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sezioni unite civili; sentenza 3 maggio 1986, n. 3004; Pres. Tamburrino, Est. Pontrandolfi, P. M....

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sezioni unite civili; sentenza 3 maggio 1986, n. 3004; Pres. Tamburrino, Est. Pontrandolfi, P. M. Sgroi V. (concl. conf.) I.n.a.d.e.l. (Avv. Tita) c. Meconi. Cassa Trib. Pisa 10 novembre 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1261/1262-1263/1264 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187259 . Accessed: 28/06/2014 14:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.50 on Sat, 28 Jun 2014 14:15:38 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 3 maggio 1986, n. 3004; Pres. Tamburrino, Est. Pontrandolfi, P.M. Sgroi V. (concl. conf.) I.n.a.d.e.l. (Avv. Tita) c. Meconi. Cassa Trib. Pisa 10 novembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1261/1262-1263/1264Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187259 .

Accessed: 28/06/2014 14:15

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Si è già detto che la norma regolamentare, allorché risulti emanata nell'esercizio di una potestà pubblica e al fine di tutelare un interesse pubblico, è un vero e proprio atto amministrativo; ed è conseguente ritenere che, allorquando si adduce che essa leda un interesse legittimo, la controversia instaurata dal titolare di quell'interesse spetta necessariamente alla giurisdizione del giudice amministrativo.

In concreto, quindi, in ordine alle domande di cui ai capi A) e

B) dell'atto introduttivo del giudizio di merito deve essere dichia rata la giurisdizione del giudice amministrativo.

5. - La domanda di risarcimento dei danni, di cui al capo C) dell'atto di citazione, è proposta nei confronti del C.o.n.i. e della società sportiva pallacanestro Cinzano.

Nei confronti del C.o.n.i. essa è sicuramente improponibile, per assoluto difetto di giurisdizione, poiché ha ad oggetto il risarci

mento del danno derivante dalla (asserita) lesione di un interesse

legittimo; e queste sezioni unite hanno già avuto occasione di

affermare che la domanda di risarcimento del danno che ha per

presupposto l'asserita lesione di un interesse legittimo non può essere proposta davanti ad alcun giudice, poiché quella specifica lesione non è affatto considerata dall'ordinamento.

La domanda di risarcimento del danno nei confronti della

società sportiva pallacanestro Cinzano, integrando una fattispecie di controversia tra privati, avente ad oggetto la (asserita) lesione

di un diritto soggettivo di contenuto patrimoniale, bene poteva —

cosi come è stato — essere proposta davanti al giudice ordina

rio. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3

maggio 1986, n. 3004; Pres. Tamburrino, Est. Pontrandolfi,

P.M. Sgroi V. (conci, conf.) I.n.a.d.e.l. (Avv. Tita) c. Meconi.

Cassa Trib. Pisa 10 novembre 1980.

Danni in materia civile — Obbligazioni pecuniarie — Prestazione

previdenziale — Inadempimento — Maggior danno — Deter

minazione presuntiva (Cod. civ., art. 1224).

Ove il creditore pecuniario sia un modesto impiegato di ente

locale collocato a riposo e il credito, relativo ad una prestazio

ne previdenziale (nella specie, si trattava di una lieve differenza

nell'indennità di fine rapporto), l'entità del maggior danno

risarcibile, a seguito di inadempimento,, va commisurata alla

svalutazione monetaria. (1)

Motivi della decisione. — (.Omissis). Il quarto motivo del

ricorso, con cui l'I.n.a.d.e.l. si duole dell'accoglimento della do

manda di risarcimento del danno da inadempimento di obbliga

zione pecuniaria nei limiti della rivalutazione monetaria, da parte

dei giudici del merito, introduce una questione alquanto contro

versa in dottrina e in giurisprudenza; ma va subito rilevato che

non si discute più, nella specie, dell'inapplicabilità del criterio di

rivalutazione automatica ex art. 429, 3° comma, c.p.c. (nel testo

di cui alla 1. n. 533 del 1973) ai crediti previdenziali, qual è

quello in oggetto (differenze di indennità « premio di fine servi

zio »), inapplicabilità che è data per pacifica dalla stessa sentenza

impugnata, la quale ha interpretato la domanda del Meconi come

(I) Decisa contemporaneamente — e in parallelo — a Cass. 5 aprile 1985, n. 2368, (citata in motivazione con la data di udienza) in questo fascicolo, I, 1265, con note di R. ìPardolesi e A. Amatucci, la sentenza in epigrafe rivela, con specifico riguardo ai crediti previdenziali, l'inequivoco disegno di garantire la continuità dell'indirizzo tenuto a

battesimo da Cass. 4 luglio 1979, n. 3776, Foro it., 1979, I, 1668: in

quanto inquadrabile nella categoria dei «piccoli [ovvero «modesti», « meri », and the like] consumatori », il creditore avrà diritto ad

ottenere, a titolo di maggior danno da inadempimento, il differenziale

inflazionistico, sempre che l'entità del credito non risulti consistente, nel qual caso scatteranno le prescrizioni operanti per i creditori

occasionali (e quindi, « in mancanza di dimostrati particolari e più remunerativi impieghi », il riferimento al tasso medio bancario passi

vo). L'occasione torna comunque utile per confutare l'eccesso di zelo con

cui talune pronunzie (tra cui mette qui conto ricordare Cass. 28 aprile

1984, n. 2674, id., 1984, I, 1521, con nota di S. Casamassima), nell'ansia — si direbbe — di contrare l'automatismo rivalutativo across the board, avevano accollato al pensionato-creditore un onere probato rio dai contorni incerti, epperò sicuramente più gravoso di quello presupposto dalla pronuncia

' capofila '.

Il Foro Italiano — 1986.

prospettata anche, e comunque accolta dal primo giudice, ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c. (e sul punto non esiste censura

dell'istituto). La doglianza è, invece, limitata all'esserito malgo verno che i giudici del merito avrebbero fatto dei principi fissati da queste sezioni unite, in punto di prove sul risarcimento del danno da inadempimento di obbligazione pecuniaria collegato al fenomeno dell'inflazione.

La questione non rimane assorbita nell'accoglimento del secon do motivo (dal quale consegue l'applicabilità di un divisore meno favorevole al lavoratore quanto alla base retributiva di computo ai fini della determinazione dell'indennità « premio di fine servi zio » relativamente agli anni di anzianità figurativa), dato che la domanda relativa alle differenze dell'indennità era anche fondata sul mancato computo dell'indennità integrativa speciale e sulla mancata considerazione dell'intera anzianità di servizio, e, per que sta parte, sulla non opposizione dell'I.n.a.d.e.l. (il quale si limitò a contestare la pretesa del Meconi relativamente al parametro di 1/12 dell'80 % della retribuzione per gli anni di anzianità figura tiva), la domanda venne fin dall'origine accolta con statuizione coperta dal giudicato. Onde sussistono delle differenze di indenni tà suscettibili, in ipotesi, di rivalutazione.

Tanto premesso sui limiti della censura di cui al quarto motivo (asserita mancata dimostrazione del danno, sia pure nei limiti della svalutazione monetaria), la corte osserva, riportandosi anche ad altra decisione odierna in cui il problema del danno da svalutazione nelle obbligazioni pecuniarie viene affrontato in sede di composizione di contrasto giurisprudenziale e in ter mini più generali (Amm. lavori pubblici-s.p.a. S.C.I.C., ud. 12 dicembre 1985), che i principi dai quali si deve partire sono

quelli enunciati nella fondamentale sentenza 4 luglio 1979, n. 3776 (Foro it., 1979, I, 1668) di queste sezioni unite, ai quali si richiamano, salve rare eccezioni, i pronunciati successivi della

Suprema corte e dai quali, pur con le opportune precisazioni che si andranno a fare per i crediti di natura previdenziale, non sussistono valide ragioni di discostarsi. Alla suddetta decisione si richiamano, del resto, sia pure con opposte conclusioni, anche la sentenza impugnata e il ricorrente nel quarto motivo.

Orbene, queste sezioni unite, con la citata sentenza n. 3776 del

1979, hanno, da un lato, affermato che le obbligazioni pecuniarie, le quali danno luogo al cosiddetto debito di valuta, sono soggette al principio nominalistico espresso dall'art. 1277 c.c., e continuano ad esserlo anche dopo la scadenza, per cui la prestazione si

estingue, pur dopo che il debitore sia caduto in mora, col

pagamento della quantità di moneta cui essa è commisurata, anche se questa durante la mora abbia perduto parte del suo

potere d'acquisto per effetto della svalutazione, mentre la svaluta zione stessa in sé non è un danno giuridico, ma un'evenienza che può aggravare il pregiudizio derivante al creditore dall'inadempi mento; con la conseguenza che la svalutazione monetaria verifica tasi durante la mora del debitore non giustifica, in sé, alcun risarcimento automatico (sotto il profilo del danno emergente) che

possa essere attuato con la rivalutazione della somma dovuta, ma

può essere causa di danni maggiori di quelli coperti con l'attribu zione degli interessi legali. D'altro lato, attenuando il tradizionale

rigore dell'onere probatorio, queste sezioni unite hanno affermato, nella menzionata decisione, che va lasciato adeguato spazio alla

prova presuntiva, che, in precedenza, pur essendo stata ricono sciuta valida anche ai fini qui considerati, non era stata conside rata sufficiente in difetto di altri elementi concreti idonei a dimostrare la sussistenza del pregiudizio lamentato. E, al riguar do, hanno precisato che « il creditore che intenda ottenere il risarcimento di tali maggiori danni » (ovviamente, di quelli cagio nati, in concomitanza con l'inadempimento del debitore, dalla svalutazione monetaria intervenuta durante la mora) « ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c., ha l'onere di allegare e dimostrare, valendosi senza alcuna limitazione di ogni possibile mezzo di

prova, il pregiudizio patrimoniale risentito; e il giudice cui la relativa domanda venga proposta può, in mancanza di altre

specifiche prove, utilizzare, oltre che il notorio acquisito dalla comune esperienza, presunzioni fondate su condizioni e qualità personali del creditore e sulle modalità di impiego del denaro coerenti — secondo i criteri della normalità e della possibilità —

con tali elementi, per desumere dal complesso di questi dati

(integrando, ove occorra, i risultati dell'indagine con l'esercizio dei poteri equitativi) quali maggiori utilità, nei singoli casi, la somma tempestivamente pagata avrebbe potuto procurare al cre ditore medesimo »; precisando ancora che « rimane fermo, ov viamente, l'onere del creditore di dimostrare in maniera più specifica l'eventuale danno emergente derivante dal fatto di avere dovuto procurarsi la somma (non pagatagli dal debitore) a

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1263 PARTE PRIMA 1264

condizioni particolarmente svantaggiose o mediante alienazione di

beni reali o il danno allegato con riferimento ad investimenti

particolari specificamente programmati e poi resi impossibili dal

l'inadempimento del debitore ».

E proprio con riferimento all'elemento probatorio fondato sul

fatto notorio e sulle presunzioni ricavabili, anche e soprattutto, dalle condizioni personali del creditore, la menzionata decisione

ha proceduto ad una articolata esemplificazione di categorie creditorie, indicando, tra le altre, quella del « modesto consuma

tore », in relazione « alle normali e personali necessità di impie

gare il denaro per gli ordinari bisogni della vita » e, quindi, in

relazione « (ciò che nel caso può costituire il criterio residuale

più attendibile) agli indici ufficiali dei prezzi al consumo per le

famiglie di operai e impiegati ».

Trattasi dell'enunciazione di uno di quei criteri di natura

personalizzata (gli altri sono relativi all'« operatore economico », al

« risparmiatore » e al « creditore occasionale »), sui quali queste sezioni unite sono tornate nella successiva sentenza 25 ottobre

1979, n. 5572 (id., 1979, I, 2555), in termini pressoché analoghi.

A tali criteri ha fatto particolare e fedele riferimento anche la

sezione lavoro della corte nella sentenza 22 ottobre 1981, n. 5555

(id., 1982, I, 80), per l'ipotesi di crediti per prestazioni previden ziali (esclusi dalla rivalutazione automatica di cui all'art. 429, 3°

comma, c.p.c.), laddove ha osservato che, mentre ai fini della

valutazione delle condizioni personali del creditore assume pecu liare significato la qualità di pensionato rivestita dal medesimo, la

possibilità di ricorso a criteri equitativi appare ulteriormente

giustificata, in considerazione sia della norma dell'art. 432 (nuovo testo) c.p.c., che dei maggiori poteri istruttori conferiti al giudice del lavoro, tenuto anche conto « della possibilità — anche nel

procedimento d'appello — di procedere al libero interrogatorio delle parti presenti all'udienza di discussione e di trarre da esso

argomenti di convincimento ». E, su tali rilievi, la sezione lavoro

ha cassato la sentenza dei giudici del merito, che, di fronte alla

specifica domanda attorea di risarcimento del danno da svaluta zione anche con riferimento all'art. 1224, 2° comma, c.c., aveva omesso di esaminare la possibilità di trarre dalla notorietà del

fatto della svalutazione e dalla chiara emergenza della qualità di

pensionato del soggetto, delle conseguenze di carattere presuntivo, eventualmente ricorrendo anche a criteri equitativi.

Tenuto poi conto della presunzione che assiste il cosiddetto « modesto consumatore », figura, questa, in cui si inquadra, alme no di regola, il creditore di prestazioni previdenziali, appare di tutta evidenza la peculiarità di tale presunzione rispetto a quelle che assistono le altre figure di creditori, dato che essa si fonda

proprio sul fatto che il « modesto consumatore » spende tutto il denaro disponibile per esigenze di vita (e, cioè, per procurarsi beni di consumo e servizi), e, costituendo tali spese una utilizza zione del denaro sottratto agli effetti della svalutazione monetaria, la presunzione stessa porta a far ritenere che questo vantaggio economico rimanga precluso al creditore per effetto della mora del debitore e della conseguente maggior quantità di moneta occorrente per procurarsi i necessari beni di consumo e i servizi. Ne consegue, che, per tale categoria di creditori, la prova del danno non abbisogna di particolari allegazioni e di specifiche dimostrazioni, operando la ridetta presunzione sulla base della dedotta qualità personale del creditore (es.: modesto impiego, pensionato) e della natura del credito (es.: stipendio, prestazione previdenziale, ecc.).

Non sempre la sezione lavoro della corte ha tratto le debite

conseguenze in tema di risarcimento del danno da mora per i crediti costituiti da prestazioni previdenziali, poiché, pur formal mente riportandosi alle decisioni nn. 3776 e 5572 di queste sezioni unite, ha ritenuto talvolta, nel dichiarato intento di non dare rilevanza alla svalutazione monetaria in sé considerata e di non contraddire al principio nominalistico, che « anche il pensio nato, modesto consumatore », debba « allegare un diverso pregiu dizio particolare, come quello di aver dovute, per sostenersi, alienare beni idonei a salvaguardarlo dalla svalutazione, di non aver potuto investire le somme dovute in modo tale da assicu

rargli questo stesso risultato », ovvero che persista nei suoi confronti, « pur sempre, oltre al rilevato onere di allegazione e di prova, anche l'onere della proposizione della relativa domanda, il cui contenuto non può esaurirsi... nella domanda di rivalutazio ne monetaria, ma deve articolarsi, invece, nella specifica richiesta di risarcimento del maggior danno derivato al creditore dalla svalutazione...» (Cass., sez. lav., 25 ottobre 1983, n. 6309, 6311, 6312, id., Rep. 1983, voce Danni civili, nn. 183-186; 29 ottobre 1983, n. 6468, ibid., n. 187; 28 aprile 1984, n. 2674, id., 1984, I,

Il Foro Italiano — 1986.

1521; 4 maggio 1984, n. 2727, id., Rep. 1984, voce cit., n. 159; in

tal senso sembra orientata la sentenza n. 2564 del 1984, ibid., n.

162 di queste sezioni unite, già considerata ad altri fini).

Ciò non appare coerente con i principi enunciati nelle più volte menzionate decisioni nn. 3776 e 5572 del 1979, in quanto il

rigore relativo all'onere del contenuto della domanda e dell'alle

gazione del danno è ingiustificato, concernendo il dato esclusiva

mente formalistico del modo col quale viene prospettata la

domanda ed essendo basato sull'asserita inconferenza del fatto

della svalutazione a fondare una pretesa risarcitoria, mentre il

rigore in materia di onere probatorio contraddice proprio al criterio presuntivo che dovrebbe essere adottato, specie con riferimento alla categoria creditoria del « piccolo consumatore »,

per la quale vale, appunto, la presunzione non già di impiego del

denaro in forme di risparmio o di investimento, sibbene di

spendita per esigenze di vita; a parte l'ultroneo richiamo alla necessità di una prova più specifica del danno da inadempimento, che la sentenza n. 3776 del 1979 richiedeva solo per il danno derivante da un fatto diverso dalla semplice svalutazione moneta ria e al di fuori dei criteri presuntivi di danno di natura

personalizzata. È però opportuno precisare, a questo punto, che non sempre

può ritenersi operativa, in materia di crediti per prestazioni previdenziali o similari, la presunzione di danno relativa al « piccolo consumatore », che è senz'altro giustificata quando abbia

ad oggetto ratei di pensione o, comunque, prestazioni di non

notevole importo (es.: importi differenziali di indennità), ma non

anche quando si verta in tema di prestazioni di rilevante importo (es.: indennità di fine rapporto di notevole ammontare ed erogata in unica soluzione). È d'uopo ritenere operante, in tale ipotesi, la

diversa presunzione del « creditore occasionale » e far riferimento

(v. sentenza n. 3776 del 1979) « alla corrispondenza degli impie ghi allegati a criteri di normalità e di concreta possibilità ».

Se allora non è sufficiente la semplice deduzione della qualità personale del creditore e della natura previdenziale del credito, occorrendo l'allegazione dell'impiego che del denaro avrebbe fatto il creditore in caso di tempestivo adempimento da parte del

debitore, rimane pur sempre ingiustificato un particolare rigore in ordine alla prova, trattandosi, come già detto, di prova presuntiva che opera alla stregua dei criteri di normalità (in base all 'id quod

plerumque accidit) e di concreta possibilità. E non sembra che

possano sorgere particolari questioni in relazione alla classe

sociale dei pensionati, i quali, se di norma fanno fronte, quali modesti consumatori, alle normali esigenze di vita con l'importo mensile della pensione o di altre modeste prestazioni previdenzia

li, altrettanto di norma destinano, quali creditori occasionali, l'indennità di fine rapporto (se di consistente importo e percepita in unica soluzione) a forme di risparmio possibilmente al riparo della svalutazione monetaria o, quanto meno, in mancanza di

dimostrati particolari e più remunerativi impieghi, alla più co mune forma di risparmio del deposito bancario, tale da garantire loro la differenza tra il tasso medio di interessi che le banche usano praticare alla normale clientela e il tasso annuo legale (quello che già forma oggetto dell'obbligo risarcitorio minimo di cui al 1° comma dell'art. 1224 c.c.).

Orbene, dovendosi applicare i cennati principi alla fattispecie, si osserva che il Tribunale di Pisa, menzionando espressamente, peraltro, la sentenza n. 3776 del 1979 di queste sezioni unite, ha

applicato correttamente la presunzione di danno relativa al « pic colo consumatore », facendo coincidere l'entità del danno risarci bile con la misura della svalutazione monetaria e confermando il criterio adottato dal primo giudice alla stregua degli indici dei

prezzi al consumo, indici che, secondo la citata sentenza, costi

tuiscono, appunto, il criterio residuale più attendibile per la suddetta categoria creditoria.

A tanto il tribunale è pervenuto sul rilievo della qualità personale del creditore (modesto impiego di ente locale collocato a riposo) e della natura del credito. Poiché trattavasi di modeste differenze di indennità di fine rapporto, la menzionata presunzio ne di danno appare esattamente individuata.

Pertanto, il quarto motivo del ricorso va rigettato. (Omissis)

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