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sezioni unite penali; sentenza 17 aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (concl....

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sezioni unite penali; sentenza 17 aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (concl. conf.); ric. Moni. Conferma Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 10 (OTTOBRE 1996), pp. 563/564-571/572 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191155 . Accessed: 24/06/2014 21:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.13 on Tue, 24 Jun 2014 21:29:02 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 17 aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (concl. conf.); ric. Moni. Conferma Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre 1995

sezioni unite penali; sentenza 17 aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (concl.conf.); ric. Moni. Conferma Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 10 (OTTOBRE 1996), pp. 563/564-571/572Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191155 .

Accessed: 24/06/2014 21:29

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PARTE SECONDA

stione), la reale «presa di cognizione» del fatto-reato da parte del giudice delle indagini preliminari.

In altri termini, può legittimamente sostenersi che questi ab

bia preso posizione sul punto, d'ufficio o su sollecitazione del

p.m. o delle parti private, eventualmente anche prima dell'in

staurazione del contraddittorio camerale, solo quando possano identificarsi provvedimenti che siano espressione di un signifi cativo e approfondito esame della fattispecie.

In definitiva, la richiesta del p.m. di rinvio a giudizio dell'im

putato e la mera attività, conseguenziale e strumentale, di fissa

zione dell'udienza preliminare e di introduzione del rito da par te del g.i.p. ordinario non avevano ancora determinato alcun

conflitto «attuale» con il giudice militare, in quanto il primo restava libero di adottare — come ha in realtà fatto causa co

gnita —, dopo il doveroso espletamento del descritti compiti

prodromici, le proprie determinazioni in ordine alla questione della giurisdizione (per un'analoga declaratoria d'inammissibili

tà del conflitto tra g.i.p. militare e pretore — in cui il p.m. aveva emesso decreto di citazione a giudizio recante l'indicazio

ne dell'udienza dibattimentale, ma il pretore non aveva ancora

preso effettiva cognizione del fatto —, cfr. sez. I, 9 febbraio

1995 n. 769, confi, in proc. Nisii, m. 200.768). Deve pertanto dichiararsi l'insussistenza del conflitto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 17

aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (conci,

conf.); ric. Moni. Conferma Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre

1995.

Misure cautelari personali — Impugnazione — Riesame — Ter

mine per la decisione — Osservanza — Deposito del disposi tivo (Cod. proc. pen., art. 128, 309).

Il termine perentorio di dieci giorni entro il quale deve interve

nire la decisione sulla richiesta di riesame, ai sensi dell'art.

309, 10° comma, c.p.p., deve ritenersi rispettato anche nell'i

potesi in cui il tribunale provvede entro detto termine a ren

dere visibile il decisum con il deposito del solo dispositivo. (1)

(1) Con la decisione che si riporta le sezioni unite hanno, per così

dire, «mediato» un contrasto di opinioni manifestatosi in giurispruden za, asserendo che, perché possa ritenersi osservato il termine perentorio previsto dal 10° comma dell'art. 309 c.p.p., è necessario il deposito non dell'ordinanza completa di motivazione ma del solo dispositivo, potendo il tribunale avvalersi della regola generale che permette di redi

gere la motivazione dei provvedimenti deliberati in camera di consiglio entro cinque giorni dalla deliberazione medesima. Al riguardo, per dare contezza della diversità di posizioni che ha dato causa alla sentenza in epigrafe, va ricordato, a titolo di esempio, che mentre da Cass. 11

giugno 1992, Boni (Foro it., Rep. 1992, voce Misure cautelari persona li, n. 476; nello stesso senso, cfr. Cass. 25 maggio 1993, Guarnieri, id., Rep. 1994, voce cit., n. 585) si era sostenuto che «il termine di dieci giorni previsto per la decisione del tribunale del riesame, a pena di inefficacia della misura cautelare applicata, va computato con riferi mento alla data della deliberazione e non a quella del deposito del prov vedimento», Cass. 18 giugno 1990, Bertolo (id., Rep. 1991, voce cit., n. 401, e Giur. it., 1991, II, 286, con nota di A. Szegò, Sulla decorren za del termine per la decisione del tribunale della libertà, in sede di

riesame) aveva invece affermato che poiché la pronuncia emessa con il rito della camera di consiglio acquista la sua efficacia giuridica solo con il deposito in cancelleria, «ne consegue che, qualora la decisione sulla richiesta di riesame non venga depositata entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde immediatamente efficacia, a nulla rilevando che la decisione stessa sia stata adottata tempestivamente» (cfr. anche Cass. 28 luglio 1994, Susi, Ced Cass., Rv. 199033, secondo la quale «. . . per verificare se la deci sione sulla domanda di riesame è tempestiva o meno occorre accerta

li Foro Italiano — 1996.

Svolgimento del processo. — 1. - Il giudice per le indagini

preliminari presso il Tribunale di Cagliari, convalidato il fermo, con ordinanza del 19 ottobre 1995 applicava a Michelangelo

Moni, indagato per concorso nel delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, la misura della custodia cautelare in

carcere.

2. - Il Moni chiedeva il riesame del provvedimento con istan

za del 23 ottobre 1995, gli atti pervenivano al tribunale il suc

cessivo 25 ottobre; l'udienza camerale per la decisione del ricor

so veniva fissata per il 2 novembre.

Il tribunale, riservata la decisione, il 4 novembre depositava in cancelleria il dispositivo della ordinanza di conferma della

misura cautelare e il 9 novembre, dopo cinque giorni dal depo sito del dispositivo, depositava l'ordinanza comprensiva della

motivazione; il successivo 10 novembre venivano inviati gli av

visi di deposito della ordinanza.

3. - Il Moni ricorreva per cassazione chiedendo, con tre moti

vi, l'annullamento del provvedimento del tribunale.

a) Denunziava, con il primo, «violazione dell'art. 606, 1 ° com

ma, lett. c), con riferimento all'art. 292, 2° comma, lett. c),

c.p.p.», rilevando che «l'ordinanza del g.i.p. risultava motivata

per relationem, essendosi riportata alla richiesta del p.m.», sic

ché «aveva pretermesso di adempiere la specifica disposizione dell'art. 292, 2° comma, lett. e), c.p.p. che vuole che l'ordinan

za che dispone la misura cautelare contenga a pena di nullità

l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che

la giustificano in concreto, con la indicazione degli elementi di

fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono

rilevanza, tenuto anche conto del tempo trascorso dalla com

missione dal reato».

La nullità della ordinanza del g.i.p. — sosteneva — importa va la nullità della ordinanza del tribunale.

b) Lamentava, con il secondo motivo, «violazione dell'art.

606, 1° comma, lett. c), c.p.p. con riferimento all'art. 292, 2°

comma, n. 2 ter, c.p.p., per essere le ordinanze impugnate pri ve della valutazione degli elementi a carico della persona sotto

posta alle indagini».

c) Censurava, con il terzo motivo, l'ordinanza del tribunale

«per violazione dell'art. 606, 1° comma, lett. c), c.p.p., con

re ... il momento in cui» il provvedimento «è venuto a giuridica esi

stenza, cioè la data in cui il provvedimento, completo in tutti i suoi elementi — motivi, dispositivo, sottoscrizione — è depositato presso la cancelleria del giudice competente»). Conviene ricordare inoltre co me le posizioni della giurisprudenza trovassero assonanze anche in dot trina: e così mentre secondo P. Duboi.ino-T. Baolione-F. Bartolini, Il nuovo codice di procedura penale illustrato, Piacenza, 1992, 814, deve aversi riguardo, ai fini de quibus, al momento della decisione, altri ha ritenuto non essere sufficiente che entro il termine surricordato

venga delibata la decisione, essendo invece necessario il suo deposito in cancelleria non oltre il termine in questione: in tal senso, v., tra

gli altri, V. Grevi, Scadenza del termine per la decisione da parte del tribunale del riesame ed orario di chiusura degli uffici giudiziari, in Cass, pen., 1995, 2614 — che è l'autore le cui tesi sono state oggetto di specifica considerazione nella motivazione della sentenza che ne oc

cupa — nonché la dottrina dallo stesso ricordata. Sembra altresì opportuno evidenziare come nella odierna sentenza le

sezioni unite abbiano operato anche altre puntualizzazioni di rilevante

importanza e cioè:

1) che la regola generale desumibile dall'art. 128 c.p.p. per i provve dimenti adottati in camera di consiglio è quella del distacco temporale tra la deliberazione (sinonimo di decisione) ed il deposito del provvedi mento, per il quale è previsto il termine di cinque giorni dalla delibe

razione;

2) che una disciplina diversa vige in materia di convalida di arresto o di fermo, in quanto con la modifica dell'art. 391, 7° comma, c.p.p. operata con il d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12, il legislatore ha reso palese la volontà che entro le quarantotto ore successive al momento dell'arre sto o del fermo il giudice decida con un provvedimento «completo», disponendo che entro tale termine il giudice «deve pronunciare in udienza o depositare la ordinanza»;

3) che «il provvedimento restrittivo della libertà personale e l'ordi nanza che decide sul riesame sono tra loro strettamente collegati e com

plementari ...» sicché «la motivazione del tribunale del riesame inte

gra e completa l'eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice, così come la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ben ritenersi integrata da quella del provvedimento im

pugnato . . .».

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GIURISPRUDENZA PENALE

riferimento all'art. 309, 10° comma, stesso codice», osservando

che questa norma, là dove stabilisce che la decisione deve inter

venire entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, esige che, en

tro questo termine, sia depositata, a pena di perdita di efficacia

della misura coercitiva, la motivazione e non soltanto il disposi

tivo, come è avvenuto nel caso di specie. 4. - La seconda sezione di questa corte, notando che sulla

questione, oggetto del terzo motivo, v'è contrasto nella giuris

prudenza della Corte di cassazione, essendosi ritenuto necessa

rio, in alcuni casi, che entro il termine fissato dall'art. 309 deve

essere depositata l'ordinanza comprensiva della motivazione e, in altri casi, che è sufficiente che, entro quel termine, il tribuna

le pervenga alla decisione formalizzandola nella stesura del di

spositivo, rimetteva il ricorso alle sezioni unite: il primo presi dente aggiunto lo assegnava alle stesse.

Motivi della decisione. — 1. - La questione controversa sulla

quale queste sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi è la

seguente: se sia necessario, perché la misura cautelare confer

mata dal tribunale della libertà non perda efficacia, depositare, entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, fissato

dall'art. 309, 9° e 10° comma, c.p.p., l'ordinanza di conferma

nella sua interezza o se il termine possa dirsi rispettato quando

prima della sua scadenza sia comunque intervenuta la decisione

e sia stato depositato il solo dispositivo. Il quesito, a ben vedere, implica pur nella sua linearità, due

differenti profili, dovendosi valutare, anzitutto, se ha rilevanza

autonoma il dispositivo della ordinanza in cui viene formalizza

ta la decisione assunta, sia pure ancora senza motivazione e, in secondo luogo e nel caso che a questo primo aspetto del

problema si dia risposta positiva, quale sia la funzione o l'effet

to del deposito di tale dispositivo». 2. - Prima di affrontare la questione, è da ricordare che que

ste sezioni unite, con la sentenza del 20 luglio 1995, Galletto, hanno affermato che la perdita di efficacia della misura caute

lare deve essere fatta valere avanti al giudice di merito attraver

so la richiesta di revoca prevista dall'art. 306 c.p.p., richiesta

che dà luogo ad una ordinanza avverso la quale può, ai sensi

dell'art. 310 c.p.p., proporsi appello, cui può seguire, come pre vede il successivo art. 311, il ricorso per cassazione.

a) Si è detto, in quella sede, che le cause, che determinano

la perdita di efficacia della custodia cautelare secondo le norme

del presente titolo, come recita la norma dell'art. 306 c.p.p. — e la norma dell'art. 309, 10° comma, è norma di quel titolo — «si risolvono in vizi processuali che non intaccano la intrin

seca legittimità della ordinanza, ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione auto

matica, che deve essere disposta, nell'ambito di un distinto pro

cedimento, con l'istanza specificamente prevista dall'art. 306

c.p.p.».

b) Questi principi, scaturiti dall'esame di una fattispecie di

versa — si discuteva, in allora, se il tribunale del riesame possa

porsi il problema della perdita di efficacia della ordinanza del

g.i.p. per non avere questi, in violazione delle norme degli art.

294 e 302 c.p.p., proceduto all'interrogatorio della persona in

stato di custodia nel termine di cinque giorni dall'inizio della

esecuzione della custodia — debbono essere ribaditi, con la pun

tualizzazione, però, mutuata da Cass., sez. I, 8 agosto 1995,

Franco, sentenza, quest'ultima, che, in una fattispecie simile

a quella oggetto dell'odierno ricorso, ha sottolineato la vis at

tractiva del ricorso per cassazione, quando, come nel caso in esa

me, oltre che l'inefficacia, vengano prospettate questioni relative

alla legittimità del provvedimento.

c) Questa precisazione fa sì, tra l'altro, che, specialmente se

l'assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fonda

to, non si ritardi ulteriormente una decisione che si sarebbe do

vuto richiedere in altra sede subito dopo l'intervento della ordi

nanza del tribunale.

d) È del tutto ovvio, peraltro, che non vi sarebbe spazio per il dispiegarsi della vis attrattiva ove, con il ricorso per cassazio

ne, si denunciasse unicamente la perdita di efficacia del provve dimento.

3. - Venendo all'esame della questione sottoposta all'atten

zione di queste sezioni unite e soffermandosi sul primo dei due

profili sopra delineati, il profilo della rilevanza o irrilevanza

del solo dispositivo e, quindi, del solo deposito di quest'ultimo

prima che sia redatta e depositata la motivazione dell'ordinanza

Il Foro Italiano — 1996.

del tribunale del riesame, è da porre in evidenza che l'orienta

mento pressoché costante della giurisprudenza di questa corte

nella interpretazione della norma dell'art. 263 ter dell'abrogato codice di rito e quello prevalente nella interpretazione della cor

rispondente norma dell'art. 309, 10° comma, del codice vigente attribuiva e, rispettivamente, attribuisce esclusiva rilevanza al

deposito dell'intero provvedimento, essendosi ritenuto e ritenen

dosi che soltanto con il deposito di tutta l'ordinanza il provve dimento emesso in camera di consiglio acquista rilevanza ester

na (per il codice abrogato, cfr. Cass. sez. I, 28 maggio 1985,

Sala, Foro it., Rep. 1986, voce Libertà personale dell'imputato, n. 245; 2 ottobre 1986, Mosca, id., Rep. 1987, voce cit., n.

220; 12 dicembre 1988, Capone, id., Rep. 1989, voce cit., n.

210; 25 settembre 1989, Caprone, id., Rep. 1990, voce cit., n.

106; per il codice vigente, cfr. Cass., sez. I, 18 giugno 1990,

Bertolo, id., Rep. 1991, voce Misure cautelari personali, n. 401; sez. Ili 8 maggio 1992, Oliveri, id., Rep. 1993, voce Sequestro

penale, n. 125; sez. feriale 28 luglio 1994, Susi, id., Rep. 1995, voce Misure cautelari personali, n. 595; 11 ottobre 1995, Ietto; sez. I 5 luglio 1990, Cardone, id., Rep. 1991, voce cit., n. 399; sez. V 20 agosto 1991, Mercuri, id., Rep. 1992, voce cit., n.

487, secondo le quali nel termine di dieci giorni occorre provve dere anche alla spedizione degli avvisi ai fini della eventuale

impugnazione). 4. - Già sotto il codice abrogato, però, — e per questo si

è parlato di orientamento pressoché costante — la giurispruden za (Cass., sez. I, 16 novembre 1988, Labate, id., Rep. 1989, voce Libertà personale dell'imputato, n. 211) aveva messo in

luce — attribuendo, così, rilievo al deposito del solo dispositivo — che la norma dell'art. 263 ter parlava di «ordinanza emana

ta» e di «decisione entro i termini di legge» e che questa termi

nologia stava ad indicare che «il legislatore esige, nei termini, la emanazione della ordinanza, cioè la manifestazione esterna

della decisione, manifestazione che può avvenire sia mediante

il deposito dell'intero provvedimento, sia di quella parte della

ordinanza costituita dal dispositivo che del provvedimento è la

parte essenziale.

5. - Una volta entrato in vigore l'attuale codice di rito, la

distinzione, a questi fini, tra dispositivo e motivazione e la con

seguente attribuzione di autonoma rilevanza al deposito del so

lo dispositivo è stata affermata in non poche decisioni, nelle

quali si è sostenuto che «dal combinato disposto delle norme

degli art. 309, 127 e 128 c.p.p. si ricava che i momenti della

emanazione del provvedimento di riesame e del deposito del

provvedimento non sono coincidenti e che, in ogni caso, quei momenti vengono presi in esame singolarmente dalla vigente normativa processuale», sicché «l'espressione, che si legge nel

10° comma dell'art. 309 c.p.p. — 'se la decisione . . . non in

terviene entro il termine prescritto . . .' — deve intendersi nel

senso che entro quel termine è sufficiente che sia depositato il solo dispositivo» (Cass., sez. VI, 11 giugno 1992, Boni, id.,

Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, n. 476; sez. II 25

maggio 1993, Guarnieri, id., Rep. 1994, voce cit., n. 585). 6. - Queste sezioni unite ritengono di dover fare proprio que

st'ultimo indirizzo per le seguenti ragioni. I. - Una autorevole voce della dottrina, nell'interessarsi di

questo problema, premette che, «alla luce della ratio di garan zia 'a tempi brevi' per la libertà personale dell'imputato sottesa

all'intera disciplina del procedimento in esame ed emergente in

particolare dall'ultimo comma dell'art. 309, è difficile potersi discostare dal prevalente indirizzo giurisprudenziale, nel senso

di ritenere che la decisione del tribunale possa dirsi 'intervenu

ta' soltanto quando essa sia idonea ad acquistare rilevanza esterna

e, nel contempo, efficacia giuridica per ogni fine di legge e,

dunque, soltanto quando ne sia stato effettuato il deposito, in

quanto unico atto che la fa 'esistere' rendendola conoscibile

alle parti».

Aggiunge, però, subito dopo, che «è chiaro che, così inter

pretata, la norma dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., finisce per

configurarsi come una previsione in deroga rispetto al principio enunciato nell'art. 128 c.p.p. circa i rapporti tra deliberazione

e deposito dei provvedimenti emessi a seguito di provedimento in camera di consiglio»; ma ribadisce che l'indirizzo che condi

vide è una conclusione inevitabile se si vuole dare un senso con

creto al meccanismo di garanzia rappresentato dalla perdita di

efficacia della ordinanza impugnata quando la decisione del tri

bunale 'non interviene entro il termine prescritto'».

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PARTE SECONDA

II. - Se la interpretazione della norma dell'art. 309, 10° com

ma, c.p.p., propria del primo indirizzo giurisprudenziale dianzi

riassunto e seguita dalla dottrina appena citata, si configura come una previsione in deroga rispetto al principio enunciato

all'art. 128 c.p.p., il quale, come è noto, si interessa del «depo sito dei provvedimenti del giudice emessi a seguito di procedi mento in camera di consiglio», ciò significa, evidentemente, che

la regola posta dall'art. 128 per i provvedimenti presi in camera

di consiglio — e la ordinanza del tribunale del riesame è uno

di questi provvedimenti — è altra rispetto alla deroga che si

sostiene debba essere seguita, applicata, dal tribunale del riesame.

È, infatti, la regola generale, la «non deroga», e la possibilità del distacco temporale tra la deliberazione o la decisione — e

vedremo tra poco perché decisione e deliberazione sono sinoni

mi anche nel linguaggio del codice — e il deposito, disponendo, tra l'altro, l'art. 128 c.p.p. che «gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione».

III. - La regola della possibilità del distacco temporale tra

deliberazione o decisione e deposito è, del resto, una costante

nelle sentenze — può discutersi se questa costante ricorra anche

nella sentenza emessa nel rito di applicazione della pena su ri

chiesta, stabilendo la norma dell'art. 448, 1° comma, c.p.p., che il giudice pronuncia immediatamente sentenza, il che può indurre a fare ritenere, appunto, che, in questo rito, non vi

sia spazio per un intervallo temporale tra la deliberazione e il

deposito — oltre che nella ordinanza contemplata dall'art. 128

c.p.p., emessa a seguito del procedimento in camera di consiglio.

a) Per la sentenza di non luogo a procedere la norma del

l'art. 424, dopo aver detto, nel 1° comma, che «subito dopo che è stata dichiarata chiusa la discussione, il giudice procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a proce dere (o decreto che dispone il giudizio)», dando — 2° comma — «immediata lettura del provvedimento» e — 3° comma —

depositandolo immediatamente in cancelleria, prevede, nel 4°

comma che «qualora non sia possibile procedere alla redazione

immediata dei motivi della sentenza di non luogo a procedere, il giudice provvede non oltre il trentesimo giorno da quello del

la pronuncia».

b) Per le sentenze emesse nel giudizio, o per quelle — senten

ze pronunciate nel rito abbreviato — per le quali si applicano,

comunque, le norme di cui agli art. 529 ss. c.p.p., la norma

dell'art. 544 c.p.p., che si interessa della «redazione della sen

tenza», prescrive, nel 1° comma, che, «conclusa la deliberazio

ne, il presidente redige e sottoscrive il dispositivo» e che «subito

dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e

di diritto su cui la sentenza è fondata», aggiungendo, nei com

mi 2° e 3°, che, «qualora non sia possibile procedere alla reda

zione immediata dei motivi in camera di consiglio», vi si prov vede non oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia o, se la

stesura della motivazione è particolarmente complessa, nel ter

mine, più lungo, stabilito dal giudice e, comunque, non oltre

il novantesimo giorno dalla pronuncia. IV. - La ratio di questo possibile distacco temporale tra deli

berazione o decisione e deposito è ovvia ed emerge con estrema

chiarezza dalle norme appena citate: il principio generale del

l'obbligo della motivazione, a pena di nullità, delle sentenze

e delle ordinanze, formulato nell'art. 125 c.p.p. e ribadito in

quelle norme, è tale, per sua natura, da imporre che si preveda la possibilità che tra la deliberazione e il deposito del provvedi mento vi sia uno jatus, un intervallo più o meno lungo.

Questo principio, è il caso di ricordarlo, ancora prima che

nel codice, trova la sua solenne affermazione nella Carta costi

tuzionale, la quale dice, nell'art. Ili, che «tutti i provvedimenti

giurisdizionali devono essere motivati» e, nell'art. 13, 2° com

ma, in tema di libertà personale, che «non è ammessa forma

alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né

qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto

motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».

V. - Il sostantivo deliberazione — si diceva — è sinonimo, nello stesso linguaggio del codice, di decisione, sicché prevede

re, come fa l'art. 128 c.p.p., che i provvedimenti emessi in ca

mera del consiglio debbono essere depositati entro cinque giorni dalla deliberazione vuole dire prevedere che quei provvedimenti debbono essere depositati entro cinque giorni dalla decisione.

a) Questa identità di valore, di significato, dei termini delibe

ri. Foro Italiano — 1996.

razione e decisione si desume con certezza dalla norma dell'art.

527 c.p.p. Se la rubrica preannuncia che la norma regola la deliberazio

ne collegiale, il testo dice, nel 1° comma, sia che «il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le que stioni preliminari non ancora risolte e ogni altra questione rela

tiva al processo», sia che «qualora l'esame del merito non risul

ti precluso dall'esito della votazione, sono poste in decisione

le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e, se occorre, quelle relative all'applicazione delle pene e delle mi

sure di sicurezza, nonché quelle relative alla responsabilità civile».

b) Il termine, inoltre, è usato, nella forma verbale del gerun dio (decidendo) — oltre che, nel 10° comma, come sostantivo

(decisione) — nello stesso testo dell'art. 309 c.p.p., disponendo l'8° comma che «il tribunale annulla riforma, conferma . . .

decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso della udienza» e l'uso del termine non può non voler

dire che, anche in questo caso — come in quello in cui l'art.

527, occupandosi della deliberazione, si avvale dei termini deci

de, decisione — il giudizio è nello stadio, nel momento, della

deliberazione.

VI. - Se è innegabile che deliberazione e decisione sono sino

nimi, che deliberare significa decidere, è, altresì, innegabile che, nel linguaggio del codice, la deliberazione è, ontologicamente, cosa diversa, realtà diversa rispetto sia al dispositivo, sia alla

motivazione, di tal che anche la decisione è, sul piano ontologi

co, una cosa, una realtà che si distingue e dal dispositivo e

dalla motivazione.

Sul piano ontologico, invero, mentre la deliberazione o deci

sione abbraccia, comprende, sia tutto l'iter di riflessione o di

discussione richiesto dai problemi di diritto processuale e so

stanziale propri della fattispecie all'esame del giudice, sia l'atto

terminale, l'approdo, la conclusione di questo iter, il dispositi vo e la motivazione costituiscono, di questo stesso iter e della

relativa conclusione, la materializzazione, assolutamente indi

spensabile per proiettare all'esterno la decisione-deliberazione,

per far sì che quell'iter, culminato in una certa conclusione, abbia rilevanza giuridica, esista giuridicamente.

a) La norma dell'art. 544, già citata, non potendo non pren dere atto di questa differenza ontologica, distingue accurata

mente tra deliberazione, dispositivo e motivazione, stabilendo, come si è visto, che, «conclusa la deliberazione, il presidente

redige e sottoscrive il dispositivo e che subito dopo — o, al

più, nei successivi novanta giorni — è redatta una concisa espo sizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata.

b) La distinzione è presente anche nella sentenza di non luo

go a procedere, interessandosi la norma dell'art. 424 della deli

berazione, della pronuncia e della motivazione e stabilendo an

che che il giudice, ove non possa provvedere immediatamente

alla redazione dei motivi, vi provveda non oltre trenta giorni dalla pronuncia e prevedendo la norma dell'art. 426 che il di

spostivo è uno dei requisiti della sentenza.

c) La distinzione, infine, è presente anche nella norma del

l'art. 128 c.p.p., il quale parla di deliberazione e di deposito

e, espressamente, di dispositivo, prescrivendo che con l'avviso

di deposito è notificato anche quest'ultimo, notificazione — quel la del dispositivo — che la norma dell'art. 151 del codice abro

gato esigeva a pena di nullità.

È appena il caso di porre in risalto che l'art. 128 si occupa del deposito dei provvedimenti camerali e degli adempimenti, successivi al deposito, necessari perché il provvedimento sia re

so noto ai fini della eventuale impugnazione; non meraviglia,

quindi, se nella norma non si rinviene il termine «motivazio

ne», la cui indispensabile presenza ha la sua fonte nella norma

dell'art. 125 c.p.p. VII. - Da quanto si è detto emerge, non solo che la decisione

è cosa diversa dal dispositivo e dalla motivazione, ma che il

dispositivo, sia nelle sentenze, sia nelle ordinanze, previste dal

l'art. 128 c.p.p. costituisce una realtà a sé stante, diversa e dalla

decisione e dalla motivazione: emerge, in altri termini, che il

dispositivo esiste e ha la sua autonomia anche in quelle ordinanze.

In queste ultime rileva, secondo la norma dell'art. 128 c.p.p., nel momento della notificazione, dovendo il dispositivo essere

notificato insieme con l'avviso di deposito.

Ma, questo aspetto della rilevanza, mentre è prova della esi

stenza e della autonomia del dispositivo, non ne nega la rilevan

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GIURISPRUDENZA PENALE

za ad altri fini che siano compatibili con i principi e con la

funzione normalmente svolta dal dispositivo. Vili. - Se la regola è la possibilità di quello che si è definito

«distacco temporale» tra la deliberazione e il deposito; se «deli

berazione e decisione» sono sinonimi; se «deliberazione e deci

sione» sono cose ontologicamente diverse dal dispositivo e dalla

motivazione, se il dispositivo esiste ed ha la sua autonomia an

che nelle ordinanze di cui si interessa la norma dell'art. 128

c.p.p., occorre chiedersi quale valore abbia la regola dell'art.

309, 10° comma, c.p.p., secondo la quale se la decisione non

interviene nel termine prescritto la ordinanza che dispone la mi

sura coercitiva perde efficacia.

Occorre chiedersi, cioè, — ed è la questione — se, ricono

sciuto che il legislatore esige che entro quel termine la decisio

ne/deliberazione abbia rilevanza esterna, la decisione debba ma

nifestarsi, rendersi visibile nella sua forma completa, fatta di

dispositivo e di motivazione, o se, invece, è sufficiente che si

renda visibile, certa, in quella parte — il dispositivo — nella

quale il tribunale del riesame materializza in sintesi la decisione

e, come vuole l'art. 309, 9° comma, c.p.p., dichiara inammissi

bile o rigetta la richiesta, oppure annulla o riforma la ordinan

za, aggiungendovi le eventuali statuizioni conseguenziali. IX. - Ebbene, ciò che dalla norma si desume inequivocabil

mente è che, entro il termine di dieci giorni, deve, perentoria

mente, deliberarsi, decidersi, il che altro non può voler dire se

non che la decisione deve essere, in quel termine, constatabile

all'esterno e, come tale, immodificabile.

Anche se, per una qualsiasi ragione, — termine per la com

parizione non limitata ai tre giorni liberi, udienza di discussione

che si protragga, festività infrasettimanali che sottraggano tem

po — il termine di dieci giorni può rivelarsi insufficiente, il

tribunale, entro questo termine, deve, comunque, fare interve

nire la decisione, farla apparire, pena la perdita di efficacia del

la ordinanza che ha disposto la misura coercitiva.

X. - Ma, il tribunale, si è tenuto, nonostante la possibile in

sufficienza del termine, a far sapere se dichiara inammissibile

o rigetta la richiesta, oppure se annulla o riforma la ordinanza,

traendone — e facendole conoscere — le eventuali conseguenze

previste dalla legge, non si vede per quale ragione — se non,

forse, per una ragione del tutto esterna, quale può essere la

ragione della non perentorietà del termine previsto per il depo sito dei provvedimenti camerali — non possa avvalersi della re

gola generale che gli consente un distacco temporale, un inter

vallo tra la decisione e il deposito del provvedimento nella sua

completezza, comprensivo, oltre che del dispositivo, delle ragio ni dalle quali quest'ultimo è sorretto.

XI. - Il legislatore — lo si è visto — non può non imporre, anche alla luce dei principi costituzionali, l'obbligo della moti

vazione-dei provvedimenti del giudice; ma, nel momento in cui

con la legge ordinaria ribadisce quest'obbligo costituzionalmen

te previsto, non può non assegnare — e, infatti, assegna —

al giudice un termine congruo per consentirgli, qualora quegli non sia in grado di farlo immediatamente, di indicare i motivi

che sono alla base della sua decisione.

È tutto da dimostrare, dunque, che, in mancanza di una ine

quivoca, espressa, disposizione — come quella che, ad esempio, si legge nell'art. 391, ultimo comma, c.p.p., così come modifi

cato dall'art. 25 d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12, norma sulla quale si tornerà tra poco — debba concludersi che il legislatore non

esclude che possano sacrificarsi le esigenze della motivazione

in una materia, quale quella della libertà personale, che, per la sua indubbia, estrema, delicatezza, lo stesso legislatore, muo

vendo dal presupposto, recentemente reso ancor più manifesto

con la 1. 8 agosto 1995 n. 332, della eccezionalità della privazio

ne della libertà, ha disciplinato in modo rigoroso, imponendo al giudice tutta una serie di specifici oneri proprio in tema di

motivazione.

XII. - Consegue da ciò che l'espressione se la decisione non

interviene nel termine prescritto, che si legge nell'art. 309, 10°

comma, c.p.p., sta a significare che il tribunale, se, ovviamen

te, può fare intervenire e rendere visibile, entro quel termine,

la decisione in entrambe le parti, del tutto autonome — disposi

tivo e motivazione — nelle quali la stessa si materializza, può anche avvalersi della regola che gli permette di redigere la moti

vazione entro cinque giorni, provvedendo, peraltro, entro il ter

mine perentorio di dieci giorni, alla decisione, cioè a decidere

Il Foro Italiano — 1996 — Parte 77-13.

e, inoltre, a rendere visibile il decisum con il deposito del dispo

sitivo, che della decisione è la sintesi.

XIII. - L'autonomia del dispositivo, anche nei provvedimenti emessi in camera di consiglio, trova una conferma, ai fini che

qui interessano, nelle norme che valgono per il giudizio dinanzi

alla Corte di cassazione.

a) Come è noto, la norma dell'art. 311 c.p.p., nel disciplina re il ricorso per cassazione nei procedimenti in tema di misure

cautelari personali, stabilisce, nel 5° comma, che la Corte di

cassazione decide, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall'art. 127; decide, quindi, in

camera di consiglio, sicché il provvedimento che ne scaturisce

è un provvedimento preso in camera di consiglio.

b) È, altresì, noto che la norma dell'art. 626 c.p.p., nel trat

tare degli effetti della sentenza sui provvedimenti di natura per sonale o reale, dispone che, «qualora, in seguito alla sentenza

della Corte di cassazione, deve cessare una misura cautelare, ovvero una pena accessoria o una misura di sicurezza, la can

celleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procura tore generale presso la corte medesima perché dia i provvedi menti occorrenti.

e) Orbene, quest'ultima norma comprende, di certo, anche

i provvedimenti della Corte di cassazione relativi alle misure

cautelari, provvedimenti che, come tutti quelli in camera di con

siglio e, dunque, anche come quello del tribunale del riesame, non prevedono la lettura del dispositivo, il quale, nonostante

ciò, non solo è una realtà, ma è una realtà che, ai sensi dell'art.

626 c.p.p., spiega determinati effetti immediatamente e, pertan

to, anche prima che venga redatta la motivazione del provve dimento.

XIV. - Anche da questa stessa norma si argomenta quale sia

la funzione, quale sia l'effetto del solo dispositivo, funzione,

effetto, la cui ricerca rappresenta, dopo quello dell'autonomia, il secondo profilo della questione che si sta esaminando.

a) Il primo effetto del deposito del solo dispositivo, una vol

ta accertatane l'autonomia, è rendere certo agli interessati che, entro quel termine, la decisione è intervenuta e che è intervenu

ta con un determinato, irreversibile contenuto.

b) Il secondo effetto è rendere possibili i provvedimenti oc

correnti, che, in tema di libertà, sono, per le ordinanze del tri

bunale — allorché, ad esempio, venga annullata o riformata

la ordinanza impositiva della misura coercitiva — la restituzio

ne dell'indagato alla libertà o la sottoposizione dello stesso ad

una misura meno restrittiva, quale la misura degli arresti domi

ciliari o quella del divieto di espatrio o del divieto e obbligo di dimora.

È del tutto superfluo ricordare che, se, ai sensi del 1 ° comma

dell'art. 588 c.p.p. «dal momento della pronuncia, durante i

termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugna

zione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa», il 2° comma dello stesso articolo dispone che «le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non han

no in alcun caso effetto sospensivo». Ne deriva che, ove il tribunale per il riesame annulli o riformi

la ordinanza e ove dall'annullamento o dalla riforma discenda

no effetti favorevoli per l'indagato — gli effetti sfavorevoli,

propri della ordinanza che, accogliendo l'appello del p.m., di

sponga una misura cautelare, sono espressamente esclusi dal

l'art. 310, 3° comma, c.p.p. — questi effetti si producono im

mediatamente nonostante siano in corso i termini per la impu

gnazione. XV. - L'indirizzo che queste sezioni unite ritengono di dovere

far proprio per le ragioni dianzi esposte è tale che, nel rispetto delle esigenze della motivazione del provvedimento del tribuna

le in tema di libertà, si rimette, quanto ai tempi, al senso di

responsabilità del giudice, il quale, se, come vuole la norma

dell'art. 124 c.p.p., è tenuto al rispetto di tutte le norme proces

suali anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra

sanzione processuale, deve, a maggior ragione, questo rispetto,

quando è in discussione la libertà delle persone: il giudice, ove

non sia in grado di depositare immediatamente anche la moti

vazione del provvedimento, deve, entro cinque giorni dal depo

sito del dispositivo, provvedere a quel deposito, così come ha

fatto il tribunale nel caso di specie. XVI. - La voce autorevole della dottrina, dalla quale si sono

prese le mosse, nel condividere l'indirizzo che vuole che l'è

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PARTE SECONDA

spressione «se la decisione non interviene» alluda alla decisione

nella sua interezza, nella sua completezza, non omette di osser

vare che a favore del contrario indirizzo, che qui si segue, «par rebbero deporre alcuni rilevanti argomenti testuali, sia in rap

porto alla lettera dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., sia in rap

porto alle forme richiamate per il procedimento di riesame, che

sono quelle previste per il procedimento in camera di consiglio dall'art. 127 c.p.p., cui si raccorda, quanto al deposito dei cor

relativi provvedimenti, il principio generale dell'art. 128 c.p.p.».

Questa dottrina, nel prendere atto di ciò, propende, peraltro,

per il diverso indirizzo anche per la preoccupazione della garan zia della decisione a tempi brevi, dati gli interessi in discussione.

Ma, questa garanzia — è opportuno insistervi — non viene

assolutamente frustrata se, resa visibile la decisione con il depo sito del solo dispositivo, ove ciò sia imposto dalla necessità di

provvedere ad adeguata motivazione, il deposito del provvedi mento completo segua, come deve, nel termine di cinque giorni, termine che, anche se ordinatorio, deve essere rispettato, spe cialmente in questa materia.

XVII. - Questa stessa dottrina rileva, infine, che «a confron

to della conclusione — della necessità di depositare, nei dieci

giorni, l'intero provvedimento — assume un preciso significato la circostanza che, in analoga situazione, con riferimento alla

procedura di convalida dell'arresto in flagranza e del fermo, la perdita di efficacia di questi ultimi provvedimenti risulti su

bordinata, dall'art. 391, 7° comma, c.p.p. — norma alla quale si è già accennato con la riserva di ritornarvi — al fatto che

l'ordinanza di convalida, a parte le ipotesi di pronuncia in udien

za, non venga depositata entro il termine di quarantotto ore

ivi previsto, con esplicito riferimento, dunque, all'adempimento del deposito quale condicio sine qua non per l'osservanza del

suddetto termine».

Secondo queste sezioni unite la storia dell'art. 391, 7° comma,

è, invece, di avallo alla conclusione, contraria, che, nella interpre tazione della norma dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., è stata espo sta nelle pagine precedenti.

a) La norma dell'art. 391, 7° comma, che si leggeva nel testo

ordinario del codice, diceva che «l'arresto o il fermo cessa di

avere efficacia se il giudice non decide sulla convalida nelle qua rantottore successive al momento in cui l'arrestato o il fermo

è stato posto a sua disposizione».

b) La norma è stata modificata dall'art. 25 d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12, nel senso che «l'arresto o il fermo cessa di avere

efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depo sitata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arre stato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice».

c) Ebbene, dalla modifica della norma si desume che il legis latore, consapevole del significato della espressione «si decide»,

consapevole che decisione non significa necessariamente deposi to dell'intero provvedimento e volendo che entro le quarantotto ore successive al momento dell'arresto o del fermo il giudice decida, invece, con un provvedimento completo, ha disposto che, entro quel termine, il giudice deve pronunciare, in udienza, o depositare la ordinanza.

d) Il legislatore, come altri in dottrina hanno osservato, se ha apportato questa modifica all'art. 391, 7° comma, c.p.p., in cui aveva usato il verbo decide, non ha toccato la norma dell'art. 309, 10° comma, in cui ha usato il sostantivo decisione e la ragione per cui questa norma è rimasta quella originaria sta, probabilmente, anche nel fatto che i problemi che si pongo no al giudice in sede di arresto in flagranza o di fermo sono, di norma, meno complessi di quelli che lo stesso giudice deve risolvere allorché sia chiamato al riesame di un provvedimento che abbia disposto una misura coercitiva.

7. - L'esame dei primi due motivi del ricorso impone che si affermi che il primo motivo è infondato e che il secondo è manifestamente infondato.

a) Con il primo si deduce — va ricordato — che l'ordinanza del g.i.p. è nulla perché motivata per relationem, con il sempli ce richiamo della richiesta del pubblico ministero di applicazio ne della misura cautelare, sicché — si sostiene — è conseguente mente nulla pure la ordinanza del tribunale.

La tesi non può essere condivisa.

I. - Supposto, invero, che il g.i.p. non abbia motivato il pro

prio provvedimento se non per relationem e che sia esatto l'as sunto secondo il quale non è consentita la motivazione per rela tionem —- cfr. però sez. un. 26 febbraio 1991, Bruno (id., 1991,

Il Foro Italiano — 1996.

II, 497), sulla legittimità dell'ordinanza di custodia cautelare

che, per quanto concerne la esposizione degli indizi di colpevo lezza, recepisce integralmente la richiesta del p.m. —, questa

Suprema corte ha più volte affermato che il provvedimento re

strittivo della libertà personale e l'ordinanza che decide sul rie

same sono tra loro strettamente collegati e complementari, tan

t'è che, una volta proposta richiesta di riesame, l'efficacia del

l'uno è condizionata alla tempestiva sopravvenienza di un

provvedimento di conferma.

Ne consegue, pertanto, che la motivazione del tribunale del

riesame integra e completa l'eventuale carenza di motivazione

del provvedimento del primo giudice, così come la motivazione

insufficiente del giudice del riesame può ben ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorché in quest'ulti mo il giudice abbia fornito le ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli art. 273, 274 e 275 c.p.p., lo abbiano determinato alla emissione del provvedimento medesimo (Cass. 27 marzo

1992, Patané, id., Rep. 1993, voce cit., n. 604; 16 luglio 1990,

Stefana, id., Rep. 1991, voce cit., n. 412; 25 febbraio 1994, Rau, id., Rep. 1994, voce cit., n. 588).

II. - Nel caso di specie il provvedimento impugnato è partico larmente articolato, avendo il tribunale sottoposto ad esame cri

tico tutti gli indizi di colpevolezza, ripercorrendo, sulla base delle intercettazioni telefoniche e delle intercettazioni ambienta

li, i rapporti tra il Moni e gli altri — Nicolò Cossu e Tonino

Crissantu — in concorso con i quali il Moni avrebbe commes

so, in Macomer, il reato di sequestro di persona a scopo di

estorsione in danno di Giuseppe Vinci.

Il tribunale, in altre parole, soffermandosi su una nutrita se rie di conversazioni, puntualmente indicate, tra il Moni e gli altri, ne ha vagliato il significato, concludendo, in termini di indubbia linearità logico-giuridica, che da quelle conversazioni si deduceva sia il riferimento ad un sequestro ancora in atto, sia la partecipazione del Moni all'azione delittuosa e, dunque, che gli indizi di colpevolezza a carido di quest'ultimo erano da definirsi gravi.

b) Il secondo motivo è manifestamente infondato perché, per quel che si è appena detto, l'ordinanza impugnata è tutta tesa alla dimostrazione, basata su quelle intercettazioni, della gravi tà degli indizi, logicamente desunta dal contenuto delle conver sazioni intercettate, contenuto e logicità che, <?ltre tutto, il ri

corrente, nel motivo, non ha minimamente contestato. 8. - Tutto ciò premesso il ricorso deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 17

aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Papadia, P.M. (conci, conf.); ric. D'Avino. Conferma Trib. Venezia, ord. 20 settembre 1995.

Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Giu dizio di rinvio — Termine per la decisione — Osservanza —

Esclusione (Cod. proc. pen., art. 309). Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Causa

di incompatibilità — Effetti — Nullità del provvedimento —

Esclusione (Cod. proc. pen., art. 34, 37, 178).

Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento dell'ordinanza di riesame da parte della Corte di cassazione, non è applica bile l'art. 309, 9° e 10° comma, c.p.p., secondo cui l'ordi

nanza che dispone una misura coercitiva perde efficacia se la decisione sulla richiesta di riesame non interviene entro dieci

giorni dalla ricezione degli atti. (1)

(1) In senso conforme, Cass. 4 luglio 1995, Du Chene, Mass. Cass. pen., 1995, fase. 11, 67; 21 settembre 1992, Barone, Foro it., Rep. 1994, voce Sequestro penale, n. 125; 3 febbraio 1992, Cesario, id., Rep. 1993, voce Misure cautelari personali, n. 583; 10 gennaio 1991, Zucca, id., Rep. 1991, voce cit., n. 403; 27 aprile 1990, Scullari, id., Rep. 1990, voce cit., n. 110; 19 settembre 1988, Nicoli, id., Rep. 1989, voce

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