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sezioni unite civili; sentenza 5 febbraio 1999, n. 26/SU; Pres. Favara, Est. Olla, P.M. Dettori...

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sezioni unite civili; sentenza 5 febbraio 1999, n. 26/SU; Pres. Favara, Est. Olla, P.M. Dettori (concl. conf.); Comune di Avella (Avv. de Beaumont) c. Ercolino (Avv. Barra). Conferma App. Napoli 12 dicembre 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2581/2582-2587/2588 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193631 . Accessed: 28/06/2014 10:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.171 on Sat, 28 Jun 2014 10:35:22 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 5 febbraio 1999, n. 26/SU; Pres. Favara, Est. Olla, P.M. Dettori(concl. conf.); Comune di Avella (Avv. de Beaumont) c. Ercolino (Avv. Barra). Conferma App.Napoli 12 dicembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2581/2582-2587/2588Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193631 .

Accessed: 28/06/2014 10:35

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ciascuno può essere chiamato per la totalità e che l'adempimen to da parte di uno degli obbligati libera gli altri. È altresì da

considerare che la sentenza pronunciata nei confronti di uno

dei debitori in solido non legittima di per sé il regresso nei con

fronti di altro debitore solidale, derivando questo, ai sensi del

l'art. 1299 c.c., solo dal pagamento dell'intero debito, e che

d'altro canto il debitore convenuto in sede di regresso può sem

pre opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al

creditore, ossia non solo quelle comuni a tutti i consorti circa

l'esistenza e l'entità del debito, ma anche quelle a lui personali. Come è evidente, la stessa natura e struttura delle obbligazio

ni solidali ed il regime dell'efficacia della sentenza secundum

eventum litis tra debitori e creditori solidali dettato dall'art. 1306

c.c. postulano la possibilità del formarsi di più giudicati contra

stanti in ordine alla medesima obbligazione. La richiamata pronuncia n. 1769 del 1965 (id., Rep. 1966,

voce Tassa sulle successioni e sulle donazioni, n. 102) ha altresì

opportunamente chiarito che non è tale da integrare un pregiu

dizio, nel senso innanzi precisato, il peso di «precedente» che

la pronuncia inter alios potrebbe rivestire nel giudizio di regres

so, attenendo l'eventuale influenza negativa di detta decisione

nel successivo giudizio non ad un diritto, ma ad un mero inte

resse del terzo, privo di un valido collegamento con il giudicato. Tanto rilevato in diritto, e ritenuto che in forza del principio

di incomunicabilità degli effetti sfavorevoli la sentenza emessa

nei confronti della Tecknogas s.n.c. è priva di ogni effetto nei

confronti del Cera, quale socio solidalmente responsabile ai sensi

dell'art. 2291 c.c., deve escludersi la sussistenza in capo al pre detto di un pregiudizio idoneo a legittimare la proposta opposi

zione di terzo.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso restano logicamente

assorbiti.

Sussistendo i presupposti per la decisione nel merito, ai sensi

dell'art. 384 c.p.c., l'opposizione di terzo proposta dal Cera

va dichiarata inammissibile.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 feb

braio 1999, n. 26/SU; Pres. Favara, Est. Olla, P.M. Det

tori (conci, conf.); Comune di Avella (Avv. de Beaumont)

c. Ercolino (Avv. Barra). Conferma App. Napoli 12 dicem

bre 1995.

Impugnazioni civili in genere — Sentenza non definitiva — Ap

pello con la definitiva — Parte contumace — Decorrenza del

termine lungo per impugnare — Inammissibilità del gravame

(Cod. proc. civ., art. 292, 326, 327, 340).

Espropriazione per pubblico interesse — Ricostruzione nelle zo

ne terremotate — Occupazione d'urgenza — Aree destinate

all'installazione di insediamenti provvisori — Indennità — Oc

cupazione dopo la scadenza — Risarcimento — Criteri appli

cabili (D.l. 26 novembre 1980 n. 776, interventi urgenti in

favore delle popolazioni colpite dal terremoto del novembre

1980, art. 3; 1. 22 dicembre 1980 n. 874, conversione in legge,

con modificazioni, del d.l. 26 novembre 1980 n. 776, art. 1;

d.l. 28 febbraio 1984 n. 19, proroga dei termini ed accelera

zione delle procedure per l'applicazione della 1. 14 maggio

1981 n. 219, e successive modificazioni, art. 6; 1. 18 aprile

1984 n. 80, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.

28 febbraio 1984 n. 19, art. 1; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, art.

5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359, conversione in legge, con mo

dificazioni, del d.l. 11 luglio 1992 n. 333; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della finanza pubblica, art.

3, comma 65).

Il Foro Italiano — 1999.

È inammissibile l'impugnazione proposta dalla parte rimasta vo

lontariamente contumace nel corso del giudizio di primo gra do nei confronti di sentenza non definitiva contestualmente

all'impugnazione della sentenza definitiva oltre la scadenza

del termine annuale decorrente dalla data di pubblicazione della stessa sentenza non definitiva. (1)

(1) Solo per il contumace c.d. involontario il termine lungo d'impu gnazione inizia a decorrere non già dalla data di pubblicazione della

sentenza, bensì dal giorno della presa di conoscenza del processo (se

successiva): v. Cass. 15 maggio 1990, n. 4196, Foro it., Rep. 1990, voce Impugnazioni civili, n. 42, nonché 18 aprile 1985, n. 2581, id.,

1985, I, 2934, con nota di G. Scarselli. In dottrina, Andrioli, Diritto

processuale civile, Napoli, 1979, 781-784, il quale rileva che l'art. 327, 2° comma, c.p.c. fa parte di un sistema di disposizioni intese ad esime

re da preclusioni e da decadenze parti «incolpevoli», e che solo per il contumace c.d. involontario «la conoscenza del processo definito si sostituisce alla pubblicazione della sentenza nel porre in moto il termine

annuale di decadenza»; G. Verde, Profili del processo civile, Napoli, 1996, 2, 216, e, da ultimo, C. Perago, in G.P. Calif ano-C. Perago, Le impugnazioni civili, in Giurisprudenza sist. dir. proc. civ. diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1999, 167. Sull'applicabilità «pur con i

necessari adattamenti» anche al contenzioso tributario della disciplina in questione, v. Cass. 7 agosto 1997, n. 7289, Foro it., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 1442.

Da ciò la — inevitabile — declaratoria di rigetto del gravame, non

avendo il ricorrente neppure prospettato la sussistenza delle situazioni

legittimanti l'impugnazione tardiva, e da ciò anche la (cospicua) ridu

zione in sede di legittimità dell'ambito della controversia (su cui v. la

nota che segue), in conseguenza del formarsi del giudicato interno.

Da segnalare l'affermazione — sia pure in obiter — della sentenza

in epigrafe in punto di ripartizione dell'onere della prova della mancata

conoscenza del processo e nel senso di addossare la relativa prova (con

traria) all'appellato, soluzione già espressa da Cass. 2 ottobre 1991, n. 10248, id., Rep. 1991, voce Impugnazioni civili, n. 37, ed invece

anche da ultimo disattesa da Cass. 23 dicembre 1997, n. 13012, id.,

Rep. 1997, voce cit., n. 50 (sul punto, v., da ultimo, C. Perago, op. cit., 167 ss., cui adde per ulteriori riferimenti di dottrina la citata nota

di Scarselli a Cass. 2581/85). Le sezioni unite, nel disattendere la tesi sostenuta dal ricorrente della

necessità di notifica alla parte contumace delle sentenze non definitive

eventualmente emesse nel corso del procedimento, ribadiscono — impli citamente — la tesi della tassatività dell'elencazione degli atti i quali, ai sensi dell'art. 292 c.p.c., devono essere notificati al contumace. Per

esaurienti indicazioni, anche di carattere generale, di giurisprudenza e

di dottrina, v. E. Fabiani in nota a Corte cost., ord. 3 giugno 1998, n. 202, Foro it., 1998, I, 2334, la quale ha ritenuto manifestamente in

fondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 183, 1° com

ma, e 292 c.p.c., in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non

prevedono la notificazione al contumace del verbale con il quale il giu dice fissa la prima udienza di trattazione per interrogare liberamente

le parti sui fatti di causa. Sempre a proposito di questioni di costituzio

nalità, Cass. 25 settembre 1997, n. 9402, id., Rep. 1997, voce Contuma

cia civile, n. 1, aveva ritenuto manifestamente infondata analoga ecce

zione con riferimento all'art. 292 c.p.c., nella parte in cui non prevede la notifica al contumace dell'ordinanza ammissiva di prova testimonia

le, «perché dall'espletamento di essa — assunta e valutata dal giudice — non gli deriva nessuna automatica conseguenza negativa, a differen

za invece del tacito riconoscimento della scrittura privata disposto dal

l'art. 215, n. 1, c.p.c., che ha costituito il fondamento della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 292 c.p.c. nella parte in cui non prevedeva la notifica al contumace degli atti in cui la scrittura privata veniva indi

cata, ovvero del verbale di udienza attestante la produzione di essa».

Cass. 13 maggio 1998, n. 4814, id., Rep. 1998, voce cit., n. 3, ha

ritenuto che al contumace non debba essere notificato il ricorso ex art.

700 e 669 quater c.p.c., in quanto lo stesso «essendo diretto ad ottenere

un provvedimento strumentale e temporaneo, volto ad assicurare con

funzione cautelare gli effetti della successiva decisione di merito, non

integra una domanda nuova rispetto a quella contenuta nell'atto di ci

tazione». Viceversa, la disposizione di cui all'art. 292 c.p.c. è stata da

ultimo ritenuta applicabile alle comparse contenenti l'appello incidenta

le (Cass. 23 marzo 1998, n. 3078, ibid., n. 5), ed a quelle contenenti

domande riconvenzionali, qualora siano state dirette contro la parte contumace o in qualche modo la coinvolgano (v. Cass. 28 agosto 1997, n. 8160, id., Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 211). V. altresì

Cass. 10 agosto 1996, n. 7436, id., 1997, I, 1917.

In dottrina, nel senso che «per gli eventi che rientrano nell'ordinario

sviluppo del processo non v'è ragione di una particolare tutela del con

tumace (in quanto) la regola fondamentale è che gli atti del processo, siano essi atti di parte o provvedimenti del giudice, non sono soggetti a comunicazione», v. Satta, Commento al codice di procedura civile,

Milano, 1959, II, 1, 376 s., il quale aggiunge che la regola in questione «subisce due eccezioni, oltre quella relativa alla notificazione delle sen

tenze, che non è vera eccezione»; conforme Andrioli, op. cit., 650.

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2583 PARTE PRIMA 2584

All'occupazione di urgenza per l'installazione di insediamenti

provvisori nelle zone terremotate non è applicabile, né ai fini della determinazione dell'indennità, né ai fini della liquida zione del risarcimento successivamente alla scadenza dell'oc

cupazione, il criterio previsto per l'occupazione appropriativa dall'art. 5 bis, comma 7 bis, d.l. 11 luglio 1992 n. 333, come

introdotto dall'art. 3, comma 65, l. 23 dicembre 1996 n.

662. (2)

Svolgimento del processo. — 1. - Con ordinanza in data 30

giugno 1981, il sindaco di Avella — pronunciando in attuazione

dell'ordinanza del commissario straordinario del governo per le zone terremotate n. 69 del 29 dicembre 1980 — dispose l'oc

cupazione d'urgenza, per il periodo di anni due, di un'area di

mq 7.420 sita nel territorio comunale e di proprietà di Rosa

Ercolino, al fine di installarvi, in via provvisoria cinquanta con

tainers.

Il provvedimento fu eseguito il 4 luglio 1981, ma l'occupazio ne riguardò una superficie di soli mq 6.555.

Sopravvenuto il d.l. 28 febbraio 1984 n. 19, convertito, con

modificazioni, in 1. 18 aprile 1984 n. 80 (che nel suo art. 6

autorizzava i comuni che avessero disposto l'occupazione d'ur

genza di aree ai sensi della predetta ordinanza commissariale

n. 69 del 1980, ad espropriarle) con decreto del suo sindaco

in data 28 marzo 1988 il comune di Avella dispose l'espropria zione dell'area della Ercolino.

2. - La Ercolino impugnò detto provvedimento davanti al Tar

Campania-Napoli. Per quel che rileva nel presente giudizio, è da dire che l'impu

gnazione fu accolta con sentenza del 4 dicembre 1992 (Foro

Sull'idoneità della notifica della sentenza effettuata personalmente alla

parte contumace a far decorrere — ove non ancora decorso il termine annuale — il termine breve per l'impugnazione, v. Cass., sez. un., 6 febbraio 1998, n. 1273, Foro it., Rep. 1998, voce Impugnazioni civili, n. 53 (la quale ha escluso la possibilità di una valutazione della contu macia in maniera difforme da quella emergente dalla qualificazione for male operata dal giudice e desumibile dalla sentenza notificata, andan do in contrario avviso rispetto a Cass. 19 ottobre 1981, n. 5442, id., Rep. 1982, voce cit., n. 60, e, per esteso, Giur. it., 1982, I, 1, 647); 7 settembre 1998, n. 8847, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 57; 22

aprile 1998, n. 4072, ibid., n. 58 (con riferimento alla notifica effettua ta a mezzo del servizio postale, ed in forza dell'assunto che «mentre la notifica 'di persona', prevista dall'art. 1 1. 20 novembre 1982 n. 890 è contrapposta a quella per posta, l'espressione 'personalmente' conte nuta nel 1° e nel 3° comma dell'art. 292 c.p.c. non equivarrebbe a

quella di 'persona' — cioè a mani — e perciò non escluderebbe l'appli cabilità degli art. 137-151 c.p.c.»); 14 aprile 1998, n. 3767, ibid., voce Termini processuali civili, n. 15 (relativa alla decorrenza del termine breve di sessanta giorni previsto per la proposizione del ricorso per cas

sazione). Affermano analoga idoneità a far decorrere il termine breve, renden

do irrilevante il decorso dell'anno dalla sua pubblicazione, con riferi mento alla notifica in forma esecutiva (ex art. 479 c.p.c.), Cass. 17 dicembre 1997, n. 12754, id., Rep. 1997, voce Impugnazioni civili, n. 36; 19 giugno 1987, n. 5392, id., Rep. 1987, voce Contumacia civile, n. 9; v. anche Cass. 9 aprile 1988, n. 2815, id., Rep. 1988, voce Proce dimento civile, n. 126 (e Giust. civ., 1988, I, 1446); 22 aprile 1982, n. 2486, Foro it., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 53; 15 marzo 1983, n. 1903, id., 1983, I, 3096; 21 ottobre 1987, n. 7787, id., Rep. 1987, voce Contumacia civile, n. 8; 14 ottobre 1986, n. 6019, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 34 (e Arch, civ., 1987, 41).

Sul fatto che la norma dell'art. 292, ultimo comma, c.p.c. presuppo ne una situazione pacifica di contumacia o di nullità della costituzione in giudizio, e non è invece riferibile ai casi in cui la validità e l'efficacia della costituzione stessa siano oggetto di contestazione, v. Cass. 11 feb braio 1992, n. 1515, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 21.

Secondo App. Napoli 13 febbraio 1962, id., 1962, I, 771, il contuma ce al quale non sia stata notificata la sentenza non definitiva può vali damente formulare riserva d'appello avverso la stessa entro l'anno dal la sua pubblicazione in quanto per tale soggetto «rileva, ai fini dell'i dentificazione dell'udienza utile per la riserva, la notifica della sentenza fattagli personalmente, che certamente assorbe gli effetti della comuni cazione prescritta dall'art. 360 c.p.c. In mancanza (come nel caso di

specie) la riserva è fatta legittimamente entro l'anno dalla pubblicazio ne, e se fatta a mezzo di ufficiale giudiziario, e rivolta al procuratore costituito, ha i requisiti di sostanza e di forma previsti per l'atto stesso».

Occorre peraltro ricordare che, secondo la giurisprudenza assoluta mente pacifica, la mancata dichiarazione di riserva (o la sua irritualità o tardività) produce unicamente la decadenza del diritto oggetto della riserva, cioè della facoltà di impugnazione differita, ma non preclude

Il Foro Italiano — 1999.

it., Rep. 1994, voce Calamità pubbliche, n. 15) che ha annulla

to il provvedimento ablativo.

3. - Nelle more, con atto di citazione notificato il 9 maggio

1988, la Ercolino, richiamate le circostanze fin qui esposte, con

venne il comune di Avella davanti al Tribunale di Avellino al

quale chiese: a) di dichiarare la nullità del provvedimento di

espropriazione per carenza assoluta del potere ablativo, conse

guente al dato che, in concreto, l'occupazione era stata disposta ai sensi dell'ordinanza del commissario per il governo per le

zone terremotate n. 57 del 17 dicembre 1980, e non dell'ordi

nanza dello stesso commissario n. 69 del 29 dicembre 1980; b) di condannare il convenuto al pagamento sia dell'indennità do

vuta per il periodo di occupazione legittima, che al risarcimento

del danno per la protrazione della stessa occupazione dopo il

biennio iniziale e, quindi, illegittima. Il comune di Avella non si costituì in giudizio e fu dichiarato

contumace.

Il Tribunale di Avellino, pronunciando con sentenza non de

finitiva depositata il 24 maggio 1990, dichiarò non verificatosi

l'effetto espropriativo in favore del comune di Avella in forza

del decreto sindacale del 28 marzo 1988 e che, di conseguenza, il diritto di proprietà della Ercolino doveva considerarsi non

estinto; indi, dispose la prosecuzione del giudizio per la liquida zione del danno.

Successivamente, lo stesso tribunale, con sentenza definitiva

depositata il 24 marzo 1993: I) determinò: a) in lire 19.619.420, l'ammontare dell'indennità dovuta per il biennio di occupazio ne legittima; b) in lire 274.155.580, l'ammontare della somma

dovuta a titolo di risarcimento danni per il periodo di occupa zione illegittima sino al 31 dicembre 1992; c) in lire 3.976.000

l'esercizio del potere di impugnativa c.d. immediata della stessa senten za non definitiva, entro i termini di cui agli art. 325-327 c.p.c. (in pro posito, v. per tutti G.P. Califano, L'impugnazione della sentenza non

definitiva, in G.P. Caufano-C. Perago, op. cit., 341 ss. V. anche Cass., sez. un., 17 gennaio 1996, n. 331, Foro it., 1996, I, 3823, sull'autono mia reciproca, sia formale che sostanziale, dei mezzi d'impugnazione proposti contestualmente avverso la sentenza non definitiva e avverso

quella che definisce il giudizio). [M. Iozzo] ) (2) La sentenza si limita ad escludere l'applicabilità dei criteri dettati

per il risarcimento da occupazione appropriativa, di cui all'art. 5 bis, comma 7 bis, 1. 8 agosto 1992 n. 359, come introdotto dall'art. 3, com ma 65, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, all'indennità per l'occupazione di aree in attuazione dell'ordinanza 29 dicembre 1980 del commissario straor dinario di governo per le zone terremotate, ed al risarcimento del dan no per il protrarsi dell'occupazione dopo la scadenza, in assenza di una conclusione ablatoria della vicenda. Riguardo a tali occupazioni, si è determinato un contrasto nella giurisprudenza della Suprema corte

(per il quale, v. la nota di richiami, sub IV, a Cass. 11 gennaio 1999, n. 182, Foro it., 1999, I, 489), circa l'assimilabilità di esse alla requisi zione, e per questo da distinguere doverosamente dalle occupazioni di

urgenza ai fini della configurabilità dell'occupazione appropriativa (che a quanto è dato di capire, la pronuncia in epigrafe, in teoria, non esclu

de), dell'applicabilità della proroga disposta dall'art. 6 1. 18 aprile 1984 n. 80, e della facoltà dei comuni, pure prevista da quest'ultima norma, di espropriare le aree occupate per l'installazione di insediamenti prov visori nelle zone terremotate, pur dopo la scadenza dell'occupazione.

Dalla lettura del testo normativo si desume, per la verità, che le occu

pazioni per l'installazione di containers hanno ricevuto regolamentazio ne dall'art. 3, 4° comma, d.l. 26 novembre 1980 n. 776, nel testo risul tante dalla conversione in 1. 22 dicembre 1980 n. 874, solo riguardo all'indennità (commisurata alla 1. 29 luglio 1980 n. 385, e perciò dichia rata incostituzionale da Corte cost. 8 febbraio 1991, n. 62, id., 1991, I, 1340: ma non per i suoli agricoli, secondo Cass. 27 maggio 1997, n. 4699, id., Rep. 1997, voce Calamità pubbliche, n. 14, che esclude

l'applicabilità dell'art. 20 1. 22 ottobre 1971 n. 865), poiché la requisi zione per la quale la legge stessa conferiva al commissario straordinario

potere di ordinanza, riguardava solo «idonee strutture, anche per il col locamento di uffici pubblici» (art. 3, 1° comma, lett. a).

Dalla sentenza in epigrafe si desume che la Suprema corte era chia mata a pronunciarsi sull'applicabilità dell'art. 5 bis, comma 7 bis, 1.

359/92, riguardante solo le ipotesi di perdita della proprietà: non veni va, viceversa, in considerazione la questione di scelta del criterio di determinazione dell'indennità per l'occupazione legittima, riguardo alla quale, nella vicenda di specie, si era formato il giudicato sul carattere non preespropriativo e (sembra di capire) sul riferimento al valore ve nale (così pure per il risarcimento del danno per la protrazione dell'oc cupazione oltre la scadenza), il che esimeva dal cimentarsi sulla questio ne della riferibilità, ormai generale in materia di indennità di occupa zione, all'indennità di esproprio (Cass. 7 novembre 1998, n. 11228, id., 1999, I, 817, con nota di Benini). [S. Benini]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

al mese l'indennizzo per il successivo periodo di occupazione abusiva sino al rilascio del fondo; II) condannò il comune di

Avella a pagare dette somme, maggiorate della rivalutazione e

degli interessi sino al soddisfo.

4. - Con atto di citazione notificato alla Ercolino il 7 maggio 1994 (e riassunto il 15 settembre 1994) il comune di Avella im

pugnò davanti alla Corte d'appello di Napoli sia la sentenza

non definitiva del 24 maggio 1990 che quella definitiva del 24

marzo 1993.

Con l'impugnazione dedusse: a) il difetto di giurisdizione del l'autorità giudiziaria ordinaria; b) il difetto della propria legitti mazione passiva; c) l'infondatezza della eccepita nullità assolu

ta del provvedimento ablativo; d) l'illegittimità della liquidazio ne sia perché ragguagliata al valore venale del fondo anziché

a quello determinato ai sensi della 1. 14 maggio 1981 n. 219, ovvero a quello di cui all'art. 5 bis 1. 352/92; e sia, comunque,

per l'eccessività del valore venale del fondo posto a base dei

calcoli. L'appellata, costituitasi in giudizio, resistette al gravame. La Corte di Napoli, pronunciando con sentenza depositata

il 12 dicembre 1995, ha dichiarato inammissibile l'appello con

tro la sentenza non definitiva ed ha respinto quello contro la

sentenza definitiva.

La corte territoriale ha così enunciato le ragioni della decisione.

Nell'ipotesi in cui, in un giudizio con una parte contumace

sia stata pronunciata una sentenza non definitiva e questa non

sia stata notificata al contumace soccombente, questi può im

pugnare in appello detta sentenza unitamente a quella definitiva

così come consentito dall'art. 340 c.p.c., soltanto ove abbia fat

to riserva di impugnazione entro il termine di trenta giorni de

correnti dal deposito della sentenza in cancelleria; in difetto della

riserva, l'impugnazione deve essere proposta, a pena di deca

denza, entro il termine di cui all'art. 327, 1° comma, c.p.c. Di conseguenza — una volta che il comune di Avella non

aveva fatto riserva di appello e che al momento della proposi zione dell'appello (7 maggio 1994) era ampiamente decorso l'anno

dal deposito della sentenza non definitiva (24 maggio 1990) —

l'appello avverso questa sentenza è tardivo ed inammissibile.

Tanto determina il passaggio in giudicato formale della stessa

sentenza e la sopravvenuta intangibilità delle sue statuizioni in

ordine: alla sussistenza della giurisdizione dell'autorità giudizia ria ordinaria; alla sussistenza della legittimazione passiva del

comune di Avella; all'inesistenza giuridica del provvedimento di espropriazione; ed alla illiceità dell'occupazione durante il

periodo successivo al biennio iniziale.

Correlativamente, importa che le uniche questioni che possa no essere esaminate nel merito sono quelle — sulle quali ha

pronunciato la sentenza definitiva — relative alla determinazio

ne delle spettanze indennitarie e risarcitorie.

Le decisioni del tribunale relative a tali questioni non posso no che essere confermate, anche perché le disposizioni invocate

dall'appellante «disciplinano unicamente l'indennità di espro

priazione, mentre nel caso di specie trattasi di determinare solo

gli importi dell'indennità per la legittima temporanea occupa

zione e del risarcimento danni per la successiva occupazione

illegittima». 5. - Il comune di Avella propone ricorso per cassazione affi

dato a quattro motivi di annullamento.

L'intimata Rosa Ercolino resiste con controricorso illustrato

da memoria; in quest'atto deduce anche la cessazione della ma

teria del contendere, stante la sopravvenuta definitività della sen

tenza del Tar Campania del 4 dicembre 1992 e la circostanza

che il comune di Avella ha restituito spontaneamente l'area oc

cupata. Motivi della decisione. — 1.1. - Il primo motivo del ricorso

del comune di Avella avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli attiene al capo di quel provvedimento che ha dichia rato l'inammissibilità dell'appello proposto dallo stesso comu

ne, con la citazione notificata il 7 maggio 1994, nei confronti

della sentenza non definitiva del Tribunale di Avellino del 24

maggio 1990. Il mezzo è articolato in due profili che investono, rispettiva

mente, le due autonome ragioni sulle quali il giudice d'appello ha fondato la propria statuizione.

a) Nel primo profilo il ricorrente sostiene che a mente del

l'art. 292, ultimo comma, c.p.c., al contumace devono essere

necessariamente notificate tutte le sentenze pronunciate nel giu

II Foro Italiano — 1999.

dizio nel quale non s'è costituito; che in difetto di quella notifi

cazione non si produce alcuno degli effetti processuali che l'or

dinamento passivo riconduce alla pubblicazione di una senten

za, quali, in particolare, quello dell'inizio del decorso del termine

lungo per appellare; e che, pertanto, nei confronti del contuma

ce il disposto dell'art. 327 c.p.c. non trova applicazione. Ne trae che la corte del merito ha violato ed applicato falsa

mente detti art. 292 e 327 c.p.c. allorché, andando in contrario

avviso: ha escluso che al contumace debbano essere notificati — a pena di improduttività dei loro effetti — non solo gli atti

indicati nel 1° comma del richiamato art. 292, ma anche tutte

le sentenze pronunciate nel procedimento contumaciale; ha af

fermato che anche nei confronti del contumace il termine lungo

per l'impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza; e ne ha fatto discendere la tardività dell'appello proposto da

esso comune nei confronti della sentenza non definitiva, in quan to successivo al decorso dell'anno dalla pubblicazione della sen

tenza stessa.

b) Nel secondo profilo del motivo il comune di Avella sostie

ne che l'istituto della riserva facoltativa dell'appello contro le

sentenze non definitive di cui all'art. 340 c.p.c., non trova ap

plicazione nei confronti della parte contumace, di modo che,

per questa, il termine per l'appello della sentenza non definitiva

non può che essere quello breve decorrente dalla notifica (pre scritta dall'art. 292, ultimo comma) della sentenza stessa.

Sulla base di tale deduzione denuncia che la corte partenopea ha violato ed applicato falsamente l'art. 340 c.p.c., perché ha

posto a fondamento della seconda ratio decidendi il principio — a suo avviso errato — secondo cui ove in un giudizio con

una parte contumace sia stata pronunciata una sentenza non

definitiva, il contumace ha l'onere di appellarla immediatamen

te, salvo ne abbia fatto espressa riserva nelle forme di rito entro

il termine di trenta giorni decorrente dal deposito della sentenza

in cancelleria.

1.2. - L'art. 327 c.p.c. nel disciplinare — ai fini della deter

minazione dei termini per la proposizione delle impugnazioni ordinarie delle sentenze — l'ipotesi che la sentenza stessa non

sia stata notificata, dispone che il regime fissato nel suo 1 ° com

ma (l'improponibilità di quelle impugnazioni dopo decorso un

anno dalla pubblicazione della sentenza) non trova applicazione nei confronti della parte contumace quando questa dimostri di

non aver avuto conoscenza del processo per nullità della cita

zione o della notificazione di essa e per la nullità della notifica

zione degli atti di cui all'art. 292.

Stante il suo dettato letterale di univoco significato, tale di

sposizione non può che essere letta nel senso che, nei confronti

del contumace, la deroga al suo assoggettamento al regime di

cui al 1° comma ed all'onere di proporre l'impugnazione nel

termine lungo è rigorosamente circoscritta alla concorrente sus

sistenza di tre presupposti: la mancata notifica della sentenza, la nullità di uno degli atti indicati nel capoverso e sempre che

il loro vizio abbia impedito al contumace di aver conoscenza

del processo, nonché il non aver acquisito aliunde la conoscen

za del processo la cui prova contraria è a carico della contro

parte; e che, pertanto, di per sé sola, la mancata notificazione

della sentenza non esime il contumace dell'onere di impugnare la sentenza entro l'anno dalla sua pubblicazione.

Ne deriva immediatamente, in primo luogo, un argomento sistematico atto a supportare la consolidata esegesi dell'ultimo

comma dell'art. 292 c.p.c. tratta dal dato letterale (che, perciò, deve essere ribadita) secondo cui il suo precetto dispone, non

già che al contumace debbano essere sempre notificati, oltre

che gli atti di cui al 1° comma della medesima norma, anche

le sentenze, ma soltanto e più limitatamente, che la notificazio

ne delle sentenze, quando avviene, deve essere effettuata sem

pre personalmente alla parte. È evidente, infatti, come il regime dell'art. 327 c.p.c. avanti enunciato trovi il suo indefettibile pre

supposto nella non riconducibilità delle sentenze agli atti da no

tificarsi al contumace ai sensi e per gli effetti di cui all'art.

392 c.p.c. Ne deriva, inoltre, e soprattutto, la non condivisibilità della

contraria costruzione giuridica proposta dal ricorrente nel pri mo profilo del mezzo.

Tanto determina — in una con la reiezione della relativa cen

sura — la definitività della statuizione della Corte d'appello di

Napoli fondata sul principio qui accolto, secondo cui il comune

di Avella è decaduto dalla potestà di impugnare la sentenza non

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 5 febbraio 1999, n. 26/SU; Pres. Favara, Est. Olla, P.M. Dettori (concl. conf.); Comune di Avella (Avv. de Beaumont) c. Ercolino (Avv. Barra). Conferma

2587 PARTE PRIMA 2588

definitiva del Tribunale di Avellino del 24 maggio 1990 per ef

fetto dell'inutile decorso del termine lungo; e, secondo cui, di

conseguenza, l'appello proposto, dopo quel termine, il 7 mag

gio 1994, è inammissibile. 1.3. - Stante la conclusione ora enunciata, si deve escludere

che il ricorrente abbia interesse alla censura formulata nell'altro

profilo del mezzo avverso la seconda delle ragioni addotte dalla

corte del merito a sostegno della pronuncia di inammissibilità

della quale si tratta.

Per vero, il suo eventuale accoglimento non potrebbe mai

portare all'anullamento della statuizione, atteso che la stessa

rimarrebbe pur sempre sorretta dalla prima ratio decidendi di

venuta definitiva per effetto della reiezione del primo profilo del motivo.

Ne consegue l'inammissibilità di questa distinta censura.

1.4. - Le pregresse conclusioni determinano il rigetto del mezzo.

2. - Il secondo ed il terzo motivo di annullamento attengono a due questioni (la carenza della giurisdizione dell'autorità giu diziaria ordinaria ed il difetto della propria legittimazione passi

va) che l'attuale ricorrente aveva dedotto in via di eccezione

nell'atto di appello avverso la sentenza non definitiva del 24

maggio 1990, e che la Corte di Napoli ha escluso di poter esa

minare stante l'inammissibilità dell'appello, ed il conseguente formarsi del giudicato sostanziale sulle statuizioni di quella sen

tenza contenenti la declaratoria della sussistenza della giurisdi zione del giudice ordinario e della legittimazione passiva del co

mune di Avella.

I motivi non censurano l'affermazione del giudice d'appello circa la preclusione all'esame delle anzidette questioni, e si limi

tano a riproporre dette questioni, condizionatamente all'ipotesi

dell'accoglimento del primo mezzo ed all'annullamento della de

claratoria di inammissibilità dell'appello avverso la sentenza non

definitiva. Se ne trae, una volta che il primo mezzo non è stato accolto,

l'inammissibilità dei motivi. 3. - Da ultimo, nel quarto motivo il comune di Avella sostie

ne che le statuizioni relative alla liquidazione dell'indennità per

l'occupazione legittima e del danno conseguente all'occupazio ne illegittima devono essere annullate posto che, nella specie, deve trovare applicazione «quale ius superveniens che si applica anche ai giudizi in corso e, quindi, anche all'attuale» il criterio

indennitario dettato dal comma 7 bis dell'art. 5 bis d.l. 11 lu

glio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, nella 1. 8 ago sto 1992 n. 359, introdotto nel detto art. 5 bis dall'art. 3, com

ma 65, 1. 23 dicembre 1996 n. 662.

La deduzione del comune di Avella non può trovare acco

glimento. L'attuale intimata Rosa Ercolino non ha mai perso il diritto

di proprietà sulla porzione del suo fondo occupato dal comune

di Avella a seguito dell'ordinanza del sindaco di quel comune

del 30 giugno 1981; ed è ben per questo che, come è incontro

verso, in data 22 dicembre 1997 il comune di Avella ha restitui

to alla Ercolino il bene in questione.

Infatti, il decreto 28 marzo 1988 col quale il sindaco di Avel

la aveva disposto l'espropriazione per pubblica utilità della por zione in questione in favore del comune di Avella è stato di

chiarato non applicabile con la sentenza non definitiva del Tri

bunale di Avellino del 24 maggio 1990, ormai divenuta definitiva

stante la reiezione del primo motivo di annullamento; e, in ogni

caso, è stato annullato dal Tar Campania con sentenza del 4

dicembre 1992, anch'essa divenuta definitiva.

Inoltre, nella specie non si è prodotta neanche l'occupazione

acquisitiva o espropriazione sostanziale della porzione in que

stione, posto che non vi è stata realizzata alcuna opera pubbli

ca, né, comunque, la stessa è stata irreversibilmente trasformata.

Quindi, anche qui come ha statuito con autorità di giudicato la sentenza non definitiva del Tribunale di Avellino del 24 mag

gio 1990: — il comune di Avella ha occupato il fondo Ercolino, legitti

mamente, per il biennio 4 luglio 1981-4 luglio 1983; e, illegitti mamente, per il periodo successivo e sino alla sua restituzione;

— correlativamente, la Ercolino ha diritto: a) ad una inden

nità per il periodo di occupazione legittima, occupazione che, tra l'altro, come risulta affermato in modo non più contestabile

dalle più volte richiamate sentenze del Tribunale di Avellino

del 24 maggio 1990 e del Tar Campania, non solo non è stata

disposta in funzione della successiva espropriazione del fondo

Il Foro Italiano — 1999.

avendo di mira unicamente il suo temporaneo possesso al fine

di potervi appoggiare in via transitoria dei containers, ma, ad

dirittura, non legittimava il comune di Avella ad espropriare

l'area; b) al risarcimento del danno subito per la perdita del

possesso durante il periodo dell'occupazione illegittima.

Ebbene, è da escludere che la posizione creditoria della Erco

lino così accertata e qualificata sotto il profilo giuridico sia as

soggettabile alla disciplina fissata nella disposizione normativa

invocata dal ricorrente.

Per vero, essa norma fissa il criterio per la liquidazione del

danno subito dal proprietario di un suolo a seguito della perdi ta del proprio diritto dominicale su quel bene, per effetto della

sua occupazione acquisitiva o espropriazione sostanziale e l'ac

quisizione della proprietà sullo stesso da parte del soggetto oc

cupante. Nel contempo, non si individua alcun argomento letterale o

sistematico che consenta di estenderne la portata precettiva alla

liquidazione del credito del proprietario a seguito (così come

nella specie) della perdita del solo possesso del suolo per effetto

della sua occupazione legittima (l'indennità di occupazione), o

della sua occupazione illegittima durante il periodo successivo

alla scadenza di quella legittima, ove — non essendosi verifica

ta l'espropriazione sostanziale — detto proprietario non abbia

perso il diritto dominicale ed abbia diritto alla restituzione del

suolo (risarcimento del danno da perdita del possesso). Non

solo, ma le modalità di determinazione del danno ed i parame tri di riferimento non possono che ribadire la conclusione se

condo cui il criterio fissato nella norma riguarda in modo esclu

sivo la liquidazione del danno conseguente alla perdita della

proprietà del suolo.

Ne discende l'infondatezza ed il rigetto anche di questo motivo.

4. - La reiezione di tutti i motivi di annullamento comporta il rigetto del ricorso.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 27 gen naio 1999, n. 718; Pres. Grossi, Est. Di Nanni, P.M. Ian

ne ixi (conci, diff.); Caruso e altra (Avv. Caputo) c. Tricari

co e altro. Cassa Trib. Foggia 3 ottobre 1996.

Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Comunione

legale fra coniugi — Esecuzione promossa da creditore perso nale — Espropriazione di beni indivisi — Avviso al coniuge del debitore esecutato — Omissione — Conseguenze (Cod.

civ., art. 189; cod. proc. civ., art. 599, 600; disp. att. cod.

proc. civ., art. 180, 181).

In ipotesi di espropriazione forzata dei beni della comunione

legale promossa dal creditore personale di uno dei coniugi nelle forme dell'espropriazione dei beni indivisila mancanza

dell'avviso di pignoramento all'altro coniuge comproprietario non incide sulla validità dell'atto di pignoramento stesso, il

quale è compiuto indipendentemente dall'avviso, ma sullo svol

gimento ulteriore dell'azione esecutiva, la quale infatti può

proseguire solo se il coniuge comproprietario è stato avvisato

(nella motivazione, si è precisato che l'avviso è in funzione dell'esercizio dei seguenti poteri da parte del giudice dell'ese

cuzione: consentire la separazione in natura della quota spet tante al debitore esecutato, disporre la vendita della quota o la sua divisione). (1)

(1-2) Creditori personali del coniuge ed espropriazione forzata dei beni della comunione legale ex art. 189, 2° comma, c.c.

I. - Non constano precedenti in termini. In precedenza la questione era stata infatti sottoposta alla Suprema corte con sent. 2 agosto 1986, n. 4966, Foro it., Rep. 1987, voce Famiglia (regime patrimoniale), n.

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