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sezioni unite penali; sentenza 16 marzo 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Lattanzi, P.M....

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sezioni unite penali; sentenza 16 marzo 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Lattanzi, P.M. Aponte (concl. conf.); ric. P.m. in c. Magotti ed altro. Annulla App. Brescia 4 giugno 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 291/292-293/294 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190022 . Accessed: 28/06/2014 13:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.77 on Sat, 28 Jun 2014 13:12:17 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 16 marzo 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Lattanzi, P.M.Aponte (concl. conf.); ric. P.m. in c. Magotti ed altro. Annulla App. Brescia 4 giugno 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 291/292-293/294Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190022 .

Accessed: 28/06/2014 13:12

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PARTE SECONDA

che alle cose oggetto di diritti reali di garanzia. Ciò, tuttavia, non senza aggiungere e far intendere dalla giurisprudenza più

avvertita, che l'estensione in tal modo operata, per ragioni con

nesse alla titolarità del potere di disponibilità effettiva del bene, si traduce in definitiva in un divieto per cosi dire temporaneo, e comunque non irrevocabile, di confisca, siccome valevole «si

no al soddisfacimento delle ragioni creditorie per le quali la

garanzia risulta costituita» (in termini cfr. Cass., sez. I, 8 luglio

1991, Banca commerciale italiana sopra già citata).

Orbene, perfezionando ed emendando — in rapporto alla con

creta fattispecie (cose assoggettate a pegno regolare) — que st'ultimo e più puntuale indirizzo in considerazione di quanto innanzi precisato a proposito della disponibilità non totalitaria

del bene da parte del creditore pignoratizio e della residuale

disponibilità del bene stesso da parte del debitore nonché in

considerazione della scindibilità concettuale delle facoltà spet tanti all'uno e all'altro soggetto, ritengono queste sezioni unite

che non sia precluso e che anzi sia consentito il sequestro fina

lizzato alla confisca delle cose costituite in pegno regolare limi

tatamente alle facoltà inerenti alla posizione del debitore garan

te, indagato o imputato: impregiudicate, anche qui, le facoltà

correlativamente spettanti sulle stesse cose al creditore pignora tizio estraneo all'illecito penale.

In questo quadro che si traduce anche in un correttivo dalla

linea interpretativa della citata pronunzia (Cass., sez. II, 15 mag

gio 1992, Banca pop. Milano), la quale sembra voler paralizza re e postergare fino alla fase della decisione sulla confisca la

tutela delle ragioni del creditore pignoratizio: cosi sacrificando

oltre il necessario gli interessi dei privati estranei al reato e non

considerando che l'oggetto del pegno normalmente è costituito

da beni (compresi i titoli di Stato) che abbisognano di gestione e di amministrazione (si pensi ai titoli in scadenza da rinnovare

in costanza di pegno, all'esercizio del voto nel pegno delle azio

ni di società, ecc.) spetta al giudice di merito, attingendo dai poteri conferitigli dall'art. 259, 1° comma, c.p.p., espressamen te richiamato dall'art. 81 att., cui si riferisce il successivo art.

104, adottare gli accorgimenti opportuni per assicurare, con equi librio degli opposti interessi, la corretta custodia e amministra

zione delle cose sequestrate: procedendo, se del caso, a designa re come custode lo stesso creditore pignoratizio, con le facoltà

che gli derivano dal diritto di garanzia, fino alla vendita e al

l'assegnazione della cosa o del credito dato in pegno, sotto il

controllo dell'autorità giudiziaria penale. 9. - Tutto ciò considerato sul piano esegetico, si deve in con

creto rilevare che il provvedimento impugnato, sia pure senza

che la relativa statuizione risulti formalizzata in dispositivo, è

stato adottato, come è detto nella motivazione, con la clausola:

«fermo restando il permanere in capo al creditore pignoratizio della causa legittima di prelazione».

Ne deriva, in virtù delle argomentazioni sopra svolte in mate

ria di applicabilità dei commi 1° e 2° dell'art. 321 c.p.p. alle cose costituite in pegno, il rigetto di entrambi i motivi di ricor

so: atteso, peraltro, che con i medesimi nulla si è opposto in

merito alla sussistenza delle ritenute esigenze cautelari.

Mette conto, infine, aggiungere con riferimento all'ultima ra

gione di difesa concernente l'eccepita decadenza del beneficio

del termine da parte della società beneficiaria del finanziamento

formante oggetto dell'obbligazione principale garantita (art. 1186

c.c.), che la deduzione è priva di rilevanza, per mancanza di

interesse, dal momento che il provvedimento impugnato, come

già detto, ha fatto salve le questioni intrinseche al rapporto di

prelazione intercorrente tra le relative parti.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 16

marzo 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Lattanzi, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. P.m. in c. Magotti ed altro.

Annulla App. Brescia 4 giugno 1993.

Appello penale — Giudizio di comparazione tra circostanze —

Limiti (Cod. proc. pen., art. 597).

Nell'ipotesi in cui non siano state riconosciute nuove circostan

ze attenuanti, non può il giudice di appello, d'ufficio, modi ficare il giudizio di comparazione in senso favorevole all'im putato, ritenendo la prevalenza delle attenuanti in luogo del

l'equivalenza statuita in primo grado. (1)

Fatto e diritto. — Il procuratore generale presso la Corte d'ap

pello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione contro la

sentenza del 4 giugno 1993 con la quale la Corte d'appello di

Brescia, riformando la decisione di primo grado, ha dichiarato

estinto per prescrizione un reato di omicidio colposo del quale erano imputati Franco Magotti e Daniele Telimi.

A quanto risulta dalla sentenza impugnata il 1° agosto 1985

Bruno Rossi, operaio alle dipendenze della s.r.l. coop. Ceim, mentre stava smontando un ponteggio aveva toccato il cavo di

acciaio di sostegno della linea elettrica Enel ed era morto per

folgorazione. Di questo fatto il Tribunale di Mantova con sen

tenza del 30 giugno 1989 aveva ritenuto responsabili Daniele

Tellini e Franco Magotti, rispettivamente tecnico di cantiere e

capo cantiere; il tribunale aveva applicato le attenuanti di cui

agli art. 62, n. 6, e 62 bis c.p., giudicate equivalenti all'aggra vante della violazione di norme per la prevenzione degli infor

tuni sul lavoro, ed aveva condannato ciascuno degli imputati alla pena di otto mesi di reclusione.

Gli imputati avevano impugnato la sentenze sostenendo con

vari motivi che avrebbero dovuto essere assolti dall'imputazio ne di omicidio colposo e la corte d'appello, senza esaminare

i motivi degli appellanti, ha operato di ufficio, a norma del

(1) Con la sentenza in epigrafe le sezioni unite risolvono il contrasto di giurisprudenza — puntualmente ripercorso in motivazione — in or dine ai limiti dei poteri d'ufficio attribuiti al giudice di appello dall'art.

597, 5° comma, c.p.p. È noto che, in parziale deroga al (riaffermato) tradizionale principio

del tantum devolutum quantum appellatum, la direttiva n. 91 della leg ge delega ha vincolato il legislatore delegato alla «previsione che il giu dice d'appello possa concedere d'ufficio i benefici di legge e le circo stanze aggravanti»: ne è derivato un non trascurabile incremento dei

poteri decisori del giudice di secondo grado (cfr., sul punto, Sturla, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chia

vario, Torino, 1991, VI, sub art. 597, 172 ss.), nella ribadita ottica del favor rei (ci si è, in proposito, espressi in termini di «riforme in

meglio ultra petita»: Cordero, Codice di procedura penale commenta

to, 2a ed., Torino, 1992, sub art. 597, 708). La decisione su riportata non ha mancato di sottolineare come l'ulti

mo periodo dell'art. 597, 5° comma, assente nel progetto preliminare, è frutto di una modifica aggiuntiva introdotta in sede di progetto defi nitivo: la norma conferisce al giudice di appello il potere di rieffettuare

«altresì», «quando occorre», il giudizio di comparazione tra circostan ze. L'esegesi letterale e sistematica della norma — sottolineano le sezio ni unite, sulla scorta di quanto affermato dalla Relazione al progetto definitivo (Le leggi, 1988, 2721) — porta a concludere nel senso che il nuovo giudizio di bilanciamento si rende opportuno solo liddove il

giudice di secondo grado abbia proceduto alla concessione ex officio di circostanze attenuanti: la norma non conferisce, in altri termini, un

potere officioso indipendente rispetto a quello che concerne le circo stanze attenuanti e i benefici di legge (sul punto cfr., in dottrina, Span

gher, Il giudizio di comparazione fra circostanze e i poteri di ufficio del giudice di appello, in Cass, pen., 1992, 2386 ss.).

La giurisprudenza appare costante nel ritenere che la concessione ex

officio delle circostanze attenuanti e dei benefici di legge costituisca un potere (discrezionale) e non un obbligo del giudice di secondo gra do: in tal senso si è statuito che il mancato esercizio di tale potere non è censurabile in sede di legittimità né è configurabile, al riguardo, un obbligo di motivazione in assenza di una richiesta di parte formulata nei motivi di appello o nel corso del dibattimento di secondo grado (cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. 8 marzo 1993, Rodi, Foro it.,

Rep. 1993, voce Appello penale, n. 23; 3 novembre 1992, Lo Giudice, ibid., n. 24; 8 aprile 1992, Mortara, ibid., n. 25; 18 marzo 1992, Zito, id., Rep. 1992, voce cit., n. 21; 21 febbraio 1992, Schiavone, ibid., n. 22; 24 giugno 1991, Nannavecchia, ibid., n. 28; 7 febbraio 1991, Incognito, ibid., n. 28; 21 gennaio 1991, La Marca, ibid., n. 23).

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GIURISPRUDENZA PENALE

l'art. 597, 5° comma, c.p.p. (applicabile per l'art. 245 norme

trans, anche nei procedimenti che, come il presente, proseguo no con le norme anteriormente vigenti), un nuovo giudizio di

comparazione tra circostanze e, ritenute prevalenti le attenuan

ti, ha dichiarato il reato estinto per prescrizione. Con il ricorso per cassazione il procuratore generale ha de

nunciato l'erronea applicazione dell'art. 597, 5° comma, c.p.p. sostenendo che questa disposizione non dà al giudice di appello un potere incondizionato di effettuare di ufficio un nuovo giu dizio di comparazione, il quale, secondo il procuratore genera

le, è invece «strettamente collegato e subordinato all'esercizio

del potere di affermare la sussistenza di una o più circostanze

attenuanti non riconosciute dal primo giudice o in aggiunta a

quelle già riconosciute in primo grado, con la conseguenza di

dar vita alla situazione di concorso disciplinata dall'art. 69 c.p. 0 di modificarla».

La quarta sezione ha rilevato che sulla questione oggetto del

l'impugnazione esiste un contrasto nella giurisprudenza di que sta corte e pertanto ai sensi dell'art. 618 c.p.p. ha rimesso il

ricorso alle sezioni unite.

Come ha ricordato la quarta sezione con l'ordinanza di ri

messione, questa corte con la sentenza sez. IV 9 novembre 1990, Risa (Foro it., Rep. 1991, voce Appello penale, n. 25) ha affer

mato che il giudice di appello oltre che applicare attenuanti non

richieste con l'impugnazione, può, di ufficio, rivedere il giudi zio di comparazione già fatto dal primo giudice, anche nel caso

in cui la revisione non è resa necessaria dall'applicazione di nuove

attenuanti, ma questa affermazione è stata successivamente smen

tita da sez. feriale 29 agosto 1991, Ormando (id., Rep. 1992,

voce cit., n. 25), la quale ha ritenuto che «non può il giudice di appello, di ufficio, modificare il giudizio di comparazione in senso favorevole all'imputato, ritenendo la prevalenza delle

attenuanti in luogo della equivalenza affermata in primo grado, se nel contenpo non abbia riconosciuto ulteriori attenuanti non

richieste espressamente con i motivi di gravame».

Questo secondo indirizzo è stato poi confermato da sez. IV

13 gennaio 1992, Damonti (ibid., n. 24), sicché a ben vedere

ci si trova di fronte, più che ad un contrasto, ad un cambia

mento di giurisprudenza, giustificato da ulteriori approfondi menti. L'ultima sentenza in particolare ha riesaminato a fondo

la questione ed ha addotto a sostegno della decisione negativa una serie di argomenti'che non possono non essere ripresi con

convinzione da queste sezioni unite.

L'art. 597, 5° comma, dopo aver indicato le norme di favore

per l'imputato che in appello possono essere applicate di uffi

cio, tra le quali sono appunto quelle che prevedono circostanze

attenuanti, ha aggiunto che «può essere altresì' effettuato, quan do occorre, il giudizio di comparazione», significando con l'in

ciso «quando occorre» che al giudice di appello non è stato

attribuito un ulteriore potere di ufficio, ma è stato solo ricono

sciuto il compito, conseguenziale all'applicazione di nuove atte

nuanti, di fare, nuovamente o per la prima volta (se in prece denza erano state applicate solo circostanze aggravanti), il giu dizio di comparazione. Il punto e virgola che separa il periodo in questione dal precedente, l'avverbio «altresì», e le parole

«quando occorre», in luogo di quelle «anche di ufficio» usate

precedentemente, mostrano che il potere di effettuare il giudizio di comparazione non è posto sullo stesso piano del potere rico

nosciuto dal periodo precedente ma è subordinato a quello; nel

senso che «quando occorre» in seguito all'applicazione di uffi

cio di circostanze attenuanti può essere effettuato anche («altre

sì») il giudizio di comparazione. Che sia questo il significato delle parole dell'ultimo periodo

dell'art. 597, 5° comma, è stato implicitamente riconosciuto pure

dalla sentenza sez. IV 9 novembre 1990, Risa, cit., la quale

però ha ritenuto «ovvio» che il giudizio di comparazione, se

«può essere effettuato con riguardo a circostanze attenuanti ri

conosciute per la prima volta in appello, possa anche a maggior

ragione riguardare le circostanze già applicate in precedenza». È dunque con un argumentum a fortiori che questa sentenza

è giunta a superare il dato letterale, ma si tratta di un argomen to che nel caso in esame è stato male impiegato, mancandone

1 presupposti; infatti i poteri di ufficio riconosciuti dall'art. 597,

5° comma, costituiscono un'eccezione rispetto alla regola del

l'effetto parzialmente devolutivo posta dal 1° comma dello stes

II Foro Italiano — 1995.

so articolo (per il quale «l'appello attribuisce al giudice di se

condo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai

punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi») e mentre il giudizio di comparazione dipendente dall'applicazione di una

nuova circostanza attenuante può considerarsi una conseguenza

necessaria, che non comporta un'ulteriore eccezione, ben diver

so è il caso della riforma del giudizio di comparazione operato dal giudice di primo grado, senza che vi sia stata un'impugna zione sul punto o una modificazione delle circostanze conside

rate dalla sentenza impugnata. Il potere di riformare la senten

za di primo grado in un caso del genere non potrebbe ritenersi

logicamente implicato dal potere espressamente attribuito dal

l'art. 597, 5° comma, come se rispetto a questo fosse un minus, e darebbe quindi luogo ad un'ulteriore eccezione rispetto al prin

cipio dell'effetto parzialmente devolutivo.

È da aggiungere che l'approdo cui conduce l'interpretazione letterale trova una solida conferma nella direttiva n. 91 della

legge delega, nei lavori preparatori e nella Relazione al testo

definitivo del codice, dato che la direttiva n. 91 della legge dele

ga aveva circoscritto in modo preciso i poteri del giudice di

appello stabilendo che questi potesse «concedere d'ufficio i be

nefici di legge e le circostanze attenuanti» e non parlava del

giudizio di comparazione, come non ne parlava l'art. 589 del

Progetto preliminare. Solo nel Progetto definitivo è stata intro

dotta la previsione del giudizio di comparazione, con le parole che poi sono rimaste immutate nel codice, e la Relazione al

testo definitivo (Le leggi, 1988, 2721) spiegando la modificazio ne ha parlato di un «potere logicamente collegato con quello di applicare di ufficio circostanze attenuanti». Anche la Rela

zione quindi ha messo in evidenza il collegamento tra l'ultima

parte dell'art. 597, 5° comma, e la precedente ed ha fatto ciò

nella evidente consapevolezza che solo questo collegamento avreb

be potuto mettere la norma in questione al riparo da un sospet to di illegittimità costituzionale per la violazione della direttiva

n. 91 della legge delega. Deve quindi concludersi che il procuratore generale ricorrente

ha ragione nel sostenere che la sentenza impugnata ha applicato erroneamente l'art. 597, 5° comma, c.p.p. riformando la deci

sione di primo grado sul punto relativo al giudizio di compara zione. Né a sostegno della decisione impugnata potrebbe addur

si l'art. 152 c.p.p. del 1930, giustificando il nuovo giudizio di

comparazione per la sola ragione che esso è stato all'origine di una dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione;

infatti, queste sezioni unite hanno già avuto occasione di chiari

re che, specie in tema di circostanze, deve riconoscersi al giudi ce di appello il potere di esaminare questioni rilevanti per l'ap

plicazione di una causa di estinzione del reato non devolute con

i motivi di impugnazione e che però questo potere «viene meno

quando l'indagine relativa rimetta in discussione punti già espres samente esaminati e decisi dal giudice di primo grado e non

investiti dai motivi di impugnazione» (sez. un. 23 novembre 1988,

Valvo, id., 1989, II, 414), come è appunto avvenuto nel caso

in esame.

È pertanto escluso che il giudice di appello potesse superare i limiti della devoluzione effettuando un nuovo giudizio di com

parazione tra le circostanze e di conseguenza la sentenza impu

gnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della

Corte d'appello di Brescia per un nuovo giudizio.

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