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sezioni unite civili; sentenza 7 ottobre 1994, n. 8192; Pres. Montanari Visco, Est. Vittoria, P.M....

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Page 1: sezioni unite civili; sentenza 7 ottobre 1994, n. 8192; Pres. Montanari Visco, Est. Vittoria, P.M. Morozzo Della Rocca (concl. diff.); Bodino (Avv. Anfossi, Taddei) c. Comune di Demonte

sezioni unite civili; sentenza 7 ottobre 1994, n. 8192; Pres. Montanari Visco, Est. Vittoria, P.M.Morozzo Della Rocca (concl. diff.); Bodino (Avv. Anfossi, Taddei) c. Comune di Demonte (Avv.Cochetti, Rossi). Cassa App. Torino 31 dicembre 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 549/550-553/554Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188831 .

Accessed: 28/06/2014 08:27

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'ente previdenziale competente l'indirizzo errato della pro

pria abitazione. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo la ricorrente

deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 1. 29 feb

braio 1980 n. 33 e art. 5 1. 638/80 nonché dell'art. 11 1. 138/43, nonché l'insufficiente motivazione sul punto (art. 360, nn. 3

e 5, c.p.c.). Deduce la ricorrente che secondo la giurisprudenza di questa

corte, 4591/89 (Foro it., 1990, I, 1307), l'omessa indicazione

del proprio domicilio non comporta automaticamente ai sensi

dell'art. 5, 14° comma, 1. 638/83 la decadenza dal trattamento

di malattia, ma soltanto nella misura in cui essa non consente

all'Inps di eseguire la visita di controllo. Altra sentenza, 721/92

(id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 511), ha precisato che detta indicazione è necessaria, al fine di evitare la decaden

za, solo nei casi in cui il luogo di dimora sia differente dal

domicilio abituale, essendo questo noto all'Inps per effetto del

la dichiarazione imposta al datore di lavoro dall'art. 11,2° com

ma, 1. 138/43.

Aggiungeva che, trattandosi di certificazione di proseguimen to di malattia, l'effettivo domicilio della Sargenti risultava dai

precedenti certificati.

Le censure sono infondate. La fattispecie in oggetto, indica

zione di un domicilio diverso da quello effettivo, è diversa da

quella esaminata nelle ricordate sentenze di questa corte, omes

sa indicazione del domicilio, e postula, per i principi affermati

in dette sentenze e nella costante giurisprudenza di legittimità, la decadenza dell'assicurato dal trattamento di malattia. Men

tre, infatti, nel caso di omessa indicazione del proprio domici

lio, ove questo non sia mutato nel frattempo, l'istituto può sul

la base degli atti in suo possesso accettarlo e provvedere tempe stivamente alla visita di controllo, con la indicazione di un

domicilio diverso, invece, l'assicurato realizza l'elusione dalla

(1) Non si rinvengono precedenti in termini, dato che, come è sottoli neato nella motivazione della sentenza la precedente elaborazione giuris prudenziale, nella cui logica pure Cass. 9677/94 ha specificato di muo

versi, si è formata con riferimento alla diversa fattispecie dell'omissione della comunicazione dell'indirizzo. Onde, sempre secondo la decisione

sopra riportata, solo in quest'ultimo caso e non in quello ora deciso si giustificano i distinguo giurisprudenziali legati alla possibilità dell'en

te di effettuare ugualmente il controllo di malattia sulla base dell'indi rizzo già in suo possesso, ove non mutato nel frattempo (cfr., anche

per varie articolazioni al riguardo, i richiami nella nota di L. de Ange

lis, L'omessa e tardiva trasmissione del certificato di malattia e i con trolli dell'infermità del lavoratore nella giurisprudenza più recente

(1990-1992), in Foro it., 1992, I, 2746, spec. § 2. Cfr., inoltre, le pro nunce successive Cass. 19 marzo 1994, n. 2641, id., Mass., 224, enun

ciata nel senso che la tempestiva trasmissione all'Inps del certificato

contenente il diverso indirizzo non consente il diniego dell'erogazione del trattamento economico; sez. un. 2 febbraio 1993, n. 1283, id., 1993,

I, 1085, con nota di richiami. Per la necessità della comunicazione al

l'ente anche dell'indirizzo abituale, oltre alle decisioni richiamate nella

nota da ultimo citata e in quella di de Angelis pure citata, cfr. Trib. Torino 29 dicembre 1993, Dir. e pratica lav., 1994, 2563, m.). Nell'ipo tesi della comunicazione dell'indirizzo erroneo, invece, si realizza, sem

pre secondo la sentenza in epigrafe, l'elusione della tempestiva visita di controllo, in quanto l'istituto non può inviare il medico in altro luo

go che al domicilio indicato nel certificato, né, d'altronde, può avve

dersi dell'errore neppure sulla base di precedenti certificazioni della stessa

malattia, potendo l'assicurato mutare la dimora nel corso di essa.

Va sottolineato che Cass. 9677/94 puntualizza l'irrilevanza della cir

costanza che l'indicazione sbagliata sia difesa da errore materiale o da

fatto involontario, ritenendo infatti essere sufficiente la colpa ad inte

grare l'imputabilità dell'inadempimento del debitore ex art. 1218 c.c.

Alle note sopra richiamate, e in specie a quella di de Angelis, con i

relativi richiami a catena, si rinvia circa le posizioni giurisprudenziali in ordine alla diversa ipotesi dell'(omesso o ritardato) invio del certifi

cato, e in ordine al prodursi dell'effetto (mancata insorgenza o deca

denza dal diritto) per tutto il periodo della malattia o per i soli giorni di ritardo.

Per Cass. 27 aprile 1991, n. 4687, Foro it., Rep. 1991, voce Previ

denza sociale, n. 544, se nel certificato medico inviato all'Inps sia stato

indicato un luogo di dimora diverso da quello di residenza anagrafica, la sanzione della decadenza non può essere applicata in caso di irreperi bilità al controllo eseguito presso quest'ultimo, essendo in contrario ir

rilevante che esso non sia stato comunicato al datore di lavoro.

In materia di controlli di malattia, cfr., da ultimo, Cass. 16 aprile 1994, n. 3642, id., 1994, I, 2398, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1995.

tempestiva visita di controllo, cioè l'inadempimento sanzionato

dall'art. 5, 14° comma, 1. 638/73. Invero, l'istituto non può inviare il medico per il controllo in altro luogo che al domicilio

indicato nel certificato, né peraltro può avvedersi dell'errore,

neppure sulla base di precedenti certificazioni della stessa ma

lattia, ben potendo l'assicurato mutare la dimora anche durante

il corso di essa.

Né, infine, rileva che la falsa indicazione sia dipesa da un

errore materiale involontario, essendo sufficiente la colpa ad

integrare l'imputabilità dell'inadempimento al debitore ex art.

1218 c.c. Sul punto, il tribunale ha accertato la sussistenza della

colpa per negligenza con accertamento di fatto insindacabile per ché sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici e

giuridici.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 7 ot

tobre 1994, n. 8192; Pres. Montanari Visco, Est. Vittoria, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, diff.); Bodino (Avv.

Anfossi, Taddei) c. Comune di Demonte (Aw. Cochetti,

Rossi). Cassa App. Torino 31 dicembre 1991.

Contratti agrari — Terreni demaniali — Concessione — Paga mento del canone — Controversie — Competenza della se

zione specializzata agraria — Tentativo di conciliazione —

Esclusione (L. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribu

nali amministrativi regionali, art. 5; 1. 11 febbraio 1971 n.

11, nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici, art. 26; 1.

3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 46).

Nel caso di terreni demaniali o appartenenti al patrimonio indi

sponibile dello Stato o di altri enti pubblici concessi a privati

per uso pascolativo, le controversie relative al pagamento del

canone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario e

nella competenza delle sezioni specializzate agrarie; ma, poi ché tale concessione non dà luogo a contratto agrario, va esclu

so il tentativo di conciliazione ex art. 46 l. 203/82. (1)

(1) A fronte della richiesta del comune di Demonte di pagamento dei canoni, sulla base della delibera della giunta municipale, che aveva

approvato il verbale d'asta relativo all'aggiudicazione dei terreni pasco lativi al privato concessionario, la corte del merito aveva escluso la giu risdizione del giudice amministrativo (art. 5 1. 1034/71), e in mancanza

di contratto agrario aveva anche escluso la competenza della sezione

specializzata agraria e quindi l'obbligo del tentativo di conciliazione in

nanzi all'ispettorato provinciale dell'agricoltura, previsto dall'art. 46 1.

203/82 per ogni controversia agraria prima di adire l'autorità giudiziaria. L'odierna sentenza ha confermato l'esclusione della giurisdizione del

giudice amministrativo (art. 5 1. 1034/71), e ritenuto la competenza del

giudice ordinario, e però della sezione specializzata agraria ex art. 26

1. 11/71, ed ancora, per via della esclusione del contratto agrario, ha

anche ritenuto che non era necessario il tentativo di conciliazione ex

art. 46 1. 203/82.

La sentenza ha confermato il risalente orientamento giurisprudenzia le secondo cui non è applicabile alla concessione per uso agricolo dei

terreni demaniali o del patrimonio indisponibile dello Stato o altri enti

pubblici la legislazione speciale agraria, salvo che per le controversie

sul canone che sono di competenza delle sezioni specializzate agrarie

(Cass. 30 aprile 1949, n. 1067, Foro it., 1949, I, 837; 25 maggio 1971, n. 1538, id., 1971, I, 2815; 9 gennaio 1973, n. 8, id., 1973, I, 1098; 8 aprile 1976, n. 1225, id., Rep. 1976, voce Contratti agrari, n. 293; 24 marzo 1983, n. 2069, id., Rep. 1983, voce cit., n. 188; 1° febbraio

1985, n. 660, id., Rep. 1985, voce cit., n. 90; Cons. Stato, sez. IV,

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PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — 1. - Il comune di Demonte con

veniva in giudizio Giuseppe Bodino e, con la citazione a com

parire davanti al Tribunale di Torino, notificata il 22 ottobre

1986, proponeva in suo confronto una domanda di condanna

al pagamento di somma di denaro.

L'attore esponeva che Giuseppe Bodino era risultato aggiudi

catario, per il canone annuo di lire 2.705.000, nell'asta pubblica indetta per l'affitto delle erbe dell'alpe pascolativa «Kant o Tra

del Mes», affitto della durata di tre anni decorrenti dalla sta

gione pascolativa 1985. La giunta municipale, con deliberazione

16 maggio 1985, n. 75, aveva approvato il verbale di aggiudica zione e Giuseppe Bodino era stato invitato a corrispondere i

canoni, ma ne aveva rifiutato il pagamento. 2. - Giuseppe Bodino si costituiva in giudizio e resisteva al

l'accoglimento della domanda opponendo difese pregiudiziali e

di merito.

3. - Il Tribunale di Torino accoglieva la domanda e la deci

sione, impugnata da Giuseppe Bodino, veniva confermata dalla

corte d'appello con sentenza 31 dicembre 1991, n. 1517.

La corte d'appello riteneva: — che all'aggiudicazione non avesse fatto seguito la conclu

sione del contratto, sicché il rapporto aveva trovato la sua fon

te nel provvedimento amministrativo di concessione; — che la giurisdizione sulla domanda del comune spettava

al giudice ordinario, a norma del 2° comma dell'art. 5 1. 6 di

cembre 1971 n. 1034. — che, in mancanza del contratto, la competenza a conosce

re della domanda di pagamento dei canoni non poteva spettare alla sezione specializzata agraria e, non trattandosi di contro

versia agraria, non ricorreva l'obbligo di sperimentare il tentati

vo di conciliazione.

4. - Giuseppe Bodino ha proposto ricorso per cassazione. Il

comune di Demonte ha resistito con controricorso ed ha solle

vato un'eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale. Il comune ha poi depositato memoria.

Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Il ricorso contiene

tre motivi.

Il primo di questi motivi denunzia i vizi di violazione di nor

16 maggio 1983, n. 305, id., Rep. 1983, voce cit., n. 189; ad. plen. 3 luglio 1986, n. 7, id., 1986, III, 443, con commento di D. Bellan

tuono; Cass., sez. un., 21 aprile 1989, n. 1889, id., Rep. 1989, voce

cit., n. 87, e Giur. agr. it., 1989, 617, e 657, con commento di Carelli). La questione può brevemente riassumersi come segue. L'art. 22 1. 11/71, nella sua originaria formulazione, disponeva che

«Le norme della 1. 12 giugno 1962 n. 567 e della presente legge si appli cano anche ai terreni che comunque vengano concessi per l'utilizzazio ne agricola o silvo-pastorale dallo Stato, dalle province, dai comuni e da altri enti. Qualora vi sia richiesta da parte di lavoratori manuali della terra o coltivatori diretti, singoli o associati, lo Stato, le province, i comuni e gli altri enti, per la concessione o l'affitto dei terreni di loro proprietà devono adottare la licitazione privata.

La disposizione del comma precedente si applica anche al caso che sia stata indetta un'asta pubblica.

Qualora vi sia pluralità di richieste, si procederà alla concessione me diante sorteggio».

L'art. 22 1. 11/71 è stato modificato dall'art. 9 d.l. 546/81, converti to con la 1. 692/81, come segue: «Resta, altresì, ferma l'applicabilità delle norme sull'affitto dei fondi rustici anche ai terreni demaniali, o

soggetti al regime dei beni demaniali di qualsivoglia natura, apparte nenti ad enti pubblici territoriali e non territoriali, fino a che ne persiste l'utilizzazione agricola o silvo-pastorale dei terreni medesimi, in confor mità di quanto disposto dall'art. 22 1. 11/71».

Sorta questione sulla interpretazione dell'art. 9 d.l. 546/81, come con

vertito, la terza sezione del Consiglio di Stato, con parere n. 537 del 10 aprile 1984, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 97, su quesito posto dal ministero delle finanze, aveva ritenuto che l'art. 9 d.l. 546/81, come

convertito, aveva valore di interpretazione autentica della precedente disciplina, per cui doveva ritenersi che la normativa sui fondi rustici era integralmente applicabile anche ai terreni demaniali o appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato o di altri enti pubblici, affidati in concessione per la utilizzazione agricola o pastorale.

Ma la ricordata giurisprudenza, anche dopo la modifica dell'art. 22 1. 11/71, avvenuta con l'art. 9 d.l. 546/81, come convertito, ha ritenuto che quest'ultima disposizione inerisce solo alla determinazione del ca

none, ma non comporta l'assoggettamento dei beni demaniali o facenti

parte del patrimonio indisponibile dello Stato o di altri enti pubblici alla disciplina della proroga dei contratti agrari (Cass. 2069/83 e 660/85,

11 Foro Italiano — 1995.

me sulla competenza, di norme di diritto e di norme sul proce

dimento (art. 360, nn. 2, 3 e 4, c.p.c.). Il ricorrente sostiene che, per effetto della aggiudicazione, ed

in conseguenza della redazione del verbale di aggiudicazione d'a

sta, fra le parti s'è perfezionato il vincolo contrattuale: ciò per

ché, pur essendone prevista la stipulazione, la nascita del rap

porto non era stata differita alla formazione dell'atto contrat

tuale, che veniva ad assumere una natura solo riproduttiva.

Da questa premessa il ricorrente trae la conseguenza che ogni

domanda concernente la tutela ed il rispetto dei diritti derivanti

dal contratto rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario

e però nella competenza delle sezioni specializzate agrarie: si

trattava, infatti, di stabilire se al comune spettava il diritto al

pagamento del canone, la determinazione della cui misura, ove

fosse spettato, avrebbe dovuto esser operata sulla base degli

art. 22 e 26 1. 11 febbraio 1971 n. 11.

Le conclusioni cui il ricorrente perviene sono che la sentenza

impugnata va cassata senza rinvio, perché la domanda non avreb

be potuto esser proposta, non essendo stata preceduta, come

invece avrebbe dovuto, da tentativo di conciliazione (art. 46

1. 3 maggio 1982 n. 203); in ogni caso andrebbe affermata la

competenza della sezione specializzata agraria. Il secondo motivo, subordinatamente al rigetto del primo, pro

pone una questione attinente alla giurisdizione (art. 360, n. 1,

c.p.c., in relazione all'art. 5 1. 6 dicembre 1971 n. 1034).

Il ricorrente sostiene che, se fosse esatto quanto ha dichiarato

la sentenza impugnata, cioè che non è sorto un rapporto con

trattuale, allora il titolo della pretesa del comune avrebbe dovu

to esser ritenuto non il diritto al pagamento del corrispettivo

preveduto dalla concessione, ma un diritto al risarcimento del

danno da inadempimento degli obblighi derivanti dalla conces

sione e che perciò la controversia sarebbe rientrata nella giuris dizione del giudice amministrativo.

Il terzo ed ultimo motivo denunzia un vizio di violazione di

norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c.). Il ricorrente sostiene che, ammessa la giurisdizione del giudi

ce ordinario e ritenuta necessaria la stipulazione del contratto,

dalla mancanza di questo si sarebbe dovuto trarre la conseguen

cit.); ovvero che l'applicabilità della normativa sull'affitto dei fondi ru

stici è incompatibile con il regime giuridico dei beni indisponibili dello

Statp o di altri enti pubblici, e che il cit. art. 9 d.l. 546/81 non ha

mutato la situazione inserito com'è in un testo legislativo che solo mar

ginalmente si occupa della materia allo scopo di regolare uno specifico

aspetto, e non potendo comunque tale norma essere inequivocabilmente

interpretata nel senso della applicabilità ai terreni demaniali o facenti

parte del patrimonio indisponibile della normativa sui contratti agrari

(Cons. Stato 305/83, cit.). Va aggiunto che l'esclusione dell'applicazione della normativa sui con

tratti agrari, con la sentenza in epigrafe, è stata estesa, pur ammetten dosi la competenza delle sezioni specializzate agrarie per le controversie sul canone, al tentativo di conciliazione ex art. 46 1. 203/82.

Se finalità del tentativo di conciliazione ex art. 46 è quella di filtro onde evitare, in caso di conciliazione, l'intervento dell'autorità giudizia ria, non si vede come e perché tale filtro non possa operare per la concessione di beni demaniali o appartenenti al patrimonio indisponibi le, quando innanzi alle sezioni specializzate agrarie si discuta di canone che può essere riportato eventualmente a quello equo, se eccedente quanto stabilito per legge.

Ma, più in generale restano ancora valide le critiche della dottrina all'orientamento giurisprudenziale, che con la sentenza in rassegna vie ne riproposto, sotto l'aspetto che la utilizzazione agricola dei terreni non va a detrimento della conservazione ed utilizzazione primaria pub blicistica di parecchie categorie di beni. La pubblica amministrazione,

per i terreni ad uso agricolo concessi ai privati, può utilizzare alternati vamente la concessione o il contratto (quest'ultimo, deve avere natural mente la forma scritta ed essere preceduto dalla deliberazione di esso da parte degli organi competenti della pubblica amministrazione). Ed al giorno d'oggi, al contrario di quanto avveniva in passato, l'azione dei pubblici poteri si svolge sempre più in forme contrattuali, anche

per disciplinare rapporti di diritto pubblico vero e proprio, come avvie ne ad esempio nel campo della concessione dei pubblici servizi. Per il perseguimento dell'interesse pubblico, la pubblica amministrazione

può avere la necessità di stipulare contratti di affitto di durata inferiore a quella legale (che è di quindici anni, secondo la 1. 203/82), e tanto

appare possibile con i contratti in deroga ai sensi dell'art. 45 1. cit.

[D. Bellantuono]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

za che tra le parti non era sorto alcun rapporto e che il comune

non aveva diritto al pagamento dei canoni.

3. - Il secondo motivo del ricorso non è fondato e deve essere

dichiarato che conoscere della causa appartiene alla competenza

giurisdizionale del giudice ordinario.

È parzialmente fondato il primo motivo, dovendosi dichiara

re che competente a conoscere della controversia è la sezione

specializzata agraria. Il terzo motivo resta assorbito.

4. - La sentenza del Tribunale di Torino, confermata dalla

corte d'appello, ha accolto la domanda proposta dal comune

di Demonte e ne ha accertato il diritto al pagamento dei canoni

pretesi: ciò sulla base della delibera della giunta municipale, che aveva approvato il verbale d'asta contenente l'aggiudicazio ne a Giuseppe Bodino, l'attuale ricorrente, dell'affitto delle er

be d'un pascolo comunale («l'alpe pascolativa Kant o Tra del

Mes») appartenente all'ente territoriale e soggetto ad uso civico.

La sentenza impugnata ha escluso che la controversia rien

trasse nel tipo di quelle che sono di competenza delle sezioni

specializzate agrarie: ciò per il motivo che l'aggiudicazione non

era stata seguita dalla stipulazione del contratto.

La corte d'appello ha anche ritenuto che ad attrarre la con

troversia al tipo di quelle che sono di competenza delle sezioni

specializzate agrarie non potesse valere l'eccezione opposta dal

convenuto, il quale aveva sostenuto che il canone preteso era

superiore all'equo canone.

Al contrario di quanto affermato dalla sentenza impugnata, la controversia era di quelle che, secondo il disposto dell'art.

26, 1° comma, 1. 11 febbraio 1971 n. 11, sono di competenza della sezioni specializzate agrarie: ciò per le ragioni di seguito

esposte. L'art. 5 1. 10 dicembre 1973 n. 814 ha aggiunto all'art. 24

1. 11 febbraio 1971 n. 11 un quinto comma disponendo che

«per i terreni appartenenti al demanio pubblico e per quelli del

le regioni, province e comuni soggetti al regime dei beni dema

niali, dati in concessione per lo sfalcio d'erbe o per il pascolo, 1 canoni da corrispondere saranno determinati dalle commissio

ni tecniche provinciali in base ai canoni medi provinciali, stabi

liti in applicazione dei criteri della presente legge, ridotti del

70%».

I canoni derivanti dalla applicazione della norma ora ripro

dotta sono stati mantenuti fermi dall'art. 9, 3° comma, d.l.

2 ottobre 1981 n. 546 conv. con mod. nella 1. 1° dicembre 1981

n. 692 che ha tra l'altro dettato norme di adeguamento della

misura dei canoni demaniali.

L'art. 1 1. n. 692 del 1981 ha d'altro canto aggiunto all'art.

9 d.l. 2 ottobre 1981 n. 546 un comma del seguente tenore:

«Resta, altresì, ferma l'applicabilità delle norme sull'affitto dei

fondi rustici anche ai terreni demaniali, o soggetti al regime

dei beni demaniali di qualsivoglia natura, appartenenti ad enti

pubblici territoriali e non territoriali, fino a che persista la uti

lizzazione agricola o silvopastorale dei terreni medesimi, in con

formità di quanto disposto dall'art. 22 1. 11 febbraio 1971 n.

11». Il quale art. 22 aveva dichiarato applicabili «ai terreni che

comunque vengono concessi per l'utilizzazione agricola o silvo

pastorale dallo Stato, dalle province, dai comuni e da altri enti»

le norme della 1. 12 giugno 1962 n. 567 e della stessa 1. 11 feb

braio 1971 n. 11.

Dalle norme richiamate si trae che ai rapporti aventi ad og

getto la concessione in godimento di beni appartenenti ad enti

territoriali, soggetti al regime dei beni demaniali, si applica la

disciplina sulla determinazione dell'equo canone (sez. un. 21 apri

le 1989, n. 1889, Foro it., Rep, 1989, voce Contratti agrari,

n. 87). Fatta questa premessa, va osservato che il comune di Demon

te aveva dedotto d'aver dato in concessione il pascolo all'attua

le ricorrente ed aveva su questa base domandato il pagamento

del canone: a norma dell'art. 5, 2° comma, 1. 6 dicembre 1971

n. 1034 la controversia apparteneva alla giurisdizione dell'auto

rità giudiziaria ordinaria né rilevava, per spostare la controver

sia nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo,

che il convenuto avesse contrapposto a tale domanda il fatto

che il bene avesse presentato alla consegna caratteristiche diver

se da quelle indicate nel bando, cosi opponendo nella sostanza

una eccezione di inadempimento.

li Foro Italiano — 1995.

L'accertamento relativo al diritto dedotto in giudizio veniva

poi a dipendere dall'applicazione delle norme sulla determina

zione del canone equo, giacché, in ragione della difesa proponi bile e in concreto opposta dal convenuto, diveniva necessario

verificare se il canone richiesto corrispondeva a quello equo. S'era perciò in presenza d'una controversia relativa all'attua

zione della 1. 11 febbraio 1971 n. 11 e di altre leggi o norme

sull'affitto, di competenza delle sezioni specializzate agrarie (Cass. 17 febbraio 1986, n. 938, id., Rep. 1986, voce cit., n. 400; 20

agosto 1991, n. 8941, id., Rep. 1991, voce cit., n. 255). L'indicata competenza non avrebbe potuto essere esclusa per

il motivo tenuto in considerazione dalla sentenza impugnata. Stabilire se la mancata stipulazione del contratto dopo l'in

tervenuta approvazione dell'aggiudicazione aveva impedito il ve

nir in essere del contratto medesimo e se questo non era invece

da considerare già concluso per effetto dell'aggiudicazione, sal

vo l'intervento dell'approvazione quale condizione di diritto per la sua efficacia, implicava un'interpretazione delle deliberazioni

assunte dall'ente territoriale, giacché, se non è espressa dallo

stesso ente una diversa volontà, nei contratti stipulati dalla pub blica amministrazione con il sistema dell'asta, l'aggiudicazione

segna il momento perfezionativo del contratto, al quale può si seguire la stipulazione d'un atto formale, però con valore

ricognitivo, o meglio di mera riproduzione del negozio già con

cluso (Cass. 17 giugno 1991, n. 6846, ibid., voce Contratti della

p.a., n. 83).

Interpretare gli atti del procedimento di scelta del contraente

e valutare i riflessi d'una eventualmente intervenuta o non in

tervenuta conclusione del contratto in rapporto al diritto dedot

to in giudizio spettava alla sezione specializzata agraria trattan

dosi di questioni inerenti alla applicazione delle norme che re

golano l'ammontare dei canoni dovuti in caso di concessione

dei beni demaniali dati in godimento per lo svolgimento su di

essi di attività agricole. Fissato il punto che la controversia rientrava nella giurisdi

zione dell'autorità giudiziaria ordinaria e nella competenza del

la sezione specializzata agraria, è però da ritenere che in rela

zione ad essa non dovesse trovare applicazione la norma sul

tentativo di conciliazione dettata dall'art. 46 1. 203/82.

La corte (nella sentenza 21 aprile 1989, n. 1889, cit.) ha già

posto in evidenza che la concessione di beni demaniali per uso

agricolo non dà luogo ad un contratto agrario né il rapporto che ha origine da tale concessione è stato assoggettato dalle leg

gi in materia di contratti agrari alla medesima disciplina di questi.

La controversia in esame non può allora essere ritenuta avere

riguardo a un contratto agrario e ciò vale ad escludere che essa

ricada nell'ambito di applicazione dei commi 1° a 5° dell'art. 46.

Conferma di ciò si trae da un dato testuale attinente alla strut

turazione del tentativo di conciliazione, in particolare dalla pre visione della assistenza dei rapresentanti delle associazioni pro

fessionali di categoria, non apparendo riconducibile all'interes

se collettivo da queste tutelato, quello d'un ente pubblico

territoriale alla gestione d'un bene demaniale.

5. - Il ricorso è accolto, nei limiti indicati, e la sentenza è

cassata per violazione di norme sulla competenza.

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