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sezioni unite civili; sentenza 8 febbraio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. Di...

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sezioni unite civili; sentenza 8 febbraio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. Di Renzo (concl conf.); Di Cataldo (Avv. Camanni) c. Galli (Avv. Biamonti, Porta). Cassa Trib. Sondrio 28 giugno 1988 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 4 (APRILE 1995), pp. 1161/1162-1171/1172 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188729 . Accessed: 28/06/2014 08:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.117 on Sat, 28 Jun 2014 08:26:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 8 febbraio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. DiRenzo (concl conf.); Di Cataldo (Avv. Camanni) c. Galli (Avv. Biamonti, Porta). Cassa Trib.Sondrio 28 giugno 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 4 (APRILE 1995), pp. 1161/1162-1171/1172Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188729 .

Accessed: 28/06/2014 08:26

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

puto di una indennità integrante — come non è controverso — una forma di previdenza aziendale, non rientrante in quanto tale nella assicurazione generale obbligatoria, e, pertanto, stret

tamente inerente al rapporto di lavoro dipendente (v. tra le al

tre, da ultimo, Cass., sez. un., 5 febbraio 1994, n. 1166, id.,

Mass., 81; 15 marzo 1993, n. 3059, id., Rep. 1993, voce Impie

gato dello Stato, n. 1389), il presupposto che deve essere accer

tato ai fini della giurisdizione è la natura pubblica o privata dell'ente datore di lavoro e, quindi, del relativo rapporto con

i dipendenti. Ora, non è sufficiente per attribuire all'Istituto Sacra fami

glia la natura di ente pubblico la circostanza che trattasi di un'i

stituzione pubblica di assistenza e beneficenza, a norma del

l'art. 1 1. 7 luglio 1890 n. 6972 (v. Cass., sez. un., 25 novembre

1982, n. 6367, id., Rep. 1982, Istituzioni pubbliche di assisten

za, n. 23). Tale disposizione comportava l'acquisto della personalità giu

ridica di diritto pubblico da parte di tutti gli enti che avessero

scopi di assistenza e beneficenza, indipendentemente dalla loro

origine pubblica o privata o religiosa, dalla loro struttura o dal

la fonte dei mezzi di finanziamento.

Sennonché la situazione è mutata, come è noto, per effetto

della sentenza 7 aprile 1988, n. 396 {id., 1989, I, 46) della Corte

costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituziona

le dell'art. 2 1. n. 6972 del 1890, nella parte in cui non prevede

che le Ipab regionali e infraregionali possano continuare a sus

sistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qua

lora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione privata (per con

trasto con l'art. 38, 2° comma, Cost., diretto a tutelare la liber

tà dell'assistenza e della beneficenza privata). Per effetto di tale sentenza, che impedisce l'applicazione del

la norma dichiarata costituzionalmente illegittima alle situazio

ni non esaurite, ancora oggetto di controversia, la natura dell'i

stituto ricorrente, come ritenuto dalla stessa Corte costituziona

le in linea di principio, può e deve essere oggetto o di

riconoscimento in sede amministrativa o di accertamento giudi

ziale, condotto sulla base degli ordinari e sostanziali criteri di

indagine (v. Cass., sez. un., 4 dicembre 1991, n. 13024, cit.;

23 giugno 1989, n. 2995, id., Rep. 1989, voce cit., n. 13, ed

altre conformi). Al riguardo, peraltro, nessun elemento di giudizio è stato non

ché prodotto, neppure dedotto dal ricorrente per dimostrare ta

le natura.

È bensì vero che il d.p.c.m. del 16 febbraio 1990 contiene

una direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della per

sonalità giuridica di diritto privato alle Ipab a carattere regio

nale o infraregionale, e, successivamente, la regione Lombardia

ha emanato in materia le leggi n. 21 e n. 22, entrambe del 27

marzo 1990, con le quali stabilisce i requisiti degli enti di assi

stenza e beneficenza ai fini della loro riconduzione, da parte

della giunta regionale, tra gli enti morali di diritto privato. Ma né dell'eventuale atto amministrativo della giunta in pro

posito, né dello statuto dell'ente, dal quale si possano evincere

le finalità, la struttura organizzativa, le fonti di finanziamento,

ecc. è dato avere contezza, non risultando, come si è detto,

né la relativa produzione (rilevante ai sensi dell'art. 369 c.p.c.,

ai fini della procedibilità del ricorso), né, addirittura — e ciò

ha carattere decisivo ed assorbente —, la relativa allegazione

(rilevante ai sensi dell'art. 366, 1° comma, n. 3, c.p.c., ai fini

dell'ammissibilità del ricorso medesimo). Il ricorso deve di conseguenza essere dichiarato inammissibile.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 feb

braio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M.

Di Renzo (conci conf.); Di Cataldo (Avv. Camanni) c. Galli

(Aw. Biamonti, Porta). Cassa Trib. Sondrio 28 giugno 1988.

Locazione — Legge 392/78 — Giudizio di determinazione, ag

giornamento o adeguamento del canone — Domanda di ac

certamento del debito del conduttore — Accessorietà — Com

petenza del pretore (Cod. proc. civ., art. 31, 40; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 45, 46).

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Contratti soggetti a proroga — Canone —

Aumenti — Decorrenza (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 68).

La domanda di accertamento del debito del conduttore da ag

giornamento del canone di locazione, in quanto accessoria

rispetto alla domanda di aggiornamento del canone, attribui

ta alla competenza per materia del pretore ex art. 45 I. 392/78,

può essere proposta insieme a quest'ultima anche se eccede

la competenza per valore del pretore, a norma dell'art. 31,

2° comma, c.p.c., senza che rilevi la diversità del rito (ordi

nario quello della causa accessoria, speciale quello della do

manda principale) che regola i due procedimenti. (1)

(1) I. - Con la pronunzia che si riporta la Cassazione chiarisce, in

modo più esplicito di quanto fatto in precedenza, che la estensione —

costantemente affermata in innumerevoli pronunzie — della competen za per materia del pretore ex art. 45 1. 392/78 alle domande di condan

na del locatore alla restituzione dei canoni pagati in eccedenza o, per

converso, di condanna del conduttore al pagamento della differenza

risultante a favore del locatore, trova la sua giustificazione nella con

nessione e accessorietà di tali domande rispetto a quella di determina

zione del canone, con conseguente applicazione degli art. 31, 2° com

ma, e 40 c.p.c. Sul principio v., da ultimo, Cass. 9 aprile 1993, n. 4334, Foro it.,

Rep. 1993, voce Locazione, n. 466; 4 aprile 1991, n. 3487, id., Rep.

1992, voce cit., n. 346; 27 giugno 1991, n. 7215, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 397; 10 febbraio 1990, n. 972, id., 1991, I, 1203, con nota

di R. Frasca; e, nella motivazione, Cass. 11 gennaio 1989, n. 71, id.,

1989, I, 2542, con nota di A. Cappabianca. V., però, anche Cass. 9

luglio 1993, n. 7551, id., Rep. 1993, voce Competenza civile, n. 29, e 26 gennaio 1990, n. 484, id., Rep. 1990, voce Locazione, n. 365, nel senso che la competenza di cui al 1° comma dell'art. 45 cit. trova

applicazione anche in caso di domanda di restituzione dei canoni pro

posta autonomamente dal conduttore, ove essa comporti l'accertamen

to del canone e degli aggiornamenti dovuti secondo legge. II. - La corte sottolinea che la diversità del rito applicabile a ciascuna

delle cause connesse, e per tal motivo proposte congiuntamente, non

è di ostacolo alla applicazione della norma di cui all'art. 31 c.p.c., sulla

modificazione della competenza relativa alla domanda accessoria; giac ché in tal caso si pone unicamente un problema di coordinamento della

trattazione delle cause, in modo da non applicare a quella a rito ordina

rio preclusioni derivanti dal rito speciale (come appunto nel caso delle

controversie di cui all'art. 45 1. 392/78, il cui rito corrisponde in massi

ma parte a quello dettato per le controversie in mateia di lavoro dalla 1. 533/73).

Sui gravissimi problemi che si pongono in caso di cumulo nello stesso

processo di domande soggette a riti diversi, soprattutto in materia di

locazioni urbane, dopo l'entrata in vigore della 1. 392/78 (applicandosi il rito speciale solo a singole controversie tipicamente individuate dagli art. 30 e 45 della stessa legge, e cioè solo ad una «piccola fetta» del

contenzioso in materia di locazioni), v., per tutti, A. Proto Pisani (V. Andrioli - C. M. Barone - G. Pezzano), Le controversie in materia

di lavoro - Legge 11 agosto 1973, n. 533, e norme connesse, Bologna

Roma, 1987, 2a ed., 377 ss., secondo il quale, con riferimento all'ipote si di cumulo di domande che siano tra loro in rapporto di pregiudiziali tà (compreso in tale concetto anche il caso dell'accessorietà) e delle

quali la principale o pregiudiziale sia soggetta al rito speciale, «si po

trebbe, nel silenzio della legge . . . tentare di desumere . . . dagli art.

416, 2° comma, 418 e 420, 9° comma, c.p.c. (tutti richiamati dall'art.

46 1. n. 392) l'esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale secondo cui, ove le cause connesse siano sottoposte a riti diversi, ne

sarebbe possibile la simultaneità di trattazione nelle forme del rito

speciale». L'ipotesi in discorso è stata espressamente considerata e disciplinata

nella recente novella del processo civile: il 3° comma dell'art. 40 c.p.c.,

aggiunto dall'art. 5 1. 353/90 e attualmente in vigore per i soli giudizi iniziati dopo il 1° gennaio 1993, prevede infatti che «Nei casi previsti

negli art. 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o

successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordina

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1163 PARTE PRIMA 1164

Gli aumenti del canone di locazione previsti dall'art. 681. 392/78 si applicano a decorrere dal momento in cui il locatore ne

fa richiesta, senza che possa configurarsi un suo diritto al

pagamento degli arretrati. (2)

Svolgimento del processo. — 1. - Paolo Galli conveniva in

giudizio Filippo De Cataldo e, con il ricorso al Pretore di Tira no, depositato il 13 agosto 1987, proponeva in suo confronto

una domanda relativa all'aggiornamento del canone.

L'attore esponeva che il convenuto, conduttore d'un immobi

le adibito ad uso diverso dall'abitazione, alla data del 31 luglio 1978 corrispondeva un canone di lire 90 mila mensili: ciò in

base a contratto stipulato il 1° luglio 1973 e soggetto a proroga. L'attore proseguiva esponendo che più volte — la prima con

lettera del 27 agosto 1982 — aveva richiesto al conduttore l'au

mento del canone e gli aveva domandato le somme dovute, a

partire dal 1° agosto 1978, in base all'aggiornamento consentito

dall'art. 68, n. 2, 1. 27 luglio 1978 n. 392. L'attore concludeva chiedendo che i canoni mensili dovuti

fossero determinati nelle misure da lui indicate con riferimento

rio, salva l'applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli art. 409 e 442». Tale disposizione, nella

prospettiva della entrata in vigore nella sua interezza della riforma del

processo, avrebbe dovuto avere rilevanza del tutto marginale con riferi mento alle controversie in materia di locazioni urbane, essendo prevista la devoluzione dell'intera materia esclusivamente al pretore (v., art. 8

c.p.c., come sostituito dall'art. 3 1. 353/90 e successive modifiche), con

applicazione del rito speciale mutuato da quello del lavoro (art. 447 bis

c.p.c., inserito dall'art. 70 1. 353/90). Tuttavia, come notato da A. Miranda, Connessione e rito nelle con

troversie locative, dopo la novella dell'art. 40, 3° comma, c.p.c.: addio al rito speciale?, in Arch, locazioni, 1994, 225, l'anticipata entrata in

vigore (per i processi iniziati dopo il 1° gennaio 1993) del nuovo testo dell'art. 40 c.p.c., e non anche delle altre disposizioni testé richiamate, ha determinato (e determinerà, fino all'entrata in vigore della riforma

processuale nella sua integrità) l'effetto — contraddittorio rispetto al

quadro processuale delineato dalla novella con il nuovo art. 447 bis

c.p.c. — di rendere applicabile il rito ordinario (anziché quello speciale) in tutti i casi di controversie locative nelle quali siano proposte nel si multaneus processus più domande, delle quali alcune soggette al rito

speciale ed altre all'ordinario. In particolare, l'attrazione dell'intero processo sotto il rito ordinario

vigente anteriormente alla novella della 1. 353/90 (salvo l'applicabilità di questa in alcune parti specifiche, come quelle relative agli art. 181, 186 bis, 186 ter e 282 c.p.c.), con conseguente inapplicabilità delle pre clusioni proprie del rito del lavoro (ex art. 46 1. 392/78), dovrebbe ri

guardare proprio il caso in cui, come accade frequentemente, la do manda di determinazione del canone legale di locazione e/o dei relativi

aggiornamenti sia accompagnata da una domanda (accessoria) di resti tuzione delle maggiori somme corrisposte da parte del conduttore o, per contro, di pagamento degli importi che risultassero da lui ancora dovuti. Peraltro, per i processi pendenti all'entrata in vigore nella sua

integrità della riforma del processo civile (prevista, al momento della redazione di questa nota, il giorno 30 aprile 1995, ex d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, convertito con modificazioni nella 1. 6 dicembre 1994 n.

673), in base alla disciplina transitoria della 1. 353/90 (art. 90, sostituito dalla 1. 4 dicembre 1992 n. 477 e successivamente modificato, in ultimo dal citato d.l. 571/94) dovrà procedersi al mutamento di rito, da ordi nario a speciale ex art. 447 bis c.p.c.

(2) Le sezioni unite della Cassazione risolvono, con la sentenza in

rassegna, il contrasto insorto nell'ambito della terza sezione civile circa la decorrenza degli aumenti del canone previsti dall'art. 68 1. 392/78, in tema di locazioni ad uso diverso dall'abitazione già in corso alla data del 30 luglio 1978 e soggette a proroga legale. In senso conforme alle sezioni unite, v. Cass. 4 gennaio 1992, n. 11, Foro it., Rep. 1992, voce Locazione, n. 336; 14 giugno 1991, n. 6731, id., 1992, I, 108, con nota di richiami, e Cass. 17 dicembre 1990, n. 11955, id., Rep. 1990, voce cit., n. 351; contra, per la decorrenza automatica degli au menti in questione (dal primo giorno del mese successivo all'entrata in vigore della legge, e cioè dal 1° agosto 1978), con conseguente diritto del locatore al pagamento anche di quelli maturati sui canoni del perio do precedente alla sua richiesta, v., invece, Cass. 25 luglio 1991, n.

8318, id., Rep. 1992, voce cit., n. 335 (per esteso in Arch, locazioni, 1992, 590).

La portata del principio affermato dal Supremo collegio, peraltro, si estende ben oltre il caso dell'art. 68 1. 392/78, riguardando tutte le

ipotesi in cui la variazione del canone sia collegata dalla legge alla ri chiesta della parte interessata, e segnatamente del locatore se trattasi di variazione in aumento: oltre agli art. 24 e 25 (che, in tema di aggior namento e adeguamento dell'equo canone delle locazioni abitative, espres samente ne prevedono la decorrenza dal mese successivo alla richiesta),

li Foro Italiano — 1995.

al periodo 1° agosto 1978-30 giugno 1986 e che conseguente mente fosse dichiarato che l'importo ancora dovuto era di lire

7.371.820. 2. - Filippo De Cataldo si costituiva in giudizio. Il convenuto osservava che la controversia non era relativa

all'aggiornamento del canone, poiché egli non aveva mai conte

stato che l'ammontare massimo dell'aumento praticabile sul ca

none corrispondesse a quello indicato dall'attore; riguardava bensì'

il diritto del locatore ad ottenere il pagamento, del canone au

mentato, da data anteriore a quella della richiesta.

Il convenuto concludeva chiedendo che il pretore determinas

se nelle misure indicate dall'attore l'ammontare massimo del

l'aumento praticabile nel periodo 1° agosto 1978-30 giugno 1986, ma dichiarasse la propria incompetenza per ragioni di materia

e valore su tutte le altre domande.

3. - Il pretore accoglieva la domanda e la decisione era con

fermata dal Tribunale di Sondrio.

Il tribunale, con la sentenza 28 giugno 1988, rigettando i mo

tivi di appello, affermava: — che la domanda di accertamento del debito del conduttore

v. l'art. 32 (come modificato dal d.l. 12/85, convertito nella 1. 118/85), l'art. 62, 2° comma, l'art. 64, 2° comma, l'art. 65, 4° e ultimo comma, e l'art. 71, 4° comma, 1. 392/78, nonché l'art. 15 bis d.l. 9/82 (conver tito con modifiche nella 1. 94/82). Di queste disposizioni, e di come esse sono state interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, la pro nunzia della Cassazione tiene espressamente conto per una interpreta zione sistematica del citato art. 68, nella quale viene messo in evidenza

come, essendo la disciplina transitoria della 1. 392/78 caratterizzata non

già dalla «presenza di aumenti od aggiornamenti automatici», ma, al

contrario, «da meccanismi di gradualità» ovvero «da aumenti ed ag giornamenti che, entro limiti massimi, il locatore è facoltizzato a richie

dere», risulti adeguata ad essa l'interpretazione che fa decorrere l'appli cazione della maggiorazione (aumento o aggiornamento) del canone dal momento della richiesta del locatore, assegnando a questa il ruolo di atto di esercizio di un diritto potestativo.

D'altra parte — si aggiunge — tale interpretazione è da preferire, in mancanza di controindicazioni risultanti dalla formulazione della nor

ma, anche perché congruente con il principio (che trova espressione nell'art. 1458, 1° comma, c.c.) secondo cui «nei contratti ad esecuzione continuata ... le prestazioni già eseguite si sottraggono all'incidenza di vicende successive»: l'interpretazione accolta, infatti, «porta ad esclu dere che il conduttore, il quale abbia goduto dell'immobile pagandone il canone per esso convenuto, ancorché suscettibile d'essere aumentato a richiesta del locatore, sia posto dalla successiva richiesta del locatore nella condizione di essere obbligato a corrispondere per quel già esauri to godimento una somma maggiore».

In realtà, se si eccettua il contrasto creatosi in relazione alle disposi zioni dell'art. 68 1. 392/78, l'interpretazione accolta dalle sezioni unite

corrisponde a quella costantemente seguita dalla terza sezione civile del la corte di legittimità con riferimento alle altre norme dianzi citate; vedi

— per quanto riguarda l'aggiornamento del canone previsto dall'art.

71, 4° comma, 1. cit.: Cass. 10 ottobre 1992, n. 11090, id., Rep. 1993, voce cit., n. 277; 6 agosto 1992, n. 9351, id., Rep. 1992, voce cit., n. 314 (secondo cui la richiesta di aggiornamento potrebbe essere anche

verbale); 28 febbraio 1992, n. 2490, ibid., n. 317; 22 luglio 1991, n.

8159, ibid., n. 318; 26 gennaio 1990, n. 483, id., Rep. 1990, voce cit., n. 344; 3 agosto 1987, n. 6699, id., Rep. 1988, voce cit., n. 341; 16 gennaio 1987, n. 325, id., 1987, I, 1461, con nota di richiami di D.

Piombo; — in relazione agli aumenti di canone previsti dall'art. 15 bis d.l.

9/92 (come convertito nella 1. 92/82), correlativamente alla ulteriore

proroga delle locazioni non abitative di cui agli art. 67-68 1. 392/78: Cass. 26 febbraio 1992, n. 2355, id., Rep. 1992, voce cit., n. 338; e 14 giugno 1991, n. 6731, cit.;

— per quanto riguarda gli aumenti di cui all'art. 62 1. 392/78, fina lizzati ad un graduale adeguamento alla misura desunta dagli art. 12 ss. (c.d. equo canone) del canone delle locazioni abitative in corso al 30 luglio 1978 e soggette a proroga legale: Cass. 15 dicembre 1987, n. 9283, id., Rep. 1987, voce cit., n. 362; 7 aprile 1987, n. 3364, ibid., n. 363; 7 febbraio 1986, n. 776, id., 1986, I, 2540, con nota di richiami e osservazioni di D. Piombo (anche in Nuova giur. civ., 1986, I, 457, con nota di S. Giove).

Quanto al ripercuotersi nel corso degli anni della mancata richiesta dell'aumento o dell'aggiornamento del canone da parte del locatore, la Cassazione si è espressa più volte, sia in relazione all'art. 68 sia in relazione all'art. 71, ultimo comma, 1. 392/78, nel senso che il canone non può essere considerato nella misura superiore, che sarebbe stata determinata in seguito ad una tempestiva richiesta, neppure ai limitati fini del computo del successivo aumento o aggiornamento (v. Cass. 17 dicembre 1990, n. 11955, cit., in tema di aumenti ex art. 68; Cass. 22 luglio 1991, n. 8159 e 3 agosto 1987, n. 6699, cit., per l'aggiorna

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dipendente da aggiornamento del canone costituisce una domanda

accessoria rispetto a quella di aggiornamento, che è attribuita

alla competenza per materia del pretore (art. 45 1. 27 luglio 1978 n. 392). La prima domanda, in base all'art. 31, 2° com

ma, c.p.c., può quindi essere proposta insieme alla seconda, anche se eccede la competenza per valore del pretore ed a ciò non è di ostacolo il diverso rito, ordinario quello della causa

accesoria, speciale quello della domanda principale (art. 46 1.

27 luglio 1978 n. 392), che regola i due procedimenti; — che il canone aumentato, una volta che l'aumento sia ri

chiesto, è dovuto dal giorno 1° agosto 1978 — primo giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della 1. 27 lu

glio 1978 n. 392 — perché l'art. 68 dejla stessa legge, che cosi

dispone, non prevede alcun limite temporale alla richiesta di

aumento né ricollega a questa la decorrenza dell'aumento do

mandato.

4. - Filippo De Cataldo ha proposto ricorso per cassazione.

Paolo Galli ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso contiene due motivi.

2. - Il primo motivo denunzia un vizio di violazione di norme

sulla competenza (art. 360, n. 2, c.p.c., in relazione agli art.

9, 10 e 31 dello stesso codice ed all'art. 14 disp. prel. c.c.). Il ricorrente sostiene che la norma dettata dall'art. 31, 2°

comma, c.p.c., perché deroga alla discplina generale in tema

di competenza per valore, non può essere applicata per analo

gia fuori dei casi in essa contemplati e perciò non può esserlo

nel caso, che l'art. 31 c.p.c. non contempla, in cui mentre la

causa accessoria va trattata con il rito ordinario quella princi

pale è soggetta ad un rito speciale. Il motivo non è fondato. L'art. 45 1. 27 luglio 1978 n. 392

e l'art. 74 della stessa legge, che lo dice applicabile alle locazio

ni anteriori tuttora in corso, hanno configurato, a proposito delle controversie relative alla determinazione, all'aggiornamen to ed all'adeguamento del canone, una competenza per materia,

che, sino all'abrogazione dell'originario 2° comma dell'art. 45,

operata dall'art. 6.6 1. 30 luglio 1984 n. 399, si ripartiva ulte

riormente, tra pretore e conciliatore, in ragione della misura

del canone di cui si chiedeva la determinazione, l'aggiornamen to o l'adeguamento.

L'art. 46 della legge ha poi in parte sottoposto il procedimen to per tali controversie alle norme relative al procedimento sulle

controversie individuali di lavoro.

Si tratta di norme sostituite dagli art. 3 e 70 1. 26 novembre

1990 n. 353 ed abrogate dall'art. 89 della stessa legge, ma tutto

mento del canone di cui all'art. 71). Divisa è invece, sul punto, la giuris prudenza di merito: in particolare, mentre Trib. Torino 12 novembre

1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 485, si è espressa per la non

computabilità, in caso di richiesta tardiva, degli aumenti ex art. 68 1.

392/78 che sarebbero spettati al locatore per gli anni precedenti, in sen so contrario v., nella motivazione, Pret. Genova 21 marzo 1989, id.,

Rep. 1989, voce cit., n. 427 (per esteso in Arch, locazioni, 1989, 560, con nota di L. Tiscornia); e di parere opposto, circa la inclusione degli aumenti del canone ex art. 68 1. 392/78 non richiesti nella base di calco lo degli ulteriori aumenti previsti dall'art. 15 bis d.l. 9/82 (convertito in 1. 94/82), v. Pret. Prato 30 maggio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce

cit., n. 370, e Pret. Foggia 2 maggio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 484.

Mette conto rilevare, altresì, che le sezioni unite della Suprema corte, osservando in motivazione che l'espressione dell'art. 68 1. 392/78 se condo cui il canone corrisposto dal conduttore «può essere, a richiesta del locatore, . . . aumentato ... per il restante periodo di durata del contratto ...» «può certo avere anche solo il significato che la richie

sta, una volta fatta, non richieda d'essere reiterata anno per anno . . .», sembra confermare il principio — affermato da Cass. 14 marzo 1991, n. 2693, id., 1992,1, 862, con nota di richiami — che un'unica richiesta

del locatore è sufficiente a fare scattare automaticamente tutti i succes

sivi aumenti annuali del canone previsti dall'art. 68 cit., senza necessità di rinnovarla anno per anno.

Per ulteriori questioni inerenti all'applicazione della disciplina del

l'art. 68 1. 392/78, v. Cass. 14 giugno 1991, n. 6731 e 7 giugno 1991, n. 6519 (la prima delle quali già citata), id., 1992, I, 108, con nota

di richiami, e Cass. 25 maggio 1989, n. 2517, id., 1990, I, 1956, con

nota di D. Piombo. Per quanto attiene, invece, all'aggiornamento del canone dei contrat

ti di locazione ad uso non abitativo soggetti alla disciplina ordinaria della 1. 392/78 (art. 32), cfr., da ultimo, Cass. 12 marzo 1993, n. 2975

e Pret. Monza 12 febbraio 1993, id., 1994, 1, 531, con nota di richiami.

[D. Piombo]

Il Foro Italiano — 1995.

ra applicabile, per ragioni di tempo, al caso in esame (art. 90, 1° comma, primo periodo, 1. 26 novembre 1990 n. 353, come

sostituito dall'art. 2 1. 4 dicembre 1992 n. 477 e modificato dal

l'art. 4 d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, conv. con modif. in 1. 6

dicembre 1994 n. 673). Gli art. 45 e 74 1. n. 392 del 1978 sono stati costantemente

interpretati da questa corte nel senso che la competenza per materia in essi configurata si estende alla domanda, del locato

re o del conduttore, di pagamento o restituzione delle somme,

che, a seguito dell'accertamento della misura del canone, risul

tino essere state pagate in meno od in più del dovuto dal mede

simo conduttore (Cass. 26 giugno 1981, n. 4149, Foro it., 1981,

I, 2168; 3 settembre 1982, n. 4802, id., Rep. 1982, voce Loca

zione, n. 971; 28 febbraio 1983, n. 1506, id., Rep. 1983, voce Competenza civile, n. 38; 19 agosto 1983, n. 5415, ibid., voce

Locazione, n. 469; 26 agosto 1983, n. 5484, ibid., n. 467; 25

giugno 1985, n. 3816, id., Rep. 1985, voce cit., n. 453; 6 set

tembre 1986, n. 5452, id., Rep. 1986, voce cit., n. 337; 27 feb

braio 1987, n. 2120, id., Rep. 1987, voce cit., n. 406; 4 dicem

bre 1987, n. 9021, id., Rep. 1988, voce cit., n. 346; 10 agosto

1988, n. 4916, id., Rep. 1989, voce cit., n. 432; 11 gennaio

1989, n. 71, id., 1989, I, 2542; 26 gennaio 1990, n. 484, id., Rep. 1990, voce cit., n. 365; 10 febbraio 1990, n. 972, id., 1991,

I, 1203 ; 27 giugno 1991, n. 7215, id., Rep. 1991, voce cit., n. 397; 9 aprile 1993, n. 4334, id., Rep. 1993, voce cit., n. 466).

La giurisprudenza, entrata in vigore la 1. 27 luglio 1978 n.

392, ha nella sostanza riaffermato la soluzione cui era pervenu ta in sede di interpretazione degli art. 29 1. 23 maggio 1950

n. 253 e 10 1. 26 novembre 1969 n. 833 (Cass. 20 giugno 1978, n. 3037, id., Rep. 1978, voce cit., n. 253; 28 maggio 1977, n.

2206, id., 1977, I, 1655). È stato rilevato, in dottrina, come l'esame della pur costante

giurisprudenza appena richiamata non riveli in genere se il ri

sultato da essa attinto si fondi sulla interpretazione delle espres

sioni, che le norme succedutesi in tema di locazione hanno usa

to per descrivere il contenuto delle controversie concernenti la

misura del canone, o se esso si basi sull'applicazione dell'art.

31, 2° comma (nonché dell'art. 40) c.p.c., cioè sulla disciplina della connessione.

Se non che l'effettiva applicazione del secondo procedimento

logico, anziché del primo, è rivelata dal filone giurisprudenzia

le, complementare a quello sin qui commentato, con il quale si è affermato il principio che non costituisce causa accessoria

rispetto a quella di determinazione del canone, e non ne può

seguire la competenza in base all'art. 31, 2° comma, c.p.c.,

quella relativa alla risoluzione del contratto per morosità, nella

quale l'accertamento della morosità dipenda da quello sulla mi

sura del canone (sez. un. 11 febbraio 1982, n. 839, id., 1982,

I, 1955): se ne evince che, nella giurisprudenza della corte, è

la connessione tra domanda accessoria e domanda principale,

quale descritta dall'art. 31 c,p.c., il criterio di fondo utilizzato

per scriminare tra domande che possono e domande che non

possono essere conosciute dal giudice della controversia sul ca

none (e per un richiamo non al solo criterio dell'accessorietà, ma specificamente all'art. 31, 2° comma, c.p.c., Cass. 9 aprile

1993, n. 4334, cit.). La giurisprudenza che si è sin qui commentata dimostra cosi

che la diversità del rito non è stata considerata di ostacolo, nel

caso in esame, alla applicazione della norma sulla modificazio

ne di competenza derivante da connessione per accessorietà (ma,

per altra applicazione della stessa regola, Cass. 23 luglio 1991,

n. 8243, id., Rep. 1991, voce Lavoro e previdenza (controver

sie), n. 53. La tesi sostenuta dal ricorrente, per cui l'applicazione del

l'art. 31, 2° comma, c.p.c. — di ciò si è trattato nel caso in

esame — non sarebbe possibile nel caso di domande soggette a diverso rito non trova aggancio testuale nella norma; del re

sto, il legislatore del 1990, in presenza dell'estendersi dell'area

di applicazione dei giudizi a rito speciale, non ha considerato

la diversità del rito un fatto impediente l'esauriente trattazione

e decisione delle cause connesse, ma ha dettato un complesso di regole ispirate al principio di individuare per le diverse cause

un identico tipo di rito, regole in mancanza delle quali la tratta

zione delle diverse cause andava coordinata in modo da non

applicare a quella a rito ordinario preclusioni derivanti dal rito

speciale.

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1167 PARTE PRIMA 1168

Il motivo di ricorso non denunzia la violazione di norme pro

cessuali, dipendenti dall'adozione d'uno od altro rito, da cui

sia derivato al ricorrente un pregiudizio nell'applicazione delle

difese relative all'entità delle somme da lui corrisposte a titolo

di canone nel corso del periodo di contestazione; denunzia inve

ce la violazione di norme sulla competenza, che, come si è ve

duto, non vi è stata: di qui la preannunziata infondatezza del

motivo.

3. - Il secondo motivo denunzia un vizio di violazione o falsa

applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c., in rela zione all'art. 68 1. 27 luglio 1978 n. 392).

L'art. 68 1. 27 luglio 1978 n. 392 fa parte del complesso di

norme che integrano la disciplina transitoria della legge c.d. del

l'equo canone: riguarda in particolare i contratti di locazione

di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione e tra questi

i contratti in corso al momento dell'entrata in vigore della leg

ge, soggetti, secondo la precedente normativa, a proroga legale

ed ulteriormente prorogati per effetto dell'art. 67.

Esso ha come oggetto il canone e ne regola la possibilità di

aumento per il periodo di ulteriore proroga. Il suo tenore lette

rale è il seguente: «Nei contratti di locazione o sublocazione

di cui al precedente articolo il canone corrisposto dal condutto

re, calcolato al netto degli accessori, può essere, a richiesta del

locatore, aumentato a decorrere dal primo giorno del mese suc

cesivo a quello di entrata in vigore della presente legge per il

restante periodo di durata del contratto, nelle misure se

guenti . . .».

La questione posta con il motivo del ricorso è se la richiesta

del locatore abbia effetto dal momento in cui è fatta — come

sostiene il ricorrente — o se, una volta fatta, abbia effetto a

partire dal primo giorno del mese successivo all'entrata in vigo

re della legge — come è stato deciso con la sentenza impugnata.

La questione è stata decisa in senso difforme dalla terza se

zione della corte e la pronunzia su di essa è stata per questa

ragione rimessa alle sezioni unite.

Le sezioni unite ritengono che, per le ragioni che saranno

esposte più avanti, la questione vada risolta nel senso sostenuto

dal ricorrente.

4. - Prima di porre a raffronto e di vagliare sul piano esegeti

co e sistematico le ragioni addotte nella giurisprudenza della

corte a sostegno delle diverse soluzioni accolte è necessario com

piere una sintetica individuazione delle norme dettate con 1. n.

392 del 1978 in tema di aggiornamento, deguamento ed aumen

to del canone.

La disciplina a regime presenta disposizioni in tema di loca

zioni abitative ed in particolare:

a) l'art. 24, concernente l'aggiornamento («. . . il canone di

locazione definito ai sensi degli articoli da 12 a 23 è aggiornato

ogni anno in misura pari al 75% della variazione, accertata dal

l'Istat, dell'indice dei prezzi . . . L'aggiornamento del canone

decorrerà dal mese successivo a quello in cui ne viene fatta ri

chiesta con lettera raccomandata»);

b) l'art. 25, concernente l'adeguamento («Ciascuna delle parti, in ogni momento del rapporto contrattuale, ha diritto all'ade

guamento del canone in relazione all'eventuale mutamento de

gli elementi di cui agli articoli 13 e 15 . . . L'adeguamento del

canone ha effetto dal mese successivo a quello durante il quale sia stato richiesto con lettera raccomandata»).

La disciplina a regime presenta ancora una norma in tema

di aggiornamento del canone delle locazioni non abitative:

c) l'art. 32 («Le parti possono convenire che dall'inizio del

quarto anno il canone sia aumentato . . .»: 2° comma), modifi

cato dall'art. 1.9 sexies d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, conv. con

modif. nella 1. 5 aprile 1985 n. 118 («Le parti possono conveni

re che il canone sia aggiornato annualmente su richiesta del lo

catore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira»). La disciplina transitoria presenta più disposizioni in tema di

locazioni abitative, già soggette a proroga ed ulteriormente pro

rogate a norma dell'art. 58:

d) l'art. 62, 2° comma, concernente l'aumento del canone

(fino all'inizio del sesto anno a decorrere dalla data di entrata

in vigore della legge «il canone di locazione corrisposto dal con

duttore, al netto degli eneri accessori, può essere aumentato

a richiesta del locatore, a decorrere dal primo giorno del quarto

mese successivo a quello di entrata in vigore della presente

legge . . .»);

Il Foro Italiano — 1995.

e) l'art. 63, 2° comma, concernente l'aggiornamento («Dal

l'inizio del terzo anno il canone è aggiornato . . .»);

f) l'art. 64, 2° comma, concernente l'aggiornamento nelle lo

cazioni non soggette in regime ordinario ad equo canone (fino

al termine della durata dipendente dalla nuova proroga «il ca

none può essere modificato a richiesta del locatore mediante

aggiornamento annuale . . .»). La disciplina transitoria presenta ancora disposizioni in tema

di locazioni abitative non soggette a proroga, ma la cui durata

era stata protratta dall'art. 65 della legge per uniformarla alla

nuova durata minima legale:

g) l'art. 65, 4° comma, concernente l'aumento del canone

(fino all'inizio del secondo anno a decorrere dall'entrata in vi

gore della legge «il canone di locazione corrisposto dal condut

tore, calcolato al netto degli oneri accessori, può essere aumen

tato su richiesta del locatore a decorrere dal primo giorno del

quarto mese successivo a quello di entrata in vigore dalla pre

sente legge . . .»);

h) l'art. 65, 3° comma, concernente l'adeguamento («Il ca

none di cui agli art. 12 e 24 si applica ai contratti di cui al

presente articolo a partire dall'inizio del secondo anno a decor

rere dall'entrata in vigore della presente legge, ed il canone è

adeguato in relazione all'eventuale mutamento degli elementi

di cui agli articoli 13 e 15»); i) l'art. 65, ultimo comma, concernente l'aggiornamento nel

le locazioni non soggette in regime ordinario a canone equo

(«Fino alla scadenza di cui al 1° comma il canone può essere

modificato, su richiesta del locatore . . .»). La disciplina transitoria presenta, infine, oltre al già richia

mato art. 68, altra disposizione:

l) l'art. 71, 4° comma, concernente l'aggiornamento del ca

none nelle locazioni non prorogate, ma a durata protratta dallo

stesso articolo («Il canone potrà essere aggiornato annualmente

su richiesta del locatore dal giorno della scadenza contrattual

mente prevista . . .»). La ricognizione delle diverse disposizioni dettate dalla legge

mostra come in esse si fa in vario modo menzione 1) dal mo

mento a decorrere dal quale sorge il diritto (cosi, nell'art. 25,

si dice che «ciascuna delle parti, in ogni momento del rapporto

contrattuale, ha diritto all'adeguamento del canone in relazione

all'eventuale mutamento degli elementi . . .»: dal mutamento

degli elementi sorge il diritto all'adeguamento); 2) della richie

sta della parte come modo per esercitare il diritto (della richie

sta non fa espressa menzione il solo art. 65, 3° comma); 3)

del momento a decorrere dal quale la modificazione del canone

diviene operante (l'art. 24, 2° comma, e l'art. 25, 2° comma,

lo individuano nel mese successivo a quello della richiesta) e

però non in tutte le disposizioni i tre elementi appaiono già in base alla lettera della legge essere stati insieme utilizzati (co m'è ad esempio nell'art. 25): donde il problema interpretativo

che qui viene in considerazione.

5. - La sentenza 25 luglio 1991, n. 8318 {id., Rep. 1992, voce

Locazione, n. 335) ha interpretato l'art. 68 nel senso che esso

consente al locatore di chiedere anche gli aumenti relativi ai

canoni del periodo precedente alla sua domanda.

La pronunzia ora richiamata è pervenuta a tale conclusione

dopo aver posto a raffronto la lettera dell'art. 68 (punto 3) e quella dell'art. 24 della stessa legge (punto 4, lett. a): ha os

servato che l'art. 68 presenta una formulazione diversa da quel

la dell'art. 24. Quest'ultimo attribuisce al locatore il diritto al

l'aumento del canone ricollegandone la decorrenza alla data della

domanda, il primo attribuirebbe al locatore il diritto all'aumen

to del canone dal primo giorno del mese successivo alla data

di entrata in vigore della legge. Altre decisioni, precedenti e successive, rese con specifico ri

guardo all'art. 68, hanno seguito l'indirizzo opposto (sent. 17

dicembre 1990, n. 11955, id., Rep. 1990, voce cit., n. 351; 14 giugno 1991, n. 6731, id., 1992, I, 108; 4 gennaio 1992, n. 11, id., Rep. 1992, voce cit., n. 336): tra queste, la sentenza 14

giugno 1991, n. 6731 richiama a sostegno della soluzione accol

ta l'interpretazione data dalla sentenza 7 febbraio 1986, n. 776

(id., 1986, I, 2540) alla norma dettata dall'art. 62, 2° comma

(punto 4, lett. d), che — come emerge dal raffronto tra le due

disposizioni — utilizza, salva una diversa decorrenza, una for

mula analoga (l'art. 62, 2° comma, la formula «il canone . . .

può essere aumentato a richiesta del locatore, a decorrere dal

quarto mese successivo a quello di entrata in vigore della pre

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sente legge . . .»; l'art. 68 la formula «. . . il canone . . . può essere a richiesta-dei locatore aumentato a decorrere dal primo

giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della

legge . . .»). La sentenza 7 febbraio 1986, n. 776, cit., ha osservato che

l'art. 62, «allorché stabilisce che il canone può essere aumenta

to 'a richiesta' del locatore, compie un chiaro riferimento all'e

sistenza di un onere su di lui gravante allo scopo di esigere il maggior canone. Ne deriva che soltanto se e quando il locato

re faccia valere la pretesa, potrà essergli corrisposto l'aumento, senza che soccorra alcun criterio di automaticità, situazione dalla

quale appare logico e conforme al sistema generale far discen

dere che la decorrenza del diverso canone non può essere ante

riore al momento in cui venga effettuata la richiesta».

La corte — nella sentenza 7 febbraio 1986, n. 776 — aveva

ancora rilevato che nel corso dei lavori parlamentari era stata

più volte sottolineata l'esigenza di attenuare l'imperatività della

nuova legge, creando norme che segnassero un primo passo verso

una maggiore autonomia delle parti, nel contempo ponendo li

miti a tutela del conduttore, e tra l'altro quello di una difesa

da aumenti autentici e da richieste tardive di arretrati tali da

porlo in difficoltà. La soluzione accolta, in sede di interpretazione dell'art. 62,

dalla sentenza richiamata è stata poi fatta propria dalle succes

sive decisioni rese dalla corte sulla stessa norma (sent. 7 aprile

1987, n. 3364, id., Rep. 1987, voce cit., n. 363; 15 dicembre

1987, n. 9283, ibid., n. 362). Identico indirizzo la corte ha seguito nella interpretazione del

l'art. 71, 4° comma (punto 3, lett. I). Alla base di questo indirizzo è la sentenza 16 gennaio 1987,

n. 325 (id., 1987, I, 1461, cui si sono uniformate le successive

decisioni 3 agosto 1987, n. 6699, id., Rep. 1988, voce cit., n.

341; 22 luglio 1991, n. 8159, id., Rep. 1992, voce cit., n. 318;

28 febbraio 1992, n. 2490, ibid., n. 317; 6 agosto 1992, n. 9351, ibid., n. 314; 10 ottobre 1992, n. 11090, id., Rep. 1993, voce cit., n. 277).

La sentenza 16 gennaio 1987, n. 325, cit., che contiene il più diffuso esame delle questioni poste dalla interpretazione delle

diverse disposizioni sopra richiamate, ha in primo luogo osser

vato che nel regime 'ordinario' della legge «il canone delle loca

zioni abitative costituisce un dato oggettivo, risultante da un

calcolo operato sulla scorta di determinati parametri, aprioristi camente individuati dal legislatore e che consentono di determi

nare il valore locativo di quel bene. In sintonia con tale scelta

è poi il meccanismo dell'aggiornamento e dell'adeguamento del

canone, stabilito dagli art. 24 e 25 della legge: nel caso di varia

zione dell'indice Istat o di mutamento dei parametri sui quali si fonda l'equo canone, questo — per mantenere fermo il suo

rapporto con il valore locativo — viene automaticamente ag

giornato o adeguato ('il canone ... è aggiornato'; 'ha diritto

all'adegumento del canone'): tant'è che, ove per ipotesi l'allog

gio sia in quel momento sfitto, nello stipulare successivamente

il contratto di locazione si terrà conto di tali accadimenti ai

fini del calcolo dell'equo canone. Tuttavia — per evitare il for

marsi di situazioni debitorie e la conseguente litigiosità — il legislatore ha subordinato in entrambe le richiamate situazioni

la decorrenza dell'aggiornamento e dell'adeguamento alla richie

sta della parte interessata. Disposto questo necessario ché, altri

menti, l'automaticità del riflesso di quegli accadimenti sulla mi

sura dell'equo canone avrebbe comportato — in difetto dell'e

splicita previsione — la decorenza delle variazioni . . . dal

verificarsi di quelle situazioni, con la possibilità di richiedere

in qualunque momento (e salva la verificatasi prescrizione) gli

'arretrati'».

La sentenza 16 gennaio 1987, n. 325 ha poi osservato che

il criterio per cui la decorrenza delle variazioni è collegata alla

richiesta della parte interessata è stato ripreso nella disciplina

transitoria concernente la variazione in aumento dei canoni del

le locazioni abitative; è presente nella disciplina ordinaria delle

locazioni non abitative; lo è in quella transitoria degli stessi con

tratti: ciò in corrispondenza di una disciplina intesa a fissare

non un canone legale predeterminato, ma limiti massimi di va

riazione in aumento, in vista di un definitivo allineamento del

canone a quello legale, nelle locazioni abitative, e del recupero

della svalutazione, nelle locazioni non abitative. La conclusione

desunta da tali rilievi è stata che la portata normativa dell'art.

71, 4° comma, non poteva essere tratta utilmente da un con

Ii Foro Italiano — 1995.

fronto con l'art. 24, se l'analisi veniva impostata sulla sola con

siderazione che la seconda norma, a differenza dalla prima, nulla

disponeva circa la decorrenza dell'aumento. La sentenza osser

vava che l'art. 24, «stante l'automaticità dell'aggiornamento in

una determinazione 'legale del canone' doveva porre — volen

do collegare l'obbligo di corrispondere il maggiore . . . canone

conseguito all'aggiornamento stesso, ad una richiesta della par te interessata — l'apposita previsione; l'aggiornamento di cui

all'ultimo comma dell'art. 71, invece, proprio perché al di fuori

di ogni automatismo di determinazione del canone, non poteva che restare affidato — cosi come nel regime ordinario — alla

autonomia privata, in particolare del locatore, avendo voluto

il legislatore attribuire rilievo solo alla variazione Istat in au

mento: il che dimostra, anche da questo versante, come l'ag

giornamento sia al di fuori dei meccanismi automatici che pre siedono alla determinazione dell"equo canone' per le locazioni

abitative. La richiesta, pertanto si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore

può pretendere il canone aggiornato solo dal momento della

stessa e senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere

il pagamento degli arretrati, proprio perché, prima del suo atti

varsi, non esiste alcun credito per l'aggiornamento». 6. - L'analisi della giurisprudenza della corte, condotta con

riferimento al complesso delle disposizioni che interessano, nel

la 1. n. 392 del 1978, il tema dell'aggiornamento ed adeguamen to dei canoni mostra che disposizioni di analoga conformazione

si sono prestate a diversa interpretazione e che, con particolare

riguardo alla disposizione in esame, l'art. 68, ad una interpreta

zione, prevalente, che ne omologa la portata normativa a quella

che delle altre disposizioni è stata data dalla restante giurispru

denza, se ne è contrapposta un'altra basata sul confronto della

lettera dell'art. 68 con quella dell'art. 24, cioè su un argomento che in altra sede — quella del confronto tra art. 24 ed art.

71 — è stato considerato non conducente.

La soluzione del problema interpretativo posto dalla disposi

zione dettata dall'art. 68 deve a questo punto muovere dalla

sua esegesi. L'art. 68, come si è detto, regola l'aumento del canone delle

locazioni non abitative, ulteriormente prorogate dall'art. 67.

La disposizione «il canone può essere a richiesta del locatore,

aumentato a decorrere dal primo giorno del mese successivo

a quello di entrata in vigore della presente legge per il restante

periodo di durata del contratto ...» deve essere analizzata te

nendo conto di quanto si è già osservato circa i tre elementi

utilizzati dal legislatore nelle altre analoghe disposizioni per de

limitare l'ambito dei loro effetti (momento nel quale il diritto

all'aumento sorge; la richiesta come atto di esercizio del diritto;

la decorrenza degli effetti della richiesta).

L'espressione «a decorrere dal primo giorno del mese succes

sivo a quello di entrata in vigore della presente legge» ha nella

norma una sua precisa ragione d'essere: l'art. 68 regola il dirit

to all'aumento nei contratti prorogati dal precedente art. 67 e

la misura dell'aumento consentito è differenziata, come la du

rata della proroga, in corrispondenza del periodo in cui si collo

ca la conclusione del primo contratto. Se non che la durata

della proroga è fatta decorrere, nell'art. 67, «dal giorno e dal

mese, successivi all'entrata in vigore della presente legge, corri

spondenti a quelli di scadenza previsti nel cotratto di locazione»

e, solo ove tale determinazione non sia possibile, dallo stesso

giorno di entrata in vigore della legge. L'espressione usata nel

l'art. 68 sta dunque a precisare che il diritto all'aumento è ac

cordato dalla legge non a partire dalla data di inizio del nuovo

periodo di proroga, differenziata per i diversi contratti, ma da

una data diversa, eguale per ogni contratto.

L'espressione, perciò, da un punto di vista letterale, mentre

ha certamente la valenza di individuare da quale data il diritto

è accordato, non necessariamente ha l'altra di individuare la

data di decorrenza degli effetti della richiesta.

L'espressione appena commentata è completata da quella «per il restante periodo di durata del contratto»: poiché l'aumento — come risulta dai seguenti nn. 1), 2) e 3) che concludono la

disposizione — è accordato in una percentuale rispettiva del

15%, 10% e 5% all'anno, l'espressione può certo avere anche

solo il significato che la richiesta, una volta fatta, non richieda

d'essere reiterata anno per anno, ma ben può avere anche l'al

tro che l'aumento, una volta richiesto, interesserà «il restante

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Page 7: sezioni unite civili; sentenza 8 febbraio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. Di Renzo (concl conf.); Di Cataldo (Avv. Camanni) c. Galli (Avv. Biamonti, Porta). Cassa

1171 PARTE PRIMA

periodo di durata del contratto», cioè la durata successiva alla

richiesta, ma non anche quella precedente già trascorsa.

L'esegesi della disposizione, dunque, non consente di affer

mare che, già in base alla sua interpretazione letterale, si deve

pervenire alla conclusione che il legislatore abbia avuto l'inten

zione di attribuire alla richiesta l'effetto di far sorgere nel con

duttore l'obbligazione di corrispondere l'aumento non già solo

dalla data della richiesta, ma anche dalla data in cui il diritto

a chiedere l'aumento è sorto.

Se poi si pone la disposizione a raffronto con le altre, nella

ricerca dell'intenzione del legislatore (art. 12, 1° comma, disp.

prel. c.c.), non possono non essere condivise le logiche conside

razioni fatte nella sentenza 16 gennaio 1987, n. 325, cit., sulla

inidoneità a tal fine del raffronto tra le formule utilizzate da

un lato dagli art. 24 e 25 e dall'altro dall'art. 71, 4° comma,

nonché dall'art. 68 in esame e dalle altre disposizioni richiama

te al punto 4.

Decisivo appare invece il rilievo che il sistema si presenti in

tutto il suo arco imperniato sulla richiesta del locatore.

La disciplina transitoria, di cui tale elemento della richiesta

costituisce un aspetto, è caratterizzata da meccanismi di gra dualità e non è contraddistinto dalla presenza di aumenti od

aggiornamenti automatici, cioè ricollegati dalla legge ai fatto

che il contratto, protraendosi, attinga via via determinate date; è caratterizzata, bensì, da aumenti ed aggiornamenti che, entro

limiti massimi, il locatore è facoltizzato a richiedere.

L'interpretazione della norma in esame, nel senso che aumen

to od aggiornamento si applicano al canone a decorrere da quan do il locatore fa la richiesta, è adeguata a questa strutturazione

della disciplina ed ha dal punto di vista sistematico il pregio di rendere la disciplina transitoria congruente con quella ordi

naria, nel senso di rivelarsi ispirata alle stesse esigenze «di evita

re il formarsi di situazioni debitorie e la conseguente litigiosità».

L'interpretazione della norma che si lascia preferire è dunque

quella che assegna alla richiesta il ruolo di atto di esercizio di

un diritto potestativo, quello all'aumento od all'aggiornamen to: spetta al locatore valutare se l'equilibrio tra le prestazioni abbia subito l'incidenza del deprezzamento della moneta e quindi domandare o no che, nei limiti consentiti, il rapporto di equili brio tra le prestazioni nell'ambito del concreto contratto sia ri

pristinato. Nei contratti ad esecuzione continuata, del resto, le prestazio

ni già eseguite si sottraggono all'incidenza di vicende successive

(art. 1458, 1° comma, c.c.): in mancanza di una espressa for

mulazione della disposizione in diverso senso, appare quindi si

stematicamente corretto preferire della disposizione l'interpreta zione che porta ad escludere che il conduttore, il quale abbia

goduto dell'immobile pagandone il canone per esso convenuto, ancorché suscettibile d'essere aumentato a richiesta del locato

re, sia posto dalla successiva richiesta del locatore nella condi

zione di essere obbligato a corrispondere per quel già esaurito

godimento una somma maggiore. 7. - Il ricorso è in conclusione accolto.

La sentenza impugnata è cassata nei limiti derivanti dall'ac

coglimento del primo motivo e le parti sono rimesse al giudice di rinvio, che è indicato nel Tribunale di Lecco.

Il giudice di rinvio si uniformerà al seguente principio di diritto:

«L'art. 68 1. 27 luglio 1978 n. 392, che attribuisce al locatore

un diritto ad ottenere l'aumento del canone nelle misure annue

da esso previste, va interpretato nel senso che l'obbligazione del conduttore di corrispondere il canone aumentato decorre

dalla data in cui l'aumento gli è richiesto».

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 feb

braio 1995, n. 1395; Pres. Corda, Est. Catalano, P.M. Ni

cita (conci, conf.); Min. finanze e Min. marina mercantile

(Aw. dello Stato La Porta) c. Soc. Nuova Sardamag ed altri

(Aw. Guarino, Romano, Dorè). Cassa App. Cagliari 29 di

cembre 1990.

Porti, spiagge, fari — Tassa portuale di sbarco e imbarco —

Porti sedi di aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini —

Applicabilità (L. 9 febbraio 1963 n. 82, revisione delle tasse e dei diritti marittimi, art. 33; 1. 9 ottobre 1967 n. 961, istitu zione delle aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini dei

porti di Ancona, Cagliari, Livorno, La Spezia, Messina e Sa

vona, art. 1; d.l. 28 febbraio 1974 n. 47, istituzione di una

tassa di sbarco e imbarco sulle merci trasportate per via aerea

e per via marittima, art. 2; 1. 16 aprile 1974 n. 117, conver

sione in legge, con modificazioni, del d.l. 28 febbraio 1974 n. 47, art. unico; 1. 10 ottobre 1974 n. 494, modifiche ed

integrazioni alla 1. 9 ottobre 1967 n. 961, riguardante l'istitu

zione in alcuni porti delle aziende dei mezzi meccanici e dei

magazzini, art. 1, 2; 1. 5 maggio 1976 n. 355, estensione alle

aziende dei mezzi meccanici e magazzini portuali di Ancona,

Cagliari, La Spezia, Livorno e Messina di alcuni benefici pre visti per gli enti portuali, art. 1; d.l. 13 marzo 1988 n. 69, norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle ge stioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti, art. 3;

1. 13 maggio 1988 n. 153, conversione in legge, con modifica

zioni, del d.l. 13 marzo 1988 n. 69, art. 1).

La tassa di cui agli art. 33 ss. I. 9 febbraio 1963 n. 82, e succes

sive modificazioni, è dovuta per tutte le operazioni di imbar

co e sbarco poste in essere nelle stazioni portuali ricomprese nelle circoscrizioni della capitaneria di porto in cui hanno se

de, o sono autorizzate ad operare, le aziende dei mezzi mec

canici e dei magazzini di cui alla l. 9 ottobre 1967 n. 961 e successive modificazioni (nella specie, la corte ha ritenuto

assoggettate alla tassa de qua le operazioni poste in essere

nel porto di S. Antioco rientrante nella circoscrizione della

capitaneria di porto di Cagliari). (1)

(1) I. - Ad avviso di Cass. 19 novembre 1987, n. 8512, Foro it.,

1988, I, 2652, con nota di richiami, la tassa «portuale» non è dovuta

per un approdo (quello di Sarroch) «estraneo all'ambito territoriale del

porto di Cagliari e per il quale l'azienda dei mezzi meccanici di Cagliari non aveva avuto l'autorizzazione ad operare». Per la sentenza testé ci

tata, difatti, il testo dell'art. 1 1. 355/76, nel disporre che sono dovute le tasse portuali di cui al capo III, titolo II, 1. 9 febbraio 1963 n. 82 — cui si riconosce natura doganale con quanto ciò comporta in ordine

al termine per proporre opposizione avverso la ingiunzione di pagamen to — risulta del tutto chiaro «nel senso che le tasse vengono dichiarate

dovute in relazione ai soli porti nei quali con apposita legge le aziende risultino costituite».

Sul problema della legittimazione passiva dell'azienda dei mezzi mec canici e dei magazzini per la ripetizione della tassa de qua, v. Trib.

Cagliari 22 febbraio 1989, id., Rep. 1990, voce Porti, spiagge, fari, n. 13, ad avviso del quale l'ente, benché beneficiario dei due terzi dei

proventi del tributo, non è titolare di alcuna pretesa diretta nei con fronti dei soggetti obbligati al pagamento dello stesso; ne consegue che

questi ultimi non possono richiedere all'azienda la restituzione dei tri buti indebitamente pagati all'amministrazione finanziaria.

II. - In ordine alla spettanza della giurisdizione sulle controversie re lative alla tassa di cui in massima, v. Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre

1992, n. 781, id., Rep. 1992, voce cit., n. 22, e 9 settembre 1992, n.

639, ibid., n. 21, ad avviso delle quali le controversie relative agli atti

posti in essere dall'amministrazione per l'accertamento sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono affidate al giudice ordinario ovvero a quello tributario. Sulla questione si era, peraltro, già pronunciata Cass., sez. un., 1° marzo 1988, n. 2157, id., 1989, I, 487, con nota di richiami, per la quale spetta al giudice ordinario la cognizione della controversia avente ad oggetto la applicazione delle tasse portuali de quibus, atteso che si tratta di lesioni di posizioni di diritto soggettivo di contribuenti già assoggettati all'obbligo contributi vo. Per le sezioni unite difatti «la difesa dinnanzi al giudice ammini

strativo, quando il pregiudizio è diventato attuale (perché il diritto sog gettivo a non essere sottoposto ad imposizione se non nei casi, nella misura e con le forme stabilite dalla legge, è stato già leso) non ha

più ragion d'essere non essendovi alcuna necessaria pregiudizialità di essa rispetto a quella dinanzi all'a.g.o., che nel conoscere del rapporto tributario potrà e dovrà disapplicare l'atto amministrativo generale rite nuto illegittimo».

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