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sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M.Iannelli (concl. conf.); Catra (Avv. Vespaziani) c. Min. giustizia (Avv. dello Stato Palatiello).Conferma App. Trento, decr. 15 giugno 2002 e rimette gli atti a sezione sempliceSource: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 5 (MAGGIO 2006), pp. 1423/1424-1433/1434Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203230 .
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1423 PARTE PRIMA
Ritiene la corte che la censura è infondata poiché nell'ultima
pagina della sentenza c'è l'attestazione di conformità della co
pia all'originale da parte del consigliere segretario, e poiché
quella pagina viene data per firmata sia da parte del presidente avv. Fiero Alpa e sia da parte del segretario avv. Ubaldo Perfet
ti. E questo è sufficiente per ritenere che l'originale della deci
sione è stato firmato.
Con il terzo motivo l'avv. Porfilio ha denunciato eccesso di
potere e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un punto decisivo della controversia in quanto il Consiglio nazionale forense non ha preso in esame tutti i rilievi mossi ne
gli scritti difensivi. Questa censura, per la sua estrema genericità, contrasta con i!
principio di autosufficienza del ricorso ed è quindi inammissi bile.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28508; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M. Iannelli (conci, conf.); Catra (Avv. Vespaziani) c. Min. giu stizia (Avv. dello Stato Palatiello). Conferma App. Trento, decr. 15 giugno 2002 e rimette gli atti a sezione semplice.
Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo — Equa riparazione —
Spese sostenute presso la Corte europea dei diritti dell'uomo — Rimborsabilità —
Esclusione (Cod. proc. civ., art. 90, 91; 1. 4 agosto 1955 n.
848, ratifica ed esecuzione della convenzione per la salva
guardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fir mata a Roma il 4 novembre 1950 e del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952:
convenzione, art. 6, 35; 1. 24 marzo 2001 n. 89, previsione di
equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 c.p.c.).
Non sussiste il diritto al rimborso delle spese sostenute per il ri corso inizialmente presentato alla Corte europea dei diritti
dell'uomo, divenuto in seguito irricevibile per effetto della
sopravvenuta introduzione di un mezzo di tutela dinanzi al
giudice nazionale per il risarcimento dei danni da irragione vole durata del processo. ( 1 )
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28507; Pres. Carbone, Est. Vitrone, P.M.
(1) La decisione in epigrafe (unitamente alla decisione «gemella» resa, nella stessa camera di consiglio e ad opera dello stesso estensore, da Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28515, inedita) conferma l'in dirizzo già adottato dalle sezioni semplici: ravvisando una netta solu zione di continuità tra giudizio innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo e giudizi innanzi al giudice nazionale, nonché escludendo la
configurabilità delle spese processuali in termini di danno suscettibile di riparazione ex lege 89/01, nega che le spese di giustizia sostenute nel preventivo ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo possano formare oggetto di rimborso.
In precedenza, nello stesso senso, cfr. Cass. 9 gennaio 2004, n. 123, Foro it., Rep. 2004, voce Diritti politici e civili, n. 283; 17 aprile 2003, n. 6163, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 198; 3 gennaio 2003, n. 4, ibid., n. 263; 20 dicembre 2002, n. 18139, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 223.
Mutatis mutandis, deve parimenti escludersi che nell'indennizzo ex lege 89/01 possano ricondursi le spese sopportate nel giudizio presup posto, la cui durata è stata stimata come irragionevole: cfr. Cass. 16 febbraio 2005, n. 3318, id., Mass., 210; 5 agosto 2004, n. 15106, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 288; 17 aprile 2003, n. 6163, cit.
Il Foro Italiano — 2006.
Iannelli (conci, conf.); Centurione (Avv. Giacomini) c. Pres.
cons, ministri (Avv. dello Stato Palatiello). Cassa App. Ge
nova, decr. 17 luglio 2002.
Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo — Equa riparazione —
Disciplina — Retroattivi
tà — Fattispecie (Cost., art. 2; 1. 4 agosto 1955 n. 848: con
venzione, art. 1, 6, 13, 34, 35; 1. 24 marzo 2001 n. 89, art. 2,
6). Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del
processo — Equa riparazione — Giudizio amministrativo
— Presentazione dell'istanza di prelievo — Irrilevanza
{Cod. civ., art. 1227, 2056; r.d. 17 agosto 1907 n. 642, rego lamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, art. 51; 1. 21 luglio 2000 n. 205, dispo sizioni in materia di giustizia amministrativa; 1. 24 marzo
2001 n. 89, art. 2).
Sussiste il diritto all'equa riparazione per l'irragionevole du
rata di un processo nel periodo anteriore ali 'entrata in vigo re della I. 89/01 (nella specie, la Suprema corte ha conse
guentemente affermato la fondatezza della domanda formu lata dagli eredi della parte, in considerazione dell'esistenza e
trasmissibilità del diritto). (2) La valutazione della ragionevole durata del processo davanti al
(2) Viene così composto il contrasto di giurisprudenza circa la por tata ricognitiva o costitutiva delle norme della 1. 89/01, che disciplinano il diritto all'indennizzo in attuazione dell'art. 6 della convenzione eu
ropea dei diritti dell'uomo. Secondo l'indirizzo precedente, ora sconfessato, sarebbe da preferire
l'opinione restrittiva e ritenere insussistente il diritto all'equa ripara zione per il ritardo processuale maturato anteriormente all'entrata in
vigore della c.d. legge Pinto, e ciò anche in considerazione della portata costitutiva e dell'irretroattività della relativa disciplina: cfr. Cass. 6 ot tobre 2005, n. 19445. Foro it.. Mass., 1332, che sottolinea la mancanza di una norma della 1. 89/01 che ne preveda espressamente l'applicazio ne alle situazioni esaurite, salvo il disposto dell'art. 6 1. cit. per i ricorsi
già pendenti alla Corte europea dei diritti dell'uomo; 4 aprile 2003, n. 5264, id.. Rep. 2003, voce Diritti politici e civili, n. 156, secondo cui «il diritto all'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, introdotto dalla 1. 24 marzo 2001 n. 89 con efficacia non retroattiva (salvo il limite risultante dalla norma di diritto intertempo rale di cui all'art. 6 ed alle condizioni ivi previste), non può essere ac
quisito da persona che, al momento dell'entrata in vigore di detta legge, non era più in vita, giacché con la morte viene meno la soggettività giu ridica e, di conseguenza, la capacità di assumere la titolarità di situa zioni giuridiche; in tal caso, pertanto, il diritto all'indennizzo neppure può essere preteso dall'erede del defunto, non essendo trasmissibile al 1 erede ciò che non è esistente nel patrimonio del de cuius al momento del decesso»; nello stesso senso, cfr. Cass. 14 gennaio 2003, n. 360, id..
Rep. 2004, voce cit.. n. 187; 11 dicembre 2002, n. 17650, ibid., n. 186; il carattere irretroattivo della 1. 89/01 è stato affermato anche Cass. 30 settembre 2004, n. 19622, ibid., n. 299, sia pure con qualche distinguo, nel senso che «in tema di equa riparazione per superamento del termine di durata ragionevole del processo, la 1. 24 marzo 2001 n. 89, mancan do una norma che espressamente preveda la sua applicabilità anche alle situazioni esaurite, è irretroattiva, salvo il lìmite risultante dalla norma di diritto intertemporale di cui all'art. 6 citata legge (la quale, onde fa vorire la riduzione della pendenza dei ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, estende l'applicazione della legge medesima alle sole situazioni esaurite per le quali, alla data di entrata in vigore di que st'ultima, fosse stato promosso, ma non ancora dichiarato ricevibile, il giudizio dinanzi alla corte europea): poiché per situazione esaurita al momento dell'entrata in vigore della 1. n. 89 del 2001 deve intendersi
quella in cui si sia avuto il passaggio in giudicato della sentenza (o, comunque, la definitività della decisione) conclusiva del processo con
tempi che si assumono irragionevoli, per le fattispecie nei cui riguardi, alla data di entrata in vigore della citata legge, non sia ancora interve nuta la conclusione del processo, e come tali non esaurite, il diritto alla durata ragionevole del processo trova piena tutela indennitaria ai sensi della 1. n. 89 del 2001, e il quantum dell'indennizzo medesimo deve es sere ragguagliato all'intera durata della violazione del termine di durata ragionevole del processo, anche per il periodo precedente all'entrata in
vigore della citata legge». Per superare questo orientamento, la motivazione della decisione in
rassegna dà rilievo determinante ai principi affermati nei precedenti ar resti delle stesse sezioni unite, richiamando in proposito le decisioni re se da Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1341, inedita; 26 gennaio 2004, n. 1340, id., 2004, 1, 693, con nota di richiami; 26 gennaio 2004, n. 1339, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 268; in argomento, cfr. anche Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1338, id., 2004, I, 693, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giudice amministrativo prescinde dalla presentazione dell'i
stanza di prelievo. (3)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 otto
bre 2005, n. 19801; Pres. Criscuolo, Est. Giusti, P.M. Ab
brutì (conci, conf.); Ginesu (Avv. Sotgiu) c. Pres. cons, mi
nistri. Cassa App. Cagliari, decr. 19 maggio 2003.
Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo
— Equa riparazione — Giudizio amministrativo
— Presentazione dell'istanza di prelievo — Irrilevanza
(Cod. civ., art. 1227, 2056; r.d. 17 agosto 1907 n. 642, art. 51,
53; r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, art. 40; r.d. 21 aprile 1942 n. 444, regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato, art. 73; 1. 4
agosto 1955 n. 848; convenzione, art. 6; 1. 6 dicembre 1971 n.
1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art.
19, 23 bis, 31; 1. 21 luglio 2000 n. 205, art. 3, 4: 1. 24 marzo
2001 n. 89, art. 2).
Il termine di ragionevole durata del processo davanti al giudice amministrativo non subisce ostacoli o slittamenti per effetto della mancata o ritardata presentazione dell'istanza di pre lievo. (4)
(3-4) Anche in ordine al problema del possibile rilievo della pre sentazione dell'istanza di prelievo nel processo amministrativo è dato
registrare un'inversione di tendenza rispetto all'orientamento origina riamente assunto dalla giurisprudenza della Suprema corte. Nel senso
predicato dalle decisioni in epigrafe, cfr. Cass. 12 ottobre 2005, n.
19804, Foro it., Mass., 1595; 21 settembre 2005, n. 18759, inedita; 13 dicembre 2004, n. 23187, id.. Rep. 2004, voce Diritti politici e civili, n.
215, secondo la cui massima ufficiale «in tema di equa riparazione ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della
convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice am
ministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza — dalla data,
appunto, di proposizione della domanda — del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di es
sa, salva restando l'eventuale influenza di tali circostanze sotto il diver so profilo della valutazione del comportamento delle parti correlato alla
complessità del caso, ovvero dell'apprezzamento dell'entità del pregiu dizio derivante dal superamento di quella scadenza»; 6 marzo 2003, n.
3347, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 131, ove si afferma che «ai fini del
l'apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma de
gli art. 2 e 3 1. 24 marzo 2001 n. 89, di equa riparazione del danno, pa trimoniale e non patrimoniale, che possa essere derivato al ricorrente
per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole del processo, la
mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, provenienti dalla parte in
teressata, tesi ad ottenere una più spedita trattazione della causa, del
genere della c.d. 'istanza di prelievo' nel processo amministrativo, non
incide sul calcolo dei tempi del processo stesso, nel senso che il difetto
di un tale comportamento rileva, non sul piano dell'an debeatur, ma ai
soli fini della liquidazione dell'equa riparazione anzidetta, onde la pos sibilità di addivenire alla richiesta di simili anticipazioni (come, in sen so più largo, ad altre istanze di natura analoga) integra l'ordinaria dili
genza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza dell'i
potesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall'ordinamento, esclude che la durata irragionevole del giudizio venga imputata esclusi
vamente allo Stato». In precedenza, nel senso opposto, cfr. Cass. 1° dicembre 2004, n.
22503. id.. Rep. 2004, voce cit., n. 250, secondo cui «in tema di equa
riparazione ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89 per violazione della
durata ragionevole del processo, la negligenza della parte, nel giudizio dinanzi al Tar, nella presentazione dell'istanza di prelievo, strumento
offerto dall'ordinamento processuale per pervenire alla più sollecita di
scussione del ricorso, trova la sua collocazione propria, non già nella
sedes materiae della liquidazione del danno (art. 1227, 2° comma, c.c.), ma nello scrutinio di 'adeguatezza' del comportamento della parte ex
art. 2, 2° comma, 1. cit., tra gli elementi costitutivi del fatto generatore dell'indennizzo, rilevando cioè come comportamento oggettivo, deter
minante la mancata attivazione dell'organo di giustizia amministrativa, valutabile come causa, o come concausa, della non ragionevolezza del
tempo trascorso; ne deriva che soltanto con la proposizione di detta
istanza, ed a partire da quella data, il decorrere del tempo diventa
esclusivo parametro di valutazione del comportamento dell'organo di
giustizia ai fini dello scrutinio della ragionevolezza della durata del
processo»; 17 aprile 2003, n. 6180, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 132; 14
novembre 2002, n. 15992, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 197; 5 novembre
2002, n. 15445, ibid., n. 181.
Il Foro Italiano — 2006.
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
11 aprile 2002 Pietro Catra conveniva in giudizio dinanzi alla
Corte d'appello di Trento il ministero della giustizia per sentirlo
condannare alla corresponsione di un equo indennizzo per i
danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per la non ragione vole durata di un processo per risarcimento di danni nel quale era stato convenuto, iniziato il 20 gennaio 1976 e conclusosi il
25 maggio 1998. Con decreto del 7-15 giugno 2002 la corte adita condannava
il ministero al pagamento della somma di euro 2.340 a titolo di
equa riparazione per i danni non patrimoniali e rigettava la do
manda di indennizzo dei danni patrimoniali comprendenti il
rimborso delle spese sostenute per il ricorso presentato alla
Corte europea dei diritti dell'uomo.
Contro il decreto ricorre per cassazione Pietro Catra con
quattro motivi illustrati da memoria.
Resiste il ministero della giustizia con controricorso conte
nente ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
Con ordinanza in data 11 giugno - 17 luglio 2004, n. 13302 è
stata disposta la rimessione degli atti al primo presidente che ha
provveduto all'assegnazione del ricorso alle sezioni unite per la
decisione della questione proposta con il quarto motivo di ricor
so ritenuta di particolare importanza. Motivi della decisione. — Va disposta preliminarmente la ri
unione dei ricorsi proposti contro la medesima sentenza.
Con il quarto motivo di ricorso — l'unico sottoposto all'esa
me delle sezioni unite — si denuncia il vizio di omessa motiva
zione in ordine alla richiesta di rimborso delle spese sostenute
dal ricorrente per la proposizione del ricorso dinanzi alla Corte
europea dei diritti dell'uomo, che sarebbe stata respinta senza
alcun esame delle argomentazioni spese a sostegno della do
manda di indennizzo dei danni patrimoniali tra i quali non po trebbero non comprendersi tali esborsi.
L'ordinanza della sezione rimettente, nel considerare la que
stione, richiama l'orientamento pressoché costante della giuris
prudenza di legittimità che ha negato il rimborso delle spese
giudiziali sostenute per il ricorso inizialmente presentato alla
Corte europea dei diritti dell'uomo (Cass. 20 dicembre 2002, n.
18139, Foro it., Rep. 2002, voce Diritti politici e civili, n. 222;
3 gennaio 2003, n. 4, id., Rep. 2003, voce cit., n. 263; 17 aprile
2003, n. 6163, ibid., n. 198; 9 gennaio 2004, n. 123, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 283; 5 agosto 2004, n. 15106, ibid., n. 288) e
contesta le affermazioni poste a suo fondamento secondo cui, da
un lato, esse non sarebbero conseguenza immediata e diretta
della durata irragionevole del processo e non potrebbero perciò considerarsi danno patrimoniale indennizzabile, e, dall'altro, il
giudice nazionale non avrebbe titolo per liquidare le spese giu diziali relative ad un processo instaurato dinanzi alla corte eu
ropea in mancanza di alcun rapporto di continuità con quello introdotto dinanzi ad esso.
Si osserva nell'ordinanza di rimessione che le due fasi sono
strettamente coordinate e finalizzate al medesimo risultato e che
l'effettiva protezione accordata al diritto ad un processo di ra
gionevole durata non troverebbe adeguata salvaguardia se do
vessero definitivamente restare a carico del ricorrente le spese sostenute per il ricorso proposto al giudice sovranazionale, il
quale accorda costantemente il rimborso delle spese giudiziali in
caso di accoglimento della domanda di indennizzo, domanda
che è stata proposta negli stessi termini al giudice nazionale se
condo quanto prescritto dalla sopravvenuta 1. 24 marzo 2001 n.
89.
L'esigenza di assicurare un'effettiva protezione alla parte
pregiudicata da un processo di eccessiva durata — recentemente
sottolineata da queste sezioni unite che hanno ribadito la neces
sità di un'interpretazione della normativa nazionale conforme
alla giurisprudenza della corte di Strasburgo sino al limite della
questione di costituzionalità nei confronti delle norme che si
ponessero in contrasto insuperabile con l'art. 6 della convenzio
ne per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (sent. 26 gennaio
2004, nn. 1338 e 1339, id., 2004, I, 693, e id., Rep. 2004, voce cit., nn. 268, 277) — non costituisce, tuttavia, ragione suffi
ciente per estendere l'equo indennizzo dei danni patrimoniali sino a comprendere in tale categoria anche gli esborsi sostenuti
per il ricorso dinanzi alla corte di Strasburgo. Va considerato al riguardo che le spese giudiziali sopportate
dalla parte vittoriosa vengono poste a carico del soccombente
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PARTE PRIMA 1428
non già a titolo di ristoro del pregiudizio derivante dalla non ra
gionevole durata del processo, previo accertamento delle condi
zioni richieste dalla legge, bensì sulla base della mera soccom
benza in giudizio (art. 91 c.p.c.), indipendentemente cioè da
ogni valutazione del suo comportamento nel processo com'è
confermato dal rilievo che al rimborso delle spese giudiziali è
tenuto anche il soccombente contumace. Gli esborsi sostenuti a
titolo di spese giudiziali non costituiscono perciò conseguenza immediata e diretta dell'eccessiva durata del processo, posta a
fondamento della domanda di equo indennizzo come fatto gene ratore del danno, ma vengono rimborsati unicamente in dipen denza della vittoria in giudizio la quale comporta l'esclusione di
ogni aggravio economico per la parte vittoriosa, tenuta unica
mente all'anticipo delle spese necessarie (art. 90 c.p.c.). Il giudice nazionale non ha quindi alcun titolo per liquidare le
spese di un ricorso presentato al giudice sovranazionale, dinanzi
al quale non ha mai avuto inizio alcun processo, poiché, per il
principio di sussidiarietà sancito dall'art. 35 della convenzione — nel testo sostituito dal protocollo n. Il, adottato in data 11
maggio 1994 e in vigore in Italia dal 1° novembre 1998 — la
corte di Strasburgo non può essere adita se non dopo l'esauri
mento delle vie di ricorso interne che sono state introdotte con
la 1. n. 89 del 2001, cosicché' la domanda di indennizzo proposta dinanzi al giudice nazionale non è strutturata come una prosecu zione di quella pendente dinanzi alla corte di Strasburgo ma co
stituisce l'atto iniziale di un giudizio il cui esaurimento costitui
sce condizione di ricevibilità della domanda che potrà essere
proposta alla corte di Strasburgo nel caso in cui la parte non ab
bia ricevuto un indennizzo adeguato dal giudice nazionale.
Ne' vale obiettare che il giudice sovranazionale liquida co
stantemente a favore della parte vittoriosa le spese di assistenza
e difesa in giudizio, ancorché non obbligatorie in considerazio
ne del fatto che la parte può agire personalmente prescindendo da qualsiasi difesa tecnica, poiché, qualora dopo la presentazio ne della domanda sia stata introdotta una via di ricorso interna, il ricorso alla corte di Strasburgo viene respinto, in quanto irri
cevibile ai sensi dell'art. 35, n. 4, della convenzione, con una
statuizione che non contiene alcuna pronuncia di rimborso delle
spese giudiziali. Da ciò consegue che, allo stato della normativa vigente, in
mancanza di un'espressa previsione di diritto intertemporale che
disciplini le spese di un ricorso divenuto irricevibile per effetto
della sopravvenuta introduzione di un mezzo di tutela dinanzi al
giudice nazionale, la censura in esame non può trovare accogli mento, dovendo confermarsi la perdurante validità dell'inter
pretazione univoca della giurisprudenza innanzi richiamata.
Il rigetto del quarto motivo del ricorso principale comporta la
restituzione degli atti alla sezione rimettente per l'esame degli ulteriori motivi del ricorso principale, nonché del ricorso inci
dentale.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 17
aprile 2002 Carlo Centurione Scotto conveniva in giudizio di
nanzi alla Corte d'appello di Genova la presidenza del consiglio dei ministri per sentirla condannare al pagamento di una somma
a titolo di equo indennizzo dei danni patrimoniali e non patri moniali per la non ragionevole durata di cinque giudizi da lui
promossi dinanzi al Tar Toscana, rispettivamente il 6 giugno 1990, il 9 novembre 1993, il 28 novembre 1997, il 16 febbraio
1998 e il 6 marzo 1998, tuttora in attesa di fissazione dell'u
dienza di discussione.
Con decreto del 18 giugno - 17 luglio 2002 la corte adita ri
gettava la domanda osservando preliminarmente che il ricor
rente non aveva titolo per far valere eventuali danni riferibili a
ritardi maturati prima del 18 aprile 2001, data di entrata in vigo re della 1. n. 89 del 2001. Quindi, passando ad esaminare i vari
processi pendenti, affermava che per il primo di essi, promosso dalla sig. Maria Teresa Salviati, madre del ricorrente che in
qualità di erede aveva provveduto alla riassunzione, la domanda non poteva trovare accoglimento poiché la riassunzione era av
venuta solo il 4 settembre 2001, e non era trascorso neppure un
anno dal momento in cui era divenuto parte processuale; che per il secondo e il terzo la domanda era priva di fondamento essen
do decorsi solo tre anni dalla presentazione dell'istanza di pre lievo; che parimenti infondata doveva ritenersi la domanda per
!i Foro Italiano — 2006.
il quarto e il quinto processo per i quali l'istanza di prelievo non
era stata neppure presentata. Contro la sentenza ricorre per cassazione con due motivi
Carlo Centurione Scotto.
Non ha presentato difese la presidenza del consiglio dei mini
stri.
Con ordinanza del 9 marzo - 26 giugno 2002 è stata disposta la rimessione degli atti al primo presidente che ha provveduto
all'assegnazione del ricorso alle sezioni unite per la risoluzione
della questione di particolare importanza relativa all'individua
zione del momento in cui sorge il diritto alla durata ragionevole del processo nonché del contrasto di giurisprudenza relativo al
l'accertamento del momento iniziale ai fini del computo del
termine di durata del processo amministrativo.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo viene denun
ciata la violazione e la falsa applicazione dell'art. 6, n. 1. della
convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo ratificata
con la 1. 4 agosto 1955 n. 848, in relazione all'art. 360, n. 3,
c.p.c. e si contesta l'affermazione secondo cui solo dalla data di
entrata in vigore della 1. n. 89 del 2001 sarebbe sorto il diritto
all'equa riparazione, prima non esistente nel vigente sistema po sitivo, con la conseguente esclusione della legittimazione degli eredi alla proposizione della domanda di equo indennizzo per l'eccessiva durata di un processo instaurato dal loro dante causa
prima di tale data.
La questione è stata sinora decisa in senso negativo dalla giu
risprudenza di questa corte la quale ha considerato che la 1. n.
89 del 2001 contempla senza limitazioni temporali le violazioni
del canone di ragionevole durata del processo verificatesi dopo la ratifica della Convenzione dei diritti dell'uomo, ma che, in
assenza di un'espressa previsione di retroattività della norma
interna costitutiva del diritto all'equo indennizzo, resta esclusa
la nascita di tale diritto in capo a un soggetto deceduto prima della sua entrata in vigore e, conseguentemente, la sua trasmis
sibilità agli eredi (Cass. 11 dicembre 2002, n. 17650, Foro it., Rep. 2004, voce Diritti politici e civili, n. 186; 14 gennaio 2003, n. 360, ibid., n. 187); e ciò anche se la parte, poi deceduta, aves
se già proposto ricorso alla corte di Strasburgo in quanto la fat
tispecie riparatoria prevista dalla normativa comunitaria non co
stituiva un diritto azionabile dinanzi a un giudice diverso da
quello europeo. Tali considerazioni trovavano un ulteriore ele
mento di conferma nel rilievo che la norma transitoria dell'art. 6
1. n. 89 del 2001 aveva natura di norma sostanziale e non pro cessuale e non prevedeva alcuna translatio iudicii ma consenti
va unicamente una circoscritta e limitata applicazione retroatti
va del nuovo istituto dell'equa riparazione con riferimento ai
soli giudizi per i quali si fosse già avuto il tempestivo deposito del ricorso dinanzi alla corte di Strasburgo e non fosse ancora
intervenuta una dichiarazione di ricevibilità del ricorso stesso
(Cass. 4 aprile 2003, n. 5264, id., Rep. 2003, voce cit., n. 156). Ciò premesso, merita accoglimento l'invito a riconsiderare la
fondatezza di tale orientamento interpretativo, contenuto nel
l'ordinanza di rimessione, sulla base dell'evoluzione della giu
risprudenza delle sezioni unite le quali, con le sentenze in data
26 gennaio 2004, nn. 1339 e 1340 (id., Rep. 2004, voce cit., nn.
268, 277, e id., 2004,1, 693) hanno identificato il fatto costituti
vo prefigurato dall'art. 2 1. n. 89 del 2001 proprio nel mancato
rispetto del termine ragionevole di durata del processo stabilito
dall'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti del
l'uomo, e hanno negato, conseguentemente, che la fattispecie
prevista dalla norma interna assumesse connotati diversi da
quelli stabiliti dalla convenzione, rispetto alla quale essa an
drebbe considerata non già costitutiva del diritto all'equa ripa razione per la non ragionevole durata del processo, bensì uni
camente istitutiva della via di ricorso interno, prima inesistente, diretta ad assicurare una tutela pronta ed efficace alla vittima
della violazione del canone di ragionevole durata del processo in attuazione del disposto dell'art. 13 della convenzione il quale stabilisce il diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza na
zionale il cui esperimento preventivo opera, a norma dell'art.
35, come condizione di procedibilità del ricorso alla corte di
Strasburgo che, ai sensi dell'art. 34, era proponibile in via im
mediata e diretta prima dell'introduzione del ricorso negli ordi
namenti nazionali.
Va ricordato al riguardo che l'art. 1 della convenzione stabili
sce che «le parti contraenti riconoscono ad ogni persona sog
getta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti dal titolo
primo della convenzione», tra i quali è compreso il diritto ad un
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
processo equo e di durata ragionevole (art. 6), che dev'essere tutelato attraverso il ricorso a un'istanza nazionale (art. 13), la cui introduzione nell'ordinamento vigente è avvenuta tardiva
mente, solo a seguito del moltiplicarsi delle condanne nei con fronti dello Stato in sede comunitaria per il pregiudizio deri vante dalla non ragionevole durata dei processi.
La 1. 4 agosto 1955 n. 848, provvedendo a ratificare e rendere
esecutiva la convenzione, ha introdotto nell'ordinamento inter
no i diritti fondamentali, aventi natura di diritti soggettivi pub blici, previsti dal titolo primo della convenzione e in gran parte coincidenti con quelli già indicati nell'art. 2 Cost., rispetto al
quale il dettato della convenzione assume una portata confer
mativa ed esemplificativa (Corte cost. 22 ottobre 1999, n. 388,
id., 2000,1, 1072). La natura immediatamente precettiva delle norme convenzio
nali a seguito di ratifica dello strumento di diritto internazionale
è stata già del resto riconosciuta esplicitamente dalla giurispru denza di questa corte che ha affermato l'avvenuta abrogazione dell'art. 34, 2° comma, r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, nella parte in cui escludeva la pubblicità della discussione della causa nel
giudizio disciplinare a carico di magistrati per contrasto con la
regola della pubblicità delle udienze sancito dall'art. 6 della
convenzione che pone precisi limiti alla discussione della causa
a porte chiuse (sez. un. 10 luglio 1991, n. 7662, id., Rep. 1992, voce Ordinamento giudiziario, n. 173); parimenti ha ricono
sciuto il carattere di diritto soggettivo fondamentale, insoppri mibile anche dal legislatore ordinario, al diritto all'imparzialità del giudice nell'amministrazione della giustizia, con richiamo
all'art. 6 della convenzione (Cass. 26 marzo 2002, n. 4297, id.,
2002,1, 1612), e, infine, ha espressamente riconosciuto la natura
sovraordinata alle norme della convenzione sancendo l'obbligo
per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la
norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso con
creto (Cass. 19 luglio 2002. n. 10542, ibid., 2606). Deve esser quindi superato l'orientamento secondo cui la
fonte del riconoscimento del diritto all'equa riparazione dev'es
sere ravvisata nella sola normativa nazionale (Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, id., Rep. 2002, voce Diritti politici e civili, n. 152; 8 agosto 2002, n. 11987, id., 2003, I, 838; 22 novembre 2002, n. Ì6502, id., Rep. 2003, voce cit., n. 112; 10 aprile 2003, n. 5664, id., 2005,1, 191; 10 settembre 2003, n. 13211, id., Rep. 2003, voce cit., n. 286) e ribadito il principio che il fatto costi
tutivo del diritto all'indennizzo attribuito dalla legge nazionale
coincide con la violazione della norma contenuta nell'art. 6
della convenzione, di immediata rilevanza nel diritto interno.
Né appare meritevole di consenso la distinzione adombrata in
sede di discussione orale, tra diritto ad un processo di ragione vole durata, introdotto dalla convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo (o addirittura ad essa preesistente come valore
costituzionalmente protetto), e diritto all'equa riparazione, che
sarebbe stato introdotto solo con la I. n. 89 del 2001, in quanto la tutela assicurata dal giudice nazionale non si discosta da
quella precedente offerta dalla corte di Strasburgo, alla cui giu
risprudenza è tenuto a conformarsi il giudice nazionale (sez. un.
26 gennaio 2004, n. 1340, cit.). Da ciò consegue che il diritto all'equa riparazione del pregiu
dizio derivato dalla non ragionevole durata del processo verifi
catosi prima dell'entrata in vigore della 1. n. 89 del 2001 va ri
conosciuto dal giudice nazionale anche in favore degli eredi
della parte che abbia introdotto prima di tale data il giudizio del
quale si lamenta la non ragionevole durata, col solo limite che la
domanda di equa riparazione non sia stata già proposta alla
corte di Strasburgo e che questa si sia pronunciata sulla sua ri
cevibilità. L'accoglimento del primo motivo di ricorso non preclude
l'esame del secondo motivo, avente natura autonoma, con il
quale si lamenta il vizio di motivazione su un punto decisivo
della controversia con riferimento all'affermazione, posta a
fondamento della statuizione di rigetto della domanda di equa
riparazione per l'eccessiva durata dei processi pendenti dinanzi
al giudice amministrativo, secondo cui la mancata o tardiva pre sentazione dell'istanza di prelievo escluderebbe la permanenza di un interesse alla decisione in capo al ricorrente, non essendo
dato riscontrare l'esistenza di una presunzione generale in tal
senso.
Va premesso al riguardo che nel sistema vigente prima del
l'entrata in vigore della 1. n. 205 del 2000 — al quale deve farsi
riferimento per i giudizi dei quali si lamenta nella specie la non
Il Foro Italiano — 2006.
ragionevole durata — il processo amministrativo richiede, dopo il deposito del ricorso, un solo necessario, infungibile impulso di parte costituito dalla presentazione nei due anni dal deposito del ricorso (o dall'ultimo atto della procedura quando venga or
dinata un'attività istruttoria o la causa sia stata cancellata dal
ruolo) di un'apposita istanza di fissazione, in mancanza della
quale la causa si estingue per perenzione; una volta presentata tale istanza, infatti, il processo è dominato dal potere di iniziati va del giudice e non costituisce, perciò, adempimento necessa
rio l'istanza di prelievo del ricorso dal ruolo, prevista dall'art.
51,2° comma, r.d. n, 642 del 1907, che ha il solo fine di fare di
chiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione antici
pata sovvertendo l'ordine cronologico di iscrizione delle do
mande di fissazione dell'udienza di discussione.
Orbene, con riferimento al problema dell'individuazione del
momento iniziale dal quale decorre la durata del procedimento amministrativo instaurato prima dell'entrata in vigore della 1. n.
205 del 2000 la giurisprudenza prevalente afferma che esso co
incide con quello della presentazione dell'istanza di prelievo, ritenendo sufficiente a tal fine l'onere posto a carico del ricor
rente di avvalersene per trarre il ricorso da una condizione di
quiescenza e ottenerne l'effettiva trattazione, in considerazione
del fatto che l'art. 2, 2° comma, 1. n. 89 del 2001 esclude l'ad
debitabilità all'amministrazione dei tempi imputabili alla negli
gente condotta della parte che non si sia avvalsa dello strumento
acceleratorio posto a sua disposizione, sicché solo dal momento
della presentazione di tale istanza il decorso del tempo potrebbe considerarsi parametro esclusivo di valutazione del comporta mento del giudice adito al fine di valutare la ragionevolezza della durata del processo (Cass. 5 novembre 2002, n. 15445, id.,
Rep. 2002, voce cit., nn. 181, 183; 14 novembre 2002, n. 15992,
ibid., n. 197; 17 aprile 2003, n. 6180, id., Rep. 2003, voce cit., n. 132; 1° dicembre 2004, n. 22503, id., Rep. 2004, voce cit., n.
250). A tale interpretazione si contrappone un orientamento mino
ritario secondo cui la mancata presentazione dell'istanza di pre lievo non può influire sul calcolo dei termini del processo, ma
potrebbe incidere unicamente sulla determinazione dell'entità
dell'equa riparazione spettante con riferimento al dettato del
l'art. 2056 c.c. richiamato nell'art. 2 1. n. 89 del 2001, che a sua
volta richiama l'art. 1227, il quale al 2° comma esclude il risar
cimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare
usando l'ordinaria diligenza, col risultato che la durata irragio nevole del processo, ancorché accertata, non potrebbe porsi esclusivamente a carico dello Stato (Cass. 6 marzo 2003, n.
3347, id., Rep. 2003, voce cit., n. 131). Va segnalato che successivamente all'ordinanza di rimessio
ne degli atti al primo presidente, è intervenuta una nuova pro nuncia (Cass. 13 dicembre 2004, n. 23187, id.. Rep. 2004, voce
cit., n. 215) con la quale, in adesione all'orientamento ripetuta mente espresso dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, ha già proceduto alla revisione dell'interpretazione sinora pre valente affermando che la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, anche per le cause proposte davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo di
tempo decorso dall'instaurazione del procedimento, senza che
su di esso possa incidere la mancata o ritardata presentazione dell'istanza di prelievo.
Tale interpretazione, che ha incontrato il consenso delle deci
sioni che si sono succedute sulla questione in esame (Cass. 12
ottobre 2005, n. 19801, che segue), merita ulteriore conferma in
considerazione del fatto — evidenziato nella motivazione della
citata pronuncia — che la presenza di strumenti sollecitatori non
sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla
domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente della respon sabilità per il superamento del termine ragionevole per la defi
nizione del giudizio, salva restando la valutazione del compor tamento della parte al solo fine dell'apprezzamento dell'entità
del lamentato pregiudizio. In conclusione il ricorso merita accoglimento e conseguente
mente il decreto impugnato dev'essere cassato con rinvio della
causa ad altro giudice il quale si conformerà ai principi di diritto
innanzi enunciati.
Ili
Svolgimento del processo. — 1. - Francesco Ginesu, dedu
cendo di avere subito un danno non patrimoniale per l'eccessiva
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PARTE PRIMA 1432
durata di un giudizio promosso nel dicembre 1993 dinanzi al Tar Sardegna (giudizio riguardante il pagamento del compenso per ore di lezione effettuate, in qualità di docente universitario, a favore dell'unità sanitaria locale n. 1 della Sardegna), con ri corso depositato il 24 febbraio 2003 chiedeva alla Corte d'ap pello di Cagliari di condannare la presidenza del consiglio dei ministri al versamento di un'equa riparazione, ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89.
2. - La presidenza del consiglio dei ministri resisteva alla domanda attrice.
3. - La Corte d'appello di Cagliari, con decreto depositato il 19 maggio 2003, respingeva la domanda, sul rilievo che dinanzi al Tar il ricorrente, dopo avere sollecitamente depositato (il 14
dicembre 1993, unitamente al ricorso) l'istanza di fissazione dell'udienza di discussione, aveva atteso fino al 17 gennaio 2001 per presentare l'istanza di prelievo, e che, a far tempo da
quest'ultima data, il giudizio era stato definito in soli tredici
mesi, ossia in un tempo largamente inferiore a quello, massimo, indicato dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo. Quan
tunque l'istanza di prelievo costituisca una mera facoltà della
parte nel giudizio amministrativo e non un obbligo a suo carico, tuttavia, secondo la corte d'appello, chi abbia ritenuto opportu no non far ricorso agli strumenti offerti dall'ordinamento per accelerare il corso della procedura, non può poi porre, a fonda mento di un preteso diritto alla riparazione del danno da ritardo, il tempo che il mancato utilizzo di tali strumenti abbia determi nato nel processo.
4. - Il Ginesu, con ricorso notificato il 18 ottobre 2003, ha chiesto la cassazione del decreto della corte territoriale, dedu cendo un unico motivo di censura.
5. - L'intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di censura il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 1. 24 marzo 2001 n. 89, anche in relazione all'art. 40, 1° comma, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e agli art. 51 e 53 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, in riferimento all'art. 6, par. 1, della convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fonda
mentali, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria moti vazione circa un punto decisivo della controversia.
Ad avviso del ricorrente, non può attribuirsi alla parte la re
sponsabilità per l'eccessiva durata di un processo, ritualmente
promosso e compiutamente coltivato con il deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza, solo per non avere essa segnalato l'urgenza della causa all'organo giudicante. Contrariamente a
quanto ritenuto dalla corte d'appello, il deposito dell'istanza di
prelievo non costituisce il dies a quo dal quale iniziare a calco lare la durata del processo al fine di determinarne la durata ra
gionevole. Per stabilire se la durata di un processo dinanzi al Tar abbia ecceduto la ragionevole durata occorre considerare la data del deposito del ricorso: in questo senso è indirizzata la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, della
quale la corte d'appello avrebbe dovuto riconoscere il valore di
precedente. Osserva il ricorrente che mediante l'istanza di prelievo
—
istituto nato da una prassi giudiziaria non codificata in alcuna
disposizione legislativa o regolamentare — l'avvocato difensore
può segnalare al giudice amministrativo le ragioni che rendono
particolarmente urgente la decisione del ricorso. Tale urgenza, peraltro, è liberamente e insindacabilmente apprezzabile da
parte del giudice amministrativo, tanto che non solo l'accogli mento o la reiezione dell'istanza non richiedono alcuna motiva zione, ma spesso il giudice stesso omette di pronunciarsi sulla richiesta. Mentre l'istanza di fissazione di udienza —
prevista dall'art. 40, 1° comma, r.d. n. 1054 del 1924 —
svolge anche la funzione di impedire l'estinzione del ricorso giurisdizionale per perenzione, l'istanza di prelievo troverebbe un fondamento sol tanto indiretto negli art. 51 e 53 r.d. n. 642 del 1907, che con sentono al Consiglio di Stato (su istanza di parte o anche d'uffi
cio) di derogare all'ordine di trattazione dei procedimenti sulla base dell'iscrizione nell'apposito registro dell'istanza di fissa zione di udienza e di dare la precedenza, invece, ai ricorsi ur
genti. In ogni caso, il mancato utilizzo dell'istanza di prelievo non
potrebbe giustificare il ritardo nella definizione del giudizio: lo Stato italiano ha il dovere di garantire la conclusione di tutti i
processi in un tempo ragionevole, e non solo di quelli in cui sia stata segnalata un'urgenza.
2. - Il motivo di ricorso è fondato.
II. Foro Italiano — 2006.
2.1. - Nel giudizio amministrativo, l'istanza di prelievo —
prevista dall'art. 51,2° comma, del regolamento per la procedu ra dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (ap provato con il r.d. n. 642 del 1907), applicabile, in forza del ri
chiamo contenuto nel 1° comma dell'art. 19 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, anche nei giudizi che si svolgono davanti ai Tar — ha
la funzione di sollecitare una precedenza, diversa da quella ri
sultante dall'ordine cronologico d'iscrizione delle domande di
fissazione dell'udienza nell'apposito registro, nella discussione
dei ricorsi che la parte prospetti come urgenti. Al di là dei casi nei quali è la stessa legge a scandire un'ac
celerazione dell'iter processuale dei giudizi (v., ora, gli art. 21, 12° comma, e 23 bis della legge istitutiva dei Tar, aggiunti, ri
spettivamente, dall'art. 3 e dall'art. 4 1. 21 luglio 2000 n. 205, con riguardo ai giudizi nei quali sia stata accolta una misura
cautelare o a quelli, ad esempio, su procedure di affidamento di incarichi di progettazione, di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere o servizi pubblici, su provvedimenti adottati
dalle autorità amministrative indipendenti o relativi a procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici), l'ordinamento offre al ricorrente la possibilità di sollecitare, at traverso la presentazione dell'istanza di prelievo (nella quale devono essere illustrate le ragioni di urgenza), una trattazione della lite più spedita rispetto all'ordinario. Difatti, i ricorsi che, in accoglimento della predetta istanza o d'ufficio, siano dichia rati urgenti dal presidente, hanno la precedenza (come dispone il 2° comma dell'art. 53 del citato regolamento di procedura), os servato l'ordine d'iscrizione nell'apposito ruolo dei ricorsi ur
genti, contemplato dall'art. 73 del regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 21 aprile 1942 n. 444.
Ma anche là dove non siano state rappresentate particolari ra
gioni di urgenza, ogni processo amministrativo — una volta in dirizzato verso la sua decisione attraverso la presentazione del l'istanza di fissazione dell'udienza (art. 40 r.d. n. 1054 del
1924; art. 23 1. n. 1034 del 1971) — deve essere trattato in tem
pi ragionevoli. I tempi del processo devono essere sempre fun zionali a garantire la certezza delle situazioni che sono oggetto di contestazione, a vantaggio sia del cittadino che della stessa
pubblica amministrazione; e il giudice ha il dovere di esercitare i suoi poteri di direzione del processo, evitando che questo ri
manga nel limbo della pendenza. 2.2. - La Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte rile
vato che la lesione del diritto alla definizione del processo in un
tempo ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice ammini
strativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del relativo procedimento, tenendosi cioè conto del tempo com
plessivo dell'attesa della risposta sulla domanda di giustizia, mentre l'omissione o il ritardo nella presentazione dell'istanza di prelievo non sospendono né differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda medesima, né dunque implicano il trasferimento sui contendenti della responsabilità del supera mento, per tale pronuncia, della scadenza congrua (sentenza 2 settembre 1997, Lapalorcia c. Italia; sentenze 19 maggio 2002. Abate e Ferdinandi c. Italia, Polcari c. Italia, Donato c. Italia).
La 1. n. 89 del 2001 identifica il fatto costitutivo del diritto al l'indennizzo per relationem, tramite il richiamo dell'art. 6, par. 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La convenzione ha istituito un giudi ce (Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo) per il rispetto delle disposizioni in essa contenute, onde non può che riconoscersi a detto giudice il potere di individuare il signi ficato di dette disposizioni e perciò di interpretarle (cfr. sez. un. 26 gennaio 2004, n. 1338, n. 1339 e n. 1340, rispettivamente, Foro it., 2004, I, 693; id.. Rep. 2004, voce Diritti politici e civi
li, nn. 268, 277, e id., 2004,1, 693). Ne deriva che il citato orientamento della corte di Strasburgo,
non trovando ostacoli né nella lettera né nella ratio della stessa 1. n. 89 del 2001, deve essere seguito dal giudice italiano, per ef fetto dell'adesione dell'Italia a detto accordo internazionale, ra tificata a seguito della 1. 4 agosto 1955 n. 848.
2.3. - Dando continuità alla più recente giurisprudenza di
questa corte (13 dicembre 2004, n. 23187, id.. Rep. 2004, voce
cit., n. 215), che si è discostata all'indirizzo precedente che con
figurava il ritardo riferibile all'organo di giustizia e la connessa
insorgenza del diritto all'equa riparazione soltanto se ed a parti re dalla data in cui sia stata depositata l'istanza di prelievo (così
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1° dicembre 2004, n. 22503, ibid., n. 250, e 17 aprile 2003, n. 6180, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 132), deve pertanto affermarsi che la lesione del diritto alla definizione del processo in un tem
po ragionevole, di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione, va ri
scontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del re
lativo procedimento, senza che una tale decorrenza — dalla da
ta, appunto, di proposizione della domanda mediante il deposito del ricorso — del termine ragionevole di durata della causa pos sa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'i
stanza di prelievo o alla ritardata presentazione di essa.
2.4. - Il decreto impugnato deve, pertanto, essere cassato e la
causa va rinviata alla Corte d'appello di Cagliari che, in altra
composizione, la riesaminerà uniformandosi al principio sopra enunciato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 dicembre 2005, n. 28498; Pres. ed est. Carbone, P.M. Sor
rentino (conci, diff.); Fall. soc. Carafa trasporti (Avv. Cen
tonze) c. Soc. Marzano petroli (Avv. Zompi). Cassa App. Lecce 8 febbraio 2000.
Appello civile — Onere della prova — Ripartizione (Cod.
civ., art. 2697; cod. proc. civ., art. 342).
Essendo l'appellante tenuto a fornire la dimostrazione della
fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni
offerte dalla sentenza impugnata, il cui riesame è chiesto per ottenere la riforma del capo decisorio appellato, l'appello da
lui proposto, in mancanza di tale dimostrazione, deve essere, in base ai principi, respinto, con conseguente conferma so
stitutiva dei capi di sentenza appellati, quale che sia stata la
posizione da lui assunta nella precedente fase processua le. (1)
(1) Non constano precedenti esattamente in termini. In varia misura e sotto diversi profili contrastanti con il principio af
fermato dalle sezioni unite sembrano invece Cass. 15 gennaio 2004, n.
511, Foro it.. Rep. 2004, voce Prova civile in genere, n. 26, e Arch,
civ., 2004, 1343, da cui è stata confermata la decisione che. in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda di un medico fiscale diretta al conseguimento dei compensi per le visite di controllo da lui eseguite, sul rilievo della mancata produzione in appello delle di stinte riepilogative di controllo, già prodotte dal medico in primo grado e contestate dalla controparte per l'inidoneità a far presumere la con creta effettuazione delle visite per le quali il sanitario chiedeva il com
penso; 3 luglio 2003, n. 10475, Foro it., Rep. 2004, voce Appello civile, n. 85, e Arch, civ., 2004, 645, secondo cui «ai sensi dell'art. 345 c.p.c., non sono inammissibili quei motivi di impugnazione con i quali il con
venuto, soccombente nel giudizio di primo grado, 'eccepisca' la man canza della prova del diritto controverso, atteso che la doglianza propo sta dall'appellante non costituisce eccezione in senso tecnico (la quale incontra il divieto di proposizione in appello, ai sensi dell'art. 345, 2°
comma, cit.) ma una mera sollecitazione dei poteri ufficiosi del giudice il quale deve rilevare d'ufficio la mancanza della prova dei fatti posti a base della pretesa dell'attore, atteso che, ai sensi dell'art. 2697 c.c., chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costitui scono il fondamento»; a dispetto della massima ufficiale, Cass. 8 mag gio 2003. n. 6987, Foro it.. Rep. 2003, voce Prova documentale, n. 31, e Arch, civ., 2004, 413, nella cui motivazione si spiega che «la parte vittoriosa in primo grado, che rimanga contumace in appello, e quindi non ridepositi i documenti in precedenza prodotti, non può che incorre re nella sanzione della soccombenza, per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favore
voli, in quanto il giudice di appello, come quello di prime cure, deve decidere la causa in base solo alle prove che siano ritualmente e diret
tamente sottoposte al suo esame in sede di decisione» (nella specie, la
Suprema corte ha rigettato il motivo del ricorso proposto contro la sentenza con cui la corte di appello aveva riformato la decisione di condanna in ragione appunto della mancanza in atti, dovuta alla contu
II Foro Italiano — 2006.
Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato il 5
maggio 1993, la curatela del fallimento della Carafa trasporti s.n.c. (d'ora innanzi: società fallita) conveniva in giudizio, in
nanzi al Tribunale di Lecce, la Marzano petroli s.a.s. (d'ora in
nanzi: convenuta), esponendo: — che, l'anno anteriore alla dichiarazione del proprio falli
mento (pronunziato il 23 giugno 1992), la società fallita aveva effettuato pagamenti, in favore della convenuta, per un importo
complessivo di lire 182.017.575 per forniture di gasolio;
macia dell'appellato, dei documenti che avrebbero dovuto dimostrare la fondatezza della domanda accolta in primo grado); ed ancora Cass. 4
aprile 1989, n. 1625, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 286, e Arch, civ., 1989, 965, a detta della quale «il di vieto di nuove eccezioni in appello concerne soltanto le eccezioni in senso proprio, relative a fatti impeditivi, modificativi o estintivi del di ritto fatto valere in giudizio, non rilevabili di ufficio, e non anche le ec cezioni c.d. improprie o mere difese volte soltanto a negare l'esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda o a contestare il valore pro batorio dei mezzi di istruzione esperiti in primo grado, né il predetto divieto può incidere sull'obbligo del giudice di appello di riesaminare e di valutare autonomamente, nei limiti segnati dai motivi d'impugnazio ne, le risultanze istruttorie ai fini del riesame della controversia alla
stregua delle censure prospettate dall'appellante». In ogni caso la decisione a sezioni unite non è dipesa dalla denuncia
di un contrasto giurisprudenziale, quanto piuttosto dalla presenza di una
questione ritenuta di particolare importanza e relativa alla possibile in conciliabilità — prospettata dall'ordinanza di rimessione — fra «il ca rattere devolutivo tradizionalmente attribuito al giudizio di appello», nel quale oggetto di esame da parte del giudice superiore è «(non la sentenza impugnata, ma) il rapporto giuridico controverso già sottopo sto all'esame del giudice di primo grado», e le sentenze della Suprema corte che addossano all'appellante l'onere di «produrre, o ripristinare in appello, se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli ba sa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della fa coltà di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti (art. 76 disp. att. c.p.c.), perché questi documenti possano es sere sottoposti all'esame del giudice di appello, per cui egli subisce le
conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte quando questo conteneva documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello, tenuto a decidere, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., sulla base del materiale probatorio sottopo sto al suo esame, non ha, quindi, la possibilità di esaminare»: così si
esprimono, Cass. 24 febbraio 1993, n. 2280, Foro it.. Rep. 1993, voce
Appello civile, n. 6, che pertanto ha escluso la possibilità di procedere in appello alla diversa interpretazione del contratto richiesta dall'ap pellante, il quale non aveva prodotto il documento, e Cass. 6 marzo
1998, n. 2482, id., Rep. 1998, voce cit., n. 50, che ha cassato la senten za di appello con cui la domanda accolta in primo grado era stata re
spinta non avendo l'appellato ridepositato la propria produzione conte nente il contratto, la cui nullità l'appellante aveva dedotto.
Le due pronunce appena menzionate fanno ricadere sull'appellante le
conseguenze negative di un'evenienza forse non frequentissima, quella del definitivo ritiro del fascicolo di parte in cui siano contenuti docu menti utili all'avversario, rispetto alla quale va segnalata la soluzione — prefigurata pure, ma in una prospettiva de iure condendo, da Ruffi
ni, Produzione ed esibizione dei documenti, comunicazione al XXV
convegno nazionale dell'Associazione italiana fra gli studiosi del pro cesso civile, Cagliari, 7-8 ottobre 2005, 5 ss. del dattiloscritto — costi tuzionalmente orientata suggerita dalle sezioni unite, che in un ampio obiter ipotizzano «l'imposizione, a carico della parte che nel corso del
processo chieda il ritiro del proprio fascicolo, dell'onere di depositare copia dei documenti probatori ... in esso . . . inseriti», così da «far sal va la piena attuazione del principio di acquisizione delle prove».
La sentenza in rassegna colloca queste due decisioni — e soprattutto il ben più ampio principio di cui alla massima — nell'ambito del «pro cesso evolutivo del giudizio di appello» il quale nel vigore del codice di rito del 1940, pur rimanendo impugnazione sostitutiva, avrebbe ormai assunto i caratteri della revisio. Processo evolutivo che, pur se «reso ancor più evidente dalla novella del 1990 che ... ha eliminato gli ef fetti sospensivi dell'impugnazione e ha posto notevoli limitazioni alla
possibilità di introdurre elementi di novità», dalla Suprema corte viene
principalmente ricondotto all'introduzione degli art. 342 e 346 c.p.c. Con riferimento ai motivi specifici dell'impugnazione vale la pena di
ricordare che per un orientamento liberale, ormai risalente, essendo
l'appello un «mezzo di impugnazione rivolto ad ottenere non già il controllo della decisione di primo grado, bensì una nuova pronuncia sul diritto fatto valere con la domanda originaria», l'enunciazione di censu re sarebbe richiesta al solo fine di delimitare l'ambito del riesame ri
chiesto al giudice superiore, con una conseguente «attenuazione dell'o
nere di specificazione dei motivi», in special modo percepibile nell'i
potesi dell'appellante, che abbia manifestato la volontà non equivoca di
impugnare integralmente la sentenza di primo grado (cfr., ad esempio, Cass. 9 agosto 1983, n. 5322, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 90; 10
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