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sezioni unite penali; sentenza 18 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M....

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sezioni unite penali; sentenza 18 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M. Toscani (concl. diff.); ric. Liddi e altri. Annulla senza rinvio Trib. Taranto, ord. 25 e 28 agosto 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 373/374-385/386 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193762 . Accessed: 25/06/2014 10:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.115 on Wed, 25 Jun 2014 10:40:20 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 18 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M.Toscani (concl. diff.); ric. Liddi e altri. Annulla senza rinvio Trib. Taranto, ord. 25 e 28 agosto1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 373/374-385/386Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193762 .

Accessed: 25/06/2014 10:40

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GIURISPRUDENZA PENALE

Ritiene la corte che la discrezionalità amministrativa e tecnica

non è in discussione in questa sede, perché la camera di post

combustione, riguardante un'esigenza di tutela ambientale, è im

posta dalla legge nell'interesse generale, sicché la pubblica am

ministrazione non può arbitrariamente spostare nel tempo il ter

mine di operatività, del tutto estraneo al proprio potere.

Ove, come nel caso in esame, l'atto amministrativo si ponga in assoluto contrasto con la normativa per carenza del relativo

potere, il giudice può adottare una misura cautelare con il se

questro preventivo, onde evitare la prosecuzione di un'attività

pericolosa per la salute pubblica e l'ambiente, essendo ipotizza bile il reato di cui all'art. 51 d.leg. 22/97, così come rilevato

dal ricorrente.

Nel caso in esame è stata ipotizzata anche l'ipotesi del reato

di cui all'art. 323 c.p. ritenendosi consapevole e voluta la reite

rata proroga arbitraria di un termine di legge fino al 4 marzo

2001, benché tale termine sia scaduto il 28 aprile 1988 e, di

conseguenza, formalmente legittimata un'attività delicata di in

cenerimento di rifiuti pericolosi non più consentita per legge. La corte non può entrare nel merito su questo aspetto, che

richiede un obiettivo, fondato e responsabile accertamento nella

sede opportuna, ma si limita a ribadire l'indirizzo giurispruden ziale secondo cui in sede cautelare è sufficiente la sussistenza

di un fumus di seri indizi, che per la palese violazione delle

normative sui rifiuti certamente sussistono.

La più volte richiamata direttiva 67/94/Ce riguarda «l'ince

nerimento dei rifiuti pericolosi» per i profili attinenti alle emis sioni in atmosfera e non interferisce con la normativa sui rifiuti

in tema di smaltimento (caratteristiche costruttive, requisiti tec

nici, sito idoneo, compatibilità ambientale complessiva ex art.

6 1. 389/86 e d.p.c.m. dell'agosto 1988, ecc.). Un impianto non

può funzionare anche se rispetta i limiti di emissione, se non

è anche in regola con la normativa tecnica specifica per i rifiuti.

L'urgenza dell'emanazione della normativa tecnica nel setto

re ad opera del ministero dell'ambiente riguarda non solo i va

lori di emissioni in atmosfera (che possono essere soltanto uguali o più severi di quelli comunitari), ma anche altri aspetti come

la normalizzazione dei risultati delle misurazioni, i metodi di

campionamento e analisi, la prevenzione tecnologica di polveri e sostanze organiche volatili e odori in ogni fase di progettazio ne e gestione, le precauzioni per casi di avarie e malfunziona

menti, le caratteristiche della combustione e l'eventuale imposi zione di bruciatori ausiliari, il rigoroso controllo e l'efficienza, il recupero energetico, le procedure di ricezione dei rifiuti ed

il recupero, nonché le prescrizioni relative alle acque reflue, on

de evitare inquinamenti del suolo, sottosuolo e acque da sostan

ze pericolose. Giova sottolineare che esiste la base legale per tale intervento

ai sensi dell'art. 18 (1° comma, lett. a e b; 2° comma, lett.

a; 3° e 4° comma) d.leg. 22/97. Il ministro dell'ambiente può

sostituire, in tema di incenerimento di rifiuti pericolosi, la deli

berazione 27 luglio 1984, con nuove disposizioni, anche in at

tuazione delle direttive comunitarie, compresa quella 94/67/Cee.

Quest'ultima direttiva, se per alcuni aspetti si presenta speci fica e dettagliata (es. la fissazione dei limiti delle emissioni),

per altri profili (come ad es. si ricava dall'art. 3, 1° comma) ha ancora un carattere di genericità (es. per aspetti progettuali,

costruttivi, funzionali e gestionali), sicché l'integrazione nell'or

dinamento interno appare necessaria. L'integrazione è, poi, ne

cessaria per indicare i tempi di adeguamento degli inceneritori

esistenti alle nuove norme regolamentari e tecniche.

In attesa di questa normativa tecnica ad opera del ministero

dell'ambiente per l'incenerimento dei rifiuti pericolosi, analoga a quella opportunamente già emanata con il decreto 19 novem

bre 1997 n. 503 (che giustamente cita nelle premesse solo le

direttive comunitarie per i rifiuti urbani e non la direttiva

67/94/Ce sull'incenerimento dei rifiuti pericolosi) — normativa che potrebbe non più imporre la camera di post-combustione ma altre tecnologie anche maggiormente più efficaci, ex art.

57 d.leg. 22/97 — devono trovare applicazione le norme tecni

che sui rifiuti pericolosi già esistenti, che si ribadisce richiedono ancora oggi per l'incenerimento l'adozione di una camera di

post-combustione. Il Tribunale di Venezia a cui viene rinviato il presente proce

dimento deve attenersi ai principi sopra esposti per l'adozione

della misura cautelare invocata dal p.m.

Il Foro Italiano — 1999.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 18

gennaio 1999; Pres. Zucconi Gaili Fonseca, Est. Canzio, P.M. Toscani (conci, diff.); ric. Liddi e altri. Annulla senza rinvio Trib. Taranto, ord. 25 e 28 agosto 1998.

Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Omes

sa decisione nel termine — Perdita di efficacia della misura — Immediata liberazione del sottoposto — Proponibilità del

ia questione nel procedimento principale — Condizioni (Cod.

proc. pen., art. 306, 309).

Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosser

vanza dei termini di cui all'art. 309, 10° comma, c.p.p. l'im

mediata liberazione della persona sottoposta alla misura può essere chiesta al giudice del procedimento principale a norma

dell'art. 306 c.p.p., salvo che la richiesta sia già stata respinta nel procedimento incidentale di impugnazione. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 15 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M. Toscani (conci, conf.); ric. Caridi e altri. Annulla sen

za rinvio Trib. Reggio Calabria, ord. 14 gennaio 1998.

Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Omes

sa decisione nel termine — Perdita di efficacia della misura — Successivo giudizio di cassazione — Deducibilità (Cod. proc.

pen., art. 309).

La perdita d'efficacia dell'ordinanza coercitiva a norma dell'art.

309, 5° e 10° comma, c.p.p. è deducibile dall'interessato e

rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione avverso la deci sione del tribunale del riesame. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 16

dicembre 1998; Pres. Scorzelli, Est. Pafadia, P.M. (conci,

diff.); ric. Alagni. Annulla senza rinvio Trib. Lecce, ord. 27

aprile 1998.

Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Tra

smissione degli atti al tribunale — Termine — Decorrenza

(Cod. proc. pen., art. 309).

In tema di procedimento di riesame, il termine di cinque giorni entro il quale l'autorità procedente deve trasmettere, a pena di inefficacia della misura, gli atti previsti dall'art. 309, 5° comma, c.p.p. al tribunale della libertà decorre dal giorno della presentazione della richiesta di riesame. (3)

(1-3) Le tre riportate decisioni affrontano aspetti diversi di cospicua rilevanza in tema di procedimento di riesame e di conseguenze, sul pia no procedimentale, dell'omessa decisione, da parte del «tribunale della

libertà», entro il termine fissato dall'art. 309, 10° comma, c.p.p. La

pronuncia sub III, dopo un'ampia dissertatio sul valore delle sentenze

interpretative di rigetto della Corte costituzionale nelle sedi diverse dal

giudizio a quo, si incanala nel solco tracciato da Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232 (Foro it., 1998, I, 2314, con osservazioni di Di Chiara): grava, dunque, sui «tribunali della libertà» l'onere organizzativo di as sicurare la tempestività dell'invio all'«autorità giudiziaria procedente», dell'invito presidenziale di trasmettere gli atti di cui all'art. 309, 5° com

ma, c.p.p. (per la predisposizione, all'uopo, di idonee misure, cfr. la circolare 24 giugno 1998 della direzione generale degli affari penali del ministero di grazia e giustizia, citata in motivazione, il cui testo è ripro dotto in Guida al dir., 1998, fase. 26, 75); la decorrenza del termine di cinque giorni entro il quale, a pena d'inefficacia del titulum detentio

nss, tale adempimento va osservato, coincide, dunque, con il dies di

deposito della richiesta di riesame, sì da impartire al rito di cui all'art. 309 c.p.p. rigide scansioni temporali insuscettibili di aggiramenti di sorta.

Le decisioni sub I e II presuppongono — e ulteriormente ribadiscono — l'appena rammentato principio interpretativo. La pronuncia sub II, risolvendo un contrasto puntualmente ripercorso in parte motiva, ri

marca come la perdita di efficacia del titolo coercitivo ex art. 309, 10°

comma, c.p.p. sia oggetto di una devoluzione ex lege lungo la «linea cautelare» che, a seguito del decisum del «tribunale della libertà», si

sviluppa nel successivo rito di cassazione ex art. 311 c.p.p.: non solo,

dunque, l'interessato può dedurre la quaestio in sede d'impugnazione principale o di motivi aggiunti, ma la stessa corte di legittimità, investi

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PARTE SECONDA

I

Fatto e diritto. — 1. - Con le ordinanze impugnate il Tribu

nale di Taranto confermava, in sede di appello de libertate, il

rigetto delle richieste di immediata liberazione proposte al me

desimo tribunale, in veste di giudice competente per il merito, da Antonio Liddi, Cataldo Boccasini, Marco Cristallo, Massi

mo Ferrigni e Giuseppe Santovito, i quali avevano dedotto che

nel corso del procedimento di riesame, da loro in precedenza

promosso, si era prodotta la decadenza della misura coercitiva

loro inflitta per inosservanza del termine di cui all'art. 309, 5°

comma, c.p.p. Ritenevano i giudici dell'appello che la caducazione della mi

sura per mancato rispetto dei termini del giudizio di riesame

può essere fatta valere solo nell'ambito del procedimento inci

dentale di impugnazione, che è autonomo rispetto al procedi mento principale e non può essere sottoposto a verifica di rego larità da parte del giudice di questo procedimento.

Tutti gli interessati hanno proposto ricorso per cassazione so

stenendo che spetta al giudice che procede disporre l'immediata

liberazione della persona sottoposta alla misura cautelare, quando

questa abbia perso efficacia a causa del mancato rispetto del

termine di cui alla citata norma (così come interpretata dalla

Corte costituzionale con sentenza 232/98, Foro it., 1998, I, 2314). I ricorsi, assegnati alla quinta sezione penale della Corte di

cassazione, sono stati rimessi da quest'ultima alle sezioni unite

per la soluzione del contrasto interpretativo manifestatosi in or

dine al problema se la perdita d'efficacia della misura cautelare

ai sensi dell'art. 309, 10° comma, possa essere dichiarata dal

giudice del procedimento principale in applicazione dell'art. 306

c.p.p. Le sezioni unite hanno preliminarmente disposto la riunione

dei procedimenti e ordinato l'urgente acquisizione, presso gli uffici di questa corte e del giudice a quo, degli atti necessari

per identificare le scansioni temporali e i contenuti dei giudizi di riesame e di cassazione, proposti dai ricorrenti contro le or

dinanze applicative delle misure coercitive.

2. - Le sezioni unite sono chiamate a stabilire se, nel caso

di inosservanza dei termini di cui all'art. 309, 5° comma, in

relazione al 10° comma, c.p.p. — nella lettura che sul punto dell'omesso immediato avviso della presentazione della richiesta

di riesame ne ha data la Corte costituzionale con sentenza n.

232 del 1998, cit., condivisa da queste sezioni unite con senten

za 16 dicembre 1998, Alagni, in epigrafe — il giudice del proce

ta del ricorso avverso l'ordinanza conclusiva emessa dal tribunale del

riesame, ha il potere-dovere di dedurre ex officio l'inosservanza dei ter mini prescritti 4all'art. 309, 10° comma, c.p.p., pronunciando, in tal

caso, l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e la

prescritta consequenziale declaratoria di inefficacia del titulum detentionis. La decisione sub I chiarisce, infine, dopo l'esposizione degli estremi

del precedente contrasto interpretativo, come l'inefficacia del titolo coer citivo che scaturisce dall'omessa osservanza, nel rito del riesame, dei termini previsti dall'art. 309, 10° comma, c.p.p. ben possa essere de dotta avanti al giudice del procedimento principale, su cui incombe, ex art. 306 c.p.p., il potere-dovere di adottare le opportune statuizioni in caso — appunto — di sopravvenuta perdita di efficacia della misura. La corte ribadisce, tuttavia, il limite del «giudicato cautelare»: ove la quaestio, proposta nella linea cautelare (e, dunque, con ricorso per cas sazione ex art. 311 c.p.p.), sia già stata negativamente decisa non sarà consentito riproporla avanti al giudice del procedimento principale, il

quale subirà, dunque, sul punto l'intangibile vincolo del precedente decisum.

Va segnalato come, da ultimo, Cass. 12 aprile 1999, Caputo e altri

(che sarà riportata in un prossimo fascicolo), nel ribadire il principio posto dalla pronuncia sub I, abbia messo a fuoco una disarmonia so stanziale del sistema delle segmentazioni cronologiche del riesame così come riletto da Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232, cit., e di seguito dalla giurisprudenza delle sezioni unite: se la ratio ultima di tale assetto normativo, alla luce del diritto vivente, si sostanzia nell'imprimere cer tezza ai tempi della verifica de libertate, sì da porre l'interessato in

grado di ottenere il richiesto controllo entro e non oltre quindici giorni dalla proposizione della domanda introduttiva del riesame, appare —

si è posto in luce — incongruo, pur se de iure condito approdo obbliga to, che si attribuisca, riconnettendovi i trancianti effetti caducatori di cui all'art. 309, 10° comma, c.p.p., autonomo rilievo alla mera viola zione del termine di cinque giorni, ai fini della trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria procedente, anche nelle ipotesi in cui la decisione sul riesame sia di seguito comunque intervenuta nell'arco dei quindici giorni successivi al deposito della richiesta dell'interessato. [G. Di Chiara]

Il Foro Italiano — 1999.

dimento principale sia competente a dichiarare ai sensi dell'art.

306 c.p.p., in via esclusiva o concorrente con il giudice del pro cedimento incidentale d'impugnazione, la perdita d'efficacia del

l'ordinanza che dispone la misura coercitiva.

Con un primo indirizzo giurisprudenziale (sez. V 3 maggio

1995, De Gennaro, id., Rep. 1995, voce Misure cautelari perso

nali, nn. 588, 589; sez. I 21 giugno 1995, Franco, id., Rep.

1996, voce cit., n. 658; sez. IV 24 settembre 1996, Basanisi,

id., Rep. 1997, voce cit., n. 508; sez. I 4 marzo 1997, Cappuc

cio, ibid., n. 438), avallato da talune decisioni delle sezioni uni te (sez. un. 17 aprile 1996, Moni, id., 1996, II, 563; 16 dicem

bre 1998, Alagni, in epigrafe), questa corte ha statuito che la

declaratoria d'inefficacia dell'ordinanza coercitiva spetta, di re

gola, al giudice del procedimento principale ai sensi dell'art.

306 c.p.p., e in via eccezionale anche alla Corte di cassazione

sul ricorso contro l'ordinanza di riesame, quando la relativa

questione sia stata proposta unitamente ad altre attinenti alla

legittimità originaria della misura cautelare. Con altro orienta

mento interpretativo (sez. V 12 ottobre 1998, Cesario; sez. I

7 maggio 1998, Tirino; 13 febbraio 1996, Palmas, id., Rep. 1996, voce cit., n. 572; sez. VI 10 luglio 1992, Valenzise, id., Rep.

1993, voce cit., n. 596) ha invece affermato che legittimato a

siffatta pronuncia è soltanto il giudice dell'impugnazione de li

beriate, essendo la perdita d'efficacia della misura ricollegata ad invalidità proprie del medesimo procedimento incidentale.

Le sezioni unite, nell'ipotesi di sospensione obbligatoria del pro cedimento di riesame per la risoluzione di una pregiudiziale co

stituzionale, hanno peraltro avvertito che l'imputato, il quale

ritenga di avere diritto alla liberazione per la perdita d'efficacia

della misura coercitiva secondo l'art. 309, 10° comma, c.p.p.,

può adire — «in deroga alla competenza funzionale normal

mente spettante al tribunale della libertà in costanza del giudi zio di riesame» — il giudice del procedimento principale ai sen

si dell'art. 306 c.p.p. (sez. un. 17 aprile 1996, Vernengo, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 593). La questione da risolvere si collega dunque con quella della

legittimazione del giudice del procedimento incidentale d'impu

gnazione a dichiarare, in questa ipotesi, la perdita d'efficacia

dell'ordinanza coercitiva.

A tale quesito queste sezioni unite hanno dato risposta positi va con sentenza pronunciata il 15 gennaio 1999, Caridi, in epi

grafe, affermando che, nei casi di perdita di efficacia della mi

sura coercitiva a norma dell'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., la caducazione è deducibile dall'interessato e rilevabile d'ufficio

nel corso dell'ordinario giudizio incidentale di riesame. Se l'i

nefficacia non sia stata dedotta dall'interessato né rilevata d'uf

ficio, essa può essere fatta valere per la prima volta o rilevata

d'ufficio, anche oltre i limiti del devoluto, nel giudizio di cas

sazione.

3. - Rimane perciò da stabilire se la caducazione della misura

cautelare a norma dell'art. 309, 10° comma, c.p.p. possa essere

dichiarata, oltre che dal giudice del procedimento incidentale di impugnazione, anche dal giudice del procedimento principale.

Come si è detto, queste sezioni unite hanno già avuto modo di affermare che, nei casi di perdita di efficacia della misura

coercitiva secondo l'art. 309, 10° comma, c.p.p., l'imputato può adire quel giudice al fine di far dichiarare la caducazione della misura e ottenere l'immediata liberazione. Hanno inoltre speci ficato che la domanda dell'imputato, in quanto diretta alla tu tela di un diritto assoluto e inviolabile, è proponibile in ogni tempo, salvo soltanto il limite della preclusione, ove la questio ne abbia già formato oggetto di c.d. giudicato cautelare nelle sedi proprie (sez. un. 17 aprile 1996, Vernengo, cit.).

Il principio deve essere ribadito, riaffermandosi che, quando la perdita d'efficacia del provvedimento restrittivo della libertà non sia stata dedotta nel procedimento incidentale d'impugna zione, né il giudice l'abbia rilevata d'ufficio, così da rimanere

estranea alle relative statuizioni decisorie, non vi è alcuna ragio ne di ordine logico-giuridico che possa impedire di richiedere al giudice del procedimento principale il provvedimento di im mediata liberazione conseguente all'estinzione della misura cau

telare, ai sensi dell'art. 306 c.p.p. In particolare, poiché l'art. 309 fa parte dello stesso titolo

del codice che include l'art. 306, e questo si riferisce ai «casi in cui la custodia cautelare perde efficacia secondo le norme di questo titolo», l'obbligo del giudice di disporre l'immediata liberazione non può non concernere anche le ipotesi di caduca zione di cui all'art. 309, 10° comma, allo stesso modo delle

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GIURISPRUDENZA PENALE

ipotesi di estinzione di cui al capo V, anch'esse collegate al so

pravvenire di eventi che non riguardano i presupposti probatori e cautelari della misura e non incidono sulla validità dell'ordi

nanza che l'ha disposta. Ad avviso dei giudici di appello la questione della caducazio

ne della misura per mancato rispetto dei termini del giudizio di riesame non potrebbe essere sottoposta alla verifica del giu dice del procedimento principale, il quale verrebbe a sindacare il regolare svolgimento del giudizio d'impugnazione. Ma in con

trario è da osservare che l'art. 309, 10° comma, c.p.p., sancisce

la perdita d'efficacia della misura coercitiva come effetto auto

matico della violazione dei termini richiamati. Si tratta di san

zione — prevista dal legislatore in ossequio alla garanzia di ha

beas corpus (art. 13 Cost.; art. 5.4 della convenzione europea dei diritti dell'uomo; art. 9.4 patto internazionale dir. civ. e

poi.), con le inderogabili e coessenziali caratteristiche di rapidi tà e certezza (sez. un. 15 gennaio 1999, Caridi, cit.; 29 ottobre

1997, Schillaci, id., 1998, II, 81) — che consegue ipso iure alla

detta inosservanza, talché non v'è spazio per un sindacato o

apprezzamento valutativo quale quello ipotizzato dai giudici di

appello. 4. - Si deve tuttavia ribadire che la questione di cui si discute

è proponibile nel procedimento principale soltanto se non è sta

ta decisa nel procedimento incidentale di impugnazione (riesa me o ricorso per cassazione).

Queste sezioni unite hanno infatti stabilito che si determina

una preclusione endoprocessuale a seguito delle pronunce emes

se dal tribunale in sede di riesame, se non impugnate mediante

ricorso per cassazione, ovvero dalla Corte di cassazione se im

pugnate (sez. un. 1° luglio 1992, Grazioso, id., 1993, II, 290; 18 giugno 1993, Dell'Omo, id., 1994, II, 79; 12 ottobre 1993, Stablum e Capitali, id., Rep. 1994, voce cit., n. 624; 12 ottobre

1993, Durante, id., 1994, II, 1; 8 luglio 1994, Buffa, id., 1995, II, 455; 25 giugno 1997, Gibilras, id., Rep. 1997, voce cit., n.

578). Si è precisato che la preclusione ha un'efficacia più ri

stretta rispetto a quella della cosa giudicata, perché include sol

tanto le questioni dedotte e non anche quelle deducibili, e so

prattutto opera «allo stato degli atti», restando condizionata

al permanere della situazione di fatto.

Tuttavia essa realizza una situazione di stabilità della decisio

ne, funzionale anche all'esigenza di evitare contraddizioni nel

processo, e non consente all'interessato di reiterare la medesima

richiesta utilizzando strumentalmente il procedimento discipli nato dall'art. 306 c.p.p.

5. - Nella specie, il termine di cinque giorni per la trasmissio

ne degli atti, decorrente non dalla ricezione dell'avviso da parte dell'autorità procedente ma dal giorno della presentazione della

richiesta di riesame, non è stato rispettato per i ricorrenti Liddi

(richiesta di riesame 15 novembre 1997 - trasmissione degli atti

24 novembre 1997) e Ferrigni (richiesta di riesame 22 novembre

1997 - trasmissione degli atti 11 dicembre 1997). I suddetti ricorrenti hanno perciò conseguito il diritto a riac

quistare lo status libertatis, né ha rilevanza l'omessa deduzione

0 rilevazione dell'evento caducatorio nel corso del procedimen to incidentale d'impugnazione dell'ordinanza coercitiva (sez. un.

1° ottobre 1991, Alleruzzo, id., 1992, II, 65). Deve pertanto pronunciarsi l'annullamento senza rinvio delle

ordinanze impugnate e dichiararsi l'inefficacia dell'ordinanza che

ha disposto la custodia cautelare, in applicazione del seguente

principio di diritto: «Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, 10° comma, c.p.p., l'immediata liberazione della persona sotto

posta alla misura può essere chiesta al giudice del procedimento

principale a norma dell'art. 306 c.p.p.». 6. - Ad analoghe conclusioni non può invece pervenirsi per

1 ricorrenti Boccasini, Cristallo e Santovito, nei confronti dei

quali questa Corte di cassazione, con sentenze 15 maggio 1998, n. 3066 e 20 maggio 1998, n. 3125, nel pronunciare il rigetto dei ricorsi da essi proposti avverso le ordinanze del riesame del

Tribunale di Lecce, ha disatteso il motivo di gravame riguar dante la violazione dell'art. 309, 5° comma, c.p.p.

I loro ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in appli cazione del seguente principio di diritto: «Nei casi in cui la cu

stodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini ri

chiamati dall'art. 309, 10° comma, c.p.p., l'immediata libera

zione della persona sottoposta alla misura non può essere chiesta

al giudice del procedimento principale, a norma dell'art. 306

c.p.p., quando la richiesta sia già stata respinta nel procedi mento incidentale d'impugnazione».

Il Foro Italiano — 1999.

II

Fatto e diritto. — 1. - Con due ordinanze del 14 gennaio 1998 il Tribunale di Reggio Calabria confermava, in sede di

riesame, la misura cautelare della custodia in carcere applicata a tutti gli indagati indicati in epigrafe per i reati di cui agli art. 416 bis e 629 c.p., nonché a Caridi Giuseppe e Caridi Bru

no (nato nel 1966) per il delitto di omicidio. La gravità degli indizi era affermata sulla base di intercetta

zioni telefoniche e delle dichiarazioni di alcuni collaboratori; le esigenze cautelari erano ritenute in relazione alla presunzione stabilita dall'art. 275, 3° comma, c.p.p., per le associazioni mafiose.

I difensori degli indagati hanno proposto ricorso per cassa zione deducendo violazione di legge, vizio di motivazione, inu

tilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, inattendibilità dei

collaboratori, omessa valutazione critica degli indizi. II difensore di Condemi Antonino ha dedotto anche mancan

za di motivazione sulla questione, già sollevata in sede di riesa

me, dell'inefficacia dell'ordinanza coercitiva per la tardiva tra

smissione degli atti al tribunale del riesame. Lo stesso motivo

è stato dedotto, quale «motivo nuovo», anche dal difensore di

Caridi Leo e Bruno (nato nel 1958), del Melari e del Nocera.

I ricorsi, assegnati alla quinta sezione di questa corte, sono

stati rimessi alle sezioni unite, ritenendosi l'esistenza di un con

trasto interpretativo su questione rilevante ai fini della efficacia

dell'ordinanza coercitiva: se la violazione dei termini richiamati

dall'art. 309, 10° comma, possa essere dedotta quale «motivo

nuovo» e rilevata d'ufficio nel giudizio di cassazione contro l'or

dinanza di riesame.

La sezione rimettente postula una rimeditazione del principio della non deducibilità nel giudizio di riesame della perdita di

efficacia della misura coercitiva, affermato dalle sezioni unite

con le sentenze 5 luglio 1995, Galletto, Foro it., Rep. 1995, voce Misure cautelari personali, n. 577, e 17 aprile 1996, Moni,

id., 1996, II, 563 (con il temperamento fissato però da quest'ul

tima, secondo cui la questione può essere proposta insieme ad

altre concernenti la legittimità originaria del provvedimento coer

citivo mediante il ricorso per cassazione avverso la decisione

del riesame), in considerazione dell'altro principio, pure affer

mato dalle sezioni unite con sentenza 29 ottobre 1997, Schillaci

(id., 1998, II, 81), per la quale «il venir meno della misura

coercitiva ai sensi dell'art. 309, 5° e 10° comma, si traduce giu ridicamente in una causa di preclusione per il tribunale perché è ormai trascorso il termine riservato alla verifica giurisdiziona le del titolo custodiale», con la conseguenza che il vizio del pro cedimento sarebbe comunque rilevabile d'ufficio in sede di le

gittimità ex art. 609, 2° comma, c.p.p. I ricorsi vengono decisi congiuntamente per effetto della riu

nione, disposta all'odierna udienza, del procedimento n. 13929/98

al n. 10562/98.

2. - Le sezioni unite sono chiamate a stabilire se l'inosservan

za dei termini previsti dall'art. 309, 5° comma, c.p.p. — secon

do la lettura che sul punto dell'omissione di immediato avviso

della presentazione di richiesta di riesame ne ha data la Corte

costituzionale con sentenza 232/98 (ibid., I, 2314), condivisa da queste sezioni unite con sentenza 16 dicembre 1998, Alagni, in epigrafe — e la conseguente perdita di efficacia dell'ordinan

za coercitiva possano, nel giudizio di cassazione instaurato av

verso la decisione del riesame, essere rilevate anche d'ufficio

ai sensi dell'art. 609, 2° comma, ovvero dedotte quali «motivi

nuovi» nell'ambito del disposto degli art. 311, 4° comma, e

585, 4° comma, c.p.p.

Rispetto a tale questione risulta però pregiudiziale il proble ma della legittimazione del giudice del procedimento incidentale

d'impugnazione a dichiarare, nell'ipotesi considerata, la perdita automatica di efficacia dell'ordinanza coercitiva, problema al

quale la giurisprudenza di legittimità ha dato soluzioni non uni

voche, anche se in prevalenza ispirate alla finalità di evitare,

per il preminente favor libertatis, il ritardo della decisione.

Con un primo indirizzo giurisprudenziale (sez. V 3 maggio

1995, De Gennaro, id., Rep. 1995, voce cit., nn. 588, 589; sez.

I 21 giugno 1995, Franco, id., Rep. 1996, voce cit., n. 658; sez. IV 24 settembre 1996, Basanisi, id., Rep. 1997, voce cit., n. 508; sez. I 4 marzo 1997, Cappuccio, ibid., n. 438) avallato

da talune decisioni delle sezioni unite (sez. un. 17 aprile 1996,

Moni, cit.; 16 dicembre 1998, Alagni, cit.), questa corte ha sta

tuito che la declaratoria d'inefficacia dell'ordinanza coercitiva

spetta, di regola, al giudice del procedimento principale ai sensi

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PARTE SECONDA

dell'art. 306 c.p.p., e in via eccezionale anche alla Corte di cas

sazione sul ricorso contro la decisione del riesame, quando la

relativa questione sia stata proposta unitamente ad altre atti

nenti alla legittimità originaria della misura cautelare. Con altro

orientamento interpretativo (sez. V 12 ottobre 1998, Cesario;

sez. I 7 maggio 1998, Tirino; 13 febbraio 1996, Palmas, id., Rep. 1996, voce cit., n. 572; sez. VI 10 luglio 1992, Valenzise,

id., Rep. 1993, voce cit., n. 596) ha invece affermato che legitti mato a siffatta pronuncia è soltanto il giudice dell'impugnazio ne de liberiate, essendo la perdita d'efficacia della misura ricol

legata ad invalidità proprie del medesimo procedimento inci

dentale. Le sezioni unite, nell'ipotesi di sospensione obbligatoria del procedimento di riesame per la risoluzione di una pregiudi ziale costituzionale, hanno peraltro avvertito che l'imputato, il

quale ritenga di avere diritto alla liberazione per la perdita d'ef

ficacia della misura coercitiva secondo l'art. 309, 10° comma,

c.p.p., può adire — «in deroga alla competenza funzionale nor

malmente spettante al tribunale della libertà in costanza del giu dizio di riesame» — il giudice del procedimento principale ai

sensi dell'art. 306 (sez. un. 17 aprile 1996, Vernengo, id., Rep.

1996, voce cit., n. 593). L'art. 309, 10° comma, c.p.p., nel testo sostituito dall'art.

16 1. 8 agosto 1995 n. 332, stabilisce che la perdita di efficacia

dell'ordinanza impositiva della misura segue all'inosservanza sia

del termine stabilito per la trasmissione degli atti al tribunale, sia del termine per la decisione sulla richiesta di riesame.

La rigida disciplina trova il suo fondamento nella rilevanza

costituzionale del bene primario della libertà personale (art. 13

Cost.) e in quelle norme delle convenzioni internazionali che

sanciscono il diritto di ogni persona sottoposta ad arresto o

detenzione a ricorrere al giudice per ottenere, «entro brevi ter

mini» (art. 5.4 della convenzione europea dei diritti dell'uomo) e «senza indugio» (art. 9.4 patto internazionale dir. civ. e poi.), una decisione sulla legalità della detenzione e sulla liberazione:

previsioni alle quali il codice di procedura penale si è adeguato in osservanza dell'art. 2, 1° comma, della legge delega.

È proprio la ratio legis a spiegare, nell'interpretazione logico sistematica di questa corte (sez. un. 29 ottobre 1997, Schillaci,

cit.; 16 dicembre 1998, Alagni, cit.) e del giudice della costitu

zionalità delle leggi (Corte cost., 232/98, cit.), l'accentuato ri

gore dato alle garanzie del diritto di libertà personale. L'effetti

va tutela de\Y habeas corpus presuppone infatti che il controllo

di legalità si svolga, nel contraddittorio sia pure differito fra

le parti, entro termini tassativamente stabiliti.

3. - Come si è detto, questa corte ha già statuito che, nei

casi di perdita di efficacia del provvedimento cautelare a norma

dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., il soggetto che ha diritto a

riacquistare la libertà può in ogni tempo, salvo il limite della

preclusione derivante dal «giudicato cautelare», chiedere al giu dice del procedimento principale la dichiarazione di sopravve nuta caducazione della misura (sez. un. 17 aprile 1996, Vernen

go, cit.). Tuttavia, anche nel corso del giudizio incidentale di riesame

l'imputato può agire davanti a quel giudice per far valere l'au

tomatica caducazione dell'ordinanza di custodia cautelare per l'inosservanza dei termini della medesima procedura richiamati

dall'art. 309, 10° comma, c.p.p. (sez. un. 17 aprile 1996, Ver

nengo, cit.; sez. V 12 ottobre 1998, Cesario; sez. I 7 maggio

1998, Tirino; 13 febbraio 1996, Palmas, cit.; sez. VI 29 ottobre

1992, Valenzise, cit.).

Egli quindi non è obbligato a devolvere la cognizione al giu dice del procedimento principale, corrispondendo alla logica com

plessiva del sistema processuale il riconoscimento che il giudice della procedura incidentale d'impugnazione è giudice della pro

pria competenza (sez. un. 20 luglio 1994, De Lorenzo, id., 1995,

II, 445, e 25 ottobre 1994, De Lorenzo, id., Rep. 1995, voce

Competenza penale, n. 97), della regolare instaurazione del con

traddittorio e della validità di ogni suo atto (Cass., sez. V, 11

marzo 1994, Forcinelli, ibid., voce Sentenza penale, n. 91). A

maggior ragione, egli è giudice del rispetto dei termini della pro cedura, dalla cui inosservanza può derivare la perdita di effica

cia dell'ordinanza coercitiva, logicamente pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione di legittimità o di merito (sez. un. 27

marzo 1996, Monteleone, id., 1996, II, 710; 29 ottobre 1997,

Schillaci, cit.). 4. - Questa giurisprudenza va pertanto mantenuta, riaffer

mandosi che il mancato rispetto del termine prescritto dall'art.

309, 5° comma, è deducibile dall'interessato e rilevabile d'uffi

II Foro Italiano — 1999.

ciò nel procedimento davanti al giudice chiamato a decidere sul

l'impugnazione. Se nel giudizio di riesame l'inefficacia del provvedimento coer

citivo non sia stata dedotta o rilevata d'ufficio, essa può essere

conosciuta nell'eventuale successivo giudizio di cassazione, in

cui la questione può dunque essere sollevata dal ricorrente indi

pendentemente da altri motivi attinenti alla legittimità origina ria della misura, o rilevata d'ufficio anche oltre i limiti del de

voluto: poiché la perdita di efficacia del provvedimento impu

gnato incide sul thema decidendum, devoluto alla Corte di

cassazione con motivi di ricorso riferiti alla legittimità origina ria della misura, essendo la permanenza della forza cogente del

titolo pregiudiziale ai fini della decisione. 5. - L'affermata rilevabilità d'ufficio della questione riguar

dante la perdita d'efficacia della misura assorbe il tema del

l'ammissibilità dei motivi nuovi proposti da taluni degli indaga

ti, al pari di quello — prospettato dalla pubblica accusa — del

l'efficacia estensiva della decisione favorevole al Condemi

Antonino, unico ricorrente ad avere eccepito nel giudizio di rie

same l'inutile decorso del termine per la trasmissione degli atti.

Poiché nella specie l'inosservanza del termine si è verificata

in relazione ad ogni ricorrente (richieste di riesame e trasmissio

ne degli atti rispettivamente alle date 27 dicembre 1997 - 5 gen naio 1998 e 29 dicembre 1997 - 5 gennaio 1998), le ordinanze

impugnate devono essere annullate senza rinvio, così come l'or

dinanza di custodia cautelare, sulla base del seguente principio di diritto: «La perdita d'efficacia dell'ordinanza coercitiva a nor

ma dell'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., è deducibile dall'inte

ressato e rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione avverso

la decisione del tribunale del riesame».

Tale conclusione comporta l'assorbimento di tutti gli altri mo

tivi di ricorso.

Ili

Motivi della decisione. — 1. - Per completezza espositiva e

per chiarire i termini della vicenda, è necessario indicare, anche

se sinteticamente, l'iter che ha dato luogo al procedimento in

esame.

Con sentenza 25 marzo 1998, Savino, queste sezioni unite, essendo state investite, anche se incidentalmente, del problema relativo alla decorrenza del termine di cui all'art. 309, 5° com

ma, c.p.p., confermavano la concorde giurisprudenza di merito

e di legittimità secondo cui il termine predetto decorre dal gior no in cui l'avviso del tribunale perviene all'autorità procedente. Detta decisione veniva depositata il 30 giugno 1998.

Senonché, in data 22 giugno 1998, n. 232, la Corte costitu

zionale (Foro it., 1998, I, 2314), adita dalla I sezione penale di questa Suprema corte, depositava una decisione con la quale dichiarava non fondata, «nei sensi di cui in motivazione», la

questione medesima ed enunciava il principio secondo cui il ter

mine dei cinque giorni cominciava a decorrere nel momento in

cui la richiesta di riesame viene presentata allo stesso tribunale

competente. Detta decisione veniva pubblicata sulla Gazzetta

ufficiale, serie speciale del 1° luglio 1998.

In tale ultima data la V sezione penale di questa Suprema

corte, non tenendo conto della decisione della Corte costituzio

nale, con due provvedimenti conformi (in proc. Catapano Giu

seppe e Catapano Antonio), ribadiva la precedente costante giu

risprudenza sul punto. Al contrario, nella stessa data del 1°

luglio 1998, la VI sezione penale, in proc. Musolino, aderiva

all'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale.

Successivamente, all'udienza del 3 luglio 1998, ancora la V

sezione penale, pur prestando ossequio al dictum della Consul

ta, rimetteva il ricorso (in proc. Romano) alle sezioni unite sul

rilievo di un esistente contrasto di giurisprudenza. Il primo presidente aggiunto, con decreto 21 luglio 1988, di

sponeva la trasmissione degli atti alla sezione feriale sul rilievo

che un eventuale dissenso dall'interpretazione fornita dalla Cor

te costituzionale imponeva al giudice di nuovamente sollevare

questione di legittimità costituzionale.

Seguivano altre decisioni che tutte si conformavano alle con

clusioni della Corte costituzionale (sez. IV 7 luglio 1998, Caru

so; sez. I 22 settembre 1998, Morrone; sez. V 24 settembre 1998,

Mangieri; sez. I 1° ottobre 1998, Susca). Con ordinanza 26 ottobre 1998, la VI sezione, in proc. Man

ganelli, sollevava ancora questione di legittimità costituzionale

dell'art. 309, 5° comma, c.p.p., ritenendo non condivisibili le

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GIURISPRUDENZA PENALE

conclusioni di cui alla decisione 232/98, cit., ma parimenti ille

gittima la norma per violazione degli art. 13 e 24 Cost.

La stessa I sezione con ordinanza 6 novembre 1998, ravvisan do l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale, rimetteva a queste sezioni unite, il procedimento Alagni Angelica.

2. - Ritiene questa corte che effettivamente il denunziato con trasto sussiste nei termini di cui innanzi, essendo state emanate decisioni di opposto contenuto in breve lasso di tempo dopo il deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 232 del

1998, cit. 3. - Circa l'ammissibilità del motivo nuovo presentato dalla

difesa dell'indagata dopo la pubblicazione della sentenza della

Corte costituzionale n. 232 del 1998, occorre rilevare che già con i motivi del proposto ricorso si era eccepita violazione del

l'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., per non essere stati trasmes

si tutti gli atti di cui all'art. 291 c.p.p., entro il termine di legge. Con il motivo in esame viene censurato lo stesso punto della

decisione impugnata anche se la violazione dello stesso termine

viene prospettata sotto altra angolazione. In ogni caso, va ricordato che, anche se è vero che le cause

che determinano l'inefficacia della custodia cautelare, non agendo sul piano della legittimità dell'ordinanza applicativa della misu

ra cautelare, debbono essere fatte valere attraverso l'istanza di

revoca di cui all'art. 306 c.p.p. ed i rimedi dell'appello e del

ricorso per cassazione, è altresì pacifico per costante giurispru denza, ribadita da sez. un. 3 luglio 1997, Moni, che qualora con il ricorso avverso la decisione sulla richiesta di riesame sia

censurata, con la perdita di efficacia del provvedimento coerci

tivo, anche la legittimità originaria dello stesso, si opera la vis

attractiva del proposto gravame e si radica la competenza del

giudice di legittimità. Con la conseguenza che, se l'eccezione

d'inefficacia sopravvenuta è fondata, si evita il ritardo della

decisione de libertate.

4. - Tanto premesso in fatto, va a questo punto rilevato che

la categoria delle sentenze c.d. «interpretative» emanate dalla

Corte costituzionale nel rigettare le impugnative rappresenta un

tertium genus tra quelle di accoglimento e di semplice rigetto ed è stata introdotta dalla giurisprudenza della predetta corte

a partire dalla decisione n. 8 del 1956 (id., 1956, I, 1050), 26

gennaio 1957, n. 1 (id., 1957, I, 354), e 19 febbraio 1965, n. 11 (id., 1965, I, 385). È seguita nel tempo una nutrita giurispru

denza, sempre costituzionale, che ha di volta in volta sviluppa to e fissato principi e regole valide per la fissazione di alcuni

precetti di carattere generale e si è manifestata una vivace attivi

tà dottrinaria cui hanno partecipato i maggiori cultori della

materia.

Circa il significato delle sentenze «interpretative di rigetto», occorre rifarsi alle decisioni predette che ne hanno delineato

le caratteristiche. Dopo aver premesso la distinzione tra «nor

ma» e «disposizione legislativa» nel senso che la Corte costitu

zionale sin dall'inizio ha posto in evidenza che l'interpretazione delle norme sottoposte al suo giudizio può anche distaccarsi dai

termini indicati nei ricorsi e nelle ordinanze, si è passato a spe cificare che possono essere emanate sentenze di rigetto «nel sen

so di cui in motivazione», e cioè pronunce basate sulla necessa

ria premessa secondo la quale ogni disposizione legislativa deve

essere interpretata «al fine di accertarne la legittimità costitu

zionale nell'attuale sistema nel quale vive»; posto che «lo stabi

lire quale sia il contenuto delle norme impugnate appartiene al giudizio della corte non meno della comparazione che ne con

segue fra la norma interpretata e la norma costituzionale, l'una

e l'altra essendo parti inscindibili di un giudizio che è propria mente suo» (v. le sentenze della Corte costituzionale sopra ri

chiamate n. 8 del 1956 e n. 11 del 1965). In linea generale si è quasi sempre ritenuto che non debba

trattarsi di risoluzioni che possano contrastare con il c.d. «dirit

to vivente», terminologia coniata dalla stessa dottrina e dalla

giurisprudenza costituzionale per significare interpretazioni giu

risprudenziali prevalenti o consolidate. In tali ipotesi, infatti, la stessa Corte costituzionale adegua la sua funzione interpreta

trice, anche allo scopo di evitare contrasti inopportuni. In tal

senso esiste un vasto numero di decisioni costituzionali (v. sent.

17/87, id., 1987, I, 1003; 18/87, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2161; 100/87, id., 1987,1, 1671; 170/87, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 575; 192/87, ibid., voce Sani

tà pubblica, nn. 252-254;81/88, id., 1988, I, 2462; 82/88, ibid., 3215; 279/88, id., 1990, I, 2149, ed altre) con le quali la corte

si è adeguata ad un «diritto vivente» già affermato.

Ma è chiaro che questa autolimitazione che la Corte costitu

ii Foro Italiano — 1999.

zionale si è imposta sulla base del principio che «le norme sono non quali appaiono in astratto, ma quali sono applicate nella

quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed effi

caci», non può sempre funzionare «avendo la corte la funzione di porre a confronto la norma, nel significato ad essa attribui

to, con le disposizioni della Costituzione, per rilevarne eventua li contrasti e trarne le conseguenze sul piano costituzionale» (sen tenza n. 129 del 1975, id., 1975, I, 2178).

È ovvio, quindi, che il vincolo del «diritto vivente» non signi fica subordinazione dell'interpretazione del giudice delle leggi all'interpretazione giudiziaria; che anzi, la consuetudine inter

pretativa uniforme rappresenta non un limite ma un sostegno alla valutazione effettuata dalla Corte costituzionale, come è

dimostrato dal fatto che in varie occasioni è stata abbandonata dal predetto organo la valutazione divenuta costante dal giudice ordinario per adeguare la stessa ad una visione rispondente ai

principi costituzionali. E ciò perché, di contro alla separazione dei due sistemi normativi, quello ordinario e quello costituzio

nale, la Corte costituzionale ha adottato il criterio del collega mento c.d. intersistemico secondo cui in ciascun sistema norma

tivo, ordinario e costituzionale, debbono essere presenti rispet tivamente le regole costituzionali ed ordinarie. Con la conse

guenza che la norma impugnata può essere dichiarata illegitti ma anche in conseguenza di una ricostruzione non coincidente con quella prospettata nell'ordinanza di rinvio ovvero la que stione essere dichiarata non fondata in base ad un'interpreta zione non considerata dall'autorità denunziante.

Dal che deriva, poi, che la corte delle leggi, in casi consimili, non pronuncia direttamente la dichiarazione d'incostituzionali

tà, ma preferisce una decisione che salvi l'esistenza della norma

a condizione che alla stessa venga attribuito un significato che

sia non incompatibile con il parametro costituzionale.

5. - Ma, ove la giurisprudenza della Corte di cassazione non

si sia ancora consolidata ovvero esista contrasto di decisioni, la Corte costituzionale riacquista la sua completa autonomia

interpretativa. Nel primo caso la dottrina parla di decisioni «correttive»,

mentre, nella seconda ipotesi, in cui viene disattesa l'interpreta zione fornita dal giudice a quo rimettente, le decisioni vengono definite «adeguatrici», nel senso che le stesse mirano soprattut to a far valere i principi costituzionali sulla base di un sindacato

di legittimità rivolto alla norma più che al testo legislativo e

tale da rendere appunto il contenuto normativo «non incompa tibile» con le norme della Costituzione.

L'adozione del criterio della «non incompatibilità» appare il

più idoneo per l'adoperata formula del rigetto soprattutto in

relazione al principio che la decisione deve intendersi «nel senso

di cui in motivazione» e spiega le ragioni quanto agli effetti

della stessa decisione nei confronti del giudice rimettente ed in

qualche misura in ordine a tutti gli altri procedimenti similari.

6. - Al riguardo, la giurisprudenza di questa Suprema corte

non è vasta.

Si ricorda innanzitutto la decisione delle sez. un. 13 dicembre

1995, Clarke (id., 1996, II, 343) che, affrontando ex professo il problema, ha affermato che le sentenze interpretative di riget to della Corte costituzionale non sono munite di efficacia erga omnes come quelle dichiarative d'incostituzionalità; che, per

tanto, le stesse assumono il valore di mero precedente; che il

giudice può discostarsi dall'interpretazione fornita dalla corte

e sollevare anche nuova questione di legittimità della stessa di

sposizione per le medesime ragioni già dalla corte disattese; che,

però, la sentenza interpretativa di rigetto determina nel giudizio a quo il sorgere di una preclusione endoprocessuale; che tale

vincolo deriva dal carattere incidentale del giudizio di legittimi tà costituzionale e dal nesso di necessaria pregiudizialità che

lo lega a quello principale; che, in conseguenza, la medesima

questione non può essere riproposta nello stesso giudizio e nel

medesimo grado, ma neppure in quelli successivi dello stesso

processo; che, infine, lo stesso giudice ordinario non può attri

buire alla norma di legge denunciata una portata esegetica dalla

Corte costituzionale ritenuta non corretta.

Analogamente si era già pronunciata la stessa Corte di cassa

zione, sez. I, 25 ottobre 1986, n. 6260 (id., Rep. 1986, voce

Corte costituzionale, n. 36), in cui, con ampia motivazione, erano

state espresse le medesime considerazioni; e, prima ancora, che

le sezioni unite civili con la sentenza n. 147 del 1958 (id., Rep.

1958, voce cit., n. 97), che avevano addirittura concluso, sem

pre rispetto al caso deciso, per l'efficacia con piena autorità

di giudicato.

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PARTE SECONDA

E tali conclusioni erano state successivamente ribadite con

la decisione della Corte costituzionale 25 maggio 1990, n. 268

{id., 1990, I, 3067), la quale aveva a sua volta affermato che

è precluso allo stesso giudice a quo sollevare questione identica

a quella già dichiarata infondata nel corso del medesimo giudi

zio, anche nella ipotesi in cui la riproposizione della questione muova dall'interpretazione esclusa dalla corte con pronuncia avente natura interpretativa; mentre, ancora prima, la stessa Cor

te costituzionale (sentenza n. 54 del 1961, id., 1961, I, 1569), aveva proclamato la regola dell'inammissibilità della riproposi zione della medesima questione da parte del medesimo giudice a quo nel corso dello stesso processo.

Il tutto in carenza quasi totale di referenti normativi, non

esistendo altro riferimento se non l'art. 137 Cost, (secondo cui

contro le decisioni della corte non è ammessa alcuna impugna

zione), l'art. 29 1. n. 87 del 1953 (relativamente al deposito della

decisione nella cancelleria della corte ed alla comunicazione al

giudice a quo) nonché l'art. 20 delle norme integrative per i

giudizi davanti la Corte costituzionale 16 marzo 1915, modifi

cato dall'art. 28 delle norme 27 novembre 1962 (quanto alla

pubblicazione delle decisioni). Nello stesso senso si è espressa pacificamente la dottrina co

stituzionale la quale ha concluso per l'insuscettibilità del vinco

lo al di fuori dei soli giudici rimettenti. 7. - Le affermazioni tanto della dottrina che della giurispru

denza, apparentemente semplici, abbisognano, però, di alcune

precisazioni. Innanzitutto, poiché le sentenze di rigetto (le uniche di cui

nella specie occorre occuparsi), sebbene interpretative, non han

no per loro natura efficacia generale e proprio perché l'eccezio

ne d'illegittimità è stata respinta sulla base della interpretazione e motivazione adottata con il criterio della «non incompatibilità della soluzione con i principi costituzionali», ne deriva, in ade

renza con la dottrina più autorevole, che lo stesso giudice ri

mettente, pur obbligato a quella interpretazione, è abilitato a

procedere ad una ulteriore soluzione interpretativa con il solo

limite, però, di non concludere nel senso scartato dalla Corte

costituzionale. Ma tutto ciò, comunque, sulla base di una valu

tazione che, anche se in concreto di difficile attuazione, pur essa non sia incompatibile con le norme della Costituzione.

Ma ove, per avventura, dal contesto della motivazione della

decisione della Corte costituzionale appaia chiaro che la solu

zione adottata sia «l'unica compatibile», essendo state scartate

tutte le altre possibili soluzioni, è evidente che la sentenza di

rigetto, pur se interpretativa, non consente al giudice rimettente

alcuna possibilità di ulteriormente sollevare eccezioni d'illegitti mità costituzionale, essendo pienamente vincolato alla decisione

adottata.

Le considerazioni innanzi esposte consentono di affermare,

pertanto, che esistono vincoli positivi della sentenza di rigetto

interpretativa in relazione al procedimento che ha dato luogo al giudizio di costituzionalità, nel senso che il giudice a quo

può essere tenuto a fare applicazione della disposizione nei ter mini posti a base della decisione costituzionale senza altra fa coltà. In caso contrario, una eventuale nuova eccezione di ille

gittimità costituzionale non potrebbe avere altro esito se non la dichiarazione d'incostituzionalità della norma.

8. - In relazione a tutti gli altri giudizi si afferma che non

esiste alcun effetto vincolante della decisione di rigetto interpre tativa della corte delle leggi.

Tale conclusione, esatta nella sua premessa generale, trova dei correttivi e necessita di chiarimenti ricavabili dalla giurisdi zione della stessa corte e dalla elaborazione dottrinale.

Innanzitutto va ricordata la distinzione tra disposizione e nor ma siccome evidenziata in premessa per affermare che le sen tenze interpretative di rigetto, nel dichiarare non fondata la que stione di legittimità costituzionale, non fanno riferimento alla sola disposizione indicata nell'ordinanza o nel ricorso siccome

sospettati d'illegittimità, ma si riferiscono anche a norme diver se ma ugualmente, a giudizio della corte, deducibili dalle pre dette elencate disposizioni in quanto sia possibile da queste ulti me ricavare norme diverse ma costituzionalmente legittime se condo una valutazione che compete a tale organo il quale deve

operare non solo un'interpretazione delle regole della legislazio ne ordinaria, ma soprattutto una valutazione dei precetti costi tuzionali ritenuti come valido criterio di paragone.

Una siffatta attività che la Corte costituzionale deve effettua re nell'esercizio del suo compito di sindacato di costituzionalità

degli atti legislativi pone evidentemente tale organo in posizione

Il Foro Italiano — 1999.

di vertice; onde non può il giudice ordinario sbrigativamente andare in contrario avviso, ma ha l'obbligo, anche giuridico, di spiegare adeguatamente le ragioni per le quali dissente da

quella soluzione.

Tale principio, peraltro non scritto, è ricavabile dalla prassi secondo la quale il giudice ordinario, ove ritenga di non aderire

alla decisione costituzionale, è tenuto a sollevare ancora nuova

questione di legittimità (v. sentenza 2 luglio 1956, n. 8, cit.,

che, per prima, ha adottato tale criterio, nonché sez. un. 13

luglio 1998, Gallieri, id., 1999, II, 87). Dal canto suo, la Corte costituzionale, ove non vengano ad

dotte questioni nuove o prospettazioni originali, usa decidere

con ordinanza dichiarativa d'inammissibilità per manifesta in

fondatezza.

A ciò va, poi, aggiunto, che in concreto, ove i giudici ordina

ri non abbiano ritenuto di uniformarsi alla precedente soluzione

adottata dalla Corte costituzionale, quest'ultima, proprio allo

scopo di impedire che nell'ordinamento sopravvivano norme ri

tenute contrarie alla Costituzione, ha in seguito adottato una

decisione dichiarativa d'illegittimità costituzionale, eliminando

così ogni futura possibilità di equivoci e contrasti.

E, per quel che può valere, non è senza significato la conside

razione che il legislatore, con la 1. 11 dicembre 1984 n. 839, abbia sentito la necessità di stabilire all'art. 3, 5° comma (at tualmente art. 21 d.p.r. 28 dicembre 1985 n. 1092) che anche

le sentenze interpretative di rigetto debbono essere pubblicate nella Gazzetta ufficiale nel testo integrale.

Pertanto, non può disconoscersi l'efficacia di «precedente» che deve essere riconosciuto alle decisioni di rigetto in genere, ed in particolar modo a quelle interpretative, e l'influenza che

siffatta pronuncia determina nei confronti dei giudici comuni

e degli operatori del diritto i quali, in mancanza di validi moti

vi, sono tenuti ad uniformarsi alla sentenza, la quale, secondo

la dottrina prevalente, viene ad assumere la figura di una «dop

pia pronuncia», nel senso che contiene una duplice affermazio

ne: che cioè l'atto, proprio perché espressione di un principio

proveniente dalla Corte costituzionale, è costituzionalmente le

gittimo e che, al contrario, nella diversa interpretazione del giu dice a quo, lo stesso non è conforme a Costituzione. È pur vero che non si tratta di vincolo giuridico, del resto inesistente

nel nostro ordinamento; pur tuttavia è innegabile il valore per suasivo di siffatta pronuncia costituendo un precedente autore

vole nonché il risultato di un'interpretazione sistematica in fun

zione adeguatrice proveniente dall'organo più qualificato in te

ma d'interpretazione costituzionale. Senza contare, poi, che, in

tali sentenze, la motivazione non rappresenta semplicemente il

motivo della decisione, ma svolge un ruolo più importante e

decisivo in quanto diviene elemento costitutivo della decisione

stessa che, con diversa motivazione, avrebbe avuto esito diverso. E che un tale vincolo sia in effetti esistente e non già pura

mente teorico, deriva, poi, dalla considerazione che, secondo la prevalente dottrina e la più recente giurisprudenza, tutti i

giudici sono tenuti a non fare applicazione delle disposizioni in un senso diverso da quello affermato dalla Corte costituzio nale senza aver prima sollevato questione di legittimità costitu zionale.

9. - Le affermazioni e conclusioni innanzi esposte quanto alla natura ed efficacia delle decisioni della Corte costituzionale, ed in particolare, di quelle così dette interpretative di rigetto, non ché le considerazioni contenute nella stessa decisione della Cor te costituzionale n. 232 del 1998, cit., impongono a queste se zioni unite di rivedere quella consolidata giurisprudenza in ordi ne alla reale portata e natura del termine di cui all'art. 309, 5° comma, c.p.p.

Va innanzitutto rilevato che già nella giurisprudenza di que sta Suprema corte, e prima ancora, nella novellazione n. 332 del 1995, si era andata manifestando la tendenza a rendere più rigidi i termini previsti per il procedimento di riesame, amplian do, da un lato, i diritti e la garanzia della difesa e, dall'altro,

predisponendo adempimenti più rigorosi per il giudice ed il p.m., anche allo scopo di evitare possibili abusi.

È pur vero che però la nuova formula legislativa «immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente la quale, entro il gior no successivo, e comunque non oltre il quinto giorno ...» era abbastanza equivoca essendo stato adoperato l'aggettivo «im mediato» di non univoco significato, ed istituito, per lo stesso

adempimento, un termine ordinatorio senza alcun effetto pro cessuale ed altro termine perentorio cui consegue l'inefficacia

prevista dal 10° comma dello stesso articolo. In ogni caso, la

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Page 8: sezioni unite penali; sentenza 18 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M. Toscani (concl. diff.); ric. Liddi e altri. Annulla senza rinvio Trib. Taranto, ord.

GIURISPRUDENZA PENALE

prefissione di un termine perentorio, nelle intenzioni del legis latore, avrebbe comunque impedito che un ritardo ingiustifica to nella trasmissione degli atti ovvero una trasmissione parziale,

potesse pregiudicare il diritto dell'imputato a veder decisa con

rapidità la sua istanza.

Senonché, la giurisprudenza restava ancorata all'interpreta zione secondo cui il termine di cinque giorni iniziava a decorre

re dal momento in cui la richiesta perveniva all'autorità giudi ziaria competente; con la conseguenza che continuavano a veri

ficarsi ritardi ingiustificati nei confronti dei quali si riteneva mancante qualunque sanzione al di fuori dell'ipotetico procedi mento disciplinare.

A questo punto la giurisprudenza di legittimità, pur preve dendo «scansioni temporali» cui restava affidata la tempestiva

garanzia del controllo giurisdizionale, compiva un ulteriore pas so a garanzia della difesa. Infatti, con la sentenza delle sez.

un. 29 ottobre 1997, Schillaci (id., 1998, II, 81), questa corte

decideva di adottare l'interpretazione secondo cui la perdita d'ef

ficacia prevista dal 10° comma dell'art. 309 c.p.p., andava rife

rita non al momento della trasmissione bensì a quello del «far

pervenire» gli atti «non oltre il quinto giorno» al tribunale per il riesame. E ciò sulla base della considerazione che il legis latore, nell'usare il termine «trasmettere», vocabolo di non uni

voco significato, aveva inteso tutelare l'interesse non del mit

tente nel compiere l'atto, bensì quello de libertate della persona

sottoposta alla misura coercitiva. Conclusione, questa, che ve

niva ribadita anche se nessun rimprovero di inerzia poteva esse

re mosso all'autorità giudiziaria procedente dovendo addebitar

si l'eventuale ritardo a circostanze estranee.

Cominciava a farsi strada, pertanto, l'idea secondo cui la nuo

va tecnica consentiva di adoperare moderni mezzi di comunica

zione in virtù dei quali la trasmissione del dato diveniva imme

diata ed il cui uso, peraltro, era stato legislativamente previsto dall'art. 64, 4° comma, disp. att. c.p.p. In tal senso si era pro nunciata dapprima sez. I 14 febbraio 1992, Nigro, e, successi

vamente, Cass. 12 dicembre 1995, Raia, id., Rep. 1996, voce

Misure cautelari personali, n. 526; 5 giugno 1996, Sisca, ibid., voce Procedimento penale, n. 31, le quali avevano considerato

equipollente alla raccomandata ed al telegramma l'uso del tele

fax, a condizione che il cancelliere del giudice che lo emetteva

attestasse in calce di aver trasmesso il testo originale e che la

conferma dell'apparecchio poteva valere quale prova dell'avve

nuta comunicazione.

Si pronunciavano sul punto anche le sezioni unite (sentenza 26 marzo 1997, Procopio, id., 1998, II, 183) che, anche se ad

altri fini, raccomandavano l'applicazione dell'art. 44 disp. att.

c.p.p. quanto all'uso di rapidi mezzi di comunicazione, quali il fonogramma ed il telefax.

10. - Interveniva a questo punto, quale naturale sviluppo di

un iter volto a garantire la reale incisività delle scansioni crono

logiche del rito del riesame, la citata sentenza della Corte costi

tuzionale la quale parte dalla consolidata premessa che, tra più

possibili interpretazioni della norma, occorre privilegiare quella conforme a Costituzione. Nel corso di tale ricostruzione, i giu dici delle leggi evidenziano che all'«immediato avviso» di cui

all'art. 309, 5° comma, c.p.p., proprio in considerazione del

concetto di immediatezza che, per sua natura, non assume rilie

vo giuridico e «non tollera intervalli temporali predefiniti», non

può essere attribuito altro significato se non quello di porre in grado l'autorità procedente ad ottemperare al proprio obbli

go di trasmettere gli atti di cui all'art. 291 c.p.p., depositati

presso il suo ufficio.

E, di contro alle obiezioni secondo cui anche una formula

normativa che contiene un concetto d'immediatezza nel senso

di contiguità temporale tra due eventi va adattata alla realtà

delle concrete situazioni, dovendosi comunque tener presente il tempo per mettere in moto i meccanismi organizzativi, la cor

te risponde agevolmente significando che l'avviso in questione

può e deve essere dato in forma libera, anche utilizzando quei mezzi di comunicazione moderni che eliminano quasi del tutto

l'intervallo di tempo tra la spedizione e la ricezione e che non

esiste alcun motivo, anche di fatto, valido perché detto avviso

non venga spedito subito dopo la presentazione dell'istanza, senza

necessità di inutili intervalli di tempo. Aggiunge la decisione in parola a tali considerazioni l'ulteriore preminente rilievo se

condo cui, nel bilanciamento tra le esigenze organizzative degli uffici giudiziari e quelle del favor libertatis volte alla concreta

garanzia di un rapido riesame della situazione penale della per sona colpita da misura restrittiva, è solo quest'ultima, per i prin

II Foro Italiano — 1999.

cipì di cui all'art. 13 Cost, secondo cui le limitazioni all'inviola

bilità della libertà personale non sono suscettibili di interpreta zioni estensive o analogiche, che deve avere la prevalenza, ben

potendo la prima essere risolta con opportuni accorgimenti di

carattere pratico. Rimedi, questi, peraltro, subito recepiti dal

l'amministrazione la quale, già in data 24 giugno 1998, emana va una circolare con la quale invitava tutti gli uffici giudiziari periferici ad usare, per le comunicazioni, sistemi di trasmissione via cavo ed a predisporre gli opportuni accorgimenti anche per i procedimenti in corso.

Rilevano queste sezioni unite che una interpretazione del ge nere è assolutamente incontestabile e perfettamente in linea con i principi costituzionali.

Va al riguardo ricordato che già il legislatore del 1989, con

l'art. 100 disp. att. c.p.p., aveva evidenziato ed imposto l'asso

luta urgenza della trasmissione in questione, prevedendo la «pre cedenza assoluta su ogni altro affare» e che, per quanto sopra

esposto, l'iter originariamente previsto è stato faticosamente rag

giunto dopo il superamento di ostacoli di vario tipo che ne han

no ritardato il conseguimento; la successiva 1. n. 232 del 1995

ha inteso poi eliminare altre difficoltà, anche di carattere tem

porale, al fine di garantire concretamente l'effettiva difesa.

La Corte costituzionale, con la sua decisione, ha innanzitutto

eliminato ogni irragionevole disparità di trattamento tra situa

zioni identiche posto che la decorrenza del termine viene fatta

coincidere per tutti i ricorrenti dalla data in cui l'istanza pervie ne nella cancelleria del tribunale del riesame, termine definito

e determinabile con certezza, e non è più affidata alle mutevoli

sollecitudini dell'autorità giudiziaria. Con il che si realizza an

che la funzione primaria di garanzia posta a base dell'istituto.

Senza contare, poi, che la linea adottata dalla Corte costitu

zionale semplifica il procedimento ed elimina tutte le difficoltà

interpretative di cui è ricca la dottrina e la giurisprudenza di

questi ultimi anni e che il concetto di «immediatezza» nel senso

esposto dai giudici costituzionali non è del resto ignoto nel no

stro sistema processuale. Già l'art. 80 del vecchio c.p.p. ed il corrispondente art. 123

del vigente codice di rito hanno previsto e disciplinato una ipo tesi in cui le dichiarazioni e le impugnazioni proposte dal dete

nuto con atto ricevuto dal direttore dell'istituto valgono quale atto ricevuto direttamente dall'autorità giudiziaria.

E la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la tempesti vità delle dichiarazioni e degli atti d'impugnazione inserite nel

registro d'iscrizione va riferita alla data della iscrizione stessa

e non già a quella risultante dal mod. 25 che va trasmessa al

l'autorità giudiziaria (art. 44 disp. att. c.p.p.). Con il che si è istituzionalizzato il principio, che deve ritener

si di carattere generale, secondo cui per l'esercizio dei diritti

attinenti al favor libertatis non è ammissibile alcun ritardo.

E non vale obiettare che in pratica è possibile, per espressa

previsione legislativa, che la decisione di riesame intervenga do

po il termine di quindici giorni, posto che le ipotesi previste dall'art. 101 disp. att. c.p.p. riguardano casi in cui la necessità

della proroga deriva da espressa volontà della persona ristretta

la quale, in tal modo, rinuncia alla garanzia del termine rite

nendo più vantaggiosa o l'istanza di rinvio o quella relativa al suo ascolto.

Da ultimo, non va dimenticato che i giudici delle leggi hanno

esplicitamente dichiarato di rendersi perfettamente conto dei pro blemi organizzativi e delle difficoltà pratiche derivanti dalla de

cisione nonché della difforme interpretazione della norma ad

opera dei giudici ordinari; ma hanno con forza dichiarato pre valenti i principi costituzionali relativi alla garanzia in materia

di libertà personale ed invitato il legislatore ad eventualmente

provvedere, sempre in armonia con la regola enunciata.

Dal che deriva, poi, che nella specie la decisione in parola deve ritenersi fornita di una maggiore efficacia, così come enun

ciato sub n. 7, posto che l'interpretazione fornita è stata esplici tamente dichiarata l'unica compatibile con i principi costitu

zionali. 11. - E poiché nella specie è pacifico in atti che il termine

di cui sopra non è stato rispettato, ne consegue che l'ordinanza

impugnata va annullata senza rinvio al pari del provvedimento istitutivo del g.i.p., con declaratoria di cessazione della misura

cautelare.

Tutti gli altri motivi di ricorso debbono intendersi assorbiti

e superati dall'accoglimento dell'eccezione sollevata con i moti

vi nuovi.

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