+ All Categories
Home > Documents > sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M....

sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M....

Date post: 29-Jan-2017
Category:
Upload: lamtu
View: 221 times
Download: 6 times
Share this document with a friend
3
sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Consorzio acquedotti riuniti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio) c. Nocella (Avv. Rubino, Ciccone). Conferma Trib. sup. acque pubbliche 5 ottobre 1992, n. 65 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 1 (GENNAIO 1995), pp. 235/236-237/238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23189225 . Accessed: 28/06/2014 09:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Consorzio acquedotti riuniti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio)

sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M.Di Renzo (concl. parz. diff.); Consorzio acquedotti riuniti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio) c.Nocella (Avv. Rubino, Ciccone). Conferma Trib. sup. acque pubbliche 5 ottobre 1992, n. 65Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 1 (GENNAIO 1995), pp. 235/236-237/238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189225 .

Accessed: 28/06/2014 09:22

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Consorzio acquedotti riuniti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio)

PARTE PRIMA

i terzi, e non operante, invece, nei rapporti fra i soci in relazio

ne ai conferimenti, per i quali rileverebbe pur sempre il rappor to contrattuale di base.

In realtà — precisa la sentenza n. 1027 — anche la liquida zione di quota a seguito di scioglimento del rapporto sociale

limitatamente ad un socio, che la esigenza di continuità dell'im

presa collettiva impone avvenga in denaro e che si traduce in

un diritto di credito per entità corrispondente al valore pro quota del patrimonio sociale, costituisce un credito nei confronti della

società, e non direttamente dei soci, i quali sono soltanto sussi

diaramente responsabili come per ogni altro debito sociale. La

tesi dottrinale secondo cui tale vicenda soggettiva, determinan

do l'accrescimento delle quote degli altri soci, individuerebbero

in questi ultimi, come debitori in proprio, i destinatari dell'a

zione di liquidazione, non tiene conto del fatto che il patrimo nio non appartiene per quota ai soci, come nella comunione,

ma per intero alla società, per cui solo quest'ultima è passiva

mente legittimata alla domanda di liquidazione della quota.

Soggiunge la richiamata sentenza che ben difficilmente, ai fi

ni della liquidazione della quota, il socio receduto o escluso

potrebbe ancora considerarsi socio, e quindi legato da rapporti

interni, logico essendo invece ritenere che egli, nel momento

in cui chiede la liquidazione della quota, sia terzo rispetto al

rapporto sociale, cosi come terzo è il creditore particolare del

socio che agisce per la liquidazione della quota del suo debitore

(v., in tema di società semplice, l'art. 2270, 2° comma, c.c.). Ostacolo a tale costruzione non può ravvisarsi nell'art. 2284

c.c., secondo cui «gli altri (soci) devono liquidare la quota agli

eredi»: questa formula trova spiegazione nel fatto che, in caso

di morte, sono previste anche soluzioni alternative (come la con

tinuazione della società con gli eredi) che modificano il contrat

to sociale e quindi coinvolgono i singoli soci come tali. Né è

insuperabile ostacolo il 3° comma dell'art. 2285 c.c., che impo ne la comunicazione del recesso ai soci con preavviso di almeno

tre mesi: la previsione di tale onere, evidentemente collegato

aWintuitus personae che caratterizza il tipo di società in esame, non esclude che l'obbligazione di liquidazione della quota fac

cia carico alla società ed abbia in quest'ultima, anche proces

sualmente, il soggetto passivamente legittimato. In base alle considerazioni esposte (e ferme le più diffuse ar

gomentazioni svolte nella sentenza 1027/93, cit.) va accolto il

primo motivo del ricorso. Risulta infatti fondata la tesi in dirit

to del ricorrente (anche astraendo dai riferimenti che egli super

fluamente formula alle disposizioni statutarie della società Cites). 3. - Rimane assorbito il secondo motivo, svolto in subordine

per il caso di rigetto del primo. 4. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad

altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte

d'appello di Roma.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 7 apri le 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Renzo (conci, parz. diff.); Consorzio acquedotti riu

niti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio) c. Nocella (Avv. Rubi

no, Ciccone). Conferma Trib. sup. acque pubbliche 5 otto

bre 1992, n. 65.

Acque pubbliche e private — Tribunale superiore delle acque

pubbliche — Appello — Difensore non abilitato al patronicio davanti alle giurisdizioni superiori — Inammissibilità (R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di

avvocato e procuratore, art. 4, 33).

È inammissibile l'appello proposto al Tribunale superiore delle

acque pubbliche da difensore non iscritto nell'albo speciale

degli avvocati abilitati al patronicio davanti alle giurisdizioni

superiori indicate nel 2° comma dell'art. 4 r.d.l. 27 novembre

1933 n. 1578, atteso che tale disposizione (entrata in vigore il 1° febbraio 1934) prevale sulla normativa di cui al r.d. 11

dicembre 1933 n. 1775. (1)

Svolgimento del processo. — Il Tribunale regionale delle ac

que pubbliche di Roma condannava il Consorzio acquedotti riu

niti degli Aurunci alla rifusione del danno subito da Lidia No

cella per la perdita di un'area conseguita alla realizzazione di

opera pubblica occorrente per l'adeguamento di un acquedotto, essendosi verificata la irreversibile trasformazione dell'area ed

essendo scaduto il termine del decreto di occupazione prima dell'emanazione del decreto di espropriazione.

L'appello proposto dal consorzio era dichiarato inammissibi

le dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, il quale osser

vava che il procuratore dell'appellante non risultava iscritto nel

l'albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio davanti alla

Corte di cassazione ed alle altre magistrature superiori (art. 4

e 33 r.d.l. n. 1578 del 1933). Secondo il tribunale non potevano applicarsi analogicamente

— stante il carattere speciale di tali disposizioni — l'art. 30

d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, il quale abilita la parte ad agire

(1) Il patrocinio innanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche può essere assunto soltanto dagli avvocati iscritti nell'albo speciale di cui all'art. 33 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (cfr. Trib. sup. acque 30 ottobre 1989, n. 89, Foro it., Rep. 1989, voce Acque pubbliche, nn. 126-128).

Non si pone secondo le sezioni unite (che con la pronuncia in epigra fe rigettano il ricorso contro la declaratoria di inammissibilità dell'ap pello al Tribunale superiore delle acque firmato da un difensore non iscritto nell'albo speciale dei cassazionisti) alcuna esigenza di accerta mento dell'esatta portata dell'art. 190 t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, per la posteriorità dell'entrata in vigore della normativa sull'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore rispetto al t.u. sulle acque pubbliche.

Né, si afferma ancora nella sentenza, può estendersi in via analogica, perché norma eccezionale, l'art. 30 d.p.r. n. 636 del 1972 che ha modi ficato la disciplina dell'assistenza e della rappresentanza innanzi alle commissioni tributarie (v. Corte cost., ord. 16 giugno 1994, n. 251, id., 1994, I, 2329, con nota di richiami).

L'art. 190 del detto t.u. sulle acque prevede che: «Per i giudizi d'ap pello innanzi al tribunale superiore delle acque si osservano le forme indicate nei precedenti articoli» e cioè le norme che disciplinano il giu dizio avanti al tribunale regionale delle acque pubbliche, ove è previsto il patrocinio del procuratore o avvocato (art. 152, 157, 3° comma).

Le sezioni unite con una precedente sentenza (14 marzo 1983, n. 1879, id., Rep. 1983, voce cit., n. 96) hanno affermato, al contrario (anche se per i giudizi avanti al tribunale regionale delle acque pubbliche), che la normativa speciale di cui al t.u. sulle acque (dove è previsto l'eserci zio cumulativo delle funzioni proprie degli avvocati e di quelle dei pro curatori, in deroga all'ambito territoriale di esercizio ed ai limiti dei

poteri propri delle due distinte professioni: il tribunale territoriale delle

acque può comprendere i distretti di due o più corti d'appello) ha natu ra derogativa rispetto alla disciplina generale delle professioni forensi.

Sulla successione di norme nel tempo, in particolare con riferimento alla data di promulgazione di una legge per stabilirne l'anteriorità o la posteriorità rispetto ad un'altra, v. Corte cost. 20 ottobre 1983, n.

321, id., 1983, I, 2625, con nota di R. Moretti. Cfr., inoltre, Cons.

Stato, ad. plen., 7 febbraio 1978, n. 4, id., 1978, III, 338 (in motivazio

ne); Corte conti 3 gennaio 1948, n. 189, id., 1949, III, 244, con nota di G. Salemi.

In dottrina, A.M. Sandulli, Legge (dir. cost.), voce del Novissimo

digesto, IX, 646 s.; S.M. Cicconetti, Promulgazione e pubblicazione delle leggi, voce dell'Enciclopedia del diritto, XXXVII, 120 ss.

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezioni unite civili; sentenza 7 aprile 1994, n. 3273; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Consorzio acquedotti riuniti degli Aurunci (Avv. D'Onofrio)

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

personalmente o mediante procuratore speciale innanzi alle com

missioni tributarie, né gli art. 152, 154, 157 e 158 t.u. n. 1175 del

1933, i quali consentono il patrocinio di un avvocato o di un

procuratore dinanzi ai tribunali regionali delle acque pubbliche. Avverso questa sentenza il consorzio ha proposto ricorso per

cassazione articolato su due motivi, cui resiste con controricor so la Nocella.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo si deduce

violazione e falsa applicazione degli art. 190, 152, 156 e 157

r.d. n. 1175 del 1933 in relazione agli art. 200, 1° comma, lett.

b), dello stesso r.d. e 360, n. 3, c.p.c. per avere il Tribunale

superiore delle acque pubbliche dichiarato inammissibile l'ap

pello allo stesso proposto con atto sottoscritto da avvocato non

iscritto nell'albo speciale di cui all'art. 4 r.d.l. n. 1578 del 1933, senza tenere presente che l'art. 190 r.d. n. 1175 del 1933 rinvia

espressamente alla disciplina del giudizio di primo grado, per il quale il giudizio innanzi al tribunale regionale delle acque è affidato ad avvocato o procuratore, senza necessità di iscri

zione all'albo speciale. Secondo il ricorrente la disciplina del t.u. sulle acque è suc

cessiva all'adozione del r.d. n. 1578 del 1933 i cui art. 4 e 33

sono stati invocati per sancire l'inammissibilità dell'appello e

la deroga attuata con la norma speciale successiva è stata estesa

con altre disposizioni ad altri campi (art. 30 d.p.r. n. 636 del

1972, in materia di ricorso alla Commissione centrale tributaria). È poi da rilevare, sempre secondo il consorzio, che il giudizio

innanzi al Tribunale superiore si svolge in grado di appello e

non in grado di legittimità come quello di cassazione.

Il motivo di ricorso è infondato. Va infatti rilevato che, ai

sensi dell'art. 4, 2° comma, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche — oltre

che innanzi alla Corte di cassazione e ad altri organi giurisdizio nali tassativamente indicati — il patrocinio può essere assunto

soltanto dagli avvocati iscritti nell'albo speciale di cui all'art.

33 dello stesso r.d.l.

Questo decreto — convertito, con modificazioni, in 1. 22 gen naio 1934 n. 36, pubblicato nella G.U. 30 gennaio 1934, n. 24 — è entrato in vigore il giorno 1° febbraio 1934 (art. 101, 1°

comma, stesso r.d.l.) e, quindi, successivamente al r.d. 11 di

cembre 1933 n. 1775, pubblicato nella G.U. 8 gennaio 1934, n. 5.

Da quanto precede risulta evidente che — proprio per l'ante

riorità dell'entrata in vigore del t.u. sulle acque pubbliche ri

spetto alla normativa relativa all'ordinamento della professione di avvocato — è ultronea ogni discussione volta ad accertare

se l'art. 190 t.u. del 1933 — per il quale «per i giudizi di appel lo innanzi al Tribunale superiore delle acque si osservano le

forme indicate nei precedenti articoli» — consentisse o meno

l'applicabilità delle disposizioni relative al procedimento innan

zi ai tribunali regionali delle acque pubbliche anche con riferi

mento al patrocinio, atteso che la disposizione contenuta nel

l'art. 4, prima richiamato, quale norma regolatrice del patroci nio innanzi alle magistrature superiori, prevale su ogni contraria

disposizione antecedente, per il principio di cui all'art. 15 preleggi. Le precedenti conclusioni non sono contrastate né con il ri

chiamo all'art. 30 d.p.r. n. 636 del 1972 che ha modificato la

disciplina dell'assistenza e della rappresentanza innanzi alle com

missioni tributarie e, quindi, anche innanzi alla Commissione

tributaria centrale, proprio perché, la stessa, quale norma ecce

zionale, non può estendersi, in via analogica, a casi diversi da

quelli espressamente disciplinati, né con il rilievo circa il fatto

che il giudizio innanzi al Tribunale superiore è un giudizio di

appello e non di legittimità, dal momento che il disposto del

l'art. 4, 2° comma, si giustifica non in base alla natura del

giudizio che si svolge innanzi ai vari organi giurisdizionali dallo

stesso richiamati, ma alla posizione di vertice che tali organi hanno nell'ordinamento giurisdizionale dello Stato.

Pertanto, correttamente il Tribunale superiore ha dichiarato

inammissibile l'appello allo stesso proposto da avvocato non

iscritto nell'albo speciale di cui all'art. 33 r.d.l. n. 1578 del 1933

e ciò giustifica il rigetto del motivo di ricorso. 2. - Il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce viola

zione e falsa applicazione degli art. 1 e 51 1. n. 2359 del 1865, in relazione agli art. 200, 1° comma, lett. b), r.d. n. 1775 del

1933 e 360, n. 3, c.p.c. è inammissibile, trattandosi di censura

in realtà prospettata contro la decisione del tribunale regionale

e non esaminata dal Tribunale superiore a seguito dell'afferma

ta inammissibilità dell'appello (Cass. 25 marzo 1971, n. 850,

Foro it., Rep. 1971, voce Cassazione civile, n. 37).

Conclusivamente, va, pertanto, rigettato il primo motivo di

ricorso e va dichiarato inammissibile il secondo.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 30 marzo

1994, n. 3168; Pres. F.E. Rossi, Est. Luccioli, P.M. Lugaro

(conci, conf.); Spiga (Avv. Fabj) c. Dozza (Avv. D'Avack).

Conferma App. Bologna 17 maggio 1990.

Separazione di coniugi — Assegno di mantenimento — Indagi

ni sui redditi — Giudizi di separazione pendenti — Inapplica bilità (L. 1° dicembre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scio glimento del matrimonio, art. 5; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove

norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio,

art. 10, 23).

Con riguardo all'assegno di mantenimento, la disposizione se

condo cui, in caso di contestazioni, il tribunale dispone inda

gini sui redditi non si applica ai giudizi di separazione perso nale in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 74 del

1987. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 9 ago sto 1982 Umberto Dozza proponeva dinanzi al Tribunale di Bo

logna domanda di separazione personale con addebito alla mo

glie Milena Spiga. La Spiga, costituitasi, chiedeva che la sepa razione fosse pronunciata con addebito al marito e che, tra

l'altro, si condannasse il Dozza a corrisponderle un assegno di

mantenimento.

Con sentenza del 19 gennaio - 24 febbraio 1988 il tribunale

pronunciava la separazione senza addebito e rigettava la do

manda diretta all'ottenimento dell'assegno, compensando inte

ramente le spese processuali tra le parti.

L'appello proposto dalla Spiga era rigettato con sentenza del

27 aprile - 17 maggio 1990 dalla Corte d'appello di Bologna, che compensava le spese del grado.

Osservava in motivazione la corte di merito — limitatamente

ai punti che in questa sede rilevano — che correttamente il tri

bunale aveva escluso l'addebitabilità della separazione al mari

to, non essendo emersa la prova di una violazione cosciente

e volontaria da parte di quest'ultimo dei doveri coniugali, cosi

come correttamente aveva negato alla Spiga il diritto all'asse

gno, non avendo la medesima dimostrato di non disporre di

redditi sufficienti ad assicurarle il tenore di vita goduto durante

la convivenza, e finanche di trovarsi in condizioni economiche

deteriori rispetto a quelle del marito. Rilevava altresì che l'uffi

cio non poteva supplire al mancato assolvimento dell'onere del

la prova disponendo indagini di polizia tributaria, previste solo

per i giudizi di divorzio, e non per quelli di separazione personale. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la

Spiga deducendo tre motivi. Il Dozza non ha presentato contro

ricorso, ma si è costituito in cancelleria.

(1) La sentenza assume notevole interesse, dato che, al di là delle

apparenze, sembra definire la questione dell'applicabilità anche in ma

teria di separazione personale della disposizione, di cui all'art. 5, 9°

comma, 1. div., quale novellato dall'art. 10 1. 6 marzo 1987 n. 74, con

cernente la possibilità, per il tribunale, di disporre indagini («valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria») finalizzate all'accertamento

della posizione economica delle parti. La Cassazione, in effetti, considerando rientrare anche la regola in

questione, in quanto «norma processuale», nella sfera operativa della

disposizione transitoria, di cui all'art. 23, 2° comma, 1. n. 74 del 1987, e rilevandone, di conseguenza, «l'inapplicabilità... al presente giudizio»,

pare evidentemente orientarsi a favore della relativa invocabilità, a regi me definitivo, pure con riguardo ai procedimenti di separazione personale.

Con ciò risulta, allora, superato il contrario orientamento, che muo

ve da una restrittiva interpretazione letterale dell'art. 23, 1° comma,

col suo testuale riferimento alle sole «regole di cui all'articolo 4» come

oggetto di estensione ai giudizi di separazione personale (in tal senso,

sia pure in termini critici della scelta legislativa, v. Cipriani (e Quadri), La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1988, II, 354).

Anche, peraltro, chi ritiene la lettera dell'art. 23, 1° comma, ostativa

all'applicabilità in via diretta della disposizione dell'art. 5, 9° comma,

non ha mancato di ipotizzarne l'applicabilità in via analogica: cosi, Bar

biera, I diritti patrimoniali dei separati e dei divorziati, Bologna, 1993, 105.

È, comunque, da ricordare come a favore di una simile applicabilità si sia pronunciata, con ampia motivazione, la giurisprudenza di merito

e, in particolare, Trib. Bari 3 maggio 1988, Foro it., 1988, I, 3093,

nonché Trib. Catania 19 luglio 1988, id., Rep. 1989, voce Separazione di coniugi, n. 67 (ove si parla di applicabilità in via analogica).

This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended