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sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M....

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Page 1: sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M. Iannelli (concl. conf.); Catra (Avv. Vespaziani) c. Min. giustizia (Avv. dello Stato Palatiello).

sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M.Iannelli (concl. conf.); Catra (Avv. Vespaziani) c. Min. giustizia (Avv. dello Stato Palatiello).Conferma App. Trento, decr. 15 giugno 2002 e rimette gli atti a sezione sempliceSource: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 5 (MAGGIO 2006), pp. 1423/1424-1433/1434Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203230 .

Accessed: 28/06/2014 07:32

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1423 PARTE PRIMA

Ritiene la corte che la censura è infondata poiché nell'ultima

pagina della sentenza c'è l'attestazione di conformità della co

pia all'originale da parte del consigliere segretario, e poiché

quella pagina viene data per firmata sia da parte del presidente avv. Fiero Alpa e sia da parte del segretario avv. Ubaldo Perfet

ti. E questo è sufficiente per ritenere che l'originale della deci

sione è stato firmato.

Con il terzo motivo l'avv. Porfilio ha denunciato eccesso di

potere e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione

circa un punto decisivo della controversia in quanto il Consiglio nazionale forense non ha preso in esame tutti i rilievi mossi ne

gli scritti difensivi. Questa censura, per la sua estrema genericità, contrasta con i!

principio di autosufficienza del ricorso ed è quindi inammissi bile.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M. Iannelli (conci, conf.); Catra (Avv. Vespaziani) c. Min. giu stizia (Avv. dello Stato Palatiello). Conferma App. Trento, decr. 15 giugno 2002 e rimette gli atti a sezione semplice.

Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo — Equa riparazione —

Spese sostenute presso la Corte europea dei diritti dell'uomo — Rimborsabilità —

Esclusione (Cod. proc. civ., art. 90, 91; 1. 4 agosto 1955 n.

848, ratifica ed esecuzione della convenzione per la salva

guardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fir mata a Roma il 4 novembre 1950 e del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952:

convenzione, art. 6, 35; 1. 24 marzo 2001 n. 89, previsione di

equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 c.p.c.).

Non sussiste il diritto al rimborso delle spese sostenute per il ri corso inizialmente presentato alla Corte europea dei diritti

dell'uomo, divenuto in seguito irricevibile per effetto della

sopravvenuta introduzione di un mezzo di tutela dinanzi al

giudice nazionale per il risarcimento dei danni da irragione vole durata del processo. ( 1 )

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28507; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M.

(1) La decisione in epigrafe (unitamente alla decisione «gemella» resa, nella stessa camera di consiglio e ad opera dello stesso estensore, da Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28515, inedita) conferma l'in dirizzo già adottato dalle sezioni semplici: ravvisando una netta solu zione di continuità tra giudizio innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo e giudizi innanzi al giudice nazionale, nonché escludendo la

configurabilità delle spese processuali in termini di danno suscettibile di riparazione ex lege 89/01, nega che le spese di giustizia sostenute nel preventivo ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo possano formare oggetto di rimborso.

In precedenza, nello stesso senso, cfr. Cass. 9 gennaio 2004, n. 123, Foro it., Rep. 2004, voce Diritti politici e civili, n. 283; 17 aprile 2003, n. 6163, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 198; 3 gennaio 2003, n. 4, ibid., n. 263; 20 dicembre 2002, n. 18139, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 223.

Mutatis mutandis, deve parimenti escludersi che nell'indennizzo ex lege 89/01 possano ricondursi le spese sopportate nel giudizio presup posto, la cui durata è stata stimata come irragionevole: cfr. Cass. 16 febbraio 2005, n. 3318, id., Mass., 210; 5 agosto 2004, n. 15106, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 288; 17 aprile 2003, n. 6163, cit.

Il Foro Italiano — 2006.

Iannelli (conci, conf.); Centurione (Avv. Giacomini) c. Pres.

cons, ministri (Avv. dello Stato Palatiello). Cassa App. Ge

nova, decr. 17 luglio 2002.

Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo — Equa riparazione —

Disciplina — Retroattivi

tà — Fattispecie (Cost., art. 2; 1. 4 agosto 1955 n. 848: con

venzione, art. 1, 6, 13, 34, 35; 1. 24 marzo 2001 n. 89, art. 2,

6). Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del

processo — Equa riparazione — Giudizio amministrativo

— Presentazione dell'istanza di prelievo — Irrilevanza

{Cod. civ., art. 1227, 2056; r.d. 17 agosto 1907 n. 642, rego lamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, art. 51; 1. 21 luglio 2000 n. 205, dispo sizioni in materia di giustizia amministrativa; 1. 24 marzo

2001 n. 89, art. 2).

Sussiste il diritto all'equa riparazione per l'irragionevole du

rata di un processo nel periodo anteriore ali 'entrata in vigo re della I. 89/01 (nella specie, la Suprema corte ha conse

guentemente affermato la fondatezza della domanda formu lata dagli eredi della parte, in considerazione dell'esistenza e

trasmissibilità del diritto). (2) La valutazione della ragionevole durata del processo davanti al

(2) Viene così composto il contrasto di giurisprudenza circa la por tata ricognitiva o costitutiva delle norme della 1. 89/01, che disciplinano il diritto all'indennizzo in attuazione dell'art. 6 della convenzione eu

ropea dei diritti dell'uomo. Secondo l'indirizzo precedente, ora sconfessato, sarebbe da preferire

l'opinione restrittiva e ritenere insussistente il diritto all'equa ripara zione per il ritardo processuale maturato anteriormente all'entrata in

vigore della c.d. legge Pinto, e ciò anche in considerazione della portata costitutiva e dell'irretroattività della relativa disciplina: cfr. Cass. 6 ot tobre 2005, n. 19445. Foro it.. Mass., 1332, che sottolinea la mancanza di una norma della 1. 89/01 che ne preveda espressamente l'applicazio ne alle situazioni esaurite, salvo il disposto dell'art. 6 1. cit. per i ricorsi

già pendenti alla Corte europea dei diritti dell'uomo; 4 aprile 2003, n. 5264, id.. Rep. 2003, voce Diritti politici e civili, n. 156, secondo cui «il diritto all'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, introdotto dalla 1. 24 marzo 2001 n. 89 con efficacia non retroattiva (salvo il limite risultante dalla norma di diritto intertempo rale di cui all'art. 6 ed alle condizioni ivi previste), non può essere ac

quisito da persona che, al momento dell'entrata in vigore di detta legge, non era più in vita, giacché con la morte viene meno la soggettività giu ridica e, di conseguenza, la capacità di assumere la titolarità di situa zioni giuridiche; in tal caso, pertanto, il diritto all'indennizzo neppure può essere preteso dall'erede del defunto, non essendo trasmissibile al 1 erede ciò che non è esistente nel patrimonio del de cuius al momento del decesso»; nello stesso senso, cfr. Cass. 14 gennaio 2003, n. 360, id..

Rep. 2004, voce cit.. n. 187; 11 dicembre 2002, n. 17650, ibid., n. 186; il carattere irretroattivo della 1. 89/01 è stato affermato anche Cass. 30 settembre 2004, n. 19622, ibid., n. 299, sia pure con qualche distinguo, nel senso che «in tema di equa riparazione per superamento del termine di durata ragionevole del processo, la 1. 24 marzo 2001 n. 89, mancan do una norma che espressamente preveda la sua applicabilità anche alle situazioni esaurite, è irretroattiva, salvo il lìmite risultante dalla norma di diritto intertemporale di cui all'art. 6 citata legge (la quale, onde fa vorire la riduzione della pendenza dei ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, estende l'applicazione della legge medesima alle sole situazioni esaurite per le quali, alla data di entrata in vigore di que st'ultima, fosse stato promosso, ma non ancora dichiarato ricevibile, il giudizio dinanzi alla corte europea): poiché per situazione esaurita al momento dell'entrata in vigore della 1. n. 89 del 2001 deve intendersi

quella in cui si sia avuto il passaggio in giudicato della sentenza (o, comunque, la definitività della decisione) conclusiva del processo con

tempi che si assumono irragionevoli, per le fattispecie nei cui riguardi, alla data di entrata in vigore della citata legge, non sia ancora interve nuta la conclusione del processo, e come tali non esaurite, il diritto alla durata ragionevole del processo trova piena tutela indennitaria ai sensi della 1. n. 89 del 2001, e il quantum dell'indennizzo medesimo deve es sere ragguagliato all'intera durata della violazione del termine di durata ragionevole del processo, anche per il periodo precedente all'entrata in

vigore della citata legge». Per superare questo orientamento, la motivazione della decisione in

rassegna dà rilievo determinante ai principi affermati nei precedenti ar resti delle stesse sezioni unite, richiamando in proposito le decisioni re se da Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1341, inedita; 26 gennaio 2004, n. 1340, id., 2004, 1, 693, con nota di richiami; 26 gennaio 2004, n. 1339, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 268; in argomento, cfr. anche Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1338, id., 2004, I, 693, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

giudice amministrativo prescinde dalla presentazione dell'i

stanza di prelievo. (3)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 otto

bre 2005, n. 19801; Pres. Criscuolo, Est. Giusti, P.M. Ab

brutì (conci, conf.); Ginesu (Avv. Sotgiu) c. Pres. cons, mi

nistri. Cassa App. Cagliari, decr. 19 maggio 2003.

Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo

— Equa riparazione — Giudizio amministrativo

— Presentazione dell'istanza di prelievo — Irrilevanza

(Cod. civ., art. 1227, 2056; r.d. 17 agosto 1907 n. 642, art. 51,

53; r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, art. 40; r.d. 21 aprile 1942 n. 444, regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato, art. 73; 1. 4

agosto 1955 n. 848; convenzione, art. 6; 1. 6 dicembre 1971 n.

1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art.

19, 23 bis, 31; 1. 21 luglio 2000 n. 205, art. 3, 4: 1. 24 marzo

2001 n. 89, art. 2).

Il termine di ragionevole durata del processo davanti al giudice amministrativo non subisce ostacoli o slittamenti per effetto della mancata o ritardata presentazione dell'istanza di pre lievo. (4)

(3-4) Anche in ordine al problema del possibile rilievo della pre sentazione dell'istanza di prelievo nel processo amministrativo è dato

registrare un'inversione di tendenza rispetto all'orientamento origina riamente assunto dalla giurisprudenza della Suprema corte. Nel senso

predicato dalle decisioni in epigrafe, cfr. Cass. 12 ottobre 2005, n.

19804, Foro it., Mass., 1595; 21 settembre 2005, n. 18759, inedita; 13 dicembre 2004, n. 23187, id.. Rep. 2004, voce Diritti politici e civili, n.

215, secondo la cui massima ufficiale «in tema di equa riparazione ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della

convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà

fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice am

ministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza — dalla data,

appunto, di proposizione della domanda — del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di es

sa, salva restando l'eventuale influenza di tali circostanze sotto il diver so profilo della valutazione del comportamento delle parti correlato alla

complessità del caso, ovvero dell'apprezzamento dell'entità del pregiu dizio derivante dal superamento di quella scadenza»; 6 marzo 2003, n.

3347, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 131, ove si afferma che «ai fini del

l'apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma de

gli art. 2 e 3 1. 24 marzo 2001 n. 89, di equa riparazione del danno, pa trimoniale e non patrimoniale, che possa essere derivato al ricorrente

per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole del processo, la

mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, provenienti dalla parte in

teressata, tesi ad ottenere una più spedita trattazione della causa, del

genere della c.d. 'istanza di prelievo' nel processo amministrativo, non

incide sul calcolo dei tempi del processo stesso, nel senso che il difetto

di un tale comportamento rileva, non sul piano dell'an debeatur, ma ai

soli fini della liquidazione dell'equa riparazione anzidetta, onde la pos sibilità di addivenire alla richiesta di simili anticipazioni (come, in sen so più largo, ad altre istanze di natura analoga) integra l'ordinaria dili

genza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza dell'i

potesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall'ordinamento, esclude che la durata irragionevole del giudizio venga imputata esclusi

vamente allo Stato». In precedenza, nel senso opposto, cfr. Cass. 1° dicembre 2004, n.

22503. id.. Rep. 2004, voce cit., n. 250, secondo cui «in tema di equa

riparazione ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89 per violazione della

durata ragionevole del processo, la negligenza della parte, nel giudizio dinanzi al Tar, nella presentazione dell'istanza di prelievo, strumento

offerto dall'ordinamento processuale per pervenire alla più sollecita di

scussione del ricorso, trova la sua collocazione propria, non già nella

sedes materiae della liquidazione del danno (art. 1227, 2° comma, c.c.), ma nello scrutinio di 'adeguatezza' del comportamento della parte ex

art. 2, 2° comma, 1. cit., tra gli elementi costitutivi del fatto generatore dell'indennizzo, rilevando cioè come comportamento oggettivo, deter

minante la mancata attivazione dell'organo di giustizia amministrativa, valutabile come causa, o come concausa, della non ragionevolezza del

tempo trascorso; ne deriva che soltanto con la proposizione di detta

istanza, ed a partire da quella data, il decorrere del tempo diventa

esclusivo parametro di valutazione del comportamento dell'organo di

giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza della durata del

processo»; 17 aprile 2003, n. 6180, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 132; 14

novembre 2002, n. 15992, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 197; 5 novembre

2002, n. 15445, ibid., n. 181.

Il Foro Italiano — 2006.

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data

11 aprile 2002 Pietro Catra conveniva in giudizio dinanzi alla

Corte d'appello di Trento il ministero della giustizia per sentirlo

condannare alla corresponsione di un equo indennizzo per i

danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per la non ragione vole durata di un processo per risarcimento di danni nel quale era stato convenuto, iniziato il 20 gennaio 1976 e conclusosi il

25 maggio 1998. Con decreto del 7-15 giugno 2002 la corte adita condannava

il ministero al pagamento della somma di euro 2.340 a titolo di

equa riparazione per i danni non patrimoniali e rigettava la do

manda di indennizzo dei danni patrimoniali comprendenti il

rimborso delle spese sostenute per il ricorso presentato alla

Corte europea dei diritti dell'uomo.

Contro il decreto ricorre per cassazione Pietro Catra con

quattro motivi illustrati da memoria.

Resiste il ministero della giustizia con controricorso conte

nente ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

Con ordinanza in data 11 giugno - 17 luglio 2004, n. 13302 è

stata disposta la rimessione degli atti al primo presidente che ha

provveduto all'assegnazione del ricorso alle sezioni unite per la

decisione della questione proposta con il quarto motivo di ricor

so ritenuta di particolare importanza. Motivi della decisione. — Va disposta preliminarmente la ri

unione dei ricorsi proposti contro la medesima sentenza.

Con il quarto motivo di ricorso — l'unico sottoposto all'esa

me delle sezioni unite — si denuncia il vizio di omessa motiva

zione in ordine alla richiesta di rimborso delle spese sostenute

dal ricorrente per la proposizione del ricorso dinanzi alla Corte

europea dei diritti dell'uomo, che sarebbe stata respinta senza

alcun esame delle argomentazioni spese a sostegno della do

manda di indennizzo dei danni patrimoniali tra i quali non po trebbero non comprendersi tali esborsi.

L'ordinanza della sezione rimettente, nel considerare la que

stione, richiama l'orientamento pressoché costante della giuris

prudenza di legittimità che ha negato il rimborso delle spese

giudiziali sostenute per il ricorso inizialmente presentato alla

Corte europea dei diritti dell'uomo (Cass. 20 dicembre 2002, n.

18139, Foro it., Rep. 2002, voce Diritti politici e civili, n. 222;

3 gennaio 2003, n. 4, id., Rep. 2003, voce cit., n. 263; 17 aprile

2003, n. 6163, ibid., n. 198; 9 gennaio 2004, n. 123, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 283; 5 agosto 2004, n. 15106, ibid., n. 288) e

contesta le affermazioni poste a suo fondamento secondo cui, da

un lato, esse non sarebbero conseguenza immediata e diretta

della durata irragionevole del processo e non potrebbero perciò considerarsi danno patrimoniale indennizzabile, e, dall'altro, il

giudice nazionale non avrebbe titolo per liquidare le spese giu diziali relative ad un processo instaurato dinanzi alla corte eu

ropea in mancanza di alcun rapporto di continuità con quello introdotto dinanzi ad esso.

Si osserva nell'ordinanza di rimessione che le due fasi sono

strettamente coordinate e finalizzate al medesimo risultato e che

l'effettiva protezione accordata al diritto ad un processo di ra

gionevole durata non troverebbe adeguata salvaguardia se do

vessero definitivamente restare a carico del ricorrente le spese sostenute per il ricorso proposto al giudice sovranazionale, il

quale accorda costantemente il rimborso delle spese giudiziali in

caso di accoglimento della domanda di indennizzo, domanda

che è stata proposta negli stessi termini al giudice nazionale se

condo quanto prescritto dalla sopravvenuta 1. 24 marzo 2001 n.

89.

L'esigenza di assicurare un'effettiva protezione alla parte

pregiudicata da un processo di eccessiva durata — recentemente

sottolineata da queste sezioni unite che hanno ribadito la neces

sità di un'interpretazione della normativa nazionale conforme

alla giurisprudenza della corte di Strasburgo sino al limite della

questione di costituzionalità nei confronti delle norme che si

ponessero in contrasto insuperabile con l'art. 6 della convenzio

ne per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (sent. 26 gennaio

2004, nn. 1338 e 1339, id., 2004, I, 693, e id., Rep. 2004, voce cit., nn. 268, 277) — non costituisce, tuttavia, ragione suffi

ciente per estendere l'equo indennizzo dei danni patrimoniali sino a comprendere in tale categoria anche gli esborsi sostenuti

per il ricorso dinanzi alla corte di Strasburgo. Va considerato al riguardo che le spese giudiziali sopportate

dalla parte vittoriosa vengono poste a carico del soccombente

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PARTE PRIMA 1428

non già a titolo di ristoro del pregiudizio derivante dalla non ra

gionevole durata del processo, previo accertamento delle condi

zioni richieste dalla legge, bensì sulla base della mera soccom

benza in giudizio (art. 91 c.p.c.), indipendentemente cioè da

ogni valutazione del suo comportamento nel processo com'è

confermato dal rilievo che al rimborso delle spese giudiziali è

tenuto anche il soccombente contumace. Gli esborsi sostenuti a

titolo di spese giudiziali non costituiscono perciò conseguenza immediata e diretta dell'eccessiva durata del processo, posta a

fondamento della domanda di equo indennizzo come fatto gene ratore del danno, ma vengono rimborsati unicamente in dipen denza della vittoria in giudizio la quale comporta l'esclusione di

ogni aggravio economico per la parte vittoriosa, tenuta unica

mente all'anticipo delle spese necessarie (art. 90 c.p.c.). Il giudice nazionale non ha quindi alcun titolo per liquidare le

spese di un ricorso presentato al giudice sovranazionale, dinanzi

al quale non ha mai avuto inizio alcun processo, poiché, per il

principio di sussidiarietà sancito dall'art. 35 della convenzione — nel testo sostituito dal protocollo n. Il, adottato in data 11

maggio 1994 e in vigore in Italia dal 1° novembre 1998 — la

corte di Strasburgo non può essere adita se non dopo l'esauri

mento delle vie di ricorso interne che sono state introdotte con

la 1. n. 89 del 2001, cosicché' la domanda di indennizzo proposta dinanzi al giudice nazionale non è strutturata come una prosecu zione di quella pendente dinanzi alla corte di Strasburgo ma co

stituisce l'atto iniziale di un giudizio il cui esaurimento costitui

sce condizione di ricevibilità della domanda che potrà essere

proposta alla corte di Strasburgo nel caso in cui la parte non ab

bia ricevuto un indennizzo adeguato dal giudice nazionale.

Ne' vale obiettare che il giudice sovranazionale liquida co

stantemente a favore della parte vittoriosa le spese di assistenza

e difesa in giudizio, ancorché non obbligatorie in considerazio

ne del fatto che la parte può agire personalmente prescindendo da qualsiasi difesa tecnica, poiché, qualora dopo la presentazio ne della domanda sia stata introdotta una via di ricorso interna, il ricorso alla corte di Strasburgo viene respinto, in quanto irri

cevibile ai sensi dell'art. 35, n. 4, della convenzione, con una

statuizione che non contiene alcuna pronuncia di rimborso delle

spese giudiziali. Da ciò consegue che, allo stato della normativa vigente, in

mancanza di un'espressa previsione di diritto intertemporale che

disciplini le spese di un ricorso divenuto irricevibile per effetto

della sopravvenuta introduzione di un mezzo di tutela dinanzi al

giudice nazionale, la censura in esame non può trovare accogli mento, dovendo confermarsi la perdurante validità dell'inter

pretazione univoca della giurisprudenza innanzi richiamata.

Il rigetto del quarto motivo del ricorso principale comporta la

restituzione degli atti alla sezione rimettente per l'esame degli ulteriori motivi del ricorso principale, nonché del ricorso inci

dentale.

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 17

aprile 2002 Carlo Centurione Scotto conveniva in giudizio di

nanzi alla Corte d'appello di Genova la presidenza del consiglio dei ministri per sentirla condannare al pagamento di una somma

a titolo di equo indennizzo dei danni patrimoniali e non patri moniali per la non ragionevole durata di cinque giudizi da lui

promossi dinanzi al Tar Toscana, rispettivamente il 6 giugno 1990, il 9 novembre 1993, il 28 novembre 1997, il 16 febbraio

1998 e il 6 marzo 1998, tuttora in attesa di fissazione dell'u

dienza di discussione.

Con decreto del 18 giugno - 17 luglio 2002 la corte adita ri

gettava la domanda osservando preliminarmente che il ricor

rente non aveva titolo per far valere eventuali danni riferibili a

ritardi maturati prima del 18 aprile 2001, data di entrata in vigo re della 1. n. 89 del 2001. Quindi, passando ad esaminare i vari

processi pendenti, affermava che per il primo di essi, promosso dalla sig. Maria Teresa Salviati, madre del ricorrente che in

qualità di erede aveva provveduto alla riassunzione, la domanda non poteva trovare accoglimento poiché la riassunzione era av

venuta solo il 4 settembre 2001, e non era trascorso neppure un

anno dal momento in cui era divenuto parte processuale; che per il secondo e il terzo la domanda era priva di fondamento essen

do decorsi solo tre anni dalla presentazione dell'istanza di pre lievo; che parimenti infondata doveva ritenersi la domanda per

!i Foro Italiano — 2006.

il quarto e il quinto processo per i quali l'istanza di prelievo non

era stata neppure presentata. Contro la sentenza ricorre per cassazione con due motivi

Carlo Centurione Scotto.

Non ha presentato difese la presidenza del consiglio dei mini

stri.

Con ordinanza del 9 marzo - 26 giugno 2002 è stata disposta la rimessione degli atti al primo presidente che ha provveduto

all'assegnazione del ricorso alle sezioni unite per la risoluzione

della questione di particolare importanza relativa all'individua

zione del momento in cui sorge il diritto alla durata ragionevole del processo nonché del contrasto di giurisprudenza relativo al

l'accertamento del momento iniziale ai fini del computo del

termine di durata del processo amministrativo.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo viene denun

ciata la violazione e la falsa applicazione dell'art. 6, n. 1. della

convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo ratificata

con la 1. 4 agosto 1955 n. 848, in relazione all'art. 360, n. 3,

c.p.c. e si contesta l'affermazione secondo cui solo dalla data di

entrata in vigore della 1. n. 89 del 2001 sarebbe sorto il diritto

all'equa riparazione, prima non esistente nel vigente sistema po sitivo, con la conseguente esclusione della legittimazione degli eredi alla proposizione della domanda di equo indennizzo per l'eccessiva durata di un processo instaurato dal loro dante causa

prima di tale data.

La questione è stata sinora decisa in senso negativo dalla giu

risprudenza di questa corte la quale ha considerato che la 1. n.

89 del 2001 contempla senza limitazioni temporali le violazioni

del canone di ragionevole durata del processo verificatesi dopo la ratifica della Convenzione dei diritti dell'uomo, ma che, in

assenza di un'espressa previsione di retroattività della norma

interna costitutiva del diritto all'equo indennizzo, resta esclusa

la nascita di tale diritto in capo a un soggetto deceduto prima della sua entrata in vigore e, conseguentemente, la sua trasmis

sibilità agli eredi (Cass. 11 dicembre 2002, n. 17650, Foro it., Rep. 2004, voce Diritti politici e civili, n. 186; 14 gennaio 2003, n. 360, ibid., n. 187); e ciò anche se la parte, poi deceduta, aves

se già proposto ricorso alla corte di Strasburgo in quanto la fat

tispecie riparatoria prevista dalla normativa comunitaria non co

stituiva un diritto azionabile dinanzi a un giudice diverso da

quello europeo. Tali considerazioni trovavano un ulteriore ele

mento di conferma nel rilievo che la norma transitoria dell'art. 6

1. n. 89 del 2001 aveva natura di norma sostanziale e non pro cessuale e non prevedeva alcuna translatio iudicii ma consenti

va unicamente una circoscritta e limitata applicazione retroatti

va del nuovo istituto dell'equa riparazione con riferimento ai

soli giudizi per i quali si fosse già avuto il tempestivo deposito del ricorso dinanzi alla corte di Strasburgo e non fosse ancora

intervenuta una dichiarazione di ricevibilità del ricorso stesso

(Cass. 4 aprile 2003, n. 5264, id., Rep. 2003, voce cit., n. 156). Ciò premesso, merita accoglimento l'invito a riconsiderare la

fondatezza di tale orientamento interpretativo, contenuto nel

l'ordinanza di rimessione, sulla base dell'evoluzione della giu

risprudenza delle sezioni unite le quali, con le sentenze in data

26 gennaio 2004, nn. 1339 e 1340 (id., Rep. 2004, voce cit., nn.

268, 277, e id., 2004,1, 693) hanno identificato il fatto costituti

vo prefigurato dall'art. 2 1. n. 89 del 2001 proprio nel mancato

rispetto del termine ragionevole di durata del processo stabilito

dall'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti del

l'uomo, e hanno negato, conseguentemente, che la fattispecie

prevista dalla norma interna assumesse connotati diversi da

quelli stabiliti dalla convenzione, rispetto alla quale essa an

drebbe considerata non già costitutiva del diritto all'equa ripa razione per la non ragionevole durata del processo, bensì uni

camente istitutiva della via di ricorso interno, prima inesistente, diretta ad assicurare una tutela pronta ed efficace alla vittima

della violazione del canone di ragionevole durata del processo in attuazione del disposto dell'art. 13 della convenzione il quale stabilisce il diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza na

zionale il cui esperimento preventivo opera, a norma dell'art.

35, come condizione di procedibilità del ricorso alla corte di

Strasburgo che, ai sensi dell'art. 34, era proponibile in via im

mediata e diretta prima dell'introduzione del ricorso negli ordi

namenti nazionali.

Va ricordato al riguardo che l'art. 1 della convenzione stabili

sce che «le parti contraenti riconoscono ad ogni persona sog

getta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti dal titolo

primo della convenzione», tra i quali è compreso il diritto ad un

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M. Iannelli (concl. conf.); Catra (Avv. Vespaziani) c. Min. giustizia (Avv. dello Stato Palatiello).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

processo equo e di durata ragionevole (art. 6), che dev'essere tutelato attraverso il ricorso a un'istanza nazionale (art. 13), la cui introduzione nell'ordinamento vigente è avvenuta tardiva

mente, solo a seguito del moltiplicarsi delle condanne nei con fronti dello Stato in sede comunitaria per il pregiudizio deri vante dalla non ragionevole durata dei processi.

La 1. 4 agosto 1955 n. 848, provvedendo a ratificare e rendere

esecutiva la convenzione, ha introdotto nell'ordinamento inter

no i diritti fondamentali, aventi natura di diritti soggettivi pub blici, previsti dal titolo primo della convenzione e in gran parte coincidenti con quelli già indicati nell'art. 2 Cost., rispetto al

quale il dettato della convenzione assume una portata confer

mativa ed esemplificativa (Corte cost. 22 ottobre 1999, n. 388,

id., 2000,1, 1072). La natura immediatamente precettiva delle norme convenzio

nali a seguito di ratifica dello strumento di diritto internazionale

è stata già del resto riconosciuta esplicitamente dalla giurispru denza di questa corte che ha affermato l'avvenuta abrogazione dell'art. 34, 2° comma, r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, nella parte in cui escludeva la pubblicità della discussione della causa nel

giudizio disciplinare a carico di magistrati per contrasto con la

regola della pubblicità delle udienze sancito dall'art. 6 della

convenzione che pone precisi limiti alla discussione della causa

a porte chiuse (sez. un. 10 luglio 1991, n. 7662, id., Rep. 1992, voce Ordinamento giudiziario, n. 173); parimenti ha ricono

sciuto il carattere di diritto soggettivo fondamentale, insoppri mibile anche dal legislatore ordinario, al diritto all'imparzialità del giudice nell'amministrazione della giustizia, con richiamo

all'art. 6 della convenzione (Cass. 26 marzo 2002, n. 4297, id.,

2002,1, 1612), e, infine, ha espressamente riconosciuto la natura

sovraordinata alle norme della convenzione sancendo l'obbligo

per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la

norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso con

creto (Cass. 19 luglio 2002. n. 10542, ibid., 2606). Deve esser quindi superato l'orientamento secondo cui la

fonte del riconoscimento del diritto all'equa riparazione dev'es

sere ravvisata nella sola normativa nazionale (Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, id., Rep. 2002, voce Diritti politici e civili, n. 152; 8 agosto 2002, n. 11987, id., 2003, I, 838; 22 novembre 2002, n. Ì6502, id., Rep. 2003, voce cit., n. 112; 10 aprile 2003, n. 5664, id., 2005,1, 191; 10 settembre 2003, n. 13211, id., Rep. 2003, voce cit., n. 286) e ribadito il principio che il fatto costi

tutivo del diritto all'indennizzo attribuito dalla legge nazionale

coincide con la violazione della norma contenuta nell'art. 6

della convenzione, di immediata rilevanza nel diritto interno.

Né appare meritevole di consenso la distinzione adombrata in

sede di discussione orale, tra diritto ad un processo di ragione vole durata, introdotto dalla convenzione per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo (o addirittura ad essa preesistente come valore

costituzionalmente protetto), e diritto all'equa riparazione, che

sarebbe stato introdotto solo con la I. n. 89 del 2001, in quanto la tutela assicurata dal giudice nazionale non si discosta da

quella precedente offerta dalla corte di Strasburgo, alla cui giu

risprudenza è tenuto a conformarsi il giudice nazionale (sez. un.

26 gennaio 2004, n. 1340, cit.). Da ciò consegue che il diritto all'equa riparazione del pregiu

dizio derivato dalla non ragionevole durata del processo verifi

catosi prima dell'entrata in vigore della 1. n. 89 del 2001 va ri

conosciuto dal giudice nazionale anche in favore degli eredi

della parte che abbia introdotto prima di tale data il giudizio del

quale si lamenta la non ragionevole durata, col solo limite che la

domanda di equa riparazione non sia stata già proposta alla

corte di Strasburgo e che questa si sia pronunciata sulla sua ri

cevibilità. L'accoglimento del primo motivo di ricorso non preclude

l'esame del secondo motivo, avente natura autonoma, con il

quale si lamenta il vizio di motivazione su un punto decisivo

della controversia con riferimento all'affermazione, posta a

fondamento della statuizione di rigetto della domanda di equa

riparazione per l'eccessiva durata dei processi pendenti dinanzi

al giudice amministrativo, secondo cui la mancata o tardiva pre sentazione dell'istanza di prelievo escluderebbe la permanenza di un interesse alla decisione in capo al ricorrente, non essendo

dato riscontrare l'esistenza di una presunzione generale in tal

senso.

Va premesso al riguardo che nel sistema vigente prima del

l'entrata in vigore della 1. n. 205 del 2000 — al quale deve farsi

riferimento per i giudizi dei quali si lamenta nella specie la non

Il Foro Italiano — 2006.

ragionevole durata — il processo amministrativo richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario, infungibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito del ricorso (o dall'ultimo atto della procedura quando venga or

dinata un'attività istruttoria o la causa sia stata cancellata dal

ruolo) di un'apposita istanza di fissazione, in mancanza della

quale la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, il processo è dominato dal potere di iniziati va del giudice e non costituisce, perciò, adempimento necessa

rio l'istanza di prelievo del ricorso dal ruolo, prevista dall'art.

51,2° comma, r.d. n, 642 del 1907, che ha il solo fine di fare di

chiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione antici

pata sovvertendo l'ordine cronologico di iscrizione delle do

mande di fissazione dell'udienza di discussione.

Orbene, con riferimento al problema dell'individuazione del

momento iniziale dal quale decorre la durata del procedimento amministrativo instaurato prima dell'entrata in vigore della 1. n.

205 del 2000 la giurisprudenza prevalente afferma che esso co

incide con quello della presentazione dell'istanza di prelievo, ritenendo sufficiente a tal fine l'onere posto a carico del ricor

rente di avvalersene per trarre il ricorso da una condizione di

quiescenza e ottenerne l'effettiva trattazione, in considerazione

del fatto che l'art. 2, 2° comma, 1. n. 89 del 2001 esclude l'ad

debitabilità all'amministrazione dei tempi imputabili alla negli

gente condotta della parte che non si sia avvalsa dello strumento

acceleratorio posto a sua disposizione, sicché solo dal momento

della presentazione di tale istanza il decorso del tempo potrebbe considerarsi parametro esclusivo di valutazione del comporta mento del giudice adito al fine di valutare la ragionevolezza della durata del processo (Cass. 5 novembre 2002, n. 15445, id.,

Rep. 2002, voce cit., nn. 181, 183; 14 novembre 2002, n. 15992,

ibid., n. 197; 17 aprile 2003, n. 6180, id., Rep. 2003, voce cit., n. 132; 1° dicembre 2004, n. 22503, id., Rep. 2004, voce cit., n.

250). A tale interpretazione si contrappone un orientamento mino

ritario secondo cui la mancata presentazione dell'istanza di pre lievo non può influire sul calcolo dei termini del processo, ma

potrebbe incidere unicamente sulla determinazione dell'entità

dell'equa riparazione spettante con riferimento al dettato del

l'art. 2056 c.c. richiamato nell'art. 2 1. n. 89 del 2001, che a sua

volta richiama l'art. 1227, il quale al 2° comma esclude il risar

cimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare

usando l'ordinaria diligenza, col risultato che la durata irragio nevole del processo, ancorché accertata, non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello Stato (Cass. 6 marzo 2003, n.

3347, id., Rep. 2003, voce cit., n. 131). Va segnalato che successivamente all'ordinanza di rimessio

ne degli atti al primo presidente, è intervenuta una nuova pro nuncia (Cass. 13 dicembre 2004, n. 23187, id.. Rep. 2004, voce

cit., n. 215) con la quale, in adesione all'orientamento ripetuta mente espresso dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, ha già proceduto alla revisione dell'interpretazione sinora pre valente affermando che la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di

tempo decorso dall'instaurazione del procedimento, senza che

su di esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione dell'istanza di prelievo.

Tale interpretazione, che ha incontrato il consenso delle deci

sioni che si sono succedute sulla questione in esame (Cass. 12

ottobre 2005, n. 19801, che segue), merita ulteriore conferma in

considerazione del fatto — evidenziato nella motivazione della

citata pronuncia — che la presenza di strumenti sollecitatori non

sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla

domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente della respon sabilità per il superamento del termine ragionevole per la defi

nizione del giudizio, salva restando la valutazione del compor tamento della parte al solo fine dell'apprezzamento dell'entità

del lamentato pregiudizio. In conclusione il ricorso merita accoglimento e conseguente

mente il decreto impugnato dev'essere cassato con rinvio della

causa ad altro giudice il quale si conformerà ai principi di diritto

innanzi enunciati.

Ili

Svolgimento del processo. — 1. - Francesco Ginesu, dedu

cendo di avere subito un danno non patrimoniale per l'eccessiva

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PARTE PRIMA 1432

durata di un giudizio promosso nel dicembre 1993 dinanzi al Tar Sardegna (giudizio riguardante il pagamento del compenso per ore di lezione effettuate, in qualità di docente universitario, a favore dell'unità sanitaria locale n. 1 della Sardegna), con ri corso depositato il 24 febbraio 2003 chiedeva alla Corte d'ap pello di Cagliari di condannare la presidenza del consiglio dei ministri al versamento di un'equa riparazione, ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89.

2. - La presidenza del consiglio dei ministri resisteva alla domanda attrice.

3. - La Corte d'appello di Cagliari, con decreto depositato il 19 maggio 2003, respingeva la domanda, sul rilievo che dinanzi al Tar il ricorrente, dopo avere sollecitamente depositato (il 14

dicembre 1993, unitamente al ricorso) l'istanza di fissazione dell'udienza di discussione, aveva atteso fino al 17 gennaio 2001 per presentare l'istanza di prelievo, e che, a far tempo da

quest'ultima data, il giudizio era stato definito in soli tredici

mesi, ossia in un tempo largamente inferiore a quello, massimo, indicato dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo. Quan

tunque l'istanza di prelievo costituisca una mera facoltà della

parte nel giudizio amministrativo e non un obbligo a suo carico, tuttavia, secondo la corte d'appello, chi abbia ritenuto opportu no non far ricorso agli strumenti offerti dall'ordinamento per accelerare il corso della procedura, non può poi porre, a fonda mento di un preteso diritto alla riparazione del danno da ritardo, il tempo che il mancato utilizzo di tali strumenti abbia determi nato nel processo.

4. - Il Ginesu, con ricorso notificato il 18 ottobre 2003, ha chiesto la cassazione del decreto della corte territoriale, dedu cendo un unico motivo di censura.

5. - L'intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di censura il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 1. 24 marzo 2001 n. 89, anche in relazione all'art. 40, 1° comma, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e agli art. 51 e 53 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, in riferimento all'art. 6, par. 1, della convenzione

per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fonda

mentali, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria moti vazione circa un punto decisivo della controversia.

Ad avviso del ricorrente, non può attribuirsi alla parte la re

sponsabilità per l'eccessiva durata di un processo, ritualmente

promosso e compiutamente coltivato con il deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza, solo per non avere essa segnalato l'urgenza della causa all'organo giudicante. Contrariamente a

quanto ritenuto dalla corte d'appello, il deposito dell'istanza di

prelievo non costituisce il dies a quo dal quale iniziare a calco lare la durata del processo al fine di determinarne la durata ra

gionevole. Per stabilire se la durata di un processo dinanzi al Tar abbia ecceduto la ragionevole durata occorre considerare la data del deposito del ricorso: in questo senso è indirizzata la

giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, della

quale la corte d'appello avrebbe dovuto riconoscere il valore di

precedente. Osserva il ricorrente che mediante l'istanza di prelievo

istituto nato da una prassi giudiziaria non codificata in alcuna

disposizione legislativa o regolamentare — l'avvocato difensore

può segnalare al giudice amministrativo le ragioni che rendono

particolarmente urgente la decisione del ricorso. Tale urgenza, peraltro, è liberamente e insindacabilmente apprezzabile da

parte del giudice amministrativo, tanto che non solo l'accogli mento o la reiezione dell'istanza non richiedono alcuna motiva zione, ma spesso il giudice stesso omette di pronunciarsi sulla richiesta. Mentre l'istanza di fissazione di udienza —

prevista dall'art. 40, 1° comma, r.d. n. 1054 del 1924 —

svolge anche la funzione di impedire l'estinzione del ricorso giurisdizionale per perenzione, l'istanza di prelievo troverebbe un fondamento sol tanto indiretto negli art. 51 e 53 r.d. n. 642 del 1907, che con sentono al Consiglio di Stato (su istanza di parte o anche d'uffi

cio) di derogare all'ordine di trattazione dei procedimenti sulla base dell'iscrizione nell'apposito registro dell'istanza di fissa zione di udienza e di dare la precedenza, invece, ai ricorsi ur

genti. In ogni caso, il mancato utilizzo dell'istanza di prelievo non

potrebbe giustificare il ritardo nella definizione del giudizio: lo Stato italiano ha il dovere di garantire la conclusione di tutti i

processi in un tempo ragionevole, e non solo di quelli in cui sia stata segnalata un'urgenza.

2. - Il motivo di ricorso è fondato.

II. Foro Italiano — 2006.

2.1. - Nel giudizio amministrativo, l'istanza di prelievo —

prevista dall'art. 51,2° comma, del regolamento per la procedu ra dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (ap provato con il r.d. n. 642 del 1907), applicabile, in forza del ri

chiamo contenuto nel 1° comma dell'art. 19 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, anche nei giudizi che si svolgono davanti ai Tar — ha

la funzione di sollecitare una precedenza, diversa da quella ri

sultante dall'ordine cronologico d'iscrizione delle domande di

fissazione dell'udienza nell'apposito registro, nella discussione

dei ricorsi che la parte prospetti come urgenti. Al di là dei casi nei quali è la stessa legge a scandire un'ac

celerazione dell'iter processuale dei giudizi (v., ora, gli art. 21, 12° comma, e 23 bis della legge istitutiva dei Tar, aggiunti, ri

spettivamente, dall'art. 3 e dall'art. 4 1. 21 luglio 2000 n. 205, con riguardo ai giudizi nei quali sia stata accolta una misura

cautelare o a quelli, ad esempio, su procedure di affidamento di incarichi di progettazione, di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere o servizi pubblici, su provvedimenti adottati

dalle autorità amministrative indipendenti o relativi a procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici), l'ordinamento offre al ricorrente la possibilità di sollecitare, at traverso la presentazione dell'istanza di prelievo (nella quale devono essere illustrate le ragioni di urgenza), una trattazione della lite più spedita rispetto all'ordinario. Difatti, i ricorsi che, in accoglimento della predetta istanza o d'ufficio, siano dichia rati urgenti dal presidente, hanno la precedenza (come dispone il 2° comma dell'art. 53 del citato regolamento di procedura), os servato l'ordine d'iscrizione nell'apposito ruolo dei ricorsi ur

genti, contemplato dall'art. 73 del regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 21 aprile 1942 n. 444.

Ma anche là dove non siano state rappresentate particolari ra

gioni di urgenza, ogni processo amministrativo — una volta in dirizzato verso la sua decisione attraverso la presentazione del l'istanza di fissazione dell'udienza (art. 40 r.d. n. 1054 del

1924; art. 23 1. n. 1034 del 1971) — deve essere trattato in tem

pi ragionevoli. I tempi del processo devono essere sempre fun zionali a garantire la certezza delle situazioni che sono oggetto di contestazione, a vantaggio sia del cittadino che della stessa

pubblica amministrazione; e il giudice ha il dovere di esercitare i suoi poteri di direzione del processo, evitando che questo ri

manga nel limbo della pendenza. 2.2. - La Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte rile

vato che la lesione del diritto alla definizione del processo in un

tempo ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice ammini

strativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del relativo procedimento, tenendosi cioè conto del tempo com

plessivo dell'attesa della risposta sulla domanda di giustizia, mentre l'omissione o il ritardo nella presentazione dell'istanza di prelievo non sospendono né differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda medesima, né dunque implicano il trasferimento sui contendenti della responsabilità del supera mento, per tale pronuncia, della scadenza congrua (sentenza 2 settembre 1997, Lapalorcia c. Italia; sentenze 19 maggio 2002. Abate e Ferdinandi c. Italia, Polcari c. Italia, Donato c. Italia).

La 1. n. 89 del 2001 identifica il fatto costitutivo del diritto al l'indennizzo per relationem, tramite il richiamo dell'art. 6, par. 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La convenzione ha istituito un giudi ce (Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo) per il rispetto delle disposizioni in essa contenute, onde non può che riconoscersi a detto giudice il potere di individuare il signi ficato di dette disposizioni e perciò di interpretarle (cfr. sez. un. 26 gennaio 2004, n. 1338, n. 1339 e n. 1340, rispettivamente, Foro it., 2004, I, 693; id.. Rep. 2004, voce Diritti politici e civi

li, nn. 268, 277, e id., 2004,1, 693). Ne deriva che il citato orientamento della corte di Strasburgo,

non trovando ostacoli né nella lettera né nella ratio della stessa 1. n. 89 del 2001, deve essere seguito dal giudice italiano, per ef fetto dell'adesione dell'Italia a detto accordo internazionale, ra tificata a seguito della 1. 4 agosto 1955 n. 848.

2.3. - Dando continuità alla più recente giurisprudenza di

questa corte (13 dicembre 2004, n. 23187, id.. Rep. 2004, voce

cit., n. 215), che si è discostata all'indirizzo precedente che con

figurava il ritardo riferibile all'organo di giustizia e la connessa

insorgenza del diritto all'equa riparazione soltanto se ed a parti re dalla data in cui sia stata depositata l'istanza di prelievo (così

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1° dicembre 2004, n. 22503, ibid., n. 250, e 17 aprile 2003, n. 6180, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 132), deve pertanto affermarsi che la lesione del diritto alla definizione del processo in un tem

po ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione, va ri

scontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del re

lativo procedimento, senza che una tale decorrenza — dalla da

ta, appunto, di proposizione della domanda mediante il deposito del ricorso — del termine ragionevole di durata della causa pos sa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'i

stanza di prelievo o alla ritardata presentazione di essa.

2.4. - Il decreto impugnato deve, pertanto, essere cassato e la

causa va rinviata alla Corte d'appello di Cagliari che, in altra

composizione, la riesaminerà uniformandosi al principio sopra enunciato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28498; Pres. ed est. Carbone, P.M. Sor

rentino (conci, diff.); Fall. soc. Carafa trasporti (Avv. Cen

tonze) c. Soc. Marzano petroli (Avv. Zompi). Cassa App. Lecce 8 febbraio 2000.

Appello civile — Onere della prova — Ripartizione (Cod.

civ., art. 2697; cod. proc. civ., art. 342).

Essendo l'appellante tenuto a fornire la dimostrazione della

fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni

offerte dalla sentenza impugnata, il cui riesame è chiesto per ottenere la riforma del capo decisorio appellato, l'appello da

lui proposto, in mancanza di tale dimostrazione, deve essere, in base ai principi, respinto, con conseguente conferma so

stitutiva dei capi di sentenza appellati, quale che sia stata la

posizione da lui assunta nella precedente fase processua le. (1)

(1) Non constano precedenti esattamente in termini. In varia misura e sotto diversi profili contrastanti con il principio af

fermato dalle sezioni unite sembrano invece Cass. 15 gennaio 2004, n.

511, Foro it.. Rep. 2004, voce Prova civile in genere, n. 26, e Arch,

civ., 2004, 1343, da cui è stata confermata la decisione che. in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda di un medico fiscale diretta al conseguimento dei compensi per le visite di controllo da lui eseguite, sul rilievo della mancata produzione in appello delle di stinte riepilogative di controllo, già prodotte dal medico in primo grado e contestate dalla controparte per l'inidoneità a far presumere la con creta effettuazione delle visite per le quali il sanitario chiedeva il com

penso; 3 luglio 2003, n. 10475, Foro it., Rep. 2004, voce Appello civile, n. 85, e Arch, civ., 2004, 645, secondo cui «ai sensi dell'art. 345 c.p.c., non sono inammissibili quei motivi di impugnazione con i quali il con

venuto, soccombente nel giudizio di primo grado, 'eccepisca' la man canza della prova del diritto controverso, atteso che la doglianza propo sta dall'appellante non costituisce eccezione in senso tecnico (la quale incontra il divieto di proposizione in appello, ai sensi dell'art. 345, 2°

comma, cit.) ma una mera sollecitazione dei poteri ufficiosi del giudice il quale deve rilevare d'ufficio la mancanza della prova dei fatti posti a base della pretesa dell'attore, atteso che, ai sensi dell'art. 2697 c.c., chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costitui scono il fondamento»; a dispetto della massima ufficiale, Cass. 8 mag gio 2003. n. 6987, Foro it.. Rep. 2003, voce Prova documentale, n. 31, e Arch, civ., 2004, 413, nella cui motivazione si spiega che «la parte vittoriosa in primo grado, che rimanga contumace in appello, e quindi non ridepositi i documenti in precedenza prodotti, non può che incorre re nella sanzione della soccombenza, per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favore

voli, in quanto il giudice di appello, come quello di prime cure, deve decidere la causa in base solo alle prove che siano ritualmente e diret

tamente sottoposte al suo esame in sede di decisione» (nella specie, la

Suprema corte ha rigettato il motivo del ricorso proposto contro la sentenza con cui la corte di appello aveva riformato la decisione di condanna in ragione appunto della mancanza in atti, dovuta alla contu

II Foro Italiano — 2006.

Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato il 5

maggio 1993, la curatela del fallimento della Carafa trasporti s.n.c. (d'ora innanzi: società fallita) conveniva in giudizio, in

nanzi al Tribunale di Lecce, la Marzano petroli s.a.s. (d'ora in

nanzi: convenuta), esponendo: — che, l'anno anteriore alla dichiarazione del proprio falli

mento (pronunziato il 23 giugno 1992), la società fallita aveva effettuato pagamenti, in favore della convenuta, per un importo

complessivo di lire 182.017.575 per forniture di gasolio;

macia dell'appellato, dei documenti che avrebbero dovuto dimostrare la fondatezza della domanda accolta in primo grado); ed ancora Cass. 4

aprile 1989, n. 1625, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 286, e Arch, civ., 1989, 965, a detta della quale «il di vieto di nuove eccezioni in appello concerne soltanto le eccezioni in senso proprio, relative a fatti impeditivi, modificativi o estintivi del di ritto fatto valere in giudizio, non rilevabili di ufficio, e non anche le ec cezioni c.d. improprie o mere difese volte soltanto a negare l'esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda o a contestare il valore pro batorio dei mezzi di istruzione esperiti in primo grado, né il predetto divieto può incidere sull'obbligo del giudice di appello di riesaminare e di valutare autonomamente, nei limiti segnati dai motivi d'impugnazio ne, le risultanze istruttorie ai fini del riesame della controversia alla

stregua delle censure prospettate dall'appellante». In ogni caso la decisione a sezioni unite non è dipesa dalla denuncia

di un contrasto giurisprudenziale, quanto piuttosto dalla presenza di una

questione ritenuta di particolare importanza e relativa alla possibile in conciliabilità — prospettata dall'ordinanza di rimessione — fra «il ca rattere devolutivo tradizionalmente attribuito al giudizio di appello», nel quale oggetto di esame da parte del giudice superiore è «(non la sentenza impugnata, ma) il rapporto giuridico controverso già sottopo sto all'esame del giudice di primo grado», e le sentenze della Suprema corte che addossano all'appellante l'onere di «produrre, o ripristinare in appello, se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli ba sa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della fa coltà di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti (art. 76 disp. att. c.p.c.), perché questi documenti possano es sere sottoposti all'esame del giudice di appello, per cui egli subisce le

conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte quando questo conteneva documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello, tenuto a decidere, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., sulla base del materiale probatorio sottopo sto al suo esame, non ha, quindi, la possibilità di esaminare»: così si

esprimono, Cass. 24 febbraio 1993, n. 2280, Foro it.. Rep. 1993, voce

Appello civile, n. 6, che pertanto ha escluso la possibilità di procedere in appello alla diversa interpretazione del contratto richiesta dall'ap pellante, il quale non aveva prodotto il documento, e Cass. 6 marzo

1998, n. 2482, id., Rep. 1998, voce cit., n. 50, che ha cassato la senten za di appello con cui la domanda accolta in primo grado era stata re

spinta non avendo l'appellato ridepositato la propria produzione conte nente il contratto, la cui nullità l'appellante aveva dedotto.

Le due pronunce appena menzionate fanno ricadere sull'appellante le

conseguenze negative di un'evenienza forse non frequentissima, quella del definitivo ritiro del fascicolo di parte in cui siano contenuti docu menti utili all'avversario, rispetto alla quale va segnalata la soluzione — prefigurata pure, ma in una prospettiva de iure condendo, da Ruffi

ni, Produzione ed esibizione dei documenti, comunicazione al XXV

convegno nazionale dell'Associazione italiana fra gli studiosi del pro cesso civile, Cagliari, 7-8 ottobre 2005, 5 ss. del dattiloscritto — costi tuzionalmente orientata suggerita dalle sezioni unite, che in un ampio obiter ipotizzano «l'imposizione, a carico della parte che nel corso del

processo chieda il ritiro del proprio fascicolo, dell'onere di depositare copia dei documenti probatori ... in esso . . . inseriti», così da «far sal va la piena attuazione del principio di acquisizione delle prove».

La sentenza in rassegna colloca queste due decisioni — e soprattutto il ben più ampio principio di cui alla massima — nell'ambito del «pro cesso evolutivo del giudizio di appello» il quale nel vigore del codice di rito del 1940, pur rimanendo impugnazione sostitutiva, avrebbe ormai assunto i caratteri della revisio. Processo evolutivo che, pur se «reso ancor più evidente dalla novella del 1990 che ... ha eliminato gli ef fetti sospensivi dell'impugnazione e ha posto notevoli limitazioni alla

possibilità di introdurre elementi di novità», dalla Suprema corte viene

principalmente ricondotto all'introduzione degli art. 342 e 346 c.p.c. Con riferimento ai motivi specifici dell'impugnazione vale la pena di

ricordare che per un orientamento liberale, ormai risalente, essendo

l'appello un «mezzo di impugnazione rivolto ad ottenere non già il controllo della decisione di primo grado, bensì una nuova pronuncia sul diritto fatto valere con la domanda originaria», l'enunciazione di censu re sarebbe richiesta al solo fine di delimitare l'ambito del riesame ri

chiesto al giudice superiore, con una conseguente «attenuazione dell'o

nere di specificazione dei motivi», in special modo percepibile nell'i

potesi dell'appellante, che abbia manifestato la volontà non equivoca di

impugnare integralmente la sentenza di primo grado (cfr., ad esempio, Cass. 9 agosto 1983, n. 5322, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 90; 10

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