Sezioni unite civili; sentenza 27 aprile 1983, n. 2886; Pres. F. Greco, Est. Colasurdo, P. M.Corasaniti (concl. conf.); I.n.a.d.e.l. (Avv. La Pergola) c. Arena (Avv. Mobile). Cassa Trib. Messina25 marzo 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2153/2154-2159/2160Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176999 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
diretta, che prescinde, cioè, dalla mediazione di altra « normati
va ».
Le considerazioni fin qui svolte portano, altresì, alla conclusione
che, sia pure implicitamente, la Corte costituzionale abbia accolto
la nozione di licenziamento disciplinare proposta dalle ordinanze
di rimessione, le quali considerano disciplinare — indipendente mente dalla espressa qualificazione di fonti legislative o extralegis lative — il licenziamento motivato da « colpa » (in senso gene
rico) del lavoratore.
Tanto più tale conclusione si impone ove si consideri che la
nozione di licenziamento disciplinare, proposta dalla ordinanza di
rimessione, pare condivisa dalla stessa sent. n. 1781/82 delle
sezioni unite, laddove ammette che « il licenziamento per colpa (in senso generico) del lavoratore ha la motivazione nonché l'efficacia
intimidatoria ed afflittiva propria delle sanzioni disciplinari, tra le
quali anzi appare sotto questo aspetto la più grave », pur
escludendo, tuttavia, che il « diritto positivo » abbia attribuito
rilevanza a quei « punti comuni », in quanto né la motivazione né
l'efficacia, peculiari al licenziamento per inadempimento, sono
valse a dare all'atto una causa ed un regime giuridico diversi da
quelli di qualunque altro tipo di licenziamento, perché anche esso
è stato qualificato esclusivamente in ragione della sua idoneità a
risolvere unilateralmente il rapporto ed è stato trattato come
qualunque altro recesso del datore di lavoro».
La medesima nozione pare implicitamente presupposta dalla
Corte costituzionale; proprio laddove esclude che la « tradizione
legislativa e collettiva », invocata dalle sezioni unite, possa giu stificare un diverso trattamento — quanto all'osservanza del
principio del contraddittorio — tra licenziamento disciplinare,
appunto, e sanzioni «conservative».
Ora non pare fondatamente contestabile che l'impugnato licen
ziamento — in quanto motivato da pretesa inadempienza del
lavoratore (ed attuale attore) agli obblighi di « diligenza, di fedeltà
e di riservatezza » — vada qualificato « disciplinare » (nella
accezione autorevolmente accolta dalle ricordate pronunce della
Corte costituzionale e dalle sezioni unite civili della Cassazione) e,
come tale, sia regolato — quantomeno a seguito della esaminata
pronuncia interpretativa di accoglimento della Corte costituzionale — dalle disposizioni, nella specie incontrovertibilmente violate, dei
comma 1°, 2° e 3° dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori.
Peraltro — a seguito della menzionata pronuncia della Corte
costituzionale — le « norme » dichiarate illegittime hanno cessato
di avere « efficacia » (ai sensi dell'art. 136 Cost.) anche rispetto a
rapporti, fatti ed atti anteriori, con esclusione soltanto delle
« situazioni giuridiche esaurite » e, come tali, insuscettibili di
diverso regolamento, che prescinda dalle norme espunte dall'ordi
namento perché incostituzionali: il che può verificarsi, tra l'altro,
per l'avvenuto decorso dei termini di decadenza o di prescrizione
e per la preclusione nascente dal giudicato (in tal senso è
l'orientamento consolidato della giurisprudenza sia della Corte
costituzionale che della Corte di cassazione).
Nessuna ipotesi di deroga alla « efficacia retroattiva » delle
sentenze della Corte costituzionale ricorre nel caso di specie.
Invero, alla data di pubblicazione (sulla G.U. n. 338 del 9
dicembre 1972) della sentenza in esame, l'impugnato licenziamento
era stato, bensì, già intimato ed aveva già prodotto il suo effetto di
risoluzione del rapporto di lavoro inter partes, ma era stato,
altresì, impugnato entro il termine, fissato a pena di decadenza
(dall'art. 6 1. 15 luglio 1966 n. 604).
Ora, dalla incontroversa violazione dei comma 1°, 2° e 3°
dell'art. 7 statuto dei lavoratori deriva la nullità dell'impugnato
licenziamento (ai sensi dell'art. 1418, 1° comma, c.c.) per violazio
ne, appunto, di norme imperative di legge (v., in tal senso, la
citata Cass., sez. un., n. 1781/81). Le conclusioni raggiunte — in diretta applicazione dei comma
1°, 2" e 3° dell'art. 7 statuto dei lavoratori (quali risultano dopo la
pronuncia della esaminata sentenza della Corte costituzionale) —
dispensano il giudicante dal prendere posizione sulla questione se
le disposizioni medesime siano nella specie applicabili anche in
forza del rinvio (di cui all'art. 27 del citato c.c.n.l. per i dirigenti
di aziende industriali) alle « norme... per gli impiegati della
massima categorìa dipendenti dalle aziende », « in quanto compa
tibili con la figura del dirigente », per le materie non regolate
diversamente dal contratto collettivo per i dirigenti (sulla non
operatività, in materia retributiva, della menzionata norma contrat
tuale di rinvio, vedi Cass. 15 gennaio 1981, n. 339, id., 1981, I,
1037 e giurisprudenza ivi citata anche in nota).
Tuttavia la soluzione positiva della questione prospettata pare
suggerita dalla assenza di una normativa in materia disciplinare
nella contrattazione collettiva per i dirigenti industriali e dalla
compatibilità, con la « figura del dirigente », della normativa
dettata, nella stessa materia, dal contratto collettivo per gli altri
dipendenti della società convenuta (art. 17 della parte V del c.c.n.l.
29 ottobre 1979 per le aziende industriali del legno), normativa che prevede, appunto, la inclusione del licenziamento senza
preavviso tra i licenziamenti disciplinari ed esclude, perciò, qual siasi dubbio in ordine alla applicabilità dei comma 1°, 2° e 3° dell'art. 7 statuto dei lavoratori ai licenziamenti medesimi.
La ritenuta nullità dell'impugnato licenziamento disciplinare, comporta la conversione in licenziamento ad nutum.
Invero le evidenziate violazioni di legge viziano, bensì, l'impu gnato licenziamento disciplinare, ma non escludono, all'evidenza, la volontà della società convenuta di licenziare l'attuale attore (v. Cass. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557).
Tuttavia, in dipendenza della ritenuta conversione in licenzia mento ad nutum dell'impugnato licenziamento disciplinare, ne vanno considerate tamquam non essent le addotte « giustificazio ni », rendendone superfluo l'accertamento, richiesto, in via ricon
venzionale, dalla società convenuta. Di conseguenza, il licenziamento stesso va ritenuto « ingiustifica
to » e, come tale, integra la fattispecie costitutiva degli azionati diritti alla indennità sostitutiva del preavviso ed alla indennità
supplementare, ai sensi della normativa contrattuale di categoria (art. 23 e, rispettivamente, 19 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende
industriali, cit.), la cui applicabilità al dedotto rapporto di lavoro
discende, tra l'altro, dall'espresso rinvio a tale normativa contrat
tuale, contenuto nella prodotta lettera di assunzione dell'attuale attore.
Le misure di tali indennità — esposte dall'attore — risultano correttamente calcolate, in conformità della ricordata normativa
contrattuale, sulla base di dati risultanti dalla documentazione
prodotta (retribuzione, anzianità di servizio ed età dell'attuale
attore). Pertanto, le indennità in questione possono essere liquidate nelle misure esposte dall'attore e, per quanto riguarda la indennità
supplementare, pare equo limitarla alla misura minima, prevista dal contratto collettivo, atteso che il ritenuto difetto di giustifica zione dell'impugnato licenziamento non è stato, nella specie, concretamente accertato, ma dipende esclusivamente dalla sua
nullità quale licenziamento disciplinare e dalla conseguente con
versione in licenziamento ad nutum.
È, altresì, correttamente calcolata (ai sensi della 1. 29 maggio 1982 n. 297) la misura, dedotta dall'attore, della incidenza, sul
trattamento di fine rapporto, della indennità sostitutiva del preav
viso, la quale — al pari della retribuzione per il periodo di
preavviso lavorato — rientra, ad avviso del pretore, nella base di
calcolo di detto trattamento (ai sensi dell'art. 1, 2° comma, della
citata 1. n. 297/82). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 27
aprile 1983, n. 2886; Pres. F. Greco, Est. Colasurdo, P. M. Cora
saniti (conci, conf.); I.n.a.d.e.l. (Aw. La Pergola) c. Arena
(Avv. Mobile). Cassa Trib. Messina 25 marzo 1977.
Impugnazioni civili m genere — Impugnazione incidentale tar
diva — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
334, 371).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio — Con
troversie — Giurisdizione ordinaria (Cod. proc. civ., art. 442,
444; 1. 8 marzo 1968 n. 152, nuove norme in materia previden ziale per il personale degli enti locali, art. 2, 4; 1. 6 dicembre
1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regio
nali, art. 7).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio — De
terminazione — Disciplina (Disp. sulla legge in generale, art.
12, 15; 1. 13 marzo 1950 n. 120, ordinamento dell'Istituto na
zionale di assistenza per i dipendenti da enti locali, art. 9; 1. 8
marzo 1968 n. 152, art. 4, 19). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Crediti pre
videnziali — Indennità premio di servizio ai dipendenti da
enti locali — Rivalutazione monetaria — Inapplicabilità (Cod.
proc. civ., art. 429, 442; 1. 8 marzo 1968 n. 152, art. 2, 4).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio — De
correnza di interessi moratori da data anteriore alla domanda
giudiziale o, in genere, alla costituzione in mora del debitore —
Esclusione (Cod. civ., art. 1219, 1282; cod. proc. civ., art. 442;
1. 8 marzo 1968 n. 152, art. 2, 4; 1. 11 agosto 1973 n. 533, di
sciplina delle controversie individuali di lavoro e delle con
troversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie,
art. 7).
Il Foro Italiano — 1983 — Parte /-138.
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2155 PARTE PRIMA 2156
È ammissibile l'impugnazione incidentale tardiva di capi di sen
tenza, che siano collegati ai capi impugnati in via principale da
rapporto di interdipendenza, che va valutato facendo riferimento 1
alla natura ed alle interferenze reciproche degli interessi aziona
ti in giudizio in relazione all'assetto complessivo ricevuto dalla
sentenza impugnata (nella specie, l'impugnazione principale dell'I.n.a.d.e.l. riguardava i criteri, adottati dalla sentenza im
pugnata per la liquidazione della indennità premio di servizio, e
la corte ha riconosciuto ammissibile l'impugnazione incidentale
tardiva, proposta dall'avente diritto alla indennità in ordine alla
rivalutazione ed alla decorrenza degli interessi relativi, in
quanto entrambe le impugnazioni riguardano la quantificazione della indennità medesima). (1)
Rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla indennità premio di servizio, che viene erogata dall'I.n.a.d.e.l. ai dipendenti degli enti locali, attesa la natura
previdenziale dell'indennità medesima. (2)
L'indennità premio di servizio, erogata dall'I.n.a.d.e.l. ai dipendenti di enti locali, trova completa, organica ed esclusiva disciplina —
ispirata al favore per il dipendente — nella l. 8 marzo 1968 n.
152, che, avendo di conseguenza abrogato — perché incompati bile — la precedente disciplina nella stessa materia, ne preclude la invocazione (nella specie, è stato escluso il diritto alla
'(1) In senso conforme, v. Cass. 17 gennaio 1983, n. 374, Foro it., 1983, I, 1628, con nota di richiami; 8 giugno 1981, n. 3698, id., 1981, I, 2174, con nota di richiami, le quali — al pari della sentenza qui riportata — assumono un criterio piuttosto elastico nella individuazione dei capi di sentenza « connessi » o « dipendenti » da quelli impugnati in via principale e come tali impugnabili (anche) tardivamente in via incidentale, segnando una significativa evoluzione rispetto alla giuris prudenza precedente (come viene documentato nelle note di richiami testé citate).
'Per un ripensamento, di segno diverso, della giurisprudenza preceden te, vedi altresì — soprattutto in motivazione — Cass. 13 gennaio 1982, n. 179, id., Rep. 1982, voce Impugnazioni civ., n. 154, e in Ciur.
it., 1983, I, 1, 296, con nota di Cerino-Canova, Fermenti di novità
riguardo alla impugnazione incidentale tardiva.
La dottrina è prevalentemente critica rispetto all'indirizzo restrittivo della giurisprudenza — attenuato dalle pronunce più recenti — ed è orientata nel senso che la impugnazione incidentale tardiva possa eccedere l'ambito della impugnazione principale (oltre alla nota di Cerino-Canova ed ai riferimenti di dottrina nelle note di richiami a Cass. n. 374/83 e n. 3698/81, cit., vedi Redenti, Diritto processuale civile, 1957, II, 328, 338; Zanzucchi-Vocino, Diritto processuale civile, 1962, II, 198 ss.; Costa, Diritto processuale civile, 1980, 424 ss.; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, 1981, 297 ss.).
In senso contrario al prevalente orientamento della dottrina, v. S.
Satta, Commentario, 1966, II, 2, 80 ss.; Id., Diritto processuale civile, a
cura di Punzi, 1981, 435; Laserra, Limiti alla impugnazione incidenta le tardiva nelle cause scindibili, in Riv. dir. proc., 1959, 488 ss.; Lignola, Limiti dell'appello incidentale, in Dir. e giur., 1959, 226 ss.; De Stefano, In tema di azione surrogatoria e di impugnazione incidentale tardiva, in Giur. siciliana, 1962, 640 ss.; Finocchiaro, La
legittimazione passiva nelle impugnazioni incidentali tardive, in Giust.
civ., 1962, I, 2196; Provicinali, Delle impugnazioni in generale, 1962, 255; Acone, in Foro it., 1963, I, 1909.
Va tuttavia sottolineato che — fatta esclusione per gli scritti di
Satta — i contributi dottrinari, da ultimi citati, precedono tutti il
saggio di Attardi {Limiti di applicazione del gravame incidentale
tardivo, in Riv. dir. proc., 1965, 173 ss.), che ha inaugurato l'orienta
mento dottrinario ora prevalente. Una posizione « piuttosto variegata » (cosi, testualmente, Cerino-Ca
nova, Fermenti di novità, cit.) è assunta, in dottrina, da Giudiceandrea, Le impugnazioni civili, 1952, I, 239.
(2) In senso conforme, vedi Cass. 1° marzo 1979, n. 1316, Foro it., 1980, I, 203, con nota di richiami.
Vedi, altresì', Pret. Venezia 27 giugno 1981, id., 1982, I, 305 (con ampia nota di richiami) sulla giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle controversie relative al « trattamento di fine servizio », comprensivo della indennità di anzianità e della indennità premio di
servizio, che viene erogato dall'I.n.a.d.e.l. ai dipendenti della soppressa 0.n.m.i. trasferiti ad enti locali.
Sulla giurisdizione esclusiva dei T.A.R. (ai sensi dell'art. 6, 1° comma, 1. 20 marzo 1960 n. 75), in ordine alle controversie relative all'analoga indennità di buonuscita erogata dall^E.n.p.a.s. agli statali, v. Corte cost. 10 dicembre 1981, n. 185 e ord. 25 marzo 1982, n. 62 {id, 1982, I, 346, con richiami ed osservazioni di C. IM. Barone, ibid., 2098), che han no dichiarato infondata e, rispettivamente, manifestamente infondata la relativa questione di costituzionalità.
Vedi, altresì, iPret. Roma, ord. 8 giugno 1982 (id., 1983, 'I, 269) che ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di costituziona lità della citata disposizione dell'art. 6 1. 20 marzo 1980 n. 75, nella
parte in cui non prevede che siano attribuite alla giurisdizione esclusiva dei T.A.R. anche le controversie relative alla indennità premio di
servizio, erogata dall'I.n.a.d.e.l. ai dipendenti di enti locali.
maggiorazione della indennità, previsto dall'art. 9 1. 13 marzo
1950 n. 120). (3) Non è applicabile alle prestazioni di natura previdenziale, quale
l'indennità premio di servizio dovuta ai dipendenti di enti locali,
la rivalutazione monetaria prevista per i crediti di lavoro. (4)
Ai beneficiari della indennità premio di servizio, erogata dal
l'I. n.a.d.e.l. ai dipendenti di enti locali, non spettano interessi
moratori con decorrenza da data anteriore alla domanda giudi
ziale (o, in genere, alla costituzione in mora del debitore) in
quanto non esiste una specifica disposizione, che fissi un termine
per il pagamento di tale indennità, e, peraltro, nel prevedere il
silenzio rifiuto dell'istituto assicuratore in caso di inutile decorso
di centoventi giorni dalla presentazione della richiesta, l'art. 7 /.
11 agosto 1973 n. 533 stabilisce una condizione di procedibilità della domanda e non comporta una mora ex lege dell'istituto
medesimo dopo la scadenza di detto termine. (5)
(3) In senso conforme — nella motivazione — v. Pret. Parma 20
giugno 1981 (Foro it., 1982, I, 307, con nota di richiami), che ha ritenuto abrogata — dalla 1. 8 marzo 1968 n. 152 — la precedente
disposizione (art. 19 r.d.l. 2 novembre 1933 n. 2418), che prevedeva la
prescrizione quinquennale del diritto alla indennità premio di servizio,
e, di conseguenza, ne ha affermato la soggezione al termine prescrizio nale ordinario.
(4) In senso conforme alla qui riportata sentenza — in tema di
inapplicabilità alle prestazioni previdenziali della rivalutazione moneta
ria prevista per i crediti di lavoro dall'art. 429 c.p.c. — vedi
l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte costituziona le e dei giudici ordinari: a Corte cost. 29 dicembre 1977, n. 162 ed a Cass. 6 dicembre 1979, n. 6355 {citate dalla sentenza qui riportata) ed
ai precedenti citati nella motivazione di Cass. 27 giugno 1981, n. 4184
(Foro it., 1981, I, 2156, spec. 2162) e nella nota di richiami a Cass. 22
ottobre 1981, n. 5555 (id., 1982, I, 80), adde G. Tucci, Crediti
previdenziali e risarcimento del danno da svalutazione monetaria, in Riv.
giur. lav., 1981, III, 267; M. De Luca, In tema di previdenza forense, in Riv. it. dir. lav., 1983, II, 281.
Sul diverso problema del risarcimento del danno da svalutazione monetaria per tardiva corresponsione di prestazione previdenziale — esaminato dal punto di vista del diritto comune — v., per la so
luzione positiva, Cass. 22 ottobre 1981, n. 5555, cit., e giurispru denza ivi menzionata anche nella nota di richiami.
(5) Non constano precedenti specifici editi. Sulla previsione di un
termine per il pagamento agli statali della indennità di buonuscita {art. 14 d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1979) — che la sentenza qui riportata
contrappone alla inesistenza di analoga disposizione in tema di indenni tà premio di servizio — v., per tutte, Cass. 13 settembre 1978, n. 4127
(Foro it., 1978, I, 1872), che dalla scadenza del previsto termine fa decorrere interessi corrispettivi.
In senso sostanzialmente conforme — con riferimento alla indennità di cessazione dal servizio erogata dal fondo di previdenza per il
personale delle dogane — v. Cass. 3 marzo 1979, n. 1345 {id., 1980, I, 196, nonché, più di recente, Cass. 25 novembre 1982, n. 6398, id.,
Rep. 1982, voce Impiegato dello Stato, n. 894; 2 dicembre 1982, nn. 6553 e 6558, ibid., nn. 896, 897; 15 luglio 1982, n. 4140, ibid., n. 898; 30 ottobre 1982, nn. 5733 e 5734, ibid., nn. 899, 900; 6 no vembre 1982, n. 5826, ibid., n. 901; 17 dicembre 1982, n. 7000, ibid., n. 902; 9 febbraio 1983, n. 1058, id., Mass., 212; 10 febbraio
1983, n. 1072, ibid., 216; 14 febbraio 1983, nn. 1150, 1151, ibid., 231; 9 maggio 1983, n. 3171, ined.), che fa decorrere gli interessi su detta indennità, non già dalla data di cessazione dal servizio, ma da quella di emissione dell'ordinativo di spesa, ai sensi della norma tiva sulla contabilità generale dello Stato (ritenuta applicabile nella
fattispecie). In contrasto, solo apparente, con la sentenza in epigrafe v. Cass. 20
agosto 1980, n. 4961 (id., Rep. 1980, voce Previdenza sociale, n. 613), che, dalla scadenza del termine di cui all'art. 7 1. 11 agosto 1973 n.
533, fa decorrere, bensì, interessi legali sulla pensione di riversibilità
erogata dall'I.n.p.s., ma ciò dipende dalla espressa previsione {nell'art. 47 d.p.r., 30 aprile 1970 n. 639) della coincidenza della data di decorrenza degli interessi con quella della conclusione definitivamente
negativa, espressa o tacita, del procedimento amministrativo. La sentenza qui riportata — chiamata a pronunciarsi sulla decorren
za degli interessi moratori — non ha preso in esame la questione se, in
quanto maturato alla data di cessazione dal servizio {art. 2 1. li. 152/ 68), il credito per indennità premio di servizio possa produrre, in pre senza dei previsti requisiti (certezza, esigibilità e liquidità del credito), interessi corrispettivi (ai sensi dell'art. 1282 c.c.).
Sulla natura corrispettiva degli interessi su crediti previdenziali (riguardanti, però, prestazioni diverse dalla indennità premio di servi zio), vedi:
— Cass. 17 maggio 1980, n. 3256 (id., Rep. 1980, voce Interessi, n. 10), secondo cui i crediti previdenziali possono produrre, salva espressa previsione di legge contraria o diversa, interessi corrispettivi, a condi zione che essi presentino gli indispensabili requisiti della liquidità ed esigibilità;
— Cass. 17 ottobre 1974, n. 2645 (id., Rep. 1974, voce Previdenza sociale, n. 474), secondo cui gli interessi, maturati sulla differenza di pensioni dovute dall'I.n.p.s., sono corrispettivi e non moratori;
— Cass. 26 luglio 1973, n. 2181 {id., 1974, I, 1170), secondo cui
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — Riuniti i ricorsi, in quanto rivolti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.), dev'essere esaminata per prima l'eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale solleva ta dall'I.n.a.d.e.l.
Questo sostiene che l'impugnazione riguarderebbe capi della
pronuncia non dipendenti da quelli censurati in via principale, o
con -essi connessi, per cui si porrebbe come un ricorso autonomo, del quale, tuttavia, non avrebbe rispettato il termine di proposi zione.
L'eccezione non appare fondata. Anche se va condiviso il rilievo
che le controversie in materia di lavoro e di previdenza non sono
soggette alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale
(sent. 8 gennaio 1977, n. 60, Foro it., Rep. 1977, voce Termini pro cessuali civili, n. 61), il rapporto di interdipendenza fra l'im
pugnazione principale e quella per incidente, secondo la più recente giurisprudenza di questa corte, non deve essere valutato in
astratto, bensì facendo riferimento concreto alla natura e alle
interferenze reciproche degli interessi azionati in giudizio, in
relazione all'assetto complessivo che hanno ricevuto dalla sentenza
impugnata. Per le controversie di lavoro, in particolare, quando le pretese
contrapposte si riconducono alla determinazione del trattamento
economico e giuridico globale del lavoratore, il nesso fra le due
impugnazioni va riconosciuto anche se ciascuna di esse poggi su
presupposti particolari, o involga questioni diverse (sent. 8 giugno
1981, n. 3698, id., 1981, I 2174).
Nel caso in esame il ricorrente incidentale lamenta il mancato
accoglimento della richiesta di rivalutazione della somma liquidata a titolo di indennità e il riferimento degli interessi a una
decorrenza successiva a quella richiesta, per cui non appare dubbia la riconducibilità delle doglianze al tema della controver
sia, che riguardava non 1 'an, ossia il diritto all'erogazione, ma
soltanto la misura di questa, secondo le norme che la disciplinano. Si può passare, pertanto, all'esame del ricorso principale, rivolto
a censurare, con il primo mezzo, il riconoscimento della giurisdi zione ordinaria.
11 ricorrente assume che l'affermazione si porrebbe in contrasto
con le norme degli art. 409, 442, 444 c.p.c. in relazione ai nn. 1, 3
e 5 dell'art. 360 stesso codice, oltre che i principi sulla giurisdizione del giudice ordinario in materia di indennità per la cessazione del
servizio prestato presso enti pubblici non economici, in quanto riferita alla natura previdenziale — riconosciuta erroneamente e
senza giustificazione adeguata — della indennità in causa.
Questa sarebbe invece una forma di retribuzione differita
analoga all'indennità di licenziamento, da ricondurre, quindi, al
rapporto di pubblico impiego, di cui può conoscere esclusivamente
il giudice amministrativo.
La censura è infondata. L'indennità in questione, infatti, trova
titolo immediato nel rapporto che intercorre direttamente fra il
prestatore d'opera cessato dal servizio e l'ente che deve provvede re alla erogazione, così da porsi in termini di assoluta autonomia
rispetto al rapporto d'impiego, che costituisce solo il suo presup
posto esterno.
Il rapporto previdenziale, invero, non si stabilisce con l'ammi
nistrazione di appartenenza del dipendente, ma direttamente con
l'istituto di previdenza per cui il rapporto d'impiego si pone come
antecedente necessario, ma non come momento genetico del
diritto, che sorge solo quando il primo sia esaurito. Il nesso,
pertanto, è di mera successione, e rende soltanto mediato il
hanno natura corrispettiva gli interessi sui ratei arretrati di pensione a
carico del fondo speciale per gli autoferrotramvieri; — Cass. 19 maggio 1975, n. 1982 (id., 1975, I, 2240) e giurispruden
za conforme ivi citata anche in nota, secondo cui, per le differenze di
pensione a carico dello stesso fondo autoferrotramvieri, che siano state
corrisposte in ritardo, è bensì escluso l'obbligo dell'I .n.p.s. di pagare interessi corrispettivi, ma ciò dipende soltanto dal difetto di « liquidità »
del credito alla data di decorrenza della pensione. In dottrina, sul tema degli interessi su prestazioni previdenziali, v.
M. De Luca, In tema di previdenza forense, cit.; Campilii, Gli
interessi sulle prestazioni erogate dall'I.n.p.s., in Prev. soc., 1978, 1117; F. 'P. Rossi, Sulla natura giuridica degli interessi legali dovuti
dall'I.n.p.s., in Giur. it., 1972, I, 1, 383; Id., Gli interessi sulle
prestazioni economiche previdenziali, in Prev. soc. agraria, 1971, 345; P.
Cuiabrera, Gli interessi sulle prestazioni economiche previdenziali, in Prev. soc., 1969, 1092.
Sull'art. 7 1. 11 agosto 1973 n. 533 — oltre ai numerosi commentari
sulla stessa legge — v. A. Giallombardo, Il silenzio nei procedimenti giustiziali dell'I.n.p.s.: in particolare sul ricorso del direttore di sede, in
Riv. giur. lav., 1975, III, 379. In tema di indennità premio di servizio, v. altresì, le recenti Corte
cost. 10 marzo 1983, n. 46 e 28 febbraio 1983, n. 38 (Foro it., 1983, I, 2096 e 1834, con nota di richiami e osservazioni di tM. De Luca).
riferimento, utilizzabile solo per quantificare l'indennità, secondo i
parametri fissati dalla legge in materia di previdenza. Che non si tratti di una forma di retribuzione differita,
d'altronde, è dimostrato dal rilievo che il premio in questione non è in funzione di scambio con le prestazioni che trovano la loro causa e formano il contenuto del rapporto lavorativo, dato che si esaurisce nell'erogazione di una somma proporzionale obbligato riamente all'istituto previdenziale, sia pure per il tramite della
amministrazione di appartenenza e con il concorso di questa.
La natura strettamente previdenziale della indennità, del resto, risulta dalla sua stessa funzione, che è quella di consentire al
dipendente cessato di fare fronte alle proprie esigenze insopprimi bili nel periodo compreso fra la cessazione delle retribuzioni e la
corresponsione del trattamento pensionistico corrente.
Nulla rileva in contrario che gli istituti di previdenza siano enti
strumentali dello Stato. La strumentalità, infatti, deve essere
riferita ai compiti previdenziali e assistenziali dallo stesso assunti
per dettato costituzionale, esercitati attraverso gli istituti appositi (art. 38), e il rapporto d'impiego, d'altronde, nel caso che
interessa, si era stabilito con l'ente locale, la cui autonomia è
riconosciuta anch'essa dalla Costituzione (art. 115, 128). Anche se la definizione di diritto conseguenziale adottata dal
giudice di appello per l'indennità in argomento non è da condivi
dere, non sembra dubbio che si versi in tema di diritto soggettivo, azionabile esclusivamente nei confronti dell'ente deputato a fornire
la prestazione, cosi da non consentire di ricondurlo al complesso di obblighi e di diritti che si assommano nel rapporto di impiego
pubblico, ontologicamente diverso.
Delle controversie relative, pertanto, deve conoscere il giudice ordinario, e non già quello amministrativo, secondo quanto ripetu tamente affermato da questa corte a sezioni unite (sent. 1° marzo
1979, n. 1316, id., 1980, I, 203).
Non sembra inopportuno aggiungere che la sussistenza della
giurisdizione ordinaria trova conferma nella disposizione dell'art.
444 c.p.c., che ha attribuito al giudice del lavoro la cognizione di
tutte le controversie in materia di previdenza e assistenza obbliga torie, e in quella dell'art. 6 1. 20 marzo 1980 n. 75 che, in materia
di buonuscita e di indennità dei dipendenti dello Stato e delle
aziende autonome, ha riservato la cognizione delle controversie ai
tribunali amministrativi regionali, abrogando ogni norma contraria, cosi da riconoscere per implicito la giurisdizione del magistrato ordinario in tutti i casi che interessano gli altri dipendenti
pubblici. Merita di essere accolto, invece, il secondo motivo, con cui si
denuncia violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di interpretazione di legge, e di abrogazione in
particolare, relativamente agli art. 4 e 19 1. 8 marzo 1968 n. 152 e
9 1. 13 marzo 1950 n. 120.
La parte lamenta al riguardo che il giudice di appello avrebbe
indebitamente riconosciuto — oltre tutto, senza motivazione ade
guata — la cumulabilità della maggiorazione del premio prevista dalla 1. del 1950 con i criteri per la determinazione dell'indennità
fissati dalla 1. del 1968 che, avendo disciplinato in modo nuovo e
organico l'intera materia, avrebbe sottratto all'integrazione ogni fondamento.
Per inquadrare la questione è opportuno premettere che la 1. del
1950, con la quale sono state dettate nuove norme per il
funzionamento deU'I.n.a.d.e.l., nell'art. 9 stabiliva che l'indennità
premio di servizio — spettante dopo venti anni di attività — fosse
liquidata in ragione di un centesimo dello stipendio pensionabile
percepito negli ultimi dodici mesi, per ogni anno di servizio
prestato, con una maggiorazione del 25, 30 e 40 % relativamente a
tre fasce di maggiore anzianità.
L'articolo successivo attribuiva, poi, al consiglio di amministra
zione dell'istituto la facoltà di apportare ulteriori miglioramenti, ove il bilancio lo consentisse.
La 1. del 1968, intitolata « nuove norme in materia previdenziale
per il personale degli enti locali », ha riordinato tutta la materia, stabilendo prima di tutto l'obbligo dell'iscrizione all'I.n.a.d.e.l., ai
fini del trattamento di previdenza, anche per il personale non di
ruolo addetto a servizi continuativi (art. 1), e introducendo poi criteri più favorevoli al dipendente nella determinazione della
indennità.
Fermo il principio della proporzionalità agli anni di servizio, la
liquidazione è stata rapportata (art. 4) alla quindicesima parte della retribuzione contributiva percepita negli ultimi dodici mesi,
considerata in ragione non più del solo stipendio, ma di tutti gli emolumenti fissi, con la introduzione, inoltre, del principio della
computabilità dei servizi pregressi, anche se non di ruolo, e della
possibilità di riscattare altri servizi e i periodi di studio universi
tario (art. 12).
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2159 PARTE PRIMA 2160
In questa prospettiva appare chiaro che l'organicità e la comple
tezza di questa disciplina, improntata al favore verso il dipenden
te, ha fatto venire meno la ragione stessa del correttivo previsto dall'art. 9 della legge anteriore, tanto più che è stata eliminata
(art. 10, ult. parte) la facoltà di integrare ulteriormente la misura
dell'indennità attribuita dall'art. 10 della stessa legge al consiglio
di amministrazione dell'ente. Questa facoltà, va rilevato, era stata
reiteratamente esercitata per adeguare la misura del premio e
accostarla a quella dell'indennità di fine servizio erogata dal
l'E.n.p.a.s. ai dipendenti statali, assumendo questa come punto di
riferimento — secondo quanto risulta dai lavori preparatori — sia
pure in relazione alla diversa base contributiva.
L'intento del legislatore di dettare una normativa diretta a
sostituire, e a non integrare, la precedente, è ulteriormente posta
in evidenza dall'espressa abrogazione della norma sull'indennità di
contingenza (art. 13).
L'art. 19, che ha sancito l'abrogazione di tutte le norme in
contrasto o incompatibili con la nuova legge, deve essere riferito,
pertanto, a un intento abrogativo generale, e non a una sua
limitazione, cosi da porsi come un precetto rivolto a togliere
efficacia a ogni disposizione diversa in tutti i casi nei quali
potesse essere ravvisata una qualche insufficienza nel testo legisla
tivo.
Se cosi non fosse, la disposizione sarebbe superflua, in forza del
principio generale (art. 15 disp. sulla legge in generale) dell'abro
gazione tacita.
Il giudice di appello, nel risolvere la questione della compatibili
tà della maggiorazione prevista dalla legge anteriore con il nuovo
sistema di determinazione dell'indennità, ha ritenuto di dare
risposta positiva al quesito sul rilievo che le due disposizioni non
apparivano in posizione antitetica, cosi da potersi integrare.
L'errore della decisione, che ha pure fatto carico all'appellante
principale di un onere probatorio non configurable in materia di
interpretazione di leggi, consiste nell'avere ritenuto che la ratio
decidendi si esaurisse nella lettera dell'art. 19, mentre il tema era
molto più vasto, involgendo la necessità di procedere all'esame
sistematico di tutte le norme che interessavano la controversia nel
quadro complessivo della legge e dei criteri da questi adottati.
L'abrogazione, pertanto, non poteva essere considerata in termi
ni di incompatibilità assoluta fra precetti isolati, bensì in quelli,
diversi, dell'inconciliabilità della norma, o del gruppo di norme,
con riferimento alla diversa ratio dei due ordini normativi.
Necessaria conseguenza di questo è che la interpretazione
doveva essere condotta in chiave dell'intento novativo manifestato
dal legislatore, con la scelta di un sistema che condiziona l'intera
disciplina della materia, cosi da porre il contrasto sul piano del
contenuto delle normative a confronto, in rapporto alla diversa
mens legis. Come ha esattamente osservato l'istituto ricorrente, si è di fronte
a un caso di abrogazione espressa virtuale, operata dal legislatore — parallelamente a quella esplicita di norme particolari —
attraverso la norma suddetta che, in relazione alla volontà
innovativa emergente dal nuovo sistema, viene a introdurre un
quid pluris rispetto alla semplice oggettività del riscontro della
contraddittorietà di norme sul piano strettamente logico-giuridico, che è alla base dell'abrogazione implicita.
L'integrazione alla quale ha ritenuto di poter procedere il
tribunale è impedita dalla diversità dei presupposti assunti dal
legislatore che, in forza della scelta operata, non consentono la
persistenza di norme che non trovano giustificazione nel sistema
omnicomprensivo adottato in sostituzione di quello precedente. La finalità di migliorare il trattamento, infatti, è stata assicurata
attraverso un meccanismo diverso, sicché il correttivo, che aveva
la funzione di attenuare le insufficienze del sistema, non trova più
ragion d'essere con il nuovo assetto.
L'integrazione, pertanto, viene a porsi in antitesi con i principi informatori della normativa in atto, cosi da risolversi in un lucro
privo di giustificazione sul piano logico prima ancora che giuridi co.
Restano da esaminare i due motivi del ricorso incidentale.
Il primo di questi è rivolto a lamentare la erronea applicazione
degli art. 429 e 442 c.p.c., sostenendo che la richiesta di conseguire la rivalutazione della somma liquidata a titolo di indennità
sarebbe stata erroneamente disattesa, sul rilievo che la disposizione dell'art. 429, ult. parte, c.p.c. non si applica ai crediti previdenzia li. Detta norma, invece, troverebbe applicazione anche per i crediti
di questa natura, in quanto contenuta nel capo I delle norme sulle
controversie di lavoro, che l'art. 442 c.p.c. richiama per le
controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, senza distinguere fra norme processuali e norme sostanziali, cosi
come l'art. 150 disp. att. 1. 533/73 fissa i criteri per il calcolo della
svalutazione monetaria per tutt'e due gli ordini di controversie.
La censura non può trovare -accoglimento. Secondo quanto
ripetutamente affermato da queste sezioni unite, la disposizione dell'art. 429 c.p.c. vale per i crediti di lavoro soltanto, ostando alla
sua estensione ai crediti previdenziali e assistenziali, oltre alla
chiara dizione del testo, il carattere eccezionale della norma, che
non consente analogie. 11 richiamo dell'art. 442 alle norme sul
processo del lavoro, inoltre, è limitato alla materia processuale, e
non consente, quindi, di ricomprendervi i rapporti di diritto
sostanziale, fra i quali sono da annoverarsi quelli previsti dall'art. 429 c.p.c. Questa norma, infatti, attribuisce al lavoratore un diritto
soggettivo, nel duplice intento di ristabilire in suo favore l'equili brio economico deterioratosi nel tempo e di scoraggiare eventuali manovre dilatorie ai suoi danni, eventualità non configurabile nei
confronti degli enti pubblici previdenziali, tanto più che per i crediti di questo tipo esiste lo specifico sistema di perequazione automatica sancito dall'art. 19 1. 29 aprile 1969 n. 153 (sent. 6 dicembre 1979, id., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (contro
versie), n. 330). Anche la Corte costituzionale, investita della questione, ha
riconosciuto ai crediti previdenziali caratteristiche proprie, che non ne consentono l'assimilazione ai crediti di lavoro, pur trovando in
questo rapporto il suo antecedente necessario (sent. 29 dicembre
1977, n. 162, id., 1978, I, 7). Non meno infondato appare il secondo motivo, con cui si
deduce che la decorrenza degli interessi sarebbe stata indebitamen te riferita alla domanda, mentre l'istituto si sarebbe reso moroso ex lege, lasciando trascorrere il termine fissato dall'art. 7 1. 533/73 senza provvedere alla liquidazione dell'indennità. Detto termine, secondo la parte, avrebbe portata generale e funzione non diversa da quella prevista per la corresponsione della indennità di buonuscita ai dipendenti statali (d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1979, art. 14).
Lo stesso ricorrente, quindi, viene ad ammettere che una
disposizione identica o analoga a quella riguardante i dipendenti statali non esiste nei confronti dell'I.n.a.d.e.l.
Il riferimento alla norma richiamata per dedurne la liquidità ed
esigibilità del credito previdenziale alla scadenza pretesa, d'altra
parte, appare mal posto, dato che anche l'art. 7 citato ha funzione
puramente processuale, rappresentando una condizione di procedi bilità della domanda che sospende il processo per il periodo fissato, cosi da non poter trovare applicazione nei riguardi del diritto sostanziale, per la distinzione della quale si è detto.
La sentenza, pertanto, deve essere cassata in ordine all'unico motivo accolto, con il rinvio della causa per nuovo esame — alla luce del principio della non cumulabilità della maggiorazione in causa con l'indennità in premio di fine servizio liquidata a norma della 1. 8 marzo 1968 n. 152 — ad altro giudice di pari grado, che si designa nel Tribunale di Patti, in funzione di giudice del lavoro.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione i civile; sentenza 16 aprile 1983, n. 2643; Pres. Brancaccio, Est. Cantillo, P. M. Iannelli
(conci, parz. diff.); F.i.e.g., Sindacato nazionale giornalai d'Ita
lia, Sindacato nazionale rivenditori giornali e riviste, Sindacato autonomo giornalai italiani (Avv. Montesano, Montefoschi) c. Roselli; Roselli (Aw. A. Basile, Moricca) c. F.i.e.g. e altri. Cassa App. Roma 21 aprile 1980.
Concorrenza (disciplina della) >— Concorrenza sleale — Asso ciazioni professionali — Legittimazione passiva — Ammissi bilità (Cod. civ., art. 2598).
Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Accordo fra associazioni di produttori e di rivenditori — Selezione di stributiva — Illiceità — Presupposti (Cod. civ., art. 2598).
Le associazioni di categoria degli imprenditori sono legittimate passivamente all'azione di concorrenza sleale per gli atti com messi nell'interesse degli aderenti in pregiudizio di concorrenti non iscritti. (!)
(1-2) Dal punto di vista della Betriebswirtschaftslehre, i giornali —
segnatamente, i quotidiani — si prestano a funger da esempio tipico di distribuzione c.d. intensiva, applicabile ai prodotti la cui commercializ zazione presenti, come fattore dominante, 1*«utilità di luogo». Ne è riprova il capillare impiego, non soltanto oltreoceano, di distributori automatici, che sembrano materializzare l'Ubiquitàtsprinzip dei manua li aziendalistici. In Italia ha invece preso piede una tecnica tutta
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