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sezioni unite civili; sentenza 5 marzo 1993, n. 2669; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P.M. Morozzo...

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sezioni unite civili; sentenza 5 marzo 1993, n. 2669; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P.M. Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Comune di Inverigo (Avv. E. Romanelli) c. Soc. Victory (Avv. Panunzio). Conferma App. Milano 13 giugno 1989 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 12 (DICEMBRE 1993), pp. 3307/3308-3315/3316 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188580 . Accessed: 28/06/2014 12:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.0.147.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:47:30 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 5 marzo 1993, n. 2669; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P.M.Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Comune di Inverigo (Avv. E. Romanelli) c. Soc. Victory(Avv. Panunzio). Conferma App. Milano 13 giugno 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 12 (DICEMBRE 1993), pp. 3307/3308-3315/3316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188580 .

Accessed: 28/06/2014 12:47

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3307 PARTE PRIMA 3308

I giudici di appello respingevano l'eccezione, formulata dalla

locatrice, di decadenza dei conduttori dall'azione di restituzione

dei canoni extralegali (per avere essi agito in giudizio dopo che

era decorso il termine di sei mesi dal rilascio dell'immobile fis sato dall'art. 79 1. 27 luglio 1978 n. 392), in quanto la stessa

locatrice aveva in precedenza proposto tempestivamente lo stes

so giudizio. Ritenevano, quindi, irrilevante che quel precedente

giudizio si fosse estinto perché, a norma dell'art. 310 c.p.c., l'estinzione del processo non estingue l'azione tempestivamente

proposta, onde bastava che l'azione fosse stata proposta non

essendo necessario che essa fosse anche proseguita. Avverso detta sentenza la società Edilcabum ha proposto ri

corso per cassazione sulla base di due motivi illustrati da me

moria. Gizzi Mario e Verginelli Sergio hanno resistito con con

troricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo complesso motivo

la società ricorrente, denunciando la violazione e la falsa inter

pretazione degli art. 79 1. 27 luglio 1978 n. 392 e 310 c.p.c., nonché il difetto di motivazione della sentenza impugnata, de

duce che il tribunale ha errato nell'affermare che i conduttori

non fossero decaduti dall'azione di restituzione dei canoni di

locazione eccedenti la misura legale sebbene questa fosse stata

proposta tardivamente, e ciò perché la stessa azione era già sta

ta tempestivamente proposta in un precedente giudizio dichiara

to estinto. L'errore consiste, in particolare, nell'avere ritenuto

irrilevante la circostanza che il precedente giudizio fosse stato

dichiarato estinto per inattività delle parti essendo sufficiente

che esso fosse stato proposto tempestivamente e perché l'art.

310 c.p.c. stabilisce che l'estinzione del processo non estingue l'azione.

La censura è fondata. Come questa Corte suprema ha più

volte affermato, la decadenza può essere impedita soltanto me

diante il compimento di un atto determinato, insuscettibile di

equipollenti, la cui operatività deve permanere durante tutto l'i

ter necessario al conseguimento dello scopo che gli è proprio; di conseguenza, allorché l'atto richiesto per impedire la deca

denza consiste nell'esercizio di un'azione, la tempestiva propo sizione della domanda giudiziale non è idonea a conseguire tale

effetto nel caso che il processo sia dichiarato estinto, perché l'estinzione rende inefficaci tutti gli atti processuali compiuti,

compreso l'atto introduttivo della lite, al quale non può essere

attribuito alcun effetto processuale o sostanziale, e quindi nep

pure quello di impedire la decadenza del diritto fatto valere in

giudizio (sent. 19 aprile 1982, n. 2407, Foro it., 1982, I, 2241, ed altre).

Applicando tale principio alla presente fattispecie, si ha che

l'estinzione del giudizio proposto dal conduttore ex art. 79 1.

27 luglio 1978 n. 392 per ottenere la restituzione di somme cor

risposte al locatore in violazione dei divieti e dei limiti previsti da tale legge, pur non precludendo la riproposizione della me

desima azione a norma dell'art. 310 c.p.c., non vale a sanare

la eventuale decadenza dell'azione stessa frattanto verificatasi

per effetto del decorso del termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, fisato dal 2° comma dell'art. 79 della leg

ge stessa.

Pertanto, il motivo va accolto, con la conseguente cassazione

della sentenza impugnata che travolge anche la statuizione sulle

spese processuali oggetto di censura contenuta nel secondo mo

tivo del ricorso.

La causa va rinviata per il nuovo esame al diverso giudice indicato in dispositivo il quale dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra enunciati.

II

Motivi della decisione. — Con i due motivi il ricorrente, de

nunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 79 1.

n. 392 del 1978 (secondo motivo) ed il vizio di motivazione per contraddittorietà ed omesso esame di punti decisivi (primo mo

tivo), in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., censura l'impu

gnata sentenza per non aver ravvisato la decadenza della con

duttrice dall'azione di ripetizione dell'indebito in quanto prima dell'effettiva consegna delle chiavi (avvenuta il 13 aprile 1987)

già era cessato ogni rapporto di fatto tra la Brazzelli e la cosa

locata, come dimostrato dalle seguenti circostanze: fin dal 30

gennaio 1987 la conduttrice si era stabilmente trasferita altrove;

Il Foro Italiano — 1993.

che nello stesso ricorso ex art. 45 1. cit. la cessazione della de

tenzione dell'immobile era riferita al febbraio 1987; che con

lettera del marzo 1987 la stessa Brazzelli ribadiva di tenere a

disposizione del locatore le chiavi dell'appartamento fin dal me

se precedente. Le due censure, che per l'intrinseca connessione vanno esami

nate congiuntamente, non possono accogliersi. Premesso che ai

sensi del citato art. 79 l'azione per la ripetizione delle somme

sotto qualsiasi forma corrisposte indebitamente è proponibile «fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato» e che

secondo la giurisprudenza di questa corte tale riconsegna si ri

tiene correttamente verificata «con la restituzione delle chiavi

dell'immobile o con una incondizionata messa a disposizione della cosa» (Cass. 3530/72, Foro it., Rep. 1972, voce Locazio

ne, n. 39), è agevole rilevare che, nel caso di specie, mentre

la restituzione delle chiavi è avvenuta solo il 13 aprile 1987,

nessuna delle circostanze suesposte sembra altresì configurare una «incondizionata messa a disposizione della cosa locata».

Infatti, sia il trasferimento altrove, sia la cessazione della corre

sponsione dei canoni, sia infine l'invito al locatore di procedere alle formalità per la riconsegna dell'immobile sono fatti diversi

e/o antecedenti a quell'effettivo rilascio di cui parla la norma.

Rilascio che proprio al fine di evitare facili contestazioni, pre valentemente di indole volitivo-psicologica, è opportuno anco

rare ad elementi di carattere obiettivo, come la stessa giurispru denza suggerisce, laddove afferma che l'obbligazione di ricon

segnare l'immobile locato consiste in un facere indivisibile (Cass.

3413/68, id., Rep. 1968, voce cit., n. 56) e richiede, oltre all'at

tività del conduttore di immissione della res nella sfera di con

creta disponibilità del locatore, anche un'attività di cooperazio ne di quest'ultimo nel ricevere la consegna (Cass. 958/70, id.,

Rep. 1970, voce cit., n. 31), in mancanza della quale il condut

tore può liberarsi solo attraverso la procedura di cui all'art.

1216 c.c. e non con il mero abbandono del bene (Cass. 1218/77,

id., Rep. 1977, voce Obbligazioni in genere, n. 37).

Pertanto, dal momento che l'effettiva consegna è avvenuta

il 13 aprile 1987 ed il ricorso della conduttrice è stato depositato il 13 ottobre successivo, correttamente i giudici del merito han

no ritenuto proponibile la domanda ed il ricorso per cassazione

va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 mar

zo 1993, n. 2669; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P.M.

Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Comune di Inverigo

(Aw. E. Romanelli) c. Soc. Victory (Avv. Panunzio). Con

ferma App. Milano 13 giugno 1989.

Edilizia e urbanistica — Convenzione urbanistica — Mutamen

to dell'interesse pubblico — Modifiche alla disciplina urbani

stica — Ammissibilità (L. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urba

nistica, art. 28; 1. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche ed integra zioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 8).

Edilizia e urbanistica — Convenzione urbanistica — Mutamen

to dell'interesse pubblico — Obblighi dell'amministrazione (L. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 28; 1. 6 agosto 1967 n. 765, art. 8).

Edilizia e urbanistica — Convenzione urbanistica — Risoluzio

ne — Conseguenze (Cod. civ., art. 1453; 1. 17 agosto 1942

n. 1150, art. 28; 1. 6 agosto 1967 n. 765, art. 8).

L'esistenza di una convenzione urbanistica, stipulata in vista

del rilascio di licenze edilizie con l'impegno del privato ad eseguire opere di urbanizzazione, non priva l'amministrazio

ne del potere di liberarsi dal vincolo contrattuale ove soprag

giungano esigenze di interesse pubblico, rispetto alle quali si

verifichi l'incompatibilità delle clausole contrattuali. (1)

(1) Sulla natura delle convenzioni urbanistiche, e sulla sopravvivenza del potere di modifica da parte dell'amministrazione, v. Cass. 9 ottobre

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La prevalenza dell'interesse pubblico sulle aspettative del priva to connesse ad una convenzione urbanistica, non toglie che

l'amministrazione debba osservare un comportamento ispira to a correttezza, valutando congniamente le sopravvenienze dell'interesse pubblico, senza di che il privato è legittimato a chiedere la risoluzione della convenzione. (2)

Alla risoluzione di una convenzione urbanistica per inadempi mento dell'amministrazione consegue la restituzione al priva to dell'equivalente economico delle opere di urbanizzazione

realizzate ed il risarcimento del danno, commisurato non al

sacrificio dell'edificabilità, non potendo il privato vantare, sul

presupposto della convenzione, un diritto soggettivo all'edifi cazione, ma alla circostanza di non avere la pubblica ammini

strazione tenuto presente, nell'esercizio del potere, l'esistenza

della convenzione. (3)

Motivi della decisione. — (Omissis). Si può qui richiamare la costante giurisprudenza di queste sezioni unite, secondo cui

le convenzioni urbanistiche, pur avendo natura contrattuale, con

effetti vincolanti anche nei confronti del comune, non escludo

no e lasciano integra (nonostante qualsiasi patto in contrario) la potestà pubblicistica del comune in materia di disciplina di assetto del territorio e di regolamentazione urbanistica. Il co

mune, pertanto, in relazione ad esigenze sopravvenute, ovvero

all'adozione di nuove valutazioni più rispondenti al persegui mento del pubblico interesse, ha la facoltà di liberarsi dal vin

colo contrattuale, ponendo al riguardo dei terreni oggetto della

convenzione limiti diversi (e anche assoluti) di inedificabilità. Di fronte all'esercizio di quel potere, le posizioni soggettive del

l'altro contraente sono degradate ad interesse legittimo, mentre

l'azione risarcitoria davanti al giudice ordinario è esperibile so

lo se ed in quanto venga dichiarata l'illegittimità dei provvedi menti del comune nelle competenti sedi, con conseguente revivi

scenza delle posizioni di diritto soggettivo (cfr. sez. un. 25 lu

glio 1980, n. 4833, Foro it., 1982, I, 527; 12 giugno 1982, n. 3541, ibid., 1860; 16 febbraio 1984, n. 1157, id., Rep. 1984,

1991, n. 10614, Foro it., 1992, I, 3062, con nota di richiami e osserva zioni di Benini, cui adde, Cass. 20 maggio 1992, n. 6083, id., Rep. 1992, voce Edilizia e urbanistica, n. 561; 24 giugno 1992, n. 7773, ibid., n. 576; Tar Piemonte 22 gennaio 1993, n. 5, Trib. amm. reg., 1993, 891, e, in dottrina, Dugato, Brevi note in tema di convenzioni edilizie e di accordi ex art. 11 l. 241/90, in Regioni, 1993, 970; Caccia villani, Urbanistica «convenzionata» e convenzione urbanistica, in Giur. meri

to, 1993, 1116; Benini, Diritto del privato per la mancata stipula di

una convenzione di lottizzazione, in corso di pubblicazione in quest'ul tima rivista.

(2) La discrezionalità che governa le scelte pianificatorie, e rispetto alle quali, in generale, non si configura un obbligo di motivazione spe cifica bastando un lato richiamo ai principi ispiratori (Cass. 13 maggio 1992, n. 511, Foro it., Rep. 1992, voce Edilizia e urbanistica, n. 108;

analogamente, in riferimento alle osservazioni dei privati, v. Cons. Sta

to, sez. IV, 1° luglio 1992, n. 624, id., 1993, III, 585) va contemperata con l'esigenza di una puntuale motivazione non appena si profili un

affidamento del privato fondato su dati oggettivi, quali l'esistenza di una convenzione edilizia, o di una licenza di lottizzazione (Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 1989, n. 148, id., 1990, III, 112, con nota di richiami, nonché la nota a Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 1992, n. 52, id.,

1992, III, 457, cui adde, Cons. Stato, sez. II, 25 ottobre 1989, n. 864,

id., Rep. 1992, voce cit., n. 154; sez. IV 9 agosto 1989, n. 507, id.,

Rep. 1990, voce cit., n. 194; 18 novembre 1989, n. 800, ibid., n. 163; 16 giugno 1990, n. 493, id., Rep. 1991, voce cit., n. 124; 1° luglio 1992, n. 653, id., Rep. 1992, voce cit., n. 109; sez. V 8 settembre 1992, n. 776, ibid., n. 582; Tar Marche 22 marzo 1991, n. 134, id., Rep. 1991, voce Bellezze naturali, n. 33).

L'esperibilità di rimedi civilistici è sempre subordinata al preventivo

annullamento, in sede di giurisdizione amministrativa, dell'atto (discre

zionale) che ha comportato l'illegittima compressione del diritto sogget tivo. Cfr. Cass. 9 marzo 1990, n. 1917, id., Rep. 1990, voce Edilizia

e urbanistica, n. 525, e, per le ipotesi di (illegittimità di) annullamento,

revoca, decadenza di concessioni edilizie, Cass. 11 marzo 1992, n. 2957,

id.. Rep. 1992, voce cit., n. 534; 3 agosto 1933, n. 8545, id., Mass.,

802, che riproduce la motivazione, ormai classica, per cui «in caso di

declaratoria di decadenza o di limitazione della licenza, il diritto sogget tivo del privato, compresso dal riemerso tema della sua compatibilità con il pubblico interesse, si affievolisce e riassume le connotazioni del

l'interesse legittimo; salvo ad espandersi nuovamente e riprendere la

natura di diritto soggettivo, allorché il provvedimento ablativo o limita

tivo sia annullato dal giudice amministrativo».

(3) L'elemento di novità, nella sentenza in epigrafe, sta nell'aver in

II Foro Italiano — 1993.

voce Edilizia e urbanistica, n. 553; 19 aprile 1984, n. 2567, id., 1984, I, 1202; 3 febbraio 1986, n. 665, id., Rep. 1987, voce cit., n. 427; 16 gennaio 1987, n. 307, ibid., n. 426; 9 marzo 1990, n. 1917, id., Rep. 1990, voce cit., n. 525).

Nella specie, l'obbligo a carico del comune — descritto dal

ricorrente — consisteva nell'adozione di un nuovo piano di fab

bricazione (o di un p.r.g.) conforme alle previsioni della con

venzione, ma da tale obbligo l'ente ben avrebbe potuto liberarsi

con gli atti che il giudice di merito ha ritenuto concretare l'ina

dempimento, in quanto annullati dal giudice amministrativo, e cioè: a) delibera n. 34 del 9 aprile 1976 e n. 35 del 5 maggio 1976, approvate dalla giunta regionale, con le quali veniva esclusa

qualsiasi possibilità edificatoria sul terreno della soc. Astaie, destinando anche la residua area edificabilc a vincoli per attrez

zature pubbliche e collettive; b) delibera n. 87 del 19 settembre

1978, avente ad oggetto l'annullamento e la revoca degli atti

di approvazione della convenzione del 2 dicembre 1966; delibe

re n. 23 del 2 aprile 1979 e n. 49 del 24 maggio 1979, con

le quali era stato adottato ed approvato il piano pluriennale di attuazione; delibera n. 89 dell'ottobre 1979 concernente l'a

dozione del nuovo piano regolatore generale. La condizione subordinatamente alla quale il comune avreb

be potuto rendere inefficace la convenzione, con i suddetti atti

(che — come risulta dalla sentenza impugnata — erano in pale se contraddizione con la convenzione del 1966) consisteva nel

l'immunità dei predetti da quei vizi che le sentenze del Consi

glio di Stato hanno individuato nel «difetto di congrua ed ido

nea motivazione (rispetto alle nuove scelte urbanistiche) che

discendeva dalle norme e dai criteri di buona e corretta ammini

strazione», quanto all'atto sub à)\ e nell'eccesso di potere per aver ritenuto erroneamente di poter prescindere — per l'erro

neo convincimento della nullità della convenzione — dall'accor

do con l'Astaie nella pianificazione urbanistica, quanto agli atti

sub b). Si tratta, in altri termini, di vizi di motivazione comportanti

un ingiusto eccessivo sacrificio degli interessi dall'Astaie, a con

dividuato — com'era nei voti della dottrina: v. Caccia villani, II con tratto di programmazione territoriale, in Riv. giur. edilizia, 1992, II, 134-5 —, accanto alla componente «autoritativa» commisurata alle vi cende dell'interesse pubblico, una componente «contrattuale», che, se non limita l'esercizio della prima, ingenera nella controparte un'aspet tativa di correttezza derivante dai principi generali dell'ordinamento, e deve indurre ad una «giustificazione» del mutato sistema (e, insieme, del sacrificio dell'interesse privato). Non si tratterebbe dunque di una

compressione arrecata alla sfera giuridica del privato ab externo (il ri sarcimento per l'illegittimo annullamento della concessione è riconduci bile a responsabilità extracontrattuale), ma, se pur non dichiarato espli citamente nella sentenza, di una violazione degli obblighi contrattuali

di buona fede (si legge in motivazione che la condotta del comune va

qualificata inadempiente «perché non sembra esercitato in modo corret to — dal punto di vista dell'interesse del privato che il comune si era

obbligato a rispettare, mediante la convenzione — il suo potere di revo care la convenzione»).

L'obbligo di correttezza della pubblica amministrazione, peraltro, è

pacificamente affermato in fase di trattative precontrattuali (da ultimo, Cass. 11 maggio 1990, n. 4051, Foro it., 1991, I, 184, con nota di

Caruso). L'impostazione, a ben vedere, trascende la questione, fino ad oggi

prospettata, della posizione del privato dopo l'annullamento degli atti di esercizio dello ius variandi, se sia qualificabile diritto soggettivo al

conseguimento della concessione, o semplice interesse legittimo, per non

essere intaccato il potere discrezionale dell'amministrazione, e sull'am

missibilità di un risarcimento (su questi orientamenti, vedi la nota di

richiami a Cass. 18 ottobre 1991, n. 11034, id., 1992, I, 2177); la Su

prema corte, comunque, venendo a dettare i criteri per la futura liqui dazione del danno, sancisce «l'inesistenza del diritto all'edificazione», e cosi richiama la tesi dell'interesse legittimo (analogamente quando,

pur in presenza di convenzione edilizia, sia annullato un diniego di con

cessione: Cass. 1° marzo 1990, n. 1589, id., Rep. 1990, voce Edilizia

e urbanistica, n. 579; sull'esclusione del risarcimento: Cass. 26 novem

bre 1990, n. 11358, ibid., n. 441). L'annullamento assume la funzione di rendere palese, con l'autorità

del giudicato, l'inadempimento all'obbligo di correttezza e buona am

ministrazione: il risarcimento non è quindi commisurabile alla lesione

dello ius aedificandi, ma alla scorrettezza nell'esercizio del potere per i suoi riflessi nella sfera contrattuale (in generale, sulla buona fede nel

l'esecuzione del contratto, come dovere d'informazione e motivazione, e sul risarcimento in caso di inosservanza, v. Cass. 28 maggio 1992, n. 6392, id., 1993, I, 488, con nota di richiami.

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3311 PARTE PRIMA 3312

fronto degli interessi pubblici posti a base di quegli atti, ma

tale annullamento, se riporta la posizione soggettiva del privato

al rango di un diritto soggettivo, non comporta, ovviamente,

la soddisfazione immediata e sicura di quel diritto, sul piano

dell'esecuzione della convenzione.

Il discorso deve necessariamente coordinarsi con quanto sarà

detto più diffusamente quando sarà trattato il tema della risolu

zione. Anticipando quanto sarà detto infra, dalla data della do

manda di risoluzione (febbraio 1977) il comune non poteva (e non doveva) più adempiere. La sua attività successiva, in que

sto giudizio, poteva essere valutata soltanto come «aggravamen

to» dell'inadempimento anteriore alla domanda giudiziale. L'at

tività precedente alle delibere annullate, dal punto di vista civi

listico, a parte la minore o maggiore aderenza alla convenzione

del 1966, era del tutto indifferente, nel senso che (non essendo

stata impugnata davanti al giudice degli interessi) il privato era

soggetto alla esplicazione del potere pubblicistico di conforma

zione del territorio, di guisa che non avrebbe mai potuto indica

re tale attività (che, peraltro, non era mai arrivata al livello

di provvedimenti amministrativi definitivi, in quanto quegli atti

non erano stati mai approvati nella sede regionale competente)

come «inadempimenti». L'osservazione deve essere ribadita, allo scopo di contrastare

osservazioni del controricorrente avverso il decimo motivo, là

dove si censura il comportamento del comune che nel corso

di undici anni (dal 1964 al 1975) non sarebbe riuscito a conge

gnare un programma di fabbricazione che incontrasse l'appro

vazione dell'autorità tutoria; questi atti non possono conside

rarsi inadempimenti, sia perché — come riconosce la stessa so

cietà resistente — recepivano la lottizzazione convenuta, sia

soprattutto perché erano l'esercizio di un potere di cui non ri

sulta affatto l'illegittimità, neppure sotto il profilo dell'accen

nato ritardo nel dare esecuzione alla promessa; ritardo dell'a

zione amministrativa che non è stato mai oggetto di esame nella

competente sede di tutela degli interessi collegati alla dimensio

ne «temporale» dell'attività amministrativa.

Del resto, la stessa resistente osserva che l'inadempimento del

comune non si ricollega certamente ai piani di fabbricazione

del 1968-1970 che recepivano la lottizzazione, sibbene agli atti

negatori di ogni edificazione, adottati successivamente, a parti

re dal piano di fabbricazione del 1975/1976 per finire al p.r.g.

del 1979; atti annullati dal giudice amministrativo.

Anche tale affermazione va però chiarita. Non solo è escluso

il periodo di tempo che va dalla convenzione alla delibera

dell'aprile-maggio 1976 dai fatti rilevanti in sede di inadempi

mento (e, quindi, ai fini del risarcimento del danno, che non

può sussistere senza inadempimento), ma deve anche qualificar

si l'inadempimento, concretato dagli atti illegittimi (per giudica to amministrativo) precedenti e successivi alla citazione, sopra indicati sub a) e b), come attinente alle «modalità» di esplica

zione del potere di pianificazione territoriale in modo non con

forme soltanto all'onere di compiuta ed idonea motivazione,

nel cui quadro la convenzione non poteva essere dimenticata

e ritenuta non vincolante, ma non per questo doveva essere ne

cessariamente attuata in modo preciso e puntuale. In altri ter

mini, sol che il comune avesse meglio motivato e meglio tenuto

presenti le posizioni del privato (che per sua parte aveva esegui to la convenzione, relativamente ad opere a suo carico) gli atti

di pianificazione, ancorché non collimanti integralmente con la

convenzione, avrebbero potuto sfuggire all'annullamento in se

de amministrativa. Questo ha ripristinato un diritto soggettivo

quale era prima della emanazione di quegli atti, e cioè un dirit

to soggettivo pur sempre esposto all'esercizio di un potere di

modifica del piano, previsto nella convenzione.

Se il privato non avesse chiesto la risoluzione, è ovvio che

neppure dopo questi annullamenti avrebbe potuto chiedere l'a

dempimento della convenzione, e cioè l'emanazione da parte della pubblica amministrazione di atti conformi alla convenzio

ne, perché la conformità degli atti di esercizio del potere ammi

nistrativo non era presidiata da alcuna pretesa azionabile dinan

zi al giudice ordinario, in base ad elementari principi. Ciò di

mostra che l'inadempimento — di cui ha parlato il giudice di

merito — non può consistere affatto nel non aver attribuito

al privato quelle utilità che egli si poteva aspettare da una pun tuale esecuzione della convenzione.

Di conseguenza, il danno risarcibile non è equivalente al tan

tundem rispetto ad utilità che la convenzione non assicurava.

Il Foro Italiano — 1993.

Essa assicurava soltanto il buon esercizio dei poteri discreziona

li della pubblica amministrazione, e cioè un esercizio che sfug

gisse alle censure accolte dal giudice amministrativo, ovvero nulla

di più che la pretesa ad una buona amministrazione, senza la

sicurezza di un'esecuzione puntuale della convenzione (quegli

atti, inoltre, dovevano essere approvati dalle autorità regionali, il che comportava un ulteriore elemento di incertezza). È evi

dente che, sotto tale versante, la natura contrattuale dell'accor

do non può che sottostare alle già riferite regole rese applicabili

dal tipo di potere che entra nel contenuto dell'accordo stesso;

potere non negoziabile, se non sotto il peculiare profilo che la

pubblica amministrazione, obbligandosi col privato, nell'eserci

zio di quel potere deve tener conto di quella negoziazione, sotto

pena — in difetto di considerazione — di emanare un atto ille

gittimo (tale è, infatti, il senso dei giudicati amministrativi nella

presente fattispecie). Altro aspetto contrattualistico è quello secondo cui il privato

— che non abbia più interesse alla convenzione — può chieder

ne lo scioglimento, avvalendosi anche delle norme sulla risolu

zione per inadempimento, e cioè qualificando tale l'atto illegit

timo del comune che «tenta» di liberarsi dalla convenzione stes

sa attraverso la già descritta strada dell'esercizio del potere di

conformare il territorio in modo diverso, in base all'interesse

pubblico. L'atto — una volta qualificato illegittimo dal giudice

amministrativo — può bene essere considerato inadempimento

dal giudice civile, ma non perché (come avviene in un qualsiasi

contratto di diritto privato, avente un oggetto disponibile nel

commercio privato) abbia negato alla parte adempiente l'utilità

che si attendeva dall'esecuzione della convenzione, ma soltanto

perché, il luogo di quell'utilità, non ha dato soddisfazione all'a

spettativa del privato ad una corretta azione amministrativa.

Pertanto, non è la negazione di ogni edificazione che costitui

sce inadempimento del comune (come infondatamente afferma

la resistente, confutando il terzo motivo del ricorso), perché

ciò comporterebbe l'affermazione del diritto all'edificazione se

condo la convenzione, che come diritto pieno non sussiste, sia

per le ragioni già dette, sia per quanto sarà aggiunto infra.

Con le precisazioni esposte, il decisum della sentenza impu

gnata può essere tenuto fermo, una volta qualificato inadem

piente il comune, perché non ha esercitato in modo corretto

(dal punto di vista dell'interesse del privato che il comune si

era obbligato a rispettare, mediante la convenzione) il suo pote re di revocare o anche solo modificare la convenzione stessa.

Tale scorrettezza, sanzionata in sede amministrativa con l'an

nullamento degli atti, ha ripristinato quei soli poteri di tutela

del diritto soggettivo del privato che sono computabili con l'og

getto della convenzione (il diritto alla risoluzione, innanzi tutto,

una volta che il giudice del merito ha ritenuto che la pubblica amministrazione non aveva alcuna intenzione di dare esecuzio

ne all'accordo; diritto che tutela l'interesse del privato a veder

definiti i suoi rapporti col comune, dal punto di vista patri

moniale).

B) Questione della pretesa impossibilità sopravvenuta, anche

sotto il profilo del contenuto della 1. reg. Lombardia n. 51 del

1975. Le censure esposte in relazione a tale questione sono infonda

te, in quanto riguardano gli atti (elencati sub A) che sono stati

oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo, il

quale ha già ritenuto insussistente il preteso «obbligo» del co

mune di negare ogni edificazione, alla stregua della sopravvenu ta normativa urbanistica e della 1. reg. n. 51 del 1975; pertanto, la questione è ricompresa nell'ambito del giudicato già afferma

to dalla sentenza impugnata, che rettamente ha qualificato gli atti medesimi espressione di un inadempimento colpevole, per ché fondato sull'erronea pretesa che l'inedificabilità assoluta fosse

imposta dalle leggi sopravvenute.

Queste ultime avrebbero potuto giustificare, secondo il giudi cato amministrativo, soltanto una diversa configurazione del pia no previsto dalla convenzione, a condizione di un'adeguata mo

tivazione del maggior sacrificio imposto al privato, tutelato da

una convenzione che il comune ha ignorato illegittimamente. È da rilevare inoltre, richiamando quanto è stato osservato

sub A), che non ha invece importanza, ai fini della pretesa im

possibilità sopravvenuta, la mancata approvazione dei piani an

teriori (in cui la convenzione era stata inserita), perché né la

società l'aveva dedotta né la sentenza l'ha ritenuta concretare

un'inadempienza del comune. Quindi, essendo detti piani indif

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ferenti ai fini del dedotto inadempimento, correlativamente non

rileva nei loro confronti (come invece sostiene il comune) una

pretesa impossibilità sopravvenuta dell'adempimento (per effet

to della mancata approvazione da parte della regione).

Neppure assume rilievo la tesi dell'impossibilità sopravvenuta con riguardo al profilo (indicato nel terzo motivo) dell'obbliga torietà del piano di fabbricazione vigente (che destinava la zona

a verde agricolo e vietava al sindaco di rilasciare licenze di co

struzione in contrasto con quel piano, fino a che il nuovo non

fosse stato approvato). Invero, dalla sentenza impugnata non

risulta affatto che la risoluzione sia stata pronunciata per il man

cato rilascio delle licenze di costruzione, perché l'inadempimen to del comune non è stato identificato con tale mancato rila

scio, ma in un fatto diverso ed anteriore (l'emanazione di un

nuovo piano, nonostante l'obbligo assunto con la convenzione). Il tema dovrà essere ripreso più avanti, sotto diversi aspetti

(preteso concorso di colpa della società; area del danno risar

cibile). Q Questione dell'applicabilità dell'art. 2041 c.c. La suddetta questione è collegata sia alla tesi della nullità

della convenzione, sia a quella dell'esonero da responsabilità

contrattuale, per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Poiché entrambe le tesi sono state ritenute infondate, conse

gue che esattamente la sentenza impugnata ha implicitamente, ma chiaramente (nel modificare la sentenza di primo grado che

invece aveva ritenuto fondata soltanto l'azione di arricchimento

senza causa), compreso i diritti patrimoniali derivanti dall'avve

nuta esecuzione delle opere (da parte della società) nell'ambito

del risarcimento del danno per l'inadempimento.

Invero, dalla risoluzione sorge il diritto al ripristino della si

tuazione anteriore al contratto risolto, oltre che il diritto al ri

sarcimento del danno. Il primo diritto, nel caso poteva essere

esercitato soltanto azionando la pretesa all'equivalente pecunia rio del valore delle prestazioni già eseguite, dato che le opere

pubbliche — in che si concretano tali prestazioni — non posso no essere restituite in natura al privato, attesa la loro destina

zione pubblicistica. La situazione non può ritenersi regolata da quella norma del

l'art. 1458 c.c. che, in caso di risoluzione del contratto ad ese

cuzione continuata o periodica, esclude dall'efficacia retroatti

va della risoluzione le prestazioni già eseguite. Invero, la con

venzione non poteva configurarsi ad esecuzione continuata,

perché tale carattere deve esistere per entrambe le parti, in mo

do che sia costantemente attuato l'equilibrio sinallagmatico fra

prestazione e controprestazione, di guisa che le prestazioni già

eseguite abbiano un autonomo e completo valore satisfattorio.

Nella specie invece, nonostante che per eseguire la convenzione

fosse necessario un certo periodo di tempo, per entrambe le

parti, la prestazione del comune si esauriva in un unico atto

(appunto differito nel tempo) e cioè nell'adozione di un piano conforme (o motivatamente difforme) alle previsioni della con

venzione stessa, per cui la sua risoluzione non può sfuggire alla

regola della retroattività di cui all'art. 1458 c.c.

La pronuncia risolutoria produce due effetti: quello liberato

rio, relativo alle prestazioni non ancora eseguite, che opera ex

nunc, dal momento della sentenza; e quello restitutorio, relati

vo alle prestazioni già eseguite, che opera ex tunc, e cioè retroa

gisce al momento in cui è sorta l'obbligazione, cosi da eliminare

tutte le conseguenze derivanti dall'esecuzione già avvenuta, di

fatto. Pertanto, in conseguenza della risoluzione, le cose ricevu

te in esecuzione del contratto devono essere restituite (cfr., fra

le altre conformi, Cass. 1803/70, id., 1970, I, 2746; 5532/77,

id., Rep. 1977, voce Contratto in genere, n. 284; 1815/76, id.,

Rep. 1976, voce Contratti agrari, n. 138; 3073/80, id., Rep.

1980, voce Contratto in genere, n. 293; 4510/85, id., Rep. 1985,

voce cit., n. 275; 5143/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 419). In varie sentenze, si è attribuito carattere risarcitorio alla sud

detta restituzione, per giustificare la qualifica di debito di valo

re dell'obbligazione correlativa, a carico della parte inadempiente

(Cass. 2911/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 382; 5143/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 420; 4510/85, ibid., n. 422; 3827/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 251, che parla di reintegrazione

patrimoniale). In altre sentenze (ad es., Cass. 6880/91, id., Rep.

1991, voce cit., n. 384, si parla di «ripetizione d'indebito»). Il problema non può essere affrontato in questa sede, stante

il limite della censura della parte. Una volta respinta quella in

tesa a limitare i diritti della parte adempiente all'arricchimento

Il Foro Italiano — 1993.

senza causa ex art. 2041, non esiste alcun'altra censura avverso

la qualificazione (data dalla corte d'appello) in termini di risar cimento del danno del diritto alla restituzione delle prestazioni

già eseguite dalla società, diritto non azionabile in natura, per ché concerne beni irreversibilmente trasformati in opere pubbli

che, passati in proprietà della pubblica amministrazione per ef

fetto di quei contratti esecutivi, di cui infra (dei quali, peraltro, non è stato chiesto lo scioglimento).

D) Strettamente collegata alla precedente è la questione rife

rita all'eccezione del comune secondo cui i beni di cui si era

arricchito il patrimonio comunale erano stati attribuiti al comu

ne in forza di atti di donazione, per cui di essi non poteva esser

fatta vellutazione ai fini dell'indennizzo risarcitorio o dell'illeci

to arricchimento.

La censura è inammissibile, perché non tiene conto neppure della motivazione della sentenza impugnata secondo cui, con

apprezzamento di fatto corretto, quelle pretese «donazioni» erano

state stipulate con intento non liberale, ma di adempiere agli

obblighi assunti dalla società, in rapporto sinallagmatico con

gli auspicati adempimenti del comune. Si tratta dell'interpreta zione dell'elemento causale degli atti, nell'ambito del più vasto

rapporto intercorso, che svuota di significato la censura apodit tica del comune.

E) Questione dell'intempestività dell'azione di risoluzione, non

ché della mancanza di interesse della società a chiedere ed otte

nere l'attuazione della convenzione.

La prima censura è infondata in punto di fatto: con essa,

invero, il comune si limita a dedurre l'intempestività sotto il

profilo che la domanda di risoluzione è stata proposta prima che il comune deliberasse la revoca del piano previsto nella con

venzione e prima che il consiglio comunale approvasse il nuovo

p.r.g., trascurando di considerare il punto decisivo che, prima della domanda di risoluzione, e cioè nell'aprile-maggio 1976, il comune aveva già emanato altre delibere di esclusione di qual siasi possibilità edificatoria, in violazione della convenzione; de

libere annullate dal giudice amministrativo, e che costituiscono

quindi fatti di inadempimento anteriori alla domanda di risolu

zione, nel senso peculiare già chiarito supra. Non resta che richiamare il principio (implicitamente applica

to dal giudice d'appello) secondo cui per poter proporre una

fondata domanda di risoluzione per inadempimento, occorre che

questo sussista al momento della domanda, mentre l'inadempi mento successivo alla domanda di risoluzione può essere preso in considerazione solo se esso costituisca protrazione o aggrava mento di una situazione già verificatasi (Cass. 10 gennaio 1956,

n. 9, id., Rep. 1956, voce Obbligazioni e contratti, n. 343; 21

marzo 1963, n. 683, id., Rep. 1963, voce cit., n. 293; 27 aprile

1982, n. 2632, id., Rep. 1982, voce Contratto in genere, n. 267; 28 marzo 1980, n. 2057, id., Rep. 1980, voce cit., n. 290; 11

giugno 1983, n. 4014, id., Rep. 1983, voce cit., n. 321). La seconda censura è — di conseguenza — infondata. È vero

che, proponendo la domanda di risoluzione, la società ha dimo

strato di non avere più interesse all'esecuzione della convenzio

ne, ma ciò non comporta l'infondatezza della domanda, appun to perché essa non era rivolta all'adempimento, ma alla risolu

zione ed era stata proposta dopo il già avvenuto inadempimento.

F) Collegata alla precedente è la censura rivolta a sostenere

la singolare tesi secondo cui, essendo la domanda rivolta al giu dice amministrativo diretta ad ottenere la riparazione in forma

specifica dell'interesse leso, non avrebbe potuto proporsi da

vanti al giudice ordinario la domanda intesa ad ottenere la ripa razione in forma generica.

Si deve osservare, in contrario, che l'impugnativa degli atti

davanti al giudice amministrativo tendeva a tutelare l'interesse

legittimo alla loro legittimità, allo scopo di ripristinare quella

posizione di diritto soggettivo degradata dall'esercizio dei poteri

pubblici di (nuova) conformazione del territorio; e cioè era la

premessa per poter esercitare la tutela del diritto soggettivo, do

po aver ottenuto l'annullamento dell'atto illegittimo. Si deve

in parte rovesciare la prospettazione del ricorrente, secondo cui

solo alla condizione di riconoscere che l'azione di annullamento

della delibera amministrativa non era più ammissibile, il giudice ordinario avrebbe potuto prendere in considerazione la doman

da relativa al ritenuto arricchimento senza causa conseguito dal

comune o dal risarcimento del danno.

Invero, mentre la proponibilià dell'azione di arricchimento

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3315 PARTE PRIMA 3316

senza causa (in ordine alla parte della convenzione già eseguita, anche dopo la sua revoca), prescinde dall'illegittimità della re

voca stessa, invece l'annullamento della revoca della convenzio

ne ha reso proponibile l'azione contrattuale di risarcimento del

danno, fatta salva dalla risoluzione, in base all'art. 1453 c.c.

L'ulteriore censura, contenuta nel quinto motivo, intesa a so

stenere che la proposta domanda di risoluzione precludeva alla

società la possibilità di chiedere l'adempimento della convenzio

ne, cosi che la stessa Astaie era decaduta dal diritto e dalla

possibilità di attuare la c.d. lottizzazione, è priva di oggetto, in questa sede nella quale la pronuncia è stata di risoluzione

della convenzione e di condanna generica al risarcimento del

danno.

È esatto che, a decorrere dal febbraio 1977, la lottizzazione

non poteva più essere realizzata perché la domanda risolutoria

aveva fatto venir meno l'obbligo del comune di modificare gli strumenti urbanistici nel senso desiderato dall'Astaie, perché ciò

discende dal testuale disposto del 3° comma dell'art. 1463 c.c.:

«dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non

può adempiere la propria obbligazione». Devono essere quindi ritenute irrilevanti le considerazioni della sentenza impugnata in ordine alla «soluzione ideale della controversia» che avrebbe

potuto essere costituita dall'emanazione da parte della pubblica amministrazione di atti idonei a dare attuazione agli obblighi derivanti a suo carico dalla convenzione. Invero, la stessa sen

tenza ha avuto cura di precisare che tale «soluzione ideale» pre scindeva dalle peculiari situazioni relative al giudizio pendente, nel quale l'Astaie non aveva chiesto l'adempimento, ma la riso

luzione.

Lo scioglimento, dal febbraio 1977, da ogni obbligo del co mune nel senso previsto dalla convenzione, non impediva, pe

raltro, di valutare tutta la sua attività precedente (durante i no

ve anni dalla firma della convenzione alla proposizione della

domanda di risoluzione) alla stregua delle pronunce del giudice

amministrativo; nonché di valutare l'atteggiamento del comune

in corso di causa come persistenza ed aggravamento dell'ina

dempimento già verificatosi, nel senso già esposto supra. Al fine del risarcimento del danno il problema dovrà essere

risolto tenendo conto di quanto pure si è già rilevato, circa l'im

possibilità che detto danno possa consistere nel tantundem ri

spetto all'edificabilità prevista. Gli obblighi del comune, in ulti ma analisi, consistevano soltanto in quello di tenere motivata

mente presente (nella pianificazione urbanistica che restava

espressione dei suoi poteri discrezionali amministrativi) l'esistenza

della convenzione, per non sacrificare eccessivamente l'interesse

della controparte, di fronte ai nuovi interessi pubblici emergenti nel quadro del rispetto delle leggi sopravvenute.

Si trattava di un obbligo avente ad oggetto soltanto la corret ta modalità di esplicazione del potere amministrativo, non po tendo questo essere vincolato tassativamente in un solo senso

dall'esistenza della convenzione.

G) Ulteriori precisazioni in ordine al punto da ultimo accen

nato possono farsi, prendendo in esame quella censura secondo

cui il giudice del merito avrebbe dovuto applicare l'art. 1227

c.c., dato che la società aveva tenuto un comportamento negli

gente per oltre nove anni, omettendo di richiedere il rilascio

di qualsiasi licenza.

Si osserva, in contrario, che dalla situazione di fatto che ri

sulta dalla sentenza e dallo stesso ricorso, poiché mai il prece dente piano di fabbricazione (che vietava l'edificabilità nella zo

na) è stato modificato, durante il periodo suddetto (fra il 1966

ed il 1975) con atti efficaci ed operativi perché approvati in

sede regionale, emerge che l'Astaie vanamente avrebbe richiesto le licenze edilizie, che non avrebbero potuto essere concesse, di guisa che la sua addotta inattività sarebbe stata in ogni caso

irrilevante.

D'altra parte, poiché l'obbligo assunto dal comune era quello di dare alle aree una data destinazione edificatoria nel piano di azzonamento in corso di approvazione, anche se tale obbligo fosse stato esattamente e compiutamente adempiuto, non per questo ne sarebbe disceso l'ulteriore obbligo incondizionato del

comune di rilasciare poi le licenze edilizie necessarie per la rea lizzazione della «lottizzazione».

Invero, a fronte dell'eventuale rifiuto delle singole licenze, la posizione del privato avrebbe pur sempre avuto la consisten za dell'interesse legittimo, tutelabile soltanto davanti al giudice amministrativo (sez. un. 20 maggio 1992, n. 6083, id., Rep.

Il Foro Italiano — 1993.

1992, voce Edilizia e urbanistica, n. 561; 1° marzo 1990, n.

1589, id., Rep. 1990, voce cit., n. 526). Si trattava, quindi, nel

la specie di causa, di evenienze remote, perché non si era nep

pure verificata la prima premessa del loro avverarsi, e cioè la

modifica del piano secondo le previsioni della convenzione. Del

l'inesistenza del diritto all'edificazione dovrà tenersi conto, in

sede di concreta liquidazione del danno, per cui non è necessa

rio diffondersi oltre, in questa sede.

Concludendo, il ricorso deve essere rigettato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1993, n. 768; Pres. Meriggiola, Est. Vittoria, P.M.

Viale (conci, conf.); Pagano (Aw. D'Aniello, Pagano) c.

Garolla (Aw. Frattali Clementi). Cassa Conc. Latina 14

marzo 1989.

Competenza civile — Domanda riconvenzionale — Trattazione

separata dalla domanda principale — Inammissibilità (Cod.

proc. civ., art. 35, 36, 360).

Il giudice competente per valore sulla causa principale di con

danna all'adempimento di un'obbligazione conosce anche della

eccezione di inadempimento e della domanda riconvenzionale

di risarcimento del danno derivato da tale inadempimento se

questa rientra nella sua competenza, mentre rimette al giudi ce superiore sia la causa principale che la domanda riconven

zionale se questa eccede la sua competenza per valore; non

può invece conoscere della domanda principale e rimettere

la decisione sulla domanda riconvenzionale al giudice supe riore competente su quest'ultima per ragioni di valore. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti in termini. In senso contrario Cass. 3 ottobre 1980, n. 5365, Foro it., Rep. 1980, voce Competenza civile, n. 139, per la quale, più precisamente, «qualora la domanda riconven zionale ecceda la competenza per valore del pretore, tale giudice non

può in nessun caso decidere su di essa, giacché o deve decidere solo sulla domanda principale, ove la ritenga fondata su titolo non contro verso o facilmente accertabile, rimettendo per la riconvenzionale le par ti dinanzi al tribunale, o, ove escluda che la domanda principale abbia le caratteristiche anzidette, deve rimettere al giudice superiore la cogni zione di entrambe le domande».

Precedentemente già Cass. 22 aprile 1971, n. 1163, id., 1971, I, 1511, aveva statuito che «è legittimo il provvedimento con cui il giudice, avanti il quale sia proposta domanda riconvenzionale eccedente la sua compe tenza per valore, si riserva la decisione sulla domanda principale e ri mette le parti avanti il giudice superiore per la decisione della causa

riconvenzionale, assegnando un termine perentorio per la riassunzione». Attinenti al principio de quo sono poi un numero piuttosto consisten

te di pronunce giurisprudenziali, tutte conformi tra loro (v. Cass. 12

aprile 1980, n. 2332, id., Rep. 1980, voce cit., n. 141; 28 maggio 1984, n. 3255, id., Rep. 1985, voce Ingiunzione, n. 37; 23 agosto 1986, n.

5150, id., Rep. 1986, voce cit., n. 25; 6 ottobre 1988, n. 5373, id., Rep. 1988, voce Competenza civile, n. 71; 31 marzo 1988, n. 2720, ibid., n. 87; sez. un. 8 ottobre 1992, id., 1992, I, 3286, con nota di A. Proto Pisani ed ivi indicazione anche di posizioni dissenzienti ripre se dalle sezioni unite) per le quali, qualora la competenza del giudice della causa principale sia funzionale e inderogabile e la domanda ricon venzionale ecceda i suoi limiti di valore, non è possibile la rimessione di tutta la causa al giudice superiore, ma occorre procedere alla separa zione dei giudizi; rimettendo all'altro giudice la sola cognizione della controversia introdotta con la domanda riconvenzionale.

Per trattazioni dottrinali di un certo respiro in ordine alla facoltà del giudice di trattenere e decidere la domanda principale e di rimettere le parti avanti il giudice superiore per la sola decisione della domanda riconvenzionale, v. Merlin, Compensazione e processo, Milano, 1991, I, 511 ss.; Scarselli, La condanna con riserva, Milano, 1989, 330 ss.

Sulla domanda riconvenzionale nel diritto processuale Jaeger, La ri convenzione nel processo civile, Padova, 1930; Andrioli, Diritto pro

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