Date post: | 27-Jan-2017 |
Category: |
Documents |
Upload: | duongthuan |
View: | 215 times |
Download: | 0 times |
sezioni unite civili; sentenza 28 marzo 1985, n. 2181; Pres. Barba, Est. Lipari, P. M. Sgroi V.(concl. conf.); Ianulardo (Avv. Clarizia) c. Consiglio superiore della magistratura ed altri.Conferma Consiglio superiore della magistratura, sez. disciplinare, 17 giugno 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 11 (NOVEMBRE 1985), pp. 2951/2952-2955/2956Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180041 .
Accessed: 25/06/2014 00:17
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 00:17:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2951 PARTE PRIMA 2952
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite càvilii; sentenza 28
marzo 1985, in. 2181; Pres. Barba, Est. Lipari, P. M. Sgroi
V. (conci, oonf.); Ianni ardo (Avv. Clarizia) c. Consiglio
superiore della magistratura ed altri. Conferma Consiglio superio re della magistratura, sez. disciplinare, 17 giugno 1983.
Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare contro
magistrati — Sindacabilità dei provvedimenti giudiziari —
Esclusione — Limiti (R.d.l. 31 maggio 1946 o. 511, guarenti gie della magistratura, art. 18).
Con riferimento alla sindacabilità dei provvedimenti giudiziari, ai fini della sussistenza dell'illecito disciplinare di cui all'art. 18
r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, non è l'erronea, per quanto
macroscopica, interpretazione della legge a venire in considera
zione, né si richiede il deliberato proposito di disapplicare la
legge o di distorcerne consapevolmente la portata, dovendosi avere riguardo ai provvedimenti emanati dal giudice come
sintomo di una negligenza e di una imperizia suscettibile di riverberarsi negativamente sul prestigio dell'ordine. (1)
Motivi della decisione. — 1. - L'uditore giudiziario Pasquale Ianulardo, sbalzato dal tirocinio svolto presso gli uffici giudiziari di Napoli a reggere la Pretura di Arzignago in provincia di
Vicenza, e trovandosi ad essere in quella sede l'unico magistrato di carriera (solo in un secondo tempo coadiuvato da un vice
pretore onorario), ha pagato il prezzo del suo noviziato sia col
non vedersi conferire la nomina a magistrato di tribunale, sia con
l'esser stato sottoposto a procedimento disciplinare, la cui caratte
ristica saliente è data dalla molteplicità degli addebiti specifici da
cui emerge la grave negligenza e l'imperizia altrettanto grave del
suddetto magistrato nell'espletamento delle funzioni, specie duran
te il primo mese di permanenza nella pretura, cui segui un
periodo di congedo straordinario durante il quale fu sostituito da
colleghi che ne rilevarono le manchevolezze. In questa prospettiva di globalità degli addebiti di negligenza e
soprattutto di imperizia, minuziosamente elencati nei capi di
accusa, e sostanzialmente incontestati sul piano fattuale, il ricor
so, impostato nella delineazione di violazione di diritto (primo
mezzo) e di inadeguatezza di motivazione (secondo mezzo), in
buona sostanza sottolinea la inesperienza dell'uditore che, trava
gliato da concorrenti problemi familiari (gravidanza difficile della
moglie, suicidio della sorella, terremoto che colpì il suo paese
natale) e svantaggiato dal carattere chiuso e poco comunicativo, non riuscì ad ambientarsi nella nuova sede svolgendovi proficuo lavoro. Ma, poiché di queste circostanze attenuanti la sezione
disciplinare ha tenuto gran conto, irrogando la sanzione più lieve
(ed in precedenza respingendo la richiesta ministeriale di sospen sione dalle funzioni e dallo stipendio), e mettendo ben in chiaro
che si trattava di elementi suscettibili di diminuire la responsabili tà, ma non di farla venir meno radicalmente, si viene in
definitiva a chiedere a queste sezioni unite di operare la revisione critica del giudizio di merito espresso dalla sezione disciplinare con motivazione succinta, ma incisiva ed adeguata, improntata a
grande sensibilità per le difficoltà incontrate dal giovane magistra to alle prime armi.
Di fronte alla obiettiva esistenza di molteplici comportamenti
(1) Circa la sindacabilità, in sede disciplinare, dei provvedimenti del giudice v., da ultimo, Cass. 14 gennaio 1981, n. 308, Foro it., 1981, I, 2360, con nota di richiami e osservazioni di Cantisani (sul punto, spec. 2365-66), che ha ritenuto non potersi qualificare come attività di giudizio, esplicata dal magistrato nell'esercizio della funzione giurisdi zionale, censurabile ai sensi dell'art. 18 r.d.l. 511/46, la mancata
acquisizione agli atti di un procedimento penale per il reato di false dichiarazioni sulla propria identità del certificato di nascita dell'impu tato. Sul punto si è recentemente espresso il Consiglio superiore della
magistratura, con un parere sui disegni di legge in corso relativi alla
responsabilità disciplinare dei magistrati, riaffermando la insindacabilità di provvedimenti giudiziari in sede disciplinare, anche ammettendo che vi sono comportamenti che, sebbene posti in essere nell'esercizio di attività giurisdizionali, non possono essere coperti dall'indipendenza della funzione. Tra le varie forme di illecito connesse con l'esercizio delle funzioni sono indicati « il reiterato e grave ritardo nel compi mento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni; la scarsa laboriosi
tà; la mancata partecipazione al lavoro giudiziario » (v. Rubrica
parlamentare, a cura di R. Moretti, id., 1985, V, 104-106). Sugli estremi integranti l'illecito disciplinare previsto dall'art. 18
r.d.l. 511/46, v., da ultimo, Cass. 30 gennaio 1985, n. 557, id., 1985, I, 378, con nota di richiami e osservazioni di Corso, circa la partecipa zione di magistrati aU'assooiazione segreta loggia P2.
In tema di procedimento disciplinare nei confronti di magistrati v., da ultimo, Cass. 12 aprile 1985, n. 2412, in questo fascicolo, 'I, 2941.
li. Foro Italiano — 1985.
« ili astratto più severamente sanzionabili », ma in concreto
colpiti con la sanzione più lieve, sembra evidente che quando anche si riuscisse ad enfatizzare le suddette circostanze attenua
tive in riferimento a taluno degli addebiti (o in ipotesi anche
rispetto a tutti) non ne conseguirebbe il risultato perseguito di
totale giustificazione, poiché occorrerebbe al riguardo ribaltare il
giudizio di merito insindacabilmente reso dalla sezione, la cui
decisione non presenta gli errori di diritto ed i vizi di motivazio
ne articolati con il ricorso anche se si sarebbe potuta concludere, attraverso una diversa eventuale valutazione nel senso dell'assolu
zione auspicato dall'incolpato, ovvero, come sostenuto dal p.m., con l'irrogazione di una più grave sanzione.
2. - Va dato atto alla difesa del ricorrente dell'equilibrio con
cui viene formulato la censura di violazione di legge volta a
stabilire in che misura l'errore del giudice, rimediabile con
l'espletamento degli ordinari mezzi di gravame, possa farsi rien
trare nell'ipotesi generica di responsabilità disciplinare, prevista dall'art. 18 r.d.lgt. 31 maggio 1946 n. 511 che punisce, con
norma a fattispecie aperta, i comportamenti atipici idonei a
determinare la compromissione del prestigio dell'ordine giudizia rio.
Che i piani della correttezza delle decisioni del giudice e della
soggezione alla responsabilità disciplinare siano assolutamente
autonomi e non interferenti l'uno sull'altro è proposizione assolu
tamente pacifica, nonostante l'equivoco che potrebbe annidarsi in
talune proposizioni di massime giurisprudenziali. Non è il « se
gno » della decisione, la sua conformità o meno ad indirizzi
prevalenti (ed avallati da questa Suprema corte nella sua funzio
ne di nomofilachia),- che viene in rilievo a fini disciplinari, ma il
modo, il metodo, lo stile con cui il giudice si accinge a giudicare, dimostrando leggerezza, macroscopica superficialità, negligenza nello studio della causa, nel reperimento dei dati normativi, nel
riscontro di precedenti giurisprudenziali. Nel sistema delle impugnazioni si giudica il provvedimento
giurisdizionale; nel procedimento disciplinare si giudica il com
portamento del magistrato, rispetto ai giudizi resi, in termini di
impegno intellettuale e morale, di dedizione alla funzione che
deve essere svolta nella piena osservanza dei doveri d'ufficio (per
quanto gravosi possano apparire all'uditore chiamato a reggere una pretura svolgendovi ad un tempo funzioni giudicanti mono
cratiche e funzioni dirigenziali).
Per quanto soggettivamente attenuate dalla inesperienza, le
mancanze del pretore, unico rappresentante del potere giudiziario nel mandamento, sono suscettibili, proprio per la vasta eco che
capillarmente suscitano in un piccolo centro, di compromettere in
maniera più incisiva e più eclatante il prestigio locale dell'ordine
giudiziario. È quindi perfettamente esatto — come osserva il ricorrente —
che gli errori commessi dal giudice nell'interpretazione della legge non integrano illecito disciplinare (salva l'ipotesi di dolo o colpa
grave); ma nel caso di specie, a parte il fatto che non tutte le
incolpazioni avevano per matrice il contenuto dei provvedimenti del giudice, la valutazione del Consiglio superiore della magistra tura è stata puntualissima nel riscontrare la colpa sotto specie di grave imperizia e grave negligenza.
Quindi, se pure in modo sintetico, l'elemento soggettivo è stato
vagliato con apprezzamento non completamente favorevole all'in
colpato, .risultandone attenuata, ma non esclusa, la responsabilità. Tutte le argomentazioni fatte valere contro un simile apprezza mento esorbitano macroscopicamente dai limiti del giudizio di
legittimità. Non soltanto, come è ovvio, per quanto attiene alla violazione di legge, ma anche relativamente alla congruità della
motivazione che va apprezzata esclusivamente sul piano formale e non certo contrapponendo ad una valutazione ineccepibile alla
stregua della logica formale, altra valutazione asseritamente più centrata nel merito.
Ai fini disciplinari non è la « macroscopicità » dell'errore giuri dico, come tale a venire in considerazione, né si richiede il
deliberato proposito di disapplicare la legge, ovvero di distorcerne
consapevolmente la portata, dovendosi avere riguardo ai provve dimenti emanati dal giudice come sintomo di una negligenza e
di una imperizia suscettibile di riverberarsi negativamente sul
prestigio dell'ordine.
È quindi del tutto fuori discussione la insindacabilità del
provvedimento del giudice in sede disciplinare; non si potrebbe pervenire a decisione diversa senza conculcare il fondamentale
principio di indipendenza che è cardine di ogni ricostruzione
corretta che dell'ordinamento giudiziario si faccia alla luce della
Costituzione repubblicana. Il giudice è soggetto solo alla legge,
This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 00:17:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dalla quale non può discostarsi nemmeno nelle ipotesi di presun ta incostituzionalità, comportando il dubbio relativo la sospensio ne del giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituziona
le, investita della risoluzione del relativo incidente. Contro il
provvedimento abnorme, o comunque inficiato da vizi in iudi
cando o in procedendo, il sistema appresta appositi rimedi: le
impugnazioni. Le decisioni della sezione disciplinare, e di queste stesse sezioni unite, che apparentemente sembrerebbero intro
durre deroghe al principio della insindacabilità, a ben vedere
evidenziano solo correlazioni fra decisum ed animus decidendi
del giudice di per sé particolarmente significative della sua
inadeguatezza al compito perché la sua imperizia o negligenza assume contorni particolarmente vistosi, sottolineandosi che viene
in considerazione sub specie della impreparazione tecnico-giuridi ca la trascuratezza, o la faciloneria con cui il magistrato attende
al proprio ufficio necessariamente violando i doveri che ad esso
ineriscono. Significatamente in quest'ottica si è affermato, da
parte della sezione disciplinare del consiglio, che nella elabora
zione del provvedimento giurisdizionale l'identificazione e inter
pretazione della norma da applicare alla fattispecie concreta non
può essere effettuata in modo arbitrario o negligente, venendo
censurato in tali casi, in sede disciplinare, non già il risultato
della attività intellettiva del giudice, ma il difetto di un'attività
dovuta, e cioè l'inosservanza del dovere di impiegare, nell'eserci
zio delle funzioni giurisdizionali, la massima diligenza. Al riguardo la separazione fra risultato decisorio raggiunto e
modalità di esercizio delle funzioni, consone al prestigio dell'or
dine, bene emerge da una non recente decisione di queste sezioni
unite (n. 546 del 1968, Foro it., 1968, I, 587) che ammette la censu
rabilità in sede disciplinare del comportamento e delle modalità
nelle quali si esterna l'attività di un magistrato, nel corso del
l'istruttoria di una causa, per stabilire, indipendentemente dalla
decisione della causa stessa, in ipotesi rispondente a legge ed a
giustizia, se quel comportamento risulti conforme ai principi fon
damentali di correttezza e di equilibrio cui in ogni momento la
condotta del magistrato deve uniformarsi.
Va, quindi, con fermezza ribadito che le incolpazioni che
traggono spunto dal contenuto dei provvedimenti giurisdizionali non trasferiscono sul piano del procedimento disciplinare il
sindacato di legittimità volto a stabilire la rispondenza di quei
provvedimenti ad esatti principi giuridici, ma colgono la più
peculiare manifestazione della condotta del magistrato che pro
prio nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, indipendentemente
dalle soluzioni raggiunte, dimostra di essere mosso con scarsa
ponderazione, approssimazione, frettolosità, limitata diligenza.
La diligenza rappresenta una componente essenziale del baga
glio del magistrato che se non può esser chiamato a rispondere,
in sede disciplinare, della modestia dei risultati raggiunti in
considerazione delle note eccelse qualità intellettuali, va giudicato
in quella sede per l'impegno profuso nello svolgere « al meglio »
le proprie funzioni, giacché il fondamentale dovere istituzionale
del giudice è quello di giudicare ex informata conscientia appli
candosi con totale dedizione all'ufficio.
il dovere d'ufficio si adempie, infatti, anche e soprattutto
procurando di colmare eventuali lacune di base, di affidare la
professionalità; ma se, nonostante quest'impegno, e la tensione
volta al miglioramento, il risultato tecnico professionale risulta
insoddisfacente non per questo si potrà intervenire con provve
dimenti disciplinari il cui oggetto è rappresentato dall'assolvimen
to dei propri doveri secondo un'adeguata misura di diligenza
(rientrando nell'apprezzamento insindacabile della sezione disci
plinare, entro i limiti della ragionevolezza, fissare la soglia al
di sotto della quale insorge la responsabilità). Al magistrato deve essere imputata soltanto la condotta tenuta,
l'impegno profuso per giungere alla redazione del provvedimento
e non l'esattezza tecnico-giuridica della decisione emessa il cui
tenore, tuttavia, rappresenta il fondamentale indice, o sintomo,
della grave negligenza, della palmare imperizia. Anzi, sotto questo
profilo, si potrebbe agevolmente ritenere che la persona munita di
laurea in giurisprudenza, che ha superato il concorso ed ha
compiuto il tirocinio ad hoc non può inorrere in determinati
errori se non per macroscopica negligenza, assorbente e prevalente
rispetto al « segno » della pronuncia resa (valga al riguardo
richiamare ad esempio il dissenso immotivato dagli indirizzi giu
risprudenziali consolidati, il reperimento dei quali richiede un
minimo sforzo nella consultazione dei repertori di giurisprudenza.
Sarebbe certamente aberrante una pronuncia che fondasse la
irrogazione di una sanzione disciplinare sulla discordanza della
decisione del giudice dagli orientamenti prevalenti, o addirittura
consolidati, della giurisprudenza poiché, nell'evidenziata ottica
Il Foro Italiano — 1985.
della diligenza e dell'obbligo di osservanza dei propri doveri,
importa non tanto il risultato raggiunto, quanto il « modo », il
tessuto argomentativo, il corredo di citazioni giurisprudenziali e
dottrinali che lo sostanziano. Lo sforzo di motivare controcorren
te può, anzi, in determinate circostanze, evidenziare una diligenza ed un impegno che vanno oltre la media.
Si devono, perciò, accogliere con cautela quelle enunciazioni
che sembrano porre immediatamente e direttamente una correla
zione fra macroscopicità dell'errore ed assoggettabilità giustificata a procedimento disciplinare, essendo stato messo in chiaro che la
grossolanità dell'errore è solo sintomo della trascuratezza e faci
loneria del modo con cui il magistrato inquisito procede allo
svolgimento delle sue funzioni; trattandosi pur sempre di « illa
zioni » riservate all'apprezzamento caso per caso della sezione
disciplinare, da cui non sarebbe consentito trarre una sorta di
presunzione di sussistenza in ogni caso simile dell'illecito discipli nare. All'atipicità dell'illecito corrisponde l'atipicità della fattispe
cie, caratterizzata dall'irripetibile peculiarità della situazione in
cui il magistrato si è venuto a trovare; si tratta, cioè, sempre
dell'apprezzamento di una specifica condotta soggettiva e non già del sindacato di un provvedimento contra legem (necessariamente
oggettivo). All'uditore Ianulardo non è stato addebitata la erronea, per
quanto macroscopica, interpretazione della legge, ma il compor tamento tenuto denotante « negligenza grave ed imperizia altret
tanto grave ». Né è esatto che tale giudizio sia stato reso in
maniera apodittica, « senza considerare l'elemento soggettivo,
rappresentato dalla giovane età e od inesperienza dell'incolpato, uditore alle primissime armi ». All'opposto tutta la motivazione
della sentenza è incentrata sul versante delle eventuali giustifica zioni che sono state prese in esame per attenuare la sanzione
inflitta (l'ammonimento), nonostante la gravità delle manifestazio
ni di negligenza ed imperizia. Esse, tuttavia, nel giudizio della
sezione disciplinare, non valevano ad escluderne la responsabilità. Poiché non si dubita che i fatti addebitati siano stati commessi
la censura dal piano dei principi di diritto applicati si sposta a
quello della concreta valutazione della « gravità » dei fatti e come
tale si sottrae al sindacato di questa corte di legittimità. Infatti la
qualificazione di fatti medesimi come « esimenti », anziché come
« attenuanti », per riprendere la terminologia del ricorso, non
trova alcun addentellato normativo, né supporto dommatico.
La formula dell'art. 18 r.d. n. 511 cit., nel riferimento all'inos
servanza dei doveri ed al prestigio del singolo magistrato, nonché
al prestigio dell'ordine, solo per quanto attiene ai doveri consente
che si prendano in considerazione le circostanze in cui il lavoro
dell'incolpato si è svolto, mentre il prestigio del singolo ed il
disdoro dell'ordine hanno una valenza oggettiva di cui l'organo
disciplinare si deve limitare a prendere atto. Orbene lo stabilire
se i comportamenti tenuti siano stati affetti da colpa dipendente da negligenza o imperizia comporta valutazione delle concrete
circostanze in cui il magistrato ha operato per stabilire se sussista
l'elemento della colpa (contrapposta al caso fortuito, allo stato di
necessità).
Sarebbe, invero, contraddittorio ritenere che oggettivamente un
uditore non possa svolgere le funzioni di giudice monocratico
reggente la pretura, quando l'ordinamento giudiziario consente l'at
tribuzione di quelle funzioni: e concretamente accade che, di
norma, giovani magistrati riescono a superare il faticoso impatto con gli oneri professionali.
4. - Se la tesi di fondo del ricorso non può essere seguita
perché priva di riscontri normativi, se cioè deve ritenersi che i
fatti di indubbia gravità, e tali in se e per se da postulare la
irrogazione di una sanzione più grave, sono pur sempre collegati, in termini di imputabilità, alla imperizia ed alla negligenza
dell'incolpato, poiché si tratta di una molteplicità di comporta menti appare del tutto frustranea l'analisi delle singole incolpa zioni per la sottolineatura rispetto a ciascuna di esse di specifiche e significative circostanze alternative. Proprio perché ci si muove
sul terreno della quantificazione (e non della esclusione) della
colpa e dato che è stata irrogata all'Ianulardo la sanzione
minima, l'eventuale riesame delle circostanze stesse, a parte il
limite del sindacato di merito da questa corte, sia pur attraverso
l'espediente di criticare la eccessiva stringatezza della motivazione
redatta in termini di globalità, non potrebbe sortire alcun esito.
In effetti non può ritenersi, e per la verità non la sostiene
nemmeno l'incolpato, l'assoluta carenza di motivazione della deci
sione la quale va letta tenendo presente la analitica, minuziosa
descrizione dei capi di incolpazione ed il riconoscimento della
idoneità della maggior parte di essi a fondare l'illecito disciplina
re, sicché, una volta ammessi i fatti, ed operata la loro qualifica
This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 00:17:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2955 PARTE PRIMA 2956
zione nel senso della riconducibilità al campo disciplinare, l'ambi
to del giudizio resta circoscritto alla quantificazione della colpa; ed in quest'ambito il giudizio espresso, apparendo del tutto
razionale e giustificato nel valorizzare le circostanze « attenuan
ti », senza peraltro attribuire ad esse l'attitudine ad elidere la
colpa, ed a far venir meno la responsabilità disciplinare, non
può essere sottoposto in questa sede a revisione critica volta a
riconoscere una attenuazione ancora più grande della responsabi lità, dato che la stessa è stata ritenuta nella misura minima, e
dato che per ciò stesso basterebbe che restasse indenne, nella sua
componente psicologica, uno solo degli addebiti per tener ferma
la sentenza nella sua conclusione.
In verità, per quanto si voglia circoscrivere la responsabilità del magistrato, la sua imperizia grave appare con tale evidenza
che per superare il giudizio espresso dalla sezione deve far leva
esclusivamente sulla circostanza che trattandosi di errori commes
si da uditore giudiziario non potevano essere considerati illeciti
disciplinari. Ma con ciò la censura di fatto rifluisce nella censura di
diritto e cade proprio perché in punto di diritto è fuori dubbio che
l'errore giuridico grave appare suscettibile di integrare l'illecito
disciplinare, come manifestazione di scarsa diligenza nello studio
delle cause e nella documentazione all'uopo predisposta, che
avrebbe agevolmente consentito di evitarlo. Il giudizio si incentra
quindi sulla « colpa » e sulla gravità della colpa e si arena nelle
secche dell'insindacabilità il cui limite (di adeguatezza della
motivazione) viene rispettato quando, come nelle specie, gli indici
di tale imperizia si snodano nei capi di incolpazione e le
circostanze attenuanti vengono prese in considerazione, ma non
ritenute idonee a neutralizzare la colpa. 5. - In conclusione il ricorso deve essere rigettato, resistendo la
impugnata sentenza alle critiche che le vengono mosse. (Omissis)
I
CORTE Dil CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 feb
braio 1985, n. 1419; Pres. Santilli, Est. Carucci, P. M.
Amirante (conci, ooof.); Soc. La Rinascente (Avv. G. Pez
zano, A. Abate) c. Bucci (Avv. Muggia, Durante). Confer ma Trib. Milano 20 luglio 1981.
Impugnazioni civili in genere — Sentenza di primo grado provviso riamente esecutiva — Riforma in appello con sentenza non
passata in giudicato — Effetti — Fattispecie di reinte
grazione di lavoratore licenziato (Cod. proc. civ., art. 336; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della li
bertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento, art. 18).
Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 l.
300/70, con sentenza di primo grado, esecutiva per legge, poi riformata in appello, ha diritto a mantenere la posizione
favorevole conseguita con l'ordine di reintegra (e quindi la
retribuzione, accompagnata o meno al suo reinserimento, da
parte del datore, nell'attività di lavoro) fino al passaggio in
giudicato della sentenza di riforma. (1)
(1-2) La sezione lavoro conferma l'indirizzo giurisprudenziale affer mato dalle sezioni unite con la sentenza 15 marzo 1982, n. 1669, Foro it., 1982, I, 985, con nota di richiami e osservazioni di A. Proto Pisani, nonché con la seconda delle decisioni in epigrafe dichiara la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 336, 2C comma, c.p.c., nella interpretazione accolta da Oass. 1669/82, in riferimento agli art. 3, 24 e 101 Cost.
Nello stesso senso v., oltre a Cass. 3040 e 3876/84 richiamate in
motivazione, Cass. 26 luglio 1983, n. 5141, 15 marzo 1983, n. 1905 e 7 febbraio 1983, n. 1030, id., 1983, I, 2411, con nota in cui si richiama anche il vario atteggiarsi della giurisprudenza di merito.
La questione di costituzionalità dell'art. 336, 2° comma, c.p.c. nella
interpretazione accolta da Cass. 1669/82 era stata sollevata in dottrina particolarmente da Fabbrini, Provvisoria esecutività delle sentenze e riforma in appello, in Mass. giur. lav., 1983, 195 ss., 203 ss.; ma sul punto v. anche R. Martino e B. Sassani, in Giust. civ., 1984, I, 1597 e 1587. Da ultimo, in dottrina, sull'interpretazione dell'art. 336, v. A. Cerino Canova, Considerazioni attuali sull'art. 336, cpv., c.p.c.: ef fetto sostitutivo immediato della riforma in appello e conservazione degli atti dipendenti, in Giur. it., 1984, IV, 241 ss.; e iR. Vaccarella, L'esecutività della sentenza di primo grado nel processo del lavoro e il
Il Foro Italiano — 1985.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 feb
braio 1985, n. 1416; Pres. Pennacchi a, Eat. Carucci, P. M.
Valente '(conci, oonf.); Soc. F.Lajt. Auto (Aw. Fabbrini,
Calabrese, Bogcio) c. Albertinazzi (Avv. Ventura). Confer
ma Trib. Biella 25 gennaio 1983.
Impugnazioni civili in genere — Sentenza di primo grado provviso riamente esecutiva — Riforma in appello con sentenza non
passata in giudicato — Effetti — Fattispecie di reintegrazione di lavoratore licenziato — Questione manifestamente infondata di
costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 101; cod. proc. civ., art.
336; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18).
Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 l.
300/70 con sentenza di primo grado esecutiva per legge, poi
riformata in appello, ha diritto a mantenere la posizione favo revole conseguita con l'ordine di reintegra (e quindi la retribu
zione, accompagnata o meno dal suo reinserimento, da parte del datore, nell'attività di lavoro) fino al passaggio in giudicato della sentenza di riforma, e la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 336, 2° comma, c.p.c., interpretato nel senso
suesposto, sollevata in riferimento agli art. 3, 24 e 101 Cost., è
manifestamente infondata. (2)
I
Svolgimento del processo. — Maria Bucci, dipendente licenziata
dalla s.p.a. La Rinascente, veniva da questa reintegrata nel posto di lavoro a seguito di sentenza del Pretore di Milano 7 novembre
1978. Riformata tale sentenza in grado di appello, la Rinascente — in pendenza di ricorso per cassazione — l'allontanava dal
posto di lavoro. Adito il pretore per ottenere l'annullamento del
secondo licenziamento ai sensi dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n.
300, la nuova domanda veniva accolta dal detto pretore con
sentenza 17 ottobre 1980, che però, su appello della Rinascente, il
Tribunale di Milano riformava parzialmente con sentenza 20 luglio
1981, nel senso che il diritto del lavoratore trovasse fondamento
non nell'art. 18 dello statuto dei lavoratori ma nel capoverso del
l'art. 336 c.p.c., perciò dichiarando la Rinascente s.p.a. « tenuta
a tenere in vita il rapporto di lavoro ripristinato in virtù della
sentenza del Pretore di Milano 7 novembre 1978 emessa tra le
parti », e per l'effetto condannandola a reintegrare nel posto di
lavoro Bucci Maria e comunque a corrisponderle tutte le retribu
zioni dal giorno dell'allontanamento dal lavoro fino all'esito del
giudizio pendente avanti la Cassazione. Dichiarava compensate le
spese del doppio grado del giudizio. Rilevati gli effetti permanenti connessi al rapporto di durata
instaurato dall'atto di reintegra disposto dal pretore con la sentenza
7 novembre 1978, il tribunale considerava che, in applicazione del
2° comma dell'art. 336 c.p.c., tale rapporto non poteva cessare se
non con il compimento di altro ordine di contenuto opposto a
quello della reintegra, e che il principio di esecutorietà ope legis della sentenza di appello di cui all'art. 337 non poteva riferirsi a sentenze di mero accertamento negativo insuscettibili di esecuzio
ne, come neppure al caso in ordine di riduzione in pristino dato
con la sentenza di riforma.
Avverso tale sentenza la Rinascente ricorre per cassazione con
unico mezzo. La Bucci resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo la ricorrente
denunzia la violazione e falsa applicazione degli art. 336, 2°
comma, 337, 373, 39, 100 e 612 c.p.c. Sostiene che la tesi del
tribunale secondo cui l'art. 336 consente la cognizione per l'accer
tamento dell'obbligo del datore di lavoro di tenere al suo servizio
il lavoratore già reintegrato con la sentenza del pretore, violereb
be il principio del ne bis in idem connesso a quello di cui all'art.
100 (interesse ad agire, mancante nell'ipotesi in esame) e quello dell'unicità dei giudicati (di cui sarebbe espressione l'art. 39). L'art. 336, 2° comma, allorché esige il passaggio in giudicato della
sentenza di riforma, perché questa possa estendere i suoi effetti ai
provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata, si
riferirebbe solo agli atti e provvedimenti eseguiti in precedenza e
non anche a quelli in corso, i quali incontrerebbero nella
intervenuta riforma (anche se non ancora passata in giudicato) ostacolo alla loro attuazione, in applicazione del principio della
giudizio di appello, in II processo del lavoro nell'esperienza della riforma, Milano, 1985, 307 ss.
La sentenza di merito confermata da Cass. 1419/85 è riassunta in Foro it., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 181.
This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 00:17:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions