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Sezioni unite civili; sentenza 6 aprile 1981, n. 1923; Pres. T. Novelli, Est. Ruperto, P. M. Fabi...

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Sezioni unite civili; sentenza 6 aprile 1981, n. 1923; Pres. T. Novelli, Est. Ruperto, P. M. Fabi (concl. diff.); Stellatelli (Avv. Doronzo) c. Soc. Gruppo finanziario tessile (Avv. G. Romanelli, Speranza, Nicolò). Cassa App. Bari 10 febbraio 1972 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 4 (APRILE 1981), pp. 959/960-963/964 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172826 . Accessed: 28/06/2014 07:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.141 on Sat, 28 Jun 2014 07:30:34 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite civili; sentenza 6 aprile 1981, n. 1923; Pres. T. Novelli, Est. Ruperto, P. M. Fabi(concl. diff.); Stellatelli (Avv. Doronzo) c. Soc. Gruppo finanziario tessile (Avv. G. Romanelli,Speranza, Nicolò). Cassa App. Bari 10 febbraio 1972Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 4 (APRILE 1981), pp. 959/960-963/964Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172826 .

Accessed: 28/06/2014 07:30

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PARTE PRIMA

porla in una situazione d'ingiustificata disparità di trattamento

rispetto alle altre regioni; e meno ancora chiarisce a quali titoli, e con quali conseguenze, il legislatore statale avrebbe invece

dovuto trasferirle i beni stessi, in applicazione dell'art. 117 Cost.

Perciò va dichiarata l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, specificamente proposta nei riguardi della tabella A allegata alla legge n. 764 del 1975.

4. - Fondata si palesa, invece, l'impugnazione degli art. 6 e 7 della legge che ha soppresso la « Gioventù italiana ».

Per meglio dire, alcune fra le disposizioni contenute in questi articoli non si prestano ad esser censurate, per invasione della

competenza regionale sullo stato giuridico ed economico del

personale addetto alla regione: sia perché si tratta di una disci

plina che riguarda il trattamento assistenziale e di quiescenza dei

dipendenti trasferiti dalla « Gioventù italiana », quanto al perio do precedente il trasferimento (come si verifica per la seconda frase dell'art. 6, 1° comma, ovvero per l'ultima parte del capover so dell'art. 7); sia perché si tratta di norme concernenti l'avveni

re, ma riferite al solo personale trasferito allo Stato (come si riscontra — per esempio — nel 2° comma dell'art. 6). Ma altre

disposizioni concernono invece, senza dubbio, il trattamento di

pensione, l'assistenza malattie e l'indennità di buonuscita, relativi al periodo di servizio da prestare presso ciascuna regione, succes

sivamente al passaggio dei dipendenti interessati. È questo, in

particolar modo, il caso della prima frase del comma iniziale

dell'art. 6 (« il personale trasferito alle regioni è iscritto, ai fini

del trattamento di pensione, alla C.p.d.e.l. »), come pure della

prima frase del comma iniziale dell'art. 7 (« il personale trasferi

to alle regioni è iscritto, ai fini dell'assistenza malattie e della

buonuscita, all'I.n.a.d.e.l. »): dove il legislatore non ha avuto cura

di fare testualmente salva l'ipotesi che le singole regioni dispones

sero diversamente, nell'esercizio della potestà legislativa sull'ordi

namento dei propri uffici e sul trattamento del proprio personale. Ciò che più conta, gli art. 6 e 7 legge n. 764 del 1975 non

hanno eccettuato nemmeno l'ipotesi che le regioni avessero già

legiferato in materia, dettando apposite norme relative al regime assistenziale e di quiescenza di tutto il personale regionale, suscettibili dunque di applicarsi — anche in termini diversi da

quelli previsti nelle disposizioni impugnate — allo stesso persona le loro trasferito dalla « Gioventù italiana ». Ma precisamente in

questa situazione si trovava la regione Lazio, almeno per quanto

riguarda l'art. 80, 1° comma, legge reg. 29 maggio 1973 n.

20, sostituito dall'art. 3 legge reg. 20 febbraio 1974 n. 17: che nel

testo originario prevedeva genericamente l'iscrizione del perso nale regionale, « ai fini del trattamento di quiescenza, delle

prestazioni assistenziali e previdenziali, ad idonei enti », con i

quali sarebbe stata stipulata «apposita convenzione»; mentre il

testo inserito dalla legge n. 17 del 1974 dispone in modo specifico che il personale stesso venga iscritto alla C.p.d.e.l., « ai fini del

trattamento pensionistico », all'E.n.p.d.e.d.p., « ai fini della eroga zione dell'assistenza malattie », all'In.a.d.e.l., « ai fini del tratta

mento di fine servizio »

Su tutti questi punti, allorché la legge n. 764 del 1975 è entrata

in vigore, la legislazione del Lazio dettava pertanto una compiuta

disciplina, la fonte della quale non poteva e non può essere

legittimamente novata dal legislatore statale ordinario, non solo

nella parte in cui le norme dettate dalla legge stessa si discostano

dalle corrispondenti norme regionali già vigenti, ma anche nella

parte in cui — sostanzialmente — esse ne ripetono le disposizio ni. Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli art. 6 e 7 della legge che ha soppresso la « Gioventù italiana »,

in quanto regolano il periodo di servizio che il personale trasferi

to dall'ente in questione è destinato a prestare presso la regione Lazio.

Per questi motivi, 1) dichiara non fondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 3, 1° e 2° comma, legge 18

novembre 1975 n. 764 (sulla soppressione dell'ente « Gioventù

italiana »), promossa dalla regione Lazio con il ricorso indicato

in epigrafe; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, 2° comma, e della tabella A (sui « beni

immobili di proprietà della Gioventù italiana trasferiti allo Stato »

della legge n. 764 del 1975, promossa dalla regione Lazio con il

ricorso indicato in epigrafe; 3) dichiara l'illegittimità costituziona

le degli art. 6 e 7 della legge n. 764 del 1975, nella parte in cui

non fanno salva l'ipotesi che sia autonomamente disposto dalla

regione Lazio — ai fini del trattamento di pensione, dell'assisten

za malattie e della buonuscita — circa il periodo di servizio che

il personale trasferito presti alle dipendenze della regione mede

sima.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 6 apri le 1981, n. 1923; Pres. T. Novelli, Est. Ruperto, P. M. Fabi

(conci, diff.); Stellatelli (Avv. Doronzo) c. Soc. Gruppo finan

ziario tessile (Avv. G. Romanelli, Speranza, Nicolò). Cassa

App. Bari 10 febbraio 1972.

CORTE DI CASSAZIONE;

Locazione — Canone — Clausola d'adeguamento al costo della vita — Inefficacia — Contratti non soggetti a proroga — Inap plicabilità (D.l. 24 luglio 1973 n. 426, provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e sublocazione degli immobili urbani, art. 1).

La sanzione di inefficacia prevista nell'art. 1, 4" comma, d. I. 24

luglio 1973, n. 426 si applica solo alle clausole d'adeguamento del canone agli indici del costo della vita (c. d. clausole 1ST AT) inserite nei contratti assoggettati a proroga legale. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione del 28 marzo 1975 Mario, Pietro e Rosa Stellateli convenivano la s.p.a. Gruppo finanziario tessile davanti al Tribunale di Tra

ni, esponendo che il 28 luglio 1969 avevano concesso in loca zione alla medesima, per la durata di nove anni e per l'annuo canone di lire 2.300.000, due locali-negozi, siti in Barletta, corso

Garibaldi, 148-150, da adibire all'esercizio di attività commer

ciale; che, in violazione della clausola n. 5 del contratto, la con duttrice s'era rifiutata di aumentare il canone, a decorrere dal 10 agosto 1974, in proporzione del 93 % circa, secondo la cor

rispondente variazione dei numeri indici dei prezzi all'ingrosso, verificatasi dal luglio 1969 al luglio 1974. Ciò premesso, chiede

vano che il canone fosse determinato, per il periodo dal 10 ago sto 1974 in poi, in lire 4.439.000 annue o nella diversa misura

da accertare e che la conduttrice venisse condannata al paga mento della differenza fra il dovuto e il corrisposto.

Nella contumacia della convenuta, il tribunale, con sentenza

dell'8 novembre 1975, accoglieva la domanda, determinando il

canone in lire 4.465.670 annue.

In accoglimento del gravame della s.p.a. Gruppo finanziario

tessile, la Corte d'appello di Bari, con sentenza del 10 febbraio

1977, riformando l'impugnata decisione, rigettava la domanda pro

posta dagli Stellatelli, che condannava alle spese giudiziali. Hanno ricorso per cassazione Mario, Pietro e Rosa Stellatelli,

dcducendo un unico motivo. Ha resistito con controricorso la

s.p.a. Gruppo finanziario tessile. Entrambe le parti hanno depo sitato memorie.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo dedotto i ricor

renti, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 1 d. 1.

24 luglio 1973 n. 426 in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc.

civ., censurano l'impugnata sentenza per aver respinto la loro

domanda erroneamente ritenendo applicabile il quarto comma di

detto art. 1 anche ai contratti non ancora scaduti e quindi non

prorogati dal primo comma.

La censura è fondata. Il problema giuridico sollevato dal

l'esposto motivo, e che queste sezioni unite sono chiamate a ri

solvere dirimendo il contrasto delineatosi al riguardo nella giuris

prudenza della terza sezione civile, è se l'inefficacia disposta dal

4à comma dell'art. 1 d.l. 24 luglio 1973 n. 426, convertito nella

legge 4 agosto 1973 n. 495, concerna soltanto i contratti di loca

zione soggetti a proroga legale (come ritenuto dalle sentenze 18

maggio 1978, n. 2419, Foro it., 1978, I, 2507 e 25 giugno 1979,

n. 3550, id., Rep. 1979, voce Locazione, n. 523) ovvero investa

tutti i contratti di locazione, compresi quelli con termine finale

scadente dopo la data della proroga stessa (come ritenuto in

vece dalla sentenza 22 giugno 1979, n. 3510, id., 1979, I, 1676).

Trattasi di problema molto serio, che trae origine dalla gene

rica formulazione della succitata norma, contenuta nel quarto

(1) Con la pronuncia in epigrafe le sezioni unite hanno risolto il

contrasto venutosi a determinare nella giurisprudenza della sezione

terza circa l'ambito di operatività del 4° comma dell'art. 1 del d. 1.

n. 426 del 1973. Infatti contro un primo indirizzo interpretativo con

forme alla soluzione qui accolta dalle sezioni unite, contenuto nelle

pronunce 18 maggio 1978, n. 2419, Foro it., 1978, I, 2507 e 25 giugno

1979, n. 3550, id., Rep. 1979, voce Locazione, n. 523 (entrambe citate in motivazione), la stessa sezione terza della Cassazione con la

sentenza del 22 giugno 1979, n. 3510, id., 1979, 1, 1676, aveva rite

nuto applicabile la sanzione di inefficacia di cui alla norma de qua anche alle clausole di adeguamento contenute in contratti non as

soggettati alla proroga legale. In senso favorevole all'interpretazione accolta nella sentenza in epi

grafe si è espressa la più recente dottrina: sul punto, v. Preden, Ope ratività delle clausole ISTAT inserite in contratti di locazioni non

prorogati e Cerceo, Ancora sull'operatività delle clausole ISTAT

inserite in contratti di locazioni non prorogati, in Giust. civ., 1980,

I, 1713 e 2775; Vietti, Sull'efficacia delle clausole di adeguamento dei canoni locatizi, in Giur. it., 1981, I, 2, 131.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

comma dell'unico articolo in cui si esaurisce la disciplina det tata dal d. 1. n. 426 del 1973, il quale nel primo comma dispone la proroga, fino al 31 gennaio 1974, dei « contratti di locazione e di sublocazione di immobili urbani, in corso alla data..., salvo quelli ad uso di abitazione stipulati con conduttori o subcondut tori » aventi un reddito annuo non superiore a 4 milioni.

Infatti, dopo aver disposto che « i patti e le clausole contrat tuali stipulati successivamente all'entrata in vigore del presente decreto che a qualsiasi titolo prevedano aumenti di canoni di locazione di immobili urbani sono nulli », il detto comma pro segue: « Dalla stessa data sono inefficaci le clausole di adegua mento dei canoni di locazione diretti a compensare eventuali ef fetti di svalutazione monetaria ». È appunto da tale ampiezza di formulazione muove fondamentalmente la tesi accolta dalPimpu gnata sentenza, la quale tuttavia non ha debitamente considerato che la norma è contenuta nell'unico articolo di un decreto-legge inteso ad emanare « provvedimenti urgenti sulla proroga dei con tratti di locazione e di sublocazione degli immobili urbani », e

dunque trova il suo limite naturale nei confini segnati dall'oggetto stesso della disciplina legislativa.

All'uopo giova sottolineare che al primo comma ne seguono due che si limitano a regolare il modus probandi dei redditi ri levanti « ai fini di cui sopra », ove derivino da lavoro dipen dente o consistano in pensioni. E subito dopo trova collocazione la surriportata norma del quarto comma; la quale, quindi, ap pare strettamente collegata alla disposizione di proroga da un nesso di continuità, insieme, logico e spaziale.

Questo collegamento sembra poi quasi suggellato dal sesto

comma, che contiene una disposizione di non trascurabile valore

ermeneutico sotto il profilo logico-sistematico, giacché commina

la « decadenza dal benefìcio della proroga del contratto di lo

cazione relativo all'esercizio commerciale per il quale è interve nuto il provvedimento di revoca » dall'autorizzazione ammini

strativa « ai sensi dell'art. 8 d. 1. di pari data concernente la di

sciplina dei beni di largo consumo» (cioè del d. 1. n. 427); con

vincendo vieppiù l'interprete che la normativa dell'intero arti

colo è ispirata dall'intento legislativo espresso nel titolo del de

creto.

Né tale convincimento viene scalfito dal rilievo che il quinto comma dello stesso articolo sospende (con alcune specifiche ec

cezioni) tutti i « provvedimenti di rilascio degli immobili lo

cati » : sia perché questi provvedimenti attengono a contratti or

mai non più operanti, sia perché la sospensione è pur sempre di

sposta soltanto «fino al 31 gennaio 1974», vale a dire sino alla

data di scadenza della proroga legale, che si pone dunque co

me limite temporale ultimo dell'operatività di tutto il provvedi mento legislativo.

Acquista cosi giusta dimensione l'ampiezza della formula del

quarto comma, che fa generico riferimento ai « canoni di loca

zione». Ampiezza corrispondente, appunto, a quella riscontra

bile nel primo comma con riguardo alla proroga dei contratti; e

che non può includere i contratti non assoggettati a proroga le

gale, perché di essi non si fa menzione alcuna, diretta o indiretta,

in nessuno dei sei comma dell'articolo, esaustivi della disciplina dettata dal provvedimento legislativo.

A quest'ultimo proposito non va dimenticato che, quante volte

il legislatore ha inteso disporre il blocco dei canoni prescindendo dalla proroga legale dei relativi contratti, lo ha sempre fatto sta

bilendo il divieto d'aumento anche nel caso di rinnovazione del

contratto «con altro conduttore». Tale disposizione, tesa all'evi

dente scopo di impedire che il blocco dei canoni stimolasse le

disdette dei contratti non soggetti a proroga legale, costituisce — si può dire, e la dottrina più accorta non ha mancato di sot

tolinearlo — un tratto essenziale del blocco dei canoni disan

corato dalla proroga legale: rinvenendosi, infatti, sia nella disci

plina vigente all'epoca dell'emanazione del decreto-legge n. 426

del 1973 (v. gli art. 2 e 7 legge 26 novembre 1969 n. 833, resi

applicabili sino al 31 dicembre 1973 dall'art. 56 d. 1. 26 otto

bre 1970 n. 745, conv. nella legge 18 dicembre 1970 n. 1034),

sia in quella dettata successivamente al decreto medesimo (v.

art. 1 bis, penult, comma, legge 12 agosto 1974 n. 351; art. 1 ter,

ult. comma, legge 31 luglio 1975 n. 363; art. 1, 3° comma, d. 1.

28 ottobre 1977 n. 778, conv. nella legge 23 dicembre 1977 n.

928). Ebbene, essa non figura punto nel d. 1. n. 426 del 1973. E

non vi fu inserita — si badi — neppure nella relativa legge di

conversione, nonostante che un autorevole parlamentare (l'on.

Spagnoli, nella seduta pomeridiana della Camera dei deputati

del 30 luglio 1973) ne avesse denunziato la « incomprensibile »

omissione.

Si aggiunga che nella legge immediatamente successiva (n. 841

del 22 dicembre 1973), la quale riconfermò la norma di cui qui

si controverte, il divieto d'aumento anche per il caso di loca

zione » ad altro conduttore... « fu si inserito, ma con espresso

riferimento ai soli canoni delle locazioni prorogate in virtù della

presente legge ». E tale disposizione fu testualmente ripetuta dal l'art. 1 d. 1. 19 giugno 1974 n. 236, la cui legge di conversione

(n. 351 del 1974) reintrodusse, col già citato art. 1 bis, penult, comma, l'espressa menzione dei contratti « non soggetti alla pro roga », ma aggiungendo che il divieto d'aumento dei canoni per essi stabilito si applicava « esclusivamente ai contratti la cui sca denza è stabilita entro e non oltre la data del 30 giugno 1975 ». Identico è poi il tenore del pure succitato art. 1 ter della legge n. 363 del 1975, che spostò al 30 giugno 1976 tale data (coinci dente col dies ad quem della proroga legale), riconoscendo an cora una volta, sia pure indirettamente, la non estensione del blocco dei canoni ai contratti scadenti oltre la data della proro

ga legale. Riconoscimento, codesto, conforme alla logica del sistema e

dunque di particolare valore ermeneutico nell'interpretazione del

provvedimento legislativo in questione, stante l'assenza di precisi elementi che manifestino la volontà del legislatore del 1973 di

estendere invece il blocco dei canoni anche ai contratti scadenti

oltre la data della disposta proroga. E il richiamo alla logica del sistema non sembra fuori luogo,

atteso che la proroga legale incide solo sul termine del rapporto,

protraendone la durata stabilita dalle parti; per cui, quando ven

ga disposta a data fissa, non può non rimanere estranea ai rap

porti scadenti dopo la data medesima, ai rapporti cioè che tro

vano esclusivamente nel contratto la loro forza propulsiva ed

il loro regime. Un regime che — si potrebbe aggiungere —, ove le parti vi abbiano inserito la clausola di adeguamento del canone al costo della vita, risulta qualificato da una stret

ta connessione fra la misura del canone stesso ed il termine

di scadenza del contratto, giacché quella clausola, intesa uni

camente ad assicurare sino alla fine l'equilibrio originario fra

le prestazioni corrispettive, offre alle parti l'affidamento che le

induce a fissare un termine di scadenza contrattuale anche as

sai lungo. Sicché, disponendo l'inefficacia di una tale clausola, il legislatore infligge all'autonomia privata una limitazione parti colarmente grave, che non può non imprimere il connotato di

eccezionale alla relativa norma di legge. La conclusione cosi accolta sulla base d'una interpretazione

che valorizza l'elemento logico-sistematico accanto a quello let

terale, non può certo ritenersi « contrastante con le finalità ispi ratrici della legge, che chiaramente emergono dai lavori prepara

tori»:, come invece si legge nella sentenza 22 giugno 1979, n.

3510 della III sezione civile di questa corte, la quale ha in

proposito ricordato che il d. 1. n. 426 del 1973 fece parte d'un

« pacchetto » di provvedimenti urgenti varati dal governo nel

l'estate di quell'anno per contenere l'aumento dei prezzi e che,

nella discussione seguitane nel Parlamento per la conversione

in legge del detto decreto, « furono costantemente sottolineati

il suo carattere eccezionale e la sua finalità antinflazionistica ».

Invero, non è dubbio che il governo perseguisse una finalità

antinflazionistica, col detto decreto e con gli altri varati nella

stessa data (n. 424, n. 425, n. 427), costituenti un unico « pac chetto » di provvedimenti anticongiunturali e urgenti. Da rico

noscere è altresì che col decreto-legge n. 426 il legislatore intese

anche sacrificare al preminente interesse pubblico (d'un freno

alla spinta inflazionistica, accentuatasi proprio nella prima metà

del 1973), quello particolaristico mirante all'immutabilità del

contenuto economico del rapporto fra prestazione e contropre stazione.

Ciò, tuttavia, non basta a giustificare la tesi d'un blocco dei ca

noni stessi, cosi generalizzato da includere anche quelli relativi

ai contratti non prorogati. Blocco che certamente il legislatore avrebbe pur potuto disporre nella sua discrezionalità; ma — trat

tandosi di una deviazione dal sistema — solo in modo espresso

o, comunque, con formula rivelatrice d'una precisa voluntas le

gis oggettivata in tal senso.

All'uopo sembra utile osservare anzitutto che, come risulta

proprio dall'ampia discussione svoltasi nei due rami del Parla

mento, l'obiettivo antinflazionistico del decreto convertito senza

modifiche in legge non fu il solo avuto di mira dal legislatore;

poiché esso fu sicuramente accompagnato da « quello di garan

tire, quantomeno, una stabilità della situazione nel settore delle

locazioni private per quel tempo necessaria a prospettare ed ap

provare una nuova legge di regolamentazione dei canoni e del

contratto » (secondo quanto testualmente affermò l'on. Spagnoli

nella summenzionata seduta della Camera del 30 luglio 1973).

'È poi da aggiungere, che quando, nel corso di quella discussione,

si parlò di « generalizzazione del blocco » in funzione antinfla

zionistica si intese come tale sempre il « blocco dei contratti » :

in particolare, si parlò di « blocco limitato », con riguardo alle

case di abitazione, e di « blocco generalizzato », con riguardo

Il Foro Italiano — 1981 — Parte I- 62.

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PARTE PRIMA

agli esercizi commerciali. Per cui è da escludere che con l'espres sione « blocco generalizzato » i parlamentari intendessero riferirsi

al blocco indiscriminato di tutti i canoni, anche cioè di quelli re

lativi ai contratti liberi.

Ovviamente, quest'ultimo tipo di blocco avrebbe raggiunto più a pieno l'obiettivo antinflazionistico. Ma non può negarsi che

l'obiettivo stesso era egualmente perseguibile, pur se in modo

meno pieno, operando sui canoni delle sole locazioni prorogate, le quali rappresentavano il settore di gran lunga più vasto dei con

tratti in corso. E, d'altronde, che il legislatore neppure mirasse

ad una pienezza di risultati nello specifico campo, può essere de

sunto dal fatto che limitò la nullità ai patti d'aumento « stipulati

successivamente all'entrata in vigore » del decreto, cosi ricono

scendo la validità di quelli stipulati anteriormente.

Sembra, allora, potersene dedurre che la finalità antinflazio

nistica ispirò bensì il divieto d'aumento dei canoni e la parallela

inefficacia delle clausole di adeguamento « dirette a compensare

eventuali effetti di svalutazione monetaria»; ma nell'ambito del

« blocco dei contratti » disposto col provvedimento legislativo.

Ambito, sul quale non offre una precisa ed univoca indicazione

la suddetta ratio, ispiratrice del provvedimento stesso nella sua

globalità e, dunque, rimasta esterna al sistema normativo unitario

creato da questo. Ulteriore conferma trova tale conclusione nel rilievo che an

che il successivo d. 1. 19 giugno 1974 n. 236 fu adottato «in fun

zione antispeculativa e antinflazionistica » (così l'on. Busetto, nel

la seduta della Camera del 26 luglio 1974), fu cioè (come si

espresse il sen. Gatto, nella seduta del Senato del 9 agosto 1974)

« un provvedimento di quelli che hanno titolo per far parte del

pacchetto della congiuntura ». E, nondimeno, la relativa legge di

conversione 12 agosto 1974 n. 351 vi inserì, pur senza alcun in

tento innovativo, il surriportato art. 1 bis, penult, comma, che di

sponeva l'applicabilità della norma sul parziale divieto di au

mento dei canoni relativi ai contratti non prorogati, « esclusiva

mente » con riguardo ai contratti scadenti « entro e non oltre »

la data di proroga legale: in coerenza, appunto, col principio

che i contratti scadenti dopo tale data restavano fuori della di

sciplina del provvedimento legislativo. Non solo, ma già nello stesso anno 1973 l'art. 1 legge n. 841,

che prorogò ancora sino al 30 giugno 1974 i contratti di loca

zione in corso, mentre nel terzo comma dispose che nulla era in

novato alle norme del 2°, 3°, 4° e 6° comma dell'art. 1 d. 1. n.

426, in quello successivo precisò, come sopra notato, che « i ca

noni delle locazioni prorogate in virtù della presente legge non

possono essere aumentati... ».

È pertanto del tutto ragionevole ritenere che col quarto comma

del decreto-legge in questione il legislatore intese dettare una

norma particolare nell'ambito della specifica disciplina indicata

dal titolo del decreto stesso, e non invece una norma di portata

generale, applicabile a tutti i contratti di locazione, anche se

svincolati da quella disciplina: giusta quanto desunto, con argo mento logico-sistematico, dal lumeggiato collegamento col primo comma del medesimo articolo. Obliterando il quale collegamento, cioè supponendo la piena autonomia della norma in esame, si

finirebbe oltretutto col dover attribuire forza ultrattiva a questa, nel senso di dover ritenere che essa avrebbe in ipotesi continuato

ad operare anche se, trascorso il termine del 31 gennaio 1974,

non fosse stata disposta un'ulteriore proroga dei contratti di lo

cazione.

In accoglimento del ricorso, l'impugnata sentenza va perciò cessata con rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione

della stessa Corte d'appello di Bari, che si adeguerà al principio, secondo cui l'inefficacia disposta dal succitato art. 1, 4° comma,

d. 1. n. 426 del 1973 non si estende ai contratti di locazione sca

denti oltre il termine della disposta proroga legale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 4 apri le 1981, n. 1904; Pres. G. Rossi, Est. Pieri, P.M. Fabi (conci,

conf.); Azienda autonoma delle terme di Acireale (Avv. dello

Stato Viola) c. Pennisi (Avv. Ferruggia, C. Marino). Con

ferma Trib. Catania 22 marzo 1977.

Impiegato dello Stato e pubblico — Sicilia — Azienda autonoma delle Terme di Acireale — Dipendenti — Controversia d'im

piego — Giurisdizione ordinaria — Fattispecie (Cod. civ., art.

2093, 2103; d. leg. pres. reg. sic. 18 aprile 1951 n. 24, provve dimenti per lo sviluppo dei complessi idrominerali e idroter mali di Acireale, art. 1; d. leg. pres. reg. sic. 20 dicembre 1954 n. 12, istituzione delle aziende autonome delle terme di Sciacca

e delle terme di Acireale, art. 1, 4, 8, 16, 17, 18, 20).

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della domanda proposta dal dipendente contro l'azienda auto

noma delle Terme di Acireale, gestita in forma imprenditoriale ed operante, almeno per vari settori della sua attività, in re

gime di concorrenza con le imprese private, per ottenere l'in

quadramento nella qualifica superiore corrispondente alle man

sioni di fatto svolte e il pagamento delle differenze retribu

tive. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso

del 3 marzo 1976 al Pretore di Acireale quale giudice del lavoro, Salvatore Perniisi espose di esser dipendente dell'azienda auto

noma delle terme di quella città, e di aver diritto alla qualifica impiegatizia di II* categoria, per avere da tempo svolto le rela tive mansioni. Chiese quindi che l'azienda fosse condannata a

riconoscergli la predetta qualifica, a decorrere dal 13 settembre

1973, ed a pagargli la relativa differenza di retribuzione, con

gli accessori di legge. Costituitasi in causa col patrocinio dell'avvocatura dello Stato,

l'azienda autonoma delle Terme di Acireale eccepì' preliminar mente il difetto di giurisdizione del giudice adito, trattandosi di controversia attinente ad un rapporto di pubblico impiego, rien trante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ed in subordine il proprio difetto di legittimazione passiva, so stenendo di essere un organo periferico dell'assessorato al tu rismo della regione siciliana. Nel merito, resistette alle domande

attoree, sostenendo che esattamente il Pennisi era stato inqua drato nel III, e non nel II raggruppamento, con provvedimento assessoriale n. 38028 del 18 gennaio 1975.

Il pretore, con sentenza del 18 giugno 1976, rigettate le ecce zioni preliminari, accolse le domande del Pennisi, ponendo a carico dell'azienda le spese giudiziali.

L'azienda delle terme ha proposto appello, risollevando le ec cezioni preliminari di carenza di giurisdizione dell'a.g.o. e di carenza di legittimazione passiva. Nel merito ha sostenuto che il Pennisi era decaduto da ogni pretesa per non aver impugnato in via amministrativa i provvedimenti che avevano definito il suo trattamento economico; che la domanda di parte attrice non era comunque sostenuta da idonee prove; che il Pennisi era in

ogni caso decaduto dal diritto di esperire prove testimoniali, per averle tardivamente articolate; che infine la domanda del ricor rente era infondata, in ogni caso, per il periodo antecedente alla entrata in vigore dello statuto dei lavoratori. Il Pennisi, costi tuitosi, oltre a resistere al gravame, ha proposto appello inciden

ti) Il Tribunale di Catania aveva ravvisato nell'azienda autonoma delle Terme di Acireale un ente pubblico economico ed affermato, quindi, la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della con troversia d'impiego contro la stessa azienda promossa dal Pennisi, alla stregua del consolidato orientamento della Cassazione (fra le più recenti, Sez. un. 14 ottobre 1980, n. 5503, Foro it., 1980, I, 2947, con nota di richiami; adde per il riconoscimento della giurisdizione ordinaria in ordine alle controversie relative al concorso per l'assun zione presso ente pubblico economico, Sez. un. 5 gennaio 1981, n. 1, id., 1981, I, 15, con ulteriori indicazioni).

Le sezioni unite, pur confermando la sentenza del Tribunale di Catania, non ne hanno condiviso la qualificazione dell'azienda au tonoma delle Terme di Acireale come ente pubblico economico di stinto e separato dalla regione, in quanto hanno ritenuto che « an che se non si voglia giungere tanto oltre, non par dubbio che ci si trovi di fronte ad una impresa esercitata da un ente pubblico, ai sensi e per gli effetti del 2° comma dell'art. 2093 cod. civile ». Quin di hanno rilevato che « in questa situazione, non è chi non veda che ci si trova di fronte, quanto meno, ad una situazione del tutto analoga a quella di molte aziende municipalizzate, del cui carattere imprenditoriale nessuno dubita, e che operano indubbiamente me diante gli strumenti propri del diritto comune e non di quello pub blico », per poi disattendere la tesi della inapplicabilità del 2° com ma del ripetuto art. 2093 agli enti pubblici territoriali sulla consi derazione della esistenza nell'ordinamento di aziende municipalizza te (di trasporti, di distribuzione di acqua, di elettricità, ecc.) « costi tuite da enti pubblici anche territoriali per l'esercizio di attività in dustriali e commerciali ».

Senonché, pur non potendosi disconoscere che la giurisprudenza relativa alle controversie d'impiego con le aziende municipalizzate (cfr. i precedenti richiamati in nota a Cass. 17 dicembre 1979, n. 6564, id., 1980, I, 53, in tema di concorso per dirigente amministra tivo presso l'A.c.e.a. di Roma) costituisce un valido punto di riferimento ai fini del riconoscimento della giurisdizione ordinaria in ordine a cause come quella proposta nella specie dal Pennisi, la tesi della inapplica bilità dell'art. 2093, 2° comma, cod. civ. agli enti pubblici territoriali avrebbe potuto trovare più diretta e puntuale confutazione nel ri chiamo alle pronunzie delle sezioni unite, come, ad es., sent. 2 maggio 1979, n. 2523, id., 1979, I, 1121, con nota di richiami, nelle quali la norma de qua è stata ritenuta invocabile con specifico riguardo all'esercizio di attività imprenditoriale direttamente da parte di un comune.

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