sezioni unite civili; sentenza 9 gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M. Cinque(concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Criscuoli) c. Soc. Istituto centrale banche ebanchieri. Conferma Comm. trib. reg. Lombardia 16 aprile 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 757/758-763/764Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197947 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione» ad opera del curatore che questi non avrebbe potuto farvi
luogo in nessun caso giacché «il curatore non può insinuarsi per un credito ... del fallimento».
4. - Si impone, in definitiva, quel diverso esito (già prospet tato da quella ricordata posizione dottrinale del 1956) secondo il
quale l'improponibilità nel giudizio introdotto davanti al giudi ce competente secondo le regole ordinarie dal curatore del fal
limento nei confronti di un terzo della riconvenzionale di que st'ultimo che sia soggetta al rito speciale fallimentare, compor ta, ancorché le due cause traggano fondamento nel medesimo
titolo contrattuale, la «separazione» delle cause stesse, restando
quella principale incardinata dinanzi al giudice per essa compe tente, ritualmente adito dal curatore, e ciò sulla base della con
siderazione che il principio del simultaneus processus né può
derogare al rito speciale fallimentare, né può (al di fuori dell'i
potesi dell'art. 36 c.p.c.) sottrarre la domanda principale al giu dice che per essa sia naturalmente competente, per devolverla,
con travisamento della struttura logica del sistema concorsuale, al giudice fallimentare.
Del resto, la separazione delle cause è adottata anche in altre
differenti ipotesi, in presenza di una competenza funzionale in
derogabile per la domanda principale (il giudice del procedi mento monitorio per la causa di opposizione) di una eccedenza
di competenza (v. sez. un. n. 10984 del 1992, id., 1992, I, 3287) o di una diversità di rito (v. Cass. n. 12436 del 1993, id., Rep. 1994, voce Ingiunzione (procedimento), n. 34; n. 10278 del
1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 64; n. 10692 del 2000, id.,
2001, I, 125) che sia rilevabile per la domanda riconvenzionale
dell'opponente, rimediandosi con l'istituto della sospensione
(art. 295 c.p.c.) a quelle stesse esigenze che, per l'identità del
titolo, spiegavano l'esigenza del simultaneus processus. La medesima soluzione può essere dunque adottata nel caso,
come quello di specie, in cui soltanto un rito speciale, e non una
diversa (di altro giudice) competenza, sottragga la domanda ri
convenzionale al giudice della domanda principale e non vi sia
una norma che imponga il trasferimento presso quel diverso
giudice anche della domanda principale. 4.1. - Può da ultimo rilevarsi come nel caso di specie (e in
tutti i casi analoghi) le ragioni di connessione tra le due con
trapposte domande della curatela (di restituzione delle somme
che la società poi fallita aveva pagato a titolo di acconto sul
prezzo di acquisto dell'immobile) e dei convenuti in riconven
zionale (di condanna del fallimento alla corresponsione di un
indennizzo per il valore d'uso dell'immobile stesso relativa
mente al periodo in cui la fallita prima e la curatela poi ne aveva
avuto e conservato la detenzione) siano, per così dire, «deboli».
Ed invero, il preliminare di vendita che costituì il titolo con
trattuale giustificativo della corresponsione, da parte del fallito,
delle somme a titolo di acconto sul prezzo e, da parte dei pro mittenti venditori, dell'anticipata cessione del possesso del
l'immobile, appare non più che come l'antecedente storico co
mune. mentre è la dichiarazione ex art. 72 1. fall., resa dal cura
tore per lo scioglimento del contratto, che costituisce la più im
mediata giustificazione degli effetti restitutori e delle conse
guenti obbligazioni, dunque tanto della domanda giudiziale (del
fallimento) di restituzione della somma quanto della contrappo sta domanda di corresponsione dell'indennizzo, sicché tale di
chiarazione del curatore, in quanto non costituente materia con
troversa tra le parti in relazione ai suoi effetti, ben può essere
dedotta autonomamente da ciascuna parte, in uno al contratto
preliminare, nei giudizi separati. 5. - Il ricorso in esame dev'essere dunque accolto e la senten
za della corte romana riformata in quella parte in cui, pronun ciando l'improcedibilità di entrambe le domande, ha confermato
la decisione del primo giudice che anche la domanda principale della curatela restava sottratta alla cognizione del Tribunale di
Roma.
Su tale domanda detta corte, in sede di rinvio, dovrà pronun ciare nel merito (applicandosi l'art. 354 c.p.c.), previa riforma
della pronuncia di «improcedibilità» della suddetta domanda
principale.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 9
gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M.
Cinque (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Cri
scuoli) c. Soc. Istituto centrale banche e banchieri. Conferma Comm. trib. reg. Lombardia 16 aprile 1997.
Riscossione delle imposte e delle entrate dello Stato e degli enti pubblici — Imposte pagate in relazione a dichiarazio
ne dei redditi errata — Ripetizione dell'imposta indebita (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina del
l'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 41, 44; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, disposizioni sulla riscossione delle
imposte sul reddito, art. 38; d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917,
approvazione del t.u. delle imposte sui redditi, art. 56; d.p.r. 4
febbraio 1988 n. 42, disposizioni correttive e di coordina
mento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative
al t.u. delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 di
cembre 1986 n. 917, art. 36).
Il contribuente titolare di reddito di impresa, che nel vigore del
d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 abbia erroneamente incluso
nella dichiarazione dei redditi gli interessi maturati sui cre
diti di imposta, ha diritto a ripetere le relative imposte senza
che a ciò osti il combinato disposto degli art. 56 d.p.r. 22 di
cembre 1986 n. 917 — che, innovando al d.p.r. 597/73, pre scrive l'imponibilità di questi interessi — e 36 d.p.r. 4 feb braio 1988 n. 42 — a tenore del quale le disposizioni del
d.p.r. 917/86 si applicano retroattivamente in presenza di di
chiarazioni conformi alle sue disposizioni. (1)
(1) I. - Le sezioni unite ribaltano il consolidato orientamento della
prima e della quinta sezione che ritenevano la tassazione — a norma del combinato disposto dell'art. 56, 3° comma, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, e dell'art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42 — degli interessi sui
crediti d'imposta maturati nei confronti dell'erario, relativamente a pe riodi anteriori all'entrata in vigore dello stesso d.p.r. 917/86, qualora il
contribuente li avesse ricompresi nelle proprie dichiarazioni dei redditi, senza che valesse ad escludere la retroattività della norma, la circostan za che tali interessi fossero stati inclusi nell'imponibile al solo fine di
evitare l'irrogazione di eventuali sanzioni, e che le denunzie fossero state sostituite con altre, ovvero «corrette» con successive istanze di
rimborso. II. - In tal senso, con diverse sfumature, v. Cass. 27 novembre 2002,
n. 16780, Foro it.. Mass., 1245; 6 novembre 2000, n. 14449, id.. Rep. 2000, voce Redditi (imposte), n. 743; 15 febbraio 1999, n. 1255, ibid., n. 742; 7 maggio 1996, n. 4229. id., Rep. 1996, voce cit., n. 499; 28 novembre 1995, n. 12318, ibid., n. 500, e Rass. trib., 1996, 205. con
nota di Petrella, Legittima la tassazione retroattiva degli interessi su crediti d'imposta percepiti da soggetti passivi imprenditori-, 21 settem bre 1995, n. 10026, Foro it.. Rep. 1996, voce cit., n. 502; 6 aprile 1995, n. 4037, id., Rep. 1995, voce cit., n. 558, e Riv. dir. trib.. 1996, II, 143, con nota di La Rosa, Norme interpretative, disposizioni innovative, e
retroattività del Tuir, 5 luglio 1990, n. 7091, Foro it., Rep. 1990, voce
cit., n. 411. III. - Il superato orientamento era parimenti prevalente nella giuris
prudenza della Commissione tributaria centrale: v. dee. 22 gennaio 1999. n. 230, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 744; 1° luglio 1998, n. 3650,
id.. Rep. 1998, voce cit., n. 694; 12 maggio 1998, n. 2523, ibid., n. 695; 17 febbraio 1998, n. 825. ibid., n. 697; 9 aprile 1997, n. 1453, ibid., n.
701; 2 luglio 1996, n. 3538, id., Rep. 1996, voce cit.. n. 504; 22 feb
braio 1996, n. 783, ibid., n. 506; 22 febbraio 1996, n. 780, id., Rep. 1997, voce cit.. nn. 624, 625; 4 aprile 1995. n. 1310, id., Rep. 1995, vo
ce cit., n. 562; 3 ottobre 1994, n. 3149, ibid., n. 563; 3 gennaio 1994, n.
53, ibid., n. 564. IV. - L'odierna massima è invece condivisa da Comm. trib. reg. Si
cilia 21 dicembre 1999, id., Rep. 2000, voce cit., n. 745; v. anche
Comm. trib. centrale 4 febbraio 1998. n. 465, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 699, nel senso che la tassabilità degli interessi spettanti per tardivo
rimborso di imposte pagate indebitamente, prevista dall'art. 56 t.u. 22
dicembre 1986 n. 917, non opera retroattivamente, ai sensi dell'art. 36
d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42, ove il contribuente abbia fatto valere il suo
diritto al rimborso mediante rettifica della dichiarazione prima dell'en
trata in vigore del predetto testo unico. V. - Con sentenza 17 febbraio 1994, n. 38, id., 1994,1, 966, con nota
di richiami, e Giur. imp., 1994, 102, con nota di Astolfi, Brevi cenni in
tema di ambito di applicazione dell'art. 36 d.p.r. n. 42 del 1988, e
Rass. trib.. 1995, 524, con nota di Petrella, Interessi sui crediti d'im
posta e reddito d'impresa: contabilizzazione, regime impositivo ed effi cacia retroattiva dell'art. 56, 3" comma, Tuir, la Corte costituzionale
aveva respinto come infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42, nella parte in cui rende appli cabili le disposizioni del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 anche per i pe
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759 PARTE PRIMA 760
Svolgimento del processo. — L'Istituto centrale banche e
banchieri s.p.a., con istanza prodotta ai termini dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 il 6 agosto 1988, chiese all'intendenza
di finanza di Milano il rimborso di lire 67.922.000 di Irpeg e di Ilor, asserite versate in eccedenza sul dovuto sul reddito di im
presa conseguito nel 1986 per aver incluso nell'imponibile di
chiarato per tale anno interessi in questo maturati su crediti di
imposta rimasti insoluti, che, viceversa, erano da ritenere insu
scettibili di concorrere alla formazione del reddito in ragione della loro natura compensativa e risarcitoria.
L'istituto di credito menzionato, quindi, impugnò ai sensi de
gli art. 15 ss. d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 il silenzio-rifiuto op
posto dalla pubblica amministrazione anzidetta all'istanza cen
nata dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Mi
lano, all'epoca operante, e tale commissione, con decisione n.
30910/50/95, accolse il suo reclamo e la pretesa recuperatoria ad esso sottesa.
Sull'appello della direzione regionale delle entrate per la
Lombardia, la Commissione tributaria regionale della Lombar
dia, cui la vertenza era stata attribuita ex art. 72 d.leg. 31 di
cembre 1992 n. 546, con sentenza del 16 aprile 1997, rigettato il
gravame, confermò la pronuncia del primo giudice, osservando
che, in contrasto con quanto prospettato dall'appellante, alla
stregua della normativa di cui al d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, «non possono essere inclusi nella generica categoria di proventi
gli interessi sul credito di imposta in quanto essi costituiscono
una sopravvenienza attiva derivante da un'entrata dovuta ad un
fattore estraneo all'esercizio dell'attività di impresa», «che si
concretizza soltanto, se e quanto, per effetto dell'eventuale ec
cedenza delle ritenute alla fonte sul debito di imposta viene a
formarsi un credito che dà luogo alla corresponsione degli inte
ressi nella misura legislativamente prevista», con la conseguen za che «gli interessi contabilizzati sui crediti di imposta non
possono essere assoggettati a tassazione né ai fini Irpeg, né ai
fini Ilor». Il ministero dell'economia e delle finanze ricorre, con un
motivo, per la cassazione della sentenza surrichiamata, assunta, non notificata.
L'Istituto centrale banche e banchieri s.p.a., cui il ricorso è
stato notificato il 27 maggio 1998, si è astenuto da ogni attività
difensiva nella presente sede.
Il giudizio, in un primo tempo assegnato alla sezione tributa
ria della corte, è stato da tale sezione rimesso a queste sezioni
unite con ordinanza del 22 settembre 2000 per la soluzione della
questione, risolta in senso difforme in sentenze delle sezioni
semplici, concernente l'idoneità della presentazione d'istanza di
rimborso a neutralizzare il valore di una dichiarazione prodotta
prima del 1° gennaio 1988, con la quale, peraltro, il contri
buente si sia anticipatamente adeguato alla disciplina in seguito introdotta del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, sanzionante l'at
titudine degli interessi in contestazione a costituire componente del reddito d'impresa imponibile (art. 56, 3° comma, d.p.r. cit., assunto suscettibile di applicazione retroattiva ex art. 36 d.p.r. 4
febbraio 1988 n. 42). Motivi della decisione. — 1. - Il ministero dell'economia e
delle finanze, con il motivo articolato per suffragare il ricorso, deduce che la pronuncia nei sensi illustrati resa sulla fattispecie dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia do vrebbe essere ravvisata passibile di cassazione perché inficiata da «violazione dell'art. 56 t.u. 22 dicembre 1986 n. 917 e del l'art. 36 del decreto 4 febbraio 1988 n. 42 (art. 360, n. 3,
c.p.c.)»: più specificamente, denuncia che il giudice del merito
«non ha considerato che il t.u. del 1986 include ora espressa
riodi di imposta antecedenti a quelli nello stesso considerati, se le rela tive dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi, in riferimento agli art. 3, 53, 76 e 77 Cost.
VI. - Le sezioni unite giungono alla conclusione di cui in massima sul rilievo che «essendo intervenute con tempestività, entro il termine stabilito [dall'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602] per l'esperimento dell'istanza recuperatoria (. . .), la ritrattazione e la rettifica della di chiarazione, e, perciò, non potendo ravvisarsi realizzata 1 'irretrattabi!ità di tale atto, ad avviso del collegio, deve escludersi la riscontrabilità dei
presupposti dell'operatività dello schema di cui all'art. 36 d.p.r. 4 feb braio 1988 n. 42». Sulla tematica della rettifica della dichiarazione e, in
generale, sulla questione della domanda di rimborso fondata su circo stanze contrastanti con quanto ivi riportato, v. Cass., sez. un., 25 otto bre 2002, n. 15063, in questo fascicolo. I, 831.
Il Foro Italiano — 2003.
mente anche gli interessi compensativi tra i componenti positivi del reddito d'impresa», e che «l'art. 56 t.u., entrato in vigore il
1° gennaio 1988, si applica anche ai redditi in esame, sebbene
siano stati prodotti in anno precedente al 1988, in forza della di
sposizione transitoria introdotta col decreto 4 febbraio 1988 n.
42, che rende retroattive le norme del t.u. qualora le dichiara
zioni dei redditi siano conformi alle nuove norme»; fa presente, al considerato riguardo, che «non è contestabile che l'istituto, dichiarando i crediti d'imposta fra i componenti positivi del
reddito 1986 e pagando su di essi l'Irpeg e l'Ilor, abbia presen tato una dichiarazione di imposta conforme alle nuove norme e
che non possa, pertanto, ora pretendere alcun rimborso».
2. - In funzione della decisione sul gravame considerato, soc
corrono le seguenti osservazioni.
A) Giusta quanto evidenziato nella più sopra menzionata or
dinanza della sezione tributaria di questa Suprema corte in data
22 settembre 2000, la questione da risolvere per poter definire il
giudizio in esame è quella concernente l'idoneità, o non, della
presentazione tempestiva di un'istanza di rimborso di imposte dirette ai sensi dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 a
neutralizzare gli effetti di una dichiarazione prodotta, come
quella qui discussa, prima del 1° gennaio 1988, ossia nella vi
genza dei d.p.r. nn. 597, 598 e 599 del 29 settembre 1973, con
la quale il contribuente, titolare di reddito di impresa, includen
do nell'importo dell'imponibile dichiarato l'ammontare degli interessi maturati su crediti d'imposta relativi ad anni precedenti non puntualmente soddisfatti dall'amministrazione finanziaria, si sia anticipatamente adeguato alla solo successivamente inter
venuta disciplina di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, art.
56, 3° comma, recante che «gli interessi, anche se diversi da
quelli indicati nelle lett. a), b) ed h) dell'art. 41, concorrono a
formare il reddito (di impresa) per l'ammontare maturato nel
l'esercizio ...», assunta suscettibile di applicazione retroattiva
ex art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42, alla stregua del quale «le
disposizioni» del d.p.r. n. 917 del 1986, cit., «hanno effetto per i
periodi di imposta antecedenti al primo periodo di imposta suc
cessivo al 31 dicembre 1987, se le relative dichiarazioni, vali
damente presentate, risultano ad esse conformi».
B) La soluzione della questione così posta, peraltro, postula che sia previamente data risposta al quesito se la dichiarazione
dei redditi, una volta presentata dal contribuente agli uffici fi
nanziari, nella fattispecie ai termini degli art. 8 e 9 d.p.r. 29
settembre 1973 n. 600, abrogati dall'art. 9 d.p.r. 22 luglio 1998
n. 322, e, tuttavia, suscettibili di operare nella situazione con
troversa, nel testo previgente alla relativa novellazione di cui
agli art. 5 s. 1. 9 luglio 1997 n. 241, ratione temporis, sia da ri
tenere irreversibile per il contribuente medesimo, ovvero se
possa configurarsi per costui, ed eventualmente entro quali li
miti, la possibilità di dedurre in un momento successivo alla
detta presentazione errori commessi in proprio danno nella re
dazione dell'atto cennato al fine di sottrarsi ad un'esposizione debitoria eccedente il dovuto nel pagamento dei tributi: ed in
fatti, per poter ritenere operante lo schema di cui al ripetuto art.
36 d.p.r. n. 42 del 1988 bisognerebbe avere per dimostrato che il
requisito della conformità della dichiarazione alla disciplina dettata dal d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, in ragione dell'irre
versibilità dell'atto, si realizzi automaticamente nel momento
della presentazione dello stesso agli uffici finanziari; ché, se, invece, dovesse ritenersi la modificabilità della dichiarazione da
parte del contribuente in un momento successivo, lo schema
surricordato andrebbe ravvisato paralizzato fino all'esaurimento
dei termini accordati al dichiarante per far luogo alla rettifica
degli errori compiuti nella compilazione dell'atto.
C) Orbene, con riguardo alla problematica di cui alla lettera
precedente, è da dire che nel variegato, e disorganico, panorama della giurisprudenza di legittimità possono essere individuati
due orientamenti contrapposti. a) Un primo indirizzo, stato in passato largamente maggiori
tario, e probabilmente ancora prevalente, afferma che le specifi che prescrizioni di forma e di tempo in tema di presentazione della dichiarazione dei redditi, quali ricavabili, in particolare,
dagli art. 8 e 9 d.p.r. n. 600 del 1973, cit., debbono essere consi
derate, in linea di massima preclusive della possibilità di una
rettifica della dichiarazione stessa da parte del contribuente do
po la consumazione del termine previsto per il relativo inoltro
all'amministrazione finanziaria (cfr.. in tal senso, ad esempio.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Cass. 13 agosto 1992, n. 9554, Foro it., Rep. 1992, voce Tributi
in genere, n. 682). L'indirizzo in argomento ha trovato, da ultimo, sistematica e
lucida formulazione in Cass. 1° agosto 2000, n. 10055 (id., Rep. 2000, voce Valore aggiunto (imposta), n. 285) resa in tema di
Iva, e, però, recante enunciazioni di carattere generale trasponi bili alla dichiarazione dei redditi, nella quale è stato statuito che
le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, integrando il momento
di avvio di un, più o meno articolato, iter procedimentale di di
ritto pubblico — volto all'accertamento del concreto contenuto
dei rapporti tributari ai quali le dichiarazioni stesse si riferisco
no —, da intendersi, in quanto tale, ispirato ad esigenze di ra
zionale svolgimento e di conseguimento, quanto più rapido pos sibile, di risultati di stabilità, comportano l'automatismo di ef
fetti proprio degli atti giuridici in senso stretto, e, perciò, devo
no aversi per assoggettate a vincoli di tempo e di forma rigidi, che ne implicano la sostanziale irretrattabilità: da questa discen
dendo che, al di fuori delle ipotesi di errori materiali e/o di cal
colo, non richiedenti una rettifica vera e propria, essendo desu
mibili ab intrinseco dai testo dell'atto, le dichiarazioni medesi
me possano essere ravvisate emendabili e ritrattabili soltanto nei
termini espressamente accordati dalla legge per la relativa, vali
da. presentazione (cfr., nello stesso senso, Cass. 25 luglio 1997, n. 6957, id., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 853).
Va rilevato, comunque, che la rigorosa enunciazione di prin
cipio considerata, non solo nel menzionato arresto n. 10055 del
2000, ma anche in altre decisioni che si rifanno all'ordine di
idee dallo stesso accolto, trova un temperamento nella puntua lizzazione secondo cui, in ipotesi di mancata rettifica della di
chiarazione nei ripetuti termini, la possibilità di addurre errori
intervenuti nella redazione dell'atto ed incidenti sull'obbliga zione tributaria è, in ogni caso, salvaguardata nei limiti nei quali la legge prevede il diritto al rimborso, ovvero in sede di opposi zione a provvedimenti impositivi dell'amministrazione finanzia
ria diretti a far valere una maggiore pretesa erariale.
b) Un secondo orientamento, minoritario, ma continuamente
riaffiorante, viceversa, non esita ad affermare l'emendabilità da
parte del contribuente degli errori, anche non materiali e di cal
colo, contenuti nella dichiarazione, sul rilievo che questa non ha
valore confessorio o costitutivo del debito di imposta, ma si in
serisce, come atto iniziale, nell'ambito di un procedimento am
ministrativo volto all'accertamento ed alla riscossione dei tri
buti legalmente dovuti, solo subordinando il riconoscimento
della possibilità di rettifica, intesa ad evidenziare la reale inesi
stenza di fatti giustificativi del prelievo fiscale, alla condizione
che la rettifica stessa venga operata entro ragionevoli limiti di
tempo (cfr., ex aliis, Cass. 9 aprile 1997, n. 3080, id., 1998, I,
2269; 9 febbraio 1999, n. 1088, id., Rep. 1999, voce cit., n.
1145). D) Il contrasto insorto nella giurisprudenza si ripropone nella
dottrina: in questa, però, il dibattito sui confliggenti assunti si
articola in modo più organico e lineare in quanto non influen
zato da quell'esigenza di rapportare le norme alle singole vicen
de processuali sottoposte, spesso in termini affatto peculiari, alla cognizione dei giudici che condiziona la configurazione delle enunciazioni ricavabili dalle sentenze.
Anche in dottrina, dunque, nell'ormai prevalentemente, per non dire unanimemente, recepito presupposto della natura non
negoziale e della portata non dispositiva della dichiarazione dei
redditi, nonché dell'irriducibilità di questa alla nozione, tutta
civilistica, della confessione, e, quindi, sulla premessa che l'atto
considerato si risolve, essenzialmente, in un'esternazione di
scienza e/o di giudizio sui fatti dichiarati, si fronteggiano due li
nee di tendenza che, muovendo da una divergenza di opinioni in
ordine alla valenza dichiarativa o costitutiva della dichiarazione — e, derivatamente, dell'accertamento —, rispettivamente, af
fermano e negano, con sfumature diverse, la c.d. ritrattabilità,
totale o parziale, della dichiarazione stessa e la possibilità per il
contribuente di far valere gli errori e le inesattezze contenuti in
tale atto per sottrarsi agli oneri fiscali al medesimo correlati,
l'una, privilegiando l'esigenza di ragguagliare il carico fiscale
alla capacità contributiva effettiva del singolo contribuente e di
improntare i rapporti fra questo e l'erario all'osservanza di prin
cipi della buona fede e della correttezza sostanziale dell'azione
amministrativa, e, l'altra, ponendo l'accento sulla necessità, ac
campata ineludibile, di stabilizzare quanto più rapidamente pos sibile i rapporti tributari, sia unitariamente che complessiva
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mente considerati, onde consentire all'amministrazione finan
ziaria una pronta acquisizione di certezze sull'entità e sull'an
damento delle entrate fiscali.
E, tuttavia, non si può non sottolineare come negli ultimi
tempi sia venuto prevalendo un sempre più compatto orienta
mento dottrinale che ritiene rimovibili gli effetti della dichiara
zione che si appalesi oggettivamente frutto di errore (di fatto o
di diritto, testuale o extratestuale), con il solo limite di un colle
gamento, almeno tendenziale, della ravvisata rimovibilità agli istituti sostanziali e processuali presenti nell'ordinamento
quanto alla possibilità che si faccia luogo ad un rimborso d'im
posta o alla rimozione di un provvedimento impositivo: per tale
orientamento, pertanto, restano sottratte alla ritrattabilità solo le
dichiarazioni riferibili a rapporti tributari che si debbano consi
derare esauriti o cristallizzati per il trascorrere del tempo e per il
verificarsi di decadenze.
E) Queste sezioni unite, fra le tesi in contrasto, ritengono corretta ed accettabile, in particolare in relazione alla normativa
applicabile ratione temporis alla situazione controversa, quella
che, sulla premessa dell'emendabilità — o ritrattabilità — di
ogni dichiarazione dei redditi che si riveli oggettivamente erro
nea ed inesatta, riconosce il diritto del contribuente dichiarante
di rilevare gli errori e le inesattezze compiuti nella redazione
dell'atto — siano essi di fatto o di diritto, testuali o extratestuali — al fine di sottrarsi all'assoggettamento ad oneri tributari più
gravosi di quelli ai quali per legge egli può, e deve, essere sot
toposto. a) In proposito, giova osservare, innanzi tutto, che nessun
limite, neppure solo temporale, all'emendabilità ed alla ritratta
bilità della dichiarazione dei redditi che integri risultante di er
rori e di inesattezze oggettivi e, quindi, al diritto del contri
buente dichiarante di addurre quegli errori e quelle inesattezze
per sottrarsi all'adempimento degli obblighi tributari correlati al
tenore della dichiarazione, a suo tempo, prodotta può essere de
sunto dalle disposizioni dì cui al 7° e 8° comma dell'art. 9 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, nel testo stato vigente negli anni nei
quali si è realizzata la fattispecie qui discussa.
Tali disposizioni (per le quali, rispettivamente, «le dichiara
zioni presentate entro un mese dalla scadenza del termine sono
valide salvo il disposto del 6° comma dell'art. 46», mentre «le
dichiarazioni presentate con ritardo superiore si considerano
omesse a tutti gli effetti ...», e «la dichiarazione ... può, co
munque, essere integrata, salvo il disposto del 5° comma del
l'art. 54, per correggere errori ed omissioni mediante successiva
dichiarazione ..., da presentarsi entro il termine per la presenta zione della dichiarazione per il secondo periodo di imposta suc
cessivo, sempre che non siano iniziati accessi, ispezioni o veri
fiche, o la violazione non sia stata comunque contestata, ovvero
non siano stati notificati gli inviti e le richieste di cui all'art.
32»), di fatti, per come reso manifesto dal loro tenore letterale,
hanno riguardo alla rimozione di omissioni ed all'eliminazione
di errori suscettibili di importare pregiudizio per le ragioni di
credito dell'erario, e non attengono all'emendabilità ed alla ri
trattabilità di dichiarazioni che, viceversa, contengano errori ed
inesattezze che comportino esposizione del contribuente dichia
rante ad oneri fiscali eccedenti il legalmente da lui dovuto.
b) In secondo luogo, è da dire che, sul piano sistematico, la
riscontrabilità di una, in linea di massima, generalizzata possi bilità di rettificare e di ritirare, in tutto o in parte, la dichiarazio
ne dei redditi errata e suscettibile di pregiudicare il contribuente
dichiarante, esponendolo all'onere di pagare tributi per legge non dovuti, nonché del diritto del detto contribuente di rimuove
re gli effetti dell'oggettiva erroneità di siffatta dichiarazione
non può non essere fatta discendere sia dalla natura di atto non
negoziale e non dispositivo della dichiarazione stessa e dal suo
configurarsi come esternazione di scienza e/o di giudizio, da
avere, proprio perché tale, per, in linea di principio, modifica
bile nell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di va
lutazione sui dati riferiti e/o valutati, sia dal fatto che l'atto con
siderato non costituisce il titolo dell'obbligazione tributaria, che
la legge fa automaticamente scaturire dall'insorgenza del fatto
che giustifica l'imposizione, ma integra semplicemente un mo
mento deWiter procedimentale inteso all'accertamento ed al
l'attuazione dell'obbligazione cennata, se, ed in quanto, effetti
vamente sussistente.
c) È d'uopo considerare, d'altronde, che ogni interpretazione del sistema legislativo che, radicalmente negando la rettificabi
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763 PARTE PRIMA 764
lità della dichiarazione da parte del contribuente dichiarante, al
fine di rimuovere errori ed inesattezze per lui pregiudizievoli, finirebbe per sfociare nel risultato di sottoporre detto contri
buente, solo sulla base dell'atto discusso, ad un prelievo fiscale
sostanzialmente e legalmente indebito, e si rivelerebbe, perciò, difficilmente compatibile con i principi costituzionali della ca
pacità contributiva (art. 53, 1° comma, della Carta costituzio
nale) e della correttezza oggettiva dell'azione amministrativa
(art. 97, 1° comma. Cost.).
d) Nelle come sopra ritenute ritrattabilità ed emendabilità
della dichiarazione dei redditi, restano da individuare i limiti
temporali entro i quali può essere dato al contribuente dichia
rante di far valere gli errori e le inesattezze compiuti in proprio danno nella redazione dell'atto.
Al riguardo, deve affermarsi che i limiti iti questione, per
quanto qui può interessare, possono essere correlati unicamente
ai termini stabiliti, rispettivamente, nell'art. 38, 1° comma,
d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 per l'esperimento dinanzi al
l'amministrazione finanziaria, prima, e alle commissioni tribu
tarie, poi, della domanda di ripetizione degli importi dei tributi
pagati in versamento diretto, e nella disciplina del contenzioso
tributario per contestare gli atti impositivi per il tramite dei
quali gli uffici finanziari abbiano proceduto alla liquidazione delle imposte riscontrate dovute in base alla dichiarazione ed al
l'avvio della relativa riscossione.
In particolare, per ciò che concerne la disposizione dell'art.
38 d.p.r. n. 602 del 1973, cit. — da avere per operante nella fat
tispecie, ratione temporis, nel suo testo originario, previgente alla relativa novellazione di cui alla 1. 13 maggio 1999 n. 133, alla stregua del quale «il soggetto che ha effettuato il versa
mento diretto può presentare all'intendenza di finanza nella cui
circoscrizione ha sede l'esattoria presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso entro il termine decadenziale
di diciotto mesi dalla data del versamento nel caso di errore
materiale, duplicazione ed inesistenza, totale o parziale, del
l'obbligo di versamento» —, va puntualizzato che il tenore let
terale della norma è tale da far senz'altro presumere che la do
manda recuperatoria in essa prevista e disciplinata possa essere
esperita, non solo in funzione della ripetizione, da parte del so
stituto d'imposta o del sostituito, dei tributi versati dopo essere
stati oggetto di ritenuta ex art. 23 ss. d.p.r. 29 settembre 1973 n.
600 ma anche per ripetere i tributi versati in c.d. autotassazione, in adempimento di obblighi risultanti da una dichiarazione ri
scontrata, per una qualsiasi ragione, oggettivamente errata in un
momento successivo alla relativa presentazione. 3. - j4) Sulle premesse poste nel paragrafo precedente, deve
rilevarsi che, sulla scorta di declaratorie ricavabili dalla senten
za impugnata non contestate con il ricorso, e da avere, perciò,
per irretrattabili, risulta che l'Istituto centrale banche e banchie ri s.p.a., esercente impresa commerciale (art. 2195, 1° comma, n. 4, c.c.), ha presentato per il 1986 una dichiarazione dei redditi nella quale ha incluso fra le componenti positive del conseguito reddito di impresa anche interessi maturati su crediti d'imposta relativi ad anni precedenti rimasti insoluti perché non puntual mente saldati dall'amministrazione finanziaria.
B) La dichiarazione cennata si rivela senza dubbio oggetti vamente inesatta in danno della dichiarante, in quanto, per un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, condivisibile, e dal quale non vi è ragione di discostarsi, alla
stregua della normativa stata vigente fino al 31 dicembre 1987,
gli interessi in questione andavano ritenuti non tassabili e non
integranti reddito, neppure di impresa, imponibile (cfr., in tal
senso, fra le più recenti, Cass. 15 febbraio 1999, n. 1255, id., Rep. 2000, voce Redditi (imposte), n. 742; 8 settembre 1999, n.
9510, id., Rep. 1999, voce cit., n. 603). C) È dato indiscusso, e indiscutibile, altresì, che il ridetto
Istituto centrale di banche e banchieri s.p.a., con istanza pre sentata tempestivamente alla competente intendenza di finanza,
prima, e con successivo, puntuale, ricorso dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano, all'epoca operante, poi, ha ritualmente esperito nel 1988 (e, quindi, nella sopravvenuta vi
genza del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, che dichiara tassabili
gli interessi in argomento con disposizione — art. 56 — suscet tibile di applicazione retroattiva ex art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42 sul presupposto dell'avvenuta presentazione da parte del contribuente di dichiarazione ad essa conforme) l'azione di ri
petizione di indebito prevista dal ripetuto art. 38 d.p.r. 29 set
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tembre 1973 n. 602 per recuperare l'Irpeg e l'Ilor versate in
autotassazione in eccedenza sul dovuto in esecuzione degli ob
blighi risultanti dalla dichiarazione ed in conseguenza dell'erro
neità di tale atto.
D) Nel contesto dato, essendo intervenute con tempestività, entro il termine stabilito dalla norma da ultimo citata per l'espe rimento dell'istanza recuperatoria di cui alla lettera precedente, la ritrattazione e la rettifica della dichiarazione, e, perciò, non
potendo ravvisarsi realizzata l'irretrattabilità di tale atto, ad av
viso del collegio, deve escludersi la riscontrabilità dei presuppo sti dell'operatività dello schema di cui all'art. 36 d.p.r. 4 feb
braio 1988 n. 42, in virtù del quale, secondo l'assunto dell'am
ministrazione finanziaria, dovrebbe scattare l'applicazione re
troattiva dell'art. 56 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 e, perciò, la
tassabilità, come componenti positive del reddito di impresa,
degli interessi in controversia.
4. - Dal complesso delle considerazioni svolte nei paragrafi
precedenti discende che va esclusa l'irripetibilità dei tributi di
scussi dedotta dal ministero dell'economia e delle finanze e che, di conseguenza, il ricorso prodotto da detta pubblica ammini
strazione deve essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 di
cembre 2002, n. 18235; Pres. Losavio, Est. Di Amato, P.M.
Russo (conci, conf.); Valtorta e altri (Avv. Mandelli) c. Fall,
soc. Viemme di Valtorta e Molteni e altri (Avv. Brando), Cassa rurale ed artigiana di Cantù (Avv. Pozzoli, Martines).
Conferma App. Milano 7 luglio 2000.
Fallimento — Dichiarazione — Piccolo imprenditore — No
zione (Cod. civ., art. 2083; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci
plina del fallimento, art. 1 ; 1. 8 agosto 1985 n. 443, legge quadro per l'artigianato).
Per stabilire quali siano i piccoli imprenditori da esonerare dal
fallimento occorre utilizzare la nozione generale dell'art. 2083 c.c. con la conseguenza che non rileva la disciplina spe ciale in materia di artigianato e che possono essere quindi considerati piccoli imprenditori anche le società commercia li. (1)
(1) Cass. 21 dicembre 2002, n. 18235, in epigrafe, e 5 dicembre 2002, n. 17251 (Foro it., 2003, I, 452, con nota di richiami di D. Bel lantuono) intervengono sui confini di applicabilità della legge falli mentare posto che dettano alcune regole idonee a marcare quali sono i
soggetti che possono essere sottoposti alla procedura fallimentare e
contengono, sebbene rilasciate da due collegi del tutto diversi fra loro, un comune denominatore racchiuso nell'affermazione per la quale l'in dividuazione dell'imprenditore assoggettabile a fallimento va colta nel la normativa generale del codice civile (gli art. 2083 e 2135 c.c.) e non nelle discipline speciali di settore.
Fermo questo importante principio, la decisione più recente si se
gnala come decisamente innovativa, mentre l'altra si mostra consape volmente conservatrice.
L'affermazione secondo la quale al fine di individuare l'imprendito re artigiano esonerato da fallimento occorre fare riferimento alla norma di cui all'art. 2083 c.c. (che prevede la prevalenza del lavoro del titola re dell'impresa sugli altri fattori della produzione) e non alla 1. 443/85 (in base alla quale, invece, l'impresa artigiana viene descritta con ri guardo alla prevalenza del fattore lavoro sul capitale investito), non è nuova perché la si ritrova già in Cass. 28 marzo 2001, n. 4455, id.. Rep. 2001, voce Fallimento, n. 260; 22 settembre 2000, n. 12548, ibid., n. 261; 29 maggio 2000, n. 7065, ibid., n. 262, che a loro volta traggono fondamento da Corte cost. 23 luglio 1991, n. 368, id., 1992,1, 2064.
Ciò che rappresenta una novità a livello di giurisprudenza di legitti mità è invece l'affermazione per cui l'ultimo brandello del 2° comma dell'art. 1 1. fall, deve intendersi abrogato, nel senso che per stabilire chi sia piccolo imprenditore occorre riferirsi alla nozione di cui all'art. 2083 c.c. con la precisazione che piccolo imprenditore può essere an
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