Sezioni unite civili; sentenza 30 luglio 1953, n. 2593; Pres. Galizia P. P., Est. Duni, P. M. DeMartini (concl. conf.); Laredo de Mendoza (Avv. Martino, Angelo) c. Barberis (Avv. Carbone, DiFebio, Bardanzellu)Source: Il Foro Italiano, Vol. 76, No. 9 (1953), pp. 1247/1248-1251/1252Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23144307 .
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1247 PARTE PRIMA 1248
a sussistere anche successivamente all'espropriazione ; non
potendo pertanto l'Opera Sila, avvalendosi soltanto del l'atto di esproprio, risolvere il rapporto possessorio esi
stente, richiedendosi ad hoc un pronunciato giudiziale. Tutto ciò appare inesatto per ovvie ragioni : anzitutto
questa tesi verrebbe a cozzare violentemente con quello che è lo spirito della legge ed il contesto di essa. Non si
spiegherebbe come l'art. 5, lett. b), dove si parla di occu
pazione di urgenza, e l'art. 14 della successiva legge del l'ottobre 1950, che richiama l'art. 71 legge del 1865, possano coesistere con le disposizioni anzidette, interpretate alla maniera dell'attrice.
Certo queste disposizioni rappresenterebbero un ana
cronismo se considerate esclusivamente nella loro lettera
lità e nella loro espressione, tecnicamente insufficiente. Certo si è che laddove si parla di « disdetta » da parte
dell'ente espropriante, non deve intendersi la normale dis detta ricadente nell'ambito del diritto privato in ordine ai contratti di locazione, con regolare e normale procedi mento ; ma deve intendersi una vera manifestazione di volontà dell'ente, contenuta in un atto amministrativo, e tendente a perseguire la piena disponibilità del bene
espropriato con piena esclusione di ogni altro. Manifesta zione di volontà che può'attuarsi anche con un compor tamento dell'ente, cioè con un fatto, essendo pacificamente ammesso che l'ente pubblico, oltre che con un atto formale,
pòssa manifestare la propria volontà anche con un fatto
materiale, quale quello lamentato dall'attrice, cioè l'im
missione dei trattori per l'aratura nei fondi espropriati con l'esclusione da essi dei componenti la Cooperativa.
Ma è opportuno qui ricordare, una massima della Corte
suprema a Sez. unite, che testualmente dice : « Con la espres sione atti amministrativi, che costituiscono limiti all'ap
plicazione della difesa giurisdizionale, non si intendono solo
gli atti formali, ma tutto il comportamento adottato in
modo espresso o tacito dall'Amministrazione, che comun
que importi una pronunzia di volontà emanante dalla stes sa ». Ora, se così non fosse e se si dovesse accettare la tesi
dell'attrice, il citato art. 6 porrebbe nel nulla tutto il si
stema della legge, per lo meno per quanto riguarda la di
chiarata urgenza e indifferibilità dell'azione di riforma.
Inoltre, dato il contrasto stridente tra il citato art. 6 e l'art. 14 della successiva legge 21 ottobre 1950, che di chiara le espropriazioni, e quindi gli effetti di esse, urgenti e indifferibili a norma dell'art. 71 legge del 1865, è evidente
che, essendo quest'ultima disposizione posteriore all'altra, essa deve prevalere sulla disposizione precedente, la quale perde pertanto ogni efficacia per incompatibilità con la norma successiva, che la modifica e l'abroga.
Del pari la « richiesta » di cui si parla all'art. 5 legge 16 giugno 1951 altro non deve intendersi che vera mani festazione di volontà dell'ente, costituente atto ammini
strativo, e non richiesta nel senso tecnico del procedimento civile. E poiché l'ente agisce in virtù di un atto, sia pure amministrativo, intendendosi tale il decreto di esproprio del Capo dello Stato (peggio, poi, se dovesse ritenersi atto
legislativo) il ricorre.e all'autorità giudiziaria per fermare
per qualsiasi motivo il fatto dell'ente che a tale atto dà esecuzione e concretezza, significherebbe certamente porre nel nulla l'atto medesimo o per lo meno esercitare su di esso un potere ohe per la legge sul contenzioso amministrativo è del tutto vietato.
Nè può avere senso la distinzione che, da parte attrice, si vuole fare tra atto e fatto del pubblico ente. I due ter
mini si equivalgono : è naturale che all'atto, con cui la
pubblica Amministrazione manifesta la propria volontà, debba conseguire un fatto, per cui tale volontà si attui e si concreti, divenendo realtà materiale, senza del quale l'atto resterebbe addirittura privo di significato.
Opporsi, quindi, al fatto equivale opporsi all'atto della
pubblica Amministrazione che lo origina e, come è risa
puto, ciò in questa sede non è consentito. Se da parte del privato vi sono motivi di impugnazione,
ciò può perseguirsi in via amministrativa e non in via giu diziaria. E poiché l'attrice ad essi si richiama, devesi an
che accennare ai decreti prefettizi, per effetto dei quali la Cooperativa ebbe la terra in questione, in esecuzione delle leggi sulle terre incolte o insufficientemente coltivate,
per stabilire se e quali diritti possano ad essa derivare nei confronti e dell'autorità prefettizia concedente e dell'Opera Sila, subentrata al proprietario. È evidente che in esecuzione del decreto prefettizio, come sopra, si determina un rapporto di diritto privato tra il concessionario ed il proprietario, col
quale si viene a stipulare un contratto di locazione sì, ma un contratto sui generis, in quanto in esso la volontà di uno dei
contraenti, cioè del proprietario, non agisce liberamente, ma è coartata da un atto d'imperio della pubblica Ammini
strazione, atto di imperio giustificato da un fine di interesse
pubblico ; attuandosi così una di quelle forme, in cui il di ritto del privato si subordina all'interesse superiore della
collettività, senza però venir meno : esso viene limitato sol tanto per quel che concerne la disponibilità dell'oggetto del diritto stesso, dandosi luogo a quei diritti c. d. affievoliti.
In tali termini, perciò, la volontà della pubblica Ammini strazione non viene a far parte del contratto, che per sua in tercessione prende vita, tanto meno si sostituisce a quella del concedente ; ma su questa esercita il suo potere di co
mando, limitandola e determinandola. Ne consegue che
l'atto, così posto in essere dall'autorità prefettizia, non può classificarsi come atto di concessione in senso tecnico, ma come atto di comando, in quanto si esercita nei confronti di un diritto privato ; mentre nella concessione amministra tiva si presuppone un negozio costitutivo o traslativo di diritto pubblico, avente per oggetto una facoltà pubblica o un bene demaniale che dalla pubblica Amministrazione viene messo a disposizione del privato. Il che è diverso dal caso in esame ; per cui il concessionario (usiamo il termine lato
sensu) nessun diritto soggettivo potrebbe vantare verso la
pubblica Amministrazione, in quanto il rapporto effetti vo si è concluso tra lui ed il proprietario. E quando a quest'ul timo è subentrata l'Opera valorizzazione Sila, per effetto della pronunciata espropriazione, il diritto a lui derivante dal suddetto rapporto si dissolve, come sopra si è detto.
D'altra parte la legge sulla riforma agraria altro non è che la continuazione e l'amplificazione della legge sulla concessione delle terre incolte, dall'attrice oggi inoppor tunamente invocata ; inopportunamente perchè essa oggi vorrebbe conservare in uno stato di precarietà ciò che do mani i suoi componenti acquisteranno in piena proprietà. Infatti la legge del 12 maggio 1950 e la successiva dell'otto bre 1950 attuano in via definitiva ciò che la legge del 1946 aveva attuato in via provvisoria, mutando il rapporto di
locazione-conduzione, in quello più ampio che conferisce ai contadini la proprietà delle terre espropriate ; progreden dosi così verso quella giustizia sociale, nel pieno rispetto della personalità umana, per la libertà dal bisogno, tanto anelato da queste genti e da ogni popolo civile.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 30 luglio 1953, n. 2593 ; Pres. Galizia P. P., Est. Duni, P. M. De Martini (conci, conf.) ; Laredo de Mendoza (Avv. Martino, Angelo) c. Barberis (Avv. Carbone, Di Febio, Bardanzellu).
('Ordinanza denunciata : Trib. Milano 5 aprile 1951)
Cassazione civile —- Provvedimenti «leeisori defi niti sentenze non impugnabili o ordinanze —■ Ri corso — Ammissibilità (Costituzione della Eep , art. Ill ; cod. proc. civ., art. 360).
Sp ese giudiziali — Liquidazione degli onorari nei
confronti del cliente — Ordinanza non impugna bile — Ricorso per cassazione -— Ammissibilità
(Costituzione del'a Eep., art. Ill ; 1. 13 giugno 1942 n. 794, onorari di avvocati in materia civile, art. 29).
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GrIURISPKUDENZA CIVILE
A seguilo dell'entrata in vigore dell'art. Ili della Costitu
zione, tutti i provvedimenti decisori, ancorché siano di
chiarati sentenze non impugnabili o siano definiti or
dinanze dalle leggi anteriori, sono impugnabili con ricorso
alla Cassazione per violazione di legge. ( 1 ) Il provvedimento, con il quale il giudice provvede alla liqui
dazione degli onorari dell'avvocato nei confronti del cliente, sebbene sia dall'art. 29 della legge 13 giugno 1942 n.
794 definito ordinanza non impugnabile, pud, in virtù
dell'art. Ili della Costituzione, formare oggetto di ricorso
alla Cassazione per violazione di legge. (2)
La Corte, ecc. — (Omissis). Come è noto, gli art. 29
e 30 della legge 13 giugno 1942 n. 794, relativa agli ono
rari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, stabiliscono un particolare procedimento di liquidazione in esito al quale, anche in seguito ad oppo sizione avverso decreto ingiuntivo chiesto dall'avvocato, il Collegio provvede con ordinanza non impugnabile, che
costituisce titolo esecutivo per gli onorari e per le spese del procedimento. Se non che vari dubbi sono sorti dopo che l'art. Ili della Costituzione stabilì che « contro le sen
tenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pro nunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è
sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di
legge ». Fu controverso, infatti, in dottrina ed in giurispru denza se tale precetto costituzionale sia applicabile solo
nel caso in cui la legge ordinaria esclude l'impugna zione di provvedimenti che, o per espressa disposizione, o,
nel silenzio della legge, per il loro contenuto decisorio, deb
bono essere emanati con sentenza, ovvero anche quando la legge stabilisce che il provvedimento è da emanare nella
forma della ordinanza o del decreto, dichiarandone o meno
espressamente la non impugnabilità. Il Supremo collegio, dopo qualche decisione nel senso
più largo (sent. n. 2727 del 14 dicembre 1950 ; Foro it.,
Rep. 1950, voce Spese giudiziali, n. 108), si è orientato
per la inapplicabilità dell'art. Ili in tutti i casi in cui la
legge prescriva la forma dell'ordinanza o del decreto, so
prattutto per la ragione che la norma costituzionale, intesa
in relazione con l'art. 131 cod. proc. civ., secondo il quale è la legge che prescrive in quali casi il giudice pronuncia
sentenza, ordinanza o decreto, non può essersi riferita che
alle sentenze in senso formale.
Riesaminata la questione, queste Sezioni unite riten
gono che sussistano gravi ragioni per mutare indirizzo.
L'art. Ill Cost, ha indubbiamente una ben chiara fina
lità : ammettere il ricorso per cassazione contro provvedi menti rispetto ai quali la legge esclude ogni impugnazione o esclude il solo ricorso per cassazione, ovvero lo limita,
non consentendolo per violazione di legge. Resta però da accertare per quali provvedimenti il Co
stituente ha voluto assicurare il ricorso per cassazione. Se,
(1-2) La eccezionale importanza della prima massima, a pro
posito della quale le Sez. un. dichiarano di mutare la più recente
giurisprudenza della Cassazione, non ha bisogno di essere segna lata : v., per la inammissibilità del ricorso per cassazione contro
l'ordinanza prevista nell'art. 29, Cass. 5 marzo 1953, n. 524, Foro
it., Mass., 121 ; Cass. 8 gennaio n. 18, 15 marzo n. 689, 29 maggio n. 1551 (ordinanza emessa in danno dell'avversario del cliente, a
seguito di transazione), 5 luglio n. 2025, 6 agosto n. 2541, 10 set
tembre n. 2887, 11 novembre n. 3060 del 1952, id., Mass., co]. 5,
173, 378, 482, 593, 676, 713 ; Cass. 5 maggio 1951 (id., 1951, I,
1035, con nota adesiva di A. Bekliri), a proposito della ordinanza, con la quale il presidente del tribunale risolveva, in contraddittorio
delle parti, le controversie sorte in sede di approvazione del ren
diconto del sequeetratario di beni, assoggettati alla procedura d'avocazione dei profitti di regime, e ne liquidava il compenso ; nel senso, invece, ora seguito dalle Sez. un., Cass. 14 dicembre
1950 (id., Rep. 1950, voce Spese giudiziali, n. 108, e in Foro
pad., 1951, I, 229, con nota critica di Garbagnati), citata nella
sentenza riportata ; Cass. 27 gennaio 1951, Fero it., Rep. 1951, voce cit., n. 107, a proposito dell'ordinanza prevista nell'art. 29.
In dottrina si consulti Bianchi D'Espinosa, in Giur. Cass.
civ., 1951, 3° quadrim., 380, il quale critica la citata sentenza 5
maggio 1951 della Corte di cassazione.
in altre parole, avendo adoperato la espressione « sentenze »
si è riferito a tutti i provvedimenti aventi contenuto
decisorio, che di regola, in base al principio contenuto
nell'art. 279 cod. proc. civ., debbono essere adottati con
sentenza, ovvero ha inteso concedere il ricorso per cassa
zione solo quando la legge abbia escluso ogni impugna zione rispetto a provvedimenti aventi contenuto decisorio
da emanare con la forma della sentenza, ed abbia voluto
lasciare ferma la non impugnabilità dei provvedimenti per i quali la legge, nonostante il contenuto decisorio, non
solo abbia stabilito la non impugnabilità, ma abbia anche
prescritto la forma della ordinanza o del decreto.
Non v'è dubbio che il Costituente, dovendo disciplinare la impugnazione di provvedimenti, non può non avere
tenuto presente la struttura del codice di rito relativa ai
provvedimenti in genere ed alle impugnazioni, nonché la
relativa nomenclatura. Ma nel codice sono contenuti due
principi generali, l'uno nell'art. 131, di aspetto formale,
e cioè che è la legge a prescrivere in quali casi il giudice pro nuncia sentenza, ordinanza o decreto, e l'altro, di natura
sostanziale, nell'art. 279, secondo il quale è impostala forma della sentenza per i provvedimenti aventi contenuto
decisorio. È parimenti certo che l'art. 279, ora detto, con
tiene la regola, e che tuttavia ad essa il legislatore, nello
stesso codice e nelle leggi speciali, apporta deroghe,
legittime alla stregua dell'art. 131. È da premettere ancora che l'impugnazione, in generale, è disposta dalla
legge sempre quando il contenuto del provvedimento è
tale che la eventuale ingiustizia di esso importerebbe per la parte un pregiudizio irreparabile, ciò che si verifica nel
caso di provvedimenti aventi contenuto decisorio. È di
questi che si impone la garanzia di un riesame da parte di un giudice superiore, non necessario rispetto a provve dimenti di contenuto meramente ordinatorio. Tuttavia il
legislatore, nell'intento di assicurare una maggiore sem
plicità e rapidità di definizione della controversia, rinunzia
talvolta a dare la garanzia del riesame, escludendo l'im
pugnazione. Questa eccezione alla regola della impugnabilità in ta
luni casi è abbinata all'altra eccezione attinente alla forma
del provvedimento, nel senso che la norma stabilisce che
il giudice decide con ordinanza o decreto non impugnabile ;
altre volte il provvedimento decisorio deve essere adottato
nella forma sua propria, e cioè con sentenza, la quale
tuttavia è dichiarata non impugnabile. Tutto ciò premesso le Sezioni unite ritengono che con
l'art. Ili della Costituzione si sia voluto ammettere il
ricorso per cassazione in tutti i casi in cui il legislatore
ordinario abbia escluso l'impugnazione in deroga al princi
pio generale anzidetto, trattandosi di provvedimenti avente
carattere decisorio, e quindi anche nel caso in cui la legge
abbia derogato pure all'altra regola, secondo la quale il
provvedimento avrebbe dovuto avere la forma dell'ordi
nanza. Il Costituente, al fine di assicurare ai cittadini la
tutela dei diritti e degli interessi legittimi (art. 24, 1° com
ma), ha voluto ricondurre l'eccezione sotto la disciplina
della regola, sì che è indifferente il mezzo col quale sia
stata esclusa la impugnazione, e cioè o solo espressamente escludendola ovvero prescrivendo anche la forma dell'or
dinanza o del decreto.
L'ordinanza o il decreto, nel caso di provvedimenti a
contenuto decisorio, sono prescritti dal legislatore, in casi
pur sempre eccezionali, per la tutela di quelle stesse spe
ciali esigenze di celerità e di economia processuale che lo
inducono, nel medesimo tempo, a rinunciare, oltre che alle
più ampie garanzie formali della sentenza, anche al con
trollo sulla giustizia e sulla legalità del provvedimento, che
si attua attraverso le impugnazioni. Ond'è che, come si è già accennato, le ragioni per le
quali in alcuni casi viene soltanto esclusa l'impugnazione della sentenza, ed in altri si esclude la impugnazione e si
stabilisce che il provvedimento deve essere emanato nella
forma dell'ordinanza o del decreto, non possono giustificare
quella differente disciplina che, secondo l'opinione non
accolta da questo Supremo collegio, il Costituente avrebbe
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1251 PARTE PBIMA 1252
voluto : si tratta di ragioni che attengono ad elementi
estrinseci, ben trascurabili, ai fini dell'ammissibilità del ricorso in Cassazione di fronte alla decisiva e sostanziale
circostanza che si tratta di un provvedimento a contenuto
decisorio, la cui eventuale ingiustizia resterebbe irrepara bilmente e definitivamente incontrollata.
L'interpretazione restrittiva dell'art. Ili si risolverebbe,
rispetto a leggi precedenti alla Costituzione, nella appli cazione o nella disapplicazione del precetto costituzionale
in dipendenza di un elemento secondario e accidentale :
la prescrizione della forma della ordinanza o del decreto, in quanto rivolto a fini indipendenti da quelli propri del
l'art. Ili, ignorati dal legislatore precedente. In relazione a
leggi successive alla Costituzione, porrebbe nelle mani del
legislatore ordinario il mezzo per rendere non impugna bili provvedimenti aventi contenuto decisorio. Nè, pur dovendosi riconoscere una certa diversità del problema, a
seconda che riferito a leggi precedenti ovvero a leggi suc
cessive alla Costituzione, la identità della ratio legis con
sente una soluzione del problema di interpretazione di legge
precedente, contrastante con quello della legittimità costi
tuzionale di una legge successiva.
Dai sostenitori della tesi contraria si è opposto un ar
gomento di ordine strettamente letterale, desunto dal
l'art. Ili, nel quale l'espressione «sentenze» sarebbe con
trapposta alla espressione « provvedimenti », adoperata sia
nel 1° comma sia nello stesso 2° comma. Ma l'argomento medesimo sembra di poco rilievo. Invero nel 1° comma
l'obbligo della motivazione non poteva essere stabilito, in
generale, che per i « provvedimenti ». Nel 2° comma la
parola « sentenze » appare imposta da necessità di espres
sione, e cioè per menzionare, accanto ai provvedimenti a
carattere decisorio, i provvedimenti sulla libertà personale. Denominando sentenze i primi, con una parola giuridica mente esatta se riferita al contenuto sostanziale più che
alla forma, si è facilitata l'espressione della frase e si è
evitata la ripetizione della parola. L'ordinanza prevista nel predetto art. 29 della legge
13 giugno 1942 n. 794, ha contenuto indubbiamente de
cisorio in ordine alle controversie insorte fra patrono e
cliente circa l'ammontare, spesso rilevantissimo, degli ono
rari di avvocato e procuratore, epperò, in virtù del predetto art. Ili della Costituzione, è da considerare provvedimento immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione
per violazione di legge. È appena da avvertire ohe il Supremo collegio, attesa
la grande varietà di ordinanze e di decreti previsti sia nelle
leggi speciali sia nel codice di procedura civile, dovrà esa
minare caso per caso se una determinata specie di prov vedimenti è da considerare o meno di natura decisoria e,
sotto ogni altro aspetto, compresa nella sfera di applica zione dell'art. Ili della Costituzione. (Omissis)
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 9 luglio 1953, n. 2189 ; Pres.
Felici P., Est. La Via, P. M. Rossi (conci, coni.) ; Boc
cioli (Avv. Vetrano, Prosperetti) c. A.t.a.c. (Avv.
Sanina, Girelli).
(Sent, denunciata : App. Roma 23 ottobre 1951)
Condottare elettriche — Servitù di elettrodotto —
Atto costitutivo — Casa e ((lardino — Esenzione
(Cod. civ., art. 1032 ; r. d. 11 dicembre 1933 n. 1775,
t. u. sulle acque e impianti elettrici, art. 108, 119, 121).
Responsabilità civile — Colpa — Onere della prova
(Cod. civ., art. 2043, 2697).
Per dar vita alla servitù coattiva di elettrodotto, non è suf
ficiente l'autorizzazione amministrativa alla costruzione
della linea elettrica, ma è necessaria una convenzione con
gli interessati, o, in mancanza, una sentenza costitutiva. (1)
La facciata di una casa che, attraverso un giardino ad
essa attinente, guardi sulla pubblica via, non è assog
gettabile alla servitù di elettrodotto. (2) In tema di responsabilità aquiliana, a differenza di quanto
vale per la responsabilità contrattuale, spetta al dan
neggiato di provare la colpa nell'autore del danno. (3)
La Corte, ecc. — Col primo mezzo denuncia la ricor
rente la violazione ed errata applicazione dell'art. 121 lett.
B, capov., in relazione all'art. 123, 1° comma, t. u. 11
dicembre 1933 n. 1775 della legge sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, e sostiene che nel caso in cui, come
nella specie, tra la facciata della casa e la via pubblica vi
sia un giardino, l'edificio è esente dalla servitù di elettro
dotto ; che inoltre vi sarebbe stato spoglio non essendo stata
offerta o depositata preventivamenre nei modi di legge la
indennità di legge per la imposizione della servitù di elet
trodotto. Chiarisce, poi, con memoria, che essa, parlando di spoglio, non ha inteso di spiegare un'azione possessoria, ma soltanto di meglio precisare la illegittimità della dedotta
servitù, sia per non essere stata corrisposta la relativa
indennità a norma del citato art. 123, sia perchè, pur tro
vando la servitù di elettrodotto il suo titolo nella legge, era necessario per la sua costituzione, un atto scritto od
una sentenza, che nella specie mancano.
Il mezzo è fondato.
Giova rilevare che il principio generale, che vige per la
costituzione delle servitù coattive, è quello previsto nel
1° comma dell'art. 1032 cod. civ., secondo il quale, in man
canza di contratto, la servitù coattiva viene costituita me
(1) Nello stesso senso, vedi Cass. 30 dicembre 1936, n. 3521
(Foro it., Rep. 1986, voce Condotture eleltr., n. 10); App. Perugia 14 febbraio 1935 (id!., Rep. 1935, voce cit., n. 15); Cons. Stato 7 aprile 1933 (id-, 1933, III, 169, con nota di richiami), decisione questa emessa vigente la legge 7 giugno 1894n. 232, ossia prima dell'ema
nazione dell'attuale t. u. La tesi della competenza amministrativa nell'imposizione della
servitù di elettrodotto è stata invece recentemente sostenuta dalla
Cassazione a Sezione unite, sentenza n. 2827 del 4 settembre 1952,
id., Mass., 664. Vedi anche, in tal senso, Cass. 27 maggio 1946,
n. 675 (id.. Rep. 1946, voce cit., n. 1), e App. Bologna 5 febbraio
1940 (id., Rep. 1940, voce cit., n. 8). Recentemente il Dejana (Le servitù prediali, Utet, 1951, n.
159) e il Branca (in Commentario del codice civile, a cura di Scia
loja e Branca, 1946, libro III, pag. 473) si sono espressi nel
senso della sentenza che annotiamo. Il Guardoni (Acque pubbliche e impianti elettrici, Roma, 1936,
vol. II, n. 1395-1397) sostiene che la servitù non sorge se non
siano intervenuti il contratto o la sentenza, e non sia stata pagata
inoltre l'indennità. La tesi opposta sostiene il Graziani, in Nuovo
digesto it., voce Elettrodotto. Vedi inoltre, sull'argomento, pro o contro : Farina (Biv. di
dir. pubbl-, 1936, I, 441) ; Pulvirenti (Nuova rìv. pubbl. appalti,
1934, II, 1) ; De Ruggiero (Riv. dir. comm., 1916, II, 745) ; Sa
cerdoti (Biv. dir. comm., 1910, 11,697) ; Quarta (Giur. it., 1904,
IV, 35). Per una più completa bibliografìa sulla servitù di elettrodotto
in generale, rimandiamo, oltre che alle opere citate, al trattato
del Pulvirenti, Servitù prediali (Utet, 1923, vol. II, nn. 595-619),
ed a quello del Castelli-Avo lio, Commento alle leggi sulle acque
e sugli impianti elettrici (Jovene, 1936, nn. 494-538).
(2) La questione, a quanto ci consta, è nuova in giurisprudenza.
In dottrina, il Pulvirenti (op. cit., n. 583) sostiene che non
compete l'esenzione dalla servitù di elettrodotto alle facciate delle
case che siano separate dalla via o piazza pubblica da un giardino,
in quanto questo, quale pertinenza della casa, seguirebbe la sorte
di esse. Per quanto concerne l'estensione della norma che detta l'esen
zione per i giardini, vedi Cass. 17 luglio 1941 (Foro it., Rep.
1941, voce Condotture elettriche, n. 9). Vedi anche Dejana, op.
cit., pag. 1099. Sul concetto dell'»attinenza », confr. Pui.virenti, op. cit., n. 582.
(3) La questione, per quanto non frequente, dato il chiaro
disposto dell'art. 2697 cod. civ., è stata sempre risolta in senso
conforme dalla Suprema corte.
Vedi Cass. 16 giugno 1951, n. 1581 (Foro it., Rep. 1951, voce
Responsabilità civ., n. 235) ; 23 novembre 1948, n. 1834 (id., Rep.
1948, voce cit., n. 27); 12 luglio 1946, n. 858 (id., Rep. 1946, voce
cit., n. 19) ; 25 luglio 1938, id., 1939, I, 106, con nota di richiami.
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