Sezioni unite civili; sentenza 27 febbraio 1984, n. 1366; Pres. Mazzacane, Est. Corda, P. M.Corasaniti (concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello) c. Istituto autonomo per lecase popolari della provincia di Ravenna (Avv. Nunziante). Cassa Comm. trib. centrale 27novembre 1980, n. 11578Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 3 (MARZO 1984), pp. 661/662-663/664Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175850 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di conciliazione — avverta tale carenza e sospenda il procedi mento giurisdizionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibile
la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 24 1. 27 luglio 1978 n. 392, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 42, 2° comma,
Cost., con ordinanza 24 ottobre 1980 del Pretore di Cassano
d'Adda (n. 76 r.o. 1981).
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 27
febbraio 1984, n. 1366; Pres. Mazzacane, Est. Corda, P.M.
Corasaniti (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Pala
tiello) c. Istituto autonomo per le case popolari della pro vincia di Ravenna (Avv. Nunziante). Cassa Comm. trib. cen
trale 27 novembre 1980, n. 11578.
CORTE DI CASSAZIONE;
Tributi locali — Imposta locale sui redditi — Rinvio alla norma
tiva i.r.p.e.f. — Fabbricati posseduti da società ed enti com
merciali — Strumentalità — Condizioni — Fabbricati locati
dagli istituti autonomi per le case popolari — Esclusione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, istituzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi, art. 4, 6; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597,
istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche, art. 40).
Ai fini dell'imposta locale sui redditi i fabbricati posseduti da
società ed enti commerciali sono da considerare strumentali
solamente quando sono direttamente utilizzati in conseguenza
del loro inserimento nel complesso aziendale; pertanto i redditi
derivanti agli istituti autonomi per le case popolari dalla
locazione dei propri fabbricati a terzi sono soggetti ad auto
noma tassazione, dovendosi escludere la strumentalità nell'ipo tesi in cui i fabbricati siano suscettibili di produrre un reddito
autonomo di locazione. (1)
(1) Con la decisione in epigrafe le sezioni unite della Cassazione
hanno risolto il contrasto sorto tra le precedenti pronunce della
sezione I (v., da ultimo, sent. 26 marzo 1983, n. 2135, Foro it., 1983,
I, 3085, con nota di richiami) circa la definizione di beni strumentali
per l'esercizio d'impresa relativamente ai fabbricati posseduti da
società ed enti commerciali.
Oggetto di tale controversia era, nella sostanza, il grado di relazio
ne intercorrente tra i fini istituzionali della società od ente ed il concetto di strumentalità. In particolare il primo indirizzo assunto al
riguardo dalla Cassazione poneva in stretta relazione la strumentalità ed i fini istituzionali per cui, quando la realizzazione di tali finalità
era subordinata, tra l'altro, alla concessione in locazione di fabbricati,
gli stessi dovevano considerarsi beni strumentali all'attività esercitata.
Successivamente la Cassazione ha operato una netta distinzione tra i fini istituzionali della società od ente ed il concetto di strumentalità
inteso, al contrario, solo come espressione di una destinazione ogget tiva dei fabbricati nell'ambito dell'apparato produttivo dell'impresa e
limitato solo ai casi di utilizzazione diretta del bene da parte dell'impreditore. Da ciò derivava l'estraneità al concetto di strumenta
lità di quei fabbricati che, anche se appartenenti all'imprenditore, producono un reddito autonomo di locazione.
Tale secondo orientamento è stato accolto dalle sezioni unite le
quali, partendo dal presupposto che il diverso trattamento ai fini i.l.o.r. dei redditi derivanti dagli immobili strumentali costituisce una eccezione ad una regola generale, hanno affermato che il concetto di strumentalità deve essere interpretato in senso restrittivo e pertanto devono essere considerati strumentali solamente quegli immobili che hanno come unica destinazione quella di essere direttamente impiega ti per l'espletamento delle attività tipicamente imprenditoriali, ossia
quelli che per destinazione sono inseriti nel complesso aziendale e non sono quindi suscettibili di creare un reddito autonomo di locazione.
Nel caso di specie oggetto della controversia era la strumentalità o
meno dei fabbricati di proprietà degli istituti autonomi per le case
popolari concessi in locazione a terzi (cfr. Cass. 17 febbraio 1982, n.
993, id., 1983, I, 1074, con nota di richiami, cui adde Cass. 9 marzo
1982, n. 1474, id., Rep. 1982, voce Tributi locali, n. 137). A tale
riguardo la decisione in epigrafe ha sottolineato come, data la
particolare natura degli I.a.c.p., i fabbricati in questione costituiscano, nel contempo, sia lo « strumento » per il conseguimento dei lori fini
istituzionali sia l'« oggetto » dell'attività imprenditoriale, finalizzata alla costruzione dei fabbricati e/o alla gestione della loro locazione.
Pertanto, alla luce di tale particolare connotazione dei fabbricati locati dagli I.a.c.p. e dei principi enunciati dalla suddetta decisio
ne delle sezioni unite, non si viene a realizzare quella strumentalità in senso stretto prevista dalla norma, in quanto tali beni sono
sicuramente suscettibili di produrre un reddito autonomo di locazione.
Non ha formato oggetto di decisione da parte delle sezioni unite il
principio secondo cui una volta accertato che i fabbricati posseduti da società ed enti commerciali non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, i relativi redditi sono autonomamente tassabili
Svolgimento del processo. — Con due distinti ricorsi dell'I 1
aprile 1979, diretti alla competente comrtiissione tributaria, l'istitu
to autonomo per le case popolari di Ravenna proponeva opposi zione contro l'iscrizione a ruolo dell'imposta locale sui redditi
(i.l.o.r.) relativa ai redditi prodotti (negli anni 1974 e 1975) dagli immobili assegnati in locazione e tassati autonomamente come « fondiari ». Deduceva l'insussistenza dell'obbligazione tributaria, invocando la disposizione dell'art. 40 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 (richiamato dal 5° comma dell'art. 6 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599) nell'assunto che il reddito degli immobili predetti, essendo
gli stessi « strumentali per l'esercizio dell'impresa commerciale », non poteva essere considerato (anche e autonomamente) come « fondiario », ma concorreva (solo) a formare il « reddito com
plessivo », come componente del reddito d'impresa.
La commissione tributaria di I grado di Ravenna, con due distinte decisioni, accoglieva i ricorsi; e la commissione tributaria di II grado, con due decisioni 13 febbraio 1979, respingeva i ricorsi dell'ufficio.
Proposti separati ricorsi dall'ufficio predetto, la Commissione tributaria centrale (sez. XI), con decisione pubblicata il 27 novembre 1980 respingeva i due ricorsi, previa riunione dei
procedimenti. Osservava che il fine istituzionale dell'I.a.c.p. è
quello di fornire alloggi in locazione (alle categorie meno abbien
ti); di modo che gli alloggi stessi devono essere considerati « strumentali » rispetto al conseguimento di quel fine.
Contro tale decisione ha ricorso per cassazione l'amministrazio ne finanziaria, con unico motivo di censura illustrato con succes siva memoria. L'intimato I.a.c.p. di Ravenna resiste mediante
controricorso, pure illustrato con memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso
(denunciando, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 6 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, degli art. 21, 40 e 52 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, degli art. 2 e 5 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598), l'amministrazione finanziaria censura l'impugnata decisione della Commissione tributaria centra le per avere ritenuto applicabile la « esenzione » oggettiva di cui all'art. 40 d.p.r. n. 597 e sostiene che la commissione predetta non avrebbe tenuto presente che il conseguimento del fine di dare alloggi in locazione non costituisce esercizio di attività commerciale e che l'attività obiettivamente commerciale degli I.a.c.p. ha per scopo la costruzione delle case, non la gestione del
patrimonio immobiliare realizzato attraverso l'attività commercia le. Sostiene che si sarebbe dovuto, invece, ritenere che gli immobili oggetto di locazione danno luogo a reddito fondiario
(come tali, quindi, soggetti a tassazione separata — in i.l.o.r. —
anche i canoni di locazione che concorrono alla formazione del reddito d'impresa) e non sono « strumenti » per l'esercizio di
quell'attività obiettivamente commerciale che si pone quale mezzo al fine di realizzare lo scopo istituzionale dell'ente (pubblico) di dare in locazione le case.
Il ricorso è fondato nei limiti che saranno qui appresso indicati.
2. - La questione che viene oggi proposta all'esame delle sezioni unite ha formato oggetto di pronunce contrastanti, nel l'ambito della prima sezione di questa corte.
Con la sentenza 2 luglio 1981, n. 4288 (Foro it., Rep. 1981, voce Tributi locali, n. 128) (seguita, poi, dalla sentenza 15 dicembre 1981, n. 6613, ibid., n. 136), si è ritenuto che con riferimento agli alloggi assegnati in locazione dagli istituti auto nomi per le case popolari deve escludersi l'applicabilità dell'im
posta locale sui redditi, a norma dell'art. 40 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 (richiamato dall'art. 6, 5° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599), posto anche gli immobili predetti, lungi dal costituire
(per gli I.a.c.p.) una dotazione patrimoniale, autonomamente ge stita, costituiscono gli strumenti di un'attività di tipo commercia
le, strettamente collegata con la finalità istituzionale degli istituti medesimi.
Con la sentenza 17 febbraio 1982, n. 993 (id., 1983, I, 1074;
seguita, poi, dalla sentenza 9 marzo 1982, n. 1474, id., Rep. 1982, voce cit., n. 137), si è, invece, adottata la soluzione opposta, sul rilievo che la norma limitatrice (l'art. 40 cit.) prevede la non tassabilità dei soli immobili che sono concretamente e direttamen te impiegati per l'espletamento delle attività tipicamente imprendi toriali, in quanto inseriti nel complesso aziendale, e non, quindi, anche degli immobili che vengono utilizzati al fine della produ
ai fini i.l.o.r. quali redditi fondiari in applicazione del principio generale di cui al combinato disposto degli art. 4, 5° comma, e 6, 5° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599: in tali sensi cfr., peraltro; tutte le precedenti pronunce della Cassazione (da ultimo, sent. 26 marzo 1983, n. 2135, cit.).
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PARTE PRIMA
zione di rendite, quali sono gli immobili che gli I.a.c.p. assegnano in locazione alle categorie meno abbienti.
Questi due enunciati giurisprudenziali contengono entrambi, nella premessa, una parte di vero. Data la particolare natura e la
strutturazione degli I.a.c.p., può, infatti, bene ritenersi: a) da un
lato, che gli immobili in questione costituiscono lo strumento di
cui gli I.a.c.p. si servono per il conseguimento dei loro fini
istituzionali, che sono quelli di fornire alloggi ai meno abbienti
(nel senso che gli istituti predetti, quali enti pubblici non
economici, perseguono la loro finalità avvalendosi di un'attività
imprenditoriale, di modo che la « strumentalità » degli immobili
deve essere riferita non tanto all'azienda — che è già « strumen
to » — quanto, piuttosto, al conseguimento della finalità predet
ta); b) dall'altro, che gli immobili costituiscono, nel contempo, anche l'oggetto dell'attività imprenditoriale, finalizzata alla costru
zione e/o alla « gestione » delle locazioni, nel senso che, oltre che
strumento adoperato per il conseguimento dei fini istituzionali di
cui si è detto, essi costituiscono pur sempre il « risultato » dell'at
tività commerciale (di modo che, sotto questo profilo, non appare certo inesatto quanto è stato osservato nella seconda delle senten
ze prima ricordate — la n. 993 del 1982 — secondo cui la
« strumentalità » considerata ai fini della precedente impostazione sarebbe elemento di connotazione non già degli immobili, bensì
del reddito da essi prodotto).
Ma il rilievo che gli immobili degli I.a.c.p. possono essere
considerati, contemporaneamente, « oggetto » e « strumento » del
l'attività imprenditoriale in questione conduce, inevitabilmente, alla conclusione che il loro reddito deve essere tassato, in iJ.o.r., come reddito fondiario.
La regola — secondo il disposto dell'art. 6 d.p.r. 29 settembre
1973 n. 599 — è che i redditi fondiari sono soggetti all'imposta locale sui redditi. L'eccezione è quella stabilita dal 5° comma di
tale articolo, il quale richiama — come si è detto — l'art. 40
d.p.r. n. 597 del 1973: se gli immobili costituiscono beni «stru
mentali » per l'esercizio delle imprese commerciali, il loro reddito
concorre a formare, come componente, il reddito d'impresa. E
intuitivo, dunque, che la norma in esame (il 5° comma dell'art.
40 1. i.r.p.e.f.), costituendo « eccezione » alla regola generale, deve
essere interpretata in senso restrittivo. Il risultato di tale interpre
tazione, quindi, non può essere che uno: la norma limitatrioe
può trovare applicazione solo in presenza di una strumentalità
« pura » non già in presenza di quella strumentalità « ibrida » che
è stata più sopra messa in luce (con riferimento al caso degli
I.a.c.p. in cui — come si è detto — l'immobile non è solo
strumento, ma anche oggetto dell'attività imprenditoriale). In
definitiva, la norma, interpretata restrittivamente, sottrae al gene rale criterio di tassazione solo quegli immobili che hanno, come
unica destinazione, quella di essere direttamente impiegati per
l'espletamento delle attività tipicamente imprenditoriali, ossia
quelli che, per destinazione, sono inseriti nel complesso aziendale
(e non sono, quindi, suscettibili di creare un reddito autonomo); non anche quindi, quegli immobili che, pur potendo essere in
certo senso strumentali rispetto alle finalità che il soggetto d'im
posta persegue attraverso l'esercizio dell'impresa, costituiscono,
nel contempo, l'oggetto della predetta attività imprenditoriale.
In previsione di una tale, possibile interpretazione della norma, il p.g. presso questa corte ha sollevato il dubbio di costituziona
lità, per disparità di trattamento fra un soggetto pubblico così
caratterizzato e altri soggetti privati, non meglio indicati, i quali non potrebbero — secondo quella prospettazione — trovarsi in
analoga condizione. Ma in proposito è sufficiente osservare che se
i due soggetti, pubblico e privato, si trovano in differente
situazione contributiva, difetta, proprio, il presupposto di quella denuncia di incostituzionalità; mentre, se il soggetto privato si
trova in analoga condizione (cosa, del resto, astrattamente possibi
le, perché la particolare situazione sopra descritta è collegata non
già alla natura, pubblica o privata, del soggetto, ma al « rappor to » fra l'immobile e l'impresa) non vedesi perché, anche per
lui, non debba essere applicata analoga regola.
3. - In conclusione, quindi, il ricorso deve essere accolto e,
conseguentemente, deve essere cassata l'impugnata decisione.
La controversia, perciò, deve essere, per il riesame, rinviata alla
stessa Commissione tributaria centrale, tenuta a uniformarsi ai
principi di diritto qui enunciati. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 21
febbraio 1984, n. 1230; Pres. Gambogi, Est. Schermi, P. M.
Sgroi V. (conci, diff.); Vitti (Avv. Menghini, Sarasso) c. Soc.
Tenuta Bigona (Avv. Carboni, Denti). Conferma App. Torino
20 gennaio 1979.
Impugnazioni civili in genere — Morte della parte nel corso del
giudizio di primo grado — Mancata dichiarazione o notifica
zione dell'evento — Notificazione della sentenza al procuratore della parte premorta — Idoneità a fare decorrere il termine
breve per l'impugnazione (Cod. proc. civ., art. 285, 286, 300,
328, 330).
Deceduta o divenuta incapace, nel corso di un grado del processo
di merito, prima dell'udienza di discussione, una parte costitui
ta a mezzo di procuratore, il quale non abbia dichiarato in
udienza né abbia notificato alle altre parti l'evento, è idonea a
far decorrere il termine per l'impugnazione, nei confronti degli
eredi della parte deceduta o del rappresentate legale della parte
divenuta incapace, la notificazione della sentenza fatta al detto
procuratore a norma dell'art. 285 c.p.c. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 21
febbraio 1984, n. 1229; Pres. Gambogi, Est. Schermi, P. M.
Sgroi V. (conci, diff.); Vitti (Avv. Menghini, Sarasso) c. Soc.
Tenuta Bigona (Avv. Carboni, Denti). Cassa App. Torino 27
novembre 1978.
Impugnazioni civili in genere — Morte della parte nel corso del
giudizio di primo grado — Mancata dichiarazione o notificazio
ne dell'evento — Impugnazione del procuratore della parte
premorta cui era stata conferita procura anche per gli ulteriori
gradi del processo — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 285,
286, 300, 328, 330).
Deceduta o divenuta incapace, nel corso di un grado del processo
di merito, prima della chiusura della discussione, una parte
costituita a mezzo di procuratore, il quale non abbia dichiarato
in udienza né notificato alle altre parti l'evento, il detto
procuratore, qualora gli sia stata originariamente conferita pro
cura ad litem valida anche per gli ulteriori gradi del processo,
è legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della
parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata,
nell'ambito del processo, ancora in vita o capace. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 21
febbraio 1984, n. 1228; (Pres. Gambogi, Est. Schermi, P. M.
Sgroi V. (conci, diff.); Soc. Miserocchi (Avv. Attanasio, Bo
glione. Fabbri) c. Cominelli {Avv. Graziani, Guareschi). Con
ferma App. Brescia 22 luglio 1980.
Impugnazioni civili in genere — Morte della parte nel corso del
giudizio d'appello — Mancata notificazione o comunicazione
dell'evento — Impugnazione notificata presso il procuratore
della parte premorta — Legittimità — Irrilevanza della cono
scenza dell'evento acquisita « aliunde » dalla parte notificante
(Cod. proc. civ., art. 285, 286, 300, 328, 330).
Deceduta o divenuta incapace, nel corso di un grado del processo
di merito, prima della chiusura della discussione, una parte
costituita a mezzo di procuratore, il quale non abbia dichiarato
in udienza né abbia notificato alle altre parti l'evento, è
ammissibile l'atto di impugnazione notificato, ai sensi del 1"
comma dell'art. 330 c.p.c., presso il procuratore, alla parte
deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia
avuto aliunde conoscenza dell'evento. (3)
(1-3) I. - Con le tre decisioni qui riportate le sezioni unite prendono
posizione sul tormentato problema delle conseguenze — ai fini della
legittimazione alla recezione della notificazione della sentenza, della
legittimazione passiva alla impugnazione e del soggetto legittimato alla
impugnazione — della morte o perdita di capacità della parte costituita mediante procuratore, avvenuta nel corso di un grado di
merito del processo prima della chiusura della discussione, ove l'evento
interruttivo non sia stato dichiarato in udienza o notificato alle altre
parti dal procuratore costituito. Mentre Cass. 1228/84 contiene una accurata analisi dei precedenti in
tema di notificazione dell'impugnazione, presso il procuratore, alla
parte deceduta o divenuta incapace (o al legale rappresentante della
parte divenuta capace); Cass. 1229/84 si limita a dare atto dell'orien tamento giurisprudenziale nettamente prevalente nel senso di escludere
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