sezioni unite civili; sentenza 8 febbraio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M. DiRenzo (concl conf.); Di Cataldo (Avv. Camanni) c. Galli (Avv. Biamonti, Porta). Cassa Trib.Sondrio 28 giugno 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 4 (APRILE 1995), pp. 1161/1162-1171/1172Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188729 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
puto di una indennità integrante — come non è controverso — una forma di previdenza aziendale, non rientrante in quanto tale nella assicurazione generale obbligatoria, e, pertanto, stret
tamente inerente al rapporto di lavoro dipendente (v. tra le al
tre, da ultimo, Cass., sez. un., 5 febbraio 1994, n. 1166, id.,
Mass., 81; 15 marzo 1993, n. 3059, id., Rep. 1993, voce Impie
gato dello Stato, n. 1389), il presupposto che deve essere accer
tato ai fini della giurisdizione è la natura pubblica o privata dell'ente datore di lavoro e, quindi, del relativo rapporto con
i dipendenti. Ora, non è sufficiente per attribuire all'Istituto Sacra fami
glia la natura di ente pubblico la circostanza che trattasi di un'i
stituzione pubblica di assistenza e beneficenza, a norma del
l'art. 1 1. 7 luglio 1890 n. 6972 (v. Cass., sez. un., 25 novembre
1982, n. 6367, id., Rep. 1982, Istituzioni pubbliche di assisten
za, n. 23). Tale disposizione comportava l'acquisto della personalità giu
ridica di diritto pubblico da parte di tutti gli enti che avessero
scopi di assistenza e beneficenza, indipendentemente dalla loro
origine pubblica o privata o religiosa, dalla loro struttura o dal
la fonte dei mezzi di finanziamento.
Sennonché la situazione è mutata, come è noto, per effetto
della sentenza 7 aprile 1988, n. 396 {id., 1989, I, 46) della Corte
costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituziona
le dell'art. 2 1. n. 6972 del 1890, nella parte in cui non prevede
che le Ipab regionali e infraregionali possano continuare a sus
sistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qua
lora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione privata (per con
trasto con l'art. 38, 2° comma, Cost., diretto a tutelare la liber
tà dell'assistenza e della beneficenza privata). Per effetto di tale sentenza, che impedisce l'applicazione del
la norma dichiarata costituzionalmente illegittima alle situazio
ni non esaurite, ancora oggetto di controversia, la natura dell'i
stituto ricorrente, come ritenuto dalla stessa Corte costituziona
le in linea di principio, può e deve essere oggetto o di
riconoscimento in sede amministrativa o di accertamento giudi
ziale, condotto sulla base degli ordinari e sostanziali criteri di
indagine (v. Cass., sez. un., 4 dicembre 1991, n. 13024, cit.;
23 giugno 1989, n. 2995, id., Rep. 1989, voce cit., n. 13, ed
altre conformi). Al riguardo, peraltro, nessun elemento di giudizio è stato non
ché prodotto, neppure dedotto dal ricorrente per dimostrare ta
le natura.
È bensì vero che il d.p.c.m. del 16 febbraio 1990 contiene
una direttiva alle regioni in materia di riconoscimento della per
sonalità giuridica di diritto privato alle Ipab a carattere regio
nale o infraregionale, e, successivamente, la regione Lombardia
ha emanato in materia le leggi n. 21 e n. 22, entrambe del 27
marzo 1990, con le quali stabilisce i requisiti degli enti di assi
stenza e beneficenza ai fini della loro riconduzione, da parte
della giunta regionale, tra gli enti morali di diritto privato. Ma né dell'eventuale atto amministrativo della giunta in pro
posito, né dello statuto dell'ente, dal quale si possano evincere
le finalità, la struttura organizzativa, le fonti di finanziamento,
ecc. è dato avere contezza, non risultando, come si è detto,
né la relativa produzione (rilevante ai sensi dell'art. 369 c.p.c.,
ai fini della procedibilità del ricorso), né, addirittura — e ciò
ha carattere decisivo ed assorbente —, la relativa allegazione
(rilevante ai sensi dell'art. 366, 1° comma, n. 3, c.p.c., ai fini
dell'ammissibilità del ricorso medesimo). Il ricorso deve di conseguenza essere dichiarato inammissibile.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 feb
braio 1995, n. 1442; Pres. Brancaccio, Est. Vittoria, P.M.
Di Renzo (conci conf.); Di Cataldo (Avv. Camanni) c. Galli
(Aw. Biamonti, Porta). Cassa Trib. Sondrio 28 giugno 1988.
Locazione — Legge 392/78 — Giudizio di determinazione, ag
giornamento o adeguamento del canone — Domanda di ac
certamento del debito del conduttore — Accessorietà — Com
petenza del pretore (Cod. proc. civ., art. 31, 40; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 45, 46).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Contratti soggetti a proroga — Canone —
Aumenti — Decorrenza (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 68).
La domanda di accertamento del debito del conduttore da ag
giornamento del canone di locazione, in quanto accessoria
rispetto alla domanda di aggiornamento del canone, attribui
ta alla competenza per materia del pretore ex art. 45 I. 392/78,
può essere proposta insieme a quest'ultima anche se eccede
la competenza per valore del pretore, a norma dell'art. 31,
2° comma, c.p.c., senza che rilevi la diversità del rito (ordi
nario quello della causa accessoria, speciale quello della do
manda principale) che regola i due procedimenti. (1)
(1) I. - Con la pronunzia che si riporta la Cassazione chiarisce, in
modo più esplicito di quanto fatto in precedenza, che la estensione —
costantemente affermata in innumerevoli pronunzie — della competen za per materia del pretore ex art. 45 1. 392/78 alle domande di condan
na del locatore alla restituzione dei canoni pagati in eccedenza o, per
converso, di condanna del conduttore al pagamento della differenza
risultante a favore del locatore, trova la sua giustificazione nella con
nessione e accessorietà di tali domande rispetto a quella di determina
zione del canone, con conseguente applicazione degli art. 31, 2° com
ma, e 40 c.p.c. Sul principio v., da ultimo, Cass. 9 aprile 1993, n. 4334, Foro it.,
Rep. 1993, voce Locazione, n. 466; 4 aprile 1991, n. 3487, id., Rep.
1992, voce cit., n. 346; 27 giugno 1991, n. 7215, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 397; 10 febbraio 1990, n. 972, id., 1991, I, 1203, con nota
di R. Frasca; e, nella motivazione, Cass. 11 gennaio 1989, n. 71, id.,
1989, I, 2542, con nota di A. Cappabianca. V., però, anche Cass. 9
luglio 1993, n. 7551, id., Rep. 1993, voce Competenza civile, n. 29, e 26 gennaio 1990, n. 484, id., Rep. 1990, voce Locazione, n. 365, nel senso che la competenza di cui al 1° comma dell'art. 45 cit. trova
applicazione anche in caso di domanda di restituzione dei canoni pro
posta autonomamente dal conduttore, ove essa comporti l'accertamen
to del canone e degli aggiornamenti dovuti secondo legge. II. - La corte sottolinea che la diversità del rito applicabile a ciascuna
delle cause connesse, e per tal motivo proposte congiuntamente, non
è di ostacolo alla applicazione della norma di cui all'art. 31 c.p.c., sulla
modificazione della competenza relativa alla domanda accessoria; giac ché in tal caso si pone unicamente un problema di coordinamento della
trattazione delle cause, in modo da non applicare a quella a rito ordina
rio preclusioni derivanti dal rito speciale (come appunto nel caso delle
controversie di cui all'art. 45 1. 392/78, il cui rito corrisponde in massi
ma parte a quello dettato per le controversie in mateia di lavoro dalla 1. 533/73).
Sui gravissimi problemi che si pongono in caso di cumulo nello stesso
processo di domande soggette a riti diversi, soprattutto in materia di
locazioni urbane, dopo l'entrata in vigore della 1. 392/78 (applicandosi il rito speciale solo a singole controversie tipicamente individuate dagli art. 30 e 45 della stessa legge, e cioè solo ad una «piccola fetta» del
contenzioso in materia di locazioni), v., per tutti, A. Proto Pisani (V. Andrioli - C. M. Barone - G. Pezzano), Le controversie in materia
di lavoro - Legge 11 agosto 1973, n. 533, e norme connesse, Bologna
Roma, 1987, 2a ed., 377 ss., secondo il quale, con riferimento all'ipote si di cumulo di domande che siano tra loro in rapporto di pregiudiziali tà (compreso in tale concetto anche il caso dell'accessorietà) e delle
quali la principale o pregiudiziale sia soggetta al rito speciale, «si po
trebbe, nel silenzio della legge . . . tentare di desumere . . . dagli art.
416, 2° comma, 418 e 420, 9° comma, c.p.c. (tutti richiamati dall'art.
46 1. n. 392) l'esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale secondo cui, ove le cause connesse siano sottoposte a riti diversi, ne
sarebbe possibile la simultaneità di trattazione nelle forme del rito
speciale». L'ipotesi in discorso è stata espressamente considerata e disciplinata
nella recente novella del processo civile: il 3° comma dell'art. 40 c.p.c.,
aggiunto dall'art. 5 1. 353/90 e attualmente in vigore per i soli giudizi iniziati dopo il 1° gennaio 1993, prevede infatti che «Nei casi previsti
negli art. 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o
successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordina
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1163 PARTE PRIMA 1164
Gli aumenti del canone di locazione previsti dall'art. 681. 392/78 si applicano a decorrere dal momento in cui il locatore ne
fa richiesta, senza che possa configurarsi un suo diritto al
pagamento degli arretrati. (2)
Svolgimento del processo. — 1. - Paolo Galli conveniva in
giudizio Filippo De Cataldo e, con il ricorso al Pretore di Tira no, depositato il 13 agosto 1987, proponeva in suo confronto
una domanda relativa all'aggiornamento del canone.
L'attore esponeva che il convenuto, conduttore d'un immobi
le adibito ad uso diverso dall'abitazione, alla data del 31 luglio 1978 corrispondeva un canone di lire 90 mila mensili: ciò in
base a contratto stipulato il 1° luglio 1973 e soggetto a proroga. L'attore proseguiva esponendo che più volte — la prima con
lettera del 27 agosto 1982 — aveva richiesto al conduttore l'au
mento del canone e gli aveva domandato le somme dovute, a
partire dal 1° agosto 1978, in base all'aggiornamento consentito
dall'art. 68, n. 2, 1. 27 luglio 1978 n. 392. L'attore concludeva chiedendo che i canoni mensili dovuti
fossero determinati nelle misure da lui indicate con riferimento
rio, salva l'applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli art. 409 e 442». Tale disposizione, nella
prospettiva della entrata in vigore nella sua interezza della riforma del
processo, avrebbe dovuto avere rilevanza del tutto marginale con riferi mento alle controversie in materia di locazioni urbane, essendo prevista la devoluzione dell'intera materia esclusivamente al pretore (v., art. 8
c.p.c., come sostituito dall'art. 3 1. 353/90 e successive modifiche), con
applicazione del rito speciale mutuato da quello del lavoro (art. 447 bis
c.p.c., inserito dall'art. 70 1. 353/90). Tuttavia, come notato da A. Miranda, Connessione e rito nelle con
troversie locative, dopo la novella dell'art. 40, 3° comma, c.p.c.: addio al rito speciale?, in Arch, locazioni, 1994, 225, l'anticipata entrata in
vigore (per i processi iniziati dopo il 1° gennaio 1993) del nuovo testo dell'art. 40 c.p.c., e non anche delle altre disposizioni testé richiamate, ha determinato (e determinerà, fino all'entrata in vigore della riforma
processuale nella sua integrità) l'effetto — contraddittorio rispetto al
quadro processuale delineato dalla novella con il nuovo art. 447 bis
c.p.c. — di rendere applicabile il rito ordinario (anziché quello speciale) in tutti i casi di controversie locative nelle quali siano proposte nel si multaneus processus più domande, delle quali alcune soggette al rito
speciale ed altre all'ordinario. In particolare, l'attrazione dell'intero processo sotto il rito ordinario
vigente anteriormente alla novella della 1. 353/90 (salvo l'applicabilità di questa in alcune parti specifiche, come quelle relative agli art. 181, 186 bis, 186 ter e 282 c.p.c.), con conseguente inapplicabilità delle pre clusioni proprie del rito del lavoro (ex art. 46 1. 392/78), dovrebbe ri
guardare proprio il caso in cui, come accade frequentemente, la do manda di determinazione del canone legale di locazione e/o dei relativi
aggiornamenti sia accompagnata da una domanda (accessoria) di resti tuzione delle maggiori somme corrisposte da parte del conduttore o, per contro, di pagamento degli importi che risultassero da lui ancora dovuti. Peraltro, per i processi pendenti all'entrata in vigore nella sua
integrità della riforma del processo civile (prevista, al momento della redazione di questa nota, il giorno 30 aprile 1995, ex d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, convertito con modificazioni nella 1. 6 dicembre 1994 n.
673), in base alla disciplina transitoria della 1. 353/90 (art. 90, sostituito dalla 1. 4 dicembre 1992 n. 477 e successivamente modificato, in ultimo dal citato d.l. 571/94) dovrà procedersi al mutamento di rito, da ordi nario a speciale ex art. 447 bis c.p.c.
(2) Le sezioni unite della Cassazione risolvono, con la sentenza in
rassegna, il contrasto insorto nell'ambito della terza sezione civile circa la decorrenza degli aumenti del canone previsti dall'art. 68 1. 392/78, in tema di locazioni ad uso diverso dall'abitazione già in corso alla data del 30 luglio 1978 e soggette a proroga legale. In senso conforme alle sezioni unite, v. Cass. 4 gennaio 1992, n. 11, Foro it., Rep. 1992, voce Locazione, n. 336; 14 giugno 1991, n. 6731, id., 1992, I, 108, con nota di richiami, e Cass. 17 dicembre 1990, n. 11955, id., Rep. 1990, voce cit., n. 351; contra, per la decorrenza automatica degli au menti in questione (dal primo giorno del mese successivo all'entrata in vigore della legge, e cioè dal 1° agosto 1978), con conseguente diritto del locatore al pagamento anche di quelli maturati sui canoni del perio do precedente alla sua richiesta, v., invece, Cass. 25 luglio 1991, n.
8318, id., Rep. 1992, voce cit., n. 335 (per esteso in Arch, locazioni, 1992, 590).
La portata del principio affermato dal Supremo collegio, peraltro, si estende ben oltre il caso dell'art. 68 1. 392/78, riguardando tutte le
ipotesi in cui la variazione del canone sia collegata dalla legge alla ri chiesta della parte interessata, e segnatamente del locatore se trattasi di variazione in aumento: oltre agli art. 24 e 25 (che, in tema di aggior namento e adeguamento dell'equo canone delle locazioni abitative, espres samente ne prevedono la decorrenza dal mese successivo alla richiesta),
li Foro Italiano — 1995.
al periodo 1° agosto 1978-30 giugno 1986 e che conseguente mente fosse dichiarato che l'importo ancora dovuto era di lire
7.371.820. 2. - Filippo De Cataldo si costituiva in giudizio. Il convenuto osservava che la controversia non era relativa
all'aggiornamento del canone, poiché egli non aveva mai conte
stato che l'ammontare massimo dell'aumento praticabile sul ca
none corrispondesse a quello indicato dall'attore; riguardava bensì'
il diritto del locatore ad ottenere il pagamento, del canone au
mentato, da data anteriore a quella della richiesta.
Il convenuto concludeva chiedendo che il pretore determinas
se nelle misure indicate dall'attore l'ammontare massimo del
l'aumento praticabile nel periodo 1° agosto 1978-30 giugno 1986, ma dichiarasse la propria incompetenza per ragioni di materia
e valore su tutte le altre domande.
3. - Il pretore accoglieva la domanda e la decisione era con
fermata dal Tribunale di Sondrio.
Il tribunale, con la sentenza 28 giugno 1988, rigettando i mo
tivi di appello, affermava: — che la domanda di accertamento del debito del conduttore
v. l'art. 32 (come modificato dal d.l. 12/85, convertito nella 1. 118/85), l'art. 62, 2° comma, l'art. 64, 2° comma, l'art. 65, 4° e ultimo comma, e l'art. 71, 4° comma, 1. 392/78, nonché l'art. 15 bis d.l. 9/82 (conver tito con modifiche nella 1. 94/82). Di queste disposizioni, e di come esse sono state interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, la pro nunzia della Cassazione tiene espressamente conto per una interpreta zione sistematica del citato art. 68, nella quale viene messo in evidenza
come, essendo la disciplina transitoria della 1. 392/78 caratterizzata non
già dalla «presenza di aumenti od aggiornamenti automatici», ma, al
contrario, «da meccanismi di gradualità» ovvero «da aumenti ed ag giornamenti che, entro limiti massimi, il locatore è facoltizzato a richie
dere», risulti adeguata ad essa l'interpretazione che fa decorrere l'appli cazione della maggiorazione (aumento o aggiornamento) del canone dal momento della richiesta del locatore, assegnando a questa il ruolo di atto di esercizio di un diritto potestativo.
D'altra parte — si aggiunge — tale interpretazione è da preferire, in mancanza di controindicazioni risultanti dalla formulazione della nor
ma, anche perché congruente con il principio (che trova espressione nell'art. 1458, 1° comma, c.c.) secondo cui «nei contratti ad esecuzione continuata ... le prestazioni già eseguite si sottraggono all'incidenza di vicende successive»: l'interpretazione accolta, infatti, «porta ad esclu dere che il conduttore, il quale abbia goduto dell'immobile pagandone il canone per esso convenuto, ancorché suscettibile d'essere aumentato a richiesta del locatore, sia posto dalla successiva richiesta del locatore nella condizione di essere obbligato a corrispondere per quel già esauri to godimento una somma maggiore».
In realtà, se si eccettua il contrasto creatosi in relazione alle disposi zioni dell'art. 68 1. 392/78, l'interpretazione accolta dalle sezioni unite
corrisponde a quella costantemente seguita dalla terza sezione civile del la corte di legittimità con riferimento alle altre norme dianzi citate; vedi
— per quanto riguarda l'aggiornamento del canone previsto dall'art.
71, 4° comma, 1. cit.: Cass. 10 ottobre 1992, n. 11090, id., Rep. 1993, voce cit., n. 277; 6 agosto 1992, n. 9351, id., Rep. 1992, voce cit., n. 314 (secondo cui la richiesta di aggiornamento potrebbe essere anche
verbale); 28 febbraio 1992, n. 2490, ibid., n. 317; 22 luglio 1991, n.
8159, ibid., n. 318; 26 gennaio 1990, n. 483, id., Rep. 1990, voce cit., n. 344; 3 agosto 1987, n. 6699, id., Rep. 1988, voce cit., n. 341; 16 gennaio 1987, n. 325, id., 1987, I, 1461, con nota di richiami di D.
Piombo; — in relazione agli aumenti di canone previsti dall'art. 15 bis d.l.
9/92 (come convertito nella 1. 92/82), correlativamente alla ulteriore
proroga delle locazioni non abitative di cui agli art. 67-68 1. 392/78: Cass. 26 febbraio 1992, n. 2355, id., Rep. 1992, voce cit., n. 338; e 14 giugno 1991, n. 6731, cit.;
— per quanto riguarda gli aumenti di cui all'art. 62 1. 392/78, fina lizzati ad un graduale adeguamento alla misura desunta dagli art. 12 ss. (c.d. equo canone) del canone delle locazioni abitative in corso al 30 luglio 1978 e soggette a proroga legale: Cass. 15 dicembre 1987, n. 9283, id., Rep. 1987, voce cit., n. 362; 7 aprile 1987, n. 3364, ibid., n. 363; 7 febbraio 1986, n. 776, id., 1986, I, 2540, con nota di richiami e osservazioni di D. Piombo (anche in Nuova giur. civ., 1986, I, 457, con nota di S. Giove).
Quanto al ripercuotersi nel corso degli anni della mancata richiesta dell'aumento o dell'aggiornamento del canone da parte del locatore, la Cassazione si è espressa più volte, sia in relazione all'art. 68 sia in relazione all'art. 71, ultimo comma, 1. 392/78, nel senso che il canone non può essere considerato nella misura superiore, che sarebbe stata determinata in seguito ad una tempestiva richiesta, neppure ai limitati fini del computo del successivo aumento o aggiornamento (v. Cass. 17 dicembre 1990, n. 11955, cit., in tema di aumenti ex art. 68; Cass. 22 luglio 1991, n. 8159 e 3 agosto 1987, n. 6699, cit., per l'aggiorna
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dipendente da aggiornamento del canone costituisce una domanda
accessoria rispetto a quella di aggiornamento, che è attribuita
alla competenza per materia del pretore (art. 45 1. 27 luglio 1978 n. 392). La prima domanda, in base all'art. 31, 2° com
ma, c.p.c., può quindi essere proposta insieme alla seconda, anche se eccede la competenza per valore del pretore ed a ciò non è di ostacolo il diverso rito, ordinario quello della causa
accesoria, speciale quello della domanda principale (art. 46 1.
27 luglio 1978 n. 392), che regola i due procedimenti; — che il canone aumentato, una volta che l'aumento sia ri
chiesto, è dovuto dal giorno 1° agosto 1978 — primo giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della 1. 27 lu
glio 1978 n. 392 — perché l'art. 68 dejla stessa legge, che cosi
dispone, non prevede alcun limite temporale alla richiesta di
aumento né ricollega a questa la decorrenza dell'aumento do
mandato.
4. - Filippo De Cataldo ha proposto ricorso per cassazione.
Paolo Galli ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso contiene due motivi.
2. - Il primo motivo denunzia un vizio di violazione di norme
sulla competenza (art. 360, n. 2, c.p.c., in relazione agli art.
9, 10 e 31 dello stesso codice ed all'art. 14 disp. prel. c.c.). Il ricorrente sostiene che la norma dettata dall'art. 31, 2°
comma, c.p.c., perché deroga alla discplina generale in tema
di competenza per valore, non può essere applicata per analo
gia fuori dei casi in essa contemplati e perciò non può esserlo
nel caso, che l'art. 31 c.p.c. non contempla, in cui mentre la
causa accessoria va trattata con il rito ordinario quella princi
pale è soggetta ad un rito speciale. Il motivo non è fondato. L'art. 45 1. 27 luglio 1978 n. 392
e l'art. 74 della stessa legge, che lo dice applicabile alle locazio
ni anteriori tuttora in corso, hanno configurato, a proposito delle controversie relative alla determinazione, all'aggiornamen to ed all'adeguamento del canone, una competenza per materia,
che, sino all'abrogazione dell'originario 2° comma dell'art. 45,
operata dall'art. 6.6 1. 30 luglio 1984 n. 399, si ripartiva ulte
riormente, tra pretore e conciliatore, in ragione della misura
del canone di cui si chiedeva la determinazione, l'aggiornamen to o l'adeguamento.
L'art. 46 della legge ha poi in parte sottoposto il procedimen to per tali controversie alle norme relative al procedimento sulle
controversie individuali di lavoro.
Si tratta di norme sostituite dagli art. 3 e 70 1. 26 novembre
1990 n. 353 ed abrogate dall'art. 89 della stessa legge, ma tutto
mento del canone di cui all'art. 71). Divisa è invece, sul punto, la giuris prudenza di merito: in particolare, mentre Trib. Torino 12 novembre
1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 485, si è espressa per la non
computabilità, in caso di richiesta tardiva, degli aumenti ex art. 68 1.
392/78 che sarebbero spettati al locatore per gli anni precedenti, in sen so contrario v., nella motivazione, Pret. Genova 21 marzo 1989, id.,
Rep. 1989, voce cit., n. 427 (per esteso in Arch, locazioni, 1989, 560, con nota di L. Tiscornia); e di parere opposto, circa la inclusione degli aumenti del canone ex art. 68 1. 392/78 non richiesti nella base di calco lo degli ulteriori aumenti previsti dall'art. 15 bis d.l. 9/82 (convertito in 1. 94/82), v. Pret. Prato 30 maggio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce
cit., n. 370, e Pret. Foggia 2 maggio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 484.
Mette conto rilevare, altresì, che le sezioni unite della Suprema corte, osservando in motivazione che l'espressione dell'art. 68 1. 392/78 se condo cui il canone corrisposto dal conduttore «può essere, a richiesta del locatore, . . . aumentato ... per il restante periodo di durata del contratto ...» «può certo avere anche solo il significato che la richie
sta, una volta fatta, non richieda d'essere reiterata anno per anno . . .», sembra confermare il principio — affermato da Cass. 14 marzo 1991, n. 2693, id., 1992,1, 862, con nota di richiami — che un'unica richiesta
del locatore è sufficiente a fare scattare automaticamente tutti i succes
sivi aumenti annuali del canone previsti dall'art. 68 cit., senza necessità di rinnovarla anno per anno.
Per ulteriori questioni inerenti all'applicazione della disciplina del
l'art. 68 1. 392/78, v. Cass. 14 giugno 1991, n. 6731 e 7 giugno 1991, n. 6519 (la prima delle quali già citata), id., 1992, I, 108, con nota
di richiami, e Cass. 25 maggio 1989, n. 2517, id., 1990, I, 1956, con
nota di D. Piombo. Per quanto attiene, invece, all'aggiornamento del canone dei contrat
ti di locazione ad uso non abitativo soggetti alla disciplina ordinaria della 1. 392/78 (art. 32), cfr., da ultimo, Cass. 12 marzo 1993, n. 2975
e Pret. Monza 12 febbraio 1993, id., 1994, 1, 531, con nota di richiami.
[D. Piombo]
Il Foro Italiano — 1995.
ra applicabile, per ragioni di tempo, al caso in esame (art. 90, 1° comma, primo periodo, 1. 26 novembre 1990 n. 353, come
sostituito dall'art. 2 1. 4 dicembre 1992 n. 477 e modificato dal
l'art. 4 d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, conv. con modif. in 1. 6
dicembre 1994 n. 673). Gli art. 45 e 74 1. n. 392 del 1978 sono stati costantemente
interpretati da questa corte nel senso che la competenza per materia in essi configurata si estende alla domanda, del locato
re o del conduttore, di pagamento o restituzione delle somme,
che, a seguito dell'accertamento della misura del canone, risul
tino essere state pagate in meno od in più del dovuto dal mede
simo conduttore (Cass. 26 giugno 1981, n. 4149, Foro it., 1981,
I, 2168; 3 settembre 1982, n. 4802, id., Rep. 1982, voce Loca
zione, n. 971; 28 febbraio 1983, n. 1506, id., Rep. 1983, voce Competenza civile, n. 38; 19 agosto 1983, n. 5415, ibid., voce
Locazione, n. 469; 26 agosto 1983, n. 5484, ibid., n. 467; 25
giugno 1985, n. 3816, id., Rep. 1985, voce cit., n. 453; 6 set
tembre 1986, n. 5452, id., Rep. 1986, voce cit., n. 337; 27 feb
braio 1987, n. 2120, id., Rep. 1987, voce cit., n. 406; 4 dicem
bre 1987, n. 9021, id., Rep. 1988, voce cit., n. 346; 10 agosto
1988, n. 4916, id., Rep. 1989, voce cit., n. 432; 11 gennaio
1989, n. 71, id., 1989, I, 2542; 26 gennaio 1990, n. 484, id., Rep. 1990, voce cit., n. 365; 10 febbraio 1990, n. 972, id., 1991,
I, 1203 ; 27 giugno 1991, n. 7215, id., Rep. 1991, voce cit., n. 397; 9 aprile 1993, n. 4334, id., Rep. 1993, voce cit., n. 466).
La giurisprudenza, entrata in vigore la 1. 27 luglio 1978 n.
392, ha nella sostanza riaffermato la soluzione cui era pervenu ta in sede di interpretazione degli art. 29 1. 23 maggio 1950
n. 253 e 10 1. 26 novembre 1969 n. 833 (Cass. 20 giugno 1978, n. 3037, id., Rep. 1978, voce cit., n. 253; 28 maggio 1977, n.
2206, id., 1977, I, 1655). È stato rilevato, in dottrina, come l'esame della pur costante
giurisprudenza appena richiamata non riveli in genere se il ri
sultato da essa attinto si fondi sulla interpretazione delle espres
sioni, che le norme succedutesi in tema di locazione hanno usa
to per descrivere il contenuto delle controversie concernenti la
misura del canone, o se esso si basi sull'applicazione dell'art.
31, 2° comma (nonché dell'art. 40) c.p.c., cioè sulla disciplina della connessione.
Se non che l'effettiva applicazione del secondo procedimento
logico, anziché del primo, è rivelata dal filone giurisprudenzia
le, complementare a quello sin qui commentato, con il quale si è affermato il principio che non costituisce causa accessoria
rispetto a quella di determinazione del canone, e non ne può
seguire la competenza in base all'art. 31, 2° comma, c.p.c.,
quella relativa alla risoluzione del contratto per morosità, nella
quale l'accertamento della morosità dipenda da quello sulla mi
sura del canone (sez. un. 11 febbraio 1982, n. 839, id., 1982,
I, 1955): se ne evince che, nella giurisprudenza della corte, è
la connessione tra domanda accessoria e domanda principale,
quale descritta dall'art. 31 c,p.c., il criterio di fondo utilizzato
per scriminare tra domande che possono e domande che non
possono essere conosciute dal giudice della controversia sul ca
none (e per un richiamo non al solo criterio dell'accessorietà, ma specificamente all'art. 31, 2° comma, c.p.c., Cass. 9 aprile
1993, n. 4334, cit.). La giurisprudenza che si è sin qui commentata dimostra cosi
che la diversità del rito non è stata considerata di ostacolo, nel
caso in esame, alla applicazione della norma sulla modificazio
ne di competenza derivante da connessione per accessorietà (ma,
per altra applicazione della stessa regola, Cass. 23 luglio 1991,
n. 8243, id., Rep. 1991, voce Lavoro e previdenza (controver
sie), n. 53. La tesi sostenuta dal ricorrente, per cui l'applicazione del
l'art. 31, 2° comma, c.p.c. — di ciò si è trattato nel caso in
esame — non sarebbe possibile nel caso di domande soggette a diverso rito non trova aggancio testuale nella norma; del re
sto, il legislatore del 1990, in presenza dell'estendersi dell'area
di applicazione dei giudizi a rito speciale, non ha considerato
la diversità del rito un fatto impediente l'esauriente trattazione
e decisione delle cause connesse, ma ha dettato un complesso di regole ispirate al principio di individuare per le diverse cause
un identico tipo di rito, regole in mancanza delle quali la tratta
zione delle diverse cause andava coordinata in modo da non
applicare a quella a rito ordinario preclusioni derivanti dal rito
speciale.
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1167 PARTE PRIMA 1168
Il motivo di ricorso non denunzia la violazione di norme pro
cessuali, dipendenti dall'adozione d'uno od altro rito, da cui
sia derivato al ricorrente un pregiudizio nell'applicazione delle
difese relative all'entità delle somme da lui corrisposte a titolo
di canone nel corso del periodo di contestazione; denunzia inve
ce la violazione di norme sulla competenza, che, come si è ve
duto, non vi è stata: di qui la preannunziata infondatezza del
motivo.
3. - Il secondo motivo denunzia un vizio di violazione o falsa
applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c., in rela zione all'art. 68 1. 27 luglio 1978 n. 392).
L'art. 68 1. 27 luglio 1978 n. 392 fa parte del complesso di
norme che integrano la disciplina transitoria della legge c.d. del
l'equo canone: riguarda in particolare i contratti di locazione
di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione e tra questi
i contratti in corso al momento dell'entrata in vigore della leg
ge, soggetti, secondo la precedente normativa, a proroga legale
ed ulteriormente prorogati per effetto dell'art. 67.
Esso ha come oggetto il canone e ne regola la possibilità di
aumento per il periodo di ulteriore proroga. Il suo tenore lette
rale è il seguente: «Nei contratti di locazione o sublocazione
di cui al precedente articolo il canone corrisposto dal condutto
re, calcolato al netto degli accessori, può essere, a richiesta del
locatore, aumentato a decorrere dal primo giorno del mese suc
cesivo a quello di entrata in vigore della presente legge per il
restante periodo di durata del contratto, nelle misure se
guenti . . .».
La questione posta con il motivo del ricorso è se la richiesta
del locatore abbia effetto dal momento in cui è fatta — come
sostiene il ricorrente — o se, una volta fatta, abbia effetto a
partire dal primo giorno del mese successivo all'entrata in vigo
re della legge — come è stato deciso con la sentenza impugnata.
La questione è stata decisa in senso difforme dalla terza se
zione della corte e la pronunzia su di essa è stata per questa
ragione rimessa alle sezioni unite.
Le sezioni unite ritengono che, per le ragioni che saranno
esposte più avanti, la questione vada risolta nel senso sostenuto
dal ricorrente.
4. - Prima di porre a raffronto e di vagliare sul piano esegeti
co e sistematico le ragioni addotte nella giurisprudenza della
corte a sostegno delle diverse soluzioni accolte è necessario com
piere una sintetica individuazione delle norme dettate con 1. n.
392 del 1978 in tema di aggiornamento, deguamento ed aumen
to del canone.
La disciplina a regime presenta disposizioni in tema di loca
zioni abitative ed in particolare:
a) l'art. 24, concernente l'aggiornamento («. . . il canone di
locazione definito ai sensi degli articoli da 12 a 23 è aggiornato
ogni anno in misura pari al 75% della variazione, accertata dal
l'Istat, dell'indice dei prezzi . . . L'aggiornamento del canone
decorrerà dal mese successivo a quello in cui ne viene fatta ri
chiesta con lettera raccomandata»);
b) l'art. 25, concernente l'adeguamento («Ciascuna delle parti, in ogni momento del rapporto contrattuale, ha diritto all'ade
guamento del canone in relazione all'eventuale mutamento de
gli elementi di cui agli articoli 13 e 15 . . . L'adeguamento del
canone ha effetto dal mese successivo a quello durante il quale sia stato richiesto con lettera raccomandata»).
La disciplina a regime presenta ancora una norma in tema
di aggiornamento del canone delle locazioni non abitative:
c) l'art. 32 («Le parti possono convenire che dall'inizio del
quarto anno il canone sia aumentato . . .»: 2° comma), modifi
cato dall'art. 1.9 sexies d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, conv. con
modif. nella 1. 5 aprile 1985 n. 118 («Le parti possono conveni
re che il canone sia aggiornato annualmente su richiesta del lo
catore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira»). La disciplina transitoria presenta più disposizioni in tema di
locazioni abitative, già soggette a proroga ed ulteriormente pro
rogate a norma dell'art. 58:
d) l'art. 62, 2° comma, concernente l'aumento del canone
(fino all'inizio del sesto anno a decorrere dalla data di entrata
in vigore della legge «il canone di locazione corrisposto dal con
duttore, al netto degli eneri accessori, può essere aumentato
a richiesta del locatore, a decorrere dal primo giorno del quarto
mese successivo a quello di entrata in vigore della presente
legge . . .»);
Il Foro Italiano — 1995.
e) l'art. 63, 2° comma, concernente l'aggiornamento («Dal
l'inizio del terzo anno il canone è aggiornato . . .»);
f) l'art. 64, 2° comma, concernente l'aggiornamento nelle lo
cazioni non soggette in regime ordinario ad equo canone (fino
al termine della durata dipendente dalla nuova proroga «il ca
none può essere modificato a richiesta del locatore mediante
aggiornamento annuale . . .»). La disciplina transitoria presenta ancora disposizioni in tema
di locazioni abitative non soggette a proroga, ma la cui durata
era stata protratta dall'art. 65 della legge per uniformarla alla
nuova durata minima legale:
g) l'art. 65, 4° comma, concernente l'aumento del canone
(fino all'inizio del secondo anno a decorrere dall'entrata in vi
gore della legge «il canone di locazione corrisposto dal condut
tore, calcolato al netto degli oneri accessori, può essere aumen
tato su richiesta del locatore a decorrere dal primo giorno del
quarto mese successivo a quello di entrata in vigore dalla pre
sente legge . . .»);
h) l'art. 65, 3° comma, concernente l'adeguamento («Il ca
none di cui agli art. 12 e 24 si applica ai contratti di cui al
presente articolo a partire dall'inizio del secondo anno a decor
rere dall'entrata in vigore della presente legge, ed il canone è
adeguato in relazione all'eventuale mutamento degli elementi
di cui agli articoli 13 e 15»); i) l'art. 65, ultimo comma, concernente l'aggiornamento nel
le locazioni non soggette in regime ordinario a canone equo
(«Fino alla scadenza di cui al 1° comma il canone può essere
modificato, su richiesta del locatore . . .»). La disciplina transitoria presenta, infine, oltre al già richia
mato art. 68, altra disposizione:
l) l'art. 71, 4° comma, concernente l'aggiornamento del ca
none nelle locazioni non prorogate, ma a durata protratta dallo
stesso articolo («Il canone potrà essere aggiornato annualmente
su richiesta del locatore dal giorno della scadenza contrattual
mente prevista . . .»). La ricognizione delle diverse disposizioni dettate dalla legge
mostra come in esse si fa in vario modo menzione 1) dal mo
mento a decorrere dal quale sorge il diritto (cosi, nell'art. 25,
si dice che «ciascuna delle parti, in ogni momento del rapporto
contrattuale, ha diritto all'adeguamento del canone in relazione
all'eventuale mutamento degli elementi . . .»: dal mutamento
degli elementi sorge il diritto all'adeguamento); 2) della richie
sta della parte come modo per esercitare il diritto (della richie
sta non fa espressa menzione il solo art. 65, 3° comma); 3)
del momento a decorrere dal quale la modificazione del canone
diviene operante (l'art. 24, 2° comma, e l'art. 25, 2° comma,
lo individuano nel mese successivo a quello della richiesta) e
però non in tutte le disposizioni i tre elementi appaiono già in base alla lettera della legge essere stati insieme utilizzati (co m'è ad esempio nell'art. 25): donde il problema interpretativo
che qui viene in considerazione.
5. - La sentenza 25 luglio 1991, n. 8318 {id., Rep. 1992, voce
Locazione, n. 335) ha interpretato l'art. 68 nel senso che esso
consente al locatore di chiedere anche gli aumenti relativi ai
canoni del periodo precedente alla sua domanda.
La pronunzia ora richiamata è pervenuta a tale conclusione
dopo aver posto a raffronto la lettera dell'art. 68 (punto 3) e quella dell'art. 24 della stessa legge (punto 4, lett. a): ha os
servato che l'art. 68 presenta una formulazione diversa da quel
la dell'art. 24. Quest'ultimo attribuisce al locatore il diritto al
l'aumento del canone ricollegandone la decorrenza alla data della
domanda, il primo attribuirebbe al locatore il diritto all'aumen
to del canone dal primo giorno del mese successivo alla data
di entrata in vigore della legge. Altre decisioni, precedenti e successive, rese con specifico ri
guardo all'art. 68, hanno seguito l'indirizzo opposto (sent. 17
dicembre 1990, n. 11955, id., Rep. 1990, voce cit., n. 351; 14 giugno 1991, n. 6731, id., 1992, I, 108; 4 gennaio 1992, n. 11, id., Rep. 1992, voce cit., n. 336): tra queste, la sentenza 14
giugno 1991, n. 6731 richiama a sostegno della soluzione accol
ta l'interpretazione data dalla sentenza 7 febbraio 1986, n. 776
(id., 1986, I, 2540) alla norma dettata dall'art. 62, 2° comma
(punto 4, lett. d), che — come emerge dal raffronto tra le due
disposizioni — utilizza, salva una diversa decorrenza, una for
mula analoga (l'art. 62, 2° comma, la formula «il canone . . .
può essere aumentato a richiesta del locatore, a decorrere dal
quarto mese successivo a quello di entrata in vigore della pre
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sente legge . . .»; l'art. 68 la formula «. . . il canone . . . può essere a richiesta-dei locatore aumentato a decorrere dal primo
giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della
legge . . .»). La sentenza 7 febbraio 1986, n. 776, cit., ha osservato che
l'art. 62, «allorché stabilisce che il canone può essere aumenta
to 'a richiesta' del locatore, compie un chiaro riferimento all'e
sistenza di un onere su di lui gravante allo scopo di esigere il maggior canone. Ne deriva che soltanto se e quando il locato
re faccia valere la pretesa, potrà essergli corrisposto l'aumento, senza che soccorra alcun criterio di automaticità, situazione dalla
quale appare logico e conforme al sistema generale far discen
dere che la decorrenza del diverso canone non può essere ante
riore al momento in cui venga effettuata la richiesta».
La corte — nella sentenza 7 febbraio 1986, n. 776 — aveva
ancora rilevato che nel corso dei lavori parlamentari era stata
più volte sottolineata l'esigenza di attenuare l'imperatività della
nuova legge, creando norme che segnassero un primo passo verso
una maggiore autonomia delle parti, nel contempo ponendo li
miti a tutela del conduttore, e tra l'altro quello di una difesa
da aumenti autentici e da richieste tardive di arretrati tali da
porlo in difficoltà. La soluzione accolta, in sede di interpretazione dell'art. 62,
dalla sentenza richiamata è stata poi fatta propria dalle succes
sive decisioni rese dalla corte sulla stessa norma (sent. 7 aprile
1987, n. 3364, id., Rep. 1987, voce cit., n. 363; 15 dicembre
1987, n. 9283, ibid., n. 362). Identico indirizzo la corte ha seguito nella interpretazione del
l'art. 71, 4° comma (punto 3, lett. I). Alla base di questo indirizzo è la sentenza 16 gennaio 1987,
n. 325 (id., 1987, I, 1461, cui si sono uniformate le successive
decisioni 3 agosto 1987, n. 6699, id., Rep. 1988, voce cit., n.
341; 22 luglio 1991, n. 8159, id., Rep. 1992, voce cit., n. 318;
28 febbraio 1992, n. 2490, ibid., n. 317; 6 agosto 1992, n. 9351, ibid., n. 314; 10 ottobre 1992, n. 11090, id., Rep. 1993, voce cit., n. 277).
La sentenza 16 gennaio 1987, n. 325, cit., che contiene il più diffuso esame delle questioni poste dalla interpretazione delle
diverse disposizioni sopra richiamate, ha in primo luogo osser
vato che nel regime 'ordinario' della legge «il canone delle loca
zioni abitative costituisce un dato oggettivo, risultante da un
calcolo operato sulla scorta di determinati parametri, aprioristi camente individuati dal legislatore e che consentono di determi
nare il valore locativo di quel bene. In sintonia con tale scelta
è poi il meccanismo dell'aggiornamento e dell'adeguamento del
canone, stabilito dagli art. 24 e 25 della legge: nel caso di varia
zione dell'indice Istat o di mutamento dei parametri sui quali si fonda l'equo canone, questo — per mantenere fermo il suo
rapporto con il valore locativo — viene automaticamente ag
giornato o adeguato ('il canone ... è aggiornato'; 'ha diritto
all'adegumento del canone'): tant'è che, ove per ipotesi l'allog
gio sia in quel momento sfitto, nello stipulare successivamente
il contratto di locazione si terrà conto di tali accadimenti ai
fini del calcolo dell'equo canone. Tuttavia — per evitare il for
marsi di situazioni debitorie e la conseguente litigiosità — il legislatore ha subordinato in entrambe le richiamate situazioni
la decorrenza dell'aggiornamento e dell'adeguamento alla richie
sta della parte interessata. Disposto questo necessario ché, altri
menti, l'automaticità del riflesso di quegli accadimenti sulla mi
sura dell'equo canone avrebbe comportato — in difetto dell'e
splicita previsione — la decorenza delle variazioni . . . dal
verificarsi di quelle situazioni, con la possibilità di richiedere
in qualunque momento (e salva la verificatasi prescrizione) gli
'arretrati'».
La sentenza 16 gennaio 1987, n. 325 ha poi osservato che
il criterio per cui la decorrenza delle variazioni è collegata alla
richiesta della parte interessata è stato ripreso nella disciplina
transitoria concernente la variazione in aumento dei canoni del
le locazioni abitative; è presente nella disciplina ordinaria delle
locazioni non abitative; lo è in quella transitoria degli stessi con
tratti: ciò in corrispondenza di una disciplina intesa a fissare
non un canone legale predeterminato, ma limiti massimi di va
riazione in aumento, in vista di un definitivo allineamento del
canone a quello legale, nelle locazioni abitative, e del recupero
della svalutazione, nelle locazioni non abitative. La conclusione
desunta da tali rilievi è stata che la portata normativa dell'art.
71, 4° comma, non poteva essere tratta utilmente da un con
Ii Foro Italiano — 1995.
fronto con l'art. 24, se l'analisi veniva impostata sulla sola con
siderazione che la seconda norma, a differenza dalla prima, nulla
disponeva circa la decorrenza dell'aumento. La sentenza osser
vava che l'art. 24, «stante l'automaticità dell'aggiornamento in
una determinazione 'legale del canone' doveva porre — volen
do collegare l'obbligo di corrispondere il maggiore . . . canone
conseguito all'aggiornamento stesso, ad una richiesta della par te interessata — l'apposita previsione; l'aggiornamento di cui
all'ultimo comma dell'art. 71, invece, proprio perché al di fuori
di ogni automatismo di determinazione del canone, non poteva che restare affidato — cosi come nel regime ordinario — alla
autonomia privata, in particolare del locatore, avendo voluto
il legislatore attribuire rilievo solo alla variazione Istat in au
mento: il che dimostra, anche da questo versante, come l'ag
giornamento sia al di fuori dei meccanismi automatici che pre siedono alla determinazione dell"equo canone' per le locazioni
abitative. La richiesta, pertanto si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore
può pretendere il canone aggiornato solo dal momento della
stessa e senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere
il pagamento degli arretrati, proprio perché, prima del suo atti
varsi, non esiste alcun credito per l'aggiornamento». 6. - L'analisi della giurisprudenza della corte, condotta con
riferimento al complesso delle disposizioni che interessano, nel
la 1. n. 392 del 1978, il tema dell'aggiornamento ed adeguamen to dei canoni mostra che disposizioni di analoga conformazione
si sono prestate a diversa interpretazione e che, con particolare
riguardo alla disposizione in esame, l'art. 68, ad una interpreta
zione, prevalente, che ne omologa la portata normativa a quella
che delle altre disposizioni è stata data dalla restante giurispru
denza, se ne è contrapposta un'altra basata sul confronto della
lettera dell'art. 68 con quella dell'art. 24, cioè su un argomento che in altra sede — quella del confronto tra art. 24 ed art.
71 — è stato considerato non conducente.
La soluzione del problema interpretativo posto dalla disposi
zione dettata dall'art. 68 deve a questo punto muovere dalla
sua esegesi. L'art. 68, come si è detto, regola l'aumento del canone delle
locazioni non abitative, ulteriormente prorogate dall'art. 67.
La disposizione «il canone può essere a richiesta del locatore,
aumentato a decorrere dal primo giorno del mese successivo
a quello di entrata in vigore della presente legge per il restante
periodo di durata del contratto ...» deve essere analizzata te
nendo conto di quanto si è già osservato circa i tre elementi
utilizzati dal legislatore nelle altre analoghe disposizioni per de
limitare l'ambito dei loro effetti (momento nel quale il diritto
all'aumento sorge; la richiesta come atto di esercizio del diritto;
la decorrenza degli effetti della richiesta).
L'espressione «a decorrere dal primo giorno del mese succes
sivo a quello di entrata in vigore della presente legge» ha nella
norma una sua precisa ragione d'essere: l'art. 68 regola il dirit
to all'aumento nei contratti prorogati dal precedente art. 67 e
la misura dell'aumento consentito è differenziata, come la du
rata della proroga, in corrispondenza del periodo in cui si collo
ca la conclusione del primo contratto. Se non che la durata
della proroga è fatta decorrere, nell'art. 67, «dal giorno e dal
mese, successivi all'entrata in vigore della presente legge, corri
spondenti a quelli di scadenza previsti nel cotratto di locazione»
e, solo ove tale determinazione non sia possibile, dallo stesso
giorno di entrata in vigore della legge. L'espressione usata nel
l'art. 68 sta dunque a precisare che il diritto all'aumento è ac
cordato dalla legge non a partire dalla data di inizio del nuovo
periodo di proroga, differenziata per i diversi contratti, ma da
una data diversa, eguale per ogni contratto.
L'espressione, perciò, da un punto di vista letterale, mentre
ha certamente la valenza di individuare da quale data il diritto
è accordato, non necessariamente ha l'altra di individuare la
data di decorrenza degli effetti della richiesta.
L'espressione appena commentata è completata da quella «per il restante periodo di durata del contratto»: poiché l'aumento — come risulta dai seguenti nn. 1), 2) e 3) che concludono la
disposizione — è accordato in una percentuale rispettiva del
15%, 10% e 5% all'anno, l'espressione può certo avere anche
solo il significato che la richiesta, una volta fatta, non richieda
d'essere reiterata anno per anno, ma ben può avere anche l'al
tro che l'aumento, una volta richiesto, interesserà «il restante
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1171 PARTE PRIMA
periodo di durata del contratto», cioè la durata successiva alla
richiesta, ma non anche quella precedente già trascorsa.
L'esegesi della disposizione, dunque, non consente di affer
mare che, già in base alla sua interpretazione letterale, si deve
pervenire alla conclusione che il legislatore abbia avuto l'inten
zione di attribuire alla richiesta l'effetto di far sorgere nel con
duttore l'obbligazione di corrispondere l'aumento non già solo
dalla data della richiesta, ma anche dalla data in cui il diritto
a chiedere l'aumento è sorto.
Se poi si pone la disposizione a raffronto con le altre, nella
ricerca dell'intenzione del legislatore (art. 12, 1° comma, disp.
prel. c.c.), non possono non essere condivise le logiche conside
razioni fatte nella sentenza 16 gennaio 1987, n. 325, cit., sulla
inidoneità a tal fine del raffronto tra le formule utilizzate da
un lato dagli art. 24 e 25 e dall'altro dall'art. 71, 4° comma,
nonché dall'art. 68 in esame e dalle altre disposizioni richiama
te al punto 4.
Decisivo appare invece il rilievo che il sistema si presenti in
tutto il suo arco imperniato sulla richiesta del locatore.
La disciplina transitoria, di cui tale elemento della richiesta
costituisce un aspetto, è caratterizzata da meccanismi di gra dualità e non è contraddistinto dalla presenza di aumenti od
aggiornamenti automatici, cioè ricollegati dalla legge ai fatto
che il contratto, protraendosi, attinga via via determinate date; è caratterizzata, bensì, da aumenti ed aggiornamenti che, entro
limiti massimi, il locatore è facoltizzato a richiedere.
L'interpretazione della norma in esame, nel senso che aumen
to od aggiornamento si applicano al canone a decorrere da quan do il locatore fa la richiesta, è adeguata a questa strutturazione
della disciplina ed ha dal punto di vista sistematico il pregio di rendere la disciplina transitoria congruente con quella ordi
naria, nel senso di rivelarsi ispirata alle stesse esigenze «di evita
re il formarsi di situazioni debitorie e la conseguente litigiosità».
L'interpretazione della norma che si lascia preferire è dunque
quella che assegna alla richiesta il ruolo di atto di esercizio di
un diritto potestativo, quello all'aumento od all'aggiornamen to: spetta al locatore valutare se l'equilibrio tra le prestazioni abbia subito l'incidenza del deprezzamento della moneta e quindi domandare o no che, nei limiti consentiti, il rapporto di equili brio tra le prestazioni nell'ambito del concreto contratto sia ri
pristinato. Nei contratti ad esecuzione continuata, del resto, le prestazio
ni già eseguite si sottraggono all'incidenza di vicende successive
(art. 1458, 1° comma, c.c.): in mancanza di una espressa for
mulazione della disposizione in diverso senso, appare quindi si
stematicamente corretto preferire della disposizione l'interpreta zione che porta ad escludere che il conduttore, il quale abbia
goduto dell'immobile pagandone il canone per esso convenuto, ancorché suscettibile d'essere aumentato a richiesta del locato
re, sia posto dalla successiva richiesta del locatore nella condi
zione di essere obbligato a corrispondere per quel già esaurito
godimento una somma maggiore. 7. - Il ricorso è in conclusione accolto.
La sentenza impugnata è cassata nei limiti derivanti dall'ac
coglimento del primo motivo e le parti sono rimesse al giudice di rinvio, che è indicato nel Tribunale di Lecco.
Il giudice di rinvio si uniformerà al seguente principio di diritto:
«L'art. 68 1. 27 luglio 1978 n. 392, che attribuisce al locatore
un diritto ad ottenere l'aumento del canone nelle misure annue
da esso previste, va interpretato nel senso che l'obbligazione del conduttore di corrispondere il canone aumentato decorre
dalla data in cui l'aumento gli è richiesto».
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 feb
braio 1995, n. 1395; Pres. Corda, Est. Catalano, P.M. Ni
cita (conci, conf.); Min. finanze e Min. marina mercantile
(Aw. dello Stato La Porta) c. Soc. Nuova Sardamag ed altri
(Aw. Guarino, Romano, Dorè). Cassa App. Cagliari 29 di
cembre 1990.
Porti, spiagge, fari — Tassa portuale di sbarco e imbarco —
Porti sedi di aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini —
Applicabilità (L. 9 febbraio 1963 n. 82, revisione delle tasse e dei diritti marittimi, art. 33; 1. 9 ottobre 1967 n. 961, istitu zione delle aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini dei
porti di Ancona, Cagliari, Livorno, La Spezia, Messina e Sa
vona, art. 1; d.l. 28 febbraio 1974 n. 47, istituzione di una
tassa di sbarco e imbarco sulle merci trasportate per via aerea
e per via marittima, art. 2; 1. 16 aprile 1974 n. 117, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 28 febbraio 1974 n. 47, art. unico; 1. 10 ottobre 1974 n. 494, modifiche ed
integrazioni alla 1. 9 ottobre 1967 n. 961, riguardante l'istitu
zione in alcuni porti delle aziende dei mezzi meccanici e dei
magazzini, art. 1, 2; 1. 5 maggio 1976 n. 355, estensione alle
aziende dei mezzi meccanici e magazzini portuali di Ancona,
Cagliari, La Spezia, Livorno e Messina di alcuni benefici pre visti per gli enti portuali, art. 1; d.l. 13 marzo 1988 n. 69, norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle ge stioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti, art. 3;
1. 13 maggio 1988 n. 153, conversione in legge, con modifica
zioni, del d.l. 13 marzo 1988 n. 69, art. 1).
La tassa di cui agli art. 33 ss. I. 9 febbraio 1963 n. 82, e succes
sive modificazioni, è dovuta per tutte le operazioni di imbar
co e sbarco poste in essere nelle stazioni portuali ricomprese nelle circoscrizioni della capitaneria di porto in cui hanno se
de, o sono autorizzate ad operare, le aziende dei mezzi mec
canici e dei magazzini di cui alla l. 9 ottobre 1967 n. 961 e successive modificazioni (nella specie, la corte ha ritenuto
assoggettate alla tassa de qua le operazioni poste in essere
nel porto di S. Antioco rientrante nella circoscrizione della
capitaneria di porto di Cagliari). (1)
(1) I. - Ad avviso di Cass. 19 novembre 1987, n. 8512, Foro it.,
1988, I, 2652, con nota di richiami, la tassa «portuale» non è dovuta
per un approdo (quello di Sarroch) «estraneo all'ambito territoriale del
porto di Cagliari e per il quale l'azienda dei mezzi meccanici di Cagliari non aveva avuto l'autorizzazione ad operare». Per la sentenza testé ci
tata, difatti, il testo dell'art. 1 1. 355/76, nel disporre che sono dovute le tasse portuali di cui al capo III, titolo II, 1. 9 febbraio 1963 n. 82 — cui si riconosce natura doganale con quanto ciò comporta in ordine
al termine per proporre opposizione avverso la ingiunzione di pagamen to — risulta del tutto chiaro «nel senso che le tasse vengono dichiarate
dovute in relazione ai soli porti nei quali con apposita legge le aziende risultino costituite».
Sul problema della legittimazione passiva dell'azienda dei mezzi mec canici e dei magazzini per la ripetizione della tassa de qua, v. Trib.
Cagliari 22 febbraio 1989, id., Rep. 1990, voce Porti, spiagge, fari, n. 13, ad avviso del quale l'ente, benché beneficiario dei due terzi dei
proventi del tributo, non è titolare di alcuna pretesa diretta nei con fronti dei soggetti obbligati al pagamento dello stesso; ne consegue che
questi ultimi non possono richiedere all'azienda la restituzione dei tri buti indebitamente pagati all'amministrazione finanziaria.
II. - In ordine alla spettanza della giurisdizione sulle controversie re lative alla tassa di cui in massima, v. Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre
1992, n. 781, id., Rep. 1992, voce cit., n. 22, e 9 settembre 1992, n.
639, ibid., n. 21, ad avviso delle quali le controversie relative agli atti
posti in essere dall'amministrazione per l'accertamento sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono affidate al giudice ordinario ovvero a quello tributario. Sulla questione si era, peraltro, già pronunciata Cass., sez. un., 1° marzo 1988, n. 2157, id., 1989, I, 487, con nota di richiami, per la quale spetta al giudice ordinario la cognizione della controversia avente ad oggetto la applicazione delle tasse portuali de quibus, atteso che si tratta di lesioni di posizioni di diritto soggettivo di contribuenti già assoggettati all'obbligo contributi vo. Per le sezioni unite difatti «la difesa dinnanzi al giudice ammini
strativo, quando il pregiudizio è diventato attuale (perché il diritto sog gettivo a non essere sottoposto ad imposizione se non nei casi, nella misura e con le forme stabilite dalla legge, è stato già leso) non ha
più ragion d'essere non essendovi alcuna necessaria pregiudizialità di essa rispetto a quella dinanzi all'a.g.o., che nel conoscere del rapporto tributario potrà e dovrà disapplicare l'atto amministrativo generale rite nuto illegittimo».
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