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Sezioni unite civili; sentenza 27 febbraio 1984, n. 1377; Pres. Gambogi, Est. Virgilio, P. M. Miccio...

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Sezioni unite civili; sentenza 27 febbraio 1984, n. 1377; Pres. Gambogi, Est. Virgilio, P. M. Miccio (concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Angelini Rota) c. Cassa di risparmio di Volterra. Conferma Comm. trib. centrale 16 maggio 1979, n. 1329 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 949/950-953/954 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175959 . Accessed: 24/06/2014 22:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.128 on Tue, 24 Jun 2014 22:47:55 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 27 febbraio 1984, n. 1377; Pres. Gambogi, Est. Virgilio, P. M.Miccio (concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Angelini Rota) c. Cassa di risparmio diVolterra. Conferma Comm. trib. centrale 16 maggio 1979, n. 1329Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 949/950-953/954Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175959 .

Accessed: 24/06/2014 22:47

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'esigenza, nella soggetta materia, di riferirsi esclusivamente agli istituti propri del trattamento di quiescenza previsto per i dipen denti del determinato ente di cui si tratta.

In proposito è opportuno accennare come sia un incontro

vertibile dato di fatto e di diritto che nella molteplicità degli enti

pubblici esistenti nell'ordinamento sia e possa essere diversa, da

ente ad ente, la disciplina del trattamento di quiescenza, o per

precise disposizioni di legge o per regolamenti degli enti o per le

normative contrattuali collettive, espressamente richiamate dal

menzionato art. 4.

Avendo riguardo alla fattispecie, i dipendenti dei consorzi di

bonifica fruiscono di un trattamento di quiescenza di fine rappor to consistente essenzialmente nella pensione a totale carico del

consorzio, il che si inquadra, come osserva la citata sentenza

delle sezioni unite del Supremo collegio, in una forma di previ denza equivalente all'indennità di anzianità (art. 2120 c.c.), quale

appunto è la pensione; né peraltro viene contestato dall'I.n.p.s. che il trattamento di quiescenza dei dipendenti dai consorzi sia

favorevole al lavoratore che va in pensione. Pertanto, posto

quanto sopra, non c'è dubbio che sul trattamento di quiescenza da cessato rapporto di lavoro siano dovuti ex lege i « benefici

combattentistici »; ma pretenderne l'estensione al trattamento

pensionistico derivante dall'assicurazione generale obbligatoria

I.n.p.s., senza che esigenza logica o quasi identità di situazioni

giuridiche lo autorizzino, è del tutto arbitrario.

Ed infatti la pensione proveniente dall'assicurazione generale

obbligatoria si fonda su una base contributiva raggiunta, su un

determinato numero di anni dalla costituzione del rapporto (che è

di natura assicurativa: arg. ex art. 1886 c.c.) e sul raggiungimen to di un determinato limite di età; mentre il trattamento di

quiescenza per il lavoratore, quando il rapporto di lavoro viene a

cessare, è strettamente connesso, in situazione di dipendenza, a

tale rapporto medesimo: come si evince dall'art. 2120 c.c. in

relazione all'alinea dell'art. 2121 c.c., nonché dagli ultimi due

capoversi dell'art. 10 r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825 (e successiva

modifica di cui alla 1. 18 dicembre 1960 n. 1581).

Pertanto, nel silenzio della legge n. 336/70, posto bene in

chiaro dalle ricordate sentenze del Supremo collegio, e considera

ta la diversità di struttura dei due istituti in questione, la

pensione da assicurazione generale obbligatoria e il trattamento di

quiescenza a fine rapporto di lavoro, deve altresì' escludersi la

possibilità di interpretazione estensiva od analogica della 1. n.

336/70. Del resto, neanche nella 1. n. 824/71, integrativa della 1.

336/70, si trova alcun riferimento al trattamento pensionistico dell'assicurazione generale obbligatoria I.n.p.s.

Al riguardo si osserva che in detta legge (come del resto in

quella del 1970) la ricorrente espressione « servizio », riferita ai

destinatari del benefici combattentistici (indicati univocamente

come « dipendenti »), non conforta certamente la tesi sostenuta

dall'I.n.p.s., poiché senza dubbio fra lo stesso I.n.p.s. e la

generalità degli assicurati obbligatoriamente ex lege non esiste

rapporto di servizio ovvero dipendenza alcuna.

Neppure il riferimento alPLn.p.s. di cui al cpv. dell'art. 6 1. n.

824/71 suffraga la tesi del ricorrente.

È nota infatti l'esistenza, nell'ambito dell'I.n.p.s., accanto al

regime generale dell'assicurazione generale obbligatoria concernen

te appunto la generalità dei lavoratori dipendenti ed autonomi

assicurati ex lege, anche di numerosi regimi speciali (sorti per

ragioni diverse, anche meramente contingenti) sostitutivi od inte

grativi di quello generale: tali regimi riguardano particolari

categorie di lavoratori.

Posto quanto sopra, considerando che il primo capoverso

dell'art. 6 stabilisce una situazione di parità fra l'I.n.p.s., indicato

infatti insieme con altri enti, e questi stessi, certamente erogatori di trattamento per fine rapporto di lavoro, ma non della pensione

proveniente dall'assicurazione generale obbligatoria istituzional

mente affidata solo all'I.n.p.s., si deve concludere che in tale art.

6 l'I.n.p.s. è preso in considerazione esclusivamente come gestore dei fondi speciali poco sopra ricordati, fondi erogatori del tratta

mento dovuto per fine rapporto di lavoro agli iscritti: sicché ogni

problema di benefici combattentistici da aggiungere al trattamento

previdenziale pensionistico proveniente dall'assicurazione generale

obbligatoria resta fuori causa.

Segnatamente, assumere come fa il ricorrente, nel tentativo di

far rientrare nel 1° cpv. dell'art. 6 anche l'I.n.p.s quale erogatore

della pensione di assicurazione generale obbligatoria, che l'istituto

non gestisca affatto uno specifico trattamento di quiescenza per numerosi enti, ma gestisca solo l'assicurazione generale obbligato

ria e le sue forme sostitutive ed integrative, non è esatto: resta

incontestabile, infatti, che i c.d. fondi speciali, integrativi o

sostitutivi che siano, presso l'I.n.p.s. erogano agli iscritti il tratta

mento di quiescenza per fine rapporto di lavoro, tale essendo la

loro peculiare destinazione.

Che, anzi, a volte si pone una relazione fra un determinato

fondo ed il contratto collettivo di settore sul trattamento di « fine

lavoro » dei lavoratori, vale a dire con possibilità per questi ultimi di opzione o per il trattamento previsto dalla normativa

collettiva ovvero per quello del fondo (cfr. art. 31 1. 31 marzo

1956 n. 293 per il personale dell'E.n.el. e delle aziende elettriche

private). Infine si deve aggiungere che, qualora rispondesse al

vero la tesi del ricorrente, il legislatore nella 1. n. 336/70 e nella

1. n. 824/71 (attuativa, modificativa ed integrativa della prima) avrebbe reso palese la sua volontà data l'imponenza della que stione e la complessa e multiforme gestione I.n.p.s.; non avrebbe

mancato di porre un cenno normativo e chiarificatore; il legisla tore avrebbe stabilito, fra l'altro, in maniera categorica l'arco di

tempo in cui l'I.n.p.s. quale gestore dell'assicurazione generale

obbligatoria dovesse rientrare nelle somme che aveva anticipato

(2° cpv. dell'art. 6); avrebbe stabilito se i fondi necessari a termine

del succitato art. 6, cpv., fossero da attingersi dal « fondo pensioni dei lavoratori dipendenti » (art. 12 d.p.r. 30 aprile 1970 n. 639)

oppure altrove; e soprattutto avrebbe espressamente precisato se i

benefici combattenstici fossero da applicare alla sola pensione di

vecchiaia e non anche a quella di anzianità (art. 22 1. 30 aprile 1969 n. 153) o di invalidità.

Nessun cenno in proposito si ritrova nelle due leggi del 1970 e

del 1971: sicché in definitiva è da escludere, anche in relazione a

quanto dianzi detto, che dall'interpretazione dell'art. 6 succitato

possa desumersi l'intenzione legislativa di concedere benefici

combattentistici anche sulla pensione dell'assicurazione generale

obbligatoria. Orbene l'impugnata sentenza, con motivazione immune da vizi

logico-giuridici, esattamente ed esaurientemente interprentando,

contrariamente a quanto si afferma in ricorso, i testi legislativi

concernenti la soggetta materia, ha rigettato, in piena conformità

con quanto statuito dalla citata sentenza delle sezioni unite,

l'appello proposto dall'istituto.

E in aggiunta a quanto già osservato in ordine alle deduzioni

del ricorrente occorre dire che l'impugnativa della sentenza quivi

in esame si risolve in una mera interpretazione di comodo dei

testi legislativi suddetti senza riuscire a dimostrare quali sarebbe

ro, in sede di giudizio di merito, le violazioni commesse relati

vamente alle norme citate dal ricorrente in adempimento di

quanto dispone l'art. 366, n. 4, c.p.c. In particolare si palesa apodittica l'affermazione che i due

istituti inerenti il rapporto di lavoro, ossia la pensione e l'inden

nità di anzianità, siano previsti da norme inderogabili.

Di vero l'art. 2120 c.c. prevede esclusivamente l'indennità di

anzianità e ne autorizza la sostituzione con forme equivalenti,

dando, peraltro, spazio in tale maniera all'autonomia contrattuale

collettiva nelle sue scelte.

Né può ricevere consenso l'indimostrata affermazione secondo

cui la pensione corrisposta dal consorzio, come trattamento di

quiescenza da fine rapporto, sarebbe in sostanza solo un'indennità

di anzianità impropriamente chiamata pensione e derivante da un

trattamento volontario « integrativo », fatto dal consorzio, rispetto

alla pensione da assicurazione generale obbligatoria; anzi occorre

al riguardo considerare che, nella soggetta materia, l'esistenza di

un fondo integrativo deve essere dimostrata ponendo l'accento

prioritariamente sulla sua costituzione (quale ne sia la forma),

conformemente a quanto deve dedursi, fra l'altro, anche dall'art.

15, 5° comma, 1. 20 febbraio 1958 n. 5, citato dal ricorrente.

Da ultimo, a nulla rileva il sostenere, in ordine all'assicurazione

generale obbligatoria, la sua natura di « denominatore comune »

di tutti i trattamenti previdenziali previsti dall'ordinamento: a

nulla rileva, poiché, in ogni caso, ciò non toglie che i benefici

previsti dalle 1. n. 336/70 e n. 824/71 siano applicabili, in forza

di quanto suesposto e considerato, unicamente al trattamento

spettante al lavoratore dipendente per fine rapporto di lavoro e

non alla pensione previdenziale derivante dall'assicurazione obbli

gatoria gestita dall'I .n.p.s. Pertanto il motivo del ricorso deve essere rigettato e con ciò

stesso il ricorso medesimo. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 27 feb

braio 1984, n. 1377; Pres. Gambogi, Est. Virgilio, P. M. Mic

cio (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Angelini

Rota) c. Cassa di risparmio di Volterra. Conferma Comm. trib.

centrale 16 maggio 1979, n. 1329.

Entrata (imposta sulla) — Assegni bancari I.c.c.r.i. — Importi

liquidati dalPI.c.c.r.i. a favore delle casse di risparmio —

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PARTE PRIMA

Assoggettabilità — Esclusione (L. 19 giugno 1940, n. 762, conversione in legge del r.d.l. 9 gennaio 1940 n. 2, istituzione

dell'i.g.e., art. 1).

Gli importi liquidati dall'Istituto di credito delle casse di rispar mio italiane alla singole casse di risparmio in relazione al

servizio di emissione e pagamento di assegni tratti da queste sull'istituto vanno configurati come interessi derivanti da rap

porti di conto corrente; pertanto è esclusa la loro assoggettabi lità all'i.g.e. ai sensi dell'art. 1, lett. f), l. 19 giugno 1940 n.

762.(1)

Svolgimento del processo. — Con decisione del 13 luglio 1977

la commissione tributaria di II grado di Pisa respingeva l'appello

proposto dall'ufficio del registro di Volterra avverso la decisione

della commissione provinciale che aveva accolto il ricorso della

Cassa di risparmio di Volterra tendente alla declaratoria di

illegttimità della pretesa dell'ufficio di assoggettare all'i.g.e., per

gli anni dal 1968 al 1972, le somme che la cassa aveva riscosso

dal proprio istituto centrale di categoria (Istituto di credito delle

casse di risparmio italiane - I.c.c.r.i.) a titolo di interessi sulle

giacenze giornaliere dei mezzi finanziari procurati all'istituto at

traverso l'emissione di assegni iltalcasse per suo conto.

Su ricorso proposto dall'ufficio, la Commissione tributaria cen

trale con la decisione del 16 maggio 1979, ora impugnata, confermava la statuizione anzidetta sulla base di queste argomen tazioni: a) le somme sulle quali si faceva valere la pretesa fiscale

hanno natura e carattere di interessi su conti correnti reciproci fra istituti di credito; b) le casse di risparmio procedono all'ac

creditamento, in favore dell'istituto, delle somme versate dai

clienti per la emissione di assegni, mentre vengono addebitati gli

importi pagati a vista ai portatori dei titoli; c) l'istituto corri

sponde alle casse di risparmio gli interessi per i giorni effettivi di

circolazione degli assegni, cioè per il tempo durante il quale l'istituto ha la disponibilità della valuta.

Avverso la indicata decisione l'amministrazione delle finanze ha

proposto ricorso per cassazione con unico motivo, illustrato anche

con memoria. La Cassa di risparmio di Volterra non si è

costituita in questa sede.

Motivi della decisione. — Deduce la ricorrente che erronea

mente la Commisione tributaria centrale ha attribuito natura di

interessi (corrisposti dall'I.c.c.r.i. alle casse di risparmio) alle

somme versate dall'istituto alle dette casse, mentre avrebbe dovu

to ritenere che le casse assumono — rispetto alle indicate somme — la qualità non di creditore e di depositante, bensì di deposita rio e di debitore, e sono perciò tenute a corrispondere all'istituto

(depositante) i relativi interessi, e non già a riscuoterli.

Per tali ragioni, le somme percepite dalle casse di risparmio vanno assoggettate all'i.g.e., in quanto esse hanno necessariamente

natura di corrispettivi di un servizio (art. 3 1. 19 giugno 1940 n.

762). Le sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi su una

questione decisa in modo non uniforme dalla prima sezione civile

della corte.

Con le sentenze n. 933 del 1979 (Foro it., Rep. 1979, voce En

trata (imposta), n. 9) e n. 2404 del 1980 (id., Rep. 1980, voce

Complementare sul reddito (imposta), n. 2) è stato affermato

(1) Le sezioni unite, intervengono a dirimere il contrasto giurispru denziale sorto in ordine alla qualificazione, ai fini della assoggettabilità all'i.g.e., degli importi liquidati dall'I.c.c.r.i alle singole casse di

risparmio per il servizio di emissione e pagamento assegni. I giudici, dopo aver ripercorso il travaglio della I sezione della corte di

legittimità, hanno concluso per l'applicabilità a detti proventi dell'esen zione fiscale, ex art. 1, lett. /), 1. 762/40, accogliendo quindi la tesi di Cass. 1° luglio 1982, n. 3951, Foro it., Rep. 1982, voce Entrata

(imposta sulla), n. 9, e 17 giugno 1981, n. 3938, id., 1983, I, 104, con nota di richiami di Pascuzzi, oltre che per l'indicazione delle puntate precedenti della vicenda, anche per l'annotazione di Cass. 29 giugno 1982, n. 3898, ivi riportata (alla quale sono conformi le sentenze nn.

3899, 3900, 3901 in pari data depositate) che aveva affermato il principio secondo il quale le somme versate dall'I.c.c.r.i. erano

assoggettabili ad i.g.e. ai sensi dell'art. 3, lett. c), 1. 726/40. La sentenza in epigrafe, per esplicita ammissione, è risolta in chiave

tutta fiscale e non si occupa, come invece era avvenuto ad es. in Cass.

3938/81 della qualificazione dell'assegno I.c.c.r.i. A questo proposito va ricordato che la vicenda è sorta in relazione ai vecchi assegni I.c.c.r.i., di recente sostituiti da assegni circolari come illustrato nella citata nota a Cass. 3898/82 e 3938/81.

Nello stesso senso della massima v. anche Comm. trib. centrale 18 marzo 1982, n. 1395, id., Rep. 1982, voce cit., n. 10.

Sull'indagine che il giudice di merito è tenuto a compiere ai fini della qualificazione delle somme in questione v. Cass. 19 maggio 1981, n. 3293, ibid., n. 11.

In dottrina, in argomento, v. Gianfelici, Sull'assoggettabilità ad

i.g.e. dei compensi corrisposti per il servizio di emissione e pagamento assegni, in Dir. e pratica trib., 1982, II, 775.

che le somme corrisposte dall'Istituto di credito delle casse

di risparmio italiane a una cassa di risparmio per il servizio di

emissione e di pagamento di assegni da essa tratti, a richiesta dei

olienti, sull'istituto medesimo rappresentano non già interessi do

vuti su un deposito in conto corrente, ma si configurano come

compensi pagati dall'I .c.c.r.i. per l'espletamento della indicata

attività giuridica, in forza di un rapporto di mandato, e perciò le somme anzidette sono assoggettabili all'i.g.e. a norma dell'art. 3

r.d.l. 9 gennaio 1940 n. 2, convertito nella 1. 19 giugno 1740 n. 762.

Con le sentenze n. 3898 del 1982 (id., 1983, I, 104), n. 3899, 3900 e 3901 del 1982 (id., Rep. 1982, voce Entrata (impo sta), nn. 6-8) è stata egualmente affermata la tassabilità delle

stesse somme in quanto non costituiscono interessi di puro

impiego di capitale, rientranti nella esenzione di cui all'art. 1, lett. /, r.d. 1. n. 2 del 1940, ma utili inerenti all'attività imprendi toriale della cassa di risparmio, cioè interessi alla produzione dei

quali concorrono insieme capitale e lavoro, come tali compresi nella categoria B dell'art. 85 d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, ai fini

dell'imposta di ricchezza mobile.

Con le sentenze n. 3938 del 1981 {id., 1982, I, 104) e n. 3951

del 1982 i(id., Rep. 1982, voce cit., n. 9) è stato invece ritenuto

che le somme liquidate dall'I .c.c.r.i. a una cassa di risparmio sul

conto particolare relativo alla emissione ed estinzione di assegni tratti dalla cassa sull'istituto, a richiesta dei clienti, corrispondono a un credito della cassa per il capitale versato dal cliente e

fornito al trattario (I.c.c.r.i.) a copertura degli assegni, con la

funzione di corrispettivo per l'uso di tale capitale: corrispettivo determinato in rapporto al periodo di circolazione dei titoli, e

pertanto le somme stesse configurano interessi su movimenti di

capitale, non computati nel conto generale esistente tra i due

istituti, esenti da i.g.e. secondo l'art. 1, 1° comma, lett. f, r.d.l. n.

2 del 1940.

Delineato il panorama della giurisprudenza di questa corte sul

complesso problema, le sezioni unite ritengono di dover premette re che nella presente controversia non esiste, sul piano del

concreto svolgimento del rapporto tra -I.c.c.r.i. {che ha versato le

somme della cui tassabilità si discute) e l'istituto bancario credi

tore (che le ha riscosse), alcuna sostanziale contestazione che

possa involgere indagini di fatto rilevanti ai fini della decisione.

Secondo gli elementi concreti esposti (o presupposti) nella

statuizione impugnata, il rapporto tra i due istituti si è svolto

(relativamente al fenomeno versamento-riscossione della somme in

esame) attraverso momenti che possono essere cosi' descritti: 1)

versamento, da parte del cliente, dell'importo degli assegni ri

chiesti ed emissione immediata dei titoli ad opera della cassa di

risparmio con contestuale accreditamento (nel giorno stesso) del

l'importo stesso all'I.c.c.r.i. (trattario) e correlativo addebito a

proprio carico, quale normale traente, nel conto generale esistente

tra i due istituti, in cui sono contabilizzate anche tutte le altre

operazioni bancarie svoltesi tra essi; 2) dalla data di accredita

mento, pur mancando una materiale trasmissione di denaro, l'I.c.c.r.i. poteva liberamente disporre ai suoi fini, per operazioni anche diverse, della valuta versata dal cliente alla cassa; 3) il

pagamento degli assegni poteva essere effettuato non soltanto dal

trattario (I.c.c.r.i.), ma anche dalla medesima cassa emittente co

me da ognuna delle altre casse consorziate con l'I.c.c.r.i., le quali ultime erano autorizzate, in virtù di un mandato extracartolare, ad estinguere l'assegno per conto del trattario, cioè con pagamen to da valere come fatto di quest'ultimo; 4) tale pagamento era

registrato nella stessa data a debito dell'I.c.c.r.i., per conto del

quale era effettuato, e a credito della cassa che aveva estinto

l'assegno; 5) per ciascuna cassa o istituto consorziato l'I.c.c.r.i., oltre il conto generale, manteneva un altro conto particolare sul

movimento degli assegni, nel quale erano annotati soltanto i

movimenti di valuta relativi alle emissioni e alle estinzioni degli

assegni tratti da una stessa cassa (anche se i titoli fossero stati

poi estinti da altre casse) con annotazioni inverse rispetto a

quelle del conto generale, nel senso cioè che nel giorno di

emissione la somma corrispondente a ciascun assegno era registra ta a credito della cassa emittente, mentre la stessa somma era

registrata a debito nel giorno in cui si verificava l'estinzione del

titolo, in modo da evidenziare — per ciascuna cassa — la durata

della circolazione di ciascun assegno emesso dalla medesima

cassa, cioè il periodo di tempo (intercorrente tra la data di

emissione e quella di estinzione del titolo) durante il quale il

trattario I.c.c.r.i. aveva avuto la disponibilità della provvista; 6) interessi calcolati secondo i normali criteri erano contabilizzati sia

nel conto generale che in quello particolare: nel primo venivano annotate tutte indistintamente le operazioni intercorse tra i due

istituti, per cui il conguaglio degli interessi poteva presentarsi in

attivo o in passivo (a credito o a debito) per ciascuna cassa a

seconda dello sbilancio giornaliero, ma nel detto conto generale relativamente e limitatamente al movimento degli assegni matura

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

vano interessi generalmente passivi per le casse, in quanto le

emissioni di assegni costituivano appunto poste passive del conto e determinavano perciò altrettanti debiti, per i relativi importi, della cassa verso l'I.c.c.r.i.; nel conto particolare invece, riguar dante esclusivamente i movimenti di valuta degli assegni emessi dalla medesima cassa, gli interessi erano generalmente attivi per quest'ultima perché in tale conto particolare le emissioni venivano

annotate come partite attive per la cassa, la quale in tal modo

risultava creditrice dell'I.c.c.r.i. dell'importo degli assegni in circo

lazione e finché durava la circolazione.

Sulla base di questo meccanismo paradigmatico, il quale ripro duce adeguatamente il fenomeno economico che qui interessa, va

affrontata e risolta la questione della assoggettabilità all'i.g.e. delle

somme liquidate dall'I .c.c.r.i alle casse di risparmio o ad altri

istituti convenzionati a titolo di interessi per la valuta rimasta « giacente » durante la circolazione degli assegni.

Il quesito consiste nello stabilire se anche a tali interessi, come

per quelli risultanti dal conto generale esistente tra i due istituti

di credito, possa ritenersi applicabile la norma di esenzione di cui

all'art. 1, 2° comma, lett. /, r.d.l. n. 2 del 1940, la quale menziona « gli interessi derivanti dal puro impiego di capitale, classificabili

agli effetti dell'imposta di ricchezza mobile in categoria A, i

dividendi e gli interessi derivanti dall'impiego di capitali in titoli

dello Stato, di altri enti pubblici e delle società per azioni, nonché gli interessi derivanti da depositi bancari o da rapporti di

conto corrente, nonché quelli derivanti da risconto tra aziende di

credito o da risconto o anticipazioni presso l'istituto di emis

sione ».

Queste sezioni unite ritengono che il contrasto giurisprudenzia le vada risolto in senso conforme alla tesi accolta nelle sentenze

n. 3938 del 1981 e n. 3951 del 1982, con le quali è stata

affermata l'applicabilità agli interessi di cui si discute della

esenzione fiscale.

Poiché la questione costituente oggetto di dibattito ha natura

esclusivamente tributaria, essa va esaminata con riferimento agli

aspetti peculiari che tale natura comporta. Dal concreto meccanismo delle operazioni intercorse tra

l'I.c.c.r.i. e le casse di risparmio o altri istituti convenzionati

risulta che la precipua finalità del cosiddetto « conto speciale

assegni » era quella di evidenziare per quanto tempo, rispetto a

ciascun assegno, fosse rimasta « giacente » — presso l'istituto che

aveva emesso il titolo — la somma versata dal cliente, onde

poter calcolare gli interessi dovuti dall'I.c.c.r.i. sulla somma stessa

nel periodo compreso tra data di emissione e data di estinzione

di ogni assegno. In definitiva, poiché la coesistenza e le interferenze tra i due

conti (generale e speciale) determinavano una situazione anomala, sul piano economico, perché nel primo conto, attraverso l'imme

diato accreditamento all'I .c.c.r.i. delle somme versate dai clienti,

le casse di risparmio risultavano prevalentemente a debito (in

quanto il numero delle emissioni di assegni superava di regola,

per ciascun istituto, quello delle estinzioni di eguali titoli), le

parti intesero ovviare alla detta situazione con il sistema del

conto speciale, che rifletteva unicamente la reale posizione delle

due banche circa il movimento degli assegni. Il conto speciale era preordinato a una funzione di riequilibrio

della situazione, al fine di evitare che l'I.c.c.r.i. — per il periodo di tempo compreso tra data di emissione e data di estinzione

di ciascun assegno — cumulasse sostanzialmente due vantaggi, cioè la disponibilità della valuta, che gli era immediatamente

accreditata e della quale poteva liberamente disporre, e la perce zione degli interessi relativi, in quanto in base all'accredito delle

somme nel conto generale l'istituto figurava creditore nei confron

ti delle casse.

Questa situazione, che evidenzia il fenomeno economico nella

sua vera essenza, è sufficiente a far ritenere che le somme versate

dell'I.c.c.r.i. alle casse, in base al conteggio risultante dal conto

speciale, vanno annoverate, agli effetti che qui interessano, nel

l'ambito di applicazione di cui all'art. 1, lett. /, r.d. 9 gennaio 1940 n. 2, convertito nella 1. 19 giugno 1940 n. 762.

Sulla qualificazione formale delle somme anzidette come inte

ressi non esiste sostanziale contrasto, perché non è contestato che

esse fossero commisurate alla entità delle somme rimaste giacenti nelle casse di risparmio a disposizione dell'I.c.c.r.i., e che fossero

inoltre calcolate in percentuale e con riguardo al tempo di

giacenza delle somme stesse, cioè con riferimento al momento

della consegna della valuta da parte del cliente, fino al momento

della estinzione del titolo.

Di fronte a questi chiari elementi rivelatori della natura delle

somme in esame i(che presentano i requisiti tipici degli interessi)

non è concettualmente possibile, in base al sostrato di fatto

costituente il presupposto della decisione impugnata, ritenere che

le indicate somme fossero destinate ad assolvere una funzione

diversa da quella di corrispettivo per il godimento del denaro, da

parte dell'I.c.c.r.i., nei termini indicati dal conto speciale. La norma della cui applicabilità alla fattispecie in esame si

discute (lett. / citata), oltre gli interessi derivanti dal puro

impiego di capitale, previsti all'inizio della disposizione, assogget ta a identica disciplina fiscale anche altre categorie di interessi, senza porre alcuna distinzione — per tali ulteriori categorie —

tra interessi classificabili in cat. A o B agli effetti della imposta di r.m.

Dalla struttura letterale della norma, nella quale è ripetuta più

volte la congiunzione « nonché », risulta chiaramente che le

numerose fattispecie di interessi previste nella complessa disposi zione sono state accomunate nel beneficio della esenzione, ma

sono state invece enucleate autonomamente quanto alle loro

connotazioni, per cui sarebbe arbitrario ritenere che a tutta la

gamma degli interessi previsti nella lettera / sia riferibile il

requisito della classificabilità in serie A per l'imposta della r.m.,

come è richiesto nella prima parte della norma soltanto per gli interessi derivanti dal puro impiego di capitale.

Sulla base di questi rilievi, e considerando inoltre che nella

lett. / dell'art. 1 r.d.l. n. 2 del 1940 non è stabilita alcuna

limitazione, con riguardo al caso degli interessi derivanti « da

rapporti di conto corrente », circa i requisiti soggettivi delle parti tra le quali il conto corrente si svolge, è evidente che anche per

gli istituti di credito vale la regola della esenzione, ove si tratti

appunto di interessi derivanti da rapporti di conto corrente.

Né alla previsione della norma (lett. /) può ritenersi comunque estranea la categoria degli interessi percepiti dalle aziende di

credito in conseguenza di operazioni bancarie, in quanto nella

stessa disposizione sono elencati gli interessi derivanti da « riscon

to tra aziende di credito o da risconto o anticipazioni presso l'istituto di emissione ».

In conclusione, una volta accertato che gli interessi di cui si

discute nella presente controversia trovano la loro collocazione,

agli effetti dell'imposta generale sull'entrata, nella esaminata nor

ma di esenzione (perché attinenti a rapporto di conto corrente tra

l'I.c.c.r.i. e le casse di risparmio o altri istituti convenzionati)

resta automaticamente esclusa la possibilità del loro inquadramen to nelle diverse ipotesi degli « interessi attivi a qualunque titolo

percepiti... da istituti e aziende in dipendenza dell'esercizio del

credito, non classificabili ai fini dell'imposta di r.m. in cat. A e

delle provvigioni e corrispettivi percetti per operazioni e servizi

compiuti a favore dei clienti » (previste dall'art. 3, lett. c, r.d. 1.

n. 2 del 1940 tra le entrate tassabili). Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 21 feb

braio 1984, n. 1248; Pres. Santulli, Est. Corsaro, P. M. Leo

(conci, conf.); Vergari ed altri (Avv. Vergari, Cassola) c.

I.n.p.s. (Avv. Petrina, Romoli, Del Vecchio). Conferma Trib.

Ancona 23 novembre 1977.

Previdenza sociale — Contributi — Esercenti attività professionali — Sgravio — Esclusione (D.l. 6 ottobre 1972 n. 552, ulteriori

provvidenze a favore delle popolazioni dei comuni delle Mar

che colpiti dal terremoto, art. 28; 1. 2 dicembre 1972 n. 734, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 6 ottobre

1972 n. 552, art. unico).

Il beneficio dello sgravio contributivo a favore delle aziende indu

striali, artigiane e commerciali operanti nel territorio delle Mar

che colpito da sisma non è applicabile agli esercenti attività pro

fessionali. (1)

Svolgimento del processo. — Vergari Luigi, (et coeteri) pro

fessionisti, ricorrevano al Pretore di Ancona, in data 12 febbraio

1976, per sentire dichiarare il diritto allo sgravio contributivo

previsto dall'art. 28 d.l. 6 ottobre 1972 n. 552, modificato dalla 1.

2 dicembre 1972 n. 734 e l'annullamento, siccome illegittimi, delle

prescrizioni e dei provvedimenti emessi nei loro confronti dal

l'I.n.p.s., sull'erroneo presupposto che il suddetto beneficio non

fosse applicabile ai liberi professionisti. Il convenuto I.n.p.s. si

costituiva in giudizio, per chiedere il rigetto delle domande. 11

pretore le accoglieva con sentenza del 5 dicembre 1976 (Foro it.,

(1) Non risultano precedenti in termini. La sentenza Pret. Ancona 6 dicembre 1976, Foro it., Rep.

1977, voce Previdenza sociale, n. 190, che ha deciso la questione in

primo grado in senso opposto alla Cassazione, si può leggere per esteso in Previdenza sociale, 1977, 650.

Il Foro Italiano — 1984 — Parte I-62.

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