiano.
Va osservato, in primo luogo, che la gestione valutaria, attri
buita allo Stato, ai suoi organi od enti strumentali, è gestione di
una « ricchezza » rappresentata dalle valute estere forti (dollaro, marco tedesco, ecc.) che lo Stato italiano deve necessariamente
comperare sulle piazze internazionali, mediante esborsi, per costi tuire una riserva da mettere a disposizione degli operatori eco nomici residenti che, dovendo avere scambi con l'estero, ne
facciano domanda; e « ricchezza » sono anche le lire che, una volta esportate illegittimamente, tenderanno a rientrare in Italia in cambio di valute forti. Se un'operazione speculativa o illecita
(od un insieme di operazioni di tal fatta) influisce sul corso dei
cambi, il maggior prezzo delle valute forti di cui lo Stato italiano deve costantemente approvvigionarsi costituisce « danno ».
Se il monopolio dei cambi è riservato allo Stato che lo esercita a mezzo dell'Ufficio italiano dei cambi (art. 2, 2° comma, d.l.lgt. 17 maggio 1945 n. 331) il quale ha un bilancio che prevede la formazione di utili da destinare alla riserva dello stesso U.i.c., alla Banca d'Italia e al tesoro (art. 9 cit. d.l. n. 331), tesoro che è il destinatario finale dell'attività netta o delle perdite (art. 10); è evidente che il minor utile o la perdita influenzati dal corso dei cambi in dipendenza delle cennate operazioni illecite costituisco no non solo danno in senso economico, ma anche in senso
giuridico, perché concretano un fatto contra ius, lesivo di una situazione soggettiva riconosciuta dall'ordinamento nella veste di diritto soggettivo sul proprio patrimonio.
Inoltre, si tratta di danno inferito non iure, con inadempimento delle obbligazioni specifiche assunte per la protezione della situa zione soggettiva riconosciuta dall'ordinamento, in quanto il com
portamento illecito è imputabile ai soggetti che effettuano le
operazioni di competenza dell'U.i.c. (Banca d'Italia e banche che sono da questa autorizzate a fungere da sue agenzie: art. 2, 4°
comma) in violazione degli obblighi di legge. Infatti è evidente che fra tali obblighi vi è anche quello di evitare i danni suddetti e di curare la più proficua gestione dell'andamento economico
dell'U.i.c., sicché la posizione soggettiva correlativa dell'U.i.c. si
atteggia a diritto soggettivo corrispondente ai suddetti obblighi, in considerazione della loro incidenza sulla gestione patrimoniale dell'ente.
Il suddetto aspetto di danno (giuridicamente rilevante perché attiene alla gestione patrimoniale dell'ente ed è difeso dalle norme che prevedono gli obblighi dei soggetti attraverso i quali l'ente opera) è stato evidenziato dalla Corte conti nella decisione 16 dicembre 1980, n. 115 (id., 1982, III, 24), quando ha rilevato che l'illecita esportazione di capitali diminuisce la disponibilità di valuta estera in capo ald'Uj.c. che avrebbe potuto realizzare anche un reddito da investimenti della valuta in titoli interna zionali forti. Lo stesso può dirsi anche in riferimento agli esborsi che siano dovuti per l'accensione e l'estensione di debiti dello Stato verso l'estero.
Un altro tipo di danno fa capo allo Stato in quanto opera sul mercato internazionale per ottenere merci e servizi, in proprio ovvero tramite enti strumentali o concessionari: infatti, l'eventua le peggioramento di tasso di cambio della lira, influenzato da
operazioni illecite, costringe a maggiori esborsi per gli acquisti ed a minori introiti per le vendite all'estero. Anche sotto tale aspetto 10 Stato non è portatore di interessi diffusi di tutti i consociati, ma di un interesse proprio attinente alla propria gestione patri moniale.
Non può valere l'obiezione che nel primo caso sarebbe danneg giato direttamente l'U.i.c. e solo indirettamente la Banca d'Italia e 11 tesoro, destinatari finali della gestione patrimoniale del primo ente; l'U.i.c., invero, ha una funzione puramente strumentale
rispetto allo Stato e, comunque, nell'ambito della responsabilità amministrativa da farsi valere dinanzi alla Corte dei conti rientra
quella relativa ai danni provocati agli enti pubblici non economi
ci, quali è l'U.i.c. (Cass., sez. un., 11 novembre 1975, n. 3783, id., 1976, I, 58, sulla natura dell'U.i.c.; 11 dicembre 1979, n. 6436, id., Rep. 1980, voce Responsabilità contabile, e 19 novembre
1979, n. 6009, id., 1980, I, 670, sull'estensione della giurisdizione della Corte dei conti alla responsabilità per danni subiti da enti
pubblici non economici).
Neppure potrebbe valere l'obiezione che, nel secondo caso, il
rapporto di servizio è instaurato fra banca agente ed U.i.c., per cui non potrebbe esservi violazione di un dovere verso lo Stato e lesione del diritto soggettivo tutelato dalla norma istitutiva del
dovere; piuttosto, come sarà precisato più avanti, il rapporto si
inquadra nell'organizzazione amministrativa dello Stato nella ma teria valutaria e quindi le norme che disciplinano le conseguenze della violazione dei doveri inerenti al rapporto stesso sono norme
di tutela diretta anche delle posizioni di interesse economico dell'ente (Stato) a cui in definitiva sono imputabili la funzione e l'attività valutaria. Come tali si tratta di norme creative di diritti
soggettivi. Il problema potrà essere quello di trovare una connes sione immediata e diretta fra l'azione illecita ed il danno: ma
questo è un problema di merito, alla stregua dell'art. 1223 c.c. e delle norme speciali sulla responsabilità amministrativa; problema che non può influire sulla giurisdizione, per la quale rileva soltanto la configurabilità di un diritto soggettivo tutelabile, secondo l'astratta previsione dell'ordinamento.
Un altro aspetto sotto il quale il Banco Ambrosiano nega l'esistenza del diritto soggettivo tutelabile attiene al danno tribu
tario, obiettandosi da un lato ohe si pone il problema della
cooperazione del terzo (Banco Ambrosiano) all'evazione delle
imposte da parte di un altro soggetto (La Centrale esportatrice dei capitali), e dall'altro lato che il tipo di rapporto tra l'obbliga to principale e lo Stato non può assurgere al rango di diritto
soggettivo, perché lo Stato ha il diritto soggettivo al tributo solo in conseguenza del verificarsi del presupposto imponibile e del l'accertamento fiscale, mentre prima di questo ha una spes o, al
massimo, un'aspettativa e quindi un interesse di mero fatto e non
giuridico. Aggiunge il ricorrente che lo stesso sorgere dell'obbli
gazione tributaria in capo alla società « La Centrale » (ipotetica parte del rapporto tributario con lo Stato) sarebbe del tutto eventuale e manca del requisito della certezza, sicché il danno
preteso dal procuratore generale è meramente potenziale, come tale inidoneo a concretare il concetto di danno giuridico, perché appartiene alla sfera della probabilità e della speranza, essendo evidente che le somme, anche se rimaste in Italia, avrebbero potuto anche essere investite in modo non produttivo di reddito.
Le tre obiezioni sono infondate.
a) Una delle ipotesi tipiche di responsabilità amministrativa, ai sensi dell'art. 82 e dell'art. 83 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 sulla contabilità di Stato, è quella riguardante il danno erariale
conseguente alla mancata realizzazione di un credito d'imposta (tra le numerose altre, ofr. Corte conti, sez. II, 12 ottobre 1972, n. 89, id., Rep. 1973, voce cit., n. Ill; sez. I 20 ottobre 1972, n.
99, ibid., n. 109; 30 marzo 1976, n. 36, id., Rep. 1977, voce cit., n. 33) per effetto di un comportamento negligente, ovvero con trario a legge, del funzionario soggetto a tale tipo di respon sabilità.
Si deve ritenere che tale responsabilità non coinvolge soltanto il funzionario che è preposto all'accertamento o riscossione
dell'imposta, ma anche quello che, nella cura di altri interessi dell'amministrazione e di altre funzioni relative a materie che
possono dare luogo a conseguenti imposizioni fiscali, impedisce la suddetta realizzazione del credito d'imposta (cfr. Corte dei conti, sez. I, 23 gennaio 1968, n. 65, id., 1968, III, 304, e, in termini
più generali, 15 maggio 1973, n. 39, id., Rep. 1974, voce cit., n. 67). Quest'ultimo riguarda un rapporto fra lo Stato ed altro sogget
to, ma la responsabilità del funzionario non deve essere commi surata alla stregua dell'atto illecito lesivo del credito (ex art. 2043
c.c.) ovvero della cooperazione del terzo all'inadempimento del
l'obbligazione tributaria (ex art. 1218 c.c.), secondo i principi privatistici. Si tratta di una disciplina peculiare tratta dalle citate norme della legge di contabilità di Stato che ha ricevuto una collaudata elaborazione giurisprudenziale.
Da tale norma sorge la protezione diretta dell'interesse dello Stato a ohe (non qualsiasi terzo, ma) il funzionario soggetto all'azione di responsabilità non ponga in essere, per negligenza o
imperizia o violazione di altre leggi, comportamenti idonei a consentire l'impedimento del sorgere dei presupposti dell'obbliga zione tributaria in capo ad un diverso soggetto, obbligato d'im
posta. E pertanto tale interesse, lungi dall'essere di mero fatto —
come ha insistito la difesa del banco nella memoria e nella discussione orale — è direttamente protetto ed assurge al rango di diritto soggettivo.
b) La seconda argomentazione condurrebbe all'assurda conse
guenza che tutte le volte ohe il giudice tributario (delle commis sioni o appartenente all'a.g.o.) accerti l'inesistenza del presupposto materiale dell'imposizione, perché, ad es., non si è prodotto il
reddito; ovvero accerti che la legge non prevede il fatto dedotto come presupposto dell'imposta pretesa, dovrebbe emettere una
pronuncia deolinatoria della giurisdizione e non una pronuncia di merito di rigetto della pretesa dell'amministrazione.
È evidente che il banco confonde fra il concreto credito
d'imposta (per il cui realizzarsi è necessario che esistano in fatto i presupposti prestabiliti per legge e ohe, in caso di contestazione, essi siano provati) e la posizione dell'amministrazione che postula quella situazione di fatto da cui nasce il credito e ne pretende la tutela.
La posizione .postulata in astratto dall'amministrazione corri
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135 PARTE PRIMA
sponde al modello di diritto soggettivo perché l'ordinamento
prevede un sistema di repressione degli occultamenti delle materie
imponibili, delle frodi e delle evasioni fiscali. Stabilire di volta in
volta se l'evasione si è realizzata o se la responsabilità per essa
coinvolga certi e non altri soggetti, è questione di merito e non
questione di giurisdizione. Le medesime considerazioni valgono
quando — come nel caso di specie — si deve stabilire se, senza
la violazione dei doveri da parte del funzionario, una certa
materia imponibile non sarebbe sfuggita all'imposizione. L'indagi ne parallela sulla pretesa fiscale dell'amministrazione contro il
terzo debitore dell'imposta e sul comportamento del funzionario
che ha impedito (secondo l'assunto) il realizzarsi di quella
pretesa, è indagine che attiene al merito della controversia ed è
devoluta al giudice ordinato per tale tipo di accertamento (la Corte dei conti), perché non si può anticipare in sede di
determinazione della giurisdizione l'esito del giudizio di merito.
c) I requisiti concreti che deve avere il danno risarcibile
devono essere determinati dal giudice competente per il merito e
non possono essere esaminati in sede di regolamento di giurisdi zione. Un risarcimento ohe il titolare del diritto soggettivo protet to non può ottenere perché corrisponde ad un danno non certo, ma soltanto eventuale, non degrada quel diritto soggettivo ad
interesse di mero fatto, sotto il profilo della giurisdizione. Il
riconoscimento dell'irrisarcibilità in concreto attiene infatti all'e
stensione della tutela della posizione soggettiva che costituisce la
causa petendi (o petitum sostanziale); estensione che deve essere
determinata dal giudice a cui è devoluta la cognizione su quel
tipo di risarcimento (Cass. 5 dicembre 1973, n. 3315, id., Rep.
1974, voce Giurisdizione civile, n. 86; 23 febbraio 1978, n. 898,
id., Rep. 1978, voce cit., n. 124). Se a fondamento della pretesa di risarcimento del danno si postula un diritto soggettivo (che è
tale secondo l'ordinamento), il giudice prestabilito per legge stabilirà con indagine di merito se il danno è o meno risarcibile.
In caso di risposta negativa, non declinerà la giurisdizione, ma
rigetterà la domanda.
II. - Per affrontare il problema posto dal secondo motivo del
ricorso si deve ricordare succintamente che la giurisprudenza, a
cominciare dalle sentenze di queste sez. un. 20 luglio 1968, n.
2616 (id., 1968, I, 2074) e 5 febbraio 1969, n. 363 (id., 1969, I,
2962), ha statuito che in forza dell'art. 103, 2° comma, Cost, la
Corte dei conti ha una competenza generale in materia di
contabilià pubblica e cioè su tutti i rapporti, inclusi quelli di
responsabilità per danni nel rapporto interno d'impiego o di
semplice servizio, connessi alla gestione finanziaria o patrimoniale svolta dallo Stato o da qualsiasi ente pubblico (non economico). Si richiama, in proposito, quanto enunciato nella sentenza di
queste sezioni unite n. 2 del 1980, solo precisando — per
rispondere alle critiche mosse da parte della dottrina e del
ricorrente — che la definizione del profilo oggettivo della nozione
di contabilità pubblica delineata da Cass. 363 del 1969 (valida
per la fattispecie allora decisa, che concerneva la responsabilità del tesoriere di un ente pubblico, l'E.a.s.) non esaurisce tutti i
possibili aspetti oggettivi da considerare. Invero, la qualificazione
pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione del funzionario responsabile, se è necessaria per la responsabilità contabile regolata dall'art. 81 della legge di contabilità del 1923, non lo è per la responsabilità amministrativa regolata dall'art. 82
del medesimo testo.
Tanto deve dirsi sotto un profilo analitico e cioè di distinzione
delle varie fattispecie; ma ai fini ricostruttivi del sistema giova coordinare gli art. 81 ed 82 (v., in tal senso, sez. un. 11 dicembre
1979, n. 6436, id., Rep. 1980, voce Responsabilità contabile, n. 17), come è imposto anche dal fatto che l'art. 83 equipara le due
ipotesi, con la formula « i funzionari di cui ai precedenti art. 81
e 82 sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti »; formula la quale è ripresa dall'art. 52 t.u. delle leggi sulla Corte
dei conti. Pertanto il sistema risulta da tutte le ipotesi descritte
dalle citate norme, senza alcuna limitazione derivante dall'uso di
particolari espressioni (per esempio, l'uso della parola « impiega to » nell'art. 82). L'espressione più ampia dei soggetti alla giuris dizione contabile ed amministrativa della Corte dei conti è
contenuta nel termine «funzionari» usato dall'art. 81, dall'art. 83
della legge di contabilità e dall'art. 52 della legge sulla Corte dei
conti; termine che è equivalente ad « esercenti le funzioni pub bliche », come risulta anche dall'art. 82 il quale identifica la
fattispecie di imputazione della responsabilità di cui si tratta
nell'esercizio delle funzioni. Non basta però l'esercizio delle
funzioni pubbliche, ma occorre anche (a parte l'ipotesi più
semplice del rapporto di dipendenza) un rapporto fra l'ente e
l'esercente la funzione che la giurisprudenza ha definito « di
servizio ». Per configurarlo, occorre che il soggetto (persona fisica
o giuridica) sia inserito nell'apparato della p.a. per il consegui
mento di un fine proprio; non basta, quindi, l'esplicazione di
un'attività afferente agli scopi dell'amministrazione, ma occorre
anche la partecipazione del rapporto allo svolgimento dei modi di
azione propri di questa, estrinsecativo delle potestà che ad essa
competono, o, comunque, allo svolgimento di attività ad essa im
putabili, cosicché ne derivi una posizione di appartenenza, lato
sensu, del soggetto stesso alla p.a. Il rapporto di servizio, nel
senso anzidetto, ricorre quando il soggetto sia stato investito, in
modo continuativo, di una determinata attività, con il suo inse
rimento nell'organizzazione amministrativa e con la creazione di
particolari vincoli comportanti l'osservanza di obblighi volti ad
assicurare il buon andaménto dell'attività e la sua rispondenza alle esigenze pubbliche cui è preordinata (sez. un. 8 ottobre 1979,
n. 5184, id., 1980, I, 713). La « funzione valutaria » può scindersi in due momenti corri
spondenti a diversi aspetti: il primo riguarda il cambio, inteso
come attività tipicamente economica, ausiliaria di quelle descritte
dall'art. 2195 c.c. e cioè oggettivamente « commerciale », attribuita
in regime di monopolio all'U.i.c.; il secondo aspetto attiene alle
funzioni pubbliche esercitate dallo Stato, in ragione della rile
vanza dell'interesse pubblico su cui può incidere il regime dei
cambi, quale è l'interesse alla stabilità monetaria, all'equilibrio economico nazionale ed al suo armonico inserimento nel sistema
economico mondiale, attraverso il ministero del commercio con
l'estero ed il ministero del tesoro.
Nel campo economico opera anche lo Stato, tanto che è prevista un'autorizzazione anche per i fabbisogni di valuta della p.a.
Operano inoltre tutti gli altri soggetti ohe devono esercitare le
■molteplici attività di cambio (collegate con la funzione creditizia, in relazione agli spostamenti di massa monetaria da un paese all'altro) « a mezzo della Banca d'Italia e delle banche da questa autorizzate a fungere da sue agenzie ».
Si tratta — si ripete — di attività tipicamente commerciali, come risulta anche dall'art. 3 d.l. n. 331 del 1945 («è riservato all'U.i.c. il commercio delle divise, ecc. »). Un'attività collaterale è
quella svolta dai « centri raccolta valuta » (su cui vedi Cass., sez.
un., 5 marzo 1979, n. 1353, id., 1979, I, 601) che in questa sede
non interessano, non essendo essi partecipi del secondo aspetto, relativo alle funzioni pubbliche in materia di cambi, ma limitan
dosi ad essere operatori economici soggetti ai vincoli speciali in
tale tipo di attività. Si tratta, nel complesso, di un insieme di operatori (banche e
centri raccolta valute) che offrono servizi a qualsiasi soggetto
(imprenditore o no) che abbia necessità di utilizzare valute estere, non già in modo libero (e cioè obbedendo al semplice giuoco delle leggi di mercato), ma nel modo vincolato che è stabilito
dall'art. 7 e dall'art. 8 d.l. 6 giugno 1956 n. 476 conv. in 1. 25
luglio 1956 n. 786. I vincoli riguardano il soggetto che obbligato riamente deve inserirsi nella cessione, nell'acquisto ed in ogni altro atto di disposizione concernente le valute estere e gli altri
titoli menzionati nell'art. 7 (soggetto che è l'U.i.c. o la Banca
d'Italia o un'azienda di credito autorizzata a fungere da agenzia di questa); e riguardano altresì l'obbligo di cessione di cui al
l'art. 8. Per poter controllare che i vincoli siano rispettati il sistema è
incentrato su un sistema di autorizzazioni. L'art. 13 del d.l. da
ultimo citato, dopo aver elencato alle lettere a), b), c) e d) i
ministeri competenti al rilascio delle suddette autorizzazioni, al
penultimo comma dispone: « Ai fini della emanazione delle autorizzazioni previste dal presente decreto-legge, il ministro per il tesoro ed il ministro del commercio con l'estero, secondo le
competenze previste dal comma precedente, possono concedere
deleghe all'U.i.c. e alla Banca d'Italia. È applicabile il 4° comma dell'art. 2 d.l.lgt. 17 maggio 1945 n. 331 ».
Il richiamo al 4° comma suddetto (« U.i.c. effettua all'interno le
operazioni di sua competenza a mezzo della Banca d'Italia e
delle banche da questa autorizzate a fungere da sue agenzie ») assume un significato essenziale, ai fini del problema che in
questa sede si deve risolvere.
Se, infatti, il richiamo fosse stato inserito con riguardo all'a
spetto oggettivamente commerciale delle operazioni medesime, in
primo luogo sarebbe stato inutile, perché la norma del d.l. del 1945 non risultava né esplicitamente né implicitamente abrogata dal nuovo provvedimento e quindi non era possibile dubitare della sua applicabilità. In secondo luogo, in un articolo, quale l'art. 13 1. del 1956, che è dedicato alle « autorizzazioni » e cioè alla disciplina dell'attività pubblicistica di controllo del settore
valutario, quel richiamo sarebbe stato disarmonico e non avrebbe avuto alcun riferimento alle « deleghe » in materia di autorizza
zioni, a cui si riferisce il penultimo comma nel quale il richiamo è specificamente inserito.
Il richiamo si spiega attraverso il suo inserimento nel comples
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
so sistema delle autorizzazioni (e, in genere, dei controlli di
carattere pubblicistico). È in questo sistema che le banche si inseriscono, eseguendo le
operazioni commerciali e finanziarie, secondo le modalità stabilite
nelle autorizzazioni ministeriali (art. 7 d.l. del 1956). Tanto l'art. 14
che le norme di attuazione del d.l. 6 giugno 1956 n. 476 conv. in
1. 25 luglio 1956 n. 786 disciplinano la posizione delle banche
agenti non solo come operatrici economiche (imprenditori com
merciali nella materia degli scambi e valute), ma soprattutto come esercenti la funzione di controllo della conformità a legge delle operazioni che necessariamente per loro mezzo tutti i
soggetti (privati o pubblici, imprenditori o non) devono compiere, con l'obbligo di rifiutarsi di dare esecuzione ad operazioni
illegittime.
L'attività delle banche agenti è regolata sulla base dell'art. 14
d.l. del 1956 che recita: « alle banche è fatto divieto di dare
esecuzione ad operazioni che non siano effettuate in conformità
del presente decreto legge ». Una parte della dottrina, sulla base
del debole argomento che tale norma non indica le « banche
agenti », ma le banche tout court sostiene che queste sono
considerate nella loro attività tipicamente commerciale, imputabile soltanto ad esse, ma la tesi è infondata, perché una norma avente tale scopo sarebbe stata inutile, in quanto la conformità a legge di tutte le operazioni commerciali in materia di cambi ed
esportazioni è dato immanente al sistema e riguarda tutti gli
operatori, ivi comprese le banche considerate in tale veste. La
ratio della norma consiste, invece, nel vincolo di carattere spe cifico posto alle banche nella veste di soggetti che sono (per usare la certo non felice espressione della legge) in posizione di
contropartita (art. 7) con gli operatori delle cessioni, degli acquisti e di tutti gli altri atti soggetti alla disciplina imperativa valutaria.
Posizione che, come si è ricordato, è affidata indifferentemente
all'U.i.e., alla Banca d'Italia ed alle banche agenti, per cui queste ultime hanno la medesima funzione (pur non avendo la medesi
ma figura giuridica soggettiva) degli enti pubblici non economici
elencati in primo luogo.
Nell'ambito di tale funzione pubblica le banche (per quel che
riguarda le « operazioni commerciali ») rilasciano i benestare, sulla cui qualifica di atti (oggettivamente) amministrativi non si è
mai fatta discussione, solo disputandosi se si tratta di « autorizza
zione » (cfr. Cass. 11 novembre 1959, id., Rep. 1960, voce
Cambio di divisa estera, n. 8; 11 marzo 1980, id., Rep. 1980, voce Falsità in atti, n. 10) ovvero in un atto amministrativo non
negoziale avente funzione di accertamento e privo di discreziona
lità. In questa sede è sufficiente ribadire la qualifica di atto ammi
nistrativo, emanato in forza di una potestà o funzione pubblica che {non potendo esser propria della banca, neppure ovviamente
quando essa è un istituto di credito di diritto pubblico) proviene dalla p.a. ed è esercitata in luogo ed in sostituzione di quest'ul tima. Nelle operazioni finanziarie, analoga funzione viene esercita
ta dalle banche agenti tramite il riscontro della regolarità delle
operazioni sottoposte al loro esame (cfr. l'art. 11 della circolare n.
1 del 1981 citata e le analoghe disposizioni delle circolari che
l'hanno preceduta), e cioè attuando direttamente le operazioni. La collocazione dell'attività pubblica esercitata dalle banche
agenti in posizione non di operatori commerciali, ma di soggetti investiti di pubbliche funzioni nell'ambito del complessivo rap
porto che lega le banche stesse alla ip.a. merita qualche ulteriore descrizione.
Per quel che riguarda l'attività oggettivamente privatistica di
commercio delle valute, imputata alle banche come soggetti — sia
di diritto privato che di diritto pubblico — che rivestono la
figura di imprenditori commerciali, non sembra che vi siano
ostacoli a definire il rapporto come « concessione ».
Invero, si tratta di un servizio pubblico riservato dalla legge al
monopolio di un ente pubblico e l'affidamento alle imprese della
gestione dei servizi pubblici di tal fatta si è sempre attuata
attraverso lo strumento della concessione (si pensi al campo dei
trasporti pubblici, delle telecomunicazioni, dei pubblici servizi
degli enti locali, delle riscossioni delle imposte). In tutti i casi suddetti si conferiscono al concessionario potestà
pubbliche (particolarmente intense nell'ultimo esempio), ma esse
sono semplici mezzi per l'adempimento dei doveri del concessio
nario e per il buon andamento del servizio.
Ferma restando, dunque, la figura della concessione (ofr. sez.
un. 5 marzo 1979, n. 1353) per l'esercizio del servizio inerente al
commercio dei cambi (definito « pubblico » soltanto in quanto riservato al monopolio statale, ma espletato con negozi di diritto
privato) è in altro punto della disciplina pubblicista che va
ricercata la soluzione del problema che qui si esamina.
Le operazioni commerciali e finanziarie di rilevanza valutaria
sono tante e devono svolgersi in così ristretti limiti di tempo, per le esigenze dei numerosissimi operatori, che da sempre l'ordina
mento italiano le ha incardinate al sistema bancario, demandando
alle banche peraltro non il puro e semplice svolgimento del
servizi, ma anche la funzione pubblica di controllo delle opera zioni stesse.
Mentre la p.a. delegante resta fornita di ampi poteri discrezio
nali, nel rilascio delle autorizzazioni, in considerazione delle
esigenze di politica valutaria e monetaria devolute alla cura dei
supremi organi di governo del settore, invece le banche delegate non hanno alcun potere discrezionale, sono soggette ad un
rapporto di supremazia speciale e devono sottostare alla puntuale osservanza delle norme emanate, tanto che « debbono declinare
tutte le operazioni sulla cui regolarità sostanziale agli effetti
valutari sussistono fondati dubbi », anche se si tratta di operazio ni rientranti nel novero di quelle autorizzate in via generale (cosi dette «ad iniziativa»); come detta l'art. 11 della circolare del
l'Une. I suddetti poteri non sono esercitati, pertanto, nell'interesse
dell'esercente del servizio, ma nell'interesse della p.a. che li ha
conferiti e nel perseguimento di un fine che è esclusivo della medesima p.a.
Nelle operazioni commerciali l'attività di verifica, accertamento
ed attestazione della veridicità di situazioni, dichiarazioni e ri
chieste dell'operatore che si rivolge alla banca agente, viene
formalizzata in un « benestare » che costituisce attestazione della
conformità dell'operazione alle norme valutarie. Nelle operazioni finanziarie l'attestazione non è provata da un autonomo atto, ma
è concretata dall'assenso alla richiesta dell'operatore e dall'attua
zione dell'operazione stessa, ma non per questo deve ritenersi
inesistente.
Mentre alcuni concessionari (coloro che gestiscono i c.d. « cen
tri raccolta valuta ») sono soltanto concessionari del servizio, ma
non soggetti attivamente muniti dei suddetti poteri pubblici, bensì in tutto sottoposti alla disciplina dei soggetti passivi dell'ordina
mento valutario, invece le banche agenti sono anche soggetti attivi. Ciò dimostra che l'attribuzione dei poteri pubblici non sta
nell'atto di concessione del servizio, ma in un elemento aggiunti vo, attinente al momento organizzatorio dell'apparato destinato ad
esercitare i poteri e le funzioni pubbliche. Si tratta di un
apparato decentrato coordinato in sistema (l'art. 2, penult, comma,
d.l.lgt. n. 331 del 1945 e l'art. 13 d.l. del 1956 coordinano detto
sistema in un ordinamento piramidale-gerarchico), per cui il
connotato essenziale di esso è un rapporto di supremazia speciale che si concreta in dare ordini che devono essere rigidamente osservati. Per definire tale fenomeno appare insufficiente la figura dell'esercizio privato di pubbliche funzioni. A parte l'obiezione di
fondo contro tale nozione (la quale non qualifica una figura
giuridica tipicamente definita, ina raccoglie un insieme di figure e
modelli organizzativi disparati), se il tratto comune che essa deve
presentare è che i privati esercenti di funzioni pubbliche non
devono essere titolari di uffici o di organi dell'amministrazione, sembra evidente che si tratta di qualificazione non pertinente ad
un'ipotesi come quella di specie, nella quale esiste l'inserimento
nell'organizzazione pubblica, pur in modo diverso dall'immedesi
mazione organica. La legge presenta una struttura organizzativa peculiare al ramo
della p.a. di cui si tratta, facendo agire il sistema bancario « in
luogo » della p.a. medesima. Si può parlare, come ha sostenuto il
procuratore generale in udienza, di « sostituzione » dell'attività
dell'U.i.c. Invero, mentre l'atto concessivo appartiene alla compe tenza della Banca d'Italia, le funzioni pubbliche — come si è
dimostrato supra — nascono dalla legge e dalle norme di
esecuzione della legge, in correlazione con la concessione; norme di esecuzione, dettate dal ministero del commercio con l'estero o su sua delega dall'U.i.c., che hanno l'efficacia di « ordini ».
II problema della responsabilità, su cui ha insistito la difesa del
ricorrente (obiettando che l'attività dell'incaricato di pubbliche funzioni o del concessionario non impegna la responsabilità dell'ente concedente, ma semplicemente la propria responsabilità
personale e privata, mentre con la costruzione qui proposta si
imputerebbe alla p.a. la responsabilità verso gli operatori privati che si avvalgono dei servizi delle banche) deve essere affrontato
in questa sede soltanto sotto il profilo dell'azione fatta valere dal
procuratore generale presso la Corte dei conti. Orbene, nella
figura normale della responsabilità contabile ed amministrativa, è
intuitivo che la legge parta dalla distinzione fra la figura sogget tiva dello Stato o dell'ente danneggiato.
Senza tale distinzione ed autonomia di soggetti non vi potrebbe essere rapporto giuridico di responsabilità.
Esula dal tema del presente regolamento di giurisdizione il
problema di stabilire l'imputabilità delle azioni compiute dal
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PARTE PRIMA
titolare della pubblica funzione in danno dei privati. La respon sabilità amministrativa di cui all'art. 52 del t.u. sulla Corte dei
conti ed alle norme da esso richiamate si raffigura anche nel caso
in cui la p.a. chieda al proprio funzionario, in forza della
violazione dei suoi obblighi di servizio, il rimborso del risarci
mento che il terzo abbia ottenuto dalla medesima p.a. in forza di
un fatto dannoso imputabile al proprio dipendente (cfr. Corte
conti, sez. II, 12 giugno 1972, n. 107, id., Rep. 1973, voce
Responsabilità contabile, n. 55); ma non è questa, ovviamente, la
specie di causa.
In questa sede si tratta, invece, di stabilire dinanzi a quale
giurisdizione si debba far valere il rapporto di responsabilità verso la p.a. della banca che esercita le funzioni valutarie in
modo non conforme agli « ordini » sopra accennati a cui deve
conformarsi, in quanto banca « agente » della Banca d'Italia.
Proprio l'attribuzione ex lege dei poteri-doveri (funzioni) alle
banche agenti, che supra si è dimostrata, comporta l'inserimento
delle predette banche nell'organizzazione pubblica e, quindi, il
rapporto di servizio che è l'altro elemento necessario per l'attri
buzione della giurisdizione alla Corte dei conti (accanto all'ele
mento del danno erariale, esaminato in relazione al primo motivo
di ricorso). Resta da respingere l'obiezione mossa nella discussió
ne orale dalla difesa del banco, che ammettendo la giurisdizione
contabile, si avrebbe una ingiustificata riduzione della fascia di
responsabilità dei soggetti responsabili del medesimo danno, per ché i privati (nella specie: la soc. Centrale e coloro che hanno
agito per suo conto, nonché coloro che sono stati sottoposti a
procedimento penale) sfuggirebbero alla giurisdizione suddetta. È
facile rilevare, in contrario, che l'eventuale responsabilità concor
rente di altri, non astretti dal rapporto di servizio, dovrà essere
accertata dal giudice ordinario competente, ed il problema del
rapporto fra le due responsabilità ed i due risarcimenti, già
sollevato nell'ultima parte della citazione del procuratore generale
è problema di merito e non di giurisdizione. Parimenti infondata
è l'argomentazione ohe l'esistenza di sanzioni diverse dal risarci
mento del danno significa che l'ordinamento affida a tali sanzioni
il compito di reagire agli atti illegittimi compiuti dalle banche
agenti: argomento che prova troppo, perché anche il privato
contravventore è soggetto sia alle sanzioni, sia al risarcimento del
danno, stante il non assorbimento del secondo nelle prime.
Deve dichiararsi, in conclusione, la giurisdizione della Corte dei
conti. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 20 otto
bre 1983, n. 6165; Pres. Vela, Est. Menichino, P. M. Grossi
(conci, conf.); Landi (Avv. Fanfani) c. Tafani (Avv. E. For
nario, Aranguren, La Volpe). Conferma Trib. Firenze 28
settembre 1979.
Lavoro (rapporto) — Licenziamenti individuali — Reintegrazione — Applicabilità — Computo dei dipendenti — Modalità (L. 20
maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità
dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 35).
Al fine di stabilire se l'unità produttiva occupi più di quindici
dipendenti (ovvero se i medesimi siano occupati da impresa
industriale o commerciale nell'ambito dello stesso comune,
qualora ciascuna unità produttiva singolarmente considerata
non raggiunga tale limite) con riferimento all'applicazione della
disciplina che prevede la reintegrazione del lavoratore illegitti
mamente licenziato nel posto di lavoro, rileva il numero di
dipendenti continuativamente occupati secondo le esigenze
medie, normali e complessive dell'azienda durante il periodo di
lavoro del dipendente licenziato e, pertanto, in tale numero
devono computarsi i lavoratori assenti per malattia, ma non
quelli assunti per contingenti necessità stagionali né le persone
che prestano attività occasionale e saltuaria ovvero delle quali
si presume la natura gratuita delle prestazioni. (1)
(1) Il principio generale affermato appare largamente consolidato
nella giurisprudenza, sia di legittimità che di merito. Nel senso, infatti, di attribuire rilevanza decisiva alla reale struttura dell'» organigramma aziendale », riferito alle concrete ed obiettive esigenze produttive
dell'impresa, per l'accertamento del requisito dimensionale minimo
previsto dall'art. 35 dello statuto dei lavoratori, al quale è subordinata
l'applicazione dell'art. 18 della stessa legge, v. Cass. 16 maggio 1983, n. 3379, Foro it., Mass., 705; 9 settembre 1982, n. 4864, id., Rep.
1982, voce Lavoro (rapporto), n. 2074; iPret. Grosseto 2 dicembre
1981, ibid., n. 1622; Pret. Milano 22 aprile 1981, id., Rep. 1981, voce
Fatto. — Con ricorso in data 25 maggio 1978, Livio Landi,
premesso che aveva lavorato alle dipendenze del bar Gambrinus
in Firenze, con la qualifica di « interno bar », dal 6 ottobre 1977 al 4 maggio 1978 allorquando il titolare dell'esercizio, Fosco
Tafani, l'aveva immotivatamente licenziato in tronco; e che l'ex
datore di lavoro occupava, al momento del recesso, diciassette
dipendenti oltre due pensionati (anch'essi addetti a tempo pieno alle mansioni « interne ») nonché altra persona (tal Bini) per tre
cit., n. 1880; Pret. Milano 7 febbraio 1981, ibid., n. 1481; Cass. 3 novembre 1980, n. 5861, id., 1981, I, 46, con nota di richiami.
Nell'aderire a tale indirizzo, la sentenza in epigrafe si segnala perché chiarisce quale sia il momento a cui deve aversi riguardo per effettuare l'accertamento del requisito dimensionale minimo. Con la sent. 5861/80 {in senso conforme, v., anche, sent. 3379/83), la Cassazione ritenne che tale momento dovesse individuarsi nel periodo del « licenziamento », cioè in uno spazio temporale più ampio di « quello della comunicazione dell'atto ricettizio di licenziamento ». Siffatta individuazione non mancò di suscitare dubbi, tanto che l'autore della citata nota di richiami a questa decisione del 1980 pose l'interrogativo se il « periodo di licenziamento » comprendesse, oltre al tempo intercorrente tra il licenziamento e la sentenza, anche quello immediatamente antecedente. Ora, con la sentenza che si riporta, la Cassazione, sempre ai medesimi fini, reputa determinante il « periodo del lavoro del dipendente licenziato ». In effetti, questa nuova pronun cia più che costituire un chiarimento della precedente, realizza, limitatamente al punto in questione, un vero e proprio mutamento di indirizzo; non può infatti dubitarsi che il principio affermato dalla prima decisione segnalata si differenzia, sotto il profilo temporale, da quello espresso dalla seconda. 'In forza dell'uno l'indagine del giudice è limitata ad un lasso di tempo assai più breve di quello che l'applicazione dell'altro principio impone di considerare. Di ciò, tutta via, non appare traccia nella motivazione della sentenza qui riprodotta, nella quale, anzi, si legge che l'interpretazione in essa proposta è « in conformità dei principi costanti già fìssati da questa Suprema corte ed ai quali può perciò farsi riferimento {sent. 30 dicembre 1974, n. 4394; 3 novembre 1980, n. 5861; 9 settembre 1982, n. 4864) ». Sotto il profilo considerato non può, dunque, che ritenersi inesatto il rinvio, tra le altre, alla sent. 5861/80.
■In applicazione del principio generale prima ricordato, secondo la
giurisprudenza devono essere compresi nel computo dei dipendenti occupati ex art. 35, oltre i lavoratori assenti per malattia (Cass. 5861/80 e 21 giugno 1980, n. 3922, id., 1981, I, 46), anche quelli in servizio militare (Pret. Milano 27 gennaio 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 2076 e Cass. 3922/80), gli apprendisti, nel caso in cui siano adibiti dal datore di lavoro a normali prestazioni lavorative [Cass. 4864/82 e 7 gennaio 1981, n. 99, id., 1981, I, 1056, v. però l'emen damento proposto dal ministro del lavoro alla proposta di legge di riforma del collocamento (Atto camera 665) secondo il quale i lavo ratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'appli cazione di particolari normative ed istituti, di cui dà notizia Lavoro informazione, 1983, n. 23-24, 37], i lavoratori con rapporto di lavoro part time (Pret. Milano 28 gennaio 1982, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 1477). Si segnala inoltre Cass. 4 maggio 1983, n. 3068, id., Mass., 638, e in Giur. it., 1983, I, 1, 1841, secondo cui, nelle cooperative di lavoro, non potendosi configurare il rapporto tra socio e società come rapporto di lavoro subordinato, ove si controverta della legittimità del licenziamento di lavoratori non soci assunti alle dipendenze della cooperativa, i soci lavoratori non possono essere conteggiati nel nu mero minimo dei lavoratori occupati richiesto dall'art. 35 per l'ap plicazione dell'art. 18.
Per la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese da congiunti nell'ambito di un'organizzazione aziendale familiare, v. Cass. 4 maggio 1983, n. 3062, Foro it., Mass., 637; 3 ottobre 1979, n. 5049, id., Rep. 1979, voce cit., n. 782 e 16 giugno 1978, n. 3012, id., 1978, I, 2137, con nota di richiami.
Sul valore probatorio dei libri paga e matricola e delle scritture contabili nella determinazione della dimensione numerica dell'impresa, v., in contrasto tra loro, Cass. 14 gennaio 1983, n. 298, id., Mass., 65 {secondo cui, in tale determinazione, . il giudice di merito deve procedere ad una completa valutazione delle risultanze processuali avvalendosi dei poteri conferiti dall'art. 421 c.p.c., mentre non possono considerarsi determinanti le indicazioni dei libri paga e matricoia e delle scritture contabili) e sent. 5861/80 {per la quale il giudice di merito può ricorrere anche a presunzioni tratte dal bilancio dell'impre sa, aumento del capitale sociale ed investimenti produttivi, finanzia mento e contributi pubblici, corrispondenza con gli enti assicurativi e previdenziali, libri paga e matricola).
Nell'ambito di società collegate, la possibilità che ai fini dell'appli cazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, siano computati unitariamente i dipendenti delle varie società, affermata, tra le altre, da Pret. Genova 16 giugno 1983, giud. Fazio, Cittadini c. Soc. Italinvest ed altre, inedita, che sarà riportata su uno dei prossimi fascicoli, Trib. Milano 30 marzo 1981, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 1746, e Pret. Milano 24 febbraio 1981, ibid., n. 1480, è esclusa da Cass. 18 dicembre 1982, n. 7005, id., Rep. 1982, voce cit., n. 2068; 4 di cembre 1982, n. 6560, ibid., n. 1617 e 28 gennaio 1981, n. 650, id., 1981, I, 1994, con nota di richiami.
■Per quanto riguarda, infine, i problemi che pone il coordinamento dalla 1. n. 604/66 con la 1. n. 300/70, in materia di licenziamento ille
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