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Sezioni unite civili; sentenza 24 marzo 1964, n. 665; Pres. Celentano P., Est. Danzi, P. M. Pepe...

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Sezioni unite civili; sentenza 24 marzo 1964, n. 665; Pres. Celentano P., Est. Danzi, P. M. Pepe (concl. conf.); Sternbach (Avv. Gottardi) c. Amministrazione separata dei beni di uso civico in Falzes (Avv. Cerulli Irelli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 5 (1964), pp. 947/948-949/950 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23155068 . Accessed: 28/06/2014 13:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 78.24.220.173 on Sat, 28 Jun 2014 13:52:07 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 24 marzo 1964, n. 665; Pres. Celentano P., Est. Danzi, P. M. Pepe(concl. conf.); Sternbach (Avv. Gottardi) c. Amministrazione separata dei beni di uso civico inFalzes (Avv. Cerulli Irelli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 5 (1964), pp. 947/948-949/950Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155068 .

Accessed: 28/06/2014 13:52

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PARTE PRIMA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili ; sentenza 24 marzo 1964, n. 665 ; Pres.

Cele stano P., Est. Danzi, P. M. Pepe (conci, conf.) ;

Stern bach (Aw. Gottardi) c. Amministrazione sepa rata dei beni di uso civico in Falzes (Avv. Oerulli

Irelli).

(Cassa App. Trento 16 luglio 1962)

Diritti promiscui c usi civici -— Causa in appello dinanzi al giudice ordinario — Relazione affidata

a magistrato avente anche la carica di commissario

liquidatore— Incompatibilità—- Insussistenza (Cod.

proc. civ., art. 51). Diritti promiscui e usi civici — Costituzione di

diritti particolari a favore di privato mediante

conciliazione debitamente approvata — Accerta

mento degli effetti — Competenza del giudice ordinario (Legge 16 giugno 1927 n. 1766, riordina

mento degli usi civici, art. 29).

Non sussiste alcuna incompatibilità, ai sensi dell'art. 51, n. 4, cod. proc. civ. ne ad altro titolo, a che il consigliere di corte di appello, che ricopre anche la carica di com

missario regionale per la liquidazione degli usi civici,

conosca, come relatore, in sede di appello ordinario, di

una causa, che, per rientrare nelle attribuzioni del com

missario liquidatore, potrebbe pertanto essere esaminata

in futuro da quest'ultimo ufficio. (1) È devoluta al giudice ordinario, e non al commissario liqui

datore, la questione relativa all'accertamento degli effetti derivanti a favore del privato dalla costituzione, mediante

atto di conciliazione debitamente approvato, di diritti

particolari (nella specie, servitù) su beni di uso civico e

alla loro eventuale estinzione per non uso. (2)

La Corte, ecc. — Con il primo mezzo, il ricorrente

denunzia la violazione dell'art. 51, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 4, stesso codice. Sostiene che, essendo il consigliere, relatore della causa ed estensore

della sentenza impugnata, investito anche delle funzioni

di commissario per la liquidazione degli usi civici, avrebbe

avuto obbligo di astenersi, perchè, dato l'oggetto della con

troversia quale ritenuto dalla sentenza, questa avrebbe

potuto essere riproposta davanti a lui ponendolo nella

necessità di decidere per la seconda volta le medesime

questioni.

(1) Nulla in termini. La sentenza enuncia sostanzialmente il principio che, in base al nostro ordinamento processuale, non su siste incompatibilità preventiva del giudice. L'incompatibi lità, cioè, può sussistere solo con riferimento ad un'attività successiva o posteriore, quando il giudice abbia già esercitato un'attività precedente ; non può sussistere invece con riferi mento ad un'attività iniziale e in relazione all'eventuale possi bile esercizio di un'attività futura. L'altro principio, affermato

pure nella sentenza, secondo cui non può essere invocata come causa di nullità della sentenza la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astensione, se non sia stata fatta valere dalla

parte interessata come motivo di ricusazione, costituisce ormai indirizzo consolidato della Corte suprema : cfr., da ultimo, sent. 14 maggio 1962, n. 987, Foro it., Rep. 1962, voce Ricusa del

giudice, nn. 2-4 ; 17 ottobre 1962, n. 3014, ibid., n. 6.

(2) Nulla in termini ; peraltro, la massima aderisce all'in

dirizzo, ricordato nella motivazione, affermato nelle sentenze 21 gennaio 1960, n. 51, Foro it., Rep. 1960, voce Diritti promiscui e usi civici, n. 42, e 15 marzo 1956, n. 760, id., Rep. 1956, voce

cit., n. 82. Cfr. altresì, in argomento, Cass. 7 luglio 1954, n. 2364,

id., Rep. 1954, voce cit., n. 50, secondo cui sono devolute alla autorità giudiziaria ordinaria le contestazioni inerenti alla vali dità dei rapporti tra i privati, costituiti sul bene gravato di uso civico, ed alla esecuzione delle obbligazioni derivanti da tali rapporti.

Per altri riferimenti ai limiti di attribuzioni e di competenza fra commissario liquidatore ed autorità giudiziaria ordinaria, cfr.

Flore, Siniscalchi, Tamburrino, Rassegna di giurisprudenza

sugli usi civici, 1956, pag. 85 segg.

La censura è manifestamente infondata. A prescindere invero dal rilievo, già di per sè decisivo, che l'eventuale

violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi, se non sia stata fatta valere dalla parte interessata come

motivo di ricusazione, non può essere poi invocata in sede

di gravame come causa di nullità della sentenza, salva, secondo l'insegnamento di questa Suprema corte, l'ipotesi

prevista dall'art. 51, n. 1, cod. proc. civ. in_applicazione del principio generale inderogabile clie nessuno può essere

giudice in causa propria, che nella specie è certamente da

escludere, è tuttavia opportuno aggiungere che i casi di

astensione obbligatoria del giudice, ai quali corrisponde la facoltà di ricusazione ad iniziativa delle parti, sono

stabiliti con enumerazione tassativa dal ricordato art. 51

e che la pretesa incompatibilità prospettata dal ricorrente, con riferimento, non ad una attività già compiuta dallo

stesso magistrato che ha partecipato alla decisione della

presente causa in grado di appello, ma ad una sua attività

eventuale e futura nella veste di commissario per la liqui dazione degli usi civici, non può farsi rientrare nè nel caso

contemplato dell'art. 51, n. 4, al quale è stato fatto espresso richiamo dal ricorrente e che riguarda l'incompatibilità del magistrato che ha già conosciuto in altro grado dello

stesso processo, nè in altro dei casi di astensione obbliga toria, elencati dallo stesso articolo.

Con il secondo mezzo, che ha per oggetto la questione di giurisdizione, il ricorrente, denunciando la violazione

degli art. 20 e 30 della legge 16 giugno 1927 n. 1766 sul riordinamento degli usi civici, sostiene che la corte d'appello ha errato nell'affermare che la controversia de qua rientri

nella giurisdizione del commissario per la liquidazione

degli usi civici senza considerare che, nella specie, il thema decidendum consiste soltanto nello stabilire se sia tuttora valido ed operante il titolo costitutivo della servitù di

legnatico risultante dalla transazione trasfusa nel verbale di conciliazione (nozione) redatto il 1° agosto 1864 davanti alla Commissione provinciale di Innsbruck per la liquida zione degli usi civici nel quale erano stati precisati e de scritti gli estremi ed il contenuto di tale servitù a favore dei beni dell'odierno ricorrente ed a carico della parti cella 442/cc. Grimaldo di terre di uso civico.

La censura è fondata.

Premesso che dal documento prodotto in causa dallo Sternbach risulta provato l'accordo transattivo relativo al riconoscimento da parte dell'amministrazione dei beni di uso civico e la sua omologazione da parte della Com missione provinciale di Innsbruck (alla quale erano devo lute dall'ordinamento del tempo funzioni analoghe a quelle che spettano oggi ai commissari per la liquidazione degli usi civici), si osserva che la corte d'appello ha creduto di

poter trarre valido argomento contro la tesi della giurisdi zione ordinaria dal duplice rilievo che non vi era contesta zione sulla natura di terre di uso civico dei beni sui quali avrebbe dovuto riconoscersi la servitù e che la domanda era appunto diretta all'accertamento di un diritto parti colare a carico di beni di uso civico, riservato dalla legge vigente alla competenza esclusiva del commissario per gli usi civici.

Ma, così decidendo, la detta corte si è posta, senza addurre in proposito alcuna valida ragione, contro l'indi rizzo giurisprudenziale ripetutamente affermato da queste Sezioni unite che, con pronunce anche recenti (sent. 21

gennaio 1960, n. 51, Foro it., Rep. 1960, voce Diritti pro miscui e usi civici, n. 42), hanno ritenuto che, a norma dell'art. 29, 1° comma, della legge 16 giugno 1927 n. 1766, rientrano nella giurisdizione ordinaria, e non in quella del commissario per la liquidazione degli usi civici, le contro versie relative all'esercizio di diritti reali su beni di uso

civico, qualora le stesse abbiamo per oggetto la tutela di diritti fatti valere uti singuli e non uti cives e non inter feriscano sulle operazioni devolute dalla legge al com missario, nè pongano alcuna questione sulla qualitas soli o sulla esistenza, natura ed estensione di diritti di uso civico. Con piena aderenza alla odierna fattispecie, è stato altresì ritenuto (sent. 15 marzo 1956, n. 760, id., Kep. 1956, voce cit., n. 82) che spetta al giudice ordinario di

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949 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 950

conoscere della validità ed efficacia di un accordo tran

sattivo, trasfuso in un verbale di conciliazione davanti al commissario degli usi civici, con il quale due comuni abbiano posto fine a contestazioni o giudizi circa la pro

prietà di alcune sorgenti termali site lungo la loro linea di confine.

Ora, a prescindere dal rilievo testuale secondo cui, a norma dell'art. 29 della legge più volte ricordata, la giuri sdizione dei commissari cessa ogni qual volta sulla materia

attribuitagli sia intervenuta conciliazione tra le parti e

questa sia stata debitamente approvata dagli organi com

petenti, il che si è puntualmente verificato nella specie, è da ricordare che la ratio di tale limitazione si rinviene

agevolmente nello scopo degli speciali poter? conferiti al

commissario, che sono tutti in funzione delle operazioni a lui demandate di liquidazione degli usi civici e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento.

Pertanto, ove l'oggetto della controversia non riguardi più l'accertamento di un diritto del privato su beni di uso

civico, ma la validità e l'esercizio di un diritto già ricono

sciuto sui medesimi ai suoi danti causa in sede transattiva, con atto debitamente omologato dalle competenti autorità

preposte dalle leggi del tempo alla liquidazione e regola mentazione degli oneri fondiari, deve ritenersi esaurito il compito proprio del commissario secondo il principio

generale del non bis in idem e devoluta al giudice ordinario

ogni questione relativa all'accertamento degli effetti deri vanti a favore del privato dal titolo costitutivo di diritti

particolari su beni di uso civico e alla loro eventuale estin

zione per non uso.

Deve di conseguenza affermarsi che la cognizione della controversia de qua spetta al giudice ordinario, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio della causa alla stessa Corte d'appello di Trento che deciderà anche sulle spese di questo grado del giudizio. Ya ordinata la restituzione del deposito al ricorrente

Per questi motivi, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili ; sentenza 23 marzo 1964, n. 662 ; Pres. Tavolako P. P., Est. Iannelli, P. M. Criscuoli

(conci, parz. conf.) ; Trento (Avv. D'Abbieuo) c. Guc cione e Min. p. i. (Avv. dello Stato Foligno).

(Cassa App. Roma 24 febbraio 1962)

Istruzione pubblica — Scuola privata — Potere di

vigilanza del provveditore agli studi — Insussi stenza — Controversia —■ Giurisdizione del giudice ordinario (Costituzione, 33 ; legge 19 gennaio 1942 n. 86,

disposizione sulle scuole non regie e gli esami di Stato di maturità e di abilitazione, art. 3, 4).

Sopravvenuta la sentenza della Corte costituzionale del 19

giugno 1958, n. 36, che ha dichiarato l'incostituzionalità

degli art. 3 e 4 (1°, 2° e 3° comma) della legge n. 86 del 1942 in relazione all'art. 33 della Costituzione, i prov veditori agli studi sono rimasti privi di ogni potere di

vigilanza sulle scuole private non pareggiate ; pertanto,

compete al giudice ordinario conoscere della controversia relativa agli effetti di un atto, emanato sul fondamento di tale inesistente potere, che il privato assume lesivo della

propria sfera giuridica. (1)

(1) Sul principio che attribuisce alla giurisdizione del giu dice ordinario le controversie relative alla lesione della sfera

giuridica del privato ad opera di un atto della pubblica ammi nistrazione che si fondi su di un potere inesistente in radice, principio del quale la presente decisione costituisce puntuale applicazione, cfr. Oass. 13 ottobre 1962, n. 2990 e 12 maggio 1962, n. 982, Foro it., Rep. 1962, voce Competenza civ., nn.

59, 68 ; 14 marzo 1961, n. 578, id., Rep. 1961, voce cit., n. 44 ;

La Corte, ecc. -— (Omissis). Col primo mezzo il ricor

rente, ([enunciando la violazione degli art. 1 e segg. della

legge 19 gennaio 1942 n. 36, modificata dal decreto legisl.

luog. 24 maggio 1945 n. 412, dell'art. 33 della Costitu

zione in relazione alla sentenza della Corte costituzionale

n. 36 del 1958 (Foro it., 1958, I, 841), degli art. 1 e segg. n. 1276 del 1948, 88 e segg. r. decreto 9 dicembre 1926

n. 2480 e 20 dell'ordinanza ministeriale 29 febbraio 1952, nonché la falsa applicazione degli art. 113 e 114 t. u. 6

maggio 1923 n. 1054 e dell'art. 12 delle preleggi, il tutto

in relazione all'art. 360, nn. 1, 3 e 5, cod. proc. civ., censura

la sentenza impugnata per aver errato nella determinazione

della sfera dei poteri spettanti al provveditorato agli studi, attraverso il richiamo, soprattutto, di norme abrogate da

altre norme, delle quali, peraltro, è stata dichiarata l'inco

stituzionalità e, per converso, la pretermission© dell'ordi

nanza ministeriale, avente ad oggetto il conferimento delle

supplenze e degli incarichi di insegnamento nelle scuole

medie statali. Deduce, in particolare, che tale conferi

mento è regolato dalle norme che, dettate annualmente

dal ministero della pubblica istruzione, devono essere appli cate dai provveditori agli studi ed inoltre che la comunica

zione dei provvedimenti concernenti l'ammissione o l'esclu

sione dai detti incarichi e dalle supplenze deve essere fatta

all'interessato ed alla commissione delle nomine e non

anche ai presidi e direttori delle scuole e degli istituti

privati della provincia, di guisa che il Guccione, nella carenza

di un potere di vigilanza su dette scuole e su detti istituti, avrebbe esplicato attività estranea alle sue funzioni col

comunicare anche ad essi il provvedimento riguardante il ricorrente. Eileva, infine, che per l'insegnamento nelle

scuole private è richiesta soltanto l'iscrizione nell'albo

professionale, diversamente da quanto ritenuto dalla corte

del merito, che cioè si rendesse necessario il concorso degli stessi requisiti richiesti per l'insegnamento nelle scuole

statali, sicché la esclusione da queste porti anche all'esclu

sione dalle scuole private. Il mezzo è fondato. S'è già accennato che la corte del

merito ha ricondotto la comunicazione alle scuole private del provvedimento concernente il ricorrente all'attività

funzionale del Guccione, in stretta dipendenza del potere di vigilanza che il provveditore agli studi avrebbe sulle

stesse scuole, potere che, secondo la corte, sebbene non

espressamente previsto dal testo di alcuna legge, sarebbe,

tuttavia, da desumersi dall'insieme delle norme che rego lano l'istruzione media, e, particolarmente, dal contenuto

degli art. 113 e 114 del t. u. n. 1054 del 1923 e dall'art. 11

del relativo regolamento n. 1084 del 1925, che"*nguardano l'autorizzazione ad aprire istituti privati di istruzione ed

il concorso delle condizioni all'uopo richieste, tra le quali alcune relative alla scelta degli insegnanti. Ma, senza scen dere all'esame delle suddette norme, che non interessa, è

appena il caso di osservare che la disciplina della materia,

quale da esse risulta, è stata modificata successivamente,

dapprima con la legge 19 gennaio 1942 n. 86, con la quale è stato istituito un apposito ente pubblico (ente nazionale

per l'insegnamento medio e superiore : E.n.i.m.s., che

precedentemente era denominato ente nazionale per l'inse

gnamento medio), a cui fu affidata la vigilanza sugli istituti

privati d'istruzione, con la facoltà del rilascio dell'auto

rizzazione per la loro apertura, demandandogli il compito di portare una fondamentale unità didattica, educativa e politica nei medesimi (art. 1 r. decreto legge 3 giugno 1938 n. 928) e, quindi, con l'intento di inserire rigidamente

24 ottobre 1958, n. 3457, id., 1959, I, 1708, con osservazioni di O. Panelli.

In ordine al problema della ingerenza governativa sulle scuole private e dei limiti di essa, successivamente alla pubbli cazione della sentenza della Corte costituzionale 19 giugno 1958, n. 36 (id., 1958, I, 841, con nota di richiami), cfr. la decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 luglio 1960, n. 542, id., 1961, III, 33, in cui si afferma che permane tuttora il potere del mini stero della pubblica istruzione di ordinare la chiusura delle scuole

private per ragioni di natura didattica diverse dalle condizioni che erano prescritte per l'autorizzazione.

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