sezioni unite civili; sentenza 27 agosto 1998, n. 8498; Pres. Sgroi, Est. Corona, P.M. MorozzoDella Rocca (concl. diff.); Comune di Palermo (Avv. Aitò, Farulla, La Marca) c. Galioto. CassaPret. Palermo 7 settembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 11 (NOVEMBRE 1998), pp. 3197/3198-3201/3202Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192437 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
a norma dell'art. 106 c.p.c. dall'assicurato convenuto (Cass. 30
maggio 1995, n. 6074, id., Rep. 1995, voce cit., n. 220). 2.1. - Infondato è anche il terzo motivo di ricorso (che si
esamina prima del secondo per necessità di sistematica espositi
va), con cui il ricorrente lamenta la mancanza, l'insufficienza
e la contraddittorietà della motivazione, per aver ritenuto la
sentenza impugnata un concorso di colpa.
Anzitutto, non può condividersi l'assunto del controricorren
te secondo cui le sentenze pronunciate dal giudice di pace se
condo equità (perché di valore inferiore ai due milioni di lire) non sarebbero impugnabili per vizio di motivazione.
Va preliminarmente rilevato che, a norma dell'art. 113, 2°
comma, c.p.c., il giudice di pace decide secondo equità le cause
il cui valore non eccede lire due milioni.
A differenza di quanto prevedeva il precedente (sostituito) 2° comma dell'articolo in questione, relativamente al giudice
conciliatore, che doveva osservare i principi regolatori della ma
teria (così come modificato dall'art. 3 1. 399/84), eguale previ sione non sussiste per l'attuale formulazione dell'art. 113, 2°
comma, c.p.c., relativamente alle decisioni del giudice di pace secondo equità.
Trattasi di un'ipotesi di giudizio secondo equità previsto già dal 1° comma dello stesso articolo come eccezione al principio della legalità della decisione giudiziaria («nel pronunciare sulla
causa il giudice deve seguire le norme di diritto, salvo che la
legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità»).
Più specificamente si tratta dell'equità c.d. formativa o sosti
tutiva, che si ha quando il giudice si sostituisce integralmente
all'applicazione della norma positiva (a fronte dell'equità sup
pletiva o integrativa, che si ha quando la valutazione equitativa del giudice serve a completare la definizione della fattispecie
su aspetti o conseguenze che la norma applicabile abbia non
espressamente definito). Secondo una definizione assai diffusa il giudizio secondo equità
è la giustizia del caso concreto, ottenuta dal giudice tramite un
adattamento dei principi giuridici alla peculiarità della singola
fattispecie, che implica una valutazione più libera e elastica di
quanto normalmente consentito all'interprete dalle norme di di
ritto, attraverso la formulazione della regola decisoria nel caso
concreto.
Tale regola, che normalmente tende a dare rilievo alla natura
ed ai motivi soggettivi di comportamenti giuridicamente rile
vanti, può essere tratta da criteri giuridici o da criteri etici, so
ciali ed economici, diffusi nella coscienza comune.
L'equità non investe le regole processuali.
Da ciò consegue, anzitutto, che è denunciabile, senza limiti,
la violazione di regole processuali, non avendo l'art. 113 c.p.c.
inteso comunque dr ormalizzare il giudizio di equità (Cass., sez.
I, 1° dicembre 1993, n. 11855, id., Rep. 1994, voce Cassazione
civile, n. 27). Inoltre, quando il giudice di pace, tenuto a pronunciarsi se
condo equità, abbia deciso «secondo la legge» deve intendersi
che abbia implicitamente ritenuto la coincidenza della legge con
l'equità, senza che sia tenuto ad esprimerlo con la dovuta moti
vazione, né ciò comporta che egli abbia effettuato una decisio
ne secondo strictum ius in luogo di decisione secondo equità.
Ne consegue che la sentenza pronunciata dal giudice di pace
secondo equità, ai sensi dell'art. 113 c.p.c., il quale attiene alla
decisione nel merito, fermo restando l'obbligo dell'osservanza
delle norme processuali, può essere impugnata con il ricorso
per cassazione, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., soltanto per
violazione dei limiti del giudizio di equità, costituiti dalle norme
della Costituzione, dai principi generali dell'ordinamento.
Va tuttavia ben distinta l'equità dalla discrezionalità e dal
l'arbitrio, dovendo avere il giudizio secondo equità una struttu
ra logica e valutativa articolata.
Ne consegue che è insindacabile il momento del giudizio equi
tativo (Cass., sez. Ili, 2 maggio 1996, n. 4011, Foro it., Rep. 1996, voce Procedimento civile davanti al pretore e al giudice
di pace, n. 19) — salvo l'applicabilità dell'art. 360, n. 4 (ex art. 132, n. 4, c.p.c.), nei casi di inesistenza, perplessità od ap
parenza della motivazione sul criterio di equità — pur quando il giudice di pace abbia applicato norme di diritto, dichiarando
espressamente o dando per implicita la loro corrispondenza a
regole di equità (Cass., sez. I, 1° dicembre 1993, n. 11855). Inoltre, rileva anche il vizio di cui all'art. 360, n. 5, se con
cerne punti decisivi di fatto, in rapporto di causalità logica ri
II Foro Italiano — 1998.
spetto alla soluzione equitativa adottata (Cass. 15 febbraio 1995, n. 1630, id., Rep. 1995, voce Cassazione civile, n. 38).
Premesso ciò, va rilevato che nella fattispecie non è censura
bile la determinazione del criterio equitativo ritenuto dal giudi ce di pace, secondo cui anche il conducente di autoveicolo, fa
vorito dal diritto di precedenza, anche se conseguente ad un
segnale di «stop» a carico del conducente di autoveicolo prove niente da altra strada che con la prima si intersechi, deve, in
ogni caso, rallentare la velocità nell'approssimarsi all'incrocio.
2.2. - In punto di fatto il giudice di pace ha ritenuto che
l'attore nell'approssimarsi all'incrocio non aveva rallentato la
velocità ed in ciò ha individuato il suo comportamento colposo. Va rilevato che la valutazione delle risultanze processuali ai
fini della ricostruzione delle modalità dell'incidente e dell'accer
tamento dell'efficienza causale spiegata nella causazione dello
stesso dal comportamento dei due conducenti è riservata al giu
dice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo
che sotto il profilo della motivazione (Cass. 23 maggio 1975, n. 2057, id., Rep. 1975, voce Circolazione stradale, n. 56; 28
gennaio 1972, n. 238, id., Rep. 1972, voce cit., n. 315). Nella fattispecie, la sentenza impugnata, con motivazione im
mune da censure rilevabili in questa sede di legittimità, ha rite
nuto che sulla base della deposizione del teste Pensa e dell'og
gettiva violenza dell'urto, quale risulta dai danni riportati, por ta a ritenere che l'attore non avesse rallentato la velocità
nell'approssimarsi all'incrocio.
Le censure sul punto del ricorrente si risolvono in una diversa
lettura delle risultanze processuali, inammissibile in sede di sin
dacato di legittimità. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 27 ago
sto 1998, n. 8498; Pres. Sgroi, Est. Corona, P.M. Morozzo
Della Rocca (conci, diff.); Comune di Palermo (Avv. Aitò,
Farulla, La Marca) c. Galioto. Cassa Pret. Palermo 7 set
tembre 1995.
Edilizia e urbanistica — Sanzioni amministrative — Impugna zione — Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (L.
28 gennaio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei suoli, art.
16; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale,
art. 12, 28; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di
controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero
e sanatoria delle opere edilizie, art. 10, 26; 1. reg. Sicilia 10 agosto 1985 n. 37, nuove norme in materia di controllo del
l'attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria
delle opere abusive, art. 9).
Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
l'impugnazione avverso la sanzione pecuniaria inflitta per l'o
messa comunicazione al sindaco dell'inizio dei lavori e la man
cata trasmissione della relazione tecnica di asseverazione, in
relazione ad opere edilizie interne consistenti nella tampona
tura di veranda, per le quali l'art. 9 I. reg. Sicilia esclude
l'obbligo di concessione e autorizzazione. (1)
(1) I. - La giurisdizione amministrativa esclusiva per le controversie
attinenti le sanzioni in materia urbanistico-edilizia, è affermata, da ulti
mo, da Cass. 24 febbraio 1996, n. 1467, Foro it., Rep. 1996, voce
Edilizia e urbanistica, n. 617, e 20 ottobre 1995, n. 10923, ibid., n.
618; per ulteriori precedenti, v. la nota di richiami a Cass. 14 febbraio
1995, n. 1571, id., 1996, I, 216.
Sulla persistente vigenza dell'art. 16 1. 28 gennaio 1977 n. 10, per
avere la 1. 28 febbraio 1985 n. 47 sostituito gli art. 15, 17 e 32 1. 10/77
(ma non il 16), v. Cass. 8 gennaio 1992, n. 106, id., 1992, I, 1799,
con nota di richiami; 13 dicembre 1995, n. 12796, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 689; la norma è altresì applicabile in rapporto alle sanzioni pre
viste in materia edilizia da norme anteriori alla 1. 10/77: Cass. 6 no
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3199 PARTE PRIMA 3200
Motivi della decisione. — 1. - A fondamento del ricorso, il
ricorrente deduce:
1.1. - Difetto di giurisdizione. L'opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento
della sanzione pecuniaria per l'infrazione edilizia, resa dal sin
daco, andava proposta davanti al giudice amministrativo, la cui
giurisdizione esclusiva sussiste se le contestazioni afferiscono al
1 'an o al quantum della pretesa creditoria.
1.2. - Violazione e falsa applicazione di leggi e principi in materia urbanistico-edilizia e, in particolare, violazione della 1. 24 novembre 1981 n. 689.
La norma sulla prescrizione quinquennale sancita dall'art. 28
della legge richiamata non trova applicazione in materia di re
pressione degli abusi edilizi. 1.3. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. Avendo l'aw. Giuseppe Galioto presentato l'opposizione per
sonalmente e non quale legale di se stesso, non era applicabile l'art. 91 c.p.c., riguardante la presenza di un legale difensore
del ricorrente.
vembre 1990, n. 10675, id., Rep. 1990, voce cit., n. 599; 19 dicembre
1990, n. 12028, ibid., n. 398. Sul carattere speciale della norma, applicabile anche dopo l'entrata
in vigore della normativa generale in materia di sanzioni amministrative
(l'art. 12 1. 24 novembre 1981 n. 689 fa espressamente salve le diverse
disposizioni), Cass. 3 maggio 1991, n. 4872, id., Rep. 1991, voce cit., n. 580; 16 maggio 1991, n. 5507, ibid., n. 581.
Sulla configurabilità della giurisdizione esclusiva anche ove le sanzio ni amministrative siano previste dalla normativa regionale, Cass. 8 ago sto 1989, n. 3661, id., Rep. 1989, voce cit., n. 694; 30 gennaio 1991, n. 906, id., Rep. 1991, voce cit., n. 579; 3 giugno 1992, n. 6783, id., Rep. 1992, voce cit., n. 644; 22 novembre 1996, n. 10326, id., Rep. 1996, voce Sicilia, n. 247.
II. - Nella disciplina statale, per la tamponatura di balconi o verande, siccome determinante nuova volumetria o modificativa della sagoma degli edifici, è stata sempre considerata necessaria la concessione edili zia (Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 1992, n. 675, id., Rep. 1993, voce Edilizia e urbanistica, n. 398. Conf. Cass. 19 aprile 1989, Bindi, id., Rep. 1990, voce cit., n. 350; 14 febbraio 1983, Tomassoni, id., Rep. 1984, voce cit., n. 343; 14 febbraio 1983, Ambri, ibid., n. 344; 14 feb braio 1983, Di Bonaventura, ibid., n. 345; 4 dicembre 1987, Sanchini, id., Rep. 1988, voce cit., n. 318, per cui tali opere non possono essere considerate di manutenzione straordinaria, restauro o pertinenza assog gettabili a semplice autorizzazione, e la mancanza di concessione è pu nibile ai sensi dell'art. 20 1. 47/85; secondo Cass. 14 febbraio 1983, Annibali, id., Rep. 1984, voce cit., n. 351, e 14 febbraio 1983, Gaspar rini, ibid., n. 353, tali lavori sono soggetti a semplice autorizzazione, la cui mancanza non costituisce reato, soltanto quando consistano nella chiusura di un balcone o comunque di uno spazio assai limitato, con finalità di protezione dall'azione di agenti atmosferici esterni, in modo da assicurare una più completa funzionalità dell'immobile).
III. - Secondo l'art. 9 1. reg. sic. 10 agosto 1985 n. 37, non è conside rato aumento di superficie utile o di volume, né modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture
precarie. Ciò appare in contrasto con i principi stabiliti dalla legislazio ne statale (la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 1. reg. cit., nella parte in cui sostituirebbe all'obbligo di concessione quello di autorizzazione per impianto di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo, è stata dichiarata manifestamente infonda ta per erroneità dei presupposti interpretativi da parte del giudice a quo-. Corte cost., ord. 18 giugno 1997, n. 187, id., 1998, I, 1039, con nota di richiami). Sulla violazione dei limiti della potestà legislativa re
gionale, nell'ipotesi di previsione che i comuni prescrivano concessione anziché autorizzazione per le variazioni d'uso senza opere edilizie, Cor te cost. 23 luglio 1997, n. 259, id., Rep. 1997, voce Regione, n. 225, e nell'ipotesi in cui sia previsto l'obbligo di autorizzazione anziché con cessione: Corte cost. 21 novembre 1997, n. 345, Giust. civ., 1998, I, 329. La questione potrebbe aver perso di attualità, o comunque essere riconsiderata alla luce della nuova disciplina, di cui all'art. 7, lett. e), 1. 4 dicembre 1993 n. 493, come modificato dall'art. 2, 60° comma, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, che dando estensione generalizzata alla de nuncia inizio attività, avrebbe implicitamente abrogato l'art. 26 1. 47/85 (in tal senso, Abbina, Concessione edilizia, autorizzazione edilizia e de nuncia inizio attività alla luce della l. n. 662 del 1996, art. 2, 60° com ma; della l. n. 135 del 1997, art. 11, nonché della l. n. 127 del 1997, in Riv. giur. edilizia, 1997, III, 514).
Sulla denuncia di inizio attività, nel quadro della semplificazione dei procedimenti abilitativi all'attività edilizia, v. Turco Liveri, La disci plina delle opere interne, in Riv. giur. urbanistica, 1996, 471; Marzaro Gamba, L'individuazione degli interventi edilizi soggetti a denuncia di inizio: aspetti problematici, id., 1997, 255; Id., Sulla legittimazione a realizzare opere edilizie previa denuncia di inizio all'amministrazione: «condizioni» e sanzioni in base alla l. n. 662 del 1996, ibid., 441.
Il Foro Italiano — 1998.
2.1. - La questione di diritto, che la Suprema corte deve risol
vere per decidere la controversia, è se tra le materie comprese nella giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi rientri l'op posizione alla sanzione pecuniaria prevista dalla 1. reg. sic. 10
agosto 1985 n. 37 (in modo conforme alla 1. statale 28 febbraio
1985 n. 47, art. 10 e 26), per l'omessa comunicazione al sindaco
dell'inizio dei lavori e per la mancata presentazione della rela
zione tecnica, concernente le opere interne non soggette a con
cessione o ad autorizzazione.
Per l'art. 16 1. 28 gennaio 1977 n. 10, invero, i ricorsi giuris dizionali contro il provvedimento, con il quale la concessione
viene data o negata, nonché contro la determinazione e la liqui dazione del contributo o delle sanzioni previste dagli art. 15
e 18 sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi.
2.2. - Secondo la 1. 24 novembre 1981 n. 689, concernente
le modifiche al sistema penale e le sanzioni pecuniarie in gene
re, l'autorità competente, se ritiene sussistente la violazione, de
termina la somma dovuta e ne ingiunge il pagamento (art. 18);
l'opposizione contro l'ordinanza-ingiunzione si propone davan
ti al pretore del luogo, in cui è stata commessa la violazione
(art. 22); la sentenza, che conclude il giudizio, è inappellabile, ma ricorribile per cassazione (art. 23, ultimo comma). Il diritto
di riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla
legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione (art. 28).
Le disposizioni contemplate dalla legge si osservano per tutte
le violazioni, per le quali è prevista la sanzione amministrativa
del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è contemplata in sostituzione di una sanzione pe
nale, «in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente
stabilito» (art. 14). 2.3. - A fondamento dell'ordinanza-ingiunzione, emessa dal
comune di Palermo per il pagamento della sanzione pecuniaria, l'amministrazione comunale richiamò l'art. 9 1. 10 agosto 1985
n. 37 della regione Sicilia, secondo cui non sono soggette a con
cessioni né ad autorizzazioni le opere interne alle costruzioni. Pe
raltro, «contestualmente all'inizio dei lavori, il proprietario del
l'unità immobiliare deve presentare al sindaco una relazione a
firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asse
veri le opere da compiere e il rispetto delle norme di sicurezza
e delle norme igienico-sanitarie vigenti. Le sanzioni, di cui al
l'art. 10 1. 28 febbraio 1985 n. 47, ridotte di un terzo, si applica no anche nel caso di mancata presentazione della relazione».
Il testo riproduce il precetto della 1. statale 28 febbraio 1985
n. 47, che — ai sensi del collegato disposto degli art. 10 e 26 — nel caso di opere interne non soggette a concessione, né ad
autorizzazione, prevede una sanzione pecuniaria non inferiore
alle lire 500.000 per l'omessa presentazione al sindaco, conte stualmente all'inizio dei lavori, della relazione tecnica.
2.3. - Intorno alla giurisdizione in materia urbanistico-edilizia, la giurisprudenza afferma che la giurisdizione esclusiva del giu dice amministrativo, che è prevista dall'art. 16 1. 28 gennaio 1977 n. 10 sui ricorsi avverso i provvedimenti irrogativi di san
zioni pecuniarie, resta ferma anche dopo la nuova disciplina delle sanzioni amministrative introdotta dalla 1. 24 novembre 1981 n. 689, che devolve al pretore il giudizio di opposizione, dato che l'art. 12 di tale ultima legge, nel contemplare in via
generale l'applicazione di quella disciplina a tutte le violazioni
punite in via amministrativa con il pagamento di una somma
di denaro, fa espressamente salva «diversa disposizione», quale appunto il citato art. 16 (Cass., sez. un., 18 aprile 1988, n.
3047, Foro it., Rep. 1988, voce Edilizia e urbanistica, n. 567). L'art. 16 1. n. 10 del 1977, invero, configura una norma specia le e, come tale, resta applicabile nonostante la sopravvenienza della nuova disciplina generale delle sanzioni pecuniarie ammi
nistrative, introdotta dalla 1. 24 novembre 1981 n. 689 (Cass., sez. un., 7 luglio 1988, n. 4496, ibid., n. 569).
Fissato il principio, la giurisprudenza precisa che l'art. 16 1.
28 gennaio 1977 n. 10 — che attribuisce alla giurisdizione esclu siva del giudice amministrativo la cognizione di tutte le conte
stazioni dell'intimato avverso l'ordinanza-ingiunzione, irrogan te una sanzione pecuniaria per una infrazione edilizia, siano esse inerenti all'an o al quantum della pretesa creditoria, ovve ro alla illegittimità del pregresso procedimento di accertamento — trova applicazione, in virtù della sua natura di precetto di
portata generale (nell'ambito della specialità configurata dalla
materia urbanistico-edilizia), anche quando l'ordinanza-in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giunzione attenga ad un illecito edilizio previsto e punito da
una disposizione diversa dalla citata legge, pure se a questa po steriore (Cass., sez. un., 20 ottobre 1995, n. 10923, id., Rep.
1996, voce cit., n. 618; 19 dicembre 1990, n. 12028, id., Rep. 1990, voce cit., n. 398; 6 novembre 1990, n. 10675, ibid., n. 599). Ovverosia anche dopo la nuova disciplina dell'attività urbanistico-edilizia disposta dalla 1. 28 febbraio 1985 n. 47, il cui art. 16, attinente alla diversa materia della riscossione del
relativo credito, non abroga, né modifica il predetto art. 16
1. n. 10 del 1977 (Cass., sez. un., 3 maggio 1991, n. 4872, id., Rep. 1991, voce cit., n. 580).
La giurisprudenza aggiunge, infine, che giurisdizione esclusi
va del giudice amministrativo, prevista dal ricordato art. 16 1.
n. 10 del 1977, trova applicazione anche rispetto alle violazioni
contemplate da norme regionali (Cass., sez. un., 22 novembre
1996, n. 10326, id., Rep. 1996, voce Sicilia, n. 247; 3 giugno 1992, n. 6783, id., Rep. 1992, voce Edilizia e urbanistica, n. 644; 30 gennaio 1991, n. 906, id., Rep. 1991, voce cit., n. 579).
2.4. - La soluzione della questione proposta si ricava dalla
ratio della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistico-edilizia.
La specialità della giurisdizione esclusiva in materia urbanistico
edilizia si giustifica in quanto le controversie comportano sem
pre, da parte del giudice, una indagine ed un apprezzamento in ordine all'esercizio dei poteri spiegati dalla pubblica ammini strazione, in funzione degli interessi generali. Ciò sia che venga
impugnato il provvedimento, con il quale la concessione è data
o negata, sia che venga impugnata la determinazione e la liqui dazione del contributo o delle sanzioni previste dagli art. 15
e 18 1. n. 10 del 1977 (e successive modificazioni). La stessa ragione di specialità si riscontra anche nell'ipotesi
esaminata, il cui carattere peculiare e qualificante non è dato
dal tipo di sanzione comminata, sibbene dalla norma che si as
sume violata, trattandosi di norma diretta a consentire l'eserci
zio dei controlli da parte dell'amministrazione sull'attività
urbanistico-edilizia posta in essere dai privati. Invero, lo scopo
dell'obbligo di comunicare all'amministrazione comunale l'ini
zio dei lavori e di trasmettere un'adeguata relazione tecnica è
quello di dare modo all'amministrazione di effettuare i controlli
e di stabilire se le opere iniziate sono o no esenti da concessione
o da autorizzazione.
Poiché sussiste la stessa ratio, deve ritenersi rientrare nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l'impugnazio ne proposta contro la sanzione pecuniaria inflitta, ai sensi del
l'art. 9 1. 10 agosto 1985 n. 37 della regione Sicilia, per l'omes
sa comunicazione al sindaco dell'inizio dei lavori e la mancata
trasmissione della relazione tecnica, concernente opere interne
non soggette a concessione o ad autorizzazione.
Pertanto, deve dichiararsi la giurisdizione esclusiva del giudi
ce amministrativo.
3. - L'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta
l'assorbimento degli altri due. Alla dichiarazione della giurisdi
zione esclusiva del giudice amministrativo segue la cassazione
senza rinvio della sentenza impugnata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 26 ago sto 1998, n. 8460; Pres. Baldassarre, Est. Corona, P.M.
Ceniccola (conci, diff.); Lancerotto (Aw. Loiacono, Mela
no Bosco) c. Condominio via Romagnano 2, Torino. Cassa
App. Torino 27 aprile 1995.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — Con domino — Diritto di visionare la documentazione condomi
niale — Limiti (Cod. civ., art. 1130, 1175, 1713).
Il potere del singolo condomino di ottenere dall'amministratore
l'esibizione dei documenti contabili riguardanti il condominio
può essere esercitato non soltanto in sede di rendiconto an
nuale, ma in ogni tempo, senza necessità di specificare la ra
Ii Foro Italiano — 1998.
gione per cui si intende prendere visione o estrarre copia dei
documenti medesimi, sempre che l'esercizio di tale potere non
si risolva in un intralcio all'amministrazione, non sia contra
rio ai principi di correttezza ed i relativi costi siano assunti
dal condomino istante. (1)
(1) La sentenza si pone in consapevole contrasto con Cass. 5 aprile 1984, n. 2220, Foro it., Rep. 1985, voce Comunione e condominio, n. 87 (per esteso in Giust. civ., 1985, I, 1189, con nota di Cerchiara), secondo cui l'esercizio del diritto del singolo condomino di ottenere
dall'amministratore l'esibizione di determinati documenti contabili, se
non avviene (come di norma) in occasione dell'assemblea convocata per
l'approvazione del rendiconto annuale, presuppone la deduzione e la
dimostrazione di un concreto e specifico interesse al riguardo. Con l'odierna pronunzia, mutando indirizzo, la corte ritiene, invece,
che non vi sia ragione per impedire ai singoli condomini di esercitare, in ogni tempo e senza necessità di giustificazioni di sorta, i poteri di
vigilanza e di controllo sullo svolgimento dell'attività di gestione delle
cose, dei servizi e degli impianti comuni, ai medesimi spettanti in forza
del rapporto di mandato con l'amministratore; incombendo semmai a
quest'ultimo, ove intenda non esaudire la richiesta di esibizione della
documentazione contabile, «dimostrare l'insussistenza di qualsivoglia in teresse effettivo in capo ai condomini istanti, perché i documenti perso nalmente non li riguardano, ovvero l'esistenza di motivi futili o inconsi
stenti e comunque contrari alla correttezza». Punto di forza nell'iter
argomentativo della sentenza assume, dunque, il rilievo che il rapporto di mandato «intercorre tra i singoli condomini e l'amministratore» (af fermazione questa su cui v. anche, di recente, Cass. 27 settembre 1996, n. 8530, Foro it., 1997, I, 872; per un approfondimento sul tema v., inoltre, V. Colonna, Uniti e divisi: il (particolare) rapporto tra ammi
nistratore e condomini, ibid., 1149). Al principio precedentemente affermato da Cass. 2220/84, cit., ha
aderito fino ad oggi (ma vedi, in senso difforme, Pret. Torino 14 otto
bre 1996, Arch, locazioni, 1997, 1052) la giurisprudenza di merito, che
si è rifatta ad esso, in particolare, per escludere che il singolo condomi
no possa rimettere in discussione, oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 1137 c.c. (in riferimento al quale, v., da ultimo, Cass. 9 luglio 1997, n. 6205, Foro it., 1998, I, 178, con nota di richiami di D. Piombo
e nota di A. Celeste), il rendiconto regolarmente approvato dall'as
semblea condominiale e, quindi, l'obbligo di pagamento della quota di spese di sua spettanza: v. Trib, Milano 7 marzo 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 192 (e Arch, locazioni, 1997, 108), e 23 maggio 1988, Foro
it., Rep. 1989, voce cit., n. 162 (e Arch, locazioni, 1989, 111); nonché Giud. pace Casamassima 24 ottobre 1995, Foro it., Rep. 1995, voce
cit., n. 179 (nella cui motivazione, riportata in Arch, locazioni, 1995,
894, si osserva che «l'amministratore è in pratica il mandatario dell'as
semblea condominiale, atteso che questa gli conferisce l'incarico e il
relativo rapporto lega tali parti e non il singolo condomino»). L'inam
missibilità di una contestazione tardiva dei conti da parte del singolo condomino è stata, del resto, in più occasioni sottolineata anche dalla corte di legittimità, la quale ha conseguentemente escluso che l'ammini
stratore, per ottenere il pagamento delle quote di spese comuni risultan
ti dal bilancio consuntivo approvato dall'assemblea dei condomini con
la maggioranza prescritta, abbia l'onere di sottoporre all'esame dei sin
goli condomini morosi i documenti giustificativi delle spese effettuate,
espletandosi il relativo controllo in sede di approvazione del bilancio:
v. Cass. 23 luglio 1988, n. 4751, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 141, e 23 maggio 1981, n. 3402, id., Rep. 1981, voce cit., n. 86.
Trib. Milano 30 novembre 1995, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 193, osserva peraltro che, se di regola «l'approvazione del rendiconto in se
de assembleare rappresenta di per sé fatto impeditivo dell'ulteriore eser
cizio di poteri di controllo sulla gestione economica da parte del singolo
condomino», così non è, tuttavia, nell'ipotesi in cui la delibera dell'as
semblea condominiale sia affetta da invalidità per eccesso di potere sot
to il profilo procedimentale e/o sostanziale, come quando risulti prova to che l'assemblea «abbia malamente fatto uso della propria discrezio
nalità in danno della posizione del singolo condomino esprimendo il
proprio benestare nei confronti dell'operato dell'amministratore che abbia
in concreto impedito il singolo di una verifica documentale preventiva ovvero che abbia esposto costi non corrispondenti ad esborsi di effetti
va competenza della collettività» (sul concetto di eccesso di potere rife
rito alle deliberazioni dell'assemblea condominiale, cfr. anche Cass. 27
gennaio 1988, n. 731, id., Rep. 1988, voce cit., n. 138). Sulle conseguenze della mancata messa a disposizione di ciascun con
domino della documentazione giustificativa delle spese effettuate, da
parte dell'amministratore, prima dell'assunzione della delibera condo
miniale di approvazione del rendiconto, v. anche, con riferimento a
controversie insorte nell'ambito dello stesso condominio sull'approva zione del rendiconto relativo a due differenti esercizi annuali, App. Mi
lano 1° ottobre 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 201 (in extenso,
in Arch, locazioni, 1994, 579, ad avviso della quale la suddetta man
canza comporta di per sé l'annullamento della delibera assembleare,
per violazione di legge, ove tempestivamente impugnata — nel termine
di cui all'art. 1137 c.c. — da parte del condomino assente o dissenzien
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