sezioni unite civili; sentenza 26 febbraio 1987, n. 2050; Pres. Granata, Est. Taddeucci, P. M.Caristo (concl. conf.); Consorzio di bonifica E. Villoresi (Avv. E. Romanelli, Ribolzi) c. Comunedi Cernusco sul Naviglio (Avv. Boitani, Bassani) e altro. Regolamento preventivo digiurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1987), pp. 2135/2136-2143/2144Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179734 .
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2135 PARTE PRIMA 2136
409, n. 3, c.p.c. (Cass. 3 ottobre 1979, n. 5071, Foro it., Rep.
1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 99).
Pertanto, il ricorso va accolto e va dichiarata la competenza
per valore del Tribunale di Milano, in virtù della clausola di de
roga della competenza territoriale specificamente approvata ai sensi
dell'art. 1341 c.c. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 26 feb
braio 1987, n. 2050; Pres. Granata, Est. Taddeucci, P. M.
Caristo (conci, conf.); Consorzio di bonifica E. Villoresi (Avv.
E. Romanelli, Ribolzi) c. Comune di Cernusco sul Naviglio
(Avv. Boitani, Bassani) e altro. Regolamento preventivo di
giurisdizione.
Bonifica — Consorzi — Obbligazione di contribuenza — Riscos
sione — Legittimità — Giurisdizione ordinaria — Ripartizione
e quantificazione — Giurisdizione amministrativa (Cod. civ.,
art. 860; r.d. 13 febbraio 1933 n. 215, nuove norme per la
bonifica integrale, art. 8, 13, 21, 59; d.p.r. 23 giugno 1962
n. 947, norme sui consorzi di bonifica in attuazione della dele
ga prevista dall'art. 31 1. 2 giugno 1961 n. 454, art. 8).
Sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le domande
relative alla inesistenza in radice del potere impositorio dei con
sorzi di bonifica a carico degli utenti della falda acquifera e
le domande attinenti alla illegittimità, per difetto di titolo o
di potere, della riscossione contributiva; sono, invece, devolute
alla giurisdizione del giudice amministrativo le questioni che
investono i criteri di ripartizione e di quantificazione dell'onere
contributivo a carico degli utenti suddetti. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 2 feb
braio 1987, n. 946; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P. M. Fabi
(conci, conf.); Consorzio per la bonifica della Capitanata (Aw.
Compagno) c. Bosco (Avv. D'Angelo), Buzzerio ed altri. Cas
sa App. Bari 14 giugno 1979.
Bonifica — Consorzi — Intasamento di canali — Riduzione in
pristino in danno del privato — Provvedimento prefettizio di
imposizione delle spese — Opposizione — Legittimazione pas
siva (R.d. 8 maggio 1904 n. 368, regolamento per l'esecuzione
del t.u. della 1. 22 marzo 1900 n. 195 e della 1. 7 luglio 1902
n. 333, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi,
art. 153, 154).
(1-3) Giurisprudenza costante sulla natura tributaria dei contributi di
bonifica, sul riparto di giurisdizione per la cognizione delle relative con
troversie, sui presupposti dell'obbligo di contribuzione: v. la coeva Cass.
n. 2049/87, inedita; 18 giugno 1986, n. 4081, Foro it., 1986, I, 2046;
9 dicembre 1983 n. 7302, id., 1984, I, 423, con note di richiami, cui
adde, sulla natura dei consorzi di bonifica, Cass. 3 maggio 1986, n. 2991,
id., 1986, I, 2784; sulla competenza del tribunale delle acque, Cass. 10
luglio 1986, n. 4479, id., Mass., 792.
Nulla in termini sulla massima sub 2; per l'affermazione della legitti
mazione passiva del consorzio concessionario dell'opera e non dell'ente
al quale i beni demaniali sono intestati, v. Trib. sup. acque 14 giugno
1985, n. 31, id., Rep. 1985, voce Bonifica, n. 5; per la insussistenza di
un potere generale di controllo repressivo dello Stato sulla amministrazio
ne dei consorzi di bonifica, v. T.A.R. Lazio, sez. I, 17 novembre 1976,
n. 679, id., Rep. 1977, voce cit., n. 4.
Nulla in termini sulla natura del regolamento di cui al r.d. n. 368/1904,
secondo la massima sub 3, ma nessun dubbio sulla sua persistente vigen
za, anche dopo le riforme legislative in materia, nelle decisioni che hanno
fatto applicazione delle norme in esso contenute (con particolare riferi
mento a quelle di carattere sanzionatorio): v. Cass. 15 novembre 1973,
Pandolfelli, id., Rep. 1974, voce Acque pubbliche, n. 83 e voce Bonifica,
n. 7; Cons. Stato, sez. I, 9 marzo 1973, n. 270, ibid., voce Regione,
n. 139 (che ritiene sussistente la competenza prefettizia anche dopo il
passaggio alla regione delle materie relative alla bonifica e alla pesca).
Per altri utili riferimenti sul regolamento in questione, cfr. la nota di
A. Noccelli a T.A.R. Lazio, sez. I, 19 giugno 1975, n. 655, id., 1976,
III, 335.
Il Foro Italiano — 1987.
Bonifica — Consorzi — Obbligo di pagamento delle spese di ri
pristino — Giurisdizione ordinaria (Cost., art. 23; disp. sulla
legge in generale, art. 15; r.d. 22 marzo 1900 n. 195, t.u. della
legge sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi, art.
61; r.d. 8 maggio 1904 n. 368, art. 153, 154; r.d. 13 febbraio
1933 n. 215, art. 4, 52, 100).
Il consorzio di bonifica è legittimato passivo nel procedimento
giudiziale di contestazione da parte del privato dell'obbligo di
rimborso delle spese dell'esecuzione d'ufficio delle opere di ri
pristino dei canali di bonifica, ancorché il provvedimento am
ministrativo di liquidazione del credito del consorzio sia stato
emesso dal prefetto in forza dei poteri attribuitigli dall'art. 154
r.d. 8 maggio 1904 n. 368. (2) Il regolamento di cui al r.d. 8 maggio 1904 n. 368, per l'esecuzio
ne delle disposizioni contenute nel t.u. 22 marzo 1900 n. 195
sulle opere di bonificazione, ha natura di «regolamento delega
to» e quindi può incidere in materia riservata alta legge; detto
regolamento deve, altresì, ritenersi tuttora in vigore perché non
abrogato tacitamente od espressamente da alcuna norma suc
cessiva e non contrastante con iprincipi dettati dall'art. 23 Cost,
(in motivazione, la corte ha anche confermato la giurisdizione
ordinaria in quanto trattavasi di controversia sulla esistenza di
una obbligazione di pagamento, con esame incidenter tantum
de! provvedimento di autotutela della p.a.). (3)
Svolgimento del processo. — Il consorzio di bonifica E. Villo
resi — sulle premesse che nel novero dei propri fini statutari vi
erano, tra gli altri, quelli della migliore utilizzazione delle acque
superficiali e sotterranee e della tutela della falda acquifera sot
terranea al comprensorio di propria pertinenza comprendente il
territorio di numerosi comuni lombardi; e che tra i soggetti con
sorziati vi erano anche gli enti locali operanti nel comprensorio
medesimo, in quanto interessati alla gestione ed all'utilizzo delle
acque — adottava con deliberazione consortile n. 394 del 25 lu
glio 1979, un nuovo piano di riparto delle contribuenze.
Partendo dal rilievo della stretta interconnessione tra la gestio
ne della rete irrigua consortile e l'esercizio della pratica della irri
gazione a scopo agricolo con la ricarica della falda freatica per
effetto della percolazione, negli strati sottostanti, delle acque di
sperse sui terreni irrigati, il consorzio perveniva alla conclusione
che dal rimpinguamento della falda acquifera sotterranea traesse
ro vantaggio anche coloro che, proprietari e gestori di acquedotti
pubblici o privati, o di aziende non agricole, venivano ad essere
agevolati nella utilizzazione di quelle acque, rinvenendole a quota
meno profonda, con beneficio proporzionale al quantitativo di
acqua emunto.
Con deliberazione n. 605 del 27 agosto 1981 il consorzio emet
teva pertanto i ruoli di contribuenza a carico degli utenti della
falda che, sotto la specie di acquedotti pubblici, erano beneficiati
dall'azione di tutela della falda medesima, stabilendo un importo
unitario di lire 3 per ogni metro cubo di acqua erogata, previa
detrazione del 20% sull'erogazione totale perché presuntivamente
utilizzata solo per fini potabili.
Con deliberazione n. 4 del 2 dicembre 1982 adottava un nuovo
piano di classifica e di riparto delle contribuenze (impostato sul
rilievo che le acque derivate e distribuite erano destinate per il
20% all'agricoltura e per l'80% all'acquifero sotterraneo); piani
poi aggiornati con delibera n. 8 del 26 aprile 1983.
Il comune di Cernusco sul Naviglio, ricevute le notificazioni
delle cartelle esattoriali emesse dal consorzio di bonifica nell'ago
sto del 1983, per la riscossione dei contributi posti a carico dei
cosi detti utenti della falda acquifera, reagiva alla imposizione
citando, con ricorso notificato il 10 novembre 1983 davanti al
T.A.R. per la Lombardia l'intimante consorzio, la Cassa di ri
sparmio delle province lombarde, quale ente gestore della esatto
ria comunale, ed il comitato interministeriale per la politica agricola
ed alimentare (C.I.P.A.A.) affinché fossero annullate le delibera
zioni consortili relative all'approvazione del nuovo piano di
* * *
A metà giugno è improvvisamente mancato Alfredo Noccelli: il capo
verso che precede queste righe richiama una delle complesse note del col
laboratore generoso che negli ultimi anni come consigliere di Stato estensore
di importanti decisioni (anche della adunanza plenaria) aveva contribui
to, con il medesimo slancio, ad arricchire questa raccolta di giurispruden
za, nella sua parte senza dubbio più qualificante.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
riparto della contribuenza, alla liquidazione dei contributi ed alla
emissione dei ruoli di pagamento, nonché la delibera del
C.I.P.A.A. n. 288 del 20 ottobre 1980. (Omissis) Avuta poi notifica delle cartelle esattoriali emesse nel marzo
del 1984, il comune di Cernusco sul Naviglio conveniva in giudi zio davanti al Tribunale di Milano, mediante citazione notificata
il 18 giugno 1984, il consorzio di bonifica E. Villoresi, contestan
do la legittimità di quelle (e delle anteriori) pretese di pagamento.
(Omissis) Gli enti convenuti si costituivano nei due giudizi, e nella pen
denza di essi il consorzio di bonifica ha proposto ricorso per re
golamento preventivo di giurisdizione, illustrato con memoria.
Nel segnalare le perplessità ingenerate dalla contemporanea de
voluzione alla cognizione di giudici diversi, ordinario ed ammini
strativo, di questioni in gran parte connesse, il ricorrente si è
comunque rimesso alla statuizione in questa sede adottanda in
tema di giurisdizione. Il comune intimato, costituitosi con controricorso, ha sostenu
to (anche mediante memoria) la preponderanza delle ragioni mili
tanti a favore della individuazione della competenza nel giudice
ordinario, essendo le liti sostanziate, nel complesso, dalla conte
stazione del potere del consorzio di imporre contributi a carico
di esso comune.
Il comitato interministeriale per la politica agricola ed alimen
tare e la Cassa di risparmio delle province lombarde — chiamate
nel giudizio per la necessaria integrazione del contraddittorio, in
ossequio ad ordinanza del 30 gennaio 1986 — non si sono, in
questa sede, costituite.
Motivi della decisione. — Soccorrono, per la soluzione della
proposta questione di giurisdizione, principi di diritto ripetute volte affermati da questa corte regolatrice; principi dei quali, per la
verità, nessuna delle parti sollecita una revisione critica, quanto
piuttosto ed unicamente una applicazione pratica, per la discrimi
nazione in concreto — fra tutte le domande attorno alle quali in sede di merito controvertono — di quelle devolute all'esame
del giudice ordinario rispetto a quelle riservate alla cognizione del giudice amministrativo.
Cosi, anzitutto non è contestato l'ormai consolidato insegna mento giurisprudenziale, secondo cui la decisione sulla giurisdi zione è determinata, ai sensi dell'art. 386 c.p.c., dall'oggetto della
domanda; oggetto che non va identificato con il solo petitum formale (nella specie: annullamento di atti e provvedimenti am
ministrativi) ma deve essere considerato in stretto coordinamento
con la causa petendi (cosi detto petitum sostanziale) ed in relazio
ne alla intrinseca natura della situazione giuridica soggettiva di
cui si lamenti la lesione, ed alla reale protezione (immediata e diretta od occasionale e riflessa) a quella situazione assicurata dal giudice amministrativo le contestazioni relative ai criteri di
ripartizione della spesa tra i soggetti consorziati ed alla misura del contributo.
Discriminazione, questa, delle rispettive sfere di competenza giu risdizionale, che ricalca la linea distintiva tra la inesistenza, in radice del potere impositiva, per esorbitanza dai limiti entro cui esso è per legge attribuito al consorzio, e lo scorretto esercizio del potere medesimo, per errori od abusi inficianti gli aspetti di discrezionalità caratterizzanti alcuni momenti del suo uso.
Occorre, infatti, considerare che i contributi in questione, oltre ad essere espressamente qualificati dalla legge (art. 21, 1° com
ma, r.d. n. 215 del 1933) come oneri reali gravanti sui fondi dei
contribuenti, rientrano nella categoria generale dei tributi (cfr. Cass. n. 662 del 1979, Foro it., 1980, I, 208) e si risolvono in
obbligazioni pubbliche a prestazione patrimoniale imposta a pri vati (cfr. Cass. n. 1531 del 1976, id., 1976, I, 2142), come tali rette dal principio fondamentale di cui all'art. 23 Cost.
E riguardo a tale principio la Corte costituzionale ha già avuto occasione di precisare (sentenza n. 4 del 1957, id., 1957, I, 202) che esso esige non soltanto che il potere di imporre una presta zione abbia base in una legge, ma anche che la legge, attributiva del potere, indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del potere attribuitogli; ed an cora (v. sentenze n. 55 del 1963, id., 1963, I, 1040, e n. 5 del
1967, id., 1967, I, 420) che le norme codicistiche e quelle conte nute nel citato t.u. del 1933 consentono di riscontrare direttive e criteri idonei a delimitare il predetto potere impositorio del con sorzio nell'ambito del suo esercizio in concreto.
Ora, se è evidente che tra tali criteri di fondo assume valore
primario e fondamentale quello della tendenziale corrispondenza
li Foro Italiano — 1987.
e proporzionalità tra misura del contributo e grado del beneficio
conseguito e conseguibile per effetto dell'opera del consorzio (ve di art. 860 c.c., art.11 r.d. n. 215 del 1933, art. 18 t.u. n. 523
del 1904) è del pari indubitabile che proprio nel momento della
comparativa valutazione dei vantaggi, diretti ed indiretti, attuali
o futuri dei soggetti singoli chiamati alla contribuenza, e nel con
seguenziale momento della ripartizione parcellare tra essi degli oneri di spesa, distinguendo a seconda che esse siano sopportate nell'interesse della totalità, o di gruppi o categorie, dei consorzia
ti, il consorzio resta investito di funzioni e compiti discrezionali
e perequativi a fronte dei quali non è configurabile, nel privato, una posizione di diritto soggettivo come tale passibile di tutela
davanti al giudice ordinario. Se cosi non fosse, del resto la legitti mazione a contrastare la domanda del singolo che davanti al giu dice ordinario lamenti la eccessiva misura del contributo impostogli, dovrebbe essere riconosciuta a tutti gli altri consorziati i quali
per effetto dell'eventuale accoglimento di quella domanda, ver
rebbero ad essere onerati di una maggiore quota di contribuenza, stante il principio di totale copertura di spesa di cui all'art. 8
d.p.r. n. 947 del 1962.
La consistenza di interesse legittimo, propria della posizione
soggettiva oggetto di valutazione discrezionale da parte della p.a.
legittima, invece, la devoluzione alla competenza del giudice am
ministrativo delle impugnazioni relative al piano di classificazio
ne dei beni compresi entro il perimetro consorziale ed al piano di ripartizione delle spese, in cui il primo si riflette (come, del
resto, è previsto espressamente in materia di consorzi per opere di bonifica di prima categoria dall'art. 27, n. 10, t.u. n. 1054
del 1924 e dall'art. 7, 1° comma, 1. n. 1034 del 1971, istitutiva
dei T.A.R.; controversie, queste, per loro natura suscettibili di
soluzione non attraverso una mera disapplicazione del provvedi mento impugnato, ma mediante la conferma o l'annullamento, anche per ragioni di merito, del provvedimento stesso.
Al di fuori di questo campo, che investe la determinazione del
quantum del contributo, ogni altra domanda, sorretta dalla pre tesa violazione del diritto soggettivo a non sottostare alla imposi zione contra legem od extra legem di una prestazione patrimoniale a carattere pubblico-tributario, rimane devoluta alla cognizione del giudice ordinario, quale che sia il profilo della dedotta illegit timità: attenga essa al momento della investitura, in capo all'en
te, del potere impositorio di cui quello intenda avvalersi, o al
momento della individuazione dei soggetti tenuti alla contribuen
za ed al momento della riscossione del tributo stesso (la quale ai sensi dell'art. 21 t.u. n. 215 del 1933 deve avvenire secondo
le norme che regolano la esazione delle imposte dirette). Alla stregua dei principi di diritto sopra affermati, passando
in rassegna le questioni nelle varie sedi di merito sollevate dal
comune, è dato riscontrare ed è opportuno precisare quanto segue.
A) Sono devolute alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario: a) le domande relative alla inesistenza, in radice, di
un potere impositorio, sotto l'aspetto attivo e passivo, a carico dei cosi detti «utenti della falda acquifera» (questioni sub nn.
1, 2, 3 e 4 della elencazione ut sopra seguita nella esposizione delle vicende processuali); b) le domande attinenti alla illegittimi tà, per difetto di titolo o di potere, della riscossione contributiva
(questioni sub nn. 6, 7 ed 8 della elencazione). Deve escludersi,
peraltro, che attraverso l'esame e la soluzione delle questioni so
praindicate il giudice ordinario possa addivenire — secondo quanto richiestogli in linea subordinata — ad una modifica o sostituzio ne dei criteri ripartitivi della contribuenza.
B) Sono devolute alla competenza giurisdizionale del giudice
amministrativo, le questioni che investono questi ultimi criteri (n. 5 e n. 9 dell'elenco) e che, in definitiva, impingono sul quantum dell'addebito di un qualche onere contributivo a carico degli utenti della falda.
Non spetta, in questa sede ed a questa corte, stabilire la prece denza temporale, la priorità logica e la pregiudizialità giuridica secondo cui le controversie, rispettivamente devolute, dovranno
essere delibate, separatamente, dal giudice ordinario e da quello amministrativo; trattandosi di problema riservato al loro potere ordinario ed estraneo al tema del presente giudizio. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 13 aprile 1977 Nazario Bosco esponeva che nel 1972 alcune guardie giurate
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2139 PARTE PRIMA 2140
del consorzio di bonifica della Capitanata avevano redatto verba
le di contravvenzione contro di lui, Antonio Buzzerio e Vitanto
nio Fina, titolari di aziende per la lavorazione del marmo, poiché,
secondo gli accertamenti eseguiti, le acque di rifiuto provenienti
da dette aziende e scaricate nel canale Vallone dell'Elee, avevano
provocato l'interramento e l'intasamento del canale medesimo.
La prefettura di Foggia, a seguito di detti verbali, aveva, con
propri decreti, fatto obbligo alle ditte contravvenzionate, ai sensi
dell'art. 153 r.d. 8 maggio 1904 n. 368, di ridurre la situazione
dei luoghi allo stato pristino, pena l'esecuzione in danno da parte
del consorzio, che difatti vi aveva provveduto, in quanto le ditte
non avevano osservato l'ordine del prefetto. La relativa nota spe
se, vistata dal prefetto a norma dell'art. 154 del citato regola
mento, era stata iscritta nei ruoli dell'esattoria comunale di
Apricena e notificata al Bosco, per il pagamento della somma
di lire 14.036.888. La ditta Bosco, con la citazione suddetta, conveniva in giudi
zio dinanzi al Tribunale di Lucerà l'esattoria comunale di Aprice
na, Antonio Buzzerio e Vitantonio Fina, per sentir dichiarare non
dovuto il pagamento della somma indicata e, in via subordinata,
porre i due terzi della somma indicata, le ditte Buzzerio e Fina,
contestando l'esistenza dei poteri esercitati dalla p.a. nell'imposi
zione di prestazioni personali (ordine di ripristino) e patrimoniali
(conversione in pagamento della somma di denaro per l'eseguito
ripristino d'ufficio), in difetto di una legge regolante la materia,
in contrasto con l'art. 23 Cost.
L'esattoria si costituiva, eccependo che aveva agito in confor
mità del ruolo e che doveva ritenersi legittimato passivo l'ente
impositore. Si costituivano anche il Buzzerio e Giacinto Gina,
muovendo alcune eccezioni che in questa sede non è necessario
riassumere.
Il consorzio per la bonifica della Capitanata interveniva volon
tariamente in giudizio, eccependo il difetto di giuridizione del giu
dice ordinario, l'incompetenza (per essere la materia appartenente
alla cognizione del tribunale delle acque) e l'infondatezza della
domanda, attesa la legittimità degli atti con cui era stato richiesto
il pagamento della somma. (Omissis)
Motivi della decisione. — Col primo motivo il consorzio per
la bonifica della Capitanata deduce la violazione delle norme sul
litisconsorzio necessario e degli art. 153 e 154 r.d. 8 maggio 1904
n. 368, nonché dell'art. 378 1. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F,
con conseguente difetto di legittimazione passiva ad causarti ed
incompetenza ex art. 25 c.p.c., osservando che il consorzio ha
operato in veste di mero esecutore materiale del prefetto di Fog
gia, autore dell'ordine di ripristino a carico dei contravventori,
dell'ordine al consorzio di effettuare la materiale esecuzione d'uf
ficio del disposto ripristino e della liquidazione della nota alle
relative spese a carico dei contravventori; pertanto il prefetto era
legittimo — se non unico — contraddittore rispetto alle contesta
zioni mosse dai predetti contravventori ed alle domande da co
storo avanzate, mentre il consorzio, avendo agito quale nudus
minister, difettava di legittimazione passiva ad causam.
Il ricorrente aggiunge che è privo di consistenza l'argomento
addotto dalla corte d'appello, secondo cui il visto prefettizio sa
rebbe un atto di puro controllo, dal momento che la normativa
vistata non attribuisce ad alcun organo diverso dal prefetto il
potere di amministrazione attiva, postulato dalla pretesa qualifi
cazione dell'atto del visto come controllo, mentre ai consorzi di
bonifica non sono attribuiti compiti di sorta; e conclude nel sen
so che dall'accoglimento del motivo deriva l'in
competenza del Tribunale di Lucerà, in base alla regola del foro
erariale ex art. 25 c.p.c.
Il motivo è infondato, benché alcune argomentazioni del con
sorzio colgano un errore della motivazione della sentenza im
pugnata. L'art. 154 r.d. 8 maggio 1904 n. 368 (norma tuttora vigente
e legittima, come sarà dimostrato nell'esame del terzo motivo)
dispone: «Il prefetto, sentito il trasgressore... provvede al rim
borso a di lui carico delle spese degli atti e dell'esecuzione d'uffi
cio, rendendone esecutiva la nota e facendone riscuotere l'importo
nelle forme e non i privilegi delle pubbliche imposte». Il provve
dimento del prefetto non è un semplice visto di esecutorietà (atto
di controllo) di un atto del consorzio che ha provveduto all'ese
cuzione d'ufficio dei lavori ordinati, a norma degli art. 153 e
157 r.d. n. 368, ma è l'atto che contiene l'ordine di rimborso
Il Foro Italiano — 1987.
delle spese sostenute dall'esecutore, a carico del contravventore,
e cioè il provvedimento amministrativo che recepisce la nota delle
spese anticipate dal consorzio e che costituisce titolo per l'esazio
ne del suo importo con le stesse forme delle imposte (e cioè a
mezzo dell'esattoria comunale). Si tratta di un provvedimento che
accerta un debito del soggetto passivo, a favore di un soggetto
che non è la medesima autorità che «liquida» il credito, ma è
l'ente che ha erogato la spesa che deve essere rimborsata e che
pertanto è titolare del corrispondente diritto di credito (come ha
esattamente ritenuto il giudice di secondo grado, con statuizione
che sul punto non è neppure impugnata). La controversia ha per
oggetto l'esistenza dell'obbligazione, per la contestazione del po
tere della p.a. (prefetto) di accertare e liquidare il debito; l'atto
amministrativo prefettizio è oggetto di sindacato incidenter tan
tum, al fine di stabilire se esista o meno un diritto di credito
del consorzio nei confronti dei contravventori e se esso trovi le
gittimamente un titolo nel provvedimento del prefetto. Da ciò
deriva la conseguenza che il prefetto non doveva partecipare al
giudizio, stante la limitazione della contestazione del Bosco all'i
nesistenza di un credito del consorzio nei suoi confronti, per pre
teso difetto di una norma di legge che prevedesse quel potere
del prefetto di accertare e liquidare il credito. Invero, i soggetti
del rapporto obbligatorio sono il debitore (e cioè il contravvento
re) da un lato ed il creditore (e cioè il consorzio esecutore delle
opere di ripristino d'ufficio) dall'altro, e la causa ha per oggetto
tale rapporto, in ordine al quale l'atto prefettizio di imposizione
dell'obbligo del rimborso si pone come semplice antecedente logico
giuridico, da esaminare incidenter tantum, ai fini della sua even
tuale disapplicazione da parte del giudice ordinario.
Con il secondo motivo, il consorzio lamenta l'ultrapetizione
e la mancanza di vocatio in ius, osservando che mai nessuna do
manda era stata rivolta contro il consorzio ricorrente, che aveva
spiegato soltanto intervento adesivo a favore della convenuta Banca
popolare di Apricena (esattore comunale).
Il motivo è fondato. Poiché l'esattore è semplice agente della
riscossione di un credito del consorzio, in base al provvedimento
prefettizio di cui supra, il ricorrente aveva la figura di interve
niente adesivo autonomo o litisconsortile, facendo valere un pro
prio diritto nei confronti dell'attore Bosco, per cui doveva
accertarsi l'inesistenza o l'esistenza dell'obbligazione di costui pro
prio nei confronti dell'interveniente, titolare di una propria auto
noma legittimazione a contraddire la domanda del Bosco (e titolare
del diritto di impugnazione). Con il terzo motivo, il consorzio deduce la violazione e falsa
applicazione dell'art. 23 Cost., degli art. 153 e 154 r.d. 8 maggio
1904 n. 368, dell'art. 378 1. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, del
l'art. 61 r.d. 22 marzo 1900 n. 195, dell'art. 131 r.d. 30 dicembre
1923 n. 3256, dell'art. 119 r.d. 13 febbraio 1933 n. 215, nonché
mancanza di motivazione su punto decisivo, osservando: a) l'in
vocazione dell'art. 23 Cost., non è pertinente, dato che si verte
sulle conseguenze sanzionatorie della violazione del divieto di in
quinare, per nulla contestato e mai investito di censure; b) la
soggezione al potere regolamentare esiste nei casi di ingerenza
del privato nell'ambito di beni facenti parte del demanio pubbli
co dello Stato (quali sono le acque pubbliche e le pertinenze di
una bonifica pubblica). Ciò risulta dall'art. 823, 2° comma, c.c.,
oltre che dai principi generali dell'autotutela amministrativa, in
cui rientra il potere di disciplinare l'esercizio della medesima; c)
la delega contenuta nell'art. 61 t.u. n. 195 del 1900 esclude il
carattere regolamentare delle norme in questione, tanto è vero
che sono pienamente valide le norme penali dello stesso regola
mento n. 368 del 1904; d) gli art. 153 e 154 costituiscono la mera
riproduzione dell'art. 378 1. n. 2248, all. F, del 1865, dato che
nella specie si trattava della tutela di diritti demaniali su acque
pubbliche. Le successive vicende della legislazione sulla bonifica
non hanno inciso sul citato art. 378; ed anche ammesso che la
disciplina regolamentare fosse più dettagliata di quella legislativa,
in quest'ultima si riscontrano quei criteri sufficienti per escludere
la violazione dell'art. 23 Cost.
Infine, il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine
al mancato esame del punto decisivo dell'esclusiva paternità in
capo al prefetto degli atti impositivi. Il motivo è fondato. La sentenza impugnata ha ritenuto abro
gata la normativa degli art. 153-157 r.d. n. 368 del 1904, tanto
in base alla norma di immediata applicazione dell'art. 23
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Cost., quanto in base all'art. 119 r.d. 13 febbraio 1933 n. 215, contenente nuove norme sulla bonifica integrale. Né l'una né l'al
tra argomentazione può condividersi.
Il t.u. 22 marzo 1900 n. 195 (avente forza di legge) all'art.
61 (riproduttivo dell'art. 25 1. 18 giugno 1899) disponeva: «Col regolamento da emanarsi per l'esecuzione della presente
legge, le disposizioni del titolo III, capo VII della legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, saranno applicate alle opere di bonificazione di prima e seconda categoria eseguite o da eseguirsi, con le modi
ficazioni rese necessarie dalla natura delle opere stesse. Alle me
desime opere di bonificazione saranno pure estese le disposizioni
degli art. 374, 375, 376, 377, 378 e 379 della predetta legge 20
marzo 1865».
Il regolamento emanato in esecuzione di tale previsione (r.d. 8 maggio 1904 n. 368) per la parte contenente l'estensione alle
opere di bonificazione delle disposizioni sulle acque e delle altre richiamate della legge sulle opere pubbliche del 1865, e cioè per quanto riguarda il titolo VI (disposizioni di polizia) diviso nel
capo I (art. da 132 a 140, disposizioni per la conservazione delle
opere di bonificamento e loro pertinenze), nel capo II (art. da 141 a 158: delle contravvenzioni) e nel capo III (art. 159-160:
disposizioni speciali) è da qualificare, secondo l'ordinamento del le fonti normative allora vigente, regolamento «delegato» e cioè un regolamento che (pur conservando i caratteri formali propri, e cioè quello per cui esso non può contraddire alla legge e quello per cui può essere abrogato da un regolamento posteriore) è espres samente previsto dalla legge per disciplinare una materia che ap partiene al campo proprio delle leggi. La legge attribuisce al potere esecutivo la facoltà di regolare quella materia, in luogo e vece della legge stessa e cioè superando i limiti che la potestà regola mentare di solito incontra. La qualifica di «delegato» deriva ap punto dall'investitura del potere di dettare norme giuridiche in un campo in cui, per i principi generali la competenza sarebbe
propria del potere legislativo. L'attribuzione di competenza in una
materia che è disciplinata dalla legge comporta la facoltà del po tere esecutivo di emanare norme giuridiche anche in deroga di norme legislative formali esistenti. La legge che prevede la «dele
ga» al potere esecutivo (da distinguere dalla delega legislativa e cioè dall'attribuzione del potere di emanare norme con efficacia di legge formale) è una legge sulla produzione di norme, avente la funzione di determinare la fonte del diritto nella materia previ sta, che sarà regolata dalle norme regolamentari emanate dal ca
po dello Stato. A prescindere dal limite espressamente rimosso dalla legge di delegazione, restano fermi tutti gli altri limiti pro pri del regolamento (cfr. Cass., sez. un., 15 febbraio 1978, n.
701, id., Rep. 1978, voce Previdenza sociale, n. 701; sez. I 1°
aprile 1982, n. 2006, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 103). Nella specie, l'art. 61 citato prevede il contenuto di alcune nor
me del regolamento, nella materia della polizia e delle contrav venzioni relative alle opere di bonifica (e cioè in una materia che è attribuita in via generale alla competenza delle leggi) fissando il contenuto di tali norme con espresso richiamo alle corrispon denti norme della legge generale sulle opere pubbliche del 1865, con facoltà di quelle modifiche rese necessarie dalla natura delle
opere di bonifica. Tale attribuzione di potestà normativa — con i caratteri già indicati — è stata esercitata col regolamento appro vato con r.d. 8 maggio 1904 n. 368, titolo VI, già richiamato. Una volta esercitato il potere attribuito dalla legge, la norma re
golamentare vive di vita propria, finché non è abrogata da una successiva norma che può essere sia legislativa che regolamentare (per quanto si è detto) e vive con l'efficacia originaria caratteri
stica, che è quella di regolare una materia riservata alla legge. Il collegio osserva che non esiste alcuna norma successiva in for za della quale il titolo VI del regolamento del 1904 possa ritenersi
espressamente e tacitamente abrogato. Esso, ovviamente, è rima sto in vigore quando è stato emanato il nuovo testo unico sulle bonifiche approvato con r.d. 30 dicembre 1923 n. 3256.
Invero, la circostanza che il t.u. del 1923 contenesse un artico lo 131 del tutto identico all'art. 61 t.u. del 1900, non significava affatto che la potestà regolamentare «delegata» dovesse essere di nuovo esercitata nella materia della polizia e delle contravven zioni relative alle opere di bonifica, in quanto l'art. 131 t.u. del 1923 — per la sua natura meramente riproduttiva dell'art. 61 t.u. del 1900 — si limitava a confermare quella «delega», ma non toglieva efficacia alle norme regolamentari già emanate con l'ulteriore esercizio della delega.
Il Foro Italiano — 1987.
Il r.d. 13 febbraio 1933 n. 215 (avente valore di legge formale, in virtù della delega legislativa contenuta nell'art. 13 1. 24 dicem
bre 1928 n. 3134) in nessun punto (tranne che in un cenno conte
nuto nell'art. 4, a proposito della pubblicazione «con le modalità
stabilite dal regolamento» del piano generale di bonifica) prevede un regolamento di esecuzione. Da un punto di vista generale, l'omissione non aveva rilievo, dal momento che — essendo stata
nel frattempo emanata la 1. 31 gennaio 1926 n. 100 che all'art.
1 attribuiva al governo il potere di emanare con decreto reale
le norme giuridiche necessarie per disciplinare l'esecuzione delle
leggi — si sarebbero potute emanare le norme regolamentari di
esecuzione in virtù di detta normativa generale. Ma, poiché non
è stato emanato un nuovo regolamento di esecuzione, è opinione
pacifica in dottrina e giurisprudenza che sia rimasto in vigore il r.d. n. 368 del 1904. Esso è rimasto in vigore «integralmente», non avendo alcun rilievo la circostanza che l'art. 119 r.d. del
1933 abbia abrogato, fra l'altro, il r.d. 30 dicembre 1923 n. 3256
e, quindi, anche l'art. 131 che prevedeva il regolamento «delega to» con la prefigurazione di una normativa sulla polizia e sulle
contravvenzioni. Invero, l'abrogazione della norma sulla produ zione giuridica comportava soltanto che il governo non potesse
più esercitare quei poteri, per il futuro; ma non toglieva effetto
alle norme già prodotte e vigenti, e neppure eliminava, dall'en
trata in vigore del r.d. del 1933, l'efficacia peculiare derivante dalla qualità di norme regolamentari «delegate» degli art. 132-160
del r.d. del 1904 n. 368. Ciò risponde ad un principio inerente
alla successione delle norme sulla produzione giuridica: per esem
pio, con l'entrata in vigore della Costituzione del 1948, le norme
già emanate alla stregua dell'ordinamento costituzionale preesi stente sono rimaste in vigore con la forza originaria loro propria, da valutarsi secondo l'ordinamento allora vigente (salva l'abroga zione successiva o il giudizio di costituzionalità, per quanto attie
ne al loro contenuto, ma non alla fonte di produzione, v. Corte
cost. 22 giugno 1971, n. 143, id., 1971, I, 1755; 4 maggio 1970, n. 67, id., 1970, I, 1827; 29 marzo 1972, n. 56, id., 1972, I, 1177).
L'abrogazione degli art. da 132 a 160 r.d. n. 368 potrebbe so
stenersi soltanto in forza dei principi stabiliti dall'art. 15 disp.
prel. c.c., ma nessuna delle ipotesi ivi previste si è verificata: non
l'abrogazione espressa, che ha riguardato la norma sulla produ zione giuridica e non la norma «prodotta»; non l'incompatibilità fra il r.d. del 1933 e gli articoli più volte citati; non la nuova
regolamentazione dell'intera materia già regolata dagli art. 132-160 r.d. n. 368.
In proposito basterà osservare quanto segue: a) l'art. 52 r.d. 13 febbraio 1933 n. 215 (contenuto nel titolo IV: dei lavori e
degli intervenuti antinofelici) dispone: «sono estese alle materie
contemplate nel presente titolo in quanto applicabili, le disposi zioni degli art. 375, 377, 378 e 379 1. 20 marzo 1865 n. 2248 sui lavori pubblici» mentre al 1° comma richiama l'art. 374 della
legge suddetta. Si tratta di una norma analoga al 2° comma del l'art. 61 t.u. 22 marzo 1900 n. 195, in forza del quale è stato emanato il titolo VI del regolamento del 1904 n. 368. Nella mate ria degli intervenuti antianofelici il legislatore del 1933 ha esteso una disciplina tratta dalla legge sui lavori pubblici, attinente alla tutela dei lavori nei confronti dei contravventori privati (c.d. «au
totutela»). Sarebbe assurdo pensare che il medesimo legislatore abbia ritenuto, nel momento in cui operava detta estensione, di dover abrogare invece una disciplina in materia di polizia ed au totutela attinente alle opere principali di bonifica; il legislatore, al contrario, è partito dal presupposto evidente che la disciplina (richiamata per altre opere dell'art. 52) fosse ancora vigente per le opere di bonifica per cui non era necessario dettare nuove nor me in proposito; b) l'art. 100 r.d. del 1933 regola la destinazione
degli introiti delle pene pecuniarie comminate dalle vigenti leggi in difesa delle opere pubbliche di bonifica; e tali pene erano pro prio quelle previste dagli art. 142-144 r.d. del 1904, emanate in virtù della «delega» contenuta nell'art. 61 t.u. del 1900, che quin di erano presupposti tuttora vigenti; c) l'art, unico 1. 18 ottobre 1948 n. 1291 (si noti bene, emanata dopo l'entrata in vigore della Costituzione del 1948) ha modificato il n. 3 dell'art. 143 da ulti mo citato, che il legislatore del 1948 riteneva, pertanto, ancora
vigente; d) l'argomento esposto dalla corte d'appello, secondo cui nel 1933 non si intese conservare in vigore la normativa di cui si tratta, in ossequio a pretesi nuovi principi sulla divisione fra potestà legislativa e regolamentare, per quanto attiene alla
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2143 PARTE PRIMA 2144
materia dell'autotutela amministrativa delle opere di bonifica, non
trova corrispondenza nell'ordinamento vigente nel 1933 che —
dal punto di vista dell'ordinamento costituzionale delle fonti del
diritto — era il medesimo di quello vigente nel 1904.
Concludendo, poiché le materie della polizia, delle contravven
zioni e dell'autotutela amministrativa inerenti alle opere di boni
fica non sono state regolate ex novo totalmente dal r.d. del 1933
sulla bonifica integrale e poiché non esiste incompatibilità con
esso, sono rimaste in vigore le norme anteriori degli art. da 132
a 160 del regolamento del 1904.
Per quanto riguarda il rapporto tra le suddette norme e l'art.
23 Cost., esso andrebbe impostato non già in termini di «abroga
zione» da parte dell'art. 23 (esulando manifestamente le ipotesi
di cui all'art. 15 disp. prel. c.c.) ma bensì' in termini di eventuale
disapplicazione da parte del giudice ordinario, per contrasto fra
la normativa regolamentare e la normativa costituzionale che pre
scriveva una riserva «relativa» di legge (cfr. la dizione «in base
alla legge» contenuta nell'art. 23 Cost.). Ma un'approfondita di
samina del punto sarebbe del tutto inutile, dal momento che alla
normativa regolamentare, per il suo carattere già indicato, an
drebbe attribuita validità anche alla stregua dei criteri dettati dal
l'art. 23 Cost., in punto di sufficienza dei criteri previsti dalla
legge per attribuire alla p.a. il potere di stabilire prestazioni per
sonali o patrimoniali (cfr., da ultimo, Corte cost. 5 febbraio 1986,
n. 34, id., 1986, I, 608). Invero la legge del 1900 prestabiliva in maniera più che esau
riente (anche in base ai parametri costituzionali sopravvenuti) il
contenuto della normativa regolamentare, attraverso il richiamo
puntuale di norme della legge sui lavori pubblici del 1865 estese
alle opere di bonifica. A maggior ragione, pertanto, si applicano
i principi già enunciati da questa corte con sentenza 5 febbraio
1975, n. 427 (id., Rep. 1975, voce Legge, nn. 25, 26) per una
ipotesi in cui la legge anteriore alla Costituzione non predetermi
nava i contenuti della disposizione regolamentare attinente alla
previsione di una prestazione patrimoniale a favore della p.a. ed
a carico dei privati. Concludendo, non è necessario esaminare se veramente quelle
previste dagli art. 153 e 154 del regolamento n. 368 del 1904 sono
«prestazioni» nel senso di cui all'art. 23 Cost., dato che non si
pone neppure il problema di un ipotetico contrasto fra la norma
tiva suddetta e l'art. 23. Piuttosto, è da sottolineare che tale nor
mativa prevede una autotutela della p.a. inerente a beni pubblici,
in base ad una norma di legge che ne ha autorizzato l'emanazio
ne; essa realizza, pertanto, uno dei casi rientranti nell'ambito del
2° comma dell'art. 823 c.c. che, secondo la più corretta opinio
ne, è una norma direttamente precettiva per quanto riguarda l'e
stensione del codice civile ai beni pubblici, mentre è norma
puramente di rinvio alle disposizioni di legge che nei singoli casi
autorizza l'autotutela in via amministrativa.
E poiché la normativa sull'autotutela delle opere di bonifica
è basata sulla norma di produzione giuridica dell'art. 61 della
legge del 1900, il regolamento del 1904 (di cui si è dimostrata
la persistente vigenza e validità) poteva essere applicato nella fat
tispecie di cui è causa. Tale affermazione non comporta peraltro — come implicitamente presupposto dall'ordinanza della I sezio
ne in base alla quale la causa è stata rimessa alle sezioni unite
— l'affermazione del difetto di giurisdizione del giudice ordina
rio, in virtù del principio secondo cui, di fronte ai poteri di auto
tutela dei beni pubblici, esistenti in capo alla p.a. la posizione
del privato è di interesse legittimo (Cass., sez. un., 12 giugno
1979, n. 3301, id., Rep. 1979, voce Giurisdizione civile, n. 89).
Invero, la presente lite ha per oggetto la dichiarazione di esisten
za o inesistenza di una obbligazione di somma di denaro e la
richiesta di ripetizione di indebito, per illegittimità del titolo am
ministrativo determinativo del debito medesimo; il petitum so
stanziale riguarda una posizione di diritto soggettivo, e cioè
l'integrità del patrimonio del soggetto privato che sostiene l'inesi
stenza di una obbligazione a favore, non della p.a. che ha deter
minato il suo debito, ma del terzo (consorzio di bonifica) titolare
del credito (corrispondente a quello che viene liquidato in sede
di esecuzione forzata ai sensi dell'art. 614 c.p.c.)
Richiamando gli argomenti già esposti in sede di esame del pri
mo motivo, si deve sottolineare che, nella lite riguardante il cre
dito del consorzio, il provvedimento di autotutela è sindacato
incidenter tantum, nel senso che il giudizio sulla esistenza del cre
dito è condizionato (in relazione anche ai limiti della contestazio
ne mossa dal privato, che non ha contestato le modalità di
Il Foro Italiano — 1987.
determinazione del debito, ma soltanto il potere di determinarlo) dall'accertamento dell'esistenza di un potere della p.a. (prefetto) e cioè dal sindacato incidenter tantum del provvedimento emana
to a norma dell'art. 154 del regolamento del 1904. Invero, il pri
vato non tanto fa valere la sua posizione verso la p.a. che ha
emanato l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi e successiva
mente l'ordine di rimborsare le spese del ripristino d'ufficio; quanto
deduce la sua posizione di terzo debitore verso l'ente pubblico
consorzio di bonifica), dandosi luogo pertanto ad una controver
sia su diritti soggettivi, con cognizione incidentale di atti ammini
strativi da parte dell'a.g.o. Poiché detta cognizione incidentale è stata effettuata dal giudi
ce d'appello con violazione dei principi enunciati da questa corte,
la sentenza impugnata deve essere cassata, con rimessione della
causa ad altro giudice (che si designa nella Corte d'appello di
Lecce).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 25 feb
braio 1987, n. 2010; Pres. D'Avino, Est. Rotunno, P. M. Fa
bi (conci, conf.); Ospedale Maggiore di Milano (Avv. E.
Romanelli, Carones) c. Condominio di via Bari, 24, 26, 30,
32, Milano ed altri. Conferma App. Milano 25 marzo 1983.
Comunione e condominio — Azione «confessoria servitutis» contro
condominio — Richiesta di rimozione di opere condominiali — Rappresentanza processuale dell'amministratore — Obbligo
di chiamata in giudizio di tutti i condomini (Cod. civ., art. 1131).
L 'actio confessoria servitutis, laddove rivolta non solo ad accer
tare l'esistenza e l'estensione di una servitù prediale a carico
di uno stabile condominiale ma anche ad ottenere la rimozione
delle opere condominiali dalle quali la servitù risulta impedita,
non può essere esercitata nei confronti del solo amministrato
re, ma richiede la partecipazione al giudizio di tutti i con domini. (1)
(1) La pronuncia ribadisce due importanti profili circa la legittimazione
processuale dell'amministratore di condominio ex art. 1130 e 1131 c.c.
Quanto al primo, secondo la corte di legittimità tutte le volte in cui
sorgono controversie in tema di negatoria o, come nel caso in esame,
confessoria di servitù costituite a favore o a carico di edificio condomi
niale, quest'ultimo ben può essere rappresentato in giudizio dal suo am
ministratore sempreché, tuttavia, l'indagine si limiti a dirimere una questione relativa all'esistenza o all'estensione della servitù medesima. In tali fran
genti, infatti, la materia del contendere afferisce non alle singole proprie tà — e quindi all'interesse — dei singoli partecipanti alla comunione ma
investe l'intero condominio, o una sua parte comune, dimodoché la legit
timazione processuale dell'amministratore non appare in discussione (sul
punto v. Cass. 29 aprile 1982, n. 2717, Foro it., Rep. 1982, voce Comu
nione e condominio, n. 103; 6 novembre 1975, n. 3751, id., Rep. 1975,
voce cit., n. 65). Il principio, esteso da Cass. 29 maggio 1976, n. 1950,
id., Rep. 1976, voce cit., n. 61, a qualunque azione reale concernente
le parti comuni di un condominio, alla luce dell'art. 1131, 2° comma,
c.c., appare pacifico anche in dottrina (v. per tutti, Branca, Comunione
e condominio negli edifici, in Commentario, a cura di Scialoja e Bran
ca, Bologna-Roma, 1982, 596 s.). Laddove invece, e siamo al secondo
profilo, le azioni de quibus siano dirette a perseguire l'ulteriore obiettivo
di ottenere la rimozione di opere comuni attraverso le quali la servitù
viene esercitata od impedita, affiancandosi alla funzione di accertamento
anche quella di carattere repressivo destinata a riflettersi sulle situazioni
giuridiche dei singoli condomini, si rende necessaria la partecipazione al
giudizio di tutti i componenti del condominio (a prescindere — precisa
la corte — da ogni questione circa la sussistenza o meno di una concor
rente legittimazione passiva dell'amministratore). Nello stesso senso si erano
pronunciate Cass. 6 dicembre 1984, n. 6396, Foro it., Rep. 1985, voce
cit., n. 80, con note di Berri, Considerazioni in tema di litisconsorzio
necessario ed interruzione del processo in materia condominiale, e Troc
ker, Litisconsorzio necessario e ordine di integrazione del contradditto
rio nell'«actio negatoria servitutis» in materia condominiale, entrambe
in Giur. it., 1985, I, 1, 939 e 942; 25 maggio 1973, n. 1539, Foro it.,
Rep. 1973, voce cit., n. 147. Analogamente, Cass. 4 maggio 1964, n.
1066, id., 1964, I, 1822, ha negato la legittimazione dell'amministratore
convenuto in un'azione promossa dal proprietario del fondo contiguo
all'edificio condominiale e volta ad ottenere la rimozione forzosa del mu
ro perimetrale.
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