Sezioni unite civili; sentenza 24 ottobre 1960, n. 2892; Pres. Chieppa P., Est. Pece, P. M.Pomodoro (concl. conf.); Comune di Roma (Avv. Precone, Nicolò) c. Vaselli (Avv. Dedin)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 1 (1961), pp. 61/62-67/68Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174713 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
limitarsi, in applicazione all'art. 662, a dichiarare clie, data la mancata comparizione dell'intimante, gli effetti della
intimazione dovevano ritenersi caducati.
Per effetto quindi, della inefficacia assoluta della inti
mazione, il Tribunale, chiamato a giudicare in sede di
appello sulle stesse richieste ed eccezioni della parte, odierna
ricorrente, avrebbe dovuto far luogo a tale declaratoria
ed alla conseguente declaratoria di inefficacia di tutti gli atti del procedimento di primo grado, compresa la sen
tenza appellata, per non essere mai esistito un valido rap
porto processuale. Per questi motivi, cassa senza rinvio, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. I
Sezioni unite civili; sentenza 24 ottobre 1960, n. 2892; Pres. Chieppa P., Est. Pece, P. M. Pomodoro (conci,
conf.) ; Comune di Roma (Avv. Precone, Nicolò) c.
Vaselli (Avv. Dedin).
(Gassa App. Roma 18 giugno 1957)
Espropriazione per pubblico interesse — Provvedi
mento d'ufficio — Indennità — Liquidazione di
somma ulteriore — Incompetenza dell'autorità
giudiziaria ordinaria (L. 25 giugno 1865 n. 2359,
espropriazioni per causa di pubblica utilità, art. 39).
Espropriazione per pubblico ini eresse — Occupazione abusiva — Provvedimento di esproprio successivo — Danni —• Liquidazione — Competenza dell'auto
rità giudiziaria ordinaria — Criterio.
Intervenuta espropriazione per pubblico interesse e stabilito
l'ammontare della relativa indennità nel relativo prov vedimento ovvero nella decisione che abbia definito l'even
tuale contestazione giudiziale su tale ammontare, il giu dice ordinario è incompetente a liquidare mia ulteriore
somma a favore dell'epropriato per il pregiudizio da lui
subito in dipendenza della espropriazione. (1) Il giudice ordinario è competente a procedere alla liqui
dazione dei danni conseguiti alla occupazione abusiva
del bene ; tali danni, ove alla occupazione abusiva sia
seguito provvedimento d'esproprio, spettano al proprie tario in aggiunta alla indennità di esproprio, ma fino e
non oltre la data del provvedimento di espropriazione e
consistono normalmente nel mancato reddito che sarebbe
stato ricavabile dal bene, ovvero nel valore commerciale dello
stesso qualora il proprietario dimostri che, in conseguenza della occupazione illegittima, non lo abbia potuto vendere,
detratto, in quest'ultimo caso, dall'ammontare del danno
l'importo della suddetta indennità. (2)
La Corte, ecc. — Deve essere, anzitutto, disposta, la riu
nione del ricorso principale del Comune e del ricorso inci
(1-2) Con la sentenza riportata le Sezioni unite, assogge'^j tando ad esame un caso di occupazione abusiva, da parte della
pubblica Amministrazione di suolo privato, cui era seguita la
espropriazione per pubblica utilità, lo identificano con l'altro, non meno frequente, di occupazione temporanea, non seguita tempestivamente dal decreto di espropriazione, e riesaminano
funditus la questione dell'obietto della reintegrazione dei diritti del
proprietario. In questa raccolta sono riportate tre sentenze delle stesse Sezioni unite : 22 luglio 1960, n. 2087 ; 14 luglio 1960, n. 1918 e 30 ottobre 1959, n. 3204, Foro it., 1960, I, 1702, con
ampia nota di richiami. Di tali sentenze, conforme a quella ora riportata è la prima
(non richiamata nella motivazione della presente), mentre la
terza, ivi menzionata, afferma il principio secondo cui i danni da occupazione abusiva, anche se sopravvenga il provvedi mento di espropriazione, qualora non sia più possibile la resti tuzione del" bene, consistono nel valore venale dello stesso al
tempo della pronuncia giudiziale e negli interessi dall'inizio
dell'occupazione sino al pagamento, nonché nell'equivalente della
speciale utilità economica del bene occupato.
dentale dei Vaselli, eomeché proposti entrambi avverso la stessa sentenza.
Giova esaminare, con precedenza sugli altri, il secondo
mezzo del ricorso principale, postocliè la decisione sullo
stesso vale a identificare i limiti della ulteriore discussione in relazione alle altre questioni. Va richiamato che i Va
selli avevano richiesto la condanna del Comune di Roma
al pagamento del valore (liquidato secondo i prezzi di mer
cato al momento della liquidazione) dell'area di mq. 150,
occupata senza titolo dal Comune dal 1° gennaio 1932, non
ché la condanna dello stesso Comune ai danni per il reddito
che, in relazione alla predetta area, era venuto a mancare
ad essi Vaselli in conseguenza della occupazione di cui sopra. La sentenza impugnata, in riforma della pronunzia del
Tribunale, ha ritenuto competere ai Vaselli il risarcimento
integrale del danno in relazione alla intera area di mq. 150
ed ha fissato tali danni : nel valore della predetta area, come
liquidato dal consulente tecnico di ufficio con la relazione
14 aprile 1955, secondo i prezzi di mercato vigenti al mo
mento della consulenza (lire 11.700.000), nel valore (di lire 3.750.000) di un fabbricato (capannone) che insisteva
sull'area e che era stato demolito dal Comune, nel mancato
reddito relativo alla intera area da ragguagliarsi all'inte
resse legale sul valore (lire 11.700.000) liquidato per l'area.
La Corte d'appello ha poi specificato che non competeva ai Vaselli il mancato reddito relativo al capannone demolito
dal Comune, in quanto il valore dell'area di mq. 150 era
stato valutato dal consulente tecnico considerando il ter
reno come interamente fabbricabile e quindi già sgombero dal capannone ; che ai Vaselli competevano gli interessi di
legge dal settembre 1954 al soddisfo, sull'importo comples sivo di lire 15.450.000.
Deve essere anche richiamato che con decreto prefetti zio del 30 agosto 1954 venne pronunziata la espropriazione
per pubblica utilità, a favore del Comune, di un'area di
dieci mq. (particella n. 5715) compresa nella maggior area
di mq. 150, già occupata dal Comune. L'accennato decreto
determinò in lire 106.200 l'indennità di esproprio. Richiamate le suesposte circostanze, va rilevato che, con
il secondo mezzo del proprio ricorso, il Comune denuncia
che : a) il decreto di esproprio del 30 agosto 1954. deve, in
realtà, intendersi relativo alla intera area di mq. 150 poiché,
diversamente, il decreto stesso non avrebbe soddisfatto la
finalità della pubblica Amministrazione di regolarizzare la pregressa occupazione abusiva, da parte del Comune, del
l'intera area di mq. 150 ; 6) che qualora dovesse restare
ferma la interpretazione data dalla Corte d'appello all'ac
cennato decreto di esproprio e ritenersene quindi limitata
la efficacia alla sola particella 5715 di dieci mq., in tal caso
deve affermarsi che, in relazione ai danni conseguenti alla
occupazione abusiva dei predetti dieci mq., il giudice ordi
nario difettava di giurisdizione perchè la indennità di espro
prio, fissata dal decreto prefettizio, esauriva tutte le conse
guenze economiche relative alla occupazione, da parte del
Comune, della predetta area di dieci mq. Il mezzo, di cui è stato riassunto il contenuto, deve essere
accolto solo per quanto di ragione nel senso che la quistione di cui sub a) è inammissibile, comechè sollevata per la prima volta in questa sede e la censura di cui alla lett. b) è fondata
solo in parte. Infatti, dalle varie comparse difensive del Comune in
nanzi la Corte d'appello risulta che il Comune ebbe a rico
noscere espressamente che il decreto di esproprio era stato
emesso solo per i dieci mq. della particella n. 5715 e che ne
erano restati fuori i centoquaranta mq. della particella n. 5716. Nessuna questione sollevò il Comune circa le ragioni di tale limitazione del decreto di esproprio, e tanto meno
circa una diversa portata dell'efficacia di quel decreto ;
che, anzi, tutte le difese del Comune innanzi la Corte di
merito risultano improntate al presupposto di una diversa
situazione giuridica per la particella n. 5715, coperta dal
decreto di esproprio, e per la particella n. 5716, restata
esclusa da quel decreto. Le cennate questioni non possono,
quindi, trovare ingresso per la prima volta innanzi queste
Sezioni unite.
In relazione alla censura di cui alla lett. fi) deve essere
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PARTE PRIMA
affermato ohe, una volta intervenuto il decreto di esproprio, l'indennizzo del valore venale del bene espropriato è rap
presentato dall'indennità di esproprio, determinata ai sensi
dell'art. 39 della legge fondamentale del 25 giugno 1865
n. 2359, ovvero secondo i diversi criteri di cui alle leggi spe ciali relative a determinate località e a determinati lavori
pubblici ; che, di conseguenza, il giudice ordinario non po
teva, nella specie, procedere ad una ulteriore determina
zione del valore venale dei dieci mq. oggetto del decreto pre fettizio di esproprio, postockè, per detta estensione di ter
reno, il valore venale è rappresentato dalla somma di lire
106.200 fissata, dal decreto stesso, quale indennità per lo
esproprio ; che, tuttavia, la espropriazione di cui all'accen
nato decreto 30 agosto 1954 non vale a sanare la pregressa
occupazione sine Mulo, da parte del Comune, dell'intera
area di mq. 150 dal 1° gennaio 1932 al 30 agosto 1954, non
ché la persistenza della occupazione abusiva in relazione agli altri 140 mq. non coperti dal menzionato decreto ; che com
petono ai Vaselli i danni conseguenti a detta occupazione abusiva e che per la liquidazione dei predetti danni è com
petente il giudice ordinario.
La dimostrazione delle fatte affermazioni postula il ri
chiamo di alcuni principi costantemente affermati da que sta Corte suprema, sia a Sezioni unite (n. 3204 del 1959, Foro it., 1960, I, 1703 ; 66 del 1959, id., Rep. 1959, voce
Espropriazione per p. i., n. 253 ; n. 193 del 1954, id., 1955,
I, 381 ; n. 942 del 1953, id., Rep. 1953, voce cit., n. 142), sia a Sezioni semplici (sent. n. 3857 del 1957, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 176-178 ; n. 773 del 1953, id., Rep. 1953, voce
cit., nn. 65, 66 ; nn. 1432, 836 e 1951 del 1951, id., Rep. 1951, voce cit., nn. 110, 102, 101).
Secondo i predetti principi : 1) il momento del trasferi
mento, dall'espropriato all'espropriante, della proprietà del bene, che ha formato oggetto della procedura di espro
priazione, coincide con la data del decreto di esproprio, al
quale, ai fini dell'accennato trasferimento di proprietà, deve
essere riconosciuta efficacia costitutiva e quindi operatività, coerentemente a quanto normalmente si verifica per i prov vedimenti a carattere costitutivo, solo per l'avvenire. Tale
principio deve essere tenuto fermo anche per il caso in cui
il decreto di espropriazione sia stato preceduto dall'occu
pazione provvisoria per la esecuzione di lavori urgenti ed indifferibili e quindi, a maggior ragione, quando, come
nella specie, il decreto di esproprio sia stato preceduto da
una occupazione sine titulo ; 2) funzione specifica della
indennità di esproprio è quella di sostituire, a favore dello
espropriato, al bene, che ha formato oggetto dell'espropria zione, un corrispettivo pecuniario, liquidato attraverso l'ap
plicazione dei diversi criteri fissati dalla legge fondamentale
n. 2359 del 1865 o da altre leggi speciali ; 3) poiché il de
creto di esproprio opera il trapasso, dietro il corrispettivo dell'indennità di esproprio, della proprietà del bene, tale
decreto ha la sua ragion d'essere, e deve quindi trovare
piena e completa attuazione, anche nella ipotesi in cui
l'ente, a cui favore è pronunziata l'espropriazione, si tro
vasse già nel possesso del bene, in conseguenza di precedente occupazione abusiva.
In tal caso, infatti (come esattamente rilevato, per la
specie in esame, dalla sentenza del Consiglio di Stato, adito
a suo tempo dai Vaselli), il decreto di esproprio vale a far
cessare, con decorrenza dalla data di esso decreto, la pre esistente situazione di illegittimità e ad operare, sempre dalla data del decreto, il trapasso della proprietà del bene.
E cioè la precedente situazione abusiva, non solo non può
importare la caducazione, nella pubblica Amministrazione, del potere di esproprio, ma, al contrario, vale a fornire la
ragione specifica per eccitare l'esercizio di tale potere onde addivenire alla normalizzazione dei rapporti tra il proprie tario e l'ente occupante. Tutto ciò, però, non può annullare
la pregressa occupazione abusiva, delle cui conseguenze l'ente occupante è tenuto, quindi, a rispondere nei con
fronti del proprietario sotto il profilo del risarcimento del danno.
Ed è ai fini di tale risarcimento che si impone la distin
zione tra due situazioni nettamente diverse tra di esse. E
cioè, se l'occupazione (e nel concetto di occupazione si in
tende inclusa la protrazione dell'occupazione oltre il bien
nio improrogabile di cui all'art. 73 della legge n. 2359 del
1865 ; sent. n. 3204 del 1959, cit. e n. 2603 del 1959, Foro
it., Eep. 1959, voce Espropriazione per p. i., nn. 262, 263)
Ita mantenuto il carattere abusivo per non essere mai in
tervenuto un regolare decreto di esproprio, in tal caso
il diritto di proprietà dell'immobile non si è mai trasferito
in capo all'ente occupante. D'altra parte, però, può darsi
clie, come pacifico nella specie, non sia più concepibile la
restituzione del bene occupato, attesa la radicale trasfor
mazione da questo subita per l'attuazione dell'opera pub
blica, non potendo, oltre tutto, il giudice ordinario ordinare
la rimozione o la modificazione della predetta opera, dispo sta ed eseguita dalla pubblica Amministrazione nell'eserci
zio della propria insindacabile attività discrezionale.
Stante ciò, e poiché il giudice ordinario non potrebbe
neppure prefiggere alla pubblica Amministrazione un ter
mine per l'inizio ed espletamento della procedura di espro
priazione o per il trasferimento convenzionale del diritto
di proprietà, in tal caso, mentre l'ente occupante verrebbe
a trovarsi nella possibilità di protrarre indefinitamente la
situazione illegittima da esso stesso creata, i proprietari
resterebbero, per converso, privati del contenuto sostan
ziale del diritto di proprietà. In tale situazione, per ov
viare alle suesposte conseguenze contra legem, deve es
sere riconosciuto ai privati il diritto ad ottenere, dal giu dice ordinario, la condanna dell'Amministrazione alla cor
responsione, a titolo di risarcimento del danno, del valore
corrispondente alla privazione del bene illegittimamente ed irreparabilmente (per le fattive opere pubbliche) da essi
sofferta (sent. n. 3309 del 1955, Foro it., Rep. 1955, voce
Espropriazione per p. i., nn. 198-200 ; n. 3125 del 1952,
id., Rep. 1952, voce cit., nn. 90-93). Nò l'Amministrazione può lamentare di trovarsi esposta,
in definitiva, a pagare, a titolo di danni, somma superiore a
quella che avrebbe pagato sotto forma di indennità di
esproprio, la quale (sent. n. 836 del 1951, cit.) non ha per
oggetto la integrale riparazione di tutti i danni eventual
mente sofferti dal privato in dipendenza della espropria zione. Infatti (come avvertito dalla sent. n. 931 del 1952,
Foro it., 1953, I, 979) la pubblica Amministrazione deve
imputare a se stessa se, avendo in concreto omesso di fare
ricorso alla procedura di espropriazione, non può conseguire il vantaggio che detta procedura le avrebbe dato.
Nettamente diversa dalla situazione fin qui esposta è
quella che si presenta, invece, nella ipotesi in cui, sia
pure in pendenza del giudizio per risarcimento dei danni,
intentato dal proprietario, intervenga il decreto di espro
priazione del bene occupato abusivamente. Non è dub
bio che anche in tal caso (come già avvertito con la
richiamata sentenza n. 3204 del 1959 di queste Sezioni
unite) il decreto di esproprio non può avere l'efficacia
di sanatoria per la illegale situazione pregressa. A giu stificare tale affermazione, è sufficiente il già ricordato
principio, secondo cui il momento di trasferimento della
proprietà del bene espropriato coincide con la data del de
creto di espropriazione. Ciò nonostante, però, il predetto decreto spiega tutta la propria efficacia costitutiva per l'avvenire in relazione a tutti gli effetti che la legge sulla
espropriazione vi riconnette. Non solo, quindi, dalla data
del decreto di esproprio, si opera il trapasso della proprietà del bene in capo all'ente espropriante, ma tale trapasso è
coordinato, in aderenza allo schema legislativo, con una
controprestazione a carico del predetto ente, il cui ammon
tare è rappresentato dall'indennità di esproprio fissata
nel decreto o (se l'espropriato propone opposizione) deter
minata, secondo la normale procedura in materia, da parte
degli organi (ordinari o speciali) previsti dalle leggi sull'espro
priazione. Tale affermazione trova, sul piano teorico, la propria
giustificazione nel principio, già più sopra ricordato, circa
la funzione specifica dell'indennità di espropriazione. Infatti, per ritenere che la competenza del giudice or
dinario, adito per la liquidazione del danno da occupazione abusiva assorba la efficacia della procedura di esproprio nella parte relativa alla determinazione della indennità bi
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65 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 66
sognerebbe poter affermare che, nonostante l'intervenuto
decreto, e anche quando, come nella specie, non venga in discussione lo stesso potere di espropriazione, persista il
carattere abusivo della occupazione del bene da parte dell'ente espropriante.
Poiché, al contrario, il decreto di esproprio, operando il trapasso di proprietà del bene, fa cessare quel carattere
abusivo, ne discende necessariamente che dalla data di quel decreto viene a mancare anche la ragione di ulteriori danni
per il proprietario. Una pronunzia, da parte del giudice ordinario, che, sia
pure sotto l'apparenza di un risarcimento di danni, incidesse
sulle conseguenze economiche del decreto di esproprio al di
fuori dello schema della indennità di espropriazione, si risol
verebbe in realtà in una nuova valutazione di quel valore
di scambio del bene espropriato, che deve essere, invece, fissato esclusivamente secondo i criteri predeterminati dalle leggi sulla espropriazione e dagli organi dalle stesse
leggi previsti. Una pronunzia del genere, per quanto attiene all'area
in questione della particella n. 5715, importerebbe, dal
punto di vista processuale, la invasione di una sfera di attri
buzioni devolute, in caso di contestazione, ad un organo
speciale (Giunta arbitrale presso la Corte d'appello di Roma), dal punto di vista sostanziale importerebbe l'indebito annul
lamento di un atto unilaterale di diritto pubblico (decreto di esproprio) in una delle sue componenti essenziali e cioè
nella parte relativa alla determinazione dell'indennità di
esproprio. Precisato conclusivamente che, ove sia inter
venuto, in pendenza del giudizio per danni intentato dal pri vato, il decreto di esproprio del bene già indebitamente
occupato in pregiudizio del privato medesimo, il giudice deve
contenere la liquidazione del danno esclusivamente in re
lazione al periodo precedente al decreto di esproprio, deve
essere ulteriormente precisato che il criterio che deve pre siedere a tale liquidazione può variare a seconda delle con
crete fattispecie. Normalmente, quel danno consisterà nella mancata
percezione, da parte del proprietario, del reddito che egli avrebbe potuto ricavare dal bene. Nulla vieta, peraltro, che qualora il proprietario dimostri che, in conseguenza della occupazione da lui illegittimamente sofferta, egli non
potette concretamente realizzare occasione di vendita, il
giudice di merito liquidi, a titolo di danno, la perdita che
detto proprietario ebbe a subire, tenuto conto degli even
tuali vincoli legali già esistenti sull'immobile (ad es. in
conseguenza di piano regolatore). È intuitivo, però, che, poiché il proprietario, se avesse
realizzato il valore del bene attraverso la vendita di que
st'ultimo, non avrebbe potuto ricavarne un ulteriore utile, stante ciò, dall'ammontare del danno, liquidato secondo gli accennati criteri, dovrà essere detratto l'importo della
indennità che è fissata nel decreto di esproprio oppure nella
decisione che ha definito l'eventuale contestazione giudi ziale sulla predetta indennità.
Nella ipotesi (peraltro non verificatasi nella fattispecie in
esame) di contemporanea pendenza del giudizio per danni
da occupazione abusiva antecedente all'esproprio e del
giudizio per la determinazione dell'indennità di esproprio,
potrà soccorrere l'istituto della sospensione del processo, tutte le volte che il giudice del danno ritenga che l'ammon
tare della indennità di esproprio potrà influenzare l'ammon
tare del danno risarcibile.
Vero è ancora che la definizione del giudizio per danni
da indebita occupazione non preclude il successivo esercizio
del potere di espro'priazione da parte della pubblica Ammini
strazione. In tal caso, però, se la liquidazione giudiziale del danno ha già incluso il valore venale dell'immobile se
condo prezzi del mercato, la conseguenza sarà che il pro
prietario, sotto pena di doverne effettuare la restituzione
per ingiusto arricchimento, non potrà pretendere, dall'occu
pante a cui favore è stato successivamente pronunziato
l'esproprio, anche il versamento dell'indennizzo fissato nel
decreto di esproprio. Tutto ciò però non può far ritenere, ostandovi le già esposte ragioni, che il giudice del danno,
qualora, come si è verificato, nella specie, per la particella
n. 5715, sia già intervenuto il decreto di esproprio, possa annullare praticamente tale decreto nella parte relativa,
all'indennità di espropriazione, e liquidare, come ha fatto
la sentenza impugnata, il valore dell'immobile espropriato secondo il prezzo di mercato, corrente in un momento
successivo alla data del decreto di esproprio. Tanto premesso, deve affermarsi, però, clie il giudice
ordinario era competente a liquidare i danni subiti dai
Vaselli, in relazione all'occupazione abusiva della intera
area di mq. 150 fino alla data del decreto prefettizio di
esproprio dei dieci mq. della particella n. 5715 (30 agosto
1954), nonché in relazione alla ulteriore occupazione abusiva
di 140 mq. di detta area, anche per il periodo successivo
al 30 agosto 1954, dato che per i detti periodi, trattavasi
di danni che non potevano ritenersi assorbiti dalla inden
nità fissata dal decreto di esproprio. (Omissis) Con il terzo mezzo, il Comune denunzia che nella ipo
tesi di occupazione abusiva di un immobile, qualora non
sia possibile la restituzione del bene, in conseguenza delle
opere di trasformazione eseguite dall'ente occupante, que st'ultimo sarebbe tenuto, in ogni caso, a corrispondere al
privato esclusivamente il valore che il bene aveva al mo
mento iniziale dell'occupazione, rivalutato (detto valore) in
relazione al momento della decisione giudiziale. (Omissis) Ciò premesso, va rilevato che la censura di cui al terzo
mezzo è infondata.
Infatti, poiché, come già si è precisato nella trattazione
del secondo mezzo, per 140 mq. la occupazione del Comune
ha mantenuto costantemente carattere abusivo, non es
sendo mai intervenuto alcun decreto di esproprio, e per
gli altri 10 mq. il carattere abusivo di tale occupazione è
cessato solo alla data (30 agosto 1954) del relativo decreto
di esproprio, la persistenza della condotta contra legem, da
parte del Comune, ha determinato una persistenza del
danno in pregiudizio dei Vaselli, sicché tale danno non può essere liquidato in rapporto al momento in cui l'occupa zione abusiva del bene ebbe inizio, ma bensì con riguardo alla intera durata della predetta occupazione, secondo i
criteri già esposti nella trattazione del secondo mezzo.
Con il quarto ed il sesto mezzo, che possono essere esa
minati congiuntamente, essendo connessi, il Comune denun
zia che la Corte d'appello ha ulteriormente errato nella li
quidazione concreta dei danni spettanti ai Vaselli, in
quanto : a) ha ritenuto trattarsi di aree tuttora edificabili,
laddove, per effetto del piano regolatore particolareggiato, trattavasi di aree destinate a sede stradale ; b) ha incluso, nel danno risarcibile, il valore di un capannone abbattuto
dal Comune, mentre tale abbattimento, estendendo la
fabbricabilità dell'area, aveva accresciuto e non diminuito
il valore dell'area.
Le due censure sono fondate.
Poiché la destinazione a sede stradale atteneva alle
condizioni obiettive dell'area indebitamente occupata dal
Comune ed influiva sul valore della stessa secondo i prezzi del mercato, tale destinazione non poteva essere preter messa nel calcolo del predetto valore e, di conseguenza, nella liquidazione del danno spettante ai Vaselli sotto il
profilo del mancato reddito. Per converso, e se rispondente a verità, non potrà essere trascurato, dal giudice di rinvio, il particolare che era stato richiamato dai Vaselli, secondo
cui nel 1931 le previsioni del piano regolatore garantivano,
per una parte dei terreni di cui in causa, la destinazione alla
fabbricabilità, mentre l'altra parte di essi era esente da
qualsiasi vincolo per il fatto di trovarsi al di fuori del
perimetro del predetto piano. In quanto poi, al valore del capannone poiché questo
ultimo fu abbattuto dal Comune in funzione della desti
nazione fabbricativa dell'area è evidente che il valore di
quest'ultimo ai fini di accertare il mancato reddito che i
Vaselli avrebbero potuto ricavarne è assorbente del valore
del capannone. (Omissis)
L'accoglimento, nei limiti che si sono venuti precisando, del ricorso principale del Comune impone l'esame del
ricorso incidentale proposto dai Vaselli in via subordinata, Con l'unico mezzo del predetto ricorso incidentale, i
Vaselli hanno denunziato che in relazione ai 140 mq. di
Il Poro Italiano — Volume LXXXIV — Parte 7-6.
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PARTE PRIMA 68
cui alla particella n. 5716, non coperti dal decreto di espro priazione, il danno a favore di essi Vaselli avrebbe dovuto essere liquidato con riferimento non già alla data del decreto di esproprio, ma con riferimento alla data della liquidazione.
La censura è fondata, postochè il decreto di esproprio del 31 agosto 1954, proprio perchè non riferibile ai 140 mq. della particella 5716, non avrebbe dovuto essere ritenuto influente in relazione alla liquidazione del danno riveniente ai Vaselli dalla persistente occupazione abusiva del terreno non coperto da esso decreto di esproprio.
In quanto ai criteri che devono presiedere alla con
creta liquidazione di tale danno, valgono le osservazioni svolte nell'esaminare le censure del ricorso principale.
Concludendo, previa riunione dei due ricorsi, devono essere accolti il secondo mezzo, per quanto di ragione, non ché il quarto, quinto e sesto mezzo del ricorso principale ; deve essere accolto anche l'unico mezzo del ricorso inci dentale ; devono essere, invece, rigettati il primo ed il terzo mezzo del ricorso principale. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte e la causa deve essere rimessa, limitatamente alle questioni di cui alle
parti cassate della sentenza, ad altra Sezione della Corte di appello di Koma che provvederà anche sulle spese di
questo giudizio di Cassazione e che si uniformerà ai seguenti principi di diritto : 1) Ai fini specifici della procedura di
espropriazione per pubblica utilità, il valore di scambio del bene espropriato è rappresentato dall'ammontare dell'in dennità fissata secondo i criteri predeterminati dalle leggi sulla espropriazione e dagli organi dalle stesse leggi previ sti. Di conseguenza una volta intervenuto il decreto di
esproprio, il giudice ordinario non può liquidare, a favore
dell'espropriato, una ulteriore somma per il pregiudizio che detto proprietario espropriato ha subito in conseguenza dell'intervenuta espropriazione. 2) Qualora un immobile sia stato occupato illegittimamente dalla pubblica Ammini strazione e, successivamente, non sia intervenuto il regolare decreto di esproprio, la pubblica Amministrazione è tenuta alla restituzione dell'immobile indebitamente occupato op pure, se detta restituzione non sia possibile per l'avvenuta trasformazione del bene, al risarcimento del danno secondo i principi generali, e quindi all'integrale indennizzo del valore del bene stesso. 3) Se il decreto di espropriazione di un immobile sia stato preceduto dall'occupazione abu siva dell'immobile stesso, al proprietario compete, oltre alla indennità di esproprio, il risarcimento dei danni conse
guenti all'occupazione abusiva fino e non oltre la data del decreto di esproprio. Detti danni, che consistono normal
mente, nel mancato reddito che sarebbe stato ricavabile dal
bene, possono consistere anche nel valore commerciale del
bene, qualora il proprietario dimostri che, in conseguenza della occupazione illegittima, egli non potette realizzare la vendita del bene. In quest'ultimo caso, però al fine di evi tare un ingiusto arricchimento per il proprietario, dall'am montare del danno, liquidato secondo il valore del bene, deve essere detratto l'importo dell'indennità fissata nel decreto di esproprio oppure nella decisione che ha definito l'eventuale contestazione giudiziale sulla predetta indennità.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 17 ottobre 1960, n. 2772 ; Pres. Lorizio P., Est. Del Conte, P. M. Gedda (conci, conf.) ; De Agostini (Avv. Nicolò, Fasola, Castiglia) c. S.p.a. Istituto geografico De Agostini (Avv. Bar bera, Segù).
(Gassa App. Milano 9 dicembre 1958)
Cognome e nome — Diritto al nome —- Tutela -—
L'so del cognome «li persona tisica nella denomi nazione di società per azioni —- Omessa indica zione del rapporto sociale e della natura della
società —■ Illegittimità — Limiti (Cod. civ., art. 7,
2326).
| L'uno del cognome di una persona fisica nella denominazione di una società per azioni, senza l'indicazione del rapporto sociale e della natura della società, è illegittimo ove, per le speciali condizioni di tempo, di luogo e di persone, i terzi possano essere indotti a ritenere che si tratti di una
impresa individuale, della quale il titolare del cognome sia
l'imprenditore, ovvero di una società di persone, della quale il medesimo sia socio illimitatamente responsabile. (1)
La Corte, ecc. — Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli art. 7, 8, 2043 e 2326 cod. civ., in rela zione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., e si sostiene che
: erroneamente e con motivazione insufficiente, la Corte ha ritenuto che l'uso del cognome « De Agostini » nella deno minazione dell'1st. geogr. De Agostini, senza la indicazione di « società per azioni », fosse legittimo e non pregiudizie vole per il De Agostini F. Secondo il ricorrente la illegit
j timità ed il possibile pregiudizio dovevano desumersi dal fatto che la legge impone espressamente all'art. 2326 tale indicazione e che, esercitando la Società ed il De Agostini F. la medesima attività nel settore della cartografia geo grafica, sussisteva la possibilità di confusioni e di far quindi ritenere che quest'ultimo facesse parte della Società stessa.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e degli stessi articoli sovra richiamati, in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., e si sostiene che la Corte d'appello ha omesso di esaminare l'altro pregiudizievole abuso lamentato dal De Agost ni
Federico, consistente nell'essersi la soc. denominata « Tip. 1st. De Agostini Milano », non solo, quindi, omettendo la menzione di « soc. per az. », ma anche indicando quale sede, invece che quella reale di Novara, quella di Milano, dove il ricorrente svolge la sua attività.
Il ricorso è fondato. L'art. 7 cod. civ. tutela il diritto al nome mediante
l'azione di usurpazione, diretta alla inibizione del fatto lesivo ed all'eventuale risarcimento del danno, non solo
quando si abbia l'assunzione del nome da parte di una
persona fisica, non avente diritto a portarla, e cioè nel caso di vera e propria usurpazione, ma anche quando se ne faccia un uso altrimenti indebito, diverso da tale usur
pazione, sempre che ciò avvenga in maniera da poter re
(1) È la seconda volta che i rapporti tra la famiglia De Agostini e l'Istituto geografico dello stesso nome, sono sotto posti all'esame della Corte suprema. Infatti la sentenza della Corte d'appello di Torino, ricordata dalla decisione sopra riportata, venne impugnata con ricorso per cassazione. E la Corte regolatrice, con sentenza 6 aprile 1925, n. 1047 (Foro it., Rep. 1925, voce Ditta commerciale nn. 7-13), affermò la validità del trasferimento del diritto ad usare il proprio nome, ceduto dal De Agostini, insieme all'azienda da lui creata, ad una società in nome collettivo (poi trasformatasi nell'attuale Soc. per az. Istituto geografico De Agostini).
In giurisprudenza ed in dottrina si ritiene generalmente che quando nella denominazione sociale di una società per azioni sia compreso il nome di uno dei fondatori della società o di un socio, nè questi uè i loro eredi abbiano diritto di far eliminare il loro nome dalla denominazione stessa. Cfr. in giuris prudenza : App. Torino 3 gennaio 1955, Foro it., 1955, I, 1280 j App. Napoli 25 febbraio 1950, id., 1951, I, 957, con nota di A. Venditti ; Trib. Napoli, 14 giugno 1948, id., Rep. 1949, voce Cognomi e nome, n. 6, e in Dir. e giur., 1949, 354, con nota di Minervini ; App. Milano 15 febbraio 1938, Foro it., Rep. 1938, voce Società, n. 205. Consulta in dottrina : Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1956, pag. 289 ; Fri:, Società per azioni, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1956, 7 ; Brunetti, Trattato del diritto delle società, Milano, 1946 1950, II, 200 n. 89 ; Scandiani, Denominazione di anonime e loro immutabilità di ironie all'estromissione dei soci, in Foro ven., 1927, 422.
Per ulteriori riferimenti sui rapporti fra nome individuale, ditta e denominazione sociale, cfr. Cass. 26 gennaio 1956, n. 220, Foro it., 1956, I, 1677, con nota di richiami ; e 11 maggio 1953, n. 1316, id., 1953, I, 1621, con nota di richiami.
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