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sezioni unite civili; sentenza 4 maggio 2004, n. 8431; Pres. Ianniruberto, Est. Vitrone, P.M....

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4
sezioni unite civili; sentenza 4 maggio 2004, n. 8431; Pres. Ianniruberto, Est. Vitrone, P.M. Maccarone (concl. diff.); Dell'Aiuto (Avv. Lania) c. Consiglio dell'ordine degli avvocati di Firenze. Conferma Cons. naz. forense 1° ottobre 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 1709/1710-1713/1714 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199221 . Accessed: 28/06/2014 09:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.239 on Sat, 28 Jun 2014 09:07:55 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 4 maggio 2004, n. 8431; Pres. Ianniruberto, Est. Vitrone, P.M.Maccarone (concl. diff.); Dell'Aiuto (Avv. Lania) c. Consiglio dell'ordine degli avvocati diFirenze. Conferma Cons. naz. forense 1° ottobre 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 1709/1710-1713/1714Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199221 .

Accessed: 28/06/2014 09:07

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - Il g-i-P- del Tribunale di Verona, con due di stinte ordinanze, ha sollevato, in riferimento agli art. 76, 97, 1°

comma, e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale «de

gli art. da 235 a 239 e 299 (quest'ultimo nella parte in cui abro

ga l'art. 660 c.p.p.)» d.leg. 30 maggio 2002 n. 113 (t.u. delle di sposizioni legislative in materia di spese di giustizia), «come ri

prodotti» nel d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115 (t.u. delle disposizio ni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).

Ad avviso del rimettente, le norme impugnate, disciplinando il procedimento di conversione delle pene pecuniarie ed in par ticolare attribuendo al giudice dell'esecuzione la relativa com

petenza, precedentemente spettante al magistrato di sorveglian za, sarebbero —- sotto diversi e concorrenti profili

— in contra sto con i principi e criteri direttivi contenuti nella norma di de

lega di cui all'art. 7 1. 8 marzo 1999 n. 50 (delegificazione e te sti unici di norme concernenti procedimenti amministrativi -

legge di semplificazione 1998). Le medesime norme, inoltre, assegnando incombenze ulterio

ri e marginali all'organo deputato all'esercizio della giurisdi zione penale, comprometterebbero l'efficienza del sistema giu diziario, con conseguente lesione del principio di buon anda mento della pubblica amministrazione e di quello della ragione vole durata del processo.

Stante l'assoluta identità delle questioni, i due giudizi vanno

riuniti per essere decisi con un unico provvedimento. 2. - Deve preliminarmente rilevarsi che l'art. 239 d.p.r. n. 115

del 2002 non è norma di rango legislativo bensì regolamentare, non derivando — come il rimettente mostra di ritenere — dal

d.leg. n. 113 del 2002, ma dal d.p.r. 30 maggio 2002 n. 114 (t.u. delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia).

In quanto norma secondaria, essa è dunque sottratta al sinda

cato di legittimità costituzionale, il che comporta la declaratoria

d'inammissibilità della questione proposta. 3. - Ancora in via preliminare, va osservato che il rimettente

— investito, quale giudice dell'esecuzione, di un'istanza di

conversione di pena pecuniaria — non è chiamato a fare appli

cazione degli art. 235 e 236 d.leg. n. 113 del 2002, trattandosi di norme attinenti alla disciplina della riscossione.

La questione va perciò dichiarata inammissibile per difetto di

rilevanza, mentre va rigettata l'ulteriore eccezione d'inammis

sibilità sollevata dall'avvocatura — sempre per difetto di rile

vanza — con riguardo al successivo art. 237, in quanto è pro prio tale norma ad attribuire al rimettente, quale giudice del

l'esecuzione, la competenza nel giudizio a quo. 4. - Nel merito, la questione di legittimità costituzionale degli

art. 237, 238 e 299 (quest'ultimo nella pàrte in cui abroga l'art.

660 c.p.p.) d.leg. n. 113 del 2002, con riferimento all'art. 76

Cost., è fondata.

4.1. - Il decreto legislativo di cui si tratta trova il proprio fon

damento nella delega contenuta nell'art. 7 1. 8 marzo 1999 n. 50

(delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1998), come modifi cato dall'art. 1 1. 24 novembre 2000 n. 340.

Dal preambolo dello stesso decretò legislativo si evince, in

particolare, che la delega è esercitata con riferimento alle mate rie indicate ai nn. 9, 10 e 11 dell'allegato n. 1 della predetta 1. n.

50 del 1999, che rispettivamente attengono al procedimento di

gestione e alienazione dei beni sequestrati e confiscati, al pro cedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per

che ha ritenuto manifestamente inammissibile, in quanto sollevata da un giudice non investito di alcun giudizio o tenuto ad alcuna decisione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 660 c.p.p., nella parte in cui non consente la conversione delle pene pecuniarie non recuperate

per insolvibilità del condannato, nel caso in cui quest'ultimo risulti ir

reperibile. Su diversi profili di presunta illegittimità costituzionale della disci

plina relativa alla conversione delle pene pecuniarie, v. Corte cost. 9 • febbraio 2001, n. 30, id., 2001,1, 1073, con nota di richiami e osserva zioni di La Greca, commentata da Di Nino, in Giur. costit., 2001, 95, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 102, 3° comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui stabilisce che, per la conversione delle pene pecuniarie in lavoro sosti

tutivo, il ragguaglio venga calcolato sulla base di cinquantamila lire —

anziché, come per la libertà controllata, settantacinquemila — per ogni giorno di lavoro sostitutivo, non sussistendo un rapporto di necessaria

interdipendenza tra i due coefficienti.

Il Foro Italiano — 2004.

l'iscrizione a ruolo e il rilascio di copie di atti in materia tributa ria e in sede giurisdizionale, compresi i procedimenti in camera di consiglio, gli affari non contenziosi e le esecuzioni civili mo biliari e immobiliari.

Come si legge nella relazione illustrativa del testo unico, i tre

procedimenti — meglio individuati, nella legge di delega, con

specifico riferimento alle fonti della relativa disciplina — «co

prono l'intera materia delle spese di giustizia», che può dirsi

perciò costituire l'oggetto sostanziale della delega stessa. Le norme denunciate riguardano la disciplina del procedi

mento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie, con

particolare riguardo alla relativa competenza, che viene sottratta al magistrato di sorveglianza per essere, in via generale, attri buita al giudice dell'esecuzione.

Si desume dalla già citata relazione illustrativa del testo unico che il legislatore delegato ha ritenuto che tale disciplina rien trasse nell'oggetto della delega, quale sopra individuato, sulla base di una valutazione di sostanziale «comunanza» della mate ria delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia.

Una simile prospettazione non può tuttavia essere condivisa. Contrariamente a quanto sostenuto nella menzionata relazione

al testo unico, l'esistenza della delega, specie nelle materie co

perte da riserva assoluta di legge —

qual è, ex art. 25 Cost.,

quella riguardante la competenza del giudice — non può essere desunta dalla mera «connessione» con l'oggetto della delega stessa.

Il legislatore delegato —

indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di

giustizia — era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare

una disciplina del procedimento di conversione delle pene pe cuniarie che comportasse

— come quella impugnata — una ra

dicale modifica delle regole di competenza. Va conseguentemente dichiarata l'illegittimità costituzionale

degli art. 237, 238 e 299 (nella parte in cui abroga l'art. 660

c.p.p.) d.leg. 30 maggio 2002 n. 113, restando in tale pronuncia assorbita ogni altra censura.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara l'illegittimità costituzionale degli art. 237, 238 e 299

— quest'ultimo nella parte in cui abroga l'art. 660 c.p.p.

d.leg. 30 maggio 2002 n. 113 (t.u. delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia);

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzio nale degli art. 235 e 236 medesimo decreto legislativo, e del

l'art. 239 d.p.r. 30 maggio 2002 n. 114 (t.u. delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevate, in rife

rimento agli art. 76, 97, 1° comma, e 111 Cost., dal g.i.p. del

Tribunale di Verona con le ordinanze in epigrafe.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 4

maggio 2004, n. 8431; Pres. Ianniruberto, Est. Vitrone, P.M. Maccarone (conci, diff.); Dell'Aiuto (Aw. Lania) c.

Consiglio dell'ordine degli avvocati di Firenze. Conferma Cons. naz. forense 1° ottobre 2003.

CORTE DI CASSAZIONE;

Avvocato — Procedimento disciplinare —

Irregolare com

posizione del consiglio dell'ordine — Mancata prospetta zione — Ricorso al Consiglio nazionale forense — Dedu

zione — Inammissibilità — Estremi (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e di

procuratore, art. 38; r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, norme inte

grative e di attuazione del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, art. 47,51,59,64, 66).

L'irregolare composizione del consiglio dell'ordine degli avvo

cati, nel procedimento disciplinare a carico di un iscritto, se

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PARTE PRIMA 1712

non dedotta nel corso di tale procedimento non può essere

prospettata come motivo d'impugnazione del provvedimento

disciplinare avanti il Consiglio nazionale forense, né, a mag

gior ragione, per la prima volta nel ricorso alle sezioni unite

della Corte di cassazione contro la decisione consiliare. (1)

(1) Con l'affermazione riassunta nella massima, le sezioni unite ab

bandonano deliberatamente l'orientamento seguito dalla richiamata

Cass. 7 dicembre 1999, n. 864/SU, Foro it., Rep. 1999, voce Avvocato, n. 168, secondo cui l'irregolare composizione del consiglio dell'ordine

degli avvocati, investito di procedimento disciplinare, determina una

nullità insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del proces so, con correlativo riconoscimento della possibilità per la Corte di cas

sazione, investita del ricorso avverso la decisione del Consiglio nazio

nale forense, di rilevare la nullità in base a un riesame, anche di fatto,

degli atti del processo. Ricordato, poi, che anche sez. un. 20 luglio 1988, n. 4696, id., 1988,

I, 2561, con nota di richiami, ha ricollegato all'anzidetta irregolare

composizione nullità insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e

grado del giudizio, è il caso di avvertire che l'altra pronuncia richia

mata in motivazione (sez. Ili 7 agosto 2001, n. 10895, id., Rep. 2002, voce Professioni intellettuali, nn. 155, 156), assunta nell'ambito di

procedimento disciplinare a carico di medico, ha ritenuto che ogni que stione, relativa alla valida costituzione della commissione disciplinare dei medici chirurghi, deve essere sollevata dall'incolpato «in limine o

comunque prima che sia assunta la decisione», di talché, ove una così connotata deduzione sia mancata, la stessa (deduzione) non è prospet tabile per la prima volta innanzi alla commissione centrale.

Tale essendo la portata effettiva in parte qua della citata sent. n.

10895 del 2001, innegabili ne appaiono i punti di contatto con la pro nuncia in rassegna.

Peraltro, è alquanto singolare che, nel caso in esame, le sezioni unite si siano riferite alla citata pronuncia della III sezione civile (adottata,

ripetesi, con riguardo a procedimento disciplinare diverso da quello concernente gli avvocati), ignorando, peraltro, ben più pertinenti e

puntuali decisioni delle stesse sezioni unite, perché rese con riferimento all'anzidetto procedimento disciplinare, e, quindi, nella stessa materia esaminata dalla pronuncia in rassegna.

Con la sent. 10 dicembre 2001, n. 15607, id., Rep. 2001, voce Avvo

cato, nn. 118, 119, 126-128, ad esempio, la corte ha formulato enuncia zioni in parte coincidenti con quelle della riportata sentenza, ricono scendo l'inammissibilità della censura (basata sull'irregolare composi zione del consiglio dell'ordine degli avvocati, investito di procedi mento disciplinare), dedotta per la prima volta in sede di legittimità.

A differenza della pronuncia in rassegna, la stessa sent. n. 15607 del 2001 ha però avvertito che l'anzidetta irregolare composizione del con

siglio dell'ordine, traducendosi in un vizio del provvedimento che defi nisce il procedimento svoltosi avanti ad esso, deve costituire oggetto di

specifica censura nell'impugnazione avanti il Consiglio nazionale fo

rense, ed ha, inoltre, espressamente dichiarato di non aderire alla sent, n. 864/SU del 1999, definita «isolato precedente».

Anche la più recente sez. un. 2 aprile 2003, n. 5072, id., Mass., 432, ha enunciato principi in parte corrispondenti alle affermazioni della ri

portata pronuncia in quanto ha reputato che la nullità (del procedimento disciplinare svoltosi avanti il consiglio dell'ordine degli avvocati) per vizi attinenti alla convocazione dei suoi membri, non può essere rile vata d'ufficio né può essere dedotta per la prima volta in Cassazione. La stessa sent. n. 5072 del 2003 ha, tuttavia, formulato ulteriori enun ciazioni difformi da quelle della riportata sentenza, perché ha, pure, av vertito che l'anzidetta nullità (e, più in generale, i vizi riguardanti il

procedimento) devono essere fatti valere mediante appello della deci sione del consiglio dell'ordine (s'intende, avanti il Consiglio nazionale

forense) «com'è stato già affermato dalla giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa corte: da ultimo, sent. n. 864/SU del 1999».

Ora, a parte il rilievo che una stessa decisione delle sezioni unite (la sent. n. 864/SU del 1999) per la sent. n. 15607 del 2001 è «un prece dente isolato» e per la successiva sent. n. 5072 del 2003 è espressione «della giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa corte», sta di fatto che la sentenza in epigrafe, proprio perché resa nella già eviden ziata inconsapevolezza delle ripetute sez. un. 15607/01 e 5072/03, si discosta in vario modo dall'una e dall'altra, finendo per aderire nella sostanza alla ricordata pronuncia di una sezione semplice (sez. Ili n. 10895 del 2001), a sua volta resa nella consapevolezza di sez. un. n. 4696 del 1988 ma nell'ignoranza della successiva sez. un. n. 864/SU del 1999.

Insomma, anche in una materia con ricadute di portata non certo ge neralizzata, la corte riesce ad evidenziare le sue ormai endemiche ca renze informative, (carenze) la cui gravità è appena attenuata dalla

plausibilità della soluzione propugnata nella specie, dal momento che la

completezza dell'informazione è e resta il fondamentale e, in verità,

imprescindibile dovere dell'organo supremo della giustizia, nell'eserci zio degli impegnativi ma prestigiosi compiti delineati dall'art. 65 ord.

giud. [C.M. Barone]

Il Foro Italiano — 2004.

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 4 ot

tobre 1996 e ricorso integrativo depositato il 7 ottobre successi

vo l'avv. Mario Dell'Aiuto impugnava dinanzi al Consiglio na

zionale forense il provvedimento disciplinare del 17 luglio - 11

settembre 1996 con il quale il Consiglio dell'ordine degli avvo

cati di Firenze gli aveva inflitto la sanzione della cancellazione

dall'albo. Sosteneva il ricorrente che il procedimento disciplina re sarebbe stato viziato da nullità per l'eccessiva genericità del

capo d'incolpazione; che la delibera impugnata era stata presa a

maggioranza senza che dal fascicolo risultasse la prova dell'av

venuta convocazione di tutti i componenti del consiglio dell'or

dine; che l'eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare sa rebbe stata respinta con argomentazioni poco convincenti; che il

consiglio dell'ordine avrebbe deciso senza ammettere le prove da lui dedotte, recependo acriticamente le risultanze acquisite nel processo penale per truffa ai danni dell'Inps e prescindendo da ogni analisi della propria personalità professionale.

Con decisione del 26 giugno - 1° ottobre 2003 il Consiglio nazionale forense rigettava il ricorso osservando che l'incolpa zione indicava specificamente i fatti e le circostanze che aveva

no formato oggetto del mandato di comparizione del 6 luglio 1987 emesso dal giudice istruttore del Tribunale di Firenze per

novantaquattro ipotesi di truffe aggravate ai danni dell'Inps, e

della successiva sentenza-ordinanza del 14 dicembre 1989 del

giudice istruttore del medesimo tribunale relativa al reato di as

sociazione per delinquere, e conteneva la contestazione della

commissione di abusi e mancanze nell'esercizio dell'attività

professionale e comportamenti contrari alla dignità e al decoro

della professione forense; rigettava l'eccezione di difetto di

prova dell'avvenuta convocazione di tutti i componenti del con

siglio dell'ordine non solo per la sua tardività, essendo essa

stata proposta solo con il ricorso al Consiglio nazionale forense

e non in limine litis nel procedimento dinanzi al consiglio del

l'ordine, ma anche perché con l'impugnazione era stata denun

ziata la nullità del provvedimento disciplinare, che invece dove

va ritenersi meramente annullabile e suscettibile in quanto tale

di riesame da parte del Consiglio nazionale forense; accoglieva l'eccezione di prescrizione limitatamente al secondo capo d'in

colpazione (contestazione del reato di associazione per delin

quere) considerato peraltro non rilevante ai fini disciplinari non

valendo a modificare la valutazione della gravità della condotta

dell'incolpato; riteneva invece validamente interrotta la prescri zione del procedimento relativo al primo capo d'incolpazione

(contestazione del reato di truffa) per effetto della delibera di

apertura di un nuovo procedimento disciplinare in data 11 mag

gio 1994, e cioè nei limiti del quinquennio, con un capo d'in

colpazione che unificava le precedenti incolpazioni, e alla quale era seguita la citazione a giudizio dell'incolpato del 31 maggio

successivo; confermava, infine, nel merito il provvedimento im

pugnato in base al rilievo che la condotta riprovevole dell'in

colpato risultava acclarata — sia nel meccanismo nel quale essa

si era realizzata sia nella sua ripetitività — dalle testimonianze,

dagli interrogatori e dalle circostanze di fatto riportate nella

sentenza della Corte d'appello di Firenze del 19 giugno 1991 e

in quella del Tribunale di Firenze del 26 luglio 1996 ribadendo

la congruità della sanzione irrogata tenuto conto del fatto che le

violazioni contestate, per la loro molteplicità e ripetitività, com

portavano la lesione dei basilari principi etici cui doveva essere

improntato l'esercizio dell'attività professionale forense.

Contro la decisione ricorre per cassazione l'avv. Mario Del

l'Aiuto con tre motivi.

Non hanno presentato difese il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Firenze e il procuratore generale presso la Suprema corte di cassazione.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 38 e 40

r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578; degli art. 34, 42, 43, 47 e 51 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, e dell'art. 45 r.d. 26 agosto 1926 n.

1683, nonché degli art. 158 c.p.c. e 185 c.p.p., in relazione al

l'art. 360, n. 3, c.p.c., e contesta l'affermazione contenuta nella

decisione impugnata secondo cui l'eccezione d'irregolare com

posizione dell'organo collegiale per la mancata preventiva con

vocazione di tutti i suoi componenti avrebbe dovuto essere de

dotta in limine litis dinanzi al consiglio dell'ordine con prova a

carico dell'incolpato. La censura non può trovare accoglimento anche se la motiva

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

zione della decisione impugnata dev'essere parzialmente rettifi

cata ed integrata. Va osservato che a sostegno del mezzo di ricorso in esame il

ricorrente si richiama alla giurisprudenza di questa corte secon

do cui l'illegale composizione del consiglio dell'ordine degli avvocati a causa dell'omessa preventiva convocazione di tutti i

suoi componenti determina una nullità insanabile, rilevabile

d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, con la conse

guenza che il Consiglio nazionale forense non potrebbe ritenere

la causa e decidere nel merito ma dovrebbe limitarsi a dichiarare

l'inesistenza della decisione impugnata (sez. un. 7 dicembre

1999, n. 864/SU, Foro it., Rep. 1999, voce Avvocato, n. 168).

Tale orientamento interpretativo non può essere però condivi

so nella sua assolutezza non essendo possibile l'applicazione

degli istituti del processo civile al procedimento amministrativo,

quale è quello che si svolge dinanzi al consiglio dell'ordine. Va precisato, infatti, che l'invalidità dell'atto amministrativo,

sia esso nullo o sémplicemente annullabile, non può mai essere

rilevata d'ufficio ma dev'essere eccepita dalla parte interessata

nel corso del procedimento amministrativo sino al suo compi

mento, di modo che sia possibile eliminare le conseguenze del

l'invalida costituzione dell'organo collegiale con la rinnovazio

ne degli atti da esso compiuti. Non può condividersi, infatti, in mancanza di un'espressa previsione normativa, l'affermazione

contenuta nella decisione impugnata con riferimento a una re

cente pronuncia in tema di procedimento disciplinare contro

esercenti le professioni sanitarie (Cass. 7 agosto 2001, n. 10895,

id., Rep. 2002, voce Professioni intellettuali, nn. 155, 156) se

condo cui l'eccezione potrebbe essere sollevata a pena di deca

denza solo in limine litis, e cioè appena l'incolpato abbia avuto

conoscenza della composizione dell'organo collegiale e sia stato

in grado di esaminare gli atti contenuti nel fascicolo d'ufficio e

verificare l'avvenuta previa convocazione di tutti i suoi compo nenti.

Ne consegue che allorquando, come nella specie, l'eccezione

non sia stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al consiglio dell'ordine, esso non può essere dedotto,

come motivo d'impugnazione dinanzi al Consiglio nazionale fo

rense o, addirittura, per la prima volta dinanzi alle sezioni unite

di questa corte. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 aprile

2004, n. 6943; Pres. Luccioli, Est. Nappi, P.M. Russo (conci,

parz. diff.); Banca Carige (Avv. Coen, Villani) c. Fall. soc.

B. & G. (Avv. Lucisano, Bonino). Conferma App. Genova 17

aprile 2000.

Fallimento — Azione revocatoria — Conoscenza dello stato

di insolvenza — Prova negativa — Assenza di protesti e

procedure esecutive — Irrilevanza (R.d. 16 marzo 1942 n.

267, disciplina del fallimento, art. 67). Fallimento — Azione revocatoria — Rimesse in conto cor

rente — Natura non solutoria — Onere di allegazione del

fatto (Cod. proc. civ., art. 112; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art.

67). Fallimento — Azione revocatoria — Rimesse in conto cor

rente — Rimessa effettuata dal terzo sul conto — Com

pensabilita — Esclusione — Revocabilità (Cod. civ., art.

1853; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67).

L'assenza di procedure esecutive e protesti non esclude la co

noscibilità aliunde dello stato di insolvenza dell'imprendito

re, che può esser provata mediante presunzioni gravi, precise

e concordanti dal curatore che ha esperito la revocatoria fal

li Foro Italiano — 2004.

limentare di atti a titolo oneroso compiuti entro l'anno ante

riore alla dichiarazione di fallimento. (1) Poiché il potere del giudice di rilevare d'ufficio le eccezioni in

senso lato presuppone pur sempre l'onere di allegazione del

fatto a cura della parte, la natura non solutoria di una rimes

sa effettuata sul conto corrente e di cui il curatore chiede la

revoca deve essere allegata dal convenuto. (2) Il versamento effettuato da un terzo sul conto corrente intestato

al debitore poi fallito costituisce un 'operazione interna nel

l'ambito del rapporto unitario di conto corrente e non può essere qualificato come atto che realizza un'obbligazione autonoma della banca di rimettere l'importo al correntista,

con la conseguenza che non opera la compensazione e il ver

samento se ha natura solutoria può essere revocato. (3)

II

CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 6 aprile 2004; Pres. Gustapane, Est. Vallescura; Fall. soc. Scac (Avv.

Lambicchi) c. Banca San Paolo-Imi (Avv. Dal Verme, Ma

gnifico).

Fallimento — Azione revocatoria — Rimesse in conto cor

rente — Conto scoperto — Versamento di assegni circola

ri — Saldo disponibile — Data contabile — Esclusione —

Saldo per valuta (Cod. civ., art. 1857; r.d. 16 marzo 1942 n.

267, art. 67).

Ai fini dell'azione revocatoria fallimentare, per stabilire se un

versamento abbia avuto natura solutoria perché effettuato su

conto corrente scoperto, occorre fare riferimento al saldo di

sponibile del conto per il cui computo la data della disponi

bilità delle somme derivanti dall'accreditamento di assegni

circolari coincide con la data della valuta e non con quella

dell'operazione. (4)

III

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE; sentenza 28 gennaio 2004; Pres. Nannipieri, Est. Occhipinti; Banca popolare del

l'Emina e del Lazio (Avv. Colizzi, Scorza) c. Fall. soc. In

Carta di Morandi Tullio (Avv. Del Pinto).

Fallimento — Azione revocatoria — Rimesse in conto cor

rente — Differenza fra massimo scoperto e saldo finale —

Revocabilità (Cod. civ., art. 1853; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67).

Le rimesse affluite sul conto corrente bancario, a prescindere

dall'esistenza di un contratto di apertura di credito, possono

essere assoggettate ad azione revocatoria fallimentare solo

nei limiti della differenza fra il massimo scoperto raggiunto

nel periodo sospetto e il saldo finale. (5)

(1-5) Dopo aver letto la motivazione dei giudici fiorentini, la recente

pronuncia della corte di legittimità rappresenterebbe l'ennesimo sfog

gio di abilità della giurisprudenza nel voler a tutti i costi punire gli istituti di credito con sentenze cervellotiche e intrise di formalismo; vi

sta invece, dal prisma della giurisprudenza, quella in rassegna sarebbe

nient'altro che un ulteriore sigillo di un'interpretazione che, per quanto contrastata in letteratura, resiste senza soluzione di continuità dalla no

tissima, e ormai remota, Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413, Foro it., 1983,

I, 69, per giungere alle più recenti 7 marzo 2003, n. 3396, id., Mass.,

299; 1° ottobre 2002, n. 14087, id., Rep. 2002, voce Fallimento, n. 440;

26 febbraio 1999, n. 1672, id., Rep. 2000, voce cit., n. 518; 28 maggio

1998, n. 5269, id., Rep. 1999, voce cit., n. 570. A sua volta la sentenza

della corte milanese non concorrerebbe ad attenuare il rigore revocato

rio pur di fronte a situazioni percepite dall'utente come inique. Tante volte, di fronte a posizioni così radicalmente diverse viene vo

glia di provare a cercare una soluzione che, intermediandole, soddisfi le

esigenze sostanziali sottese alle due opposte soluzioni.

Nella vicenda in esame, invece, questa aspirazione fatica a manife

starsi perché tale è l'immagine di integralismo che la pronuncia fioren

tina lascia intendere, che il dubbio sulla coerenza della tesi tradizionale

sembra meno fondato se per metterla in cattiva luce occorre stendere

una motivazione-invettiva. Trascurando per il momento le considerazioni che d'impulso si sa

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