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sezioni unite civili; sentenza 24 febbraio 2000, n. 41/SU; Pres. Grossi, Est. Roselli, P.M. Cinque(concl. conf.); Asl n. 11 di Vercelli (Avv. Scoca, Moretti) c. Guazzotti e altri (Avv. Olmo).Regolamento di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 5 (MAGGIO 2000), pp. 1483/1484-1503/1504Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194750 .
Accessed: 24/06/2014 23:31
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1483 PARTE PRIMA 1484
cessivi all'ammissione al campionato: la Fisg aveva infatti già deliberato i requisiti relativi, comprendenti anche la prestazione della fideiussione, che di fatto era stata versata, e la controver
sia attiene invece al riscontro di tali condizioni, delle quali cia
scuna parte addebita all'altra l'inadempimento. La Fisg, per
tanto, pur avendo anche in tale fase agito nella sua veste pub
blicistica, aveva ormai consumato la propria discrezionalità ed
era chiamata a svolgere un'attività vincolata — dalle stesse con
dizioni da essa disposte, appunto discrezionalmente, nella pre cedente fase ammissiva —, con la conseguenza che deve ricono
scersi natura di diritto soggettivo alla posizione del privato che,
dopo aver chiesto ed ottenuto di essere ammesso alla competi zione sportiva ed aver prestato la richiesta fideiussione, ne ri
chieda la restituzione sulla premessa dell'inadempimento della
federazione alle condizioni da essa stessa stabilite.
Deve, pertanto, affermarsi la giurisdizione del giudice ordi
nario, cui ovviamente compete accertare la fondatezza della
domanda.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 24 feb
braio 2000, n. 41/SU; Pres. Grossi, Est. Roselu, P.M. Cin
que (conci, conf.); Asl n. 11 di Vercelli (Aw. Scoca, Mo
retti) c. Guazzotti e altri (Aw. Olmo). Regolamento di giu risdizione.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Pubblico impiego — Controversie — Trasferimento al giudice ordinario — Di
sciplina transitoria — Fattispecie (Cost., art. 24; d.leg. 3 feb
braio 1993 n. 29, razionalizzazione dell'organizzazione delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in ma
teria di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 1. 23 ottobre
1992 n. 421, art. 68; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di
razionalizzazione della finanza pubblica, art. 1; d.l. 20 giu
gno 1997 n. 175, disposizioni urgenti in materia di attività
libero-professionale della dirigenza sanitaria del servizio sani
tario nazionale, art. 4; 1. 7 agosto 1997 n. 272, conversione
in legge del d.l. 20 giugno 1997 n. 175; d.leg. 31 marzo 1998
n. 80, nuove disposizioni in materia di organizzazione e di
rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giuris dizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione ammini
strativa, emanate in attuazione dell'art. 11, 4° comma, 1. 15
marzo 1997 n. 59, art. 29, 45).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Pubblico impiego — Controversie — Trasferimento ai giudice ordinario — Co
gnizione su interessi legittimi — Mancata attribuzione — Que stione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art.
103; 1. 23 ottobre 1992 n. 421, delega al governo per la razio
nalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sani
tà, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoria le, art. 2; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 2, 4; d.leg. 31
marzo 1998 n. 80, art. 29).
L'art. 45, 17° comma, d.leg. n. 80 del 1998, nel dettare la disci
plina transitoria relativa al trasferimento al giudice ordinario
delle controversie in materia di pubblico impiego, pone il di
scrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o
al momento di instaurazione della controversia, bensì al dato
storico costituito dal verificarsi dei fatti o delle circostanze
poste a base della pretesa azionata; pertanto, ove la pretesa del dipendente tragga origine da un comportamento illecito
permanente del datore di lavoro, si deve aver riguardo al mo
mento di realizzazione del fatto dannoso e più precisamente al momento di cessazione della permanenza (nella specie, la
corte ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, ai
sensi dell'art. 29 d.leg. 80/98, che ha modificato l'art. 68 d.leg.
Il Foro Italiano — 2000.
29/93, in ordine alla controversia nella quale alcuni medici
dipendenti optanti per l'attività libero-professionale c.d. in
tramuraria avevano chiesto il risarcimento dei danni subiti
in conseguenza della mancata attivazione da parte dell'azien
da sanitaria dei mezzi, strutture e regolamenti necessari per l'esercizio dell'attività professionale). (1)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 29 d.leg. 80/98, nella parte in cui, attribuen
do al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro le
controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze del
le pubbliche amministrazioni, escluderebbe l'attribuzione del
la tutela degli interessi legittimi nascenti dal rapporto di pub blico impiego, in quanto, alla luce della normativa in mate
ria, in capo al lavoratore sono configurabili soltanto posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, in riferimen to all'art. 103, 1° comma, Cost. (2)
(1-2) I. - Nel senso che sussiste la giurisdizione ordinaria per la cogni zione della controversia proposta da dipendente del comune di Roma
per l'esclusione da concorso interno disposta con atto successivo al 30
giugno 1998, ancorché i fatti presi a base del provvedimento si siano verificati prima di quella data, v. Trib. Roma, ord. 11 ottobre 1999, Foro it., 2000, I, 282, con nota di richiami, alla quale si rinvia per riferimenti relativi all'interpretazione della disposizione transitoria di cui all'art. 45, 17° comma, d.leg. 80/98.
Adde, Cass., sez. un., 20 novembre 1999, n. 808/SU, id., Mass.,
1175, richiamata in motivazione, secondo cui l'art. 45, 17° comma, cit., che, nel trasferire al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, precisa anche la relativa disciplina tran
sitoria, utilizza a questo fine una locuzione volutamente generica e atec
nica, parlando di «questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successive al 30 giugno 1998» ovvero «anteriore a tale data», sì che risulta inadeguata un'interpretazione della relativa disposizione che col
leghi rigidamente il discrimine temporale del trasferimento delle contro versie alla giurisdizione ordinaria ad elementi come la data del compi mento, da parte dell'amministrazione, dell'atto di gestione del rapporto che abbia determinato l'insorgere della questione litigiosa, oppure l'ar co temporale di riferimento degli effetti di tale atto o, infine, il momen to dell'insorgenza della contestazione; viceversa l'accento va posto sul dato storico costituito dall'awerarsi dei fatti materiali e delle circostan ze — così come posti a base della pretesa avanzata — in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia (nella specie, la corte
regolatrice, relativamente a controversia circa il diritto di un dipendente comunale alla protrazione biennale opzionale del servizio oltre i limiti di età, ex art. 16 d.leg. n. 503 del 1992, ha ritenuto sussistere la giuris dizione ordinaria, poiché il limite di età per il collocamento a riposo cadeva nel dicembre 1998 e quindi si era certamente in presenza di que stioni relative ad un periodo del rapporto di lavoro successivo al 30
giugno 1998). Cfr., inoltre, Pret. Napoli, ord. 3 febbraio 1999, Giust. civ., 2000,
I, 205, con nota di Mutarelli, nel senso che è devoluta alla cognizione del giudice ordinario la controversia sul collocamento a riposo di inse
gnante disposto con atto dell'amministrazione successivo al 30 giugno 1998, pur se il procedimento ha avuto inizio in data anteriore, in quan to soltanto l'atto terminale, il provvedimento avente rilevanza esterna, è idoneo ad incidere sulla posizione soggettiva del privato; Trib. Roma, ord. 2 luglio 1999, id., 1999, I, 3166, secondo cui affinché una contro versia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni possa essere considerata come «relativa a questione attinente al periodo del
rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998» deve aversi riguardo al momento di perfezionamento della fattispecie dedotta in giudizio, vale a dire al momento in cui si siano verificati tutti i fatti costitutivi del diritto azionato, ovvero i fatti che hanno originato la lesione la mentata.
II. - Con riferimento alla prospettata questione di legittimità costitu zionale dell'art. 29 d.leg. 80/98, in riferimento all'art. 103, 1° comma, Cost., nella parte in cui, attribuendo al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro le controversie relative ai rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, escluderebbe l'attribuzione della tutela degli interessi legittimi nascenti dal rapporto di pubblico impiego, la corte ne fa rilevare la manifesta infondatezza, osservando
che, alla luce della normativa in materia di pubblico impiego «privatiz zato» (art. 2, 1° comma, lett. a, 1. 421/92; art. 2, 2° comma, e 4, 2° comma, d.leg. 29/93; art. 68, 2° comma, d.leg. 80/98), in capo al lavoratore sono configurabili soltanto posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo pubblico; peraltro, «quand'anche la lesione lamentata dal prestatore di lavoro derivi dall'esercizio di poteri discre zionali dell'amministrazione datrice di lavoro, la situazione soggettiva lesa dovrà qualificarsi, alla stregua delle più recenti classificazioni civi
listiche, come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, all'ampia categoria dei 'diritti' di cui all'art. 2907 c.c.» (a tal proposito, la corte richiama Cass., sez. un., 22 luglio 1999,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
TRIBUNALE DI BASSANO DEL GRAPPA; ordinanza 21 di
cembre 1999; Giud. Attanasio; Corradeschi e altri c. Ausi
di Bassano del Grappa.
Provvedimenti di urgenza — Esercizio dell'attività libero
professionale intramurarìa dei medici dipendenti — Necessità
di mezzi, strutture e regolamenti — Omessa attivazione da
parte della Ausi — Esercizio dell'opzione entro il termine di
legge — Obbligo — Esclusione (Cod. proc. civ., art. 700;
d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell'art. 1 1. 23 ottobre 1992 n.
421, art. 15 quater, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1; d.m.
31 luglio 1997, attività libero-professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del servizio sanitario
nazionale, art. 1; 1. 23 dicembre 1998 n. 448, misure di finan
za pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo, art. 72; d.leg. 19 giugno 1999 n. 229, norme per la razionalizzazione del
servizio sanitario nazionale, a norma dell'art. 1 1. 30 novem
bre 1998 n. 419, art. 13).
Va accolta l'istanza cautelare diretta a dichiarare in via d'ur
genza l'insussistenza dell'obbligo in capo ai medici dipendenti ricorrenti di esercitare l'opzione in ordine all'attività libero
professionale c.d. intramuraria entro il termine (31 dicembre
1999, a seguito di rinvio con circolare ministeriale della origi naria data del 29 ottobre) previsto dall'art. 15 quater d.leg.
502/92, aggiunto dal d.leg. 229/99, in attesa della effettiva
attivazione da parte della Ausi competente dei mezzi, delle
strutture e dei regolamenti necessari per l'espletamento del
l'attività professionale. (3)
n. 500/SU, Foro it., 1999, I, 2487, con nota di Palmieri e Pardolesi, e 3201, con note di Caranta, Fracchia, Romano, Scoditti, nonché
Giust. civ., 1999, I, 2261, con nota di Morelli, e Giur. it., 2000, 21, con nota di Moscarini, che ha affermato la risarcibilità degli interessi
legittimi, quante volte risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e
colpevole dell'amministrazione, l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla e sempre che il detto interesse al bene
risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo; a tale
stregua, la contestazione circa la risarcibilità degli interessi legittimi non
dà luogo a questione di giurisdizione, ma attiene al merito. Per le prime
applicazioni sul tema della responsabilità della pubblica amministrazio
ne per lesione di interessi legittimi, anche da parte del giudice ammini
strativo, cfr. Trib. Prato 18 aprile 2000, Trib. Rovereto 17 luglio 1998
(Foro it., 2000, I, 1288), Tar Sicilia, sede Catania, sez. I, 18 gennaio
2000, n. 38, Tar Lombardia, sez. Brescia, 14 gennaio 2000, n. 8, sez.
Ili 23 dicembre 1999, n. 5049, e Tar Toscana, sez. I, 21 ottobre 1999, n. 766 (ibid., Ili, 196)).
(3-5) I. - Le tre ordinanze in epigrafe (ed in parte la pronuncia delle
sezioni unite) si inseriscono nell'ambito della dibattuta questione se l'os
servanza del termine per l'esercizio dell'opzione in favore dell'attività
libero-professionale intramuraria dei medici dipendenti pubblici presup
ponga o no l'effettiva predisposizione da parte delle aziende sanitarie
delle strutture, degli spazi, dei locali, nonché la fissazione di orari, re
gole e tariffe per il concreto svolgimento dell'attività professionale stessa.
Dalla più recente normativa in materia, infatti, non emerge con chia
rezza se tali adempimenti debbano essere espletati dalle aziende dopo l'esercizio dell'opzione, perché soltanto a seguito della manifestazione
di volontà da parte dei medici, l'amministrazione è in grado di organiz zare l'attività ospedaliera e quella libero-professionale; ovvero se occor
re che l'attivazione ed organizzazione siano compiute prima dell'opzio
ne, sì che i medici non corrano il rischio di non poter esercitare di
fatto l'attività professionale in assenza di spazi adeguati. Il Tribunale di Genova da un lato e quelli di La Spezia e Bassano
del Grappa dall'altro, esprimono orientamenti contrastanti, rispettiva mente negando ed accordando la misura cautelare d'urgenza richiesta
dai medici ricorrenti. Secondo il primo, a seguito dell'entrata in vigore del d.leg. 19 giugno
1999 n. 229, emanato in base alla legge-delega 30 novembre 1998 n.
419 e che ha innovato la disciplina della dirigenza del ruolo sanitario,
«l'opzione non è quindi più legata alla predisposizione aziendale, di
strutture e mezzi per consentire l'esercizio dell'attività intramuraria»,
sicché «prima viene il servizio pubblico poi l'interesse del singolo medi
co suo dipendente a svolgere attività libero-professionale». A giudizio del secondo e del terzo, invece, deve essere l'azienda sani
taria a muovere il primo passo. «La concreta attuazione degli adempi menti in materia, come e ancor più della stipulazione del nuovo con
tratto collettivo per la dirigenza sanitaria, appare 'necessariamente pro
pedeutica' alla scelta — irrevocabile — del rapporto di lavoro esclusivo»
(v. Tribunale di Bassano del Grappa), «in quanto non si può pretendere
Il Foro Italiano — 2000.
Ill
TRIBUNALE DI LA SPEZIA; ordinanza 28 ottobre 1999; Giud.
Panico; Biso e altri c. Asl 5 Spezzino.
Provvedimenti di urgenza — Esercizio dell'attività libero
professionale intramuraria dei medici dipendenti — Necessità
di mezzi, strutture e regolamenti — Omessa attivazione da
parte della Ausi — Esercizio dell'opzione entro il termine di
legge — Obbligo — Esclusione (Cod. proc. civ., art. 669 oc
ties, 700; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, art. 15 quater, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 2, 4, 68; 1. 23 dicembre 1996 n.
662, art. 1; d.m. 31 luglio 1997, art. 1; 1. 23 dicembre 1998
n. 448, art. 72; d.leg. 19 giugno 1999 n. 229, art. 13).
Va accolta l'istanza cautelare diretta a dichiarare in via d'ur
genza l'insussistenza dell'obbligo in capo ai medici dipendenti ricorrenti di esercitare l'opzione in ordine all'attività libero
professionale c.d. intramuraria entro il termine (29 ottobre
1999) previsto dall'art. 15 quater d.leg. 502/92, aggiunto dal
d.leg. 229/99, in attesa della effettiva attivazione da parte della Ausi competente dei mezzi, delle strutture e dei regola menti necessari per l'espletamento dell'attività professionale. (4)
di obbligare ad una scelta così importante (anzi decisiva e non modifi
cabile, se di un certo tenore: cfr. art. 15 quater, 4° comma, d.leg. n.
502, cit.) senza prima dar contezza di quali concrete realtà e situazioni
sono state attivate» (v. Tribunale di La Spezia). In tal senso, v. anche Pret. Milano, ord. 3 giugno 1999, Giust. civ., 1999, I, 3167.
L'attuale mancanza di organizzazione ed attivazione in molte aziende
sanitarie ha determinato la proposizione di numerosi ricorsi ex art. 700
c.p.c. volti ad ottenere la sospensione dell'efficacia del termine, previ sto dall'art. 15 quater d.leg. 502/92, aggiunto dall'art. 13 d.leg. 229/99,
cit., per l'esercizio dell'opzione da parte dei medici dipendenti (doman de da intendersi più correttamente come dirette all'accertamento del
l'insussistenza in capo ai medici dipendenti dell'obbligo di effettuare
la scelta entro il termine di legge). Delle pronunce di cui si ha notizia, consta che il provvedimento cau
telare è stato negato da Trib. Reggio-Emilia, ord. 28 ottobre 1999, di
cui si fa menzione in Sanità Sole-24 Ore, 1999, fase. 43, 19; Trib. Ge
nova, ord. 25 e 22 ottobre 1999, inedite; è stato, invece, concesso da
Trib. Brescia, ord. 25 ottobre 1999, ibid., fase. 44, 18.
Le sezioni unite (provvedimento in epigrafe) hanno affermato la giu risdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, in
ordine alle controversie in materia, ai sensi dell'art. 29 d.leg. 80/98, che ha modificato l'art. 68 d.leg. 29/93, ma in relazione ad una «que stione» attinente al periodo del rapporto di lavoro perfezionatosi, a
giudizio della corte, in data successiva al 30 giugno 1998.
Nel senso, invece, che appartiene alla giurisdizione del giudice ammi
nistrativo la controversia con la quale sanitari ospedalieri lamentino di
aver dovuto esercitare l'opzione in favore dell'attività professionale ex
tramuraria pur in mancanza dell'organizzazione ed attivazione da parte dell'amministrazione di strutture per l'esercizio di quella intramuraria
e chiedano il ripristino della situazione antecedente al 31 marzo 1997, v. Trib. Roma, ord. 24 luglio 1999, Giust. civ., 1999, I, 3166, secondo
cui, peraltro, gli atti di opzione in favore dell'attività professionale ex
tramuraria previsti dalla 1. n. 662 del 1996 e, successivamente, dal d.leg. n. 229 del 1999 non sono autonomi, ma accessori, sicché la lesione della libertà di scelta non va collegata alla normativa più recente sulla
materia, ma all'originaria imposizione di legge e deve ritenersi incentra
ta nei comportamenti adottati (da entrambe le parti) sulla base di essa.
Nel senso che è infondata la questione di costituzionalità dell'art.
133 d.p.r. 27 marzo 1969 n. 130, nella parte in cui condiziona l'entrata
in vigore del divieto di attività professionale in case di cura private da parte dei sanitari ospedalieri con rapporto di lavoro a tempo defini
to, alla messa a disposizione, da parte dell'ente ospedaliero, di appositi ambienti qualitativamente idonei per l'esercizio dell'attività medesima
all'interno dell'ospedale, in relazione all'art. 43, lett. d), 1. 12 febbraio
1968 n. 132 ed in riferimento all'art. 76 Cost., v. Corte cost. 2 giugno
1977, n. 103, Foro it., 1977, I, 2105.
V., inoltre, Pret. Bari, ord. 21 luglio 1978, id., 1978, I, 2067, secon
do cui i medici con funzione di diagnosi e cura (primari, aiuti, assisten
ti) dipendenti dalle università hanno diritto di esercitare fuori dell'ora
rio di lavoro e all'interno dei pubblici ospedali la libera professione con le modalità e i limiti fissati nell'art. 47 d.p.r. 130/69; correlativa
mente i pubblici ospedali sono obbligati nei loro confronti a predispor re tutte le condizioni necessarie per l'esercizio della libera professione intramurale con le modalità e i limiti anzidetti; nonché Tar Puglia, sez.
I, 23 febbraio 1994, n. 367, id., Rep. 1994, voce Sanitario, n. 126, relativa alla medesima vicenda giudiziaria, nel senso che con decorrenza
1° gennaio 1993, ai sensi dell'art. 4, 7° comma, 1. 412/91, è fatto divie
to ai medici dipendenti dal servizio sanitario nazionale di svolgere atti
vità libero-professionale in case di cura convenzionate.
II. - Ai sensi dell'art. 1, 10° e 11° comma, 1. 23 dicembre 1996 n.
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1487 PARTE PRIMA 1488
IV
TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 27 ottobre 1999; Giud.
Ravera; Regesto (Aw. Cerni) c. Ospedale Galliera.
Provvedimenti di urgenza — Esercizio dell'attività libero
professionale intramuraria dei medici dipendenti — Necessità
di mezzi, strutture e regolamenti — Dovere di attivazione da
parte della Ausi — Limiti (Cod. proc. civ., art. 700; d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, art. 15 quater, 1. 23 dicembre 1996
n. 662, art. 1; d.m. 31 luglio 1997, art. 1; 1. 23 dicembre
1998 n. 448, art. 72; d.leg. 19 giugno 1999 n. 229, art. 13).
Va rigettata l'istanza cautelare diretta ad accertare in via d'ur
genza l'insussistenza, data la mancata attivazione da parte della
Ausi competente dei mezzi, delle strutture e dei regolamenti necessari per il concreto svolgimento dell'attività libero
professionale c.d. intramuraria, dell'obbligo in capo ai medi
ci dipendenti ricorrenti di esercitare l'opzione relativa a tale
attività entro il termine (29 ottobre 1999) previsto dall'art.
15 quater d.leg. 502/92, aggiunto dal d.leg. 229/99, in quan to prevale su quella del singolo dipendente l'esigenza dell'am
ministrazione di conoscere prima il numero dei medici che
scelgono il regime esclusivo. (5)
662, il termine per l'esercizio dell'opzione (da comunicare al direttore
generale) era fissato al 31 marzo 1997 per i dipendenti in servizio presso aziende, nelle quali l'attività libero-professionale intramuraria risultava
organizzata e attivata, ai sensi dell'art. 4, 10° comma, d.leg. 502/92 e successive modificazioni e, in assenza di comunicazione, si presumeva la scelta per l'esercizio della libera professione intramuraria. Per i di
pendenti in servizio presso aziende non organizzate, invece, era previsto l'onere di comunicare l'opzione entro trenta giorni dalla data della co municazione dei direttori generali alle regioni del quantitativo e della
tipologia delle strutture attivate, nonché del numero di operatori sanita ri potenzialmente operanti (v. art. 1, 8° comma, 1. 662/96, cit.; il riferi mento temporale venne successivamente spostato al 30 giugno 1997 dal d.m. 11 giugno 1997).
L'art. 72, 11° comma, 1. 23 dicembre 1998 n. 448, contempla, quale causa impeditiva per il rinnovo dell'incarico e, nei casi più gravi, moti vazione per la decisione di revoca dell'incarico di direttore generale, la mancata assunzione, fino alla realizzazione di proprie idonee struttu re e spazi distinti per l'esercizio dell'attività libero-professionale intra muraria in regime di ricovero ed ambulatoriale, di tutte le specifiche iniziative per reperire fuori dall'azienda spazi sostitutivi in strutture non
accreditate, nonché ad autorizzare l'utilizzazione di studi professionali privati, nonché l'attivazione di misure atte a garantire la progressiva riduzione delle liste d'attesa per le attività istituzionali.
L'art. 15 quater, 3° comma, d.leg. 502/92, aggiunto dal d.leg. 229/99, individua, in relazione alla nuova disciplina della dirigenza medica, la data del 29 ottobre quale termine per l'esercizio della scelta (rinviato al 31 dicembre 1999 da una circolare ministeriale di ottobre), ma non contiene riferimenti espressi alla necessità che siano prima allestite le strutture per l'intra moenia (di qui, come già detto, le ragioni delle
controversie). Sennonché, l'art. 54, 2° comma, del contratto collettivo nazionale
per la dirigenza medica e veterinaria, sottoscritto in data 8 marzo 2000, quadriennio normativo 1998-2001, bienni economici 1998-1999 e
2000-2001, stabilisce che «l'azienda — fino alla realizzazione di proprie strutture e spazi distinti per l'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria in regime di ricovero e ambulatoriale intra ed extra ospe daliera — deve intraprendere tutte le iniziative previste dalle vigenti disposizioni per consentire ai dirigenti l'esercizio della libera professio ne intramuraria, ai sensi dell'art. 72, 11° comma, 1. 448/98 e delle con
seguenti direttive regionali in materia anche fuori dell'azienda, in spazi sostitutivi in altre aziende o strutture sanitarie non accreditate, nonché in studi professionali privati, ivi compresi quelli per i quali è richiesta l'autorizzazione all'esercizio dell'attività».
III. - Attualmente il termine per l'opzione è fissato al 14 marzo 2000 ed è comune anche ai medici universitari (v. d.leg. 21 dicembre 1999 n. 517, disciplina dei rapporti fra servizio sanitario nazionale ed univer
sità, a norma dell'art. 6 1. 30 novembre 1998 n. 419). Il d.leg. 2 marzo 2000 n. 49 (Le leggi, 2000, I, 914), disposizioni
correttive del d.leg. 19 giugno 1999 n. 229, concernenti il termine di
opzione per il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari (emana to anche sulla base dell'art. 10, 2° comma, 1. 13 maggio 1999 n. 133, che prevede la possibilità di apportare disposizioni correttive ai decreti
legislativi attuativi della legge-delega 419/98, cit.) all'art. 1 specifica che: «1. Il termine di cui all'art. 15 quater, 3° comma, d.leg. 30 dicembre
1992 n. 502, e successive modificazioni, è fissato al 14 marzo 2000. Tale termine si applica, altresì, ai dirigenti titolari di incarico quinquen nale conferito prima del 31 dicembre 1998. 1 predetti dirigenti, in caso
Il Foro Italiano — 2000.
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Ver
celli depositato il 29 ottobre 1998 e notificato il successivo 9
novembre, Giuseppe Guazzotti ed altri medici dipendenti dell'a
zienda sanitaria locale n. 11 di Vercelli esponevano di avere
espresso, in data 31 marzo 1997, l'opzione per l'attività libero
professionale intramuraria, prevista dagli art. 1, 10° comma, 1. 23 dicembre 1996 n. 662 e 4 d.leg. 20 giugno 1997 n. 175, convertito in 1. 7 agosto 1997 n. 272.
L'azienda si era espressa in senso positivo con una lettera
di non opzione per il rapporto esclusivo, sono confermati nell'incarico fino al 30 giugno 2000.
2. I dirigenti di cui all'art. 15 quinquies, 7° comma, d.leg. 30 dicem bre 1992 n. 502, e successive modificazioni, che alla data di entrata in vigore del presente decreto non sono sottoposti a verifica ai sensi del medesimo 7° comma, e che, nel termine di cui al 1° comma, abbia no optato per il rapporto esclusivo ovvero che non abbiano comunicato
l'opzione al direttore generale, possono chiedere al direttore generale, entro il 30 aprile 2000, la verifica dell'attività svolta nell'ultimo quin
quennio. Il direttore generale dispone la verifica entro il 30 giugno 2000, da concludere entro il 31 dicembre 2000. La verifica è effettuata da un comitato composto dal direttore sanitario dell'azienda, con funzioni di presidente, e da due esperti esterni all'azienda, di cui uno nominato dalla regione e uno nominato dal consiglio di direzione dell'azienda. Nel caso di verifica positiva i dirigenti sono confermati nell'incarico di direzione della struttura complessa, con rapporto esclusivo, per ulte
riori sette anni. Nel caso di verifica non positiva al dirigente è conferito un incarico professionale non comportante direzione di struttura in con formità con le previsioni del contratto collettivo nazionale di lavoro.
3. I dirigenti di cui al 2° comma del presente articolo che non chiedo no di essere sottoposti a verifica sono confermati nell'incarico di dire zione della struttura complessa, con rapporto esclusivo, per ulteriori due anni, a decorrere dal 30 aprile 2000. A decorrere dal 1° maggio 2002 ai dirigenti di cui al presente comma è conferito un incarico pro fessionale non comportante direzione di struttura in conformità con le previsioni del contratto collettivo nazionale di lavoro.
4. Restano ferme le disposizioni di cui all'art. 15 quinquies, 7° com
ma, d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, e successive modificazioni, in caso di opzione per il rapporto non esclusivo o di non accettazione dell'inca rico con rapporto esclusivo».
Il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 10 marzo
2000, ma, per una svista, senza la previsione di cui all'art. 2 del testo
originario che ne prevedeva l'entrata in vigore il giorno dopo la pubbli cazione. Pertanto, il governo ha provveduto ad effettuare l'errata corri
ge, per evitare che il decreto, in mancanza di quella previsione, entrasse in vigore dopo quindici giorni dalla pubblicazione, con uno slittamento del termine per l'esercizio dell'opzione.
Va segnalato, inoltre, che il Tar Lazio, con ordinanza resa in data 8 marzo 2000, ha accolto la richiesta di sospensiva, contenuta nei ricor si presentati da professori e ricercatori universitari per l'impugnazione di alcune note rettorali, che invitavano al rispetto della data del 14 marzo per l'esercizio dell'opzione (cfr. Sanità-Il Sole-24 Ore, 2000, fase.
10, 2). A tal proposito, il ministro della sanità, con circolare inviata in data
13 marzo 2000 agli assessori regionali alla sanità, ha precisato la sua
posizione rispetto alla ordinanza di sospensione del Tar Lazio, preci sando che il nuovo sistema normativo di cui all'art. 15 quater d.leg. 229/99, non prevede più il principio della stretta correlazione tra l'atti vazione delle strutture destinate all'esercizio dell'attività libero
professionale intramuraria e l'opzione (che, invece, costituiva uno dei
principi cardine della disciplina contenuta nell'art. 1, 8°, 10° ed 11°
comma, 1. 662/96), nel senso che l'attivazione non rappresenta più il
presupposto per l'esercizio dell'opzione. «L'obbligo della opzione di scende direttamente dalla legge», «è posto esclusivamente a carico dei
singoli dipendenti e non necessita di alcun provvedimento propedeutico di terzi (università o direttore generale)»; «quindi, in mancanza della comunicazione in ordine all'opzione, si verificano automaticamente gli stessi effetti previsti dalla legge stessa, ossia la presunzione che il dipen dente abbia optato per il rapporto esclusivo».
Il Consiglio di Stato ha accolto l'appello proposto dal ministero della sanità avverso la suindicata ordinanza di sospensione, ma il Tar Lazio ha nuovamente sospeso il termine del 14 marzo in relazione ai ricorsi
presentati da altri medici universitari di Roma, Pisa ed Udine, rimetten do la questione alla Corte costituzionale.
Per ogni altro riferimento normativo e bibliografico in materia e, in particolare, sullo schema di d.p.c.m., atto di indirizzo e coordina mento concernente l'attività libero-professionale intramuraria del per sonale della dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale, varato dal consiglio dei ministri in data 17 marzo 2000, si rinvia alla nota a Corte cost. 15 febbraio 2000, n. 63, e 20 luglio 1999, n. 330, in
questo fascicolo, I, 1361 [D. Dalfino]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
del 25 marzo 1998, né aveva mai comunicato di aver riscontrato
incompatibilità per alcuno degli optanti, ma non aveva provve duto in concreto onde detta attività potesse avere inizio, essen
dosi anzi limitata ad una riserva, n. 813 del 6 maggio 1997, in attesa di parere delle organizzazioni sindacali, ad un provve dimento interlocutorio, n. 942 del 21 maggio 1997, ove parlava di mancata individuazione di spazi e posti letto, e ad altro atto, n. 1133 del 17 giugno 1997, ove si deliberava di «attivare e
organizzare l'attività libero-professionale intramuraria» ma che
non era stato portato a conoscenza dei medici interessati.
Poiché alla data di deposito del ricorso nulla in realtà era
stato «realizzato, ristrutturato o riorganizzato», i ricorrenti chie
devano che il pretore condannasse il direttore generale dell'a
zienda e l'azienda stessa, in solido, a risarcire il danno derivato
dall'impossibilità di esercitare la libera professione e consistente
sia nel mancato guadagno sia nella mancata realizzazione di
possibilità di carriera nell'ambito del perdurante rapporto di la
voro subordinato («mancata qualificazione a incarichi direttivi»). L'azienda non si costituiva ma richiedeva a queste sezioni
unite il regolamento di giurisdizione. Controricorrevano il Guazzotti e litisconsorti.
La ricorrente ha presentato memoria.
Nell'udienza del 1° luglio 1999 la corte ordinava l'integrazio ne del contraddittorio nei confronti del direttore generale del
l'azienda, al quale il ricorso non era stato personalmente notifi
cato. Eseguita la notificazione, la causa veniva discussa nell'u
dienza del 16 dicembre successivo.
Motivi della decisione. — 1. - La parte convenuta, pur non
costituitasi nel giudizio di primo grado, è nondimeno legittima ta a chiedere il regolamento di giurisdizione ai sensi dell'art.
41 c.p.c. (Cass. 4 marzo 1975, n. 809, Foro it., Rep. 1976,
voce Giurisdizione civile, n. 164; 15 gennaio 1987, n. 246, id.,
1987, I, 2816). 2. - Col primo motivo la ricorrente sostiene l'appartenenza
della causa non al giudice ordinario bensì a quello amministra
tivo in sede esclusiva ai sensi dell'art. 33, 2° comma, lett. J),
d.leg. 31 marzo 1998 n. 80.
La tesi non è fondata.
L'art. 29 d.leg. cit. (nuove disposizioni in materia di organiz
zazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione
amministrativa, emanate in attuazione dell'art. 11, 4° comma,
1. 15 marzo 1997 n. 59), novellando l'art. 68 d.leg. 3 febbraio
1993 n. 29, stabilisce, per quanto qui interessa: «Sono devolute
al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro con le pubbliche am
ministrazioni. . . Quando [gli eventuali atti amministrativi pre
supposti] siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li di
sapplica, se illegittimi». La pretesa risarcitoria, fondata su un asserito comportamen
to omissivo illecito della pubblica amministrazione datrice di
lavoro, ossia dell'Asl che ingiustificatamente (in tesi) ritarda l'i
stituzione del servizio libero-professionale intramurario, così ar
recando danni economici e di carriera ai medici dipendenti già
optanti, trova la sua origine (causa petendi) nel rapporto di la
voro subordinato, e perciò rientra nella previsione ora citata.
Né il caso di specie può essere sussunto, come vorrebbe la
ricorrente, sotto l'art. 33, 2° comma, lett. f), dello stesso decre
to legislativo, che attribuisce alla giurisdizione amministrativa
esclusiva tutte le controversie «riguardanti le attività e le presta
zioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'e
spletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'am
bito del servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione,
con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti
privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguarda
no il danno alla persona e delle controversie in materia di inva
lidità». Questa previsione concerne bensì le controversie che possano
avere origine dall'attività di organizzazione del servizio (salve
le eccezioni ivi elencate) ma non da quella che incida diretta
mente sullo status e sugli interessi patrimoniali dei lavoratori
dipendenti: tale attività dev'essere conosciuta, per la ragione di
specialità espressa nell'art. 29 cit., dal giudice ordinario del
lavoro.
Per quanto concerne il servizio sanitario nazionale, dunque,
il cpv. dell'art. 33 attribuisce, nella lett. f), alla giurisdizione
amministrativa esclusiva le controversie con i soggetti conven
II Foro Italiano — 2000 — Parte 1-21.
zionati, ossia medici non dipendenti, strutture ospedaliere, ecc.,
oppure quelle tra soggetti privati (ad es., gestore convenzionato
ed altro soggetto privato), con effetti rivolti alla generalità e
non al singolo utente.
Al giudice del lavoro appartengono invece, ex art. 29 cit., le controversie di lavoro quand'anche presuppongano la cono
scenza incidentale di atti amministrativi di organizzazione. Del
resto, che atti organizzativi di un pubblico servizio (ad es., emessi
da un ente pubblico economico) incidenti in via soltanto media
ta su singoli rapporti di lavoro (ad es. quale presupposto di
trasferimenti o di licenziamenti o di attribuzione di qualifiche) non siano sufficienti a sottrarre la causa al giudice ordinario
è un principio affermato già nella giurisprudenza anteriore alla
riforma attuata col d.leg. 80/98 (Cass., sez. un., 6 dicembre
1994, n. 10465, id., 1995, I, 2508; 3 ottobre 1996, n. 8632,
id., Rep. 1997, voce Sanitario, n. 64). 3. - Tale devoluzione delle controversie al giudice ordinario
vale per le questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro
successivo al 30 giugno 1998 (art. 45, 17° comma, prima parte,
d.leg. cit.). La dottrina propugna un'interpretazione di questa
disposizione tale da evitare la sottoposizione del diritto, affer
mato dal pubblico dipendente, ad un frazionamento, con di
spersione della tutela processuale fra giurisdizioni diverse, e pro
pone, quando l'asserita lesione del diritto sia prodotta da un
atto, provvedimentale o negoziale, di aver riguardo — per de
terminare la giurisdizione — unicamente al momento della sua
emanazione, che segnerebbe il momento costitutivo della prete sa giudiziale: il detto frazionamento rimarrebbe così inevitabile
solo nel caso in cui il diritto soggettivo dell'impiegato nasca
direttamente dallo svolgimento del rapporto (ad es. per il paga mento di lavoro straordinario prestato prima e dopo il 30 giu
gno 1998). Quando, invece, la causa petendi dell'azione giudi ziaria esercitata dall'impiegato si fondi su una situazione di fat
to permanente, quale una situazione dannosa, il criterio di
economia dei giudizi, proposto dalla dottrina, ben può armo
nizzarsi con la sentenza 20 novembre 1999, n. 808/SU di queste
sezioni unite (id., Mass., 1175) secondo cui il citato 17° comma
pone il discrimine temporale tra giurisdizioni, amministrativa
e ordinaria, con riferimento non ad un atto giuridico o al mo
mento di instaurazione della controversia, bensì al dato storico
costituito dal verificarsi di certi fatti o di certe circostanze. Il
detto criterio d'economia, aderente all'art. 24 Cost, e idoneo
ad evitare il contrasto di giudicati in ordine a pretese eguali nel contenuto, seppure differenziate ratione temporis, compor ta che, ove la pretesa del dipendente abbia origine da un com
portamento illecito permanente del datore di lavoro, si debba
aver riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso
e più precisamente al momento di cessazione della permanenza.
Nel caso di specie, quando fu proposta la domanda, nell'ot
tobre 1998, l'omissione, asseritamente illegittima, della datrice
di lavoro ancora permaneva, onde gli attori hanno esattamente
ritenuto applicabile l'art. 29 cit.
4. - Col secondo e subordinato motivo la ricorrente solleva
questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 d.leg. 80/98,
nella parte in cui, attribuendo al giudice ordinario in funzione
di giudice del lavoro le controversie relative ai rapporti di lavo
ro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, sembra con
trastare con l'art. 103, 1° comma, Cost., che attribuisce ai giu dici amministrativi le controversie «per la tutela nei confronti
della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in par
ticolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi». A giudizio della ricorrente, tale norma costituzionale viete
rebbe di attribuire al giudice ordinario la tutela degli interessi
legittimi nascenti dal rapporto di pubblico impiego.
La questione è manifestamente infondata.
Per effetto della 1. 23 ottobre 1992 n. 421, con cui è stata
conferita delega al governo per la riforma, tra l'altro, del pub
blico impiego, questo è stato ricondotto «sotto la disciplina del
diritto civile» (art. 2, 1° comma, lett. a). Più in particolare,
attraverso il d.leg. 29/93, che ha dato attuazione alla detta leg
ge di delega, le posizioni soggettive dei dipendenti delle pubbli
che amministrazioni sono state modificate, nel senso che nei
rapporti di lavoro non è dato di identificare interessi legittimi di diritto pubblico, ai quali si riferisce l'art. 103 Cost., come
è dimostrato dall'applicazione del codice civile, sia pure nei li
miti della specialità del rapporto e del perseguimento degli inte
ressi generali (art. 2, 2° comma, d.leg. 29/93); dal fatto che
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1491 PARTE PRIMA 1492
l'amministrazione opera coi «poteri del privato datore di lavo
ro», adottando tutte le misure inerenti all'organizzazione ed al
la gestione dei rapporti (art. 4, 2° comma, d.leg. ult. cit.); non
ché dall'art. 68, 2° comma, d.leg. 80/98, che parla espressa mente di «diritti» dell'impiegato, col connesso potere del giudice ordinario di emettere nei confronti delle pubbliche amministra
zioni tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di
condanna.
Una volta fondato il rapporto di lavoro su base paritetica, ad esso rimane estranea ogni connotazione autoritativamente
discrezionale (così Corte cost. 16 luglio 1987, n. 268, id., 1987,
I, 2597). Più precisamente, quand'anche la lesione lamentata
dal prestatore di lavoro derivi dall'esercizio di poteri discrezio
nali dell'amministrazione datrice di lavoro, la situazione sogget tiva lesa dovrà qualificarsi, alla stregua delle più recenti classifi
cazioni civilistiche, come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, all'ampia categoria dei «diritti» di cui all'art. 2907 c.c.
Di recente la sentenza di queste sezioni unite n. 500/SU del
22 luglio 1999 (id., 1999, I, 2487) ha notato come la concentra
zione della tutela, operata dal d.leg. 80/98 attraverso la riparti zione per materie, delle posizioni soggettive lese dall'esercizio
illegittimo della funzione pubblica implica la volontà di colloca
re, quanto alla giurisdizione, le due posizioni soggettive poste
dagli art. 24 e 113 Cost, su un piano di pari dignità (e comun
que non definite in modo immutabile dalla Carta fondamentale). In conclusione dev'essere affermata l'appartenenza della lite
alla giurisdizione ordinaria.
II
Con distinti ricorsi depositati presso la cancelleria in data 7
ottobre 1999 Corradeschi Stefano ed altri otto dirigenti medici
in servizio presso gli ospedali di Bassano del Grappa ed Asiago
esponevano: — di esercitare attività libero-professionale extramuraria, es
sendo lo svolgimento di lavoro autonomo da parte di medici
dipendenti di strutture pubbliche una facoltà da tempo codifi
cata nel nostro ordinamento, rimasta inalterata sino all'entrata
in vigore del «collegato» alla finanziaria per il 1997; — la 1. 662/96, infatti, sopprimendo ogni differenza di regi
me tra medici a tempo pieno ed a tempo definito, aveva per la prima volta introdotto l'obbligo per i medici di optare tra
attività libero-professionale intramuraria ed extramuraria, pre vedendo, correlativamente, un obbligo per le aziende Usi di at tivare ed organizzare l'attività intramuraria — come del resto
già stabilito dall'art. 4, 10° comma, d.leg. 502/92 —, e di co
municare alla regione il quantitativo e la tipologia delle struttu re attivate;
— dal complesso di tale normativa, e, in particolare, dal di
sposto dell'art. 1, 10° e 11° comma, 1. 662/96, derivava che l'esercizio dell'opzione era subordinata all'effettiva predisposi zione di spazi e strutture adeguate da parte delle Usi, conforme mente alle previsioni del decreto del ministro della sanità 31
luglio 1997; — a distanza di ben sette anni dall'entrata in vigore del d.leg.
502/92 le unità locali ed aziende del Veneto avevano adottato
regolamenti che costituivano un'attuazione soltanto formale di
tale normativa, senza provvedere concretamente all'organizza zione dell'attività libero-professionale intramuraria, tanto da co
stringere i ricorrenti ad optare per l'attività professionale extra
muraria; — in questo quadro normativo s'inserivano le nuove disposi
zioni dettate dal «collegato» alla finanziaria per il 1999 (1. 448/99) e dal d.leg. 229/99; entrambe queste leggi contenevano norme di disfavore — in termini di trattamento economico e di carrie ra — nei confronti dei medici che esercitano attività libero
professionale extramuraria; — in particolare, il d.leg. 229/99, modificando l'art. 15 qua
ter d.leg. 502/92, stabiliva che entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore tutti i dirigenti medici in servizio alla data del 31 dicembre 1998 erano tenuti a comunicare al direttore
generale l'opzione in ordine al rapporto di lavoro esclusivo, il
quale dava diritto allo svolgimento dell'attività professionale in
tramuraria; — inoltre, sempre ai sensi del medesimo articolo, gli incan
ii. Foro Italiano — 2000.
chi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicavano il rapporto di lavoro esclusivo, prevedendosi per i dirigenti ap
partenenti a posizioni apicali alla data del 31 dicembre 1998
la sottoposizione a verifica entro il 31 dicembre 1999, con con
ferma nell'incarico con rapporto di lavoro esclusivo in caso di
verifica positiva, e conferimento di altro incarico nell'ipotesi di verifica negativa o mancata accettazione dell'incarico con rap
porto di lavoro esclusivo; — un'interpretazione costituzionalmente corretta di questa
normativa imponeva tuttavia di ritenere che anche l'esercizio
della nuova opzione richiedesse l'avvenuta e concreta attuazio
ne da parte delle aziende socio-sanitarie degli adempimenti pre visti ai fini dell'espletamento della libera professione intramuraria.
Ciò premesso in punto di fatto e di diritto, ed evidenziate, sotto il profilo del periculum in mora, le conseguenze irreversi
bili conseguenti all'esercizio dell'opzione, in un senso o nell'al
tro, entro il termine previsto, adivano questo giudice chieden
do, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., la sospensione d'ogni termine
relativo all'esercizio dell'opzione. La convenuta, ritualmente costituitasi all'udienza fissata per
la comparizione delle parti, instava per la reiezione delle do
mande attoree, affermando di aver posto in essere tutti gli adem
pimenti previsti dalla normativa in materia, tant'è vero che nes
suna lamentela era stata avanzata dai medici che avevano già
optato per l'esercizio dell'attività libero-professionale intra
muraria.
Disposta la riunione dei procedimenti, sentiti liberamente al
cuni dei ricorrenti ed assunte sommarie informazioni, questo
giudice si riservava la decisione.
Dal quadro normativo vigente prima dei recenti interventi le
gislativi del '99 emergeva un'evidente correlazione tra adempi menti previsti in tema d'attivazione ed organizzazione dell'atti
vità libero-professionale intramuraria ed opzione tra attività
libero-professionale intramuraria o extramuraria: ciò nel senso
che la concreta attuazione di quegli adempimenti condizionava
l'esercizio dell'opzione da parte dei medici.
L'art. 1 1. 23 dicembre 1996 n. 662, infatti, dopo aver ribadi
to l'obbligo dei direttori generali delle Usi e delle aziende ospe daliere, già previsto dall'art. 4, 10° comma, d.leg. 30 dicembre
1992 n. 502, di attivare ed organizzare l'attività libero
professionale intramuraria (8° comma), nel rendere obbligato ria per i medici l'opzione in parola, distingueva a seconda che
si trattasse di medici in servizio presso strutture nelle quali l'at
tività libero-professionale intramuraria era stata o meno orga nizzata ed attivata alla data d'entrata in vigore della legge: l'op zione doveva essere esercitata, per i primi, entro il 31 marzo
1997 (10° comma), e, per i secondi, entro trenta giorni dalla
data della comunicazione indirizzata dai direttori generali alle
regioni, concernente «il quantitativo e la tipologia delle struttu
re attivate nonché il numero degli operatori sanitari che posso no potenzialmente operare in tali strutture» (8° e 11° comma).
Tale distinzione sembra completamente obliterata dal d.leg. 19 giugno 1999 n. 229. L'art. 13 di tale decreto, nel modificare l'art. 15 d.leg. 502/92, stabilisce:
«Art. 15 qua ter (Esclusività del rapporto di lavoro dei diri
genti del ruolo sanitario). — 1. I dirigenti sanitari, con rappor to di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato, con i quali sia stato stipulato il contratto di lavoro o un nuovo con tratto di lavoro in data successiva al 31 dicembre 1998, nonché
quelli che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, che modifica il d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502 e successive mo
dificazioni, abbiano optato per l'esercizio dell'attività libero pro fessionale intramuraria, sono assoggettati al rapporto di lavoro esclusivo. — 2. Salvo quanto previsto al 1° comma, i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998, che hanno optato
per l'esercizio dell'attività libero-professionale extramuraria, pas
sano, a domanda, al rapporto di lavoro esclusivo. — 3. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente de
creto, che modifica il d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502 e successi ve modificazioni, tutti i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998 sono tenuti a comunicare al direttore generale l'opzione in ordine al rapporto esclusivo. In assenza di comuni
cazione si presume che il dipendente abbia optato per il rappor to esclusivo».
L'uso dell'aggettivo «tutti» appare peraltro già contraddetto dal successivo art. 15 quinquies, 7° comma, che, per i dirigenti sanitari appartenenti a posizioni apicali alla data del 31 dicem
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
bre 1998, non optanti per il rapporto quinquennale ai sensi del
la pregressa normativa, prevede la sottoposizione a verifica en
tro il 31 dicembre 1999, con conferma nell'incarico di direzione
di struttura complessa, in regime di rapporto di lavoro esclusi
vo, in caso di verifica positiva, e conferimento di altro incarico
in ipotesi di verifica negativa o di mancata accettazione dell'in
carico con rapporto esclusivo.
Stando alla lettera delle due disposizioni, i dirigenti in que stione sarebbero obbligati ad una duplice scelta — da compier
si, la prima, entro il termine stabilito dall'art. 15 quater, 3°
comma, e, la seconda, al momento dell'esito della verifica —, in contrasto con il carattere irreversibile della scelta del rappor to di lavoro esclusivo (v. l'art. 15 quater, 4° comma).
Ciò ha indotto lo stesso ministro della sanità a precisare, con
circolare dell'ottobre 1999 — prodotta in udienza dal procura tore attoreo e richiamata nelle memorie difensive della contro
parte —, che per tali dirigenti l'opzione debba essere effettuata
al momento della conferma dell'incarico o dell'attribuzione di
altro incarico professionale. La medesima circolare sembra poi differire il termine fissato
dall'art. 15 quater, 3° comma, al 31 dicembre 1999. In realtà,
poiché nel nostro sistema delle fonti un termine stabilito con
legge non può essere prorogato da una semplice circolare mini
steriale, il «differimento» passa attraverso un'operazione inter
pretativa, che evidenzia la correlazione esistente tra le nuove
disposizioni e la contrattazione collettiva (cui è demandata la
disciplina dei criteri generali di vari aspetti del rapporto con
i dirigenti medici), e prende atto della mancata stipulazione del
nuovo contratto collettivo per la dirigenza sanitaria, nonché del
previsto stanziamento, in sede di finanziaria per il 2000, di ri
sorse aggiuntive per l'adeguamento del fondo incentivante per l'esclusività del rapporto: il termine in parola, si legge nella cir
colare, appare non più coerente con il sistema normativo, a
causa dello slittamento della stipula del contratto collettivo «che,
come già detto, disciplinerà alcuni aspetti necessariamente pro
pedeutici alla scelta del rapporto esclusivo, tenuto anche conto
della non revocabilità di tale scelta».
Sempre in via interpretativa, va allora rilevato che il d.leg. 229/99 non ha abrogato l'art. 1 1. 662/96, né l'art. 4, 10° com
ma, d.leg. 502/99; al contrario, l'obbligo d'attivazione ed orga nizzazione dell'attività libero-professionale intramuraria è stato
recentemente ribadito dal legislatore con la 1. 23 dicembre 1998
n. 448, il cui art. 72, 11° comma, considera come causa impedi tiva del rinnovo dell'incarico di direttore generale, o della sua
revoca, la mancata assunzione, in conformità alle disposizioni di un emanando atto di indirizzo e coordinamento o, fino alla
sua emanazione, del decreto del ministero della sanità 31 luglio
1997, di tutte le iniziative ivi previste per consentire ai dirigenti
sanitari il pieno esercizio della libera professione intramuraria,
precisando altresì che «il direttore generale, fino alla realizza
zione di proprie autonome strutture e spazi distinti per l'eserci
zio dell'attività libero-professionale intramuraria in regime di
ricovero ed ambulatoriale, è tenuto ad assumere le specifiche
iniziative per reperire fuori dall'azienda spazi sostitutivi in strut
ture non accreditate nonché ad autorizzare l'utilizzazione di studi
professionali privati».
Inoltre, ritenere che l'art. 15 quater d.leg. 229/99 abbia eli
minato ogni distinzione tra medici, e sottoposto tutti i dirigenti sanitari all'obbligo di esercitare l'opzione entro un dato termi
ne, significherebbe esporre tale normativa a censure di illegitti
mità costituzionale, per l'ingiustificato trattamento deteriore che
risulterebbe riservato a quei medici che prestano servizio in strut
ture in cui l'attività libero-professionale intramuraria non è sta
ta attivata ed organizzata. In realtà, la concreta attuazione de
gli adempimenti in materia, come e ancor più della stipulazione
del nuovo contratto collettivo per la dirigenza sanitaria, appare
«necessariamente propedeutica» alla scelta — irrevocabile — del
rapporto di lavoro esclusivo: funzionale ad un esercizio consa
pevole dell'opzione è infatti non soltanto la conoscenza della
disciplina del rapporto esclusivo che sarà dettata in sede di con
trattazione collettiva, ma anche quella delle strutture e mezzi
messi a disposizione dell'amministrazione per l'esercizio della
professione intra moenia.
Nella specie, deve riconoscersi che l'Ausi n. 3 di Bassano del
Grappa si è adoperata per attivare ed organizzare l'attività libero
professionale intramuraria. Di tale operosità costituiscono testi
monianza i vari atti e documenti depositati dal procuratore del
II Foro Italiano — 2000.
la convenuta (cfr. il «regolamento delle modalità organizzative dell'attività libero-professionale del personale medico e delle al
tre professionalità della dirigenza del ruolo sanitario» approva to con delibera in data 28 maggio 1997; la successiva delibera
del 21 aprile 1999, che ha parzialmente modificato detto regola
mento; l'avviso diramato al personale di supporto per notiziar
io della possibilità di partecipare all'attività professionale intra
muraria e la conseguente redazione di un elenco delle domande
pervenute; la delibera in data 22 settembre 1999). Detta operosità non si è tuttavia tradotta — verosimilmente
anche a causa di concrete difficoltà organizzative e/o di man
canza di risorse economiche — in un'effettiva predisposizione di spazi e strutture adeguati al fine che ne occupa.
Già nel regolamento sopra citato si rinvengono previsioni di
carattere meramente generale e programmatico (così è per quel le di cui agli art. 3, 8, 5° e 6° periodo, e 6: quest'ultimo, in
particolare, in tema di utilizzazione degli spazi ed apparecchia ture individuali, stabilisce che «spetta ai responsabili delle strut
ture tecnico-funzionali, secondo le rispettive competenze, senti
to il consiglio dei sanitari, definire, in relazione all'effettiva ri
chiesta, le modalità di utilizzazione degli ambulatori, dei servizi
e delle relative apparecchiature nonché le modalità di utilizza
zione dei posti letto e delle sale operatorie, per le attività libero
professionali intramurarie, anche attraverso una diversa orga nizzazione delle attività e delle turnazioni del personale»). Alcu
ne di quelle previsioni sono oltretutto ormai superate, e destina
te probabilmente ad essere rivisitate: ci s'intende riferire alla
determinazione della percentuale degli spazi e posti letto riser
vati alla libera professione intramuraria, posto che l'art. 15 quin
quies, 3° comma, d.leg. 229/99 demanda alla contrattazione
collettiva, sia pure nel rispetto dei principi dallo stesso stabiliti,
la definizione del corretto equilibrio fra attività istituzionale ed
attività libero-professionale. Che la predisposizione di spazi e strutture adeguati per l'eser
cizio della professione intramuraria sia in via di attuazione, ma
a tutt'oggi non ancora ultimata, risulta anche dalla delibera in
data 22 settembre 1999, ove, in relazione alla «possibilità di
opzione per l'attività libero-professionale intra moenia correla
ta al rapporto di lavoro esclusivo da parte dei dirigenti sanitari»
si prospetta la «necessità di implementazione e/o integrazione di dotazioni tecnico/strumentali e logistiche, specialmente per attività ambulatoriali, in funzione dell'aumento quali-quantitativo
della potenzialità di prestazioni erogabili», prevedendosi conse
guentemente la possibilità di effettuare «eventuali» acquisti di
beni mobili durevoli.
Nello stesso senso depone l'affermazione contenuta nella mis
siva inviata ai ricorrenti a fine ottobre 1999 («eventuali azioni
di riorganizzazione del lavoro e della logistica potranno essere
intraprese solo dopo che sarà nota l'opzione, tenendo conto
della tipologia e del volume delle prestazioni che la S.V. intende
svolgere»). Ancor più esplicita, nel senso di subordinare, contra
legem, la predisposizione di spazi e strutture adeguate all'avve
nuto esercizio dell'opzione da parte dei medici, è la spiegazione al riguardo fornita in udienza dal direttore medico dell'ospedale di Bassano: «La riserva espressa nella missiva del 20 ottobre
1999 è fatta per l'ipotesi in cui il numero dei medici che optino
per l'esercizio intramurario sia tale da rendere non più suffi
cienti le strutture oggi disponibili. La riorganizzazione prevede rebbe sostanzialmente l'accorpamento di alcuni reparti, con re
cupero di spazi; ciò vale anche per le attrezzature, perché ad
es. oggi vi sono locali con attrezzature ove si svolge anche atti
vità ambulatoriale, e che in futuro potrebbero adoperarsi a tempo
pieno . . . man mano che i medici fanno una richiesta di svolgi
mento di libera professione intramuraria, con la specificazione
del tipo di attività esercitata e delle modalità con cui intendono
svolgerla, l'amministrazione risponde cercando di venire incon
tro alle loro esigenze, con indicazione di ore, posti, personale.
Si tratta dei medici che hanno già optato per l'esercizio della
professione intramuraria. Non viene invece data risposta, se non
generica, alle richieste generiche, con cui non viene esercitata
l'opzione. Ciò perché è il formale esercizio dell'opzione ad in
nescare il meccanismo di predisposizione delle strutture all'uo
po necessarie».
Ora, è indubbio che, al fine di attuare gli adempimenti in
materia, l'amministrazione necessita di una serie di dati (quali
il numero di medici interessati all'esercizio dell'attività intramu
raria, il tipo di prestazioni professionali rese, la necessità o me
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1495 PARTE PRIMA 1496
no di assistenza da parte di personale infermieristico). E, tutta
via, poiché, per le ragioni dianzi esposte, è l'effettiva predispo sizione di spazi e strutture adeguati a condizionare l'esercizio
dell'opzione da parte del medico, e non il contrario, tali infor
mazioni ben potevano, ed anzi dovevano, essere acquisite in
un momento anteriore all'esercizio dell'opzione (non a caso l'art.
2, lett. e, del decreto 31 luglio 1997 stabiliva che il regolamento di cui all'art. 1 contenesse la determinazione del «numero degli
operatori, distinti per profilo e posizione funzionale, che posso no potenzialmente operare in regime libero-professionale»).
Per quel che infine riguarda il periculum in mora, è sufficien
te osservare che l'esercizio dell'opzione nelle condizioni attuali
è suscettibile di arrecare un pregiudizio irreparabile ai ricorren
ti, comportando la scelta in favore dell'attività professionale extramuraria rilevanti conseguenze in termini non soltanto di
trattamento retributivo, ma anche di progressione di carriera
e di svolgimento di attività di ricerca, e, quella per il rapporto
esclusivo, il pericolo che attività professionali private già avvia
te non possano proseguire nella struttura pubblica, per mancan
za di spazi e dotazioni adeguate, con conseguente dispersione della clientela.
Avendo i ricorrenti proposto contestualmente la domanda cau
telare e quella di merito, non occorre fissare il termine per l'in
staurazione del giudizio di merito.
Ili
Giacomo Biso più altri novantadue ricorrenti, meglio genera lizzati in ricorso, richiedono a questo giudice, quale giudice mo
nocratico del lavoro, un provvedimento di urgenza che tuteli
le loro posizioni giuridiche, assumendo che le stesse sarebbero
irreparabilmente lese in attesa della definizione del giudizio di
merito che si riservano di radicare, qualora dovessero adempie re all'obbligo di effettuare l'opzione di cui all'art. 15 quater
d.leg. n. 502 del 1992, come aggiunto dal d.leg. n. 229 del 1999, entro il termine del 29 ottobre 1999, in difetto e dell'appronta
mento, protratto fino ad oggi, da parte dell'Asl 5 Spezzino, delle strutture e degli spazi e della programmazione dell'attività
necessari al fine di consentire detta opzione. Resiste al ricorso la Asl 5 Spezzino (di seguito, azienda od
Asl), formulando eccezione di difetto di giurisdizione dell'adito
giudice a favore del giudice amministrativo e, nel merito, conte
stando la sussistenza dei presupposti per l'invocata misura cau
telare.
All'udienza, sentite le parti, avuto corso la discussione orale, il giudice si riservava di decidere.
Sciogliendo la riserva, vengono formulate le seguenti conside
razioni in fatto ed in diritto.
Innanzi tutto, l'eccezione di difetto di giurisdizione non ap
pare fondata, in quanto, nel caso di specie, non vengono tanto
in rilievo problemi afferenti l'organizzazione generale dell'ente
pubblico (nella specie, l'azienda sanitaria), le quali restano de
volute alla giurisdizione del giudice amministrativo, anche dopo la riforma del pubblico impiego (cfr. art. 1-4 e 68 d.leg. n.
29 del 1993), quanto questioni che incidono direttamente sul
rapporto di lavoro dei medici ricorrenti, le quali certamente, a seguito di detto decreto, sono assoggettate a questa giuris dizione.
È certo vero che i ricorrenti lamentano che le loro posizioni lavorative resterebbero pregiudicate dal comportamento omissi
vo (in punto organizzativo) dell'azienda e che, in ipotesi, chie
dono la condanna di quest'ultima ad adempiere a quanto dalla
legge sarebbe alla stessa prescritto; è altresì indubbio, a parere di questo giudice, che questa domanda sia inammissibile. Da
un lato, infatti, giusti i principi di cui ai citati art. 1-4, ben
può ritenersi che una simile pretesa non sia giustiziabile avanti
questa magistratura, anziché avanti quella amministrativa e, dal
l'altro, entrando nel merito della domanda, se pur si volesse ritenere che, nel caso, l'azienda debba essere riguardata come
datore di lavoro assoggettato ai diritti e doveri del datore di
lavoro privato, tuttavia si tratterebbe pur sempre di una even
tuale condanna ad un facere infungibile ed ineseguibile coatti
vamente in sede esecutiva, come tale preclusivo dell'accoglimento della domanda.
Parte ricorrente ha però richiesto, in via generica, di dichia
rarsi che essa non è soggetta all'obbligo di scelta di cui al citato
Il Foro li liano — 2000.
art. 15 quater, in difetto degli adempimenti aziendali. Ora, que sto giudice non ignora che una consistente parte della dottrina
e della giurisprudenza reputano non ammissibile l'azione caute
lare ex art. 700 c.p.c., qualora, in sostanza, la sentenza di meri
to finale sia una sentenza di accertamento della sussistenza di
diritti e di obblighi. Esiste tuttavia altro filone giurisprudenziale
e dottrinale, il quale, muovendo dalla considerazione che la tu
tela cautelare risponde ad una fondamentale garanzia di effetti
vità della tutela giurisdizionale in generale (art. 24 Cost.), ritie
ne che occorra verificare in concreto, più che la tipologia di
decisione finale che si andrà poi ad emettere, la sussistenza o
meno di una lesione irreparabile che potrebbe concretarsi in at
tesa di quella decisione (cfr., ad es., Trib. Napoli 4 aprile 1997,
Foro it., Rep. 1997, voce Brevetti, n. 101; 8 novembre 1996,
ibid., voce Procedimenti cautelari, n. 32; Pret. Gela 27 feb
braio 1995, id., Rep. 1996, voce Provvedimenti di urgenza, n.
134; Pret. Milano 16 febbraio 1995, id., Rep. 1995, voce cit.,
nn. 123, 196; Trib. Pescara 17 ottobre 1994, id., Rep. 1996,
voce cit., n. 120; Pret. Roma 27 marzo 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 39; Pret. Castellammare di Stabia 26 giugno 1991,
id., Rep. 1991, voce cit., n. 196; Pret. La Spezia 19 maggio
1999, di questo giudice, Bimbi contro Inps). Infondata ai sensi di legge (art. 669 octies c.p.c. ed art. 6
d.leg. n. 29 del 1993) è poi l'ulteriore eccezione per la quaL il presente procedimento avrebbe dovuto essere preceduto dal
tentativo obbligatorio di conciliazione: è diritto positivo invece
che detto tentativo non deve precedere obbligatoriamente i pro cedimenti di urgenza, ma solo la fase ordinaria del giudizio.
Pertanto, ad avviso di questo giudice, occorre scendere co
munque al merito della questione e vagliare la sussistenza dei
due presupposti richiesti dall'art. 700 c.p.c. (fumus boni iuris
e periculum in mora).
Ora, esaminando la questione sia pure con la sommarietà ti
pica di questa fase di urgenza, sembra di poter evincere dal
complesso sistema normativo che l'art. 15 quater d.leg. n. 502
del 1992, cit., come aggiunto dal d.leg. n. 229 del 1999, pure
cit., si inserisca nel solco di disposizioni normative che già era
no state, negli ultimi anni, emanate per regolamentare la mate
ria dello svolgimento della libera professione c.d. intra moenia
(art. 1, 8° comma e dal 10° al 12°, 1. n. 662 del 1996; d.m.
31 luglio 1997, art. 1; art. 72 1. n. 448 del 1998). Ebbene, come
già ritenuto da altro giudice (cfr. Pret. Milano 26 maggio 1999,
prodotta da parte ricorrente), le norme di cui sopra (in partico
lare, art. 1, commi cit., 1. n. 662 del 1996 e d.m. 31 luglio
1997, pure cit.) chiaramente prevedono che l'azienda, ai fini
di consentire la scelta tra il regime di attività professionale intra
od extra moenia, con le differenti conseguenze giuridiche, si
attivi per predisporre strutture, spazi, locali e quant'altro neces
sario per poter dare concretamente corso all'attività professio nale intra moenia e per fissare orari, regole e tariffe della stessa e quant'altro pure necessario per regolamentare l'attività me
desima.
Le ragioni di questa scelta legislativa, già bene illustrate nel
provvedimento del Pretore di Milano sopra citato, appaiono a
questo giudice condivisibili, in quanto non si può pretendere di obbligare ad una scelta così importante (anzi, decisiva e non
modificabile, se di un certo tenore: cfr. art. 15 quater, 4° com
ma, d.leg. n. 502, cit.) senza prima dar contezza di quali con
crete realtà e situazioni sono state attivate.
Se così è, non sembra che l'art. 15 quater, cit., abbia innova
to sul punto, prescrivendo che siano per primi i ricorrenti ad
effettuare la loro scelta, riservandosi poi l'azienda di dar corso
a quanto ad essa spettante. Il termine di legge va dunque inte
so, almeno così pare in questa sede di urgenza e sommaria, come presupponente l'attività dell'azienda di cui sopra.
Sul punto, è stato documentato in causa che il ministro della
sanità ha emanato una circolare con la quale avrebbe differito
detto termine fino al 31 dicembre 1999, in attesa sia delle novità
normative che sarebbero in preparazione con la prossima legge finanziaria sia delle disposizioni del nuovo contratto collettivo
di settore.
Ora, l'esistenza ed il contenuto della circolare non sono stati, né potevano esserlo, visto il tenore dello stesso, contestati dal
funzionario delegato dall'azienda; dal punto di vista giuridico, detta circolare non ha certo la forza di derogare alle norme
scaturenti dalla legge ordinaria e dalle fonti ad essa equiparate
(come il decreto legislativo), quali, per es., il noto art. 15 qua
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ter, laddove fissa il termine per l'opzione, ma, a parere del giu
dice, ciò costituisce un ulteriore elemento interpretativo che con
forta l'interpretazione sopra data all'articolo stesso, ossia che
l'osservanza di detto termine è condizionata (recte: presuppone)
l'adempimento, da parte dell'azienda, di quanto ad essa deman
dato (e sopra ricordato). Occorre allora indagare se la Asl abbia o meno dato corso
a questi adempimenti. Al riguardo, la deposizione del funziona
rio della stessa azienda ha chiarito come, ad oggi, lo stesso non
sia avvenuto, anche perché essa ha ritenuto di dover attendere
che fossero i medici per primi a comunicare quanti di loro op tassero per il regime di attività lavorativa intra moenia (opinio
ne che, secondo quanto detto sopra, non pare aderente al detta
to normativo). Non solo, ma è emerso anche che l'azienda non
ha ancora predisposto quel regolamento per la disciplina del
l'attività libero-professionale intramuraria che già era prevedu to dal d.m. 31 luglio 1997, cit., ma ne ha in approvazione una
bozza, inviata, da circa un mese, alle organizzazioni sindacali.
In questa situazione di fatto, non pare al giudice rilevante la
circostanza che, su richiesta, l'azienda abbia comunque autoriz
zato allo svolgimento di detta attività, poiché il sistema norma
tivo culminato con il citato art. 15 qua ter prevede non la auto
rizzazione per singola domanda, ma la creazione di due veri
e propri regimi di attività professionale, accessibili a domanda,
la quale è espressione di una scelta da maturarsi, da parte di
tutti gli interessati, entro un dato termine. Pertanto, si confer
ma anche sotto questo profilo che occorre indagare se vi siano
i presupposti per poter esercitare questa scelta e non verificare
se poi, singolarmente, la Asl abbia in concreto concesso o nega to l'autorizzazione. Ancora, non pare nemmeno decisivo accer
tare se, allo stato attuale, vi siano o meno disponibilità di posti letto negli ospedali della Spezia e di Sarzana, perché questo ele
mento (reperimento di posti letto) è solo uno dei profili che
compongono l'insieme degli adempimenti imposti all'azienda dal
la legge. Il fumus della domanda dei ricorrenti sembra dunque esistere.
Venendo al periculum in mora, anch'esso appare sussistere.
Invero, è evidente che l'optare per l'uno o l'altro dei regimi di attività comporta rilevanti conseguenze non solo sotto l'a
spetto retributivo, ma anche sotto quello della progressione in
carriera e dello svolgimento di attività di ricerca, ossia sotto
i principali profili del rapporto di lavoro dei ricorrenti. Pertan
to, vengono in rilievo posizioni di diritto soggettivo, scaturenti
dal rapporto di lavoro, che sono incise e modificate dalla scelta
per uno dei due regimi di attività. Se così è e diversamente non
pare, l'imminenza della scadenza del termine per la scelta, quan
do, come sopra evidenziato in fatto, l'azienda non ha ancora
dato corso a tutti quegli adempimenti che possono consentire
la scelta medesima, configura realmente pericolo di pregiudizio
per quegli stessi diritti che sopra sono stati evidenziati. Si ag
giunga altresì che l'azienda ha già invitato i ricorrenti a effet
tuare la scelta di legge (cfr. lettera del 20 ottobre 1999 prodot
ta), fissando però in essa, come termine di risposta, una data
(il decimo giorno dalla lettera medesima) che va oltre quello
che sarebbe stato il termine di legge; anche sotto questo aspet
to, è evidente che i ricorrenti, nelle more, si trovano nella con
dizione di non aver contezza della scadenza effettiva di quanto a loro richiesto, il che sembra configurare un ulteriore profilo
di pericolo delle loro posizioni, nelle more del maturarsi del
termine e nell'incertezza su quest'ultimo. Ad aggravare questa
situazione di pericolo che sovrasta le posizioni dei ricorrenti,
sta poi il fatto che neppure in causa è chiaramente emersa quale sia la condotta che l'azienda ritiene di seguire. Infatti, il funzio
nario ascoltato, da un lato, ha detto di non sapere per qual
motivo la citata lettera contenga un termine di risposta che va
oltre quello legislativamente previsto (al riguardo, egli ha avan
zato solo proprie deduzioni sul punto, ipotizzando una sfasatu
ra tra la compilazione della lettera e la sua datazione), dall'al
tro, ha negato che la circolare ministeriale di cui sopra sia mai
pervenuta formalmente all'azienda stessa, che, però, ne ha re
perito il contenuto attraverso i mezzi di comunicazione (il ricor
rente Marino al riguardo, ha detto di essere stato lui stesso a
fornirne copia alla direzione aziendale), ma ha poi puntualizza
to di non sapere quale comportamento intenda, alla luce di tut
to questo, in concreto tenere la stessa azienda.
Pertanto, sotto il profilo del periculum in mora, ritiene que
sto giudice che esso sussista e non possa dirsi, per le connota
li Foro Italiano — 2000.
zioni che assume in causa, riparabile all'esito, impregiudicato, del giudizio di merito.
Anche qui paiono al giudice condivisibili le considerazioni svol
te dal Pretore di Milano nel citato provvedimento. Invero, la
scelta, da effettuarsi entro domani 29 ottobre 1999, comporta, nel caso di opzione per l'attività intra moenia, l'immediata chiu
sura degli studi privati, con impossibilità dunque di continuare
a svolgere la propria attività per la mancanza di idonee struttu
re ove nel frattempo operare (cfr. anche deposizione della parte Bertoli Daniele, sul punto non smentita dalla controparte). Ne
segue che i ricorrenti si troverebbero, ripetesi di fatto, in una
situazione lavorativa immediatamente pregiudicata e non com
pletamente riparabile al termine di un giudizio ordinario.
All'esito di tutto quanto sopra, ritiene il giudice che il ricorso
sia fondato e che debba ritenersi che non sussiste, allo stato,
l'obbligo di effettuare la scelta per il regime di attività lavorati
va, finché l'azienda non darà corso a quegli adempimenti che
appaiono essere presupposti di legge della scelta stessa, salve,
ovviamente, le modificazioni dello stato di fatto e di diritto che
dovessero eventualmente sopravvenire.
IV
La questione che ha originato la presente controversia può, in estrema sintesi, così riassumersi: il ricorrente e gli altri liti
sconsorti indicati in epigrafe, lamentano l'impossibilità di pote re esercitare l'opzione tra regime intra moenia ed extra moenia
(previsto dall'art. 15 quater, 3° comma, d.leg. 229/99) in quan to allo scadere del termine per esercitare tale opzione (29 otto
bre p.v.) il loro datore di lavoro (ospedale Galliera) non ha
ancora provveduto ad individuare idonei spazi, strutture e mez
zi per consentire loro l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria. Di fatto la scelta, a dire dei ricorrenti, avverrebbe
«al buio» tenuto conto che scegliendo la libera professione in
tramuraria sarebbe concreto il pericolo di un danno grave ed
irreparabile costituito dalla dispersione della clientela; di contro
scegliendo l'attività extramuraria il danno sarebbe costituito, oltre
alla consistente riduzione della retribuzione, dalla perdita di ogni
possibilità di percorrere la carriera apicale nel servizio di loro
competenza. In altri termini i ricorrenti si trovano ad un bivio senza poter
contare su una mappa che indichi loro con sicurezza quale stra
da percorrere. Per affrontare la questione occorre preliminarmente percor
rere alcuni passaggi normativi che consentano di inquadrare cor
rettamente l'intera vicenda.
Il d.leg. 229/99 (più noto come riforma ter) è l'ultimo atto
di una lunga vicenda legislativa che si dipana, con profonde
innovazioni, oramai dagli inizi degli anni novanta.
Una precisa e puntuale ricostruzione storica dell'evoluzione
legislativa del rapporto di lavoro e delle incompatibilità inerenti
ai medici dipendenti pubblici è stata di recente compiuta dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 330 del 20 luglio 1999
(in questo fascicolo, I, 1364) di cui è opportuno riportare il
seguente passo:
«. . . questa corte aveva considerato che 'già la preesistente normativa (art. 19 r.d. 30 settembre 1938 n. 1631; art. 13 bis
d.leg. 3 maggio 1948 n. 949, ratificato con modificazioni ed
aggiunte dalla 1. 4 novembre 1951 n. 1188; art. 3 1. 10 maggio 1964 n. 336) vietava al personale sanitario ospedaliero ogni for
ma di esercizio professionale esterno in concorrenza con gli in
teressi dell'ospedale' (sentenza n. 103 del 1977 Foro it., 1977,
I, 2105). Ma è specialmente con l'art. 43, lett. d), 1. 12 febbraio
1968 n. 132 che veniva stabilito il principio dell'incompatibilità tra rapporto di servizio a 'tempo definito' del medico ospeda
liero ed esercizio professionale in case di cura private, proprio
perché, rispetto alla scelta legislativa di potenziare con nuove
strutture il servizio pubblico di assistenza ospedaliera, avrebbe
avuto — secondo la ricordata sentenza n. 103 del 1977 — 'ef
fetti negativi ed impeditivi il consentire alla collaterale organiz
zazione dell'assistenza sanitaria privata di assorbire, con impe
gni quasi sempre non accidentali, il personale sanitario ospe
daliero'.
Questa scelta legislativa veniva confermata dal decreto dele
gato 27 marzo 1969 n. 130, che, dando attuazione al suddetto
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1499 PARTE PRIMA 1500
principio di incompatibilità, definiva compiutamente due diver
se tipologie di rapporti. Esso infatti stabiliva, all'art. 24, che
il rapporto a 'tempo pieno' — al quale il medico è ammesso
'a domanda' — comporta l'attribuzione di un 'premio di servi
zio', ma anche 'rinuncia alla attività libero-professionale extra
ospedaliera' e 'totale disponibilità' per i compiti di istituto del
l'ente ospedaliero, mentre il rapporto a 'tempo definito' com
porta 'la facoltà del libero esercizio professionale, anche fuori
dell'ospedale', purché non in contrasto con le incompatibilità
disposte dal predetto art. 43, lett. d), citata 1. n. 132.
L'impianto di tale disciplina neppure è stato, sotto questi pro
fili, sostanzialmente modificato dalla riforma sanitaria della fi
ne degli anni settanta, la quale anzi ha espressamente ribadito
il diritto dei medici a 'tempo pieno' di esercitare attività libero
professionale intramurale, e cioè esclusivamente 'nell'ambito dei
servizi, presidi e strutture dell'Usi, sulla base di norme regiona
li', limitandola, fuori di essa, soltanto a 'consulti e consulenze
non continuativi', autorizzati 'sulla base di norme regionali' (art.
35, 2° comma, lett. c e d, d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761). Restava confermata per i medici con rapporto di servizio a 'tem
po definito' la facoltà di svolgere — purché in orari compatibili e non in contrasto con gli interessi ed i fini istituzionali dell'uni
tà sanitaria — libera attività professionale extramuraria, cioè
al di fuori dell'Usi, anche 'in regime convenzionale', in confor
mità alle direttive degli accordi nazionali (art. 35, 5° comma, lett. c e d).
L'evoluzione legislativa del sistema sanitario pubblico com
piuta fino a quel momento indicava dunque una precisa distin
zione in due tipi del rapporto di servizio dei medici, sulla base
di una diversità di impegni, modalità ed orario di lavoro, non
ché in relazione alla peculiare disciplina della libera professione intramuraria.
In questo quadro normativo, si è inserito in modo innovativo
l'art. 4, 7° comma, I. 30 dicembre 1991 n. 412, con il quale il legislatore, secondo questa corte, ha inteso sancire 'con rigore il principio di unicità del rapporto di lavoro con il servizio sani
tario nazionale, avendolo ritenuto particolarmente valido al fi
ne di soddisfare l'esigenza, costituzionalmente protetta, di resti
tuire massima efficienza ed operatività alla rete sanitaria pub blica' (sentenza n. 457 del 1993, id., 1995, I, 62). Con questa
disciplina il legislatore vietava ai medici a 'tempo definito' pre stazioni di lavoro in regime convenzionale o presso strutture
convenzionate, ma in compenso veniva a liberalizzare del tutto
l'esercizio dell'attività professionale sia extra che intramuraria
e ad "incentivare la scelta per il rapporto di lavoro dipendente, assicurando in tal caso, a semplice domanda, il passaggio dal
'tempo definito' al 'tempo pieno', anche in soprannumero" (sen tenza n. 457 del 1993), con conseguente incremento di retribu
zione. La liberalizzazione dell'esercizio dell'attività professiona le in regime esclusivamente privatistico per tutto il personale sanitario comportava, d'altra parte, che anche i medici a 'tem
po pieno' potessero svolgere attività extramuraria, senza la pre cedente limitazione ai soli consulti e consulenze non continuativi.
La nuova disciplina delle incompatibilità mediche e dell'atti
vità libero-professionale, disposta dalla citata 1. n. 412, si con
formava, per certi aspetti, alla logica dell'aziendalizzazione del servizio sanitario e della 'privatizzazione' del rapporto di lavoro del personale dipendente accolta dagli art. 1 e 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421. Logica che si evidenziava più chiaramente con i decreti delegati n. 502 del 1992 (come modificato dal d.leg. n.
517 del 1993) e n. 29 del 1993, i quali fissavano il principio dell'unicità del ruolo dirigenziale del personale sanitario in un
quadro di progressiva aziendalizzazione delle Usi e degli ospe dali. Si veniva così a determinare una situazione in cui soggetti — pubblici e privati — che erogavano prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale, potevano essere scelti libera
mente dal cittadino e venivano retribuiti in base alle prestazioni rese. In questo modo si veniva a ribadire il principio di concor
renzialità tra strutture sanitarie pubbliche e strutture sanitarie
private, alla cui luce però rischiava di apparire contraddittoria la facoltà, riconosciuta al sanitario dipendente pubblico, di eser
citare sia l'attività professionale anche all'esterno della struttu
ra di appartenenza. Tanto più, se si considera che il dirigente medico, in questo nuovo modello organizzativo, appariva in gra do di contribuire efficacemente a determinare sia le scelte stra
tegiche ed operative dell'azienda, attraverso la partecipazione al consiglio dei sanitari, sia quelle specifiche del dipartimento o del servizio, cui era preposto.
Il Foro Italiano — 2000.
Esistevano quindi le premesse per il profilarsi di una situazio
ne di conflitto di interessi, qualora il medico svolgesse libera
attività professionale extramuraria. E proprio per evitare questa
situazione, il legislatore, nella sua discrezionalità, da un lato, ha adottato misure per estendere il divieto di svolgere attività
extramuraria anche riguardo a istituzioni e strutture private, delle
quali l'Usi si avvaleva per prestazioni specialistiche, di diagno stica strumentale e di laboratorio ed ospedaliere (art. 8, 5° e
9° comma d.leg. n. 502 del 1992). Dall'altro lato, ha adottato
misure per incentivare l'attività professionale intramuraria, che
questa corte aveva già considerato elemento qualificante della
riforma sanitaria, in quanto, tra l'altro, permette che 'le azien
de ospedaliere, dotate di piena autonomia finanziaria, possano effettivamente beneficiare di nuove entrate' (sentenza n. 355 del
1993, ibid.). In effetti la libera professione intramuraria, che
si è sempre più venuta caratterizzando come tertium genus per la compresenza, accanto agli elementi propri del rapporto d'o
pera professionale, di altri propri del rapporto di lavoro subor
dinato — quali, ad esempio, il trattamento fiscale, la fissazione
delle tariffe e la determinazione del riparto dei compensi da
parte dell'amministrazione — può apparire uno strumento utile
per il conseguimento degli scopi assegnati alle strutture sanitarie
pubbliche».
In quest'ordine di idee si colloca il d.leg. 229/99 (anticipato in alcune soluzioni dall'art. 1, 10° comma, 1. n. 662 del 1996) che porta avanti il lento processo di privatizzazione della sanità
pubblica.
Infatti, una volta disposta l'aziendalizzazione delle Usi e la
dirigenza medica, occorreva disincentivare al massimo la scelta
per la libera professione extramuraria.
Un primo passo è avvenuto con l'art. 1, 5° comma, 1. n.
662 del 1996 che ha introdotto una serie di incompatibilità ed
ha introdotto la possibilità di optare tra esercizio dell'attività
professionale intramuraria o extramuraria.
Un ulteriore passo in avanti è stato infine compiuto con il
d.leg. 229/99 che ha previsto due regimi lavorativi, uno esclusi
vo ed uno non esclusivo.
Le differenze tra i due regimi e, conseguentemente, la scelta
irreversibile che il ricorrente deve compiere nei prossimi giorni è in sostanza l'oggetto del contendere. Invero la materia del
contendere si fonda su una divergenza interpretativa originata dalla diversa prospettazione da cui si collocano i ricorrenti ri
spetto all'azienda: quest'ultima muove dal presupposto che l'op zione debba essere esercitata «al buio» per consentire all'azien
da sanitaria di potersi organizzare in base al numero di opzioni intramurarie utili; l'altra muove dal diverso presupposto che l'op zione debba essere esercitata dopo la predisposizione da parte dell'azienda delle strutture che consentano al medico di svolgere intra moenia le attività libero-professionali. Insomma nodo da
sciogliere è se l'opzione debba essere la causa ovvero l'effetto della predisposizione di strutture, mezzi e quant'altro ritenuto
necessario per consentire ai medici di effettuare la libera profes sione intramuraria.
Invero sul punto il legislatore ha compiuto una scelta di estre
ma chiarezza che risulta dal tenore letterale della stessa legge. Occorre peraltro rammentare (da un punto di vista storico),
per la inconferenza dei precedenti giurisprudenziali citati dalla
difesa dei ricorrenti, che l'art. 1, 10° comma, 1. 662/96 consen
tiva l'opzione ai «dipendenti del servizio sanitario nazionale in
servizio presso strutture nelle quali l'attività libero-professionale intramuraria risulti organizzata e attivata, ai sensi dell'art. 4, 10° comma, d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502. . .».
In questo caso l'opzione poteva avvenire solamente a seguito dell'attivazione da parte della azienda sanitaria delle strutture
per consentire la professione intramuraria. L'opzione era quin di considerata dal legislatore come effetto che doveva essere
causato dalle scelte compiute dall'azienda datrice di lavoro.
Il d.leg. 229/99, invece, ha rovesciato i termini del discorso
perché ha legato l'opzione al mero trascorrere di novanta giorni dall'entrata in vigore della 1. 229/99 («entro novanta giorni dal
l'entrata in vigore del decreto, tutti i dirigenti in servizio alla
data del 31 dicembre 1998 sono tenuti a comunicare al direttore
generale l'opzione in ordine al rapporto esclusivo»): l'opzione non è quindi più legata alla predisposizione aziendale, di strut ture e mezzi per consentire l'esercizio dell'attività intramuraria.
In tal senso, oltre la chiara lettera della legge, depone anche
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il fatto che il legislatore in caso di silenzio abbia determinato
la precisa conseguenza del regime di rapporto esclusivo e la cir
costanza che tale presunzione non è iuris tantum ma iuris et
de iure, cioè sia considerato elemento non modificabile dalla
successiva volontà del medico.
L'interpretazione meramente letterale, come noto, è il primo
criterio ermeneutico che il giudice deve seguire (art. 12 preleg
gi): da ciò risulta evidente l'infondatezza dei ricorsi proprio per
mancanza del fumus, in quanto la circostanza che l'ospedale convenuto non abbia ancora predisposto alcunché (fatto peral
tro contestato dal direttore amministrativo sentito quale procu
ratore speciale) è circostanza del tutto irrilevante al fine dell'e
sercizio dell'opzione. Ma anche una interpretazione teleologica porta ad analoga
conclusione.
Infatti nel quadro di una evoluzione legislativa diretta a con
ferire maggiore efficienza, anche attraverso innovazioni del rap
porto di lavoro dei dipendenti, all'organizzazione della sanità
pubblica così da renderla concorrenziale con quella privata, non
solo non appare irragionevole la previsione di limiti all'esercizio
dell'attività libero-professionale da parte dei medici del servizio
sanitario nazionale (cfr. ordinanze della Corte costituzionale n.
450 del 1994, id., Rep. 1995, voce Sanitario, n. 16, e n. 214
del 1994, id., 1995, I, 62) ma è del tutto coerente non avere
ancorato la scelta del medico alla predisposizione delle strutture
e mezzi per l'esercizio dell'attività intramuraria.
11 legislatore del 1999 ha infatti compiuto una scelta forte
mente aziendale e coerente con la precedente normativa: da un
lato, slegando l'opzione dalla predisposizione di strutture e mezzi
ed ancorandola al mero trascorrere del tempo ha voluto in cer
to qual modo fare la conta dei medici con rapporto esclusivo
di cui poteva disporre per organizzare i propri servizi (solo chi
ha compiuto la scelta esclusiva potrà infatti avere incarichi or
ganizzativi); dall'altro, il che risponde ad una logica di conteni
mento della spesa pubblica nonché di buon andamento della
pubblica amministrazione (cfr. art. 97 Cost.) e più in generale
a criteri di corretta organizzazione aziendale, ha inteso consen
tire alle strutture sanitarie di avere un quadro ben preciso di
chi e quanti medici avranno scelto il rapporto esclusivo per po
tere poi organizzare l'attività ospedaliera e l'attività libero
professionale intramuraria.
Bisogna infatti sottolineare che i medici sono divenuti diri
genti sicché solamente a quelli con rapporto di lavoro esclusivo
è possibile affidare compiti manageriali o di responsabilità su
singoli obiettivi (cfr. art. 15 d.leg. 229/99), sicché legare l'op
zione all'organizzazione dell'attività intramuraria avrebbe de
terminato la concreta impossibilità di organizzare in primo luo
go l'attività istituzionale. Insomma per il legislatore prima viene
il servizio pubblico poi l'interesse del singolo medico suo dipen
dente a svolgere attività libero-professionale. Alla luce degli elementi di diritto sopra esposti la richiesta
in via d'urgenza appare infondata sia per quanto riguarda il
fumus sia per quanto riguarda la sussistenza di pericula.
Quanto al fumus, dal tenore della legge non emerge alcun
diritto dei ricorrenti ad effettuare l'opzione dopo l'attivazione
e la predisposizione da parte del convenuto di strutture, mezzi
e quant'altro (come invece avveniva nel disposto dell'art. 1, 10°
comma, 1. 662/96). Inoltre la violazione degli art. 3 e 36 Cost, nonché la viola
zione della normativa comunitaria appaiono del tutto fuori luogo.
Quanto agli art. 3 e 36 Cost., a prescindere dal fatto che
per l'art. 3 non è indicato il tertium comparationis, è facile
osservare l'errata interpretazione normativa.
Per quanto riguarda in particolare l'art. 36 Cost., è di tutta
evidenza che la scelta extramuraria giustifica una diminuzione
di stipendio atteso che verranno meno o non potranno essere
conferite funzioni di responsabilità (anche non apicale): a mi
nori responsabilità (e quindi a minore qualità del lavoro presta
to), minore retribuzione secondo il dettato dell'art. 36 Cost.;
la scelta intramuraria, invece, in quanto calmierata non potrà
mai consentire Io svolgimento di attività libero-professionale in
misura eguale a quella odierna: infatti essa non può comportare
per ciascun dipendente un volume di prestazioni superiore a quel
lo assicurato per i compiti istituzionali. Inoltre la limitazione
all'esercizio della libera professione è frutto di una precisa scel
ta del medico, ed è comunque posta quale forma di tutela di
altri valori (efficienza dell'organizzazione sanitaria pubblica),
Il Foro Italiano — 2000.
pure costituzionalmente garantiti, a seguito di un bilanciamento
non irragionevole tra interessi contrapposti (cfr. sentenze n. 457
del 1993 e n. 330 del 1999 della Corte costituzionale, citate). Per quanto riguarda poi la violazione del trattato di Roma
è evidente che il ragionamento sviluppato in ricorso parte da
un errore di fondo laddove si afferma che «i ricorrenti vengono
trattati come dipendenti, pur esercitando una libera professio ne». I ricorrenti sono invece pubblici dipendenti cui è consenti
to (in deroga sia ai principi del rapporto di servizio — fino
a quando il rapporto di lavoro era pubblico — sia ai principi
del diritto di lavoro privato: cfr. art. 2105 c.c.) di svolgere atti
vità libero-professionale.
Il trattato di Roma invece vieta agli Stati membri di porre
limiti allo svolgimento delle attività libero-professionali in senso
stretto, svolte da chi non ha alcun rapporto di lavoro con strut
ture né pubbliche né private. Per quanto sinora argomentato è di tutta evidenza la man
canza di fumus del diritto azionato dai ricorrenti.
È quindi per mera completezza di indagine che si prende in
esame la posizione soggettiva del medico che abbia optato per
il rapporto esclusivo ma che di fatto non possa svolgere l'attivi
tà intramuraria perché l'azienda ospedaliera non ha provveduto
ad approntare strutture e mezzi.
Come osservato dalla Corte costituzionale (sent. 330/99) il
rapporto di lavoro del medico dipendente di struttura pubblica
vede compresenti elementi del rapporto libero-professionale ed
elementi del rapporto di lavoro subordinato ed in tale ottica
il decreto 229/99 definisce l'attività libero-professionale intra
muraria diritto del medico (art. 15 quinquies, 2° comma, lett.
a: «il diritto all'esercizio di attività libero-professionale indivi
duale, al di fuori dell'impegno generale d'intesa con il collegio
di direzione; salvo quanto disposto dall'I 1° comma dell'art. 72
1. 23 dicembre 1998 n. 448»). Al riguardo pertanto l'azienda sanitaria ha un dovere di atti
varsi per consentire al medico l'esercizio dell'attività libero
professionale intramuraria.
L'inerzia e la conseguente impossibilità di svolgere attività
libero-professionale intramuraria pone l'amministrazione ospe
daliera in una situazione di inadempimento secondo i principi
generali in materia di contratto.
È evidente che per il medico che ha scelto il regime esclusivo
l'inadempimento del datore di lavoro determina un danno eco
nomico. Per tale danno peraltro il legislatore ha inteso da subi
to indicare parametri di valutazione dal combinato disposto del
l'art. 15 quinquies e 72, 11° comma, 1. 23 dicembre 1998 n. 448.
Quest'ultima disposizione legislativa rinvia infatti alle linee
guida adottate dal ministro della sanità con il d.m. 31 luglio
1997, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 181 del 5 agosto 1997.
In particolare esso prescrive l'adozione di un regolamento (art.
1, 1° comma) il quale deve: individuare gli spazi adeguati e
i posti letto (che ai sensi del successivo 3° comma devono essere
rispettivamente compresi tra il dieci per cento e il venti per cen
to del totale per gli spazi e tra il cinque per cento e il dieci
per cento del totale per i posti letto); i servizi di diagnostica e di laboratorio, in ambito aziendale ovvero, in mancanza, presso
enti esterni (art. 2, 3° comma) o anche presso studi o ambulato
ri privati (art. 3, 2° comma) per l'esercizio dell'attività profes
sionale sia ambulatoriale sia in regime di ricovero.
Altro atto regolamentare del ministro della sanità (in data
31 luglio 1997 ma pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 2 set
tembre 1997) all'art. 1, 2° comma, stabilisce che «l'attività libero
professionale intramuraria non può comportare, per ciascun di
pendente, una produttività superiore a quella assicurata per i
compiti istituzionali nonché un impegno superiore al cinquanta
per cento dell'orario di servizio effettivamente prestato».
Dal quadro sopra esposto emerge indubbio che il diritto del
sanitario a svolgere attività libero-professionale ha un contenu
to minimo intangibile le cui coordinate sono costituite dalle per
centuali sopra riportate in termini di tempo lavorativo, posti
letto e spazi utili. Oltre tali limiti, che costituiscono appunto
il contenuto minimo incomprimibile del diritto del sanitario a
svolgere l'attività libero-professionale intramuraria, si espande
la piena discrezionalità dell'azienda che valuterà secondo scelte
insindacabili da questo giudice (come avviene per qualunque scel
ta datoriale) come incrementare l'attività libero-professionale in
tramuraria.
Oltre i limiti sopra indicati dal d.m. 31 luglio 1997 il sanitario
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1503 PARTE PRIMA 1504
non ha più alcun diritto nei confronti dell'amministrazione sal
vo eventuali modifiche che atti governativi o regolamentari del
l'azienda sanitaria apportino come reformatio in melius.
Nel caso in esame l'azienda convenuta si è dotata di un rego lamento ai sensi degli art. 72, 11° comma, 1. 448/98 e 1 d.m.
31 luglio 1997: con tale provvedimento si è fornita disciplina
particolare al contenuto minimo del diritto soggettivo all'eserci
zio dell'attività libero-professionale intramurale che le sopra ci
tate norme di riferimento imponevano e che costituiscono con
fine oltre al quale l'azione datoriale si esplica in regime di di
screzionalità amministrativa.
A questo giudice non è stata richiesta alcuna valutazione di
conformità del citato regolamento, cioè in merito alle misure
adottate in ordine agli spazi riservati dall'ordinamento all'espan sione di siffatto diritto soggettivo. Comunque qualora l'ammi
nistrazione convenuta risultasse inadempiente in tutto od in parte
rispetto agli obblighi concernenti tale profilo, lo strumento ri
messo dall'ordinamento al dipendente è costituito dalla sola azio
ne risarcitoria, non esperibile in via d'urgenza per assenza del
requisito dell'irreparabilità del pregiudizio. In definitiva, l'assenza degli elementi richiesti dal codice di
procedura per la concessione del provvedimento cautelare de
termina il rigetto del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23 feb braio 2000, n. 2046; Pres. Duva, Est. M. Finocchiaro, P.M. Nardi (conci, conf.); Soc. Lucafor - Lucano campana fore stale (Avv. Tamponi) c. Soc. Tip - Turistica immobiliare Pae stum (Avv. Morsillo, Chirico). Cassa App. Salerno 24 mar
zo 1998.
Contratti agrari — Concessione di terreni agricoli per colture forestali — Affitto agrario (L. 15 settembre 1964 n. 756, nor me in materia di contratti agrari, art. 13; 1. 11 febbraio 1971 n. 11, nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici, art. 27, 58; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari).
Costituisce contratto di affitto agrario, ai sensi e per gli effetti delle l. 15 settembre 1964 n. 756, 11 febbraio 1971 n. 11 e 3 maggio 1982 n. 203, l'affitto di un fondo da destinare a colture forestali da realizzare a cura del solo affittuario, an
corché, eventualmente, con la concessione di contributi in conto
capitale a carico dello Stato. (1)
(1) La società che aveva ottenuto in affitto terreni agricoli della esten sione di circa 417 ettari per colture forestali conveniva in giudizio la
proprietaria perché fosse dichiarata la nullità della clausola del contrat to, con la quale era stato convenuto — in particolare — che il corri spettivo dell'affitto era costituito dall'attribuzione ad essa proprietaria del venticinque per cento del valore della massa legnosa complessiva in piedi, stimato al momento della maturazione della coltura forestale, in vista del quale il contratto stesso era stato stipulato, trattandosi di clausola in contrasto con tutte le norme in tema di affitto di fondi rustici e, segnatamente, con quelle di cui alle 1. 11 febbraio 1971 n. 11 e 3 maggio 1982 n. 203, e conseguentemente che fosse determinato l'estaglio annuo tabellare dovuto.
La proprietaria costituendosi in giudizio resisteva alla domanda, ec cependo che il contratto era stato stipulato proprio in ragione delle pattuizioni proposte da controparte, partecipe del progetto Cipe n. 24 con il quale si prevedeva lo stanziamento di contributi per acquisire in godimento terreni da forestare. Sosteneva in particolare la convenuta che le clausole del contratto, la qualificazione soggettiva dell'affittua rio, società a capitale pubblico, le finalità del progetto in vista del quale si era concentrata la stipula, il tipo di attività da svolgersi sul fondo, inducevano ad escludere l'agrarietà del contratto inter partes. Chiedeva quindi in via riconvenzionale il rigetto della domanda attorea, in via subordinata, l'annullamento del contratto per errore o dolo della con
II Foro Italiano — 2000.
Svolgimento del processo. — Con ricorso 29 dicembre 1994
la Lucafor - Lucano campana forestale s.r.l., premesso che con
scrittura 11 gennaio 1977 la Tip s.p.a. le aveva concesso in af
fitto un'azienda agricola nei comuni di Salento, Gioia Cilento
e Castelnuovo, della estensione di circa 417 ettari, chiedeva che
il Tribunale di Salerno, sezione specializzata agraria — in con
traddittorio con la Tip s.p.a. — dichiarasse la nullità della clau
sola n. 8 di tale accordo, con la quale era stato convenuto —
in particolare — che il corrispettivo dell'affitto era costituito
dalla attribuzione alla Tip del venticinque per cento del valore
della massa legnosa complessiva in piedi, stimato al momento
della maturazione della coltura forestale, in vista del quale il
contratto stesso era stato stipulato — trattandosi di clausola
in contrasto con tutte le norme in tema di affitto di fondo rusti
co e, segnatamente, con quelle di cui alle 1. 11 febbraio 1971
troparte, per avere assicurato all'inizio e durante il rapporto, l'inappli cabilità della legislazione agraria, in via riconvenzionale — infine —
la declaratoria di risoluzione del contratto per grave inadempimento, costituito dal mancato taglio di eucalipti maturi, dal mancato dirada mento del pino insigne, dall'incameramento dell'indennizzo assicurati vo corrisposto a seguito di incendio.
Con riguardo alla riconvenzionale spiegata, la società ricorrente ecce
piva la improponibilità per difetto del tentativo di conciliazione ex art. 46 1. 203/82, e comunque l'infondatezza, per l'inesistenza delle inadem
pienze contestate. La corte del merito, nel confermare la sentenza dei giudici di primo
grado, escludeva l'affitto agrario, trovando lo stesso la sua natura, il suo fondamento e la sua giustificazione economica nel progetto speciale n. 24 per interventi di forestazione produttiva nel Mezzogiorno, incenti vata dalla Cassa per il Mezzogiorno attraverso un contributo in conto
capitale del settantacinque per cento della spesa ammessa e in un mutuo a lungo termine al tasso del 2,5 per cento per il restante venticinque per cento della spesa ammessa.
Avverso la decisione della corte del merito sono stati proposti ricorso e ricorso incidentale.
La natura dall'affitto è stata ritenuta dalla sentenza riportata essendo stati terreni e fabbricati concessi perché l'affittuaria intendeva procede re ad impianti e coltivazioni forestali per una durata di venticinque anni. Irrilevante, ai fini della qualificazione in termini opposti, la circo stanza che le parti avevano richiamato nelle premesse dell'accordo il
progetto speciale n. 24 per interventi di forestazione produttiva nel Mez
zogiorno, nonché la speciale legislazione di favore. È stato osservato che in qualsiasi contratto non può confondersi la sua «causa» (cioè la funzione sociale dell'accordo), con il «motivo» (e cioè il particolare interesse o bisogno, che rappresenta lo scopo ulteriore, individuale, con
creto, che tramite gli effetti del negozio le parti intendono raggiungere): solo la prima rileva al fine della qualificazione giuridica del contratto, mentre il secondo è assolutamente indifferente sul piano giuridico (Cass. 28 settembre 1996, n. 8561, Foro it., Rep. 1996, voce Contratto in ge nere, n. 381; 20 novembre 1992, n. 12401, id., 1993, I, 1506).
Né era di ostacolo alla natura di contratto agrario il fatto dell'esi stenza degli interventi di sostegno dello Stato, diffusi in materia agra ria, in quanto la natura di tali agevolazioni non incide minimamente sulla natura privata dei contratti relativi. È stato anche ritenuto che per accertare la natura agraria del contratto in controversia occorreva verificare la «causa», cioè le obbligazioni dedotte dalle parti, per cui era irrilevante la presenza o meno di una clausola risolutiva legata alla mancata concessione del finanziamento pubblico.
È stato pure escluso che al fine di ritenere un contratto soggetto o meno a norme inderogabili in materia agraria, occorra preliminarmente verificare se in concreto il contraente economicamente «più debole» sia in effetti il conduttore, negando la natura agraria del rapporto tutte le volte si accerti che le disponibilità del conduttore siano maggiori di
quelle del concedente. E neppure era rilevante che il ciclo produttivo trovava il suo naturale proseguimento in operazioni commerciali ed in dustriali, in quanto l'attività agricola è tale a prescindere dalla utilizza zione del prodotto finale.
Con il controricorso era stato dedotto che la natura agraria andava esclusa perché nella delibera del Cipe si parlava di forestazione «indu striale» o a scopi produttivi: è stato ritenuto in contrario che un prov vedimento amministrativo, quale la delibera del Cipe, non può deroga re alle norme sui contratti agrari (sono stati richiamati l'art. 13 1. 756/64, secondo cui a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge non
possono essere stipulati contratti agrari di concessione di fondi rustici che non appartengono ad alcuno dei tipi di contratto regolati dalle leggi in vigore; l'art. 29 1. 11/71, secondo cui le disposizioni della legge sono inderogabili, salvo quanto disposto dal 3° comma dell'art. 23 stessa legge; l'art. 58 1. 203/82, secondo cui le disposizioni incompatibili con la legge sono abrogate).
A sostegno della decisione adottata sono state richiamate Cass. 17 ottobre 1984, n. 5242, id., Rep. 1985, voce Agricoltura, n. 177; 3 mag gio 1991, n. 4850, id., Rep. 1991, voce cit., n. 60.
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