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sezioni unite civili; sentenza 9 giugno 1995; Pres. Lo Coco, Est. Valente, P.M. (concl. conf.); ric....

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Page 1: sezioni unite civili; sentenza 9 giugno 1995; Pres. Lo Coco, Est. Valente, P.M. (concl. conf.); ric. P.m. in c. Mirabile. Annulla senza rinvio Trib. Biella, ord. 29 settembre 1994

sezioni unite civili; sentenza 9 giugno 1995; Pres. Lo Coco, Est. Valente, P.M. (concl. conf.); ric.P.m. in c. Mirabile. Annulla senza rinvio Trib. Biella, ord. 29 settembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 497/498-499/500Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191626 .

Accessed: 25/06/2014 20:52

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GIURISPRUDENZA PENALE

(così modificata l'originaria imputazione di tentato omicidio ag

gravato) e di rissa parimenti ascritti al Citerà.

Su gravame dell'imputato e del procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno, la Corte di assise di appello di Salerno, con sentenza del 6 febbraio 1995, applicò al Citerà

l'ulteriore pena di lire 300.000 di multa, confermando nel resto la deisione impugnata.

Avverso la decisione di secondo grado, il Citerà, a mezzo

del suo difensore, ha proposto il ricorso per cassazione che vie

ne ora alla cognizione di questa corte.

Diritto. — Con i motivi di impugnazione, il ricorrente de nuncia:

1) la illogicità e contraddittorietà della motivazione a propo sito del delitto di rissa, non avendo la corte di merito considera

to che l'unica attività svolta dal Citerà è stata quella di sparare contro gli aggressori e che tale comportamento, costituendo at

tività difensiva, non poteva costituire rissa, né si poteva conce

pire il commodus discessus, non potendo egli abbandonare il sindaco del quale era la sorta; del resto, esclusa la rissa, non

si poteva concepire altro che la legittima difesa con la conse

guente esclusione del delitto di lesioni;

2) la mancanza della motivazione a proposito del porto ille

gittimo dell'arma.

Le censure sono fondate. Ed invero, va innanzi tutto precisa to che, a norma dell'art. 5, 1° comma, lett. a) e c), 1. 7 marzo

1986 n. 65, recante l'ordinamento della polizia municipale, le

guardie delle province e dei comuni, nell'ambito territoriale del

l'ente di appartenenza e nei limiti delle loro attribuzioni, eserci

tano anche funzioni di polizia giudiziaria (vedi anche l'art. 57.2, lett. b, c.p.p.), nonché funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza. A tal fine, come dispone il 5° comma dello stesso articolo, il

personale di cui sopra è autorizzato a portare, senza licenza, le armi in dotazione, anche fuori dal servizio.

Pertanto, anche alla luce dell'art. 73, 3° e 4° comma, reg.

t.u.l.p.s., rilevato che non è contestato in fatto il porto dell'ar

ma fuori del territorio del comune di Sanza, deve ritenersi legit tima la detenzione dell'arma da parte del Citerà anche perché

ricollegata ad una specifica esigenza di servizio, avendo la corte

di merito accertato, in punto di fatto, che l'imputato era di

to territoriale del comune di appartenenza e nei casi meglio determinati dai singoli regolamenti comunali.

Applicando le proposizioni sopra elaborate al caso di specie, si osserva: — che, sebbene asseritamente non contestato e, quindi, non ricom

preso nell'imputazione, il porto dell'arma da parte del vigile urbano del comune di Sanza nel vicino comune di Centola non rientrava in

alcuno dei casi consentiti dalla vigente normativa giacché, pur dando

per ammesso (ma dalla sentenza non risulta), che il soggetto possedesse la qualifica di agente di p.s., non si versava né in ipotesi di operazione di polizia giudiziaria intrapresa nell'ambito del comune di appartenenza e proseguita al suo esterno né in quella di attività ausiliaria di pubblica sicurezza (nulla constando circa un apporto richiesto dalle forze di poli zia e formalmente disposto dal sindaco) né, tantomeno, di una missione esterna per ragioni di «collegamento o rappresentanza»;

— che opinabile appare, pertanto, la stessa ravvisabilità, nel caso in esame, dell'espletamento di un «servizio» (secondo la sentenza il ser vizio di scorta armata al proprio sindaco), essendosi, eventualmente, trattato di un servizio di polizia di sicurezza disposto (ammesso che fosse individuabile un regolare ordine di servizio in tal senso) e, comun

que, attuato al di fuori delle ipotesi contemplate dalla normativa, in

quanto non «ausiliario» né sollecitato da alcuna forza di polizia istitu

zionalmente competente; — che, infine, considerando il porto senza licenza come avvenuto

fuori del servizio, non ne risulta apprezzabile, in base ai dati offerti

dalla motivazione della sentenza, la legittimità, non essendo stato preso in esame il contenuto del regolamento del servizio di polizia municipale del comune di Sanza, cui l'art. 6, 2° comma, del regolamento generale rinvia per la più puntuale determinazione dei casi di liceità del porto senza licenza fuori dal servizio, sempre che si trattasse, nella fattispecie, di un'ipotesi di assegnazione dell'arma in via continuativa, ai sensi del 1° comma, lett. a), dello stesso articolo, per cui soltanto, a norma del

succitato 2° comma, è consentito il porto senza licenza anche fuori

del servizio. I pur limitati dati di fatto ricavabili dall'elaborato, in una con l'epi

logo dell'episodio, segnato dallo scontro armato tra il sindaco, con i

suoi accompagnatori, ed il gruppo degli avversari, e, soprattutto, la

non inquadrabilità della vicenda in alcuno dei casi di cui all'art. 4 1. 65/86 (richiamato dal 5° comma del successivo art. 5), consentono,

peraltro, di nutrire quantomeno perplessità al riguardo.

Emilio Gironi

scorta al proprio sindaco il quale rientrava nella sua abitazione

dopo un comizio tenuto in un comune viciniore.

A ciò si aggiunga che l'esplosione di colpi di pistola, contro

il gruppo dei malintenzionati che intendevano aggredire il sin

daco non può, di per sé, integrare né il reato di rissa, né quello di lesioni, ben potendo tale condotta rientrare nell'attività di fensiva che è propria del servizio di scorta e non potendosi ipo

tizzare, in casi del genere, il commodus discessus che avrebbe

significato abbandono del servizio, agenti di polizia giudiziaria

quando sono in servizio.

La sentenza impugnata deve essere perciò annullata nella sua

totalità, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 9 giu gno 1995; Pres. Lo Coco, Est. Valente, P.M. (conci, conf.); ric. P.m. in c. Mirabile. Annulla senza rinvio Trib. Biella, ord. 29 settembre 1994.

Sospensione condizionale della pena — Revoca — Condanna

condonata (Cod. pen., art. 163, 168, 174).

L'indulto non esclude l'idoneità della sentenza di condanna a

fungere da causa risolutiva, ai sensi dell'art. 168, 1° comma, n. 2, c.p., del beneficio della sospensione condizionale della

pena, concesso in relazione ad altra precedente condanna, in

presenza degli altri presupposti richiesti dalla legge come ne

cessari. (1)

Considerazioni in fatto. — Il Tribunale di Biella, quale giudi ce dell'esecuzione, con ordinanza emessa il 29 settembre 1994, tra l'altro, rigettava la richiesta di quel p.m. di revoca della

sospensione condizionale della pena, concessa a Mirabile Giu

liano, con sentenza dello stesso tribunale in data 10 ottobre 1988.

Quel giudice, dopo aver rilevato che il Mirabile, con la sen tenza in data 10 ottobre 1988, era stato condannato alla pena

sospesa di anni uno e mesi quattro di reclusione e lire settecen

tomila di multa, per reato commesso nel 1988 e che, con sen

tenza della Corte di appello di Torino del 19 aprilie 1991, era

stato nuovametne condannato alla pena di anni due di reclusio

ne e lire ottocentomila di multa dichiarata interamente condo

nata, per reato commesso il 26 luglio 1985, riteneva di non ac

cogliere la richiesta del p.m. di revoca della sospensione condi

zionale, ai sensi dell'art. 168, 1° comma, n. 2, c.p.p., perché la condanna che avrebbe dovuto determinare tale revoca, essen

do stata interamente condonata, era estinta e, perciò, non cu

mulabile con la prima. Avverso l'indicato provvedimento, ha proposto ricorso per

cassazione il procuratore della repubblica presso quel tribunale,

denunciando violazione della legge penale, sul rilievo che era

da considerarsi erroneo l'indirizzo giurisprudenziale al quale si

era ispirato il tribunale, giacché il condono applicato alla pena

irrogata con la seconda sentenza non aveva determinato l'estin

zione di tutti gli effetti penali della condanna.

Su segnalazione della terza sezione penale di questa corte —

che rilevava un contrasto di giurisprudenza sul tema del ricorso

(1) In senso conforme, v. Cass. 12 ottobre 1993, Castronovo, Foro

it., Rep. 1994, voce Amnistia, n. 31; 4 ottobre 1993, Menichini, ibid., voce Sospensione condizionale della pena, n. 25; 20 settembre 1993,

Tosatto, ibid., n. 26. Per l'orientamento opposto, secondo il quale, nell'ipotesi in cui ad

una condanna a pena condizionalmente sospesa segua nei termini altra

condanna a pena condonata, quest'ultima, essendo estinta, non risulta

cumulabile con la prima e non determina quindi la revoca del beneficio

in precedenza concesso, v. Cass. 28 aprile 1993, Caramello, ibid., n.

27; 5 febbraio 1985, Paglietto, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15.

Il Foro Italiano — 1996.

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PARTE SECONDA

—, la decisione era attribuita alla competenza di queste sezioni

unite.

Motivi della decisione. — Il ricorso, perché fondato, merita

accoglimento.

Rileva, al riguardo, il collegio che l'esatta risoluzione della

questione rimessa con il ricorso trova sede specifica nella consi

derazione del disposto dell'art. 174, 1° comma, c.p., che ha

la precipua funzione di regolare proprio gli effetti dell'applica zione dell'indulto.

La disposizione in esame, stabilendo che l'indulto «condo

na», in tutto od in parte, la pena principale, fa salvi gli altri

effetti penali della condanna e, perciò, tutte quelle conseguenze

giuridiche che, dalla condanna, scaturiscono ope legis e ad essa

si riconnettono immancabilmente.

Da tanto discende che l'indulto, se estingue la pena e ne fa

cessare l'espiazione, non ha, però, efficacia ablativa ed elimina

toria dal mondo giuridico-penale degli altri effetti scaturenti dalla

condanna, tra i quali — proprio per la genericità della formula usata — è da ricomprendersi anche l'idoneità della stessa a fun

gere da causa risolutiva — ex art. 168, 1° comma, n. 2, c.p. — del beneficio della sospensione condizionale della condanna, concesso in relazione ad altra precedente condanna, in presenza

degli altri presupposti richiesti dalla legge come necessari.

La successiva condanna riportata dall'imputato, per reato an

teriormente commesso, deve, quindi, sempre assumere rilevan

za, ai fini dell'accertamento del superamento, a meno, dei limi

ti sanzionatori stabiliti dall'art. 163 c.p., senza che possa attri

buirsi incidenza alcuna alla circostanza che la pena irrogata sia

stata, interamente, od in parte, dichiarata condonata.

In considerazione delle argomentazioni svolte, non può tro

vare seguito l'opposto orientamento giurisprudenziale (di cui sono

espressione le sentenze 345/85 e 1837/93 della prima sezione

penale di questa corte ed al quale si è riportato il tribunale

nel provvedimento impugnato), tanto più che lo stesso, mentre

si appalesa privo di qualsiasi addentellato normativo, risulta non

aver tenuto conto del profilo — che per la sua decisività non

poteva essere trascurato — della necessaria riconducibilità della

revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena alla fattispecie degli «altri effetti penali» della condanna, dei

quali è stata fatta salvezza dall'art. 174 c.p. innanzi richiamato.

Passando all'analisi della fattispecie concreta, deve rilevarsi

che la sommatoria delle due condanne riportate dal Mirabile Giuliano supera il limite sanzionatorio posto dall'art. 163 c.p., donde l'obbligatorietà della revoca del beneficio concesso con

la sentenza in data 10 ottobre 1988.

L'impugnata ordinanza va, pertanto, annullata senza rinvio

e va disposta la revoca del beneficio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 4 apri le 1995; Pres. Glinni, Est. Novarese, P.M. (conci, conf.); ric. P.m. in c. Marano. Annulla Trib. Catania, ord. 23 di

cembre 1994.

Edilizia e urbanistica — Concessione edilizia — Illegittimità —

Disapplicazione (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul con tenzioso amministrativo, art. 4, 5; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia,

sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art. 20).

Il reato di costruzione abusiva è configurabile anche nell'ipotesi di opere eseguite sulla base di concessione edilizia (illegittima) rilasciata a seguito di attività fraudolenta del privato che, seb bene non integrante reato, sia tale da violare i principi del neminem laedere e della buona fede. (1)

(1-2) Concessione edilizia illegittima e reato di costruzione abusiva: una questione ancora irrisolta.

I. - Con il provvedimento in epigrafe la terza sezione della Corte di cassazione è tornata a decidere (nel giro di pochi mesi e con motiva

li, Foro Italiano — 1996.

Dall'analisi coordinata degli art. 6, 11, 13 e 22 l. n. 47 del

1985 emerge che l'interesse protetto dalle fattispecie previste dall'art. 20 non è quello formale o strumentale del controllo

dell'attività edilizia riservata in mano pubblica, ma quello fi nale o sostanziale relativo alla tutela dell'assetto del territorio

in conformità alla normazione urbanistica; l'interesse leso trova la sua tutela in tutte e tre le fattispecie criminose di cui al

citato art. 20 in relazione al differente quadro di offensività, sicché il parametro normativo può individuarsi nella distin

zione tra difformità totale e parziale, e tra opere eseguite in

zone soggette o meno a vincolo, configurandosi così le diver

se contravvenzioni delle lett. a), bj e c). (2)

zione pressoché identica) la questione circa il mantenimento del seque stro cautelare di un manufatto realizzato sulla base di concessione ille gittima, in pendenza — avanti al giudice di merito — di procedimento penale per reato edilizio (1).

Il problema è risalente e a tutt'oggi ampiamente dibattuto: per ben tre volte negli ultimi anni le sezioni unite della Suprema corte si sono

occupate della configurabilità della contravvenzione di costruzione abu siva per lavori eseguiti in base ad atto illegittimo, senza riuscire ad of frire una soluzione appagante.

Vediamo di riassumere, sia pur brevemente, i termini del dibattito (2).

II. - La decisione delle sezioni unite 31 gennaio 1987 (3) segna un'in versione di tendenza nella giurisprudenza (4) — fino ad allora prevalen te — secondo cui, riconosciuta l'illegittimità della concessione edilizia, il giudice penale era tenuto a «disapplicarla» (art. 4 e 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E): il che comportava, da un lato, la sostanziale equiparazione tra opere senza concessione e opere realizzate con con cessione illegittima; dall'altro, l'automatica affermazione della obiettiva sussistenza del reato di costruzione abusiva.

Solo un orientamento minoritario escludeva la responsabilità penale nel caso che una concessione, ancorché illegittima, fosse stata rilascia ta (5). Sostenuta da un cospicuo filone dottrinale (6), parte della giuris prudenza sottolineava che la fattispecie di cui all'art. 17, lett. b), 1. 10/77 (come sostituito dall'art. 20, lett. b, 1. 47/85), si limita a richie dere l'assenza del provvedimento concessorio, mentre nessun accenno fa alla sua eventuale illegittimità. Dal rilievo tutt'altro che marginale se ne traeva la conclusione che, in caso di concessione illegittima, l'ope ra non fosse «senza titolo», ma realizzata sulla base di atto amministra tivo dotato di piena validità fintantoché non se ne fosse disposto l'an nullamento.

Con la citata pronuncia del 1987, le sezioni unite stabiliscono che il reato di costruzione abusiva può ricorrere solo quando manchi del tutto la concessione, oppure quando questa sia inesistente per carenza di potere dell'organo che l'ha emessa o perché frutto di attività criminosa.

L'affermazione veniva ulteriormente supportata dalla lettura congiunta degli art. 4 e 5 della legge sull'abolizione del contenzioso amministrati vo: da «tali disposizioni di legge si evince chiaramente che le norme in questione non introducono affatto un principio generalizzato di di

sapplicazione degli atti illegittimi da parte del giudice ordinario (sia es so civile o penale) per esigenze di diritto oggettivo, ma che, al contra

rio, il controllo sulla legittimità dell'atto amministrativo è stato rigoro samente limitato dal legislatore ai soli atti incidenti negativamente sui diritti soggettivi ed alla specifica condizione che si tratti di accertamen to incidentale, che lasci persistere gli effetti che l'atto medesimo è capa ce di produrre all'esterno del giudizio. Ne consegue, pertanto, che la

(1) Cass. 14 luglio 1994, Cremona, Riv. giur. edilizia, 1995, I, 954, con nota di Zucca, Oltre le sezioni unite 12 novembre 1993 (Borgia). Incertezze e coerenza della Cassazione.

(2) In dottrina, cfr., di recente, Cocco, L'atto amministrativo invali do elemento delle fattispecie penali, Cagliari, 1996.

(3) Cass., sez. un., 31 gennaio 1987, Giordano, Foro it., 1989, II, 297, con nota di C.M. Barone; Cass. pen., 1987, 878, con nota di Vignale, Concessione illegittima e contravvenzioni urbanistiche: un cer chio sempre difficile da quadrare (ibid., 1711 ss.).

(4) Cass. 13 novembre 1984, Del Favero, Foro it.. Rep. 1986, voce Edilizia e urbanistica, n. 198; 31 maggio 1983, Zanotti, id., Rep. 1984, voce cit., n. 591; 31 marzo 1983, Zavagnin, ibid., n. 592; 23 marzo 1981, Volpicelli, id., Rep. 1982, voce cit., n. 579.

(5) Cass. 13 marzo 1985, Meraviglia, Foro it., 1986, II, 84, con nota di Fornasari, Sulla rilevanza penale della costruzione edilizia realizzata in base ad atti concessori illegitimi; 24 ottobre 1984, Ambroggi, Giust. pen-, 1986, II, 148, e Foro it., Rep. 1986, voce Edilizia e urbanistica, n. 667; 10 gennaio 1984, Tortorella, Cass. pen., 1985, 1446 e Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 684; 15 marzo 1982, Basso, Cass. pen., 1983, 1856, e Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 730.

(6) Cfr., per tutti, R. Bettiol, La tutela penale dell'assetto territo riale nelle norme per l'edificabilità dei suoli, Padova, 1978, 78 s.; Ca staldo, Finalmente rilevato il principio di legalità nell'ipotesi di con cessione edilizia illegittima disapplicata dal giudice penale, in Arch, pen., 1984, 209 ss.; Fornasari, Costruzione edilizia in base a concessione

illegittima e ambito di rilevanza della «buona fede», in Giur. merito, 1986, 233 ss.

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