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sezioni unite civili; sentenza 24 luglio 1986, n. 4747; Pres. Tamburrino, Est. Chiavelli, P. M....

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sezioni unite civili; sentenza 24 luglio 1986, n. 4747; Pres. Tamburrino, Est. Chiavelli, P. M. Caristo; Onida (Avv. Paoletti, Radice) c. Soc. Hydromac (Avv. Gorla, Borsotti). Conferma Trib. Vercelli 19 novembre 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 3019/3020-3021/3022 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181632 . Accessed: 25/06/2014 05:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.72.104 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite civili; sentenza 24 luglio 1986, n. 4747; Pres. Tamburrino, Est. Chiavelli, P. M. Caristo; Onida (Avv. Paoletti, Radice) c. Soc. Hydromac (Avv. Gorla, Borsotti). Conferma

sezioni unite civili; sentenza 24 luglio 1986, n. 4747; Pres. Tamburrino, Est. Chiavelli, P. M.Caristo; Onida (Avv. Paoletti, Radice) c. Soc. Hydromac (Avv. Gorla, Borsotti). Conferma Trib.Vercelli 19 novembre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 3019/3020-3021/3022Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181632 .

Accessed: 25/06/2014 05:33

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3019 PARTE PRIMA 3020

Su appello dell'I.n.a.i.l., il quale sosteneva che non si trattava di infortunio indennizzabile a norma dell'art. 2 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, perché esso era da collegare ad attività sindacale

non identificabile con l'occasione di lavoro presupposta dalla

norma, il Tribunale di Latina, con le due sentenze n. 47 e n. 48

del 12 maggio 1984, riformava le corrispondenti due sentenze del

pretore, rigettando le domande dei lavoratori, il tutto in adesione

alla tesi dell'istituto.

Propongono due distinti ma identici ricorsi la La Starza e le

altre persone in epigrafe indicate, ricorsi affidati a tre motivi di

annullamento ed iscritti rispettivamente sotto i numeri 5723 e

5724 del R.G. del 1984. L'I.n.ai.l. resiste ad entrambi con

controricorso, anche essi di contenuto identico.

Motivi della decisione. — (Omissis). Col secondo motivo, denunziando la violazione degli art. 2 d.p.r. 1124/65 e 5 1.

164/75, i ricorrenti sostengono che il principio giurisprudenziale (Cass. 4684/82, Foro it., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro, n.

107), secondo cui l'attività sindacale non può essere equiparata allo svolgimento di lavoro subordinato a motivo del naturale

antagonismo delle associazioni sindacali del datore di lavoro, non troverebbe applicazione nel caso in esame, in relazione al quale è

proprio la legge a preyedere e regolare la consultazione fra sindacato e datore di lavoro per il ricorso alla cassa integrazione. Tale attività, in cui gli interessi dei lavoratori e dell'impresa, anziché porsi su un piano antagonistico, convergono verso lo

scopo comune di esaminare la situazione aziendale in ordine alla

ripresa dell'attività produttiva e ai criteri di distribuzione degli orari di lavoro, rientrerebbe invece — secondo i ricorrenti — in

quella lavorativa protetta dalle norme antinfortunistiche.

Col terzo motivo denunziano la violazione dell'art. 345 c.p.c., perché il tribunale non ha ammesso, peraltro senza alcuna motivazione a riguardo, la prova per testi che essi ricorrenti avevano proposto in appello per controbattere alla nuova tesi dell'I.n.a.i.l. che negava la ricorrenza dell'occasione di lavoro.

La funzione strumentale di quest'ultimo motivo rispetto al

precedente fa si che i due motivi possano essere opportunamente esaminati insieme.

Non ignora il collegio l'evoluzione che in questi ultimi decenni ha avuto la concezione del rapporto di lavoro. Di pari passo con

l'ampliamento progressivo della sfera dei diritti ed obblighi del lavoratore (in capo al quale è ormai ammesso — anche a livello di norme positive — un diritto « al lavoro » sia nel senso di accesso che di mantenimento e miglioramento dello status conse

guito, oltre che alla tutela delle posizioni tradizionalmente con nesse al già istituito rapporto di lavoro, come la retribuzione, le condizioni di sicurezza e di salute, ecc.), è oggi possibile ricono scere l'incidenza, nella dinamica del rapporto — e ciò anche come riflesso dei limiti posti dall'art. 41 Cost, alla libertà dell'ini ziativa economica — di diritti ed obblighi che, trascendendo gli angusti confini del sinallagna economico individuale, consentono al soggetto lavoratore di far valere suoi interessi meno immediati ed a più largo raggio in ordine alla organizzazione del lavoro

nell'azienda, non importa qui con quale intensità ed efficacia. Lo stesso elemento essenziale della funzione « collaborativa »

del lavoratore subordinato inserito nell'organizzazione produttiva di altrui pertinenza si è andato dunque arricchendo di una connotazione ulteriore, costituita dalla capacità di intervento, sia

pure attraverso il diaframma di entità rappresentative della collet tività subordinata aziendale o comunque di categoria, nella de terminazione di alcune scelte, dapprima appartenenti al classico

compendio dei poteri esclusivi imprenditoriali. Senonché questa seconda accezione del termine « collaborazio

ne » non elimina certo la prima alla quale si aggiunge come modalità ulteriore senza con essa fondersi, sicché resta pur sempre la possibilità di distinguere, all'interno del più ampio contenuto del rapporto di lavoro che ne risulta, l'originario suo nucleo, che permane in conseguenza dell'alterità economica e giuridica fra lavoratore e datore di lavoro. Ed ai fini della differenziazione del rapporto di lavoro dalle altre figure di attività autonome è obbligatorio il riferimento alla prima accezione del termine, nel senso di caratteristica della posizione sottordinata

agli scopi produttivi del datore di lavoro e quindi come ele mento peculiare del tipo contrattuale corrispondente.

Passando ora al problema più specifico della protezione assicu rativa antifortunistica, la fatta premessa sul significato e sui limiti dell'ampliamento contenutistico della sfera dei diritti dei lavoratori dev'essere rapportata ai limiti oggettivi che il legislatore speciale ha voluto assegnare agli interventi assicurativi dell'ente pubblico operante in materia.

Dalla corposa normativa del testo unico approvato con d.p.r. n.

1124/65 (quindi in epoca non tanto lontana perché potesse

passare inosservata l'evoluzione di cui s'è detto) e specialmente dalla analitica e minuta enumerazione delle attività protette (art.

1) e dalla correlata elencazione delle varie categorie dei soggetti

assicurati, alcune delle quali neppure identificabili con quelle dei

lavoratori subordinati {art. 4), dallo stesso fondamentale schema

giuridico « assicurativo » cui il legislatore si è ispirato per la

determinazione dei contributi e « premi » secondo la previsione statistica dei rischi connessi alla tipologia delle « lavorazioni »

(art. 39, 40 ss. e relative tariffe approvate con decreto mini

steriale), da tutto ciò emerge chiaramente il riferimento fìsso

ed esclusivo alle attività e condotte lavorative e professionali, direttamente ed immediatamente collegate cioè alla finalità pro duttiva, sicché solo nel circoscritto ambito di esse (sia pure intese

con la dovuta elasticità, come nel caso dell'infortunio in itinere),

può individuarsi l'« occasione di lavoro » presupposta dall'art. 2 a

delimitazione del rischio specifico assicurato.

Devono quindi concorrere, perché possa essere operante la

tutela assicurativa, una condizione oggettiva, cioè l'accadimento

nel corso o a causa di un'attività lavorativa in senso stretto, e un

requisito soggettivo, consistente nell'appartenenza del lavoratore

ad una delle categorie di cui all'art. 4, ma sempre correlato al

concreto svolgimento della detta attività.

L'estensione di detta tutela alle attività svolte dai lavoratori

nell'adempimento di compiti che riguardano interessi di categoria non è, ad avviso della corte, da ammettersi allo stato attuale

dell'ordinamento, ma ciò non tanto per ragioni concettuali (alla cui stregua potrebbe pur configurarsi un'occasione di lavoro nel

senso più ampio di attinenza anche indiretta al rapporto di

lavoro), quanto per ragioni di più stretta aderenza alla legge

positiva speciale, che non consente di interpretare la norma

trascurando il preciso equilibrio economico fra rischio specifico e

premi, cui ancora oggi si informa l'ordinamento antifortunistico,

occupandosi di un singolo settore « patologico » della problemati ca sociale e lasciando ad altri istituti giuridici la cura delle altre

condizioni soggettive di bisogno pure indicate dal 2° comma

dell'art. 38 Cost, (malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria).

In tale impostazione del problema, che pare l'unica appropriata e concludente per la corretta sua soluzione, non ritiene il collegio che possa trovare utile collocazione il rilievo — fatto dai ricor renti — della previsione legislativa (art. 5 1. 164/75) del procedi mento di consultazione sindacale per il ricorso alla cassa integra zione, procedimento ai cui fini i lavoratori erano stati convocati

presso la sede dell'imprésa datrice di lavoro, per desumerne che anche quella era occasione di lavoro, una volta stabilito che l'accezione di questa va ricercata esclusivamente — con risultato

negativo per quanto riguarda ogni forma di attività non connessa alle prestazioni del lavoratore a favore del datore di lavoro —

dal contesto normativo speciale e dalla ratio inequivocabile di esso.

In tale considerazione resta naturalmente superata ed assorbita la doglianza mossa col terzo motivo in ordine alla mancata ammissione della prova per testi sulle relative circostanze di fatto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 24 lu

glio 1986, n. 4747; Pres. Tamburrino, Est. Chiavelli, P. M. Ca

risto; Onida (Aw. Paoletti, Radice) e. Soc. Hydromac (Avv. Gorla, Borsotti). Conferma Trib. Vercelli 19 novembre 1981.

Lavoro (rapporto) — Trasferimento del lavoratore — Validità —

Requisiti (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).

È Tegittimo il trasferimento del lavoratore determinato da un

complesso unitario di motivi, comunicati al lavoratore stesso, pur se alcuni di essi risultino infondati, qualora emerga l'esistenza degli altri, tali da integrare le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive di cui all'art. 2103 c.c.

(nuovo testo). (1)

(1-2) Non si rinvengono precedenti in termini quanto al principio sub 1, riguardo al quale va segnalata l'affermazione secondo cui il trasferimento è però invalido se è provato che non sarebbe stato posto

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il trasferimento del lavoratore determinato da ragioni disciplinari è legittimo ove esse integrino le comprovate ragioni tecniche,

organizzative e produttive di cui all'art. 2103 c.c. (nuovo

testo). (2)

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando

violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. si sostiene che, ove il datore di lavoro abbia posto a base del provvedimento di

trasferimento più ragioni concorrenti, il giudizio sulla legittimità dello stesso deve essere operato tenendo conto dell'unitario com

plesso di tali ragioni, per cui l'accertata infondatezza di una

sola di tali ragioni inficia l'unico provvedimento. Il motivo non è fondato. E, invero, l'assunto della ricorrente,

secondo il quale i motivi di trasferimento sarebbero soggetti, a

pena di nullità dell'atto relativo, al principio dell'unitarietà non

trova alcuna base nella legge, né in alcun principio giurispruden ziale.

Essa motiva la propria tesi, sostenendo che il giudice dovrebbe

fermarsi al risultato dell'autoregolamentazione degli interessi im

prenditoriali sottoposti al suo esame, senza sostituirsi al titolare

della facoltà soggetta a controllo nel valutare se da un diverso

presupposto di fatto (conseguito al venir meno di uno dei motivi

di trasferimento) derivi il medesimo effetto (trasferimento) o uno

diverso.

Ed aggiunge che nessuno vietava alla società Hydromac di

porre a base del proprio provvedimento una sola delle ragioni indicate nella lettera del 24 giugno 1977 (l'inattendibilità dei dati

trasmessi al centro contabile ed il grave disagio nei rapporti con

i lavoratori amministrati) ma, una volta dichiarata tale motiva zione unitaria ed inscindibile per volontà di controparte e non

per scelta del lavoratore, la legittimità del trasferimento avrebbe

dovuto essere giudicata solo alla stregua di essa.

Tali argomenti, però, non dimostrano alcunché di giuridica mente valido.

Non è ravvisabile, nella specie, alcuna interferenza da parte del

giudice con i poteri di autoregolamentazione degli interessi del

l'imprenditore, essendosi esso limitato a verificare la legittimità del trasferimento sulla base della norma di cui all'art. 2103 c.c.

(nuovo testo), che condiziona il relativo potere dell'imprenditore a « comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ».

Ciò che legittima, sul piano sostanziale, il potere dell'imprendi tore è la esistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzati ve e produttive, e sul piano formale o procedimentale, che tali

ragioni siano comunicate al lavoratore, anche oralmente ed ove

siano richieste (cfr. Cass. n. 331/79 e 4713/79, Foro it., 1979, I,

1962); principio confermato anche da queste sezioni unite in

causa Scardiglia-Montepaschi Siena, decisa nell'udienza odierna), ma da questo non può certo farsi derivare, in base ad alcun

principio logico, prima ancora che giuridico; che ove, in ipotesi, una delle ragioni comunicate non venga provata o risulti insussi

stente, venga anche meno la legittimità del trasferimento disposto in conformità delle condizioni di legge.

Una tale conseguenza implicherebbe assegnare alla comunica

zione delle ragioni un valore costitutivo, inscindibile, meramente

formale che, oltre a non trovare fondamento nella legge, non

avrebbe alcuna giustificazione logica, sia in relazione al rapporto tra potere organizzatorio e le ragioni indicate nella legge per

legittimarlo, sia al rapporto tra le ragioni medesime, eventualmen

te idonee, ciascuna per se stessa, a legittimare il potere di

trasferimento.

in essere ove il datore di lavoro avesse avuto la consapevolezza dell'insussistenza delle ragioni enunciate (è evidente il riferimento, pur se non espresso all'art. 1419, 1° comma, c.c.). Come pure va evi

denziata, in tema di forma del trasferimento, l'adesione alla tesi per la quale è necessario che le ragioni di esso siano comunicate al lavoratore anche oralmente ed ove siano da -lui richieste (da ultimo, cfr.

Cass., sez. un., 15 luglio 1986, n. 4572, Foro it., 1986, I, 2432, con nota di richiami. È la decisione richiamata in sentenza come emessa nella stessa udienza).

Circa la massima sub 2, cfr. per l'affermazione dell'illegittimità del tra

sferimento disciplinare ma per la valutabilità obiettiva del contegno del

dipendente ai fini di accertare una situazione di sua incompatibilità nel l'ambiente di lavoro, che si risolve nell'esistenza delle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'impresa che consentono il trasferimento ex art. 13 1. 300/70, Cass. 30 gennaio 1984, n. 722, id.. Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1047; 6 marzo 1975, n. 832, id., 1975, I, 2007, con nota di richiami. In tema di trasferimento dei lavoratori, cfr. L. Angiel

lo, Il trasferimento dei lavoratori, Padova, 1986, passim, e la sintesi di

giurisprudenza e dottrina offerta da F. Guarriello, in M. Grandi- G. Pera (a cura di), Commentario breve allo statuto dei lavoratori, Padova,

1985, 51-53.

Sul piano sostanziale, poi, delle condizioni di validità della

determinazione volitiva dell'imprenditore, nel disporre unilateral

mente il trasferimento del lavoratore, sulla base di più ragioni di

quelle previste dalla legge, l'insussistenza o la mancata prova di

una di tali ragioni non potrebbe giammai travolgere la validità

della dichiarazione negoziale, salvo che l'interessato a tale eve

nienza non dimostri che la dichiarazione di volontà non sarebbe

venuta in essere ove il dichiarante avesse avuto consapevolezza della insussistenza di una delle ragioni enunciate.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e

falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. (nuovo testo), sostiene che il

trasferimento del lavoratore non può essere esercitato legittima mente per motivi disciplinari.

Essa sostiene che, altrimenti, anche a prescindere da fini

soggettivamente maliziosi del datore di lavoro (quale il desiderio

di creare disagi al dipendente per indurlo a dimettersi) legittime rebbe l'uso del trasferimento quale sanzione disciplinare di fatto, in contrasto con la netta diversificazione dei due istituti operata dall'ordinamento giuridico.

Il motivo non ha fondamento. Ed infatti, se è certamente

esatto che, ove un comportamento del lavoratore disciplinarmente rilevante non determini anche alcuna delle ragioni previste dalla

legge per il trasferimento dello stesso, l'imprenditore non potrebbe

disporre il trasferimento, in sostituzione della sanzione disciplina

re, diversi essendo i presupposti dei due istituti e diverso l'ambito

del controllo riservato al giudice in caso di contestazione giudi

ziaria, non può dirsi che sia altrettanto esatto che, nel caso il

comportamento del lavoratore integri insieme un fatto disciplinare rilevante ed altresì una delle ragioni previste dalla legge per il

trasferimento del lavoratore medesimo, l'imprenditore non possa, nel legittimo esercizio dei suoi poteri organizzatori e di quelli

disciplinari, far ricorso agli uni piuttosto che agli altri, ove ne

sussistano i presupposti di legge. È perciò esatto quanto in proposito rileva il tribunale e, cioè,

che non spetta al giudice, oltre alla correttezza formale (e si deve

aggiungere anche sostanziale) del provvedimento di trasferimento,

di valutare « se un dato inconveniente sia da attribuirsi a fatto

proprio e sanzionabile del dipendente ovvero a diversi fattori e,

quindi, di stabilire se ad esso possa più convenientemente ovviar

si mediante un provvedimento disciplinare ovvero con iniziative

volte alla diversa strutturazione dell'apparato aziendale ».

Né potrebbe obiettarsi che — come pure rileva il tribunale —

in tal modo il lavoratore resterebbe di fatto esposto al pericolo di rappresaglia del proprio datore di lavoro, posto che il potere

organizzativo è sempre sottoposto al sindacato di legittimità e

l'eventuale abuso nel suo esercizio incontra un insuperabile ostacolo nella necessità della concreta ricorrenza delle ragioni

organizzative o tecniche. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 maggio

1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M.

Benanti (conci, conf.); Klitsche de la Grange (Avv. Prosperet

ti, Klitsche de la Grange) c. Comune di Allumiere (Aw.

Datoli, Lauro), Comune di Tolfa (Avv. Cervati) e altri.

Conferma App. Roma 1° ottobre 1984.

Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità senza indenniz

zo — Risarcimento dei danni — Limiti — Condizioni (Cost.,

art. 42; 1. 19 novembre 1968 n. 1187, modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 2).

Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità temporanea —

Risarcimento dei danni — Esclusione — Fattispecie.

Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità — Termini di

efficacia — Individuazione (L. 19 novembre 1968 n. 1187,

art. 2).

I vincoli di inedificabilità senza indennizzo, se sono a tempo

indeterminato o di durata irragionevole e talmente intensi da

annullare o ridurre notevolmente il valore economico degli

immobili cui si riferiscono, incidendo su veri e propri diritti

soggettivi dei proprietari, li abilitano a chiedere al giudice

ordinario il risarcimento dei danni subiti, se, invece, non

esibiscono entrambe le indicate caratteristiche (perché, ad esem

pio, sottoposti ab origine al termine determinato e ragionevole

dell'art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187), riflettendosi solo su

posizioni di interesse legittimo degli stessi proprietari, impedi

scono ad essi di invocare la tutela risarcitoria dell'autorità

Il Foro Italiano — 1986.

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