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sezioni unite civili; sentenza 28 giugno 2006, n. 14850; Pres. Carbone, Est. Di Nanni, P.M. Palmieri...

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Page 1: sezioni unite civili; sentenza 28 giugno 2006, n. 14850; Pres. Carbone, Est. Di Nanni, P.M. Palmieri (concl. conf.); Argirò (Avv. Contaldi, Gallenca) c. Ordine dei medici chirurghi

sezioni unite civili; sentenza 28 giugno 2006, n. 14850; Pres. Carbone, Est. Di Nanni, P.M.Palmieri (concl. conf.); Argirò (Avv. Contaldi, Gallenca) c. Ordine dei medici chirurghi e degliodontoiatri della provincia di Torino (Avv. Longhin) e altri. Conferma Comm. centraleesercenti professioni sanitarie 21 luglio 2004, n. 28Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 12 (DICEMBRE 2006), pp. 3377/3378-3381/3382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201792 .

Accessed: 28/06/2014 09:09

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 28

giugno 2006, n. 14850; Pres. Carbone, Est. Di Nanni, P.M.

Palmieri (conci, conf.); Argirò (Avv. Contaldi, Gallenca) c. Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della pro vincia di Torino (Avv. Longhin) e altri. Conferma Comm.

centrale esercenti professioni sanitarie 21 luglio 2004, n. 28.

Professioni intellettuali — Sanitario — Provvedimento di

sciplinare — Sottoscrizione del presidente e del relatore —

Sufficienza (D.p.r. 5 aprile 1950 n. 221. approvazione del re

golamento per la esecuzione del d.leg.c.p.s. 13 settembre

1946 n. 233, sulla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse, art. 47).

Professioni intellettuali — Sanitario — Interdizione dai pubblici uffici — Sospensione di diritto — Applicazione (D.p.r. 5 aprile 1950 n. 221, art. 43).

Per la validità dei provvedimenti disciplinari, adottati dai con

sigli degli ordini nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie, è sufficiente la sottoscrizione del presidente e del

relatore. ( 1 ) Per l'applicazione della sospensione di diritto, conseguente al

l'interdizione dai pubblici uffici degli esercenti le professioni sanitarie, non occorre l'instaurazione del procedimento di

sciplinare, né quindi l'audizione dell'interessato. (2)

(1) Conf. Cass. 11 gennaio 2001, n. 323, Foro it.. Rep. 2001, voce

Professioni intellettuali, n. 165, con cui la terza sezione della corte aveva deciso che i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti de

gli esercenti le professioni sanitarie dai consigli dei loro ordini, stante la natura contenziosa, pur se amministrativa, del relativo procedimento, debbono essere firmati soltanto dal presidente e dall'estensore, in ap plicazione della regola stabilita per le sentenze dall'art. 132 c.p.c., co me modificato dall'art. 6 1. 8 agosto 1977 n. 532: regola da cui si è re

putato essere derivata l'illegittimità sopravvenuta dell'art. 47 del rego lamento approvato con d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221. il quale dispone che la decisione sia «sottoscritta da tutti i membri del consiglio che vi han no preso parte». A questo precedente le sezioni unite si sono senz'altro

uniformate, facendone propria la motivazione, in quanto hanno ritenuto insussistente il contrasto di giurisprudenza che erano state chiamate a

comporre, osservando che le successive altre sentenze della stessa terza sezione in materia «si proiettano verso . .. orizzonti diversi». Con tali

pronunce, tuttavia, non solo non era stata negata, ma anzi era stata

espressamente affermata la perdurante vigenza dell'art. 47 d.p.r. 221/50. essendosi deciso che la sottoscrizione di ognuno dei membri del collegio è necessaria, pur se non richiesta a pena di nullità (Cass. 15 novembre 2002, n. 16075, id., Rep. 2002, voce cit., n. 164), che la fir ma di tutti è indispensabile, a differenza di quella degli altri compo nenti del consiglio dell'ordine che non hanno partecipato alla decisione

(Cass. 11 giugno 2003, n. 9376, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 195), che le sottoscrizioni di coloro che hanno deliberato, anche se non su ogni fo

glio. vanno apposte su quello finale del provvedimento (Cass. 12 di

cembre 2003. n. 19048, ibid., n. 199). A Cass. 323/01 si era prontamente adeguata la Commissione centrale

per gli esercenti le professioni sanitarie, con le decisioni 12 febbraio

2001, n. 30, id.. Rep. 2001. voce cit., n. 164; 18 ottobre 2001, n. 201, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 173; 19 giugno 2002. n. 61. id.. Rep. 2003. voce cit., n. 61; 11 febbraio 2005, n. 3, id., Rep. 2005, voce cit., n. 161.

(2) Contra, Cass. 7 settembre 1990, n. 9228, Foro it., Rep. 1990, vo ce Professioni intellettuali, n. 128, non citata nella sentenza in rasse

gna, con cui le stesse sezioni unite avevano dato alla questione la solu zione opposta, avendo ritenuto illegittimo e quindi da disapplicare — in

quanto contrastante con il principio del divieto di ogni «automatismo» nel campo disciplinare, enunciato da Corte Cost. 14 ottobre 1988, n.

971, id., 1989, I, 22, con osservazioni di A. Romano e nota di Virga, a

proposito degli impiegati pubblici, e da Corte cost. 2 febbraio 1990. n.

40, id., 1990, I, 355. con osservazioni di C.M. Barone, a proposito dei

notai — l'art. 42 del regolamento approvato con il citato d.p.r. 221/50. nella parte in cui consente ai consigli degli ordini degli esercenti le pro fessioni sanitarie di irrogare ai loro iscritti de plano, senza necessità di

instaurare il procedimento disciplinare, la destituzione (come analoga mente è previsto dall'art. 43 per la sospensione), quale conseguenza «di

diritto» di taluni provvedimenti adottati dal giudice penale. Nel senso che anche in tali ipotesi si deve dare luogo a un ordinario

procedimento disciplinare, per valutare l'adeguatezza della misura nel

caso concreto, si era già pronunciata anche la Commissione centrale per

gli esercenti le professioni sanitarie, con decisione 10 giugno 1989. n.

9, id., Rep. 1990, voce cit., n. 131, poi ribadita con le decisioni 6 marzo

2001, n. 167, id.. Rep. 2002. voce cit.. n. 191; 13 dicembre 2002. n. 97.

id.. Rep. 2003. voce cit.. n. 214; I I febbraio 2005. n. 4. id.. Rep. 2005, voce cit.. n. 163.

Il Foro Italiano — 2006.

Svolgimento del processo. — 1. - L'Ordine dei medici chirur

ghi e odontoiatri della provincia di Torino, con deliberazione

del 12 agosto 2003, ha disposto la sospensione dall'esercizio

della professione del dott. Francesco Argirò ai sensi dell'art. 43

d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221, avendo preso atto che a carico del

proprio iscritto, condannato alla pena della reclusione, era stata

disposta l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.

2. - Il dott. Francesco Argirò ha impugnato il provvedimento davanti alla Commissione centrale per gli esercenti le professio ni sanitarie ed ha dedotto: che il d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221 non

attribuisce al consiglio dell'ordine dei medici il potere di adotta

re provvedimenti di sospensione cautelare prima che sia esperito un rituale procedimento disciplinare; che l'applicazione della

sanzione doveva essere preceduta dalla contestazione degli ad

debiti; che la deliberazione impugnata non recava la firma dei

componenti del consiglio dell'ordine che avevano partecipato alla deliberazione; che la sanzione superava la durata massima

della sanzione della sospensione. 3. - La commissione centrale ha rigettato il ricorso, dichia

rando che la sospensione prevista dall'art. 43 d.p.r. n. 221 del

1950 non ha natura di sanzione disciplinare, ma cautelativa e

che ad essa non si applicano le garanzie del procedimento disci

plinare. In particolare, la commissione ha ricavato l'inapplica bilità alla fattispecie della disposizione dell'art. 47 citato de

creto n. 221 del 1950, nella parte in cui stabilisce che la deci

sione deve essere sottoscritta da tutti i suoi componenti, dalla

natura amministrativa della decisione.

4. - Il dott. Francesco Argirò ha proposto ricorso per cassa

zione.

Resiste con controricorso l'Ordine dei medici chirurghi e

odontoiatri della provincia di Torino.

Le parti hanno depositato anche memorie.

Gli intimati, Commissione centrale per gli esercenti le profes sioni sanitarie, procuratore generale presso la Corte di cassazio

ne, procuratore della repubblica presso il Tribunale di Torino,

ministero della salute e prefetto di Torino, non hanno svolto at

tività difensiva.

Il ricorso è stato assegnato a queste sezioni unite per compor re un contrasto di giurisprudenza sulla validità delle decisioni

dell'organo disciplinare non sottoscritta da tutti i componenti del collegio disciplinare.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor

so è denunciata violazione dell'art. 47 d.p.r. 5 aprile 1950 n.

221. Il ricorrente, richiamato il tenore letterale di questa norma,

sostiene che la sua inosservanza aveva determinato non solo

l'illegittimità della deliberazione, ma la radicale nullità.

Il dott. Argirò davanti al consiglio dell'ordine di Torino ave

va dedotto che la deliberazione adottata non recava la firma dei

componenti il consiglio dell'ordine che avevano partecipato alla

deliberazione medesima.

La commissione centrale ha dichiarato che l'art. 47 d.p.r. n.

221 del 1950 non si applica alle decisioni conclusive di proce dimenti amministrativi di tipo contenzioso, per le quali è suffi

ciente la sottoscrizione del presidente e dell'estensore.

Il motivo non è fondato.

1.1. - L'art. 47 d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221 è del seguente teno

re: «La decisione [del consiglio dell'ordine, n.d.r.] deve, a pena di nullità, contenere l'indicazione della data in cui è stata adot

tata, dei fatti addebitati e delle prove assunte, l'esposizione dei

motivi ed il dispositivo. È sottoscritta da tutti i membri del con

siglio che vi hanno preso parte. La decisione è pubblicata me

diante deposito dell'originale negli uffici di segreteria che prov vede a notificarne copia all'interessato» (1° comma). «Le dispo sizioni dei commi precedenti si osservano, in quanto applicabili,

per i provvedimenti di radiazione dall'albo o di sospensione dall'esercizio professionale, da adottarsi ai sensi dei precedenti art. 42 e 43» (2° comma).

Gli art. 42 e 43 si riferiscono, rispettivamente, alla sanzione

disciplinare della radiazione dall'albo ed alla sospensione c.d. di

diritto. 1.1.1. - L'art. 47 cit., nella parte in cui stabilisce che la deci

sione del consiglio è sottoscritta da tutti i membri del consiglio che vi hanno preso parte, è stato già esaminato da questa corte

con le pronunce di seguito indicate.

1.1.2. - Con la sentenza 11 gennaio 2001, n. 323 (Foro it.,

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PARTE PRIMA 3380

Rep. 2001, voce Professioni intellettuali, n. 165), è stato rite

nuto che, nell'ambito del procedimento disciplinare nei con

fronti degli esercenti professioni sanitarie il quale ha natura

amministrativa, la norma regolamentare del citato art. 47 deve

essere disapplicata, in ragione del sopravvenuto contrasto con

un principio generale dell'ordinamento, perche' è sufficiente la

sottoscrizione del presidente e dell'estensore, in conformità alla

disciplina generale prevista per le decisioni di natura giurisdi zionale, da valere anche per le decisioni conclusive di procedi menti amministrativi di tipo contenzioso, qual è il procedimento

disciplinare. La decisione, seguendo il paradigma della sentenza resa in

sede giurisdizionale, per la quale il testo dell'originario art. 132,

3° comma, c.p.c. richiedeva per le sentenze civili la completez za della sottoscrizione dei giudici componenti il collegio, ha di

chiarato che l'interpretazione dell'art. 47 cit., secondo il quale

l'incompletezza della sottoscrizione costituisce vizio di legitti mità dell'atto. Nondimeno, secondo la decisione, il quadro ordi

namentale nel quale è nata la norma è mutato con la 1. 8 agosto 1977 n. 532. la quale ha modificato il citato art. 132 nel senso

che le sentenze rese da un giudice collegiale, le quali costitui

scono il paradigma al quale si è ispirato il citato art. 47. devono

essere sottoscritte soltanto dal presidente e dall'estensore. Nel

vigente ordinamento, quindi, il requisito della completezza della

sottoscrizione della decisione disciplinare non può più essere

inteso nel senso che la mancanza della sottoscrizione di tutti i

componenti il collegio determina vizio di violazione di legge,

poiché alla norma regolamentare non è consentito discostarsi

dal principio generale dell'ordinamento prima indicato. Dalla

premessa è ricavato che la sottoscrizione della deliberazione di

sciplinare solo da parte del presidente e dell'estensore è suffi

ciente avuto riguardo ad evidenti esigenze di semplificazione nella formazione dell'atto che racchiude la decisione e conside

rando che la completezza della sottoscrizione delle sentenze non

è funzionale ad esigenze di tutela delle parti del giudizio o di

corretto svolgimento del processo. 1.1.3. - Con la sentenza 15 novembre 2002, n. 16075 (id.,

Rep. 2002. voce cit., n. 164), è stato affermato che l'art. 47 cit.

indica sì, i requisiti che la decisione disciplinare deve contenere

a pena di nullità, ma a parte e successivamente aggiunge la pre scrizione relativa alla sottoscrizione di tutti i membri del colle

gio che vi hanno preso parte, non ricollegando a questa prescri zione la sanzione della nullità, la quale si riferisce ai soli requi siti della data della decisione, dei fatti addebitati, delle prove as

sunte. dei motivi e del dispositivo e non all'obbligo di sottoscri

zione da parte di tutti i membri del collegio. Queste considera

zioni sono svolte per escludere che l'obbligo della sottoscrizio

ne si riferisca anche alla copia notificata all'interessato.

1.1.4. - La sentenza 11 giugno 2003, n. 9376 (id.. Rep. 2004.

voce cit., n. 195) contiene analogo riferimento all'art. 47 cit..

nel senso che vi è disposto che la deliberazione disciplinare de

ve essere sottoscritta da tutti coloro che l'hanno adottata e non

da tutti i componenti il consiglio dell'ordine, perché gli organi di disciplina professionale non sono collegi perfetti.

1.1.5. - Nella sentenza 12 dicembre 2003. n. 19048 {ibid., n.

199), infine, è richiamato il dato normativo, che le deliberazioni

in materia disciplinare sono sottoscritte da tutti coloro che le

hanno adottate, ma l'affermazione è resa per esprimere il prin

cipio che la sottoscrizione di tutti coloro che hanno partecipato alla seduta disciplinare non deve figurare in ciascun foglio della

decisione.

1.2. - Queste sezioni unite rilevano che dalle decisioni indi

cate non si ricava l'esistenza di un contrasto sul problema di di

ritto posto dal motivo che si sta esaminando, costituito dalla va

lidità della deliberazione della sospensione sottoscritta dal solo

presidente ed estensore.

Si è visto, infatti, che, tranne la sentenza 11 gennaio 2001, n.

323, le altre non si pongono il problema della validità della de

liberazione di sospensione cautelare, adottata dal consiglio del

l'ordine dei medici chirurghi e odontoiatri, che sia stata sotto

scritta solo dal presidente e dall'estensore.

L'art. 47 d.p.r. n. 221 del 1950, quindi, deve essere interpre tato nel senso che, ai fini della validità della decisione discipli nare, è sufficiente la sola sottoscrizione del presidente e dell'e

stensore, come già ritenuto da Cass. n. 323 del 2001.

Rispetto a questo principio le decisioni indicate come contra

II Foro Italiano — 2006.

rie. infatti, si proiettano verso gli orizzonti diversi della neces

sità della sottoscrizione di tutti i partecipanti alla decisione an

che nella copia notificata all'interessato, della non necessità

della sottoscrizione di tutti i componenti del consiglio dell'ordi

ne; della necessità della sottoscrizione di tutti coloro che hanno

adottato la deliberazione in ciascun foglio della deliberazione

medesima.

Si consideri anche che le discipline riguardanti altri ordini

professionali, come gli avvocati o gli ingegneri, non offrono

spunti per una differente riflessione, perché per questi profes sionisti sono previsti organi disciplinari speciali e diversi dal

l'ordine di rispettiva appartenenza. 2. - Con il secondo motivo il ricorrente si riferisce al punto

della decisione in cui alla sospensione inflitta è stata attribuita

natura cautelare. Egli sostiene che il provvedimento adottato a

suo carico ha natura disciplinare e si duole del fatto che sia stato

disposto senza sentirlo preventivamente: censura di violazione

dell'art. 43 d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221 e di contraddittorietà

della decisione.

Con il terzo motivo, dopo aver qualificato come grave l'ado

zione del provvedimento a suo carico, il ricorrente ne denuncia

l'illegittimità sotto il profilo del mancato rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa: censura di violazione

dell'art. 24 Cost, e degli art. 7 e 10 1.7 agosto 1990 n. 241.

Con il quarto motivo è denunciata violazione dell'art. 40

d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221. Il ricorrente sostiene di nuovo la na

tura disciplinare del provvedimento e ne denuncia l'illegittimità

per essere stato adottato fuori di un procedimento disciplinare e

senza determinazione di un termine.

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, non so

no fondati.

2.1. - 11 d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221 è di approvazione del re

golamento per l'esecuzione del d.leg.c.p.s. 13 settembre 1946 n.

233, sulla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e

per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse. La disci

plina delle sanzioni che possono essere disposte dagli ordini

provinciali è contenuta nel capitolo IV del decreto, il quale le

indica nell'art. 40. Queste sono: 1) l'avvertimento, che consiste

nel diffidare il colpevole a non ricadere nella mancanza com

messa: 2) la censura, che è una dichiarazione di biasimo per la

mancanza commessa; 3) la sospensione dall'esercizio della pro fessione per la durata da uno a sei mesi, salvo quanto è stabilito

dal successivo art. 43; 4) la radiazione dall'albo.

II successivo art. 43 dispone che «oltre i casi di sospensione dall'esercizio della professione preveduti dalla legge, importano di diritto tale sospensione»; l'emissione di provvedimento limi

tativo della libertà personale; l'applicazione provvisoria di una

pena accessoria o di una misura di sicurezza ordinata dal giudi ce penale; l'interdizione dai pubblici uffici per una durata non

superiore a tre anni; l'applicazione di una delle misure di sicu

rezza detentive; l'applicazione di una delle misure di sicurezza

non detentive.

Il provvedimento indicato dalla norma è diverso dalla sanzio

ne della sospensione di cui al n. 3 del precedente art. 40, sia

perché la stessa norma è introdotta con l'espressione già citata

«oltre i casi di sospensione dall'esercizio della professione pre veduti dalla legge», sia perché l'art. 44 del decreto stabilisce

che l'azione disciplinare può essere esercitata «indipendente mente dalla sospensione di cui all'articolo precedente», nei casi

in cui a carico del sanitario siano state applicate una misura di

sicurezza o il confino di polizia o l'ammonizione.

2.2. - Dalla diversa natura dei provvedimenti di cui agli art.

40 e 43 si ricava che per l'applicazione della sanzione di cui al

l'art. 43 l'interessato non deve essere sentito personalmente. Si consideri anche che nel 2° comma dell'art. 43 cit. è stabi

lito che il consiglio dell'ordine può sentire il professionista nei

soli casi di sospensione del sanitario ammonito dall'autorità di

pubblica sicurezza o contro il quale sia stato emesso mandato od

ordine di comparizione o di accompagnamento senza pregiudi zio delle successive sanzioni.

2.3. - L'eccezionalità del provvedimento di sospensione, unita alla sua funzione di adeguare lo stato di fatto a quello di

diritto (Cass., sez. un., 2 dicembre 1994, n. 960, id., Rep. 1994. voce Avvocato, n. 68), giustifica anche il sacrificio del diritto di

difesa lamentato con il terzo motivo.

2.4. - L'infondatezza del terzo motivo deriva dalla diversa

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

natura dei provvedimenti, come indicato esaminando il secondo motivo del ricorso.

3. - Con il quinto motivo è denunciato che il provvedimento è

carente di motivazione sui punti decisivi della controversia co me quello dell'adozione di un grave provvedimento disciplinare e del riferimento nella sentenza di condanna a fatti non riguar danti l'attività medica.

3.1. - Il vizio logico della motivazione della sentenza deve es

sere ricostruito attraverso la combinazione delle norme conte

nute negli art. 161, 132, n. 4, 360, n. 5, c.p.c. e 111 Cost, e può essere individuato solo se la motivazione in essa espressa è ca

renza dal punto di vista formale o sostanziale, ovvero se è in

coerente o contraddittoria quanto ad un punto decisivo della

controversia.

L'art. 360. n. 5, cit., infatti, si riferisce all'accertamento dei

punti di fatto rilevanti per la decisione, ma non a quelli riguar danti l'affermazione e l'applicazione dei principi giuridici. In

questo secondo caso, infatti, si verifica o una falsa applicazione di norme di diritto, oppure un vizio che, quando investe la moti

vazione di diritto, può dare luogo anche alla sola correzione

della decisione ai sensi dell'art. 384 stesso codice, come questa corte ha avuto già modo di rilevare: sent. 25 maggio 1995, n.

5748. id.. Rep. 1995, voce Cassazione civile, n. 100: 28 marzo

2001, n. 4526, id.. Rep. 2001, voce cit.. n. 110. 3.2. - Da questi principi si ricava che la censura proposta con

il ricorso che si sta esaminando è inammissibile in questa sede

di legittimità, giacché il dott. Argirò non può denunciare come

vizio della motivazione quanto avrebbe dovuto formare oggetto di critica di errata applicazione di una disposizione di legge

specificamente indicata e che non è stata indicata.

4. - Con il sesto motivo è eccepita la consumazione del ter

mine quinquennale per la prescrizione dell'azione disciplinare e si sostiene che il termine iniziale di questa, in mancanza di

contestazione, decorreva dalla data dei fatti contestati: censura

di violazione dell'art. 51 d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221.

Il motivo non è fondato.

La nonna sulla prescrizione dell'azione disciplinare, infatti, si

riferisce alle sanzioni disciplinari propriamente dette e non alla

sospensione di cui all'art. 43 in concreto applicabile, come si ri

cava dalla lettera della norma che è del seguente tenore: «l'a

zione disciplinare si prescrive in cinque anni».

5. - Con il settimo motivo il ricorrente sostiene che la sospen sione, in quanto limitativa dei suoi diritti, non poteva essere

contenuta in un atto regolamentare che, pertanto, doveva essere

disapplicato: censura di violazione dell'art. 43 d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221, degli art. 4 e 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, in

riferimento all'art. 41 d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221, e dell'art. 25

Cost.

Il motivo non è fondato.

L'infondatezza deriva dal regime normativo contenuto nel

capo IV d.p.r. n. 221 del 1950 più volte citato, secondo il quale

l'applicazione della sospensione dall'esercizio di una professio ne non è di per se' illegittima: per tutte, Cass., sez. un., 25 otto

bre 1979, n. 5573, id.. Rep. 1981, voce Avvocato, nn. 62, 78.

6. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Il Foro Italiano — 2006.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 giu

gno 2006. n. 13830; Pres. Luccioli, Est. Gilardi, P.M. Cic

colo (conci, conf.); Lorenzi (Avv. Bonomonte) c. Fall. soc.

Gandossi e Fossati. Conferma Trib. Milano 6 novembre 2001.

Fallimento — Accertamento del passivo — Acquisto del credito successivo al fallimento — Insinuazione tardiva —

Ritardo incolpevole — Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n.

267, disciplina del fallimento, art. 101, 112).

Il ritardo nella presentazione di una domanda di ammissione al

passivo ai sensi dell'art. 101 I. fall., eausato dal fatto che vi

sarebbe stato un mutamento dell'orientamento giurispruden ziale a proposito della necessità delta proposizione della do

manda da parte dell'acquirente di un credito già ammesso, non può essere considerato incolpevole. ( 1 )

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 26 giugno 1984 il Tribunale di Milano dichiarava il fallimento della s.p.a. Gandossi e Fossati. La s.r.l. Elbe depositava domanda di am

missione al passivo, che veniva accolta per lire 317.015.257 in via chirografaria e per lire 2.736.000 in via privilegiata.

Con atto del 7 luglio 1988 la s.r.l. Elbe cedeva il suo credito

nei confronti del fallimento a Gino Lorenzi. Successivamente la

curatela fallimentare predisponeva alcuni progetti di ripartizione

parziale delle attività fallimentari, ed in base ai progetti, che

erano stati regolarmente approvati, effettuava al Lorenzi alcuni

versamenti. Successivamente alla sentenza 6469/98 (Foro it..

Rep. 1999, voce Fallimento, n. 719), con la quale la Corte di

(1) Sostanzialmente in termini. Cass. 19 settembre 2003, n. 13895. Foro it., 2003, I, 3317, alla cui nota di richiami si rinvia. Secondo

quanto disponeva l'art. 101 1. fall, nella versione del 1942, il creditore tardivo per fatto non imputabile, poteva non essere onerato delle spese del procedimento e, soprattutto, ai sensi dell'art. 112, beneficiava del diritto a prelevare le quote già distribuite in precedenti riparti. Il pro blema era dunque quello di valutare quando il ritardo potesse essere

qualificato non imputabile. In passato non è stato considerato incolpe vole il ritardo derivante dalla presentazione della domanda ai sensi del l'art. 71 1. fall, solo dopo l'esaurimento del processo relativo ad azione revocatoria (Cass. 3 giugno 2004. n. 10578, id.. Rep. 2005. voce Falli

mento, n. 607; App. Torino 11 giugno 1985, id.. Rep. 1986, voce cit., n.

537); né per il solo fatto di non aver ricevuto o di aver ricevuto in ritar do la comunicazione del curatore prevista dall'art. 92 1. fall. (Trib. Na

poli 28 dicembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 404).

L'espressione non imputabile, secondo Bozza, Ritardo per causa non imputabile al creditore nell'insinuazione tardiva del credito di re stituzione, in Fallimento. 2005. 426, dovrebbe equivalere ad assenza di

«incuria, negligenza, trascuratezza e, ovviamente, malafede»; nel caso scrutinato dalla corte di legittimità si è ritenuto che un mutamento giu risprudenziale (comunque contestato nei fatti quanto a scansione tem

porale; infatti il principio per il quale il cessionario di un credito sia te nuto a far domanda di ammissione al passivo risaliva già a Cass. 9 di cembre 1991. n. 13221, Foro it., 1992, I, 2760) non potesse essere fonte di giustificazione. Per ampi ragguagli sul significato di colpa, v.

Didone, La dichiarazione tardiva di credito nel fallimento, Milano, 1998, 164.

Con la riforma dell'art. 101 1. fall., in vigore per i nuovi fallimenti dal 16 luglio 2006, la regola di cui all'art. 112 sembra confermata, ma in realtà è fortemente limitata dal fatto che se la domanda tardiva viene

presentata oltre il termine di dodici mesi (o diciotto in caso di particola re complessità della procedura) dalla esecutività dello stato passivo, la non imputabilità del ritardo diviene condizione di ammissibilità per la

partecipazione al concorso (è quella che Lamanna, Il nuovo procedi mento di accertamento de! passivo, Milano, 2006, 594, ha definito «su

pertardiva»). Per una prima valutazione della nuova norma, con accenti di favore quanto alla sua introduzione come incentivo ad evitare con dotte defatiganti od ostruzionistiche, cfr. Montanari, in II nuovo diritto

fallimentare a cura di A. Jorio, Bologna, 2006, sub art. 101, 1550; Fer

raro, in La riforma della legge fallimentare a cura di A. Nigro e M.

Sandulli, Torino, 2006. sub art. 101, 583.

Rispetto, però, al caso trattato nella sentenza, è lo stesso legislatore ad essere intervenuto, stabilendo nell'art. 115 1. fall, il diritto del ces sionario a richiedere la rettificazione dello stato passivo, previa dimo strazione della intervenuta cessione con le formalità ivi indicate; cfr., sulla opportunità della modifica, Caiafa. Nuovo diritto delle proce dure concorsuali, Padova. 2006, 417; Perrotti, in II nuovo diritto fal limentare a cura di A. Jorio, cit., sub art. 115, 1884; Bozza, La tutela dei diritti nella ripartizione dell'attivo, in La tutela dei diritti nella ri

forma fallimentare a cura di M. Fabiani e A. Patti, Milano, 2006, 207.

[M. Fabiani]

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