Sezioni unite civili; sentenza 5 maggio 1962, n. 902; Pres. Verzì P., Est. Giansiracusa, P. M. Colli(concl. conf.); Gallizio e Giannelli (Avv. Battistelli) c. Ministero del commercio con l'estero; Soc.Ampelea (Avv. Lucenti), Soc. Merimport (Avv. Schirone)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 895/896-901/902Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150589 .
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895 PARTE PRIMA 896
obbligatorio di leva, per ragioni di politica sociale, insin
dacabilmente valutate dal legislatore, e con carattere del tutto autonomo ed indipendente da quella normale, po nendo il relativo onere a carico dello Stato. Ciò è fatto
palese anche dai provvedimenti succedutisi nel tempo, e cioè : 1) il r. decreto legge 4 ottobre 1935 n. 1827, art.
56, n, 1, e 136, per il servizio militare effettivo prestato nelle forze armate italiane a decorrere dal 25 maggio 1915 al 1° luglio 1920, e la sentenza di questa Corte n. 114 del
16 gennaio 1959 (Foro it., Eep. 1959, voce Previdenza
sociale, n. 284) ha escluso l'incompatibilità dell'art. 136, dianzi citato, con l'art. 29 legge n. 218 del 1952 ; 2) la legge 20 febbraio 1958 n. 55, art. 7, 8 e 9, per il servizio mili
tare prestato nelle forze armate dello Stato, ed in corpi assimilati, dal 10 giugno 1940 al 15 ottobre 1946 ; 3) il
decreto legisl. luog. 28 maggio 1945 n. 402, art. 4, che
pone l'onere contributivo a carico dell'assicurazione obbli
gatoria comune, oltre che del fondo di previdenza, e se
condo cui « gli agenti sono considerati iscritti a tale assi
curazione, in base alle disposizioni vigenti, ai sensi del pre cedente art. 3, n. 1 », ecc.
Consegue che a ragione l'impugnata sentenza ha rile
vato non trattarsi neppure di un contributo puramente teorico, poiché il maggior onere relativo a quel periodo
(servizio militare di leva) è posto a carico dello Stato o
di altri enti espressamente previsti, concludendo che l'art.
14 del regolamento n. 1538 del 1920, richiamato ai fini
della modalità di liquidazione, non giova alla tesi dell'Isti
tuto, « perchè i contributi obbligatori, in base ai quali va
liquidata la pensione supplementare, sono quegli stessi
che, per l'art. 6 r. decreto legge 21 aprile 1919 n. 603, si considerano come versati a favore degli assicurati ».
A tali principi appare sostanzialmente ispirata anche
la citata sentenza n. 3308 del 1958 di questa stessa Sezione.
Premesso che thema decidendum della controversia era,
allora, « il biennio di maggiore anzianità per meriti combat
tentistici, ai soli fini della carriera e dello stipendio »,
precisava il Supremo collegio che gli anni utili per la pen sione, di regola, sono quelli di effettivo servizio e di con
tribuzione ; ma faceva salve le eccezioni, dovute appunto ad un criterio di liberalità, espressione di una sovrana
volontà del legislatore, « il quale contemporaneamente provveda ad indicare le fonti per la copertura del maggior onere » : come nel caso dell'art. 3, 3° comma, del regola mento, pure in quella sentenza, incidentalmente, esaminato
e in relazione al quale, ai fini della pensione supplementare, si ribadiva che l'onere contributivo, per il periodo consi
derato, era puntualmente posto a carico dello Stato.
Contro l'esatto criterio seguito dai Giudici di merito si infrangono, quindi, le critiche mosse dal ricorrente, le cui suggestive argomentazioni trovano serio ostacolo in precise disposizioni di legge, interpretate nel loro razio nale ed armonico coordinamento, e delle quali neppure può negarsi l'efficacia retroattiva, per il rilevato espresso rife
rimento anche al periodo bellico 1915-1918, oltre che nella natura particolare del sistema previdenziale, riguardante il personale delle aziende concessionarie dei pubblici ser vizi di trasporto, generalmente retto dalle norme speciali
sull'equo trattamento, a differenza delle assicurazioni
generali obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, rego late dal principio della corrispondenza tra contributi e
prestazioni (Cass. 3 agosto 1943, n. 2013, Foro it., 1943,
I, 886). Per le esposte considerazioni il ricorso va respinto
con la condanna del soccombente al pagamento delle ulte
riori spese del giudizio. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 5 maggio 1962, n. 902 ; Pres.
Vekzì P., Est. Giansiracusa, P. M. Colli (conci, conf.) ; Gallizio e Gìannelli (Avv. Battistelli) c. Ministero del commercio con l'estero ; Soc. Ampelea (Avv. Lu
centi), Soc. Merimport (Avv. Schirone).
(Cassa App. Boma 16 marzo 1959)
Fallimento — Incapacità processuale del tallito —
Carattere relativo.
Esportazione e importazione — Compensazione pri vata — Violazione delle relative norme — Domanda di risarcimento del privato verso la pubblica Am
ministrazione — Improponibilità.
Esportazione e importazione — Compensazione pri vata — Accordo Ira esportatore e importatore —
Inosservanza — Danni — Risarcibilità — Fat
tispecie.
Esportazione e importazione — Compensazione pri vata — Cessione della licenza da parte dell'impor tatore a terzi — Mancato versamento del contro valore in lire a disposizione dell'esportatore —
Itcsponsabilità extracontrattuale dei cessionari.
L'incapacità processuale del fallito non è rilevabile d'ufficio, ma può essere eccepita dal solo curatore e non anche dal debitore. (1)
È improponibile la domanda di risarcimento di danni pro posta da un esportatore contro la pubblica Amministra zione per inosservanza delle norme che disciplinano l'im
portazione e l'esportazione e, in particolare, le compensa zioni private. (2)
È responsabile per i danni derivanti dal mancato versamento del controvalore in lire italiane l'operatore che, parteci pando ad un affare di compensazione privata, non esegua poi per ragioni a lui imputabili l'operazione, o la esegua difformemente dalle condizioni poste dalla licenza (nella specie, con pagamento diretto al venditore straniero tra mite i suoi aventi causa, sì da rendere impossibile o diffi coltoso all'esportatore il recupero del prezzo della merce
esportata). (3)
Ogni operazione clandestina di sganciamento dell'affare d'im
portazione da quella di esportazione nella compensazione privata, mediante cessione della licenza da parte dell'im
portatore a terzi, seguita dall'utilizzo della licenza in via autonoma da parte dei cessionari senza il dovuto versa mento del controvalore in lire italiane a. disposizione del
l'esportatore, dà luogo a responsabilità extracontrattuale dei cessionari verso l'esportatore. (4)
(1) Sulla relatività della incapacità processuale del fallito vedi le sentenze richiamate in nota a Cass. 16 gennaio 1962, n. 61 (retro, 455), che contiene analoga affermazione anche in applicazione del diritto francese.
(2-4) Analogamente, circa la discrezionalità del potere con ferito alla pubblica Amministrazione in materia di licenze di importazione ed esportazione, e l'inesistenza, in correlazione, di un diritto soggettivo perfetto, Cass. 26 aprile 1961, n. 932, Foro it., 1961, I, 922, con nota di richiami, e in Riv. dir. comm., 1961, II, 360, con nota di Rossi, La natura della licenza d'importa zione ; nonché Cass. 26 aprile 1961, n. 933, nel nostro Rep. 1961, voce Esportazione e importazione, n. 11.
Circa il nesso che collega le due vendite internazionali nella compensazione privata, v. App. Bari 21 maggio 1957, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 9, 10, e Cass. 22 gennaio 1957, n. 194, id., 1958, I, 500, ove, in nota, è richiamata Cass. 28 maggio 1955 (e non, come ivi si legge, 1956), n. 1661, id., 1956, I, 57 (con ulteriori richiami in nota), la quale ha affermato la responsabilità dell'esportatore per i danni subiti dall'importatore che non ha potuto realizzare il proprio affare a causa della mancata messa a disposizione (in questo caso, per fatto dell'importatore stra niero) della provvista di valuta estera.
La responsabilità dell'esportatore verso l'importatore è stata anche affermata, in altra fattispecie, da App. Firenze 7 novembre 1955, ibid., 1367.
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897 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 898
La Corte, ecc. — Si eccepisce che il ricorso proposto nell'interesse della fallita Compagnia italiana del commercio estero (C.i.c.e.) è inammissibile perchè non proposto dal
curatore.
L'eccezione deve disattendersi. La controparte non è
abilitata ad eccepire la mancanza di legittimazione proces suale che non può essere nè rilevata d'ufficio e nemmeno
invocata dal fallito nel proprio interesse, in quanto la per dita della capacità processuale è sempre relativa alla massa
dei creditori, alla quale soltanto spetta di eccepirla. (Omissis) Coi primi due motivi i ricorrenti impugnano la pro
nuncia con cui la Corte di merito dichiarò improponibile la domanda di risarcimento di danni nei confronti del Mini
stero del co inaiare io estero, al quale, secondo la tesi dei
ricorrenti, incombeva, dopo la concessione della licenza, rilasciata per un affare di compensazione privata, l'ob
bligo d'invigilare e intervenire, affinchè l'operazione in
versa (cioè l'importazione) si svolgesse in collegamento con
l'esportazione. Il Ministero invece accolse la richiesta avan
zata dall'esportatore di sostituire, con un altro, il prece dente importatore, senza previamente accertare se il per messo fosse stato da quest'ultimo utilizzato in piena auto
nomia, il che si verificò (come si assume) con danno sia
dell'esportatore, sia dell'importatore subentrante.
A sostegno di tale tesi i ricorrenti affermano, in primo
luogo, che, per quanto attiene alla disciplina delle importa zioni e delle esportazioni, alla stregua delle norme restrit
tive speciali in vigore nel tempo in cui fu concessa la li
cenza (decreto legisl. 22 dicembre 1945 n. 809 ; decreto
legisl. 16 gennaio 1946 n. 12 ; r. decreto legge 14 novembre
1926 n. 1923), la competenza era del Ministero del commer
cio estero, a cui perciò incombeva l'obbligo d'invigilare e
controllare circa l'utilizzo e il modo d'utilizzo della con
cessa licenza. In secondo luogo, i ricorrenti sostengono che, nel consentire l'affare di compensazione privata da attuarsi
mediante due operazioni inverse d'importazione e di espor tazione, il Ministero non soltanto autorizzava, ma conferiva
agli interessati, che dovevano effettuare l'operazione, un
diritto soggettivo perfetto, che per la sua attuazione suppo neva un correlativo obbligo della pubblica Amministrazione
d'invigilare e intervenire a protezione di quel diritto, sino
al compimento dell'affare.
Codeste affermazioni non possono essere condivise.
Le norme relative all'intervento dello Stato negli scambi
privati con l'estero, le quali fissano i criteri e le modalità
dell'intervento, non sono poste a protezione diretta e im
mediata degli operatori nell'intercambio. Esse sono poste invece nell'interesse generale, per esigenze prevalentemente valutarie dell'economia nazionale mediante il controllo degli scambi, che si attua in forme varie attraverso compensa zioni private, scambi bilanciati, affari di reciprocità, com
pensazioni generali (clearing) e scambi compensati, onde
evitare fuoruscita di valuta pregiata a saldo delle bilance
commerciali e assicurare sufficienza di mezzi di pagamento in divise estere a profitto di altre scelte economiche rite
nute essenziali e urgenti, in rapporto alle necessità sorte
in dipendenza di eventi, cui si ricollegano appunto quelle
speciali norme restrittive di politica economica.
L'operatore può da tali norme trarre solo una protezione indiretta e occasionale. Non può quindi vantare un diritto
soggettivo perfetto alla realizzazione dell'intercambio anche
se autorizzato, in quanto non sussiste nelle indicate norme
un obbligo giuridico della pubblica Amministrazione a fare
alcunché, una volta autorizzato l'intercambio, per assicu
rarne la realizzazione a favore degli intestatari della li
cenza d'importazione e di esportazione. Non esistendo un tale obbligo, non può configurarsi un
correlativo diritto alla prestazione di servizi, nel senso vo
luto dai ricorrenti, da parte dell'Amministrazione. L'opera
li Trib. Roma 2 febbraio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., n. 8, afferma che la pubbli a Amministrazione ha il potere di
esercitare il controllo sull'uso che il privato faccia della otte nuta autorizzazione.
In dottrina, vedi Testa, Affare di reciprocità e compensazione ■privata, in Novissimo digesto it, 1957, vol. I, tomo 1, pag. 351.
Il Foro Italiano — Volume LXXXV — Parte 1-58.
tore economico ha verso lo Stato soltanto un interesse
legittimo a ohe l'intercambio si realizzi attraverso l'opera zione, e a che l'operazione si attui nell'osservanza delle
predette norme.
Ogni eventuale lesione che derivi dall'inosservanza di
esse da parte dell'Amministrazione o dal mancato inter
vento di questa onde ripristinarne l'osservanza, viene a
incidere su una posizione soggettiva che, in quanto confi
gurabile di fronte allo Stato come interesse legittime, può
produrre, se mai, un danno soltanto economico, non an
che un danno giuridico, il quale possa, in quanto tale, in
quanto cioè lesivo di diritti soggettivi, formare previa mente oggetto d'un'azione giudiziaria di risarcimento.
Esattamente dunque la domanda fu dichiarata impro
ponibile contro il Ministero del commercio estero.
Bimane precluso l'esame del terzo mezzo, il quale, poiché
riguarda la circostanza negata dai ricorrenti dell'esonero da
ogni responsabilità del Ministero, esonero che sarebbe stato
consentito dall'esportatore nella occasione della richiesta
sostituzione dell'originario importatore, implica un'inda
gine, la quale, in quanto attiene al merito, rimane superata e assorbita dalla improponibilità della domanda.
Gli altri motivi investono la pronuncia di rigetto della
domanda di risarcimento proposta nei confronti delle Ditte
Decoera, Ampelea e Merimport. Nel denunciare col quarto mezzo l'impugnata sentenza,
relativamente al punto della motivazione in cui leggesi che, in tanto può sorgere obbligazione per inadempimento, ili
quanto preliminarmente sia dimostrata la sussistenza d'un
valido contratto di compensazione privata, il quale nella
specie, secondo l'avviso della Corte di merito, non solo non
appariva dimostrato, ma era da escludere, i ricorrenti dedu
cono che i Giudici di merito avrebbero errato nel negare l'esistenza d'un tale accordo, giacché esso, oltre che insito
nella struttura stessa dell'affare di compensazione privata,
emergeva fra l'altro da tutto il carteggio, che fu esaminato
solo in parte e per giunta in maniera disattenta.
La censura non è infondata.
In tema di compensazione privata, in cui operazioni di
pari valore all'importazione e all'esportazione sono rego late direttamente per accordo tra le parti, benché la licenza
non abbia funzione documentale dell'accordo, deve presu mersi che essa sia stata concessa, in quanto esista un pre ventivo scambio di consensi tra gli operatori connazionali
circa l'attuazione dell'affare, le modalità e il versamento
in Italia, da parte dell'importatore, del prezzo della merce
importata e circa il tasso di cambio in maniera da coprire, sino alla concorrenza di eguale valore, il credito dell'espor tatore italiano verso il compratore estero, e ciò al fine di
evitare nell'intercambio movimenti di valuta tra i due
Paesi.
Invero, in regime di politica economica (quale quello in cui i fatti seguirono) caratterizzato da un controllo degli scambi internazionali, il divieto posto alla libertà di com
mercio è superabile in certi limiti nell'ambito, ad esempio, della compensazione privata, in forza di un'autorizzazione
seguita da licenza, la quale deve presumersi concessa subor
dinatamente al fine che quella tutela suppone : d'impedire fuoriuscita di divisa estera in pagamento diretto a favore
del compratore straniero. E pertanto, poiché nel quadro della compensazione le singole operazioni formano un com
plesso unitario, in quanto condizionate e collegate l'una con
l'altra, l'importatore, ottenuto il permesso d'importare, non
può, in via autonoma, e all'insaputa del connazionale espor
tatore, cui l'operazione è collegata in forza appunto della
licenza, servirsi di questa al solo fine di eludere il divieto,
sottraendosi, poi, con accorgimenti di cui è ricca la pato
logia degli affari, all'obbligo di mettere a disposizione del
l'esportatore il controvalore in lire italiane, il quale ob
bligo, per le ragioni indicate già, è presumibile sia richiesto
come condizione sine qua non per la concessione del per messo da parte del competente Ministero.
Da una tale inscindibilità di posizioni, propria della
struttura dell'affare di compensazione privata, che non
può essere condotto a buon fine ex uno latere, ma necessa
riamente da entrambe le coppie di operatori, collegati dal
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PARTE PRIMA
fatto ohe la licenza, essendo tale, tanto per l'esportatore,
quanto per l'importatore, non è scomponibile in due parti distinte, ciascuna valevole separatamente dall'altra, ne de
riva la presunzione che tra importatore ed esportatore debba essere intervenuto un precedente accordo di com
pensazione, la cui efficacia è condizionata dalla licenza, ed esso implica, perchè ne sia possibile l'adempimento,
l'obbligo d'utilizzare la licenza non altrimenti che in stretto
collegamento tra i due operatori connazionali.
E, argomentando appunto dalla struttura delle opera zioni collegato nell'affare di compensazione privata, questa Corte in precedenti decisioni affermò il principio che non
può sottrarsi alla richiesta di danni quel contraente che, concluso un accordo di compensazione, con cui impegnavasi
all'esportazione di propri prodotti per un importo deter
minato e corrispondente a quello dell'importazione effet
tuata dall'altro contraente italiano, faccia pervenire all'ac
quirente straniero merce per un valore inferiore, lasciando
così parzialmente scoperto il debito verso l'estero dell'altro
contraente italiano, e costringendolo, per pareggiare il conto, a nuove più onerose operazioni di compensazione.
Or, se la responsabilità dell'operatore verso il connazio
nale sussiste nel caso in cui egli abbia dato esecuzione sol
tanto parziale al contratto con l'operatore straniero, essa
a maggior ragione sussiste nel caso in cui non vi abbia dato
esecuzione affatto.
E, dovendo presumersi fra gli operatori connazionali
un accordo che vincoli ad operare in collegamento e a non
disintegrare l'affare, l'adempimento dell'obbligo di fare da
parte dell'importatore, di mettere cioè a disposizione del
l'esportatore italiano, una volta eseguita l'operazione, il
controvalore in lire, non dipende da altro, a ben guardare, che dall'adempimento del contratto che lega l'importatore nazionale con l'esportatore estero ; ma appunto perchè il
versamento è correlativo all'evento che l'importazione segua come stabilita e prevista nel permesso governativo, non
può l'importatore essere esonerato dalla responsabilità per mancato versamento, se egli abbia operato in modo da
impedire che l'operazione segua come prevista e da impe dire in violazione dell'accordo qualsiasi correlazione con
l'operazione inversa collegata. E pertanto, in applicazione del principio ora indicato,
non può sottrarsi alla richiesta di danni, per mancato
versamento del controvalore in lire italiane, l'operatore che, partecipando ad un affare di compensazione privata e consentendo d'importare prodotti per un importo cor
rispondente a quello stabilito dall'esportatore con cui
l'importatore dovrebbe, in base all'ottenuta licenza, ope rare in collegamento, non eseguisca poi per ragioni a lui
imputabili l'operazione, o la eseguisca fuori del modo
stabilito nella licenza, in via autonoma, con pagamento diretto al venditore straniero, per tramite di suoi aventi
causa, in maniera da disintegrare il rapporto e da rendere
impossibile o difficoltoso all'esportatore il recupero del
prezzo della merce esportata se non attraverso una po stuma autorizzata sostituzione del soggetto importatore.
Or nel caso in esame, contro l'indicata presunzione, per poter affermare che l'accordo di compensazione tra gli operatori connazionali non si era perfezionato nonostante la concessa licenza, non bastava il semplice riferimento a una lettera in cui si accennava a trattative rimaste so
spese, essendo lecito alle parti differire a un momento successivo le modalità di esecuzione dell'accordo, già per fetto e vincolante nelle sue linee generali. Un tale diffe
rimento suole accadere ad esempio quando i due operatori connazionali si riservino di definire in quale misura debba
corrispondersi il premio all'esportatore, se in misura uguale o maggiore a quella consentita dalle autorità competenti, il quale premio dipende, come è noto, dal volume delle
richieste di contropartite da parte degli importatori, es sendo invalsa la pratica che, se le richieste superano le offerte degli esportatori, a questi ultimi va corrisposto un premio che si aggiunge al ricavo della merce esportata.
Poiché dunque l'aspetto tipico della compensazione privata è l'abbinamento dalle due partite, dal punto di
vista della tecnica dell'operazione, la richiesta dell'auto
rizzazione non può che essere preceduta dalla ricerca
della contropartita, che postula necessariamente un ac
cordo delle parti interessate, ed è noto che al fine di faci
litare un tale incontro di consensi furono nella pratica
degli scambi create persino « borse delle compensazioni »
anche al di fuori della banca che non sempre poteva esple tare tale funzione intermediaria.
Or dunque, per escludere l'esistenza d'un vero e proprio incontro di consensi e per affermare la conseguente man
canza di azione di risarcimento di danni, occorreva dimo
strare il fatto illecito che le parti avessero simulatamente
prospettato come raggiunto un accordo di compensazione e inscenato una documentazione al solo fine di ottenere
intanto dai Ministeri competenti, attraverso il benestare
della banca, l'autorizzazione ad esportare ed importare e la conseguente licenza, salvo poi ulteriori determinazioni
in base alla convenienza o meno di attuare o far attuare
le autorizzate operazioni di scambio, condizionate a deter
minati eventi speculativi. In mancanza di una tale dimostrazione le ragioni ad
dotte dalla Corte di merito per escludere, nonostante la
presunzione contraria derivante dalla concessa licenza, che esistesse tra le parti un efficace accordo di compensa zione, non appariscono sorrette da motivazione idonea, ed è pertanto fondata la censura dei ricorrenti, i quali lamentano circa tale punto decisivo la mancata disamina
di documenti e segnatamente del telegramma 31 marzo
1947 inviato dal Graziani (quale rappresentante della
Decoera) a Sordexport (indirizzo telegrafico della C.i.c.e.), che era stato preceduto da uno scambio di corrispondenza e di telegrammi prodotti in giudizio e non esaminati dalla
Corte, e precisamente il telegramma del Sardella per conto
della C.i.c.e. al Graziani in data del 14 marzo 1947, il te
legramma Graziani-Sordexport del 17 marzo 1947 e in
fine la lettera del 26 marzo 1947, cui poi seguì il telegramma del 31 marzo 1947.
Per la stessa ragione deve accogliersi anche il quinto mezzo, che riguarda la responsabilità extracontrattuale
degli aventi causa della Società Decoera, che, in concorso, avrebbero operato in maniera tale da cagionare con l'uti
lizzo in via autonoma della licenza i pretesi danni alla
Ditta esportatrice e alla Ditta Giannelli autorizzata dal
competente Ministero a importare in sostituzione della
Ditta Decoera.
In effetti, su tale punto (decisivo anch'esso) la Corte di
merito, senza indicare le fonti del proprio convincimento
e senza approfondire le circostanze nelle quali gli aventi
causa riuscirono a utilizzare per intero la licenza a insa
puta della Ditta esportatrice, prima che questa provvedesse alla domanda di sostituzione della originaria Ditta impor tatrice, accenna nell'impugnata sentenza all'ipotesi di
vendita della merce importata, vendita che sarebbe stata
stipulata all'estero dalla Ditta importatrice Decoera prima dello sdoganamento della merce eseguito dai compratori, e afferma poi la Corte che, tanto la « cessione » (anche se
esistente), quanto il pagamento diretto di valuta al vendi tore estero non potrebbero mai in nessun caso addursi dalla Ditta esportatrice come evento causativo di danni, dal momento che una tale violazione sarebbe, se mai, lesiva dell'interesse pubblico che è esclusivo dello Stato
per la difesa della valuta nazionale. Circa il primo punto non ha importanza ai fini del deci
dere la questione se, con la cessione della licenza, fossero stati violati i divieti previsti dal decreto legge 14 novem bre 1926 n. 1923, richiamato dai ricorrenti, il quale decreto, a differenza delle norme posteriori introduttive della com
pensazione privata (in cui preminente ed esclusivo è il
fatto valutario rispetto al fatto merceologico), presuppone invece autonomia (e non già collegamento) delle opera zioni di scambio, e inoltre presuppone che le merci importate o esportate siano comprese nel divieto di cui all'art. 1 dello stesso decreto, per il quale prevalente è il fatto mer
ceologico rispetto al fatto valutario.
Invece, per gli effetti della proposta azione di risarcimen
to, in applicazione del principio che la compensazione pri vata non può mai trasformarsi, mediante un'arbitraria dico
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901 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 902
tomia col sussidio di strumenti negoziali, in due distinte
operazioni valutarie, senza che il credito dell'esportatore
rimanga scoperto, importanza decisiva hanno le circostanze
in cui (secondo quanto si prospetta nel ricorso) sarebbero
stati, attraverso la cessione, attuati, sia lo sganciamento
dell'importatore dall'affare di compensazione privata, sia
l'utilizzo totale dell'originario permesso da parte dei ces
sionari e ciò a insaputa e a danno dell'esportatore. Un tale comportamento, secondo l'affermazione dei ri
correnti, risulterebbe provato documentalmente da ine
quivoche dichiarazioni confessorie contenute nelle lettere
provenienti dalla Ditta Decoera in data del 25 febbraio
e 17 marzo del 1948, che furono prodotte insieme a copie
fotografiche di altre lettere delle Società cessionario Merim
port e Ampelea. In effetti, di tutto il materiale di causa
ora indicato, la Corte di merito omise qualsiasi esame e
persino qualsiasi accenno, e pertanto, non foss'altro che
sotto questo aspetto, a prescindere in questa sede da quanto si sostiene circa il valore probatorio dei documenti non
esaminati, è innegabile la fondatezza della censura secondo
la quale non appare sorretto da congrua motivazione il
convincimento affermato dalla Corte di merito, cioè che
non sarebbe ravvisabile riguardo alle Società convenute
un comportamento tale da farle incorrere nella dedotta
responsabilità extracontrattuale.
Circa poi il secondo punto, l'affermazione in tesi gene rale della mancanza in ogni caso d'idoneità lesiva della
cessione seguita da pagamento diretto di valuta all'estero,
non soltanto sarebbe contraddetta dallo sviluppo logico dei fatti, quali furono prospettati dai ricorrenti sulla scorta
di risultanze documentali di cui lamentasi l'omesso esame,
ma contrasterebbe anche con una corretta applicazione del principio ora ricordato, che, richiamandosi alla strut
tura dell'affare di compensazione privata e alla inscindi
bilità delle singole parti del suo meccanismo, non può che !
indurre a ritenere deducibile come fatto potenzialmente causativo di danni ogni operazione clandestina di sgancia
mento, mediante cessione del permesso a terzi (da parte
dell'importatore), seguita poi dall'utilizzo della licenza in
via autonoma da parte dei cessionari, senza il dovuto ver
samento del controvalore in lire italiane a disposizione
dell'esportatore. Un tale sganciamento, attuato all'insa
puta dell'altro scambista, distrugge ogni vincolo di collega mento tra gli originari operatori, lasciando scoperto il
credito dell'esportatore verso il contraente estero.
Nel caso in esame poi, secondo la tesi dei ricorrenti, a
rimuovere la causa del danno non sarebbe valsa nemmeno
nei limiti d'una quota parte del volume dell'importazione
esportazione di centomila corone danesi l'autorizzata so
stituzione della Ditta Giannoili all'originaria Ditta impor
tatrice, giacché, essendo stata, prima di tale sostituzione
e all'insaputa dell'esportatore, utilizzata dall'originaria Ditta importatrice, poi sostituita, e dai suoi aventi causa,
la licenza per l'intero originario ammontare di duecento
mila corone danesi, la merce importata dalla Ditta (Man
nelli fu fermata alla dogana perchè in sovrappiù rispetto al
volume dell'operazione permessa, con la conseguenza che
la Ditta Gi annoili (sempre secondo l'assunto dei ricorrenti)
non potè versare intanto il controvalore in lire italiane a
disposizione della C.i.c.e., che aveva esportato merce per
eguale valore. E per conseguenza, la C.i.c.e. stessa, mentre
non potè incassare il prezzo se non con molto ritardo,
allorché fu consentito alla Ditta Giannelli, dopo molte
difficoltà, di sdoganare la merce importata, non potè
esportare le altre quote sino a esaurire il volume fissato
nella licenza, essendo questa (ripetesi) stata utilizzata
per intero dai cessionari della Ditta importatrice ; mentre,
a sua volta, la Ditta Giannelli, per il ritardato sdoganamento
sarebbe stata costretta ad avviare nel mercato di consumo
in fase di prezzi calanti la merce commestibile che nel
frattempo si era in parte guastata. (Omissis)
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione ii civile ; sentenza 5 maggio 1962, n. 888 ; Pres.
Lorizio P., Est. Tamburrino, P. M. Cutrupia (conci,
diff.) ; Rutili (Avv. P. Guerra) c. Rutili (Avv. Bracci), Rutili (Avv. Barillaro, Jemolo) e Rutili (Avv. Tam
burello).
(Gassa App. Roma 22 marzo 1955)
Successione — Fiducia « ab intestato » — Inammis
sibilità — Obbligazione naturale — Configura bilità (Cod. civ., art. 627, 2034).
Divisione — Atto che la cessare la comunione — Impu
gnazione per errore — Inammissibilità (Cod. civ., art. 764).
Azienda — Vendita — Errore sull'importanza econo
mica — Annullamento (Cod. civ., art. 1429, 2556).
L'esecuzione spontanea, da parte dell'erede legittimo, della
volontà oralmente manifestata in vita dal de cuius, rela
tiva all'attribuzione di alcuni beni caduti in successione, non rientra nell'ipotesi della fiducia, applicabile alle
sole successioni testamentarie, ma integra altra ipotesi di obbligazione naturale con la conseguente irripetibilità della effettuata prestazione. (1)
Contro l'atto che, pur non essendo divisione, ha per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari, è ammissibile la rescissione per lesione oltre il quarto, e non l'azione di annullamento per errore sulla determi
nazione ed identificazione dei beni caduti nella succes
sione e sulla formazione e sul valore delle quote. (2) È errore essenziale sulla qualità dell'azienda venduta quello
che cade sull'importanza economica della medesima. (3)
La Corte, ecc. — (Omissis). Il primo motivo concerne
il punto centrale della presente controversia e cioè la deter
minazione della natura giuridica e della validità o meno
della rinuncia, contenuta nella scrittura privata del 10
agosto 1947, da parte delle coeredi alle loro quote sulla
Azienda di gioielleria ed al loro consenso elle tale Azienda
fosse attribuita ai fratelli maschi e facesse parte della loro
quota ereditaria. È opportuno ricordare essere accertato
in fatto : a) che il de cuius non lasciò testamento, sicché
si aprì successione legittima tra i suoi figli, cinque femmine
e due maschi ; b) che pochissimi giorni dopo la morte tutti
i figli maggiorenni ed il coniuge superstite, anche in nome
( 1 ) Sulla natura di obbligazione naturale, propria della fiducia
testamentaria : App. Palermo 25 novembre 1955, Foro it., Eep. 1956, voce Successione, n. 170 ; Cass. 12 giugno 1950, id., 1950,
I, 1150, annotata da G. 8toi.fi, in Giur. it., 1950, I, 1, 545 e da
Tresca, in Giur. Cass. civ., 1950, 3°, 280 ; cui ad.de, in dottrina,
Gangi, Successioni testamentarie, I8, pag. 485 e segg. ; Mira
beixi, in T'ir. trim. dir. e proc. civ., 1955, 1057 (da consultarsi
anche per i rapporti, cui fa cenno l'annotata sentenza, tra dispo sizione fiduciaria e conferma o sanatoria di disposizione nulla). Sull'art. 590, da ultimo, Oass. 13 ottobre 1961, n. 2137, retro,
515, con nota di richiami, e 14 maggio 1962, n. 1024, retro, 874.
Nel senso che l'obbligazione morale non possa costituire
la causa di un'obbligazione civile, Cass. 4 febbraio 1959, n. 329, Foro it., 1959, I, 354, eon nota di richiami.
(2) Cons., per riferimenti, Cass. 12 marzo 1960, n. 491, Foro it., 1960, I, 1743 e, in dottrina, Oandia, Limiti di rilevanza
dell'errore nella divisione ereditaria, in Temi nap., 1960, III, 57 ; nonché sul carattere aleatorio e, quindi, sulla inammis
sibilità della rescissione della cessione di diritti ereditari, Cass.
10 febbraio 1962, n. 287, retro, 430, con osservazioni contrarie
di G. Stolfi.
(3) Non risultano precisi precedenti editi ; per qualche riferimento, cons., sull'ammissibilità della vendita dell'azienda
con riserva di proprietà, Cass. 28 dicembre 1961, n. 2748 (retro,
472, con nota di richiami) e sull'applicabilità dell'art. 1477
cod. civ. all'azienda, v. Cass. 16 marzo 1961, n. 594 (retro, 132, con nota di richiami).
Sull'irrilevanza dell'errori sul prezzo, quale motivo di annul
lamento di vendita di un fondo, Cass. 18 giugno 1957, n. 2315, criticata da Visaixi, in questa rivista, 1958, I, 584.
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