sezioni unite penali; sentenza 17 aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (concl.conf.); ric. Moni. Conferma Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 10 (OTTOBRE 1996), pp. 563/564-571/572Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191155 .
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PARTE SECONDA
stione), la reale «presa di cognizione» del fatto-reato da parte del giudice delle indagini preliminari.
In altri termini, può legittimamente sostenersi che questi ab
bia preso posizione sul punto, d'ufficio o su sollecitazione del
p.m. o delle parti private, eventualmente anche prima dell'in
staurazione del contraddittorio camerale, solo quando possano identificarsi provvedimenti che siano espressione di un signifi cativo e approfondito esame della fattispecie.
In definitiva, la richiesta del p.m. di rinvio a giudizio dell'im
putato e la mera attività, conseguenziale e strumentale, di fissa
zione dell'udienza preliminare e di introduzione del rito da par te del g.i.p. ordinario non avevano ancora determinato alcun
conflitto «attuale» con il giudice militare, in quanto il primo restava libero di adottare — come ha in realtà fatto causa co
gnita —, dopo il doveroso espletamento del descritti compiti
prodromici, le proprie determinazioni in ordine alla questione della giurisdizione (per un'analoga declaratoria d'inammissibili
tà del conflitto tra g.i.p. militare e pretore — in cui il p.m. aveva emesso decreto di citazione a giudizio recante l'indicazio
ne dell'udienza dibattimentale, ma il pretore non aveva ancora
preso effettiva cognizione del fatto —, cfr. sez. I, 9 febbraio
1995 n. 769, confi, in proc. Nisii, m. 200.768). Deve pertanto dichiararsi l'insussistenza del conflitto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 17
aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Battisti, P.M. Suraci (conci,
conf.); ric. Moni. Conferma Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre
1995.
Misure cautelari personali — Impugnazione — Riesame — Ter
mine per la decisione — Osservanza — Deposito del disposi tivo (Cod. proc. pen., art. 128, 309).
Il termine perentorio di dieci giorni entro il quale deve interve
nire la decisione sulla richiesta di riesame, ai sensi dell'art.
309, 10° comma, c.p.p., deve ritenersi rispettato anche nell'i
potesi in cui il tribunale provvede entro detto termine a ren
dere visibile il decisum con il deposito del solo dispositivo. (1)
(1) Con la decisione che si riporta le sezioni unite hanno, per così
dire, «mediato» un contrasto di opinioni manifestatosi in giurispruden za, asserendo che, perché possa ritenersi osservato il termine perentorio previsto dal 10° comma dell'art. 309 c.p.p., è necessario il deposito non dell'ordinanza completa di motivazione ma del solo dispositivo, potendo il tribunale avvalersi della regola generale che permette di redi
gere la motivazione dei provvedimenti deliberati in camera di consiglio entro cinque giorni dalla deliberazione medesima. Al riguardo, per dare contezza della diversità di posizioni che ha dato causa alla sentenza in epigrafe, va ricordato, a titolo di esempio, che mentre da Cass. 11
giugno 1992, Boni (Foro it., Rep. 1992, voce Misure cautelari persona li, n. 476; nello stesso senso, cfr. Cass. 25 maggio 1993, Guarnieri, id., Rep. 1994, voce cit., n. 585) si era sostenuto che «il termine di dieci giorni previsto per la decisione del tribunale del riesame, a pena di inefficacia della misura cautelare applicata, va computato con riferi mento alla data della deliberazione e non a quella del deposito del prov vedimento», Cass. 18 giugno 1990, Bertolo (id., Rep. 1991, voce cit., n. 401, e Giur. it., 1991, II, 286, con nota di A. Szegò, Sulla decorren za del termine per la decisione del tribunale della libertà, in sede di
riesame) aveva invece affermato che poiché la pronuncia emessa con il rito della camera di consiglio acquista la sua efficacia giuridica solo con il deposito in cancelleria, «ne consegue che, qualora la decisione sulla richiesta di riesame non venga depositata entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde immediatamente efficacia, a nulla rilevando che la decisione stessa sia stata adottata tempestivamente» (cfr. anche Cass. 28 luglio 1994, Susi, Ced Cass., Rv. 199033, secondo la quale «. . . per verificare se la deci sione sulla domanda di riesame è tempestiva o meno occorre accerta
li Foro Italiano — 1996.
Svolgimento del processo. — 1. - Il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Cagliari, convalidato il fermo, con ordinanza del 19 ottobre 1995 applicava a Michelangelo
Moni, indagato per concorso nel delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, la misura della custodia cautelare in
carcere.
2. - Il Moni chiedeva il riesame del provvedimento con istan
za del 23 ottobre 1995, gli atti pervenivano al tribunale il suc
cessivo 25 ottobre; l'udienza camerale per la decisione del ricor
so veniva fissata per il 2 novembre.
Il tribunale, riservata la decisione, il 4 novembre depositava in cancelleria il dispositivo della ordinanza di conferma della
misura cautelare e il 9 novembre, dopo cinque giorni dal depo sito del dispositivo, depositava l'ordinanza comprensiva della
motivazione; il successivo 10 novembre venivano inviati gli av
visi di deposito della ordinanza.
3. - Il Moni ricorreva per cassazione chiedendo, con tre moti
vi, l'annullamento del provvedimento del tribunale.
a) Denunziava, con il primo, «violazione dell'art. 606, 1 ° com
ma, lett. c), con riferimento all'art. 292, 2° comma, lett. c),
c.p.p.», rilevando che «l'ordinanza del g.i.p. risultava motivata
per relationem, essendosi riportata alla richiesta del p.m.», sic
ché «aveva pretermesso di adempiere la specifica disposizione dell'art. 292, 2° comma, lett. e), c.p.p. che vuole che l'ordinan
za che dispone la misura cautelare contenga a pena di nullità
l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che
la giustificano in concreto, con la indicazione degli elementi di
fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono
rilevanza, tenuto anche conto del tempo trascorso dalla com
missione dal reato».
La nullità della ordinanza del g.i.p. — sosteneva — importa va la nullità della ordinanza del tribunale.
b) Lamentava, con il secondo motivo, «violazione dell'art.
606, 1° comma, lett. c), c.p.p. con riferimento all'art. 292, 2°
comma, n. 2 ter, c.p.p., per essere le ordinanze impugnate pri ve della valutazione degli elementi a carico della persona sotto
posta alle indagini».
c) Censurava, con il terzo motivo, l'ordinanza del tribunale
«per violazione dell'art. 606, 1° comma, lett. c), c.p.p., con
re ... il momento in cui» il provvedimento «è venuto a giuridica esi
stenza, cioè la data in cui il provvedimento, completo in tutti i suoi elementi — motivi, dispositivo, sottoscrizione — è depositato presso la cancelleria del giudice competente»). Conviene ricordare inoltre co me le posizioni della giurisprudenza trovassero assonanze anche in dot trina: e così mentre secondo P. Duboi.ino-T. Baolione-F. Bartolini, Il nuovo codice di procedura penale illustrato, Piacenza, 1992, 814, deve aversi riguardo, ai fini de quibus, al momento della decisione, altri ha ritenuto non essere sufficiente che entro il termine surricordato
venga delibata la decisione, essendo invece necessario il suo deposito in cancelleria non oltre il termine in questione: in tal senso, v., tra
gli altri, V. Grevi, Scadenza del termine per la decisione da parte del tribunale del riesame ed orario di chiusura degli uffici giudiziari, in Cass, pen., 1995, 2614 — che è l'autore le cui tesi sono state oggetto di specifica considerazione nella motivazione della sentenza che ne oc
cupa — nonché la dottrina dallo stesso ricordata. Sembra altresì opportuno evidenziare come nella odierna sentenza le
sezioni unite abbiano operato anche altre puntualizzazioni di rilevante
importanza e cioè:
1) che la regola generale desumibile dall'art. 128 c.p.p. per i provve dimenti adottati in camera di consiglio è quella del distacco temporale tra la deliberazione (sinonimo di decisione) ed il deposito del provvedi mento, per il quale è previsto il termine di cinque giorni dalla delibe
razione;
2) che una disciplina diversa vige in materia di convalida di arresto o di fermo, in quanto con la modifica dell'art. 391, 7° comma, c.p.p. operata con il d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12, il legislatore ha reso palese la volontà che entro le quarantotto ore successive al momento dell'arre sto o del fermo il giudice decida con un provvedimento «completo», disponendo che entro tale termine il giudice «deve pronunciare in udienza o depositare la ordinanza»;
3) che «il provvedimento restrittivo della libertà personale e l'ordi nanza che decide sul riesame sono tra loro strettamente collegati e com
plementari ...» sicché «la motivazione del tribunale del riesame inte
gra e completa l'eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice, così come la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ben ritenersi integrata da quella del provvedimento im
pugnato . . .».
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GIURISPRUDENZA PENALE
riferimento all'art. 309, 10° comma, stesso codice», osservando
che questa norma, là dove stabilisce che la decisione deve inter
venire entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, esige che, en
tro questo termine, sia depositata, a pena di perdita di efficacia
della misura coercitiva, la motivazione e non soltanto il disposi
tivo, come è avvenuto nel caso di specie. 4. - La seconda sezione di questa corte, notando che sulla
questione, oggetto del terzo motivo, v'è contrasto nella giuris
prudenza della Corte di cassazione, essendosi ritenuto necessa
rio, in alcuni casi, che entro il termine fissato dall'art. 309 deve
essere depositata l'ordinanza comprensiva della motivazione e, in altri casi, che è sufficiente che, entro quel termine, il tribuna
le pervenga alla decisione formalizzandola nella stesura del di
spositivo, rimetteva il ricorso alle sezioni unite: il primo presi dente aggiunto lo assegnava alle stesse.
Motivi della decisione. — 1. - La questione controversa sulla
quale queste sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi è la
seguente: se sia necessario, perché la misura cautelare confer
mata dal tribunale della libertà non perda efficacia, depositare, entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, fissato
dall'art. 309, 9° e 10° comma, c.p.p., l'ordinanza di conferma
nella sua interezza o se il termine possa dirsi rispettato quando
prima della sua scadenza sia comunque intervenuta la decisione
e sia stato depositato il solo dispositivo. Il quesito, a ben vedere, implica pur nella sua linearità, due
differenti profili, dovendosi valutare, anzitutto, se ha rilevanza
autonoma il dispositivo della ordinanza in cui viene formalizza
ta la decisione assunta, sia pure ancora senza motivazione e, in secondo luogo e nel caso che a questo primo aspetto del
problema si dia risposta positiva, quale sia la funzione o l'effet
to del deposito di tale dispositivo». 2. - Prima di affrontare la questione, è da ricordare che que
ste sezioni unite, con la sentenza del 20 luglio 1995, Galletto, hanno affermato che la perdita di efficacia della misura caute
lare deve essere fatta valere avanti al giudice di merito attraver
so la richiesta di revoca prevista dall'art. 306 c.p.p., richiesta
che dà luogo ad una ordinanza avverso la quale può, ai sensi
dell'art. 310 c.p.p., proporsi appello, cui può seguire, come pre vede il successivo art. 311, il ricorso per cassazione.
a) Si è detto, in quella sede, che le cause, che determinano
la perdita di efficacia della custodia cautelare secondo le norme
del presente titolo, come recita la norma dell'art. 306 c.p.p. — e la norma dell'art. 309, 10° comma, è norma di quel titolo — «si risolvono in vizi processuali che non intaccano la intrin
seca legittimità della ordinanza, ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione auto
matica, che deve essere disposta, nell'ambito di un distinto pro
cedimento, con l'istanza specificamente prevista dall'art. 306
c.p.p.».
b) Questi principi, scaturiti dall'esame di una fattispecie di
versa — si discuteva, in allora, se il tribunale del riesame possa
porsi il problema della perdita di efficacia della ordinanza del
g.i.p. per non avere questi, in violazione delle norme degli art.
294 e 302 c.p.p., proceduto all'interrogatorio della persona in
stato di custodia nel termine di cinque giorni dall'inizio della
esecuzione della custodia — debbono essere ribaditi, con la pun
tualizzazione, però, mutuata da Cass., sez. I, 8 agosto 1995,
Franco, sentenza, quest'ultima, che, in una fattispecie simile
a quella oggetto dell'odierno ricorso, ha sottolineato la vis at
tractiva del ricorso per cassazione, quando, come nel caso in esa
me, oltre che l'inefficacia, vengano prospettate questioni relative
alla legittimità del provvedimento.
c) Questa precisazione fa sì, tra l'altro, che, specialmente se
l'assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fonda
to, non si ritardi ulteriormente una decisione che si sarebbe do
vuto richiedere in altra sede subito dopo l'intervento della ordi
nanza del tribunale.
d) È del tutto ovvio, peraltro, che non vi sarebbe spazio per il dispiegarsi della vis attrattiva ove, con il ricorso per cassazio
ne, si denunciasse unicamente la perdita di efficacia del provve dimento.
3. - Venendo all'esame della questione sottoposta all'atten
zione di queste sezioni unite e soffermandosi sul primo dei due
profili sopra delineati, il profilo della rilevanza o irrilevanza
del solo dispositivo e, quindi, del solo deposito di quest'ultimo
prima che sia redatta e depositata la motivazione dell'ordinanza
Il Foro Italiano — 1996.
del tribunale del riesame, è da porre in evidenza che l'orienta
mento pressoché costante della giurisprudenza di questa corte
nella interpretazione della norma dell'art. 263 ter dell'abrogato codice di rito e quello prevalente nella interpretazione della cor
rispondente norma dell'art. 309, 10° comma, del codice vigente attribuiva e, rispettivamente, attribuisce esclusiva rilevanza al
deposito dell'intero provvedimento, essendosi ritenuto e ritenen
dosi che soltanto con il deposito di tutta l'ordinanza il provve dimento emesso in camera di consiglio acquista rilevanza ester
na (per il codice abrogato, cfr. Cass. sez. I, 28 maggio 1985,
Sala, Foro it., Rep. 1986, voce Libertà personale dell'imputato, n. 245; 2 ottobre 1986, Mosca, id., Rep. 1987, voce cit., n.
220; 12 dicembre 1988, Capone, id., Rep. 1989, voce cit., n.
210; 25 settembre 1989, Caprone, id., Rep. 1990, voce cit., n.
106; per il codice vigente, cfr. Cass., sez. I, 18 giugno 1990,
Bertolo, id., Rep. 1991, voce Misure cautelari personali, n. 401; sez. Ili 8 maggio 1992, Oliveri, id., Rep. 1993, voce Sequestro
penale, n. 125; sez. feriale 28 luglio 1994, Susi, id., Rep. 1995, voce Misure cautelari personali, n. 595; 11 ottobre 1995, Ietto; sez. I 5 luglio 1990, Cardone, id., Rep. 1991, voce cit., n. 399; sez. V 20 agosto 1991, Mercuri, id., Rep. 1992, voce cit., n.
487, secondo le quali nel termine di dieci giorni occorre provve dere anche alla spedizione degli avvisi ai fini della eventuale
impugnazione). 4. - Già sotto il codice abrogato, però, — e per questo si
è parlato di orientamento pressoché costante — la giurispruden za (Cass., sez. I, 16 novembre 1988, Labate, id., Rep. 1989, voce Libertà personale dell'imputato, n. 211) aveva messo in
luce — attribuendo, così, rilievo al deposito del solo dispositivo — che la norma dell'art. 263 ter parlava di «ordinanza emana
ta» e di «decisione entro i termini di legge» e che questa termi
nologia stava ad indicare che «il legislatore esige, nei termini, la emanazione della ordinanza, cioè la manifestazione esterna
della decisione, manifestazione che può avvenire sia mediante
il deposito dell'intero provvedimento, sia di quella parte della
ordinanza costituita dal dispositivo che del provvedimento è la
parte essenziale.
5. - Una volta entrato in vigore l'attuale codice di rito, la
distinzione, a questi fini, tra dispositivo e motivazione e la con
seguente attribuzione di autonoma rilevanza al deposito del so
lo dispositivo è stata affermata in non poche decisioni, nelle
quali si è sostenuto che «dal combinato disposto delle norme
degli art. 309, 127 e 128 c.p.p. si ricava che i momenti della
emanazione del provvedimento di riesame e del deposito del
provvedimento non sono coincidenti e che, in ogni caso, quei momenti vengono presi in esame singolarmente dalla vigente normativa processuale», sicché «l'espressione, che si legge nel
10° comma dell'art. 309 c.p.p. — 'se la decisione . . . non in
terviene entro il termine prescritto . . .' — deve intendersi nel
senso che entro quel termine è sufficiente che sia depositato il solo dispositivo» (Cass., sez. VI, 11 giugno 1992, Boni, id.,
Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, n. 476; sez. II 25
maggio 1993, Guarnieri, id., Rep. 1994, voce cit., n. 585). 6. - Queste sezioni unite ritengono di dover fare proprio que
st'ultimo indirizzo per le seguenti ragioni. I. - Una autorevole voce della dottrina, nell'interessarsi di
questo problema, premette che, «alla luce della ratio di garan zia 'a tempi brevi' per la libertà personale dell'imputato sottesa
all'intera disciplina del procedimento in esame ed emergente in
particolare dall'ultimo comma dell'art. 309, è difficile potersi discostare dal prevalente indirizzo giurisprudenziale, nel senso
di ritenere che la decisione del tribunale possa dirsi 'intervenu
ta' soltanto quando essa sia idonea ad acquistare rilevanza esterna
e, nel contempo, efficacia giuridica per ogni fine di legge e,
dunque, soltanto quando ne sia stato effettuato il deposito, in
quanto unico atto che la fa 'esistere' rendendola conoscibile
alle parti».
Aggiunge, però, subito dopo, che «è chiaro che, così inter
pretata, la norma dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., finisce per
configurarsi come una previsione in deroga rispetto al principio enunciato nell'art. 128 c.p.p. circa i rapporti tra deliberazione
e deposito dei provvedimenti emessi a seguito di provedimento in camera di consiglio»; ma ribadisce che l'indirizzo che condi
vide è una conclusione inevitabile se si vuole dare un senso con
creto al meccanismo di garanzia rappresentato dalla perdita di
efficacia della ordinanza impugnata quando la decisione del tri
bunale 'non interviene entro il termine prescritto'».
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PARTE SECONDA
II. - Se la interpretazione della norma dell'art. 309, 10° com
ma, c.p.p., propria del primo indirizzo giurisprudenziale dianzi
riassunto e seguita dalla dottrina appena citata, si configura come una previsione in deroga rispetto al principio enunciato
all'art. 128 c.p.p., il quale, come è noto, si interessa del «depo sito dei provvedimenti del giudice emessi a seguito di procedi mento in camera di consiglio», ciò significa, evidentemente, che
la regola posta dall'art. 128 per i provvedimenti presi in camera
di consiglio — e la ordinanza del tribunale del riesame è uno
di questi provvedimenti — è altra rispetto alla deroga che si
sostiene debba essere seguita, applicata, dal tribunale del riesame.
È, infatti, la regola generale, la «non deroga», e la possibilità del distacco temporale tra la deliberazione o la decisione — e
vedremo tra poco perché decisione e deliberazione sono sinoni
mi anche nel linguaggio del codice — e il deposito, disponendo, tra l'altro, l'art. 128 c.p.p. che «gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione».
III. - La regola della possibilità del distacco temporale tra
deliberazione o decisione e deposito è, del resto, una costante
nelle sentenze — può discutersi se questa costante ricorra anche
nella sentenza emessa nel rito di applicazione della pena su ri
chiesta, stabilendo la norma dell'art. 448, 1° comma, c.p.p., che il giudice pronuncia immediatamente sentenza, il che può indurre a fare ritenere, appunto, che, in questo rito, non vi
sia spazio per un intervallo temporale tra la deliberazione e il
deposito — oltre che nella ordinanza contemplata dall'art. 128
c.p.p., emessa a seguito del procedimento in camera di consiglio.
a) Per la sentenza di non luogo a procedere la norma del
l'art. 424, dopo aver detto, nel 1° comma, che «subito dopo che è stata dichiarata chiusa la discussione, il giudice procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a proce dere (o decreto che dispone il giudizio)», dando — 2° comma — «immediata lettura del provvedimento» e — 3° comma —
depositandolo immediatamente in cancelleria, prevede, nel 4°
comma che «qualora non sia possibile procedere alla redazione
immediata dei motivi della sentenza di non luogo a procedere, il giudice provvede non oltre il trentesimo giorno da quello del
la pronuncia».
b) Per le sentenze emesse nel giudizio, o per quelle — senten
ze pronunciate nel rito abbreviato — per le quali si applicano,
comunque, le norme di cui agli art. 529 ss. c.p.p., la norma
dell'art. 544 c.p.p., che si interessa della «redazione della sen
tenza», prescrive, nel 1° comma, che, «conclusa la deliberazio
ne, il presidente redige e sottoscrive il dispositivo» e che «subito
dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e
di diritto su cui la sentenza è fondata», aggiungendo, nei com
mi 2° e 3°, che, «qualora non sia possibile procedere alla reda
zione immediata dei motivi in camera di consiglio», vi si prov vede non oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia o, se la
stesura della motivazione è particolarmente complessa, nel ter
mine, più lungo, stabilito dal giudice e, comunque, non oltre
il novantesimo giorno dalla pronuncia. IV. - La ratio di questo possibile distacco temporale tra deli
berazione o decisione e deposito è ovvia ed emerge con estrema
chiarezza dalle norme appena citate: il principio generale del
l'obbligo della motivazione, a pena di nullità, delle sentenze
e delle ordinanze, formulato nell'art. 125 c.p.p. e ribadito in
quelle norme, è tale, per sua natura, da imporre che si preveda la possibilità che tra la deliberazione e il deposito del provvedi mento vi sia uno jatus, un intervallo più o meno lungo.
Questo principio, è il caso di ricordarlo, ancora prima che
nel codice, trova la sua solenne affermazione nella Carta costi
tuzionale, la quale dice, nell'art. Ili, che «tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati» e, nell'art. 13, 2° com
ma, in tema di libertà personale, che «non è ammessa forma
alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto
motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».
V. - Il sostantivo deliberazione — si diceva — è sinonimo, nello stesso linguaggio del codice, di decisione, sicché prevede
re, come fa l'art. 128 c.p.p., che i provvedimenti emessi in ca
mera del consiglio debbono essere depositati entro cinque giorni dalla deliberazione vuole dire prevedere che quei provvedimenti debbono essere depositati entro cinque giorni dalla decisione.
a) Questa identità di valore, di significato, dei termini delibe
ri. Foro Italiano — 1996.
razione e decisione si desume con certezza dalla norma dell'art.
527 c.p.p. Se la rubrica preannuncia che la norma regola la deliberazio
ne collegiale, il testo dice, nel 1° comma, sia che «il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le que stioni preliminari non ancora risolte e ogni altra questione rela
tiva al processo», sia che «qualora l'esame del merito non risul
ti precluso dall'esito della votazione, sono poste in decisione
le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e, se occorre, quelle relative all'applicazione delle pene e delle mi
sure di sicurezza, nonché quelle relative alla responsabilità civile».
b) Il termine, inoltre, è usato, nella forma verbale del gerun dio (decidendo) — oltre che, nel 10° comma, come sostantivo
(decisione) — nello stesso testo dell'art. 309 c.p.p., disponendo l'8° comma che «il tribunale annulla riforma, conferma . . .
decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso della udienza» e l'uso del termine non può non voler
dire che, anche in questo caso — come in quello in cui l'art.
527, occupandosi della deliberazione, si avvale dei termini deci
de, decisione — il giudizio è nello stadio, nel momento, della
deliberazione.
VI. - Se è innegabile che deliberazione e decisione sono sino
nimi, che deliberare significa decidere, è, altresì, innegabile che, nel linguaggio del codice, la deliberazione è, ontologicamente, cosa diversa, realtà diversa rispetto sia al dispositivo, sia alla
motivazione, di tal che anche la decisione è, sul piano ontologi
co, una cosa, una realtà che si distingue e dal dispositivo e
dalla motivazione.
Sul piano ontologico, invero, mentre la deliberazione o deci
sione abbraccia, comprende, sia tutto l'iter di riflessione o di
discussione richiesto dai problemi di diritto processuale e so
stanziale propri della fattispecie all'esame del giudice, sia l'atto
terminale, l'approdo, la conclusione di questo iter, il dispositi vo e la motivazione costituiscono, di questo stesso iter e della
relativa conclusione, la materializzazione, assolutamente indi
spensabile per proiettare all'esterno la decisione-deliberazione,
per far sì che quell'iter, culminato in una certa conclusione, abbia rilevanza giuridica, esista giuridicamente.
a) La norma dell'art. 544, già citata, non potendo non pren dere atto di questa differenza ontologica, distingue accurata
mente tra deliberazione, dispositivo e motivazione, stabilendo, come si è visto, che, «conclusa la deliberazione, il presidente
redige e sottoscrive il dispositivo e che subito dopo — o, al
più, nei successivi novanta giorni — è redatta una concisa espo sizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata.
b) La distinzione è presente anche nella sentenza di non luo
go a procedere, interessandosi la norma dell'art. 424 della deli
berazione, della pronuncia e della motivazione e stabilendo an
che che il giudice, ove non possa provvedere immediatamente
alla redazione dei motivi, vi provveda non oltre trenta giorni dalla pronuncia e prevedendo la norma dell'art. 426 che il di
spostivo è uno dei requisiti della sentenza.
c) La distinzione, infine, è presente anche nella norma del
l'art. 128 c.p.p., il quale parla di deliberazione e di deposito
e, espressamente, di dispositivo, prescrivendo che con l'avviso
di deposito è notificato anche quest'ultimo, notificazione — quel la del dispositivo — che la norma dell'art. 151 del codice abro
gato esigeva a pena di nullità.
È appena il caso di porre in risalto che l'art. 128 si occupa del deposito dei provvedimenti camerali e degli adempimenti, successivi al deposito, necessari perché il provvedimento sia re
so noto ai fini della eventuale impugnazione; non meraviglia,
quindi, se nella norma non si rinviene il termine «motivazio
ne», la cui indispensabile presenza ha la sua fonte nella norma
dell'art. 125 c.p.p. VII. - Da quanto si è detto emerge, non solo che la decisione
è cosa diversa dal dispositivo e dalla motivazione, ma che il
dispositivo, sia nelle sentenze, sia nelle ordinanze, previste dal
l'art. 128 c.p.p. costituisce una realtà a sé stante, diversa e dalla
decisione e dalla motivazione: emerge, in altri termini, che il
dispositivo esiste e ha la sua autonomia anche in quelle ordinanze.
In queste ultime rileva, secondo la norma dell'art. 128 c.p.p., nel momento della notificazione, dovendo il dispositivo essere
notificato insieme con l'avviso di deposito.
Ma, questo aspetto della rilevanza, mentre è prova della esi
stenza e della autonomia del dispositivo, non ne nega la rilevan
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GIURISPRUDENZA PENALE
za ad altri fini che siano compatibili con i principi e con la
funzione normalmente svolta dal dispositivo. Vili. - Se la regola è la possibilità di quello che si è definito
«distacco temporale» tra la deliberazione e il deposito; se «deli
berazione e decisione» sono sinonimi; se «deliberazione e deci
sione» sono cose ontologicamente diverse dal dispositivo e dalla
motivazione, se il dispositivo esiste ed ha la sua autonomia an
che nelle ordinanze di cui si interessa la norma dell'art. 128
c.p.p., occorre chiedersi quale valore abbia la regola dell'art.
309, 10° comma, c.p.p., secondo la quale se la decisione non
interviene nel termine prescritto la ordinanza che dispone la mi
sura coercitiva perde efficacia.
Occorre chiedersi, cioè, — ed è la questione — se, ricono
sciuto che il legislatore esige che entro quel termine la decisio
ne/deliberazione abbia rilevanza esterna, la decisione debba ma
nifestarsi, rendersi visibile nella sua forma completa, fatta di
dispositivo e di motivazione, o se, invece, è sufficiente che si
renda visibile, certa, in quella parte — il dispositivo — nella
quale il tribunale del riesame materializza in sintesi la decisione
e, come vuole l'art. 309, 9° comma, c.p.p., dichiara inammissi
bile o rigetta la richiesta, oppure annulla o riforma la ordinan
za, aggiungendovi le eventuali statuizioni conseguenziali. IX. - Ebbene, ciò che dalla norma si desume inequivocabil
mente è che, entro il termine di dieci giorni, deve, perentoria
mente, deliberarsi, decidersi, il che altro non può voler dire se
non che la decisione deve essere, in quel termine, constatabile
all'esterno e, come tale, immodificabile.
Anche se, per una qualsiasi ragione, — termine per la com
parizione non limitata ai tre giorni liberi, udienza di discussione
che si protragga, festività infrasettimanali che sottraggano tem
po — il termine di dieci giorni può rivelarsi insufficiente, il
tribunale, entro questo termine, deve, comunque, fare interve
nire la decisione, farla apparire, pena la perdita di efficacia del
la ordinanza che ha disposto la misura coercitiva.
X. - Ma, il tribunale, si è tenuto, nonostante la possibile in
sufficienza del termine, a far sapere se dichiara inammissibile
o rigetta la richiesta, oppure se annulla o riforma la ordinanza,
traendone — e facendole conoscere — le eventuali conseguenze
previste dalla legge, non si vede per quale ragione — se non,
forse, per una ragione del tutto esterna, quale può essere la
ragione della non perentorietà del termine previsto per il depo sito dei provvedimenti camerali — non possa avvalersi della re
gola generale che gli consente un distacco temporale, un inter
vallo tra la decisione e il deposito del provvedimento nella sua
completezza, comprensivo, oltre che del dispositivo, delle ragio ni dalle quali quest'ultimo è sorretto.
XI. - Il legislatore — lo si è visto — non può non imporre, anche alla luce dei principi costituzionali, l'obbligo della moti
vazione-dei provvedimenti del giudice; ma, nel momento in cui
con la legge ordinaria ribadisce quest'obbligo costituzionalmen
te previsto, non può non assegnare — e, infatti, assegna —
al giudice un termine congruo per consentirgli, qualora quegli non sia in grado di farlo immediatamente, di indicare i motivi
che sono alla base della sua decisione.
È tutto da dimostrare, dunque, che, in mancanza di una ine
quivoca, espressa, disposizione — come quella che, ad esempio, si legge nell'art. 391, ultimo comma, c.p.p., così come modifi
cato dall'art. 25 d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12, norma sulla quale si tornerà tra poco — debba concludersi che il legislatore non
esclude che possano sacrificarsi le esigenze della motivazione
in una materia, quale quella della libertà personale, che, per la sua indubbia, estrema, delicatezza, lo stesso legislatore, muo
vendo dal presupposto, recentemente reso ancor più manifesto
con la 1. 8 agosto 1995 n. 332, della eccezionalità della privazio
ne della libertà, ha disciplinato in modo rigoroso, imponendo al giudice tutta una serie di specifici oneri proprio in tema di
motivazione.
XII. - Consegue da ciò che l'espressione se la decisione non
interviene nel termine prescritto, che si legge nell'art. 309, 10°
comma, c.p.p., sta a significare che il tribunale, se, ovviamen
te, può fare intervenire e rendere visibile, entro quel termine,
la decisione in entrambe le parti, del tutto autonome — disposi
tivo e motivazione — nelle quali la stessa si materializza, può anche avvalersi della regola che gli permette di redigere la moti
vazione entro cinque giorni, provvedendo, peraltro, entro il ter
mine perentorio di dieci giorni, alla decisione, cioè a decidere
Il Foro Italiano — 1996 — Parte 77-13.
e, inoltre, a rendere visibile il decisum con il deposito del dispo
sitivo, che della decisione è la sintesi.
XIII. - L'autonomia del dispositivo, anche nei provvedimenti emessi in camera di consiglio, trova una conferma, ai fini che
qui interessano, nelle norme che valgono per il giudizio dinanzi
alla Corte di cassazione.
a) Come è noto, la norma dell'art. 311 c.p.p., nel disciplina re il ricorso per cassazione nei procedimenti in tema di misure
cautelari personali, stabilisce, nel 5° comma, che la Corte di
cassazione decide, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall'art. 127; decide, quindi, in
camera di consiglio, sicché il provvedimento che ne scaturisce
è un provvedimento preso in camera di consiglio.
b) È, altresì, noto che la norma dell'art. 626 c.p.p., nel trat
tare degli effetti della sentenza sui provvedimenti di natura per sonale o reale, dispone che, «qualora, in seguito alla sentenza
della Corte di cassazione, deve cessare una misura cautelare, ovvero una pena accessoria o una misura di sicurezza, la can
celleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procura tore generale presso la corte medesima perché dia i provvedi menti occorrenti.
e) Orbene, quest'ultima norma comprende, di certo, anche
i provvedimenti della Corte di cassazione relativi alle misure
cautelari, provvedimenti che, come tutti quelli in camera di con
siglio e, dunque, anche come quello del tribunale del riesame, non prevedono la lettura del dispositivo, il quale, nonostante
ciò, non solo è una realtà, ma è una realtà che, ai sensi dell'art.
626 c.p.p., spiega determinati effetti immediatamente e, pertan
to, anche prima che venga redatta la motivazione del provve dimento.
XIV. - Anche da questa stessa norma si argomenta quale sia
la funzione, quale sia l'effetto del solo dispositivo, funzione,
effetto, la cui ricerca rappresenta, dopo quello dell'autonomia, il secondo profilo della questione che si sta esaminando.
a) Il primo effetto del deposito del solo dispositivo, una vol
ta accertatane l'autonomia, è rendere certo agli interessati che, entro quel termine, la decisione è intervenuta e che è intervenu
ta con un determinato, irreversibile contenuto.
b) Il secondo effetto è rendere possibili i provvedimenti oc
correnti, che, in tema di libertà, sono, per le ordinanze del tri
bunale — allorché, ad esempio, venga annullata o riformata
la ordinanza impositiva della misura coercitiva — la restituzio
ne dell'indagato alla libertà o la sottoposizione dello stesso ad
una misura meno restrittiva, quale la misura degli arresti domi
ciliari o quella del divieto di espatrio o del divieto e obbligo di dimora.
È del tutto superfluo ricordare che, se, ai sensi del 1 ° comma
dell'art. 588 c.p.p. «dal momento della pronuncia, durante i
termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugna
zione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa», il 2° comma dello stesso articolo dispone che «le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non han
no in alcun caso effetto sospensivo». Ne deriva che, ove il tribunale per il riesame annulli o riformi
la ordinanza e ove dall'annullamento o dalla riforma discenda
no effetti favorevoli per l'indagato — gli effetti sfavorevoli,
propri della ordinanza che, accogliendo l'appello del p.m., di
sponga una misura cautelare, sono espressamente esclusi dal
l'art. 310, 3° comma, c.p.p. — questi effetti si producono im
mediatamente nonostante siano in corso i termini per la impu
gnazione. XV. - L'indirizzo che queste sezioni unite ritengono di dovere
far proprio per le ragioni dianzi esposte è tale che, nel rispetto delle esigenze della motivazione del provvedimento del tribuna
le in tema di libertà, si rimette, quanto ai tempi, al senso di
responsabilità del giudice, il quale, se, come vuole la norma
dell'art. 124 c.p.p., è tenuto al rispetto di tutte le norme proces
suali anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra
sanzione processuale, deve, a maggior ragione, questo rispetto,
quando è in discussione la libertà delle persone: il giudice, ove
non sia in grado di depositare immediatamente anche la moti
vazione del provvedimento, deve, entro cinque giorni dal depo
sito del dispositivo, provvedere a quel deposito, così come ha
fatto il tribunale nel caso di specie. XVI. - La voce autorevole della dottrina, dalla quale si sono
prese le mosse, nel condividere l'indirizzo che vuole che l'è
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PARTE SECONDA
spressione «se la decisione non interviene» alluda alla decisione
nella sua interezza, nella sua completezza, non omette di osser
vare che a favore del contrario indirizzo, che qui si segue, «par rebbero deporre alcuni rilevanti argomenti testuali, sia in rap
porto alla lettera dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., sia in rap
porto alle forme richiamate per il procedimento di riesame, che
sono quelle previste per il procedimento in camera di consiglio dall'art. 127 c.p.p., cui si raccorda, quanto al deposito dei cor
relativi provvedimenti, il principio generale dell'art. 128 c.p.p.».
Questa dottrina, nel prendere atto di ciò, propende, peraltro,
per il diverso indirizzo anche per la preoccupazione della garan zia della decisione a tempi brevi, dati gli interessi in discussione.
Ma, questa garanzia — è opportuno insistervi — non viene
assolutamente frustrata se, resa visibile la decisione con il depo sito del solo dispositivo, ove ciò sia imposto dalla necessità di
provvedere ad adeguata motivazione, il deposito del provvedi mento completo segua, come deve, nel termine di cinque giorni, termine che, anche se ordinatorio, deve essere rispettato, spe cialmente in questa materia.
XVII. - Questa stessa dottrina rileva, infine, che «a confron
to della conclusione — della necessità di depositare, nei dieci
giorni, l'intero provvedimento — assume un preciso significato la circostanza che, in analoga situazione, con riferimento alla
procedura di convalida dell'arresto in flagranza e del fermo, la perdita di efficacia di questi ultimi provvedimenti risulti su
bordinata, dall'art. 391, 7° comma, c.p.p. — norma alla quale si è già accennato con la riserva di ritornarvi — al fatto che
l'ordinanza di convalida, a parte le ipotesi di pronuncia in udien
za, non venga depositata entro il termine di quarantotto ore
ivi previsto, con esplicito riferimento, dunque, all'adempimento del deposito quale condicio sine qua non per l'osservanza del
suddetto termine».
Secondo queste sezioni unite la storia dell'art. 391, 7° comma,
è, invece, di avallo alla conclusione, contraria, che, nella interpre tazione della norma dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., è stata espo sta nelle pagine precedenti.
a) La norma dell'art. 391, 7° comma, che si leggeva nel testo
ordinario del codice, diceva che «l'arresto o il fermo cessa di
avere efficacia se il giudice non decide sulla convalida nelle qua rantottore successive al momento in cui l'arrestato o il fermo
è stato posto a sua disposizione».
b) La norma è stata modificata dall'art. 25 d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12, nel senso che «l'arresto o il fermo cessa di avere
efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depo sitata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arre stato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice».
c) Ebbene, dalla modifica della norma si desume che il legis latore, consapevole del significato della espressione «si decide»,
consapevole che decisione non significa necessariamente deposi to dell'intero provvedimento e volendo che entro le quarantotto ore successive al momento dell'arresto o del fermo il giudice decida, invece, con un provvedimento completo, ha disposto che, entro quel termine, il giudice deve pronunciare, in udienza, o depositare la ordinanza.
d) Il legislatore, come altri in dottrina hanno osservato, se ha apportato questa modifica all'art. 391, 7° comma, c.p.p., in cui aveva usato il verbo decide, non ha toccato la norma dell'art. 309, 10° comma, in cui ha usato il sostantivo decisione e la ragione per cui questa norma è rimasta quella originaria sta, probabilmente, anche nel fatto che i problemi che si pongo no al giudice in sede di arresto in flagranza o di fermo sono, di norma, meno complessi di quelli che lo stesso giudice deve risolvere allorché sia chiamato al riesame di un provvedimento che abbia disposto una misura coercitiva.
7. - L'esame dei primi due motivi del ricorso impone che si affermi che il primo motivo è infondato e che il secondo è manifestamente infondato.
a) Con il primo si deduce — va ricordato — che l'ordinanza del g.i.p. è nulla perché motivata per relationem, con il sempli ce richiamo della richiesta del pubblico ministero di applicazio ne della misura cautelare, sicché — si sostiene — è conseguente mente nulla pure la ordinanza del tribunale.
La tesi non può essere condivisa.
I. - Supposto, invero, che il g.i.p. non abbia motivato il pro
prio provvedimento se non per relationem e che sia esatto l'as sunto secondo il quale non è consentita la motivazione per rela tionem —- cfr. però sez. un. 26 febbraio 1991, Bruno (id., 1991,
Il Foro Italiano — 1996.
II, 497), sulla legittimità dell'ordinanza di custodia cautelare
che, per quanto concerne la esposizione degli indizi di colpevo lezza, recepisce integralmente la richiesta del p.m. —, questa
Suprema corte ha più volte affermato che il provvedimento re
strittivo della libertà personale e l'ordinanza che decide sul rie
same sono tra loro strettamente collegati e complementari, tan
t'è che, una volta proposta richiesta di riesame, l'efficacia del
l'uno è condizionata alla tempestiva sopravvenienza di un
provvedimento di conferma.
Ne consegue, pertanto, che la motivazione del tribunale del
riesame integra e completa l'eventuale carenza di motivazione
del provvedimento del primo giudice, così come la motivazione
insufficiente del giudice del riesame può ben ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorché in quest'ulti mo il giudice abbia fornito le ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli art. 273, 274 e 275 c.p.p., lo abbiano determinato alla emissione del provvedimento medesimo (Cass. 27 marzo
1992, Patané, id., Rep. 1993, voce cit., n. 604; 16 luglio 1990,
Stefana, id., Rep. 1991, voce cit., n. 412; 25 febbraio 1994, Rau, id., Rep. 1994, voce cit., n. 588).
II. - Nel caso di specie il provvedimento impugnato è partico larmente articolato, avendo il tribunale sottoposto ad esame cri
tico tutti gli indizi di colpevolezza, ripercorrendo, sulla base delle intercettazioni telefoniche e delle intercettazioni ambienta
li, i rapporti tra il Moni e gli altri — Nicolò Cossu e Tonino
Crissantu — in concorso con i quali il Moni avrebbe commes
so, in Macomer, il reato di sequestro di persona a scopo di
estorsione in danno di Giuseppe Vinci.
Il tribunale, in altre parole, soffermandosi su una nutrita se rie di conversazioni, puntualmente indicate, tra il Moni e gli altri, ne ha vagliato il significato, concludendo, in termini di indubbia linearità logico-giuridica, che da quelle conversazioni si deduceva sia il riferimento ad un sequestro ancora in atto, sia la partecipazione del Moni all'azione delittuosa e, dunque, che gli indizi di colpevolezza a carido di quest'ultimo erano da definirsi gravi.
b) Il secondo motivo è manifestamente infondato perché, per quel che si è appena detto, l'ordinanza impugnata è tutta tesa alla dimostrazione, basata su quelle intercettazioni, della gravi tà degli indizi, logicamente desunta dal contenuto delle conver sazioni intercettate, contenuto e logicità che, <?ltre tutto, il ri
corrente, nel motivo, non ha minimamente contestato. 8. - Tutto ciò premesso il ricorso deve essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 17
aprile 1996; Pres. Guasco, Est. Papadia, P.M. (conci, conf.); ric. D'Avino. Conferma Trib. Venezia, ord. 20 settembre 1995.
Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Giu dizio di rinvio — Termine per la decisione — Osservanza —
Esclusione (Cod. proc. pen., art. 309). Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Causa
di incompatibilità — Effetti — Nullità del provvedimento —
Esclusione (Cod. proc. pen., art. 34, 37, 178).
Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento dell'ordinanza di riesame da parte della Corte di cassazione, non è applica bile l'art. 309, 9° e 10° comma, c.p.p., secondo cui l'ordi
nanza che dispone una misura coercitiva perde efficacia se la decisione sulla richiesta di riesame non interviene entro dieci
giorni dalla ricezione degli atti. (1)
(1) In senso conforme, Cass. 4 luglio 1995, Du Chene, Mass. Cass. pen., 1995, fase. 11, 67; 21 settembre 1992, Barone, Foro it., Rep. 1994, voce Sequestro penale, n. 125; 3 febbraio 1992, Cesario, id., Rep. 1993, voce Misure cautelari personali, n. 583; 10 gennaio 1991, Zucca, id., Rep. 1991, voce cit., n. 403; 27 aprile 1990, Scullari, id., Rep. 1990, voce cit., n. 110; 19 settembre 1988, Nicoli, id., Rep. 1989, voce
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