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Sezioni unite civili; sentenza 4 aprile 1981, n. 1904; Pres. G. Rossi, Est. Pieri, P.M. Fabi (concl....

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Sezioni unite civili; sentenza 4 aprile 1981, n. 1904; Pres. G. Rossi, Est. Pieri, P.M. Fabi (concl. conf.); Azienda autonoma delle terme di Acireale (Avv. dello Stato Viola) c. Pennisi (Avv. Ferruggia, C. Marino). Conferma Trib. Catania 22 marzo 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 4 (APRILE 1981), pp. 963/964-967/968 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172827 . Accessed: 28/06/2014 08:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.64 on Sat, 28 Jun 2014 08:42:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 4 aprile 1981, n. 1904; Pres. G. Rossi, Est. Pieri, P.M. Fabi (concl.conf.); Azienda autonoma delle terme di Acireale (Avv. dello Stato Viola) c. Pennisi (Avv.Ferruggia, C. Marino). Conferma Trib. Catania 22 marzo 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 4 (APRILE 1981), pp. 963/964-967/968Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172827 .

Accessed: 28/06/2014 08:42

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PARTE PRIMA

agli esercizi commerciali. Per cui è da escludere che con l'espres sione « blocco generalizzato » i parlamentari intendessero riferirsi

al blocco indiscriminato di tutti i canoni, anche cioè di quelli re

lativi ai contratti liberi.

Ovviamente, quest'ultimo tipo di blocco avrebbe raggiunto più a pieno l'obiettivo antinflazionistico. Ma non può negarsi che

l'obiettivo stesso era egualmente perseguibile, pur se in modo

meno pieno, operando sui canoni delle sole locazioni prorogate, le quali rappresentavano il settore di gran lunga più vasto dei con

tratti in corso. E, d'altronde, che il legislatore neppure mirasse

ad una pienezza di risultati nello specifico campo, può essere de

sunto dal fatto che limitò la nullità ai patti d'aumento « stipulati

successivamente all'entrata in vigore » del decreto, cosi ricono

scendo la validità di quelli stipulati anteriormente.

Sembra, allora, potersene dedurre che la finalità antinflazio

nistica ispirò bensì il divieto d'aumento dei canoni e la parallela

inefficacia delle clausole di adeguamento « dirette a compensare

eventuali effetti di svalutazione monetaria»; ma nell'ambito del

« blocco dei contratti » disposto col provvedimento legislativo.

Ambito, sul quale non offre una precisa ed univoca indicazione

la suddetta ratio, ispiratrice del provvedimento stesso nella sua

globalità e, dunque, rimasta esterna al sistema normativo unitario

creato da questo. Ulteriore conferma trova tale conclusione nel rilievo che an

che il successivo d. 1. 19 giugno 1974 n. 236 fu adottato «in fun

zione antispeculativa e antinflazionistica » (così l'on. Busetto, nel

la seduta della Camera del 26 luglio 1974), fu cioè (come si

espresse il sen. Gatto, nella seduta del Senato del 9 agosto 1974)

« un provvedimento di quelli che hanno titolo per far parte del

pacchetto della congiuntura ». E, nondimeno, la relativa legge di

conversione 12 agosto 1974 n. 351 vi inserì, pur senza alcun in

tento innovativo, il surriportato art. 1 bis, penult, comma, che di

sponeva l'applicabilità della norma sul parziale divieto di au

mento dei canoni relativi ai contratti non prorogati, « esclusiva

mente » con riguardo ai contratti scadenti « entro e non oltre »

la data di proroga legale: in coerenza, appunto, col principio

che i contratti scadenti dopo tale data restavano fuori della di

sciplina del provvedimento legislativo. Non solo, ma già nello stesso anno 1973 l'art. 1 legge n. 841,

che prorogò ancora sino al 30 giugno 1974 i contratti di loca

zione in corso, mentre nel terzo comma dispose che nulla era in

novato alle norme del 2°, 3°, 4° e 6° comma dell'art. 1 d. 1. n.

426, in quello successivo precisò, come sopra notato, che « i ca

noni delle locazioni prorogate in virtù della presente legge non

possono essere aumentati... ».

È pertanto del tutto ragionevole ritenere che col quarto comma

del decreto-legge in questione il legislatore intese dettare una

norma particolare nell'ambito della specifica disciplina indicata

dal titolo del decreto stesso, e non invece una norma di portata

generale, applicabile a tutti i contratti di locazione, anche se

svincolati da quella disciplina: giusta quanto desunto, con argo mento logico-sistematico, dal lumeggiato collegamento col primo comma del medesimo articolo. Obliterando il quale collegamento, cioè supponendo la piena autonomia della norma in esame, si

finirebbe oltretutto col dover attribuire forza ultrattiva a questa, nel senso di dover ritenere che essa avrebbe in ipotesi continuato

ad operare anche se, trascorso il termine del 31 gennaio 1974,

non fosse stata disposta un'ulteriore proroga dei contratti di lo

cazione.

In accoglimento del ricorso, l'impugnata sentenza va perciò cessata con rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione

della stessa Corte d'appello di Bari, che si adeguerà al principio, secondo cui l'inefficacia disposta dal succitato art. 1, 4° comma,

d. 1. n. 426 del 1973 non si estende ai contratti di locazione sca

denti oltre il termine della disposta proroga legale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 4 apri le 1981, n. 1904; Pres. G. Rossi, Est. Pieri, P.M. Fabi (conci,

conf.); Azienda autonoma delle terme di Acireale (Avv. dello

Stato Viola) c. Pennisi (Avv. Ferruggia, C. Marino). Con

ferma Trib. Catania 22 marzo 1977.

Impiegato dello Stato e pubblico — Sicilia — Azienda autonoma delle Terme di Acireale — Dipendenti — Controversia d'im

piego — Giurisdizione ordinaria — Fattispecie (Cod. civ., art.

2093, 2103; d. leg. pres. reg. sic. 18 aprile 1951 n. 24, provve dimenti per lo sviluppo dei complessi idrominerali e idroter mali di Acireale, art. 1; d. leg. pres. reg. sic. 20 dicembre 1954 n. 12, istituzione delle aziende autonome delle terme di Sciacca

e delle terme di Acireale, art. 1, 4, 8, 16, 17, 18, 20).

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della domanda proposta dal dipendente contro l'azienda auto

noma delle Terme di Acireale, gestita in forma imprenditoriale ed operante, almeno per vari settori della sua attività, in re

gime di concorrenza con le imprese private, per ottenere l'in

quadramento nella qualifica superiore corrispondente alle man

sioni di fatto svolte e il pagamento delle differenze retribu

tive. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso

del 3 marzo 1976 al Pretore di Acireale quale giudice del lavoro, Salvatore Perniisi espose di esser dipendente dell'azienda auto

noma delle terme di quella città, e di aver diritto alla qualifica impiegatizia di II* categoria, per avere da tempo svolto le rela tive mansioni. Chiese quindi che l'azienda fosse condannata a

riconoscergli la predetta qualifica, a decorrere dal 13 settembre

1973, ed a pagargli la relativa differenza di retribuzione, con

gli accessori di legge. Costituitasi in causa col patrocinio dell'avvocatura dello Stato,

l'azienda autonoma delle Terme di Acireale eccepì' preliminar mente il difetto di giurisdizione del giudice adito, trattandosi di controversia attinente ad un rapporto di pubblico impiego, rien trante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ed in subordine il proprio difetto di legittimazione passiva, so stenendo di essere un organo periferico dell'assessorato al tu rismo della regione siciliana. Nel merito, resistette alle domande

attoree, sostenendo che esattamente il Pennisi era stato inqua drato nel III, e non nel II raggruppamento, con provvedimento assessoriale n. 38028 del 18 gennaio 1975.

Il pretore, con sentenza del 18 giugno 1976, rigettate le ecce zioni preliminari, accolse le domande del Pennisi, ponendo a carico dell'azienda le spese giudiziali.

L'azienda delle terme ha proposto appello, risollevando le ec cezioni preliminari di carenza di giurisdizione dell'a.g.o. e di carenza di legittimazione passiva. Nel merito ha sostenuto che il Pennisi era decaduto da ogni pretesa per non aver impugnato in via amministrativa i provvedimenti che avevano definito il suo trattamento economico; che la domanda di parte attrice non era comunque sostenuta da idonee prove; che il Pennisi era in

ogni caso decaduto dal diritto di esperire prove testimoniali, per averle tardivamente articolate; che infine la domanda del ricor rente era infondata, in ogni caso, per il periodo antecedente alla entrata in vigore dello statuto dei lavoratori. Il Pennisi, costi tuitosi, oltre a resistere al gravame, ha proposto appello inciden

ti) Il Tribunale di Catania aveva ravvisato nell'azienda autonoma delle Terme di Acireale un ente pubblico economico ed affermato, quindi, la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della con troversia d'impiego contro la stessa azienda promossa dal Pennisi, alla stregua del consolidato orientamento della Cassazione (fra le più recenti, Sez. un. 14 ottobre 1980, n. 5503, Foro it., 1980, I, 2947, con nota di richiami; adde per il riconoscimento della giurisdizione ordinaria in ordine alle controversie relative al concorso per l'assun zione presso ente pubblico economico, Sez. un. 5 gennaio 1981, n. 1, id., 1981, I, 15, con ulteriori indicazioni).

Le sezioni unite, pur confermando la sentenza del Tribunale di Catania, non ne hanno condiviso la qualificazione dell'azienda au tonoma delle Terme di Acireale come ente pubblico economico di stinto e separato dalla regione, in quanto hanno ritenuto che « an che se non si voglia giungere tanto oltre, non par dubbio che ci si trovi di fronte ad una impresa esercitata da un ente pubblico, ai sensi e per gli effetti del 2° comma dell'art. 2093 cod. civile ». Quin di hanno rilevato che « in questa situazione, non è chi non veda che ci si trova di fronte, quanto meno, ad una situazione del tutto analoga a quella di molte aziende municipalizzate, del cui carattere imprenditoriale nessuno dubita, e che operano indubbiamente me diante gli strumenti propri del diritto comune e non di quello pub blico », per poi disattendere la tesi della inapplicabilità del 2° com ma del ripetuto art. 2093 agli enti pubblici territoriali sulla consi derazione della esistenza nell'ordinamento di aziende municipalizza te (di trasporti, di distribuzione di acqua, di elettricità, ecc.) « costi tuite da enti pubblici anche territoriali per l'esercizio di attività in dustriali e commerciali ».

Senonché, pur non potendosi disconoscere che la giurisprudenza relativa alle controversie d'impiego con le aziende municipalizzate (cfr. i precedenti richiamati in nota a Cass. 17 dicembre 1979, n. 6564, id., 1980, I, 53, in tema di concorso per dirigente amministra tivo presso l'A.c.e.a. di Roma) costituisce un valido punto di riferimento ai fini del riconoscimento della giurisdizione ordinaria in ordine a cause come quella proposta nella specie dal Pennisi, la tesi della inapplica bilità dell'art. 2093, 2° comma, cod. civ. agli enti pubblici territoriali avrebbe potuto trovare più diretta e puntuale confutazione nel ri chiamo alle pronunzie delle sezioni unite, come, ad es., sent. 2 maggio 1979, n. 2523, id., 1979, I, 1121, con nota di richiami, nelle quali la norma de qua è stata ritenuta invocabile con specifico riguardo all'esercizio di attività imprenditoriale direttamente da parte di un comune.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tale lamentando la mancata liquidazione in suo favore degli in

teressi legali e del risarcimento del danno per svalutazione mo

netaria.

Con la sentenza in data 18 gennaio-22 marzo 1977, oggetto del

presente ricorso, il Tribunale di Catania ha rigettato entrambi gli

appelli, compensando parzialmente tra le parti le spese del giu dizio di secondo grado. La decisione è stata cosi motivata per

quanto in questa sede ancora interessa: a) la giurisdizione sulla

controversia spetta all'a.g.o. A norma dell'art. 1 d. leg. pres. reg. sic. 18 aprile 1951 n. 24, la regione è autorizzata ad «utilizzare

industrialmente» le acque relative alle Terme di Acireale; ed

a mente dell'art. 1 d. leg. pres. reg. sic. 20 dicembre 1954 n. 12, è stata istituita l'azienda autonoma delle suddette terme allo

scopo di « gestire, amministrare e valorizzare » le acque in que stione. Da ciò emerge che l'azienda agisce in regime patrimoniale; e difatti essa ha un proprio bilancio, e, tra i fini istituzionali, an

che l'incremento del proprio patrimonio (art. 20 d. leg. pres. n. 12

del 1954). Se nello sfruttamento e valorizzazione delle acque ter

mali si perseguono fini di interesse generale, non manca però il

fine di lucro. Da ciò deve dedursi che la natura dell'azienda è

quella di ente pubblico economico; né a ciò osta il fatto che l'azienda stessa sia sottoposta al controllo di organi regionali, e

che il suo bilancio possa esser chiuso a pareggio con un finanzia

mento regionale; tenuto anche conto del fatto che gli impianti appartengono alla regione che, tramite l'azienda autonoma, li

amministra. Ed è del tutto pacifico che per le controversie di la voro dei dipendenti degli enti pubblici economici la giurisdizione

spetti all'a.g.o.; b) la legittimazione passiva dell'azienda sussiste

in considerazione della sua autonomia legale ed amministrativa;

infatti, a norma dell'art. 4 citato d. leg. pres. n. 12 del 1954, la sua

legale rappresentanza spetta al suo presidente; c) il Pennisi non era tenuto ad impugnare in via amministrativa atti autoritativi inerenti al suo trattamento economico. Gli atti amministrativi au

toritativi attengono infatti alla gestione dell'azienda, e non hanno

incidenza sul rapporto di lavoro regolato da contratti collettivi

nazionali di lavoro, in regime di diritto privato; d) la doglianza

dell'appellante sulla carenza di prove a sostegno della domanda attorea è generica ed indeterminata, e comunque infondata, di

fronte alle chiare risultanze dell'ordine di servizio del 12 giugno 1973, che attribuì al Pennisi mansioni impiegatizie; e) del tutto

infondato è il rilievo circa la decadenza dell'appellato da prove testimoniali, che del resto non sono state neppure espletate; /) giustamente anche dal punto di vista cronologico, il diritto del Pennisi alla qualifica superiore, con decorrenza del 13 settembre

1973, è stato messo in rapporto sia con Io statuto dei lavoratori, sia con le disposizioni del c.c.n.l. di categoria del 23 settem

bre 1972.

Avverso la detta sentenza, l'azienda autonoma delle Terme di

Acireale ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due

mezzi di annullamento, il primo dei quali attinente al problema della giurisdizione. Il Pennisi resiste con controricorso, illustrato

da memoria.

Motivi della decisione. — Col primo mezzo, l'azienda autonoma

delle Terme di Acireale denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 24, 1° comma, n. 1, r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 richia

mata dall'art. 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, degli art. 1, 8, lett.

a), 16, 17, 18, 20 d. 1. pres. reg. sic. 20 dicembre 1954 n. 12, del

l'art. 409 cod. proc. civ. e del 2° e 3° comma dell'art. 2093 cod.

civ., il tutto in relazione all'art. 360, nn. 1 e 3, cod. proc. civile.

Il tribunale, secondo la ricorrente, avrebbe violato le norme suin

dicate ritenendo la giurisdizione dell'a.g.o. in ordine alle do

mande avanzate in causa dalla parte resistente.

La difesa dell'azienda autonoma delle Terme di Acireale, do

po aver richiamato le norme che attribuiscono ai giudici ammi

nistrativi la giurisdizione esclusiva delle controversie di pubblico

impiego, osserva: a) all'azienda autonoma, a norma dell'art. 1

d. leg. pres. n. 12 del 1954 sono stati attribuiti i poteri e le com

petenze inerenti al settore dei beni e degli interessi pubblici già esercitati dall'amministrazione regionale; e l'art. 8 dello stesso

decreto, nello stabilire che il programma di attività dell'azienda

dev'essere determinato in relazione alle « direttive di massima »

impartite dall'assessore preposto ai servizi del bilancio, affari

economici e patrimoniali, ribadisce il collegamento funzionale

tra l'azienda e gli uffici regionali; b) l'art. 16 impone il vincolo

di indisponibilità sul patrimonio dell'azienda cosi definendo la

natura della stessa come organo della regione, giacché ex art.

826 cod. civ., l'indisponibilità afferisce solo a determinati beni

di enti pubblici territoriali; il che è confermato dagli art. 16 e 22

che prevedono i « contributi a pareggio » del bilancio aziendale

a carico del bilancio regionale e l'iscrizione del bilancio del

l'azienda come «appendice del bilancio regionale»; c) da ciò

discende che la creazione di una azienda autonoma non significa creazione di un ente pubblico che si contrapponga all'ente re

gione; manca infatti l'attribuzione espressa all'azienda della per sonalità giuridica distinta, la previsione di organi che agiscano in nome del nuovo soggetto, e l'attribuzione allo stesso di beni

che ne formino il patrimonio; d) non avendo distinta personalità

giuridica, l'azienda non può che porsi come organo della regione; dal che discende l'inapplicabilità dell'art. 409 cod. proc. civ., non

potendo la regione esser qualificata come ente pubblico econo

mico, stante anche la netta distinzione operata dall'art. 11 cod.

civ.; tra gli enti pubblici territoriali e gli altri enti pubblici rico

nosciuti come persone giuridiche, e l'inapplicabilità delle dispo sizioni dei nn. 4 e 5 dell'art. 409 ai rapporti di lavoro dei dipen denti degli enti pubblici territoriali; e) anche la disposizione del

2° comma dell'art. 2093 cod. civ. è inapplicabile ai comuni, alle

province ed alle regioni, in quanto le eventuali attività econo

miche esercitate da tali persone giuridiche pubbliche sono ine

renti a funzioni istituzionali incompatibili col concetto di im

presa. Secondo l'insegnamento giurisprudenziale, la gestione di

un'attività economica direttamente dallo Stato (o da una regione) non costituisce in alcun caso un pubblico servizio esercitato in

forma d'impresa; con la conseguenza che, ai fini della determina

zione della giurisdizione sulle controversie, l'unico criterio di

scretivo tra impiego pubblico e privato è quello soggettivo, e cioè

la natura del soggetto titolare dell'organizzazione nella quale si

inserisce il dipendente; f) i compiti di gestione, amministrazione

e valorizzazione di un complesso termale non valgono a quali ficare l'esercizio della relativa attività come azione iure priva torum; invero, qualsiasi attività esercitata iure publico non può

logicamente prescindere da esigenze di gestione, amministrazione

e valorizzazione dei servizi pubblici e dei beni ad essi strumen

tali per il perseguimento del fine pubblico. Analogamente, non

è significativo per questi fini il fatto che l'attivo di bilancio possa esser destinato all'incremento del patrimonio dell'azienda. Da que sta serie di considerazioni, la difesa dell'azienda fa discendere

la conseguenza che i rapporti di lavoro per cui è lite hanno na

tura di rapporti di pubblico impiego, con conseguente sottrazione

delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario.

Questa tesi non può essere condivisa. Prendendo le mosse dal

l'esame dei testi legislativi che disciplinano la materia, va te

nuto presente innanzi tutto che l'art. 1 d. 1. pres. reg. sic. 18

aprile 1951 n. 24 ha autorizzato l'amministrazione del demanio

della regione ad utilizzare industrialmente le acque scaturenti

naturalmente od artificialmente, o comunque esistenti nel bacino

idrominerale di cui trattasi. Non è necessario aggiungere, a que sto punto, che l'utilizzazione « industriale » implica un inequi voco riferimento all'esercizio di un'impresa; e ciò appare ancor

più chiaro in relazione al riferimento, contenuto nel 2° comma

dell'art. 3 dello stesso decreto, all'attività di « imbottigliamento »

delle acque minerali; attività che non può che essere esercitata

in regime di concorrenza con innumerevoli altre imprese ope ranti sul mercato nazionale. A nessuno potrà certo venire in mente di mettere in dubbio il carattere imprenditoriale di natura

privatistica di aziende, come ad es. la S. Pellegrino, la Crodo, la Sangemini, la Fiuggi, ancorché le stesse utilizzino acque di

indubbio carattere demaniale.

Ma elementi di giudizio di rilievo assai maggiore si rinven

gono nel successivo d. 1. reg. sic. 20 dicembre 1954 n. 12, col

quale sono state istituite le aziende autonome delle Terme di

Sciacca e di Acireale, aziende autonome che sono state istituite

per amministrare, gestire e valorizzare i complessi crenotermali

ed idrominerali esistenti nei relativi bacini, proprio al fine del

conseguimento degli scopi di cui al d. leg. pres. n. 24/1951, e cioè

alla «utilizzazione industriale» delle acque in questione (art. 1).

A norma dell'art. 3 del citato decreto, sono organi delle

aziende: il presidente, il vice presidente, il consiglio di ammini

strazione, il collegio dei revisori ed il direttore amministrativo.

Già il richiamo di questa disposizione vale a smentire l'asser

zione della difesa della ricorrente, secondo cui mancherebbe; nel

caso di specie, la previsione di organi che agiscano in nome

del nuovo soggetto. Il presidente, infatti, « ha la legale rappre

sentanza dell'azienda » (art. 4) ed è abilitato a firmare « i con

tratti relativi al funzionamento dell'azienda », e deve essere nomi

nato « fra persone che non siano comunque alle dipendenze della

regione». E non è chi non veda la singolarità della situazione di

una azienda che, secondo la tesi della ricorrente, sarebbe un

semplice e normale organo della regione, ma che ha a sua volta

dei propri organi, cosi testualmente definiti della legge; che ha

un legale rappresentante distinto da quello dell'ente di cui sa

rebbe un semplice organo, il quale è autorizzato ad impegnare

l'azienda stessa mediante contratti, e che deve essere persona

estranea all'amministrazione regionale. La stessa enunciazione di

questi fatti evidenzia la contraddizione in termini esistenti nelle

asserzioni della ricorrente.

Il consiglio di amministrazione deve, è vero, contenere taluni

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PARTE PRIMA

membri designati da assessori regionali (al bilancio, al turismo, al

lavoro), ma anche altri membri designati da altri enti (l'ente

provinciale del turismo interessato, il comune ove l'azienda ha

sede) ed altri membri con qualifiche esclusivamente tecniche; in

ogni caso è prevista un'altra incompatibilità analoga a quella stabilita per il presidente (i membri non possono essere deputati

regionali, il che conferma ulteriormente la netta contrapposizione tra dipendenti e rappresentanti della regione e componenti del

l'amministrazione dell'azienda). Al consiglio di amministrazione

spetta di determinare il programma di attività dell'azienda (art.

8), in relazione alle direttive di massima impartite dall'assessore

al bilancio. 11 che conferma l'elevato grado di autonomia con

cui l'azienda può operare. Spetta sempre al consiglio — e non

già ad un qualche organo regionale — deliberare l'ordinamento

del personale, il relativo trattamento economico (che quindi si

distaccano nettamente da quelli del personale della regione) e le

assunzioni. Notisi, al riguardo che la legge non parla di nomine, come sarebbe normale se si trattasse di pubblico impiego, né è

prevista, in genere, la procedura del concorso. Spetta altresì al

consiglio decidere sulle controversie e sulle transazioni concer

nenti i beni immobili. Su queste deliberazioni, l'assessore regio nale ha solo una sorta di diritto di voto, peraltro con obbligo di motivazione (art. 9) né può sostituirsi in altro modo alle

autonome e libere determinazioni del consiglio. In relazione poi ai membri del consiglio di amministrazione ed ai revisori dei

conti, la legge richiama espressamente le disposizioni del codice

civile in tema di società, con ciò ulteriormente confermando il carattere privatistico della struttura dell'azienda.

Altre disposizioni di rilevante interesse si rinvengono negli art. da 16 a 20 del decreto in questione. Secondo l'art. 16, al l'azienda delle terme è assegnato, come patrimonio indisponibile il complesso dei beni immobili e mobili costituenti il complesso termale; ma l'articolo prevede per l'azienda stessa anche un

patrimonio disponibile, costituito con le disponibilità economi che dell'azienda stessa, o proveniente da permute di altri beni

disponibili o da donazioni o lasciti. Non è quindi affatto vero ciò che la difesa della ricorrente sostiene, e che cioè l'azienda non è fornita di un proprio patrimonio; mentre non appare le cito trarre argomenti in favore della non autonomia dell'azienda

dal carattere indisponibile dei beni costituenti il complesso ter

male. Trattasi infatti di beni che appartengono necessariamente

alla regione, e che sono dati all'azienda semplicemente in gestio

ne, cosi come avverrebbe se in luogo dell'azienda autonoma agisse un concessionario privato (che non potrebbe comunque divenire

proprietario di acque pubbliche e degli impianti per la loro capta zione ed utilizzazione). Soggiunge poi l'art. 17 che a costituire

le entrate dell'azienda concorrono « i redditi ed i proventi dei

beni patrimoniali », oltre agli interessi delle somme depositate in conti fruttiferi, i redditi di eventuali donazioni o lasciti e gli

eventuali « contributi a pareggio a carico del bilancio della re

gione ». Contributi, si noti, che sono previsti come mera even

tualità, in caso di bisogno; tanto è vero che l'art. 19 e l'art. 20

prevedono espressamente l'opposta ipotesi del verificarsi di utili

netti di esercizio, stabilendo che una parte di essi deve essere ac

cantonata come riserva, mentre il residuo o deve esser versato

alla regione (il cui bilancio prevede un apposito capitolo nello

stato di previsione di entrata) o dev'essere utilizzato dall'azienda

per l'incremento del proprio patrimonio. Per il perseguimento del

quale fine l'azienda può essere anche autorizzata a contrarre

mutui.

Infine gli art. 21 e 22 prevedono la redazione di un autonomo

bilancio, di previsione e consuntivo, da approvarsi dal consiglio di amministrazione, e la iscrizione del bilancio stesso « come ap

pendice » al bilancio regionale. Ed anche sotto questo ulteriore

profilo la legge pone in risalto la particolare posizione di auto

nomia dell'azienda delle terme rispetto alla regione, specie ove

si consideri che le disposizioni in esame ricalcano, in sostanza,

quelle relative ai bilanci delle aziende municipalizzate (mentre non potrebbe non considerarsi quanto meno anomala la situazione

di un « organo » di un ente pubblico munito di bilancio separalo

rispetto all'ente di cui è parte). Dal complesso delle disposizioni fin qui sommariamente de

scritte emerge una situazione che potrebbe forse, addirittura, far pensare all'azienda autonoma come ad un ente pubblico eco

nomico, del tutto distinto e separato dalla regione, e dotato di

sua autonoma personalità giuridica. In questo senso, indubbia

mente, deporrebbe la previsione di un presidente che dell'azienda

è «legale rappresentante»; di un patrimonio disponibile di cui

l'azienda è titolare; della possibilità dell'azienda di stipulare contratti, di ricavare dall'attività svolta degli utili, di determinare

in concreto le modalità della propria azione, di regolare autono

mamente, e secondo schemi civilistici, i rapporti col personale

dipendente; della possibilità della azienda di avere un proprio

bilancio; della impossibilità per un dipendente della regione di

assumere la qualità di presidente dell'azienda. Ma, anche se non

si voglia giungere tanto oltre, non par dubbio che ci si trovi di

fronte ad una « impresa esercitata da un ente pubblico », ai

sensi e per gli effetti del 2° comma dell'art. 2093 cod. civile.

Si è visto infatti come l'azienda autonoma operi nel campo in

dustriale e commerciale, agendo — almeno per vari settori della

sua attività — in regime di concorrenza con analoghe imprese

private; come la sua struttura sia sostanzialmente conforme ai

moduli civilistici in tema di società; come i rapporti col perso nale si instaurino sulla base di contratti o di assunzioni, e non

già di provvedimenti autoritativi di nomina, e siano regolati da

contratti collettivi di lavoro; come l'azienda abbia fini di lucro

(ancorché, poi, gli eventuali utili debbano essere versati in parte alla regione); come l'ente pubblico territoriale possa impartire solo direttive di massima sull'attività da svolgere, e come svolga

solo un'azione di controllo a posteriori sull'attività stessa, lasciata,

per il resto, alla iniziativa autonoma degli organi aziendali. In

questa situazione, non è chi non veda che ci si trova di fronte,

quanto meno, ad una situazione del tutto analoga a quella di

molte aziende municipalizzate, del cui carattere imprenditoriale nessuno dubita, o che operano indubbiamente mediante gli stru

menti propri del diritto comune, e non di quello pubblico. Vera

mente strana è, al riguardo, l'affermazione della ricorrente, se

condo cui la disposizione del 2° comma dell'art. 2093 cod. civ.

sarebbe inapplicabile agli enti pubblici territoriali, quasi che

l'ordinamento non contemplasse affatto aziende municipalizzate

(di trasporti, di distribuzione di acqua, di elettricità, e di gas, di

centrali del latte, ecc.). E l'insegnamento dottrinale e giurispru

denziale, in relazione a tali imprese costituite da enti pubblici anche territoriali per l'esercizio di attività industriali e commer

ciali, specie se operanti in regime di libera concorrenza con

analoghe imprese private, è costante e pacifico nel senso che

le imprese stesse operino con gli strumenti e nell'ambito del di

ritto privato; che in particolare di carattere privatistico siano i

rapporti di lavoro instaurati coi loro dipendenti; e che di con

seguenza le relative controversie appartengano alla giurisdizione del giudice ordinario, e non a quella esclusiva del giudice am

ministrativo. Il primo motivo deve quindi essere rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 25 marzo

1981, n. 1737; Pres. Tresca, Est. Micali, P. M. Gazzara (conci,

parz. diff.); Giove (Avv. L. Montesano) c. Pellegrino. Cassa

Pret. Altamura 25 luglio 1978.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Opposizione

agli atti esecutivi — Mancata lettura del dispositivo in udienza — Nullità della sentenza (Cod. proc. civ., art. 429, 618 bis).

Provvedimenti d'urgenza — Reintegrazione nel posto di lavoro —

Esecuzione forzata — Forme ordinarie — Inapplicabilità (Cod. proc. civ., art. 479, 612, 700).

Esecuzione forzata in genere — Atto di precetto — Nullità della notifica — Opposizione dell'intimato — Sanatoria (Cod. proc. civ., art. 160, 480).

Esecuzione forzata in genere — Atto di precetto — Omessa indi

cazione del termine ad adempiere — Nullità — Esclusione —

Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 156, 480, 482).

La mancata lettura del dispositivo in udienza determina la nul

lità della sentenza resa dal pretore nel giudizio di opposizione

agli atti esecutivi in materia di lavoro. (1) L'esecuzione dell'ordinanza pretorile ex art. 700 cod. proc. civ.

di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non deve

(1) La massima, costituisce applicazione al caso di specie del prin cipio (ribadito, da ultimo, nella motivazione di Cass. 5 settembre 1980, n. 5114, Foro it., 1980, I, 2983, con nota di richiami, tra i

quali Cass. 9 marzo 1978, n. 1196, citata nella presente) secondo cui, nelle controversie individuali di lavoro, la mancata lettura del dispo sitivo in udienza determina la nullità insanabile della sentenza che può essere tuttavia fatta valere soltanto nei limiti e secondo le re gole dell'appello o del ricorso per cassazione.

Per riferimenti si possono consultare: a) circa il contrasto tra di spositivo letto in udienza e dispositivo della sentenza depositata, Cass. 6 novembre 1980, n. 5964, id., 1981, I, 737, con osservazioni di A. Proto Pisani; b) per la nullità della sentenza d'appello non sotto scritta dal presidente che aveva letto in udienza il dispositivo, Cass. 9 marzo 1981, n. 1297, id., 1981, I, 639, con osservazioni di C. M. Barone.

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