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sezioni unite civili; sentenza 9 gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M. Cinque...

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sezioni unite civili; sentenza 9 gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M. Cinque (concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Criscuoli) c. Soc. Istituto centrale banche e banchieri. Conferma Comm. trib. reg. Lombardia 16 aprile 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 757/758-763/764 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197947 . Accessed: 25/06/2014 04:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.177 on Wed, 25 Jun 2014 04:43:02 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 9 gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M. Cinque(concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Criscuoli) c. Soc. Istituto centrale banche ebanchieri. Conferma Comm. trib. reg. Lombardia 16 aprile 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 757/758-763/764Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197947 .

Accessed: 25/06/2014 04:43

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

zione» ad opera del curatore che questi non avrebbe potuto farvi

luogo in nessun caso giacché «il curatore non può insinuarsi per un credito ... del fallimento».

4. - Si impone, in definitiva, quel diverso esito (già prospet tato da quella ricordata posizione dottrinale del 1956) secondo il

quale l'improponibilità nel giudizio introdotto davanti al giudi ce competente secondo le regole ordinarie dal curatore del fal

limento nei confronti di un terzo della riconvenzionale di que st'ultimo che sia soggetta al rito speciale fallimentare, compor ta, ancorché le due cause traggano fondamento nel medesimo

titolo contrattuale, la «separazione» delle cause stesse, restando

quella principale incardinata dinanzi al giudice per essa compe tente, ritualmente adito dal curatore, e ciò sulla base della con

siderazione che il principio del simultaneus processus né può

derogare al rito speciale fallimentare, né può (al di fuori dell'i

potesi dell'art. 36 c.p.c.) sottrarre la domanda principale al giu dice che per essa sia naturalmente competente, per devolverla,

con travisamento della struttura logica del sistema concorsuale, al giudice fallimentare.

Del resto, la separazione delle cause è adottata anche in altre

differenti ipotesi, in presenza di una competenza funzionale in

derogabile per la domanda principale (il giudice del procedi mento monitorio per la causa di opposizione) di una eccedenza

di competenza (v. sez. un. n. 10984 del 1992, id., 1992, I, 3287) o di una diversità di rito (v. Cass. n. 12436 del 1993, id., Rep. 1994, voce Ingiunzione (procedimento), n. 34; n. 10278 del

1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 64; n. 10692 del 2000, id.,

2001, I, 125) che sia rilevabile per la domanda riconvenzionale

dell'opponente, rimediandosi con l'istituto della sospensione

(art. 295 c.p.c.) a quelle stesse esigenze che, per l'identità del

titolo, spiegavano l'esigenza del simultaneus processus. La medesima soluzione può essere dunque adottata nel caso,

come quello di specie, in cui soltanto un rito speciale, e non una

diversa (di altro giudice) competenza, sottragga la domanda ri

convenzionale al giudice della domanda principale e non vi sia

una norma che imponga il trasferimento presso quel diverso

giudice anche della domanda principale. 4.1. - Può da ultimo rilevarsi come nel caso di specie (e in

tutti i casi analoghi) le ragioni di connessione tra le due con

trapposte domande della curatela (di restituzione delle somme

che la società poi fallita aveva pagato a titolo di acconto sul

prezzo di acquisto dell'immobile) e dei convenuti in riconven

zionale (di condanna del fallimento alla corresponsione di un

indennizzo per il valore d'uso dell'immobile stesso relativa

mente al periodo in cui la fallita prima e la curatela poi ne aveva

avuto e conservato la detenzione) siano, per così dire, «deboli».

Ed invero, il preliminare di vendita che costituì il titolo con

trattuale giustificativo della corresponsione, da parte del fallito,

delle somme a titolo di acconto sul prezzo e, da parte dei pro mittenti venditori, dell'anticipata cessione del possesso del

l'immobile, appare non più che come l'antecedente storico co

mune. mentre è la dichiarazione ex art. 72 1. fall., resa dal cura

tore per lo scioglimento del contratto, che costituisce la più im

mediata giustificazione degli effetti restitutori e delle conse

guenti obbligazioni, dunque tanto della domanda giudiziale (del

fallimento) di restituzione della somma quanto della contrappo sta domanda di corresponsione dell'indennizzo, sicché tale di

chiarazione del curatore, in quanto non costituente materia con

troversa tra le parti in relazione ai suoi effetti, ben può essere

dedotta autonomamente da ciascuna parte, in uno al contratto

preliminare, nei giudizi separati. 5. - Il ricorso in esame dev'essere dunque accolto e la senten

za della corte romana riformata in quella parte in cui, pronun ciando l'improcedibilità di entrambe le domande, ha confermato

la decisione del primo giudice che anche la domanda principale della curatela restava sottratta alla cognizione del Tribunale di

Roma.

Su tale domanda detta corte, in sede di rinvio, dovrà pronun ciare nel merito (applicandosi l'art. 354 c.p.c.), previa riforma

della pronuncia di «improcedibilità» della suddetta domanda

principale.

Il Foro Italiano — 2003.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 9

gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M.

Cinque (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Cri

scuoli) c. Soc. Istituto centrale banche e banchieri. Conferma Comm. trib. reg. Lombardia 16 aprile 1997.

Riscossione delle imposte e delle entrate dello Stato e degli enti pubblici — Imposte pagate in relazione a dichiarazio

ne dei redditi errata — Ripetizione dell'imposta indebita (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina del

l'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 41, 44; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, disposizioni sulla riscossione delle

imposte sul reddito, art. 38; d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917,

approvazione del t.u. delle imposte sui redditi, art. 56; d.p.r. 4

febbraio 1988 n. 42, disposizioni correttive e di coordina

mento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative

al t.u. delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 di

cembre 1986 n. 917, art. 36).

Il contribuente titolare di reddito di impresa, che nel vigore del

d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 abbia erroneamente incluso

nella dichiarazione dei redditi gli interessi maturati sui cre

diti di imposta, ha diritto a ripetere le relative imposte senza

che a ciò osti il combinato disposto degli art. 56 d.p.r. 22 di

cembre 1986 n. 917 — che, innovando al d.p.r. 597/73, pre scrive l'imponibilità di questi interessi — e 36 d.p.r. 4 feb braio 1988 n. 42 — a tenore del quale le disposizioni del

d.p.r. 917/86 si applicano retroattivamente in presenza di di

chiarazioni conformi alle sue disposizioni. (1)

(1) I. - Le sezioni unite ribaltano il consolidato orientamento della

prima e della quinta sezione che ritenevano la tassazione — a norma del combinato disposto dell'art. 56, 3° comma, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, e dell'art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42 — degli interessi sui

crediti d'imposta maturati nei confronti dell'erario, relativamente a pe riodi anteriori all'entrata in vigore dello stesso d.p.r. 917/86, qualora il

contribuente li avesse ricompresi nelle proprie dichiarazioni dei redditi, senza che valesse ad escludere la retroattività della norma, la circostan za che tali interessi fossero stati inclusi nell'imponibile al solo fine di

evitare l'irrogazione di eventuali sanzioni, e che le denunzie fossero state sostituite con altre, ovvero «corrette» con successive istanze di

rimborso. II. - In tal senso, con diverse sfumature, v. Cass. 27 novembre 2002,

n. 16780, Foro it.. Mass., 1245; 6 novembre 2000, n. 14449, id.. Rep. 2000, voce Redditi (imposte), n. 743; 15 febbraio 1999, n. 1255, ibid., n. 742; 7 maggio 1996, n. 4229. id., Rep. 1996, voce cit., n. 499; 28 novembre 1995, n. 12318, ibid., n. 500, e Rass. trib., 1996, 205. con

nota di Petrella, Legittima la tassazione retroattiva degli interessi su crediti d'imposta percepiti da soggetti passivi imprenditori-, 21 settem bre 1995, n. 10026, Foro it.. Rep. 1996, voce cit., n. 502; 6 aprile 1995, n. 4037, id., Rep. 1995, voce cit., n. 558, e Riv. dir. trib.. 1996, II, 143, con nota di La Rosa, Norme interpretative, disposizioni innovative, e

retroattività del Tuir, 5 luglio 1990, n. 7091, Foro it., Rep. 1990, voce

cit., n. 411. III. - Il superato orientamento era parimenti prevalente nella giuris

prudenza della Commissione tributaria centrale: v. dee. 22 gennaio 1999. n. 230, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 744; 1° luglio 1998, n. 3650,

id.. Rep. 1998, voce cit., n. 694; 12 maggio 1998, n. 2523, ibid., n. 695; 17 febbraio 1998, n. 825. ibid., n. 697; 9 aprile 1997, n. 1453, ibid., n.

701; 2 luglio 1996, n. 3538, id., Rep. 1996, voce cit.. n. 504; 22 feb

braio 1996, n. 783, ibid., n. 506; 22 febbraio 1996, n. 780, id., Rep. 1997, voce cit.. nn. 624, 625; 4 aprile 1995. n. 1310, id., Rep. 1995, vo

ce cit., n. 562; 3 ottobre 1994, n. 3149, ibid., n. 563; 3 gennaio 1994, n.

53, ibid., n. 564. IV. - L'odierna massima è invece condivisa da Comm. trib. reg. Si

cilia 21 dicembre 1999, id., Rep. 2000, voce cit., n. 745; v. anche

Comm. trib. centrale 4 febbraio 1998. n. 465, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 699, nel senso che la tassabilità degli interessi spettanti per tardivo

rimborso di imposte pagate indebitamente, prevista dall'art. 56 t.u. 22

dicembre 1986 n. 917, non opera retroattivamente, ai sensi dell'art. 36

d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42, ove il contribuente abbia fatto valere il suo

diritto al rimborso mediante rettifica della dichiarazione prima dell'en

trata in vigore del predetto testo unico. V. - Con sentenza 17 febbraio 1994, n. 38, id., 1994,1, 966, con nota

di richiami, e Giur. imp., 1994, 102, con nota di Astolfi, Brevi cenni in

tema di ambito di applicazione dell'art. 36 d.p.r. n. 42 del 1988, e

Rass. trib.. 1995, 524, con nota di Petrella, Interessi sui crediti d'im

posta e reddito d'impresa: contabilizzazione, regime impositivo ed effi cacia retroattiva dell'art. 56, 3" comma, Tuir, la Corte costituzionale

aveva respinto come infondata la questione di legittimità costituzionale

dell'art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42, nella parte in cui rende appli cabili le disposizioni del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 anche per i pe

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759 PARTE PRIMA 760

Svolgimento del processo. — L'Istituto centrale banche e

banchieri s.p.a., con istanza prodotta ai termini dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 il 6 agosto 1988, chiese all'intendenza

di finanza di Milano il rimborso di lire 67.922.000 di Irpeg e di Ilor, asserite versate in eccedenza sul dovuto sul reddito di im

presa conseguito nel 1986 per aver incluso nell'imponibile di

chiarato per tale anno interessi in questo maturati su crediti di

imposta rimasti insoluti, che, viceversa, erano da ritenere insu

scettibili di concorrere alla formazione del reddito in ragione della loro natura compensativa e risarcitoria.

L'istituto di credito menzionato, quindi, impugnò ai sensi de

gli art. 15 ss. d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 il silenzio-rifiuto op

posto dalla pubblica amministrazione anzidetta all'istanza cen

nata dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Mi

lano, all'epoca operante, e tale commissione, con decisione n.

30910/50/95, accolse il suo reclamo e la pretesa recuperatoria ad esso sottesa.

Sull'appello della direzione regionale delle entrate per la

Lombardia, la Commissione tributaria regionale della Lombar

dia, cui la vertenza era stata attribuita ex art. 72 d.leg. 31 di

cembre 1992 n. 546, con sentenza del 16 aprile 1997, rigettato il

gravame, confermò la pronuncia del primo giudice, osservando

che, in contrasto con quanto prospettato dall'appellante, alla

stregua della normativa di cui al d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, «non possono essere inclusi nella generica categoria di proventi

gli interessi sul credito di imposta in quanto essi costituiscono

una sopravvenienza attiva derivante da un'entrata dovuta ad un

fattore estraneo all'esercizio dell'attività di impresa», «che si

concretizza soltanto, se e quanto, per effetto dell'eventuale ec

cedenza delle ritenute alla fonte sul debito di imposta viene a

formarsi un credito che dà luogo alla corresponsione degli inte

ressi nella misura legislativamente prevista», con la conseguen za che «gli interessi contabilizzati sui crediti di imposta non

possono essere assoggettati a tassazione né ai fini Irpeg, né ai

fini Ilor». Il ministero dell'economia e delle finanze ricorre, con un

motivo, per la cassazione della sentenza surrichiamata, assunta, non notificata.

L'Istituto centrale banche e banchieri s.p.a., cui il ricorso è

stato notificato il 27 maggio 1998, si è astenuto da ogni attività

difensiva nella presente sede.

Il giudizio, in un primo tempo assegnato alla sezione tributa

ria della corte, è stato da tale sezione rimesso a queste sezioni

unite con ordinanza del 22 settembre 2000 per la soluzione della

questione, risolta in senso difforme in sentenze delle sezioni

semplici, concernente l'idoneità della presentazione d'istanza di

rimborso a neutralizzare il valore di una dichiarazione prodotta

prima del 1° gennaio 1988, con la quale, peraltro, il contri

buente si sia anticipatamente adeguato alla disciplina in seguito introdotta del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, sanzionante l'at

titudine degli interessi in contestazione a costituire componente del reddito d'impresa imponibile (art. 56, 3° comma, d.p.r. cit., assunto suscettibile di applicazione retroattiva ex art. 36 d.p.r. 4

febbraio 1988 n. 42). Motivi della decisione. — 1. - Il ministero dell'economia e

delle finanze, con il motivo articolato per suffragare il ricorso, deduce che la pronuncia nei sensi illustrati resa sulla fattispecie dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia do vrebbe essere ravvisata passibile di cassazione perché inficiata da «violazione dell'art. 56 t.u. 22 dicembre 1986 n. 917 e del l'art. 36 del decreto 4 febbraio 1988 n. 42 (art. 360, n. 3,

c.p.c.)»: più specificamente, denuncia che il giudice del merito

«non ha considerato che il t.u. del 1986 include ora espressa

riodi di imposta antecedenti a quelli nello stesso considerati, se le rela tive dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi, in riferimento agli art. 3, 53, 76 e 77 Cost.

VI. - Le sezioni unite giungono alla conclusione di cui in massima sul rilievo che «essendo intervenute con tempestività, entro il termine stabilito [dall'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602] per l'esperimento dell'istanza recuperatoria (. . .), la ritrattazione e la rettifica della di chiarazione, e, perciò, non potendo ravvisarsi realizzata 1 'irretrattabi!ità di tale atto, ad avviso del collegio, deve escludersi la riscontrabilità dei

presupposti dell'operatività dello schema di cui all'art. 36 d.p.r. 4 feb braio 1988 n. 42». Sulla tematica della rettifica della dichiarazione e, in

generale, sulla questione della domanda di rimborso fondata su circo stanze contrastanti con quanto ivi riportato, v. Cass., sez. un., 25 otto bre 2002, n. 15063, in questo fascicolo. I, 831.

Il Foro Italiano — 2003.

mente anche gli interessi compensativi tra i componenti positivi del reddito d'impresa», e che «l'art. 56 t.u., entrato in vigore il

1° gennaio 1988, si applica anche ai redditi in esame, sebbene

siano stati prodotti in anno precedente al 1988, in forza della di

sposizione transitoria introdotta col decreto 4 febbraio 1988 n.

42, che rende retroattive le norme del t.u. qualora le dichiara

zioni dei redditi siano conformi alle nuove norme»; fa presente, al considerato riguardo, che «non è contestabile che l'istituto, dichiarando i crediti d'imposta fra i componenti positivi del

reddito 1986 e pagando su di essi l'Irpeg e l'Ilor, abbia presen tato una dichiarazione di imposta conforme alle nuove norme e

che non possa, pertanto, ora pretendere alcun rimborso».

2. - In funzione della decisione sul gravame considerato, soc

corrono le seguenti osservazioni.

A) Giusta quanto evidenziato nella più sopra menzionata or

dinanza della sezione tributaria di questa Suprema corte in data

22 settembre 2000, la questione da risolvere per poter definire il

giudizio in esame è quella concernente l'idoneità, o non, della

presentazione tempestiva di un'istanza di rimborso di imposte dirette ai sensi dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 a

neutralizzare gli effetti di una dichiarazione prodotta, come

quella qui discussa, prima del 1° gennaio 1988, ossia nella vi

genza dei d.p.r. nn. 597, 598 e 599 del 29 settembre 1973, con

la quale il contribuente, titolare di reddito di impresa, includen

do nell'importo dell'imponibile dichiarato l'ammontare degli interessi maturati su crediti d'imposta relativi ad anni precedenti non puntualmente soddisfatti dall'amministrazione finanziaria, si sia anticipatamente adeguato alla solo successivamente inter

venuta disciplina di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, art.

56, 3° comma, recante che «gli interessi, anche se diversi da

quelli indicati nelle lett. a), b) ed h) dell'art. 41, concorrono a

formare il reddito (di impresa) per l'ammontare maturato nel

l'esercizio ...», assunta suscettibile di applicazione retroattiva

ex art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42, alla stregua del quale «le

disposizioni» del d.p.r. n. 917 del 1986, cit., «hanno effetto per i

periodi di imposta antecedenti al primo periodo di imposta suc

cessivo al 31 dicembre 1987, se le relative dichiarazioni, vali

damente presentate, risultano ad esse conformi».

B) La soluzione della questione così posta, peraltro, postula che sia previamente data risposta al quesito se la dichiarazione

dei redditi, una volta presentata dal contribuente agli uffici fi

nanziari, nella fattispecie ai termini degli art. 8 e 9 d.p.r. 29

settembre 1973 n. 600, abrogati dall'art. 9 d.p.r. 22 luglio 1998

n. 322, e, tuttavia, suscettibili di operare nella situazione con

troversa, nel testo previgente alla relativa novellazione di cui

agli art. 5 s. 1. 9 luglio 1997 n. 241, ratione temporis, sia da ri

tenere irreversibile per il contribuente medesimo, ovvero se

possa configurarsi per costui, ed eventualmente entro quali li

miti, la possibilità di dedurre in un momento successivo alla

detta presentazione errori commessi in proprio danno nella re

dazione dell'atto cennato al fine di sottrarsi ad un'esposizione debitoria eccedente il dovuto nel pagamento dei tributi: ed in

fatti, per poter ritenere operante lo schema di cui al ripetuto art.

36 d.p.r. n. 42 del 1988 bisognerebbe avere per dimostrato che il

requisito della conformità della dichiarazione alla disciplina dettata dal d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, in ragione dell'irre

versibilità dell'atto, si realizzi automaticamente nel momento

della presentazione dello stesso agli uffici finanziari; ché, se, invece, dovesse ritenersi la modificabilità della dichiarazione da

parte del contribuente in un momento successivo, lo schema

surricordato andrebbe ravvisato paralizzato fino all'esaurimento

dei termini accordati al dichiarante per far luogo alla rettifica

degli errori compiuti nella compilazione dell'atto.

C) Orbene, con riguardo alla problematica di cui alla lettera

precedente, è da dire che nel variegato, e disorganico, panorama della giurisprudenza di legittimità possono essere individuati

due orientamenti contrapposti. a) Un primo indirizzo, stato in passato largamente maggiori

tario, e probabilmente ancora prevalente, afferma che le specifi che prescrizioni di forma e di tempo in tema di presentazione della dichiarazione dei redditi, quali ricavabili, in particolare,

dagli art. 8 e 9 d.p.r. n. 600 del 1973, cit., debbono essere consi

derate, in linea di massima preclusive della possibilità di una

rettifica della dichiarazione stessa da parte del contribuente do

po la consumazione del termine previsto per il relativo inoltro

all'amministrazione finanziaria (cfr.. in tal senso, ad esempio.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Cass. 13 agosto 1992, n. 9554, Foro it., Rep. 1992, voce Tributi

in genere, n. 682). L'indirizzo in argomento ha trovato, da ultimo, sistematica e

lucida formulazione in Cass. 1° agosto 2000, n. 10055 (id., Rep. 2000, voce Valore aggiunto (imposta), n. 285) resa in tema di

Iva, e, però, recante enunciazioni di carattere generale trasponi bili alla dichiarazione dei redditi, nella quale è stato statuito che

le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, integrando il momento

di avvio di un, più o meno articolato, iter procedimentale di di

ritto pubblico — volto all'accertamento del concreto contenuto

dei rapporti tributari ai quali le dichiarazioni stesse si riferisco

no —, da intendersi, in quanto tale, ispirato ad esigenze di ra

zionale svolgimento e di conseguimento, quanto più rapido pos sibile, di risultati di stabilità, comportano l'automatismo di ef

fetti proprio degli atti giuridici in senso stretto, e, perciò, devo

no aversi per assoggettate a vincoli di tempo e di forma rigidi, che ne implicano la sostanziale irretrattabilità: da questa discen

dendo che, al di fuori delle ipotesi di errori materiali e/o di cal

colo, non richiedenti una rettifica vera e propria, essendo desu

mibili ab intrinseco dai testo dell'atto, le dichiarazioni medesi

me possano essere ravvisate emendabili e ritrattabili soltanto nei

termini espressamente accordati dalla legge per la relativa, vali

da. presentazione (cfr., nello stesso senso, Cass. 25 luglio 1997, n. 6957, id., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 853).

Va rilevato, comunque, che la rigorosa enunciazione di prin

cipio considerata, non solo nel menzionato arresto n. 10055 del

2000, ma anche in altre decisioni che si rifanno all'ordine di

idee dallo stesso accolto, trova un temperamento nella puntua lizzazione secondo cui, in ipotesi di mancata rettifica della di

chiarazione nei ripetuti termini, la possibilità di addurre errori

intervenuti nella redazione dell'atto ed incidenti sull'obbliga zione tributaria è, in ogni caso, salvaguardata nei limiti nei quali la legge prevede il diritto al rimborso, ovvero in sede di opposi zione a provvedimenti impositivi dell'amministrazione finanzia

ria diretti a far valere una maggiore pretesa erariale.

b) Un secondo orientamento, minoritario, ma continuamente

riaffiorante, viceversa, non esita ad affermare l'emendabilità da

parte del contribuente degli errori, anche non materiali e di cal

colo, contenuti nella dichiarazione, sul rilievo che questa non ha

valore confessorio o costitutivo del debito di imposta, ma si in

serisce, come atto iniziale, nell'ambito di un procedimento am

ministrativo volto all'accertamento ed alla riscossione dei tri

buti legalmente dovuti, solo subordinando il riconoscimento

della possibilità di rettifica, intesa ad evidenziare la reale inesi

stenza di fatti giustificativi del prelievo fiscale, alla condizione

che la rettifica stessa venga operata entro ragionevoli limiti di

tempo (cfr., ex aliis, Cass. 9 aprile 1997, n. 3080, id., 1998, I,

2269; 9 febbraio 1999, n. 1088, id., Rep. 1999, voce cit., n.

1145). D) Il contrasto insorto nella giurisprudenza si ripropone nella

dottrina: in questa, però, il dibattito sui confliggenti assunti si

articola in modo più organico e lineare in quanto non influen

zato da quell'esigenza di rapportare le norme alle singole vicen

de processuali sottoposte, spesso in termini affatto peculiari, alla cognizione dei giudici che condiziona la configurazione delle enunciazioni ricavabili dalle sentenze.

Anche in dottrina, dunque, nell'ormai prevalentemente, per non dire unanimemente, recepito presupposto della natura non

negoziale e della portata non dispositiva della dichiarazione dei

redditi, nonché dell'irriducibilità di questa alla nozione, tutta

civilistica, della confessione, e, quindi, sulla premessa che l'atto

considerato si risolve, essenzialmente, in un'esternazione di

scienza e/o di giudizio sui fatti dichiarati, si fronteggiano due li

nee di tendenza che, muovendo da una divergenza di opinioni in

ordine alla valenza dichiarativa o costitutiva della dichiarazione — e, derivatamente, dell'accertamento —, rispettivamente, af

fermano e negano, con sfumature diverse, la c.d. ritrattabilità,

totale o parziale, della dichiarazione stessa e la possibilità per il

contribuente di far valere gli errori e le inesattezze contenuti in

tale atto per sottrarsi agli oneri fiscali al medesimo correlati,

l'una, privilegiando l'esigenza di ragguagliare il carico fiscale

alla capacità contributiva effettiva del singolo contribuente e di

improntare i rapporti fra questo e l'erario all'osservanza di prin

cipi della buona fede e della correttezza sostanziale dell'azione

amministrativa, e, l'altra, ponendo l'accento sulla necessità, ac

campata ineludibile, di stabilizzare quanto più rapidamente pos sibile i rapporti tributari, sia unitariamente che complessiva

II Foro Italiano — 2003.

mente considerati, onde consentire all'amministrazione finan

ziaria una pronta acquisizione di certezze sull'entità e sull'an

damento delle entrate fiscali.

E, tuttavia, non si può non sottolineare come negli ultimi

tempi sia venuto prevalendo un sempre più compatto orienta

mento dottrinale che ritiene rimovibili gli effetti della dichiara

zione che si appalesi oggettivamente frutto di errore (di fatto o

di diritto, testuale o extratestuale), con il solo limite di un colle

gamento, almeno tendenziale, della ravvisata rimovibilità agli istituti sostanziali e processuali presenti nell'ordinamento

quanto alla possibilità che si faccia luogo ad un rimborso d'im

posta o alla rimozione di un provvedimento impositivo: per tale

orientamento, pertanto, restano sottratte alla ritrattabilità solo le

dichiarazioni riferibili a rapporti tributari che si debbano consi

derare esauriti o cristallizzati per il trascorrere del tempo e per il

verificarsi di decadenze.

E) Queste sezioni unite, fra le tesi in contrasto, ritengono corretta ed accettabile, in particolare in relazione alla normativa

applicabile ratione temporis alla situazione controversa, quella

che, sulla premessa dell'emendabilità — o ritrattabilità — di

ogni dichiarazione dei redditi che si riveli oggettivamente erro

nea ed inesatta, riconosce il diritto del contribuente dichiarante

di rilevare gli errori e le inesattezze compiuti nella redazione

dell'atto — siano essi di fatto o di diritto, testuali o extratestuali — al fine di sottrarsi all'assoggettamento ad oneri tributari più

gravosi di quelli ai quali per legge egli può, e deve, essere sot

toposto. a) In proposito, giova osservare, innanzi tutto, che nessun

limite, neppure solo temporale, all'emendabilità ed alla ritratta

bilità della dichiarazione dei redditi che integri risultante di er

rori e di inesattezze oggettivi e, quindi, al diritto del contri

buente dichiarante di addurre quegli errori e quelle inesattezze

per sottrarsi all'adempimento degli obblighi tributari correlati al

tenore della dichiarazione, a suo tempo, prodotta può essere de

sunto dalle disposizioni dì cui al 7° e 8° comma dell'art. 9 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, nel testo stato vigente negli anni nei

quali si è realizzata la fattispecie qui discussa.

Tali disposizioni (per le quali, rispettivamente, «le dichiara

zioni presentate entro un mese dalla scadenza del termine sono

valide salvo il disposto del 6° comma dell'art. 46», mentre «le

dichiarazioni presentate con ritardo superiore si considerano

omesse a tutti gli effetti ...», e «la dichiarazione ... può, co

munque, essere integrata, salvo il disposto del 5° comma del

l'art. 54, per correggere errori ed omissioni mediante successiva

dichiarazione ..., da presentarsi entro il termine per la presenta zione della dichiarazione per il secondo periodo di imposta suc

cessivo, sempre che non siano iniziati accessi, ispezioni o veri

fiche, o la violazione non sia stata comunque contestata, ovvero

non siano stati notificati gli inviti e le richieste di cui all'art.

32»), di fatti, per come reso manifesto dal loro tenore letterale,

hanno riguardo alla rimozione di omissioni ed all'eliminazione

di errori suscettibili di importare pregiudizio per le ragioni di

credito dell'erario, e non attengono all'emendabilità ed alla ri

trattabilità di dichiarazioni che, viceversa, contengano errori ed

inesattezze che comportino esposizione del contribuente dichia

rante ad oneri fiscali eccedenti il legalmente da lui dovuto.

b) In secondo luogo, è da dire che, sul piano sistematico, la

riscontrabilità di una, in linea di massima, generalizzata possi bilità di rettificare e di ritirare, in tutto o in parte, la dichiarazio

ne dei redditi errata e suscettibile di pregiudicare il contribuente

dichiarante, esponendolo all'onere di pagare tributi per legge non dovuti, nonché del diritto del detto contribuente di rimuove

re gli effetti dell'oggettiva erroneità di siffatta dichiarazione

non può non essere fatta discendere sia dalla natura di atto non

negoziale e non dispositivo della dichiarazione stessa e dal suo

configurarsi come esternazione di scienza e/o di giudizio, da

avere, proprio perché tale, per, in linea di principio, modifica

bile nell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di va

lutazione sui dati riferiti e/o valutati, sia dal fatto che l'atto con

siderato non costituisce il titolo dell'obbligazione tributaria, che

la legge fa automaticamente scaturire dall'insorgenza del fatto

che giustifica l'imposizione, ma integra semplicemente un mo

mento deWiter procedimentale inteso all'accertamento ed al

l'attuazione dell'obbligazione cennata, se, ed in quanto, effetti

vamente sussistente.

c) È d'uopo considerare, d'altronde, che ogni interpretazione del sistema legislativo che, radicalmente negando la rettificabi

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Page 5: sezioni unite civili; sentenza 9 gennaio 2003, n. 120; Pres. Cantillo, Est. Paolini, P.M. Cinque (concl. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Criscuoli) c. Soc. Istituto centrale

763 PARTE PRIMA 764

lità della dichiarazione da parte del contribuente dichiarante, al

fine di rimuovere errori ed inesattezze per lui pregiudizievoli, finirebbe per sfociare nel risultato di sottoporre detto contri

buente, solo sulla base dell'atto discusso, ad un prelievo fiscale

sostanzialmente e legalmente indebito, e si rivelerebbe, perciò, difficilmente compatibile con i principi costituzionali della ca

pacità contributiva (art. 53, 1° comma, della Carta costituzio

nale) e della correttezza oggettiva dell'azione amministrativa

(art. 97, 1° comma. Cost.).

d) Nelle come sopra ritenute ritrattabilità ed emendabilità

della dichiarazione dei redditi, restano da individuare i limiti

temporali entro i quali può essere dato al contribuente dichia

rante di far valere gli errori e le inesattezze compiuti in proprio danno nella redazione dell'atto.

Al riguardo, deve affermarsi che i limiti iti questione, per

quanto qui può interessare, possono essere correlati unicamente

ai termini stabiliti, rispettivamente, nell'art. 38, 1° comma,

d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 per l'esperimento dinanzi al

l'amministrazione finanziaria, prima, e alle commissioni tribu

tarie, poi, della domanda di ripetizione degli importi dei tributi

pagati in versamento diretto, e nella disciplina del contenzioso

tributario per contestare gli atti impositivi per il tramite dei

quali gli uffici finanziari abbiano proceduto alla liquidazione delle imposte riscontrate dovute in base alla dichiarazione ed al

l'avvio della relativa riscossione.

In particolare, per ciò che concerne la disposizione dell'art.

38 d.p.r. n. 602 del 1973, cit. — da avere per operante nella fat

tispecie, ratione temporis, nel suo testo originario, previgente alla relativa novellazione di cui alla 1. 13 maggio 1999 n. 133, alla stregua del quale «il soggetto che ha effettuato il versa

mento diretto può presentare all'intendenza di finanza nella cui

circoscrizione ha sede l'esattoria presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso entro il termine decadenziale

di diciotto mesi dalla data del versamento nel caso di errore

materiale, duplicazione ed inesistenza, totale o parziale, del

l'obbligo di versamento» —, va puntualizzato che il tenore let

terale della norma è tale da far senz'altro presumere che la do

manda recuperatoria in essa prevista e disciplinata possa essere

esperita, non solo in funzione della ripetizione, da parte del so

stituto d'imposta o del sostituito, dei tributi versati dopo essere

stati oggetto di ritenuta ex art. 23 ss. d.p.r. 29 settembre 1973 n.

600 ma anche per ripetere i tributi versati in c.d. autotassazione, in adempimento di obblighi risultanti da una dichiarazione ri

scontrata, per una qualsiasi ragione, oggettivamente errata in un

momento successivo alla relativa presentazione. 3. - j4) Sulle premesse poste nel paragrafo precedente, deve

rilevarsi che, sulla scorta di declaratorie ricavabili dalla senten

za impugnata non contestate con il ricorso, e da avere, perciò,

per irretrattabili, risulta che l'Istituto centrale banche e banchie ri s.p.a., esercente impresa commerciale (art. 2195, 1° comma, n. 4, c.c.), ha presentato per il 1986 una dichiarazione dei redditi nella quale ha incluso fra le componenti positive del conseguito reddito di impresa anche interessi maturati su crediti d'imposta relativi ad anni precedenti rimasti insoluti perché non puntual mente saldati dall'amministrazione finanziaria.

B) La dichiarazione cennata si rivela senza dubbio oggetti vamente inesatta in danno della dichiarante, in quanto, per un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, condivisibile, e dal quale non vi è ragione di discostarsi, alla

stregua della normativa stata vigente fino al 31 dicembre 1987,

gli interessi in questione andavano ritenuti non tassabili e non

integranti reddito, neppure di impresa, imponibile (cfr., in tal

senso, fra le più recenti, Cass. 15 febbraio 1999, n. 1255, id., Rep. 2000, voce Redditi (imposte), n. 742; 8 settembre 1999, n.

9510, id., Rep. 1999, voce cit., n. 603). C) È dato indiscusso, e indiscutibile, altresì, che il ridetto

Istituto centrale di banche e banchieri s.p.a., con istanza pre sentata tempestivamente alla competente intendenza di finanza,

prima, e con successivo, puntuale, ricorso dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano, all'epoca operante, poi, ha ritualmente esperito nel 1988 (e, quindi, nella sopravvenuta vi

genza del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, che dichiara tassabili

gli interessi in argomento con disposizione — art. 56 — suscet tibile di applicazione retroattiva ex art. 36 d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42 sul presupposto dell'avvenuta presentazione da parte del contribuente di dichiarazione ad essa conforme) l'azione di ri

petizione di indebito prevista dal ripetuto art. 38 d.p.r. 29 set

II Foro Italiano — 2003.

tembre 1973 n. 602 per recuperare l'Irpeg e l'Ilor versate in

autotassazione in eccedenza sul dovuto in esecuzione degli ob

blighi risultanti dalla dichiarazione ed in conseguenza dell'erro

neità di tale atto.

D) Nel contesto dato, essendo intervenute con tempestività, entro il termine stabilito dalla norma da ultimo citata per l'espe rimento dell'istanza recuperatoria di cui alla lettera precedente, la ritrattazione e la rettifica della dichiarazione, e, perciò, non

potendo ravvisarsi realizzata l'irretrattabilità di tale atto, ad av

viso del collegio, deve escludersi la riscontrabilità dei presuppo sti dell'operatività dello schema di cui all'art. 36 d.p.r. 4 feb

braio 1988 n. 42, in virtù del quale, secondo l'assunto dell'am

ministrazione finanziaria, dovrebbe scattare l'applicazione re

troattiva dell'art. 56 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 e, perciò, la

tassabilità, come componenti positive del reddito di impresa,

degli interessi in controversia.

4. - Dal complesso delle considerazioni svolte nei paragrafi

precedenti discende che va esclusa l'irripetibilità dei tributi di

scussi dedotta dal ministero dell'economia e delle finanze e che, di conseguenza, il ricorso prodotto da detta pubblica ammini

strazione deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 di

cembre 2002, n. 18235; Pres. Losavio, Est. Di Amato, P.M.

Russo (conci, conf.); Valtorta e altri (Avv. Mandelli) c. Fall,

soc. Viemme di Valtorta e Molteni e altri (Avv. Brando), Cassa rurale ed artigiana di Cantù (Avv. Pozzoli, Martines).

Conferma App. Milano 7 luglio 2000.

Fallimento — Dichiarazione — Piccolo imprenditore — No

zione (Cod. civ., art. 2083; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci

plina del fallimento, art. 1 ; 1. 8 agosto 1985 n. 443, legge quadro per l'artigianato).

Per stabilire quali siano i piccoli imprenditori da esonerare dal

fallimento occorre utilizzare la nozione generale dell'art. 2083 c.c. con la conseguenza che non rileva la disciplina spe ciale in materia di artigianato e che possono essere quindi considerati piccoli imprenditori anche le società commercia li. (1)

(1) Cass. 21 dicembre 2002, n. 18235, in epigrafe, e 5 dicembre 2002, n. 17251 (Foro it., 2003, I, 452, con nota di richiami di D. Bel lantuono) intervengono sui confini di applicabilità della legge falli mentare posto che dettano alcune regole idonee a marcare quali sono i

soggetti che possono essere sottoposti alla procedura fallimentare e

contengono, sebbene rilasciate da due collegi del tutto diversi fra loro, un comune denominatore racchiuso nell'affermazione per la quale l'in dividuazione dell'imprenditore assoggettabile a fallimento va colta nel la normativa generale del codice civile (gli art. 2083 e 2135 c.c.) e non nelle discipline speciali di settore.

Fermo questo importante principio, la decisione più recente si se

gnala come decisamente innovativa, mentre l'altra si mostra consape volmente conservatrice.

L'affermazione secondo la quale al fine di individuare l'imprendito re artigiano esonerato da fallimento occorre fare riferimento alla norma di cui all'art. 2083 c.c. (che prevede la prevalenza del lavoro del titola re dell'impresa sugli altri fattori della produzione) e non alla 1. 443/85 (in base alla quale, invece, l'impresa artigiana viene descritta con ri guardo alla prevalenza del fattore lavoro sul capitale investito), non è nuova perché la si ritrova già in Cass. 28 marzo 2001, n. 4455, id.. Rep. 2001, voce Fallimento, n. 260; 22 settembre 2000, n. 12548, ibid., n. 261; 29 maggio 2000, n. 7065, ibid., n. 262, che a loro volta traggono fondamento da Corte cost. 23 luglio 1991, n. 368, id., 1992,1, 2064.

Ciò che rappresenta una novità a livello di giurisprudenza di legitti mità è invece l'affermazione per cui l'ultimo brandello del 2° comma dell'art. 1 1. fall, deve intendersi abrogato, nel senso che per stabilire chi sia piccolo imprenditore occorre riferirsi alla nozione di cui all'art. 2083 c.c. con la precisazione che piccolo imprenditore può essere an

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