sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M.Di Renzo (concl. parz. diff.); Consorzio acquedotti riuniti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio) c.Nocella (Avv. Rubino, Ciccone). Conferma Trib. sup. acque pubbliche 5 ottobre 1992, n. 65Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 1 (GENNAIO 1995), pp. 235/236-237/238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189225 .
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PARTE PRIMA
i terzi, e non operante, invece, nei rapporti fra i soci in relazio
ne ai conferimenti, per i quali rileverebbe pur sempre il rappor to contrattuale di base.
In realtà — precisa la sentenza n. 1027 — anche la liquida zione di quota a seguito di scioglimento del rapporto sociale
limitatamente ad un socio, che la esigenza di continuità dell'im
presa collettiva impone avvenga in denaro e che si traduce in
un diritto di credito per entità corrispondente al valore pro quota del patrimonio sociale, costituisce un credito nei confronti della
società, e non direttamente dei soci, i quali sono soltanto sussi
diaramente responsabili come per ogni altro debito sociale. La
tesi dottrinale secondo cui tale vicenda soggettiva, determinan
do l'accrescimento delle quote degli altri soci, individuerebbero
in questi ultimi, come debitori in proprio, i destinatari dell'a
zione di liquidazione, non tiene conto del fatto che il patrimo nio non appartiene per quota ai soci, come nella comunione,
ma per intero alla società, per cui solo quest'ultima è passiva
mente legittimata alla domanda di liquidazione della quota.
Soggiunge la richiamata sentenza che ben difficilmente, ai fi
ni della liquidazione della quota, il socio receduto o escluso
potrebbe ancora considerarsi socio, e quindi legato da rapporti
interni, logico essendo invece ritenere che egli, nel momento
in cui chiede la liquidazione della quota, sia terzo rispetto al
rapporto sociale, cosi come terzo è il creditore particolare del
socio che agisce per la liquidazione della quota del suo debitore
(v., in tema di società semplice, l'art. 2270, 2° comma, c.c.). Ostacolo a tale costruzione non può ravvisarsi nell'art. 2284
c.c., secondo cui «gli altri (soci) devono liquidare la quota agli
eredi»: questa formula trova spiegazione nel fatto che, in caso
di morte, sono previste anche soluzioni alternative (come la con
tinuazione della società con gli eredi) che modificano il contrat
to sociale e quindi coinvolgono i singoli soci come tali. Né è
insuperabile ostacolo il 3° comma dell'art. 2285 c.c., che impo ne la comunicazione del recesso ai soci con preavviso di almeno
tre mesi: la previsione di tale onere, evidentemente collegato
aWintuitus personae che caratterizza il tipo di società in esame, non esclude che l'obbligazione di liquidazione della quota fac
cia carico alla società ed abbia in quest'ultima, anche proces
sualmente, il soggetto passivamente legittimato. In base alle considerazioni esposte (e ferme le più diffuse ar
gomentazioni svolte nella sentenza 1027/93, cit.) va accolto il
primo motivo del ricorso. Risulta infatti fondata la tesi in dirit
to del ricorrente (anche astraendo dai riferimenti che egli super
fluamente formula alle disposizioni statutarie della società Cites). 3. - Rimane assorbito il secondo motivo, svolto in subordine
per il caso di rigetto del primo. 4. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad
altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte
d'appello di Roma.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 7 apri le 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Renzo (conci, parz. diff.); Consorzio acquedotti riu
niti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio) c. Nocella (Avv. Rubi
no, Ciccone). Conferma Trib. sup. acque pubbliche 5 otto
bre 1992, n. 65.
Acque pubbliche e private — Tribunale superiore delle acque
pubbliche — Appello — Difensore non abilitato al patronicio davanti alle giurisdizioni superiori — Inammissibilità (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di
avvocato e procuratore, art. 4, 33).
È inammissibile l'appello proposto al Tribunale superiore delle
acque pubbliche da difensore non iscritto nell'albo speciale
degli avvocati abilitati al patronicio davanti alle giurisdizioni
superiori indicate nel 2° comma dell'art. 4 r.d.l. 27 novembre
1933 n. 1578, atteso che tale disposizione (entrata in vigore il 1° febbraio 1934) prevale sulla normativa di cui al r.d. 11
dicembre 1933 n. 1775. (1)
Svolgimento del processo. — Il Tribunale regionale delle ac
que pubbliche di Roma condannava il Consorzio acquedotti riu
niti degli Aurunci alla rifusione del danno subito da Lidia No
cella per la perdita di un'area conseguita alla realizzazione di
opera pubblica occorrente per l'adeguamento di un acquedotto, essendosi verificata la irreversibile trasformazione dell'area ed
essendo scaduto il termine del decreto di occupazione prima dell'emanazione del decreto di espropriazione.
L'appello proposto dal consorzio era dichiarato inammissibi
le dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, il quale osser
vava che il procuratore dell'appellante non risultava iscritto nel
l'albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio davanti alla
Corte di cassazione ed alle altre magistrature superiori (art. 4
e 33 r.d.l. n. 1578 del 1933). Secondo il tribunale non potevano applicarsi analogicamente
— stante il carattere speciale di tali disposizioni — l'art. 30
d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, il quale abilita la parte ad agire
(1) Il patrocinio innanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche può essere assunto soltanto dagli avvocati iscritti nell'albo speciale di cui all'art. 33 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (cfr. Trib. sup. acque 30 ottobre 1989, n. 89, Foro it., Rep. 1989, voce Acque pubbliche, nn. 126-128).
Non si pone secondo le sezioni unite (che con la pronuncia in epigra fe rigettano il ricorso contro la declaratoria di inammissibilità dell'ap pello al Tribunale superiore delle acque firmato da un difensore non iscritto nell'albo speciale dei cassazionisti) alcuna esigenza di accerta mento dell'esatta portata dell'art. 190 t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, per la posteriorità dell'entrata in vigore della normativa sull'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore rispetto al t.u. sulle acque pubbliche.
Né, si afferma ancora nella sentenza, può estendersi in via analogica, perché norma eccezionale, l'art. 30 d.p.r. n. 636 del 1972 che ha modi ficato la disciplina dell'assistenza e della rappresentanza innanzi alle commissioni tributarie (v. Corte cost., ord. 16 giugno 1994, n. 251, id., 1994, I, 2329, con nota di richiami).
L'art. 190 del detto t.u. sulle acque prevede che: «Per i giudizi d'ap pello innanzi al tribunale superiore delle acque si osservano le forme indicate nei precedenti articoli» e cioè le norme che disciplinano il giu dizio avanti al tribunale regionale delle acque pubbliche, ove è previsto il patrocinio del procuratore o avvocato (art. 152, 157, 3° comma).
Le sezioni unite con una precedente sentenza (14 marzo 1983, n. 1879, id., Rep. 1983, voce cit., n. 96) hanno affermato, al contrario (anche se per i giudizi avanti al tribunale regionale delle acque pubbliche), che la normativa speciale di cui al t.u. sulle acque (dove è previsto l'eserci zio cumulativo delle funzioni proprie degli avvocati e di quelle dei pro curatori, in deroga all'ambito territoriale di esercizio ed ai limiti dei
poteri propri delle due distinte professioni: il tribunale territoriale delle
acque può comprendere i distretti di due o più corti d'appello) ha natu ra derogativa rispetto alla disciplina generale delle professioni forensi.
Sulla successione di norme nel tempo, in particolare con riferimento alla data di promulgazione di una legge per stabilirne l'anteriorità o la posteriorità rispetto ad un'altra, v. Corte cost. 20 ottobre 1983, n.
321, id., 1983, I, 2625, con nota di R. Moretti. Cfr., inoltre, Cons.
Stato, ad. plen., 7 febbraio 1978, n. 4, id., 1978, III, 338 (in motivazio
ne); Corte conti 3 gennaio 1948, n. 189, id., 1949, III, 244, con nota di G. Salemi.
In dottrina, A.M. Sandulli, Legge (dir. cost.), voce del Novissimo
digesto, IX, 646 s.; S.M. Cicconetti, Promulgazione e pubblicazione delle leggi, voce dell'Enciclopedia del diritto, XXXVII, 120 ss.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
personalmente o mediante procuratore speciale innanzi alle com
missioni tributarie, né gli art. 152, 154, 157 e 158 t.u. n. 1175 del
1933, i quali consentono il patrocinio di un avvocato o di un
procuratore dinanzi ai tribunali regionali delle acque pubbliche. Avverso questa sentenza il consorzio ha proposto ricorso per
cassazione articolato su due motivi, cui resiste con controricor so la Nocella.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo si deduce
violazione e falsa applicazione degli art. 190, 152, 156 e 157
r.d. n. 1175 del 1933 in relazione agli art. 200, 1° comma, lett.
b), dello stesso r.d. e 360, n. 3, c.p.c. per avere il Tribunale
superiore delle acque pubbliche dichiarato inammissibile l'ap
pello allo stesso proposto con atto sottoscritto da avvocato non
iscritto nell'albo speciale di cui all'art. 4 r.d.l. n. 1578 del 1933, senza tenere presente che l'art. 190 r.d. n. 1175 del 1933 rinvia
espressamente alla disciplina del giudizio di primo grado, per il quale il giudizio innanzi al tribunale regionale delle acque è affidato ad avvocato o procuratore, senza necessità di iscri
zione all'albo speciale. Secondo il ricorrente la disciplina del t.u. sulle acque è suc
cessiva all'adozione del r.d. n. 1578 del 1933 i cui art. 4 e 33
sono stati invocati per sancire l'inammissibilità dell'appello e
la deroga attuata con la norma speciale successiva è stata estesa
con altre disposizioni ad altri campi (art. 30 d.p.r. n. 636 del
1972, in materia di ricorso alla Commissione centrale tributaria). È poi da rilevare, sempre secondo il consorzio, che il giudizio
innanzi al Tribunale superiore si svolge in grado di appello e
non in grado di legittimità come quello di cassazione.
Il motivo di ricorso è infondato. Va infatti rilevato che, ai
sensi dell'art. 4, 2° comma, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche — oltre
che innanzi alla Corte di cassazione e ad altri organi giurisdizio nali tassativamente indicati — il patrocinio può essere assunto
soltanto dagli avvocati iscritti nell'albo speciale di cui all'art.
33 dello stesso r.d.l.
Questo decreto — convertito, con modificazioni, in 1. 22 gen naio 1934 n. 36, pubblicato nella G.U. 30 gennaio 1934, n. 24 — è entrato in vigore il giorno 1° febbraio 1934 (art. 101, 1°
comma, stesso r.d.l.) e, quindi, successivamente al r.d. 11 di
cembre 1933 n. 1775, pubblicato nella G.U. 8 gennaio 1934, n. 5.
Da quanto precede risulta evidente che — proprio per l'ante
riorità dell'entrata in vigore del t.u. sulle acque pubbliche ri
spetto alla normativa relativa all'ordinamento della professione di avvocato — è ultronea ogni discussione volta ad accertare
se l'art. 190 t.u. del 1933 — per il quale «per i giudizi di appel lo innanzi al Tribunale superiore delle acque si osservano le
forme indicate nei precedenti articoli» — consentisse o meno
l'applicabilità delle disposizioni relative al procedimento innan
zi ai tribunali regionali delle acque pubbliche anche con riferi
mento al patrocinio, atteso che la disposizione contenuta nel
l'art. 4, prima richiamato, quale norma regolatrice del patroci nio innanzi alle magistrature superiori, prevale su ogni contraria
disposizione antecedente, per il principio di cui all'art. 15 preleggi. Le precedenti conclusioni non sono contrastate né con il ri
chiamo all'art. 30 d.p.r. n. 636 del 1972 che ha modificato la
disciplina dell'assistenza e della rappresentanza innanzi alle com
missioni tributarie e, quindi, anche innanzi alla Commissione
tributaria centrale, proprio perché, la stessa, quale norma ecce
zionale, non può estendersi, in via analogica, a casi diversi da
quelli espressamente disciplinati, né con il rilievo circa il fatto
che il giudizio innanzi al Tribunale superiore è un giudizio di
appello e non di legittimità, dal momento che il disposto del
l'art. 4, 2° comma, si giustifica non in base alla natura del
giudizio che si svolge innanzi ai vari organi giurisdizionali dallo
stesso richiamati, ma alla posizione di vertice che tali organi hanno nell'ordinamento giurisdizionale dello Stato.
Pertanto, correttamente il Tribunale superiore ha dichiarato
inammissibile l'appello allo stesso proposto da avvocato non
iscritto nell'albo speciale di cui all'art. 33 r.d.l. n. 1578 del 1933
e ciò giustifica il rigetto del motivo di ricorso. 2. - Il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce viola
zione e falsa applicazione degli art. 1 e 51 1. n. 2359 del 1865, in relazione agli art. 200, 1° comma, lett. b), r.d. n. 1775 del
1933 e 360, n. 3, c.p.c. è inammissibile, trattandosi di censura
in realtà prospettata contro la decisione del tribunale regionale
e non esaminata dal Tribunale superiore a seguito dell'afferma
ta inammissibilità dell'appello (Cass. 25 marzo 1971, n. 850,
Foro it., Rep. 1971, voce Cassazione civile, n. 37).
Conclusivamente, va, pertanto, rigettato il primo motivo di
ricorso e va dichiarato inammissibile il secondo.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 30 marzo
1994, n. 3168; Pres. F.E. Rossi, Est. Luccioli, P.M. Lugaro
(conci, conf.); Spiga (Avv. Fabj) c. Dozza (Avv. D'Avack).
Conferma App. Bologna 17 maggio 1990.
Separazione di coniugi — Assegno di mantenimento — Indagi
ni sui redditi — Giudizi di separazione pendenti — Inapplica bilità (L. 1° dicembre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scio glimento del matrimonio, art. 5; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove
norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio,
art. 10, 23).
Con riguardo all'assegno di mantenimento, la disposizione se
condo cui, in caso di contestazioni, il tribunale dispone inda
gini sui redditi non si applica ai giudizi di separazione perso nale in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 74 del
1987. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 9 ago sto 1982 Umberto Dozza proponeva dinanzi al Tribunale di Bo
logna domanda di separazione personale con addebito alla mo
glie Milena Spiga. La Spiga, costituitasi, chiedeva che la sepa razione fosse pronunciata con addebito al marito e che, tra
l'altro, si condannasse il Dozza a corrisponderle un assegno di
mantenimento.
Con sentenza del 19 gennaio - 24 febbraio 1988 il tribunale
pronunciava la separazione senza addebito e rigettava la do
manda diretta all'ottenimento dell'assegno, compensando inte
ramente le spese processuali tra le parti.
L'appello proposto dalla Spiga era rigettato con sentenza del
27 aprile - 17 maggio 1990 dalla Corte d'appello di Bologna, che compensava le spese del grado.
Osservava in motivazione la corte di merito — limitatamente
ai punti che in questa sede rilevano — che correttamente il tri
bunale aveva escluso l'addebitabilità della separazione al mari
to, non essendo emersa la prova di una violazione cosciente
e volontaria da parte di quest'ultimo dei doveri coniugali, cosi
come correttamente aveva negato alla Spiga il diritto all'asse
gno, non avendo la medesima dimostrato di non disporre di
redditi sufficienti ad assicurarle il tenore di vita goduto durante
la convivenza, e finanche di trovarsi in condizioni economiche
deteriori rispetto a quelle del marito. Rilevava altresì che l'uffi
cio non poteva supplire al mancato assolvimento dell'onere del
la prova disponendo indagini di polizia tributaria, previste solo
per i giudizi di divorzio, e non per quelli di separazione personale. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
Spiga deducendo tre motivi. Il Dozza non ha presentato contro
ricorso, ma si è costituito in cancelleria.
(1) La sentenza assume notevole interesse, dato che, al di là delle
apparenze, sembra definire la questione dell'applicabilità anche in ma
teria di separazione personale della disposizione, di cui all'art. 5, 9°
comma, 1. div., quale novellato dall'art. 10 1. 6 marzo 1987 n. 74, con
cernente la possibilità, per il tribunale, di disporre indagini («valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria») finalizzate all'accertamento
della posizione economica delle parti. La Cassazione, in effetti, considerando rientrare anche la regola in
questione, in quanto «norma processuale», nella sfera operativa della
disposizione transitoria, di cui all'art. 23, 2° comma, 1. n. 74 del 1987, e rilevandone, di conseguenza, «l'inapplicabilità... al presente giudizio»,
pare evidentemente orientarsi a favore della relativa invocabilità, a regi me definitivo, pure con riguardo ai procedimenti di separazione personale.
Con ciò risulta, allora, superato il contrario orientamento, che muo
ve da una restrittiva interpretazione letterale dell'art. 23, 1° comma,
col suo testuale riferimento alle sole «regole di cui all'articolo 4» come
oggetto di estensione ai giudizi di separazione personale (in tal senso,
sia pure in termini critici della scelta legislativa, v. Cipriani (e Quadri), La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1988, II, 354).
Anche, peraltro, chi ritiene la lettera dell'art. 23, 1° comma, ostativa
all'applicabilità in via diretta della disposizione dell'art. 5, 9° comma,
non ha mancato di ipotizzarne l'applicabilità in via analogica: cosi, Bar
biera, I diritti patrimoniali dei separati e dei divorziati, Bologna, 1993, 105.
È, comunque, da ricordare come a favore di una simile applicabilità si sia pronunciata, con ampia motivazione, la giurisprudenza di merito
e, in particolare, Trib. Bari 3 maggio 1988, Foro it., 1988, I, 3093,
nonché Trib. Catania 19 luglio 1988, id., Rep. 1989, voce Separazione di coniugi, n. 67 (ove si parla di applicabilità in via analogica).
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