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sezioni unite penali; sentenza 18 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M.Toscani (concl. diff.); ric. Liddi e altri. Annulla senza rinvio Trib. Taranto, ord. 25 e 28 agosto1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 373/374-385/386Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193762 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ritiene la corte che la discrezionalità amministrativa e tecnica
non è in discussione in questa sede, perché la camera di post
combustione, riguardante un'esigenza di tutela ambientale, è im
posta dalla legge nell'interesse generale, sicché la pubblica am
ministrazione non può arbitrariamente spostare nel tempo il ter
mine di operatività, del tutto estraneo al proprio potere.
Ove, come nel caso in esame, l'atto amministrativo si ponga in assoluto contrasto con la normativa per carenza del relativo
potere, il giudice può adottare una misura cautelare con il se
questro preventivo, onde evitare la prosecuzione di un'attività
pericolosa per la salute pubblica e l'ambiente, essendo ipotizza bile il reato di cui all'art. 51 d.leg. 22/97, così come rilevato
dal ricorrente.
Nel caso in esame è stata ipotizzata anche l'ipotesi del reato
di cui all'art. 323 c.p. ritenendosi consapevole e voluta la reite
rata proroga arbitraria di un termine di legge fino al 4 marzo
2001, benché tale termine sia scaduto il 28 aprile 1988 e, di
conseguenza, formalmente legittimata un'attività delicata di in
cenerimento di rifiuti pericolosi non più consentita per legge. La corte non può entrare nel merito su questo aspetto, che
richiede un obiettivo, fondato e responsabile accertamento nella
sede opportuna, ma si limita a ribadire l'indirizzo giurispruden ziale secondo cui in sede cautelare è sufficiente la sussistenza
di un fumus di seri indizi, che per la palese violazione delle
normative sui rifiuti certamente sussistono.
La più volte richiamata direttiva 67/94/Ce riguarda «l'ince
nerimento dei rifiuti pericolosi» per i profili attinenti alle emis sioni in atmosfera e non interferisce con la normativa sui rifiuti
in tema di smaltimento (caratteristiche costruttive, requisiti tec
nici, sito idoneo, compatibilità ambientale complessiva ex art.
6 1. 389/86 e d.p.c.m. dell'agosto 1988, ecc.). Un impianto non
può funzionare anche se rispetta i limiti di emissione, se non
è anche in regola con la normativa tecnica specifica per i rifiuti.
L'urgenza dell'emanazione della normativa tecnica nel setto
re ad opera del ministero dell'ambiente riguarda non solo i va
lori di emissioni in atmosfera (che possono essere soltanto uguali o più severi di quelli comunitari), ma anche altri aspetti come
la normalizzazione dei risultati delle misurazioni, i metodi di
campionamento e analisi, la prevenzione tecnologica di polveri e sostanze organiche volatili e odori in ogni fase di progettazio ne e gestione, le precauzioni per casi di avarie e malfunziona
menti, le caratteristiche della combustione e l'eventuale imposi zione di bruciatori ausiliari, il rigoroso controllo e l'efficienza, il recupero energetico, le procedure di ricezione dei rifiuti ed
il recupero, nonché le prescrizioni relative alle acque reflue, on
de evitare inquinamenti del suolo, sottosuolo e acque da sostan
ze pericolose. Giova sottolineare che esiste la base legale per tale intervento
ai sensi dell'art. 18 (1° comma, lett. a e b; 2° comma, lett.
a; 3° e 4° comma) d.leg. 22/97. Il ministro dell'ambiente può
sostituire, in tema di incenerimento di rifiuti pericolosi, la deli
berazione 27 luglio 1984, con nuove disposizioni, anche in at
tuazione delle direttive comunitarie, compresa quella 94/67/Cee.
Quest'ultima direttiva, se per alcuni aspetti si presenta speci fica e dettagliata (es. la fissazione dei limiti delle emissioni),
per altri profili (come ad es. si ricava dall'art. 3, 1° comma) ha ancora un carattere di genericità (es. per aspetti progettuali,
costruttivi, funzionali e gestionali), sicché l'integrazione nell'or
dinamento interno appare necessaria. L'integrazione è, poi, ne
cessaria per indicare i tempi di adeguamento degli inceneritori
esistenti alle nuove norme regolamentari e tecniche.
In attesa di questa normativa tecnica ad opera del ministero
dell'ambiente per l'incenerimento dei rifiuti pericolosi, analoga a quella opportunamente già emanata con il decreto 19 novem
bre 1997 n. 503 (che giustamente cita nelle premesse solo le
direttive comunitarie per i rifiuti urbani e non la direttiva
67/94/Ce sull'incenerimento dei rifiuti pericolosi) — normativa che potrebbe non più imporre la camera di post-combustione ma altre tecnologie anche maggiormente più efficaci, ex art.
57 d.leg. 22/97 — devono trovare applicazione le norme tecni
che sui rifiuti pericolosi già esistenti, che si ribadisce richiedono ancora oggi per l'incenerimento l'adozione di una camera di
post-combustione. Il Tribunale di Venezia a cui viene rinviato il presente proce
dimento deve attenersi ai principi sopra esposti per l'adozione
della misura cautelare invocata dal p.m.
Il Foro Italiano — 1999.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 18
gennaio 1999; Pres. Zucconi Gaili Fonseca, Est. Canzio, P.M. Toscani (conci, diff.); ric. Liddi e altri. Annulla senza rinvio Trib. Taranto, ord. 25 e 28 agosto 1998.
Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Omes
sa decisione nel termine — Perdita di efficacia della misura — Immediata liberazione del sottoposto — Proponibilità del
ia questione nel procedimento principale — Condizioni (Cod.
proc. pen., art. 306, 309).
Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosser
vanza dei termini di cui all'art. 309, 10° comma, c.p.p. l'im
mediata liberazione della persona sottoposta alla misura può essere chiesta al giudice del procedimento principale a norma
dell'art. 306 c.p.p., salvo che la richiesta sia già stata respinta nel procedimento incidentale di impugnazione. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 15 gennaio 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Canzio, P.M. Toscani (conci, conf.); ric. Caridi e altri. Annulla sen
za rinvio Trib. Reggio Calabria, ord. 14 gennaio 1998.
Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Omes
sa decisione nel termine — Perdita di efficacia della misura — Successivo giudizio di cassazione — Deducibilità (Cod. proc.
pen., art. 309).
La perdita d'efficacia dell'ordinanza coercitiva a norma dell'art.
309, 5° e 10° comma, c.p.p. è deducibile dall'interessato e
rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione avverso la deci sione del tribunale del riesame. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 16
dicembre 1998; Pres. Scorzelli, Est. Pafadia, P.M. (conci,
diff.); ric. Alagni. Annulla senza rinvio Trib. Lecce, ord. 27
aprile 1998.
Misure cautelari personali — Impugnazioni — Riesame — Tra
smissione degli atti al tribunale — Termine — Decorrenza
(Cod. proc. pen., art. 309).
In tema di procedimento di riesame, il termine di cinque giorni entro il quale l'autorità procedente deve trasmettere, a pena di inefficacia della misura, gli atti previsti dall'art. 309, 5° comma, c.p.p. al tribunale della libertà decorre dal giorno della presentazione della richiesta di riesame. (3)
(1-3) Le tre riportate decisioni affrontano aspetti diversi di cospicua rilevanza in tema di procedimento di riesame e di conseguenze, sul pia no procedimentale, dell'omessa decisione, da parte del «tribunale della
libertà», entro il termine fissato dall'art. 309, 10° comma, c.p.p. La
pronuncia sub III, dopo un'ampia dissertatio sul valore delle sentenze
interpretative di rigetto della Corte costituzionale nelle sedi diverse dal
giudizio a quo, si incanala nel solco tracciato da Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232 (Foro it., 1998, I, 2314, con osservazioni di Di Chiara): grava, dunque, sui «tribunali della libertà» l'onere organizzativo di as sicurare la tempestività dell'invio all'«autorità giudiziaria procedente», dell'invito presidenziale di trasmettere gli atti di cui all'art. 309, 5° com
ma, c.p.p. (per la predisposizione, all'uopo, di idonee misure, cfr. la circolare 24 giugno 1998 della direzione generale degli affari penali del ministero di grazia e giustizia, citata in motivazione, il cui testo è ripro dotto in Guida al dir., 1998, fase. 26, 75); la decorrenza del termine di cinque giorni entro il quale, a pena d'inefficacia del titulum detentio
nss, tale adempimento va osservato, coincide, dunque, con il dies di
deposito della richiesta di riesame, sì da impartire al rito di cui all'art. 309 c.p.p. rigide scansioni temporali insuscettibili di aggiramenti di sorta.
Le decisioni sub I e II presuppongono — e ulteriormente ribadiscono — l'appena rammentato principio interpretativo. La pronuncia sub II, risolvendo un contrasto puntualmente ripercorso in parte motiva, ri
marca come la perdita di efficacia del titolo coercitivo ex art. 309, 10°
comma, c.p.p. sia oggetto di una devoluzione ex lege lungo la «linea cautelare» che, a seguito del decisum del «tribunale della libertà», si
sviluppa nel successivo rito di cassazione ex art. 311 c.p.p.: non solo,
dunque, l'interessato può dedurre la quaestio in sede d'impugnazione principale o di motivi aggiunti, ma la stessa corte di legittimità, investi
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PARTE SECONDA
I
Fatto e diritto. — 1. - Con le ordinanze impugnate il Tribu
nale di Taranto confermava, in sede di appello de libertate, il
rigetto delle richieste di immediata liberazione proposte al me
desimo tribunale, in veste di giudice competente per il merito, da Antonio Liddi, Cataldo Boccasini, Marco Cristallo, Massi
mo Ferrigni e Giuseppe Santovito, i quali avevano dedotto che
nel corso del procedimento di riesame, da loro in precedenza
promosso, si era prodotta la decadenza della misura coercitiva
loro inflitta per inosservanza del termine di cui all'art. 309, 5°
comma, c.p.p. Ritenevano i giudici dell'appello che la caducazione della mi
sura per mancato rispetto dei termini del giudizio di riesame
può essere fatta valere solo nell'ambito del procedimento inci
dentale di impugnazione, che è autonomo rispetto al procedi mento principale e non può essere sottoposto a verifica di rego larità da parte del giudice di questo procedimento.
Tutti gli interessati hanno proposto ricorso per cassazione so
stenendo che spetta al giudice che procede disporre l'immediata
liberazione della persona sottoposta alla misura cautelare, quando
questa abbia perso efficacia a causa del mancato rispetto del
termine di cui alla citata norma (così come interpretata dalla
Corte costituzionale con sentenza 232/98, Foro it., 1998, I, 2314). I ricorsi, assegnati alla quinta sezione penale della Corte di
cassazione, sono stati rimessi da quest'ultima alle sezioni unite
per la soluzione del contrasto interpretativo manifestatosi in or
dine al problema se la perdita d'efficacia della misura cautelare
ai sensi dell'art. 309, 10° comma, possa essere dichiarata dal
giudice del procedimento principale in applicazione dell'art. 306
c.p.p. Le sezioni unite hanno preliminarmente disposto la riunione
dei procedimenti e ordinato l'urgente acquisizione, presso gli uffici di questa corte e del giudice a quo, degli atti necessari
per identificare le scansioni temporali e i contenuti dei giudizi di riesame e di cassazione, proposti dai ricorrenti contro le or
dinanze applicative delle misure coercitive.
2. - Le sezioni unite sono chiamate a stabilire se, nel caso
di inosservanza dei termini di cui all'art. 309, 5° comma, in
relazione al 10° comma, c.p.p. — nella lettura che sul punto dell'omesso immediato avviso della presentazione della richiesta
di riesame ne ha data la Corte costituzionale con sentenza n.
232 del 1998, cit., condivisa da queste sezioni unite con senten
za 16 dicembre 1998, Alagni, in epigrafe — il giudice del proce
ta del ricorso avverso l'ordinanza conclusiva emessa dal tribunale del
riesame, ha il potere-dovere di dedurre ex officio l'inosservanza dei ter mini prescritti 4all'art. 309, 10° comma, c.p.p., pronunciando, in tal
caso, l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e la
prescritta consequenziale declaratoria di inefficacia del titulum detentionis. La decisione sub I chiarisce, infine, dopo l'esposizione degli estremi
del precedente contrasto interpretativo, come l'inefficacia del titolo coer citivo che scaturisce dall'omessa osservanza, nel rito del riesame, dei termini previsti dall'art. 309, 10° comma, c.p.p. ben possa essere de dotta avanti al giudice del procedimento principale, su cui incombe, ex art. 306 c.p.p., il potere-dovere di adottare le opportune statuizioni in caso — appunto — di sopravvenuta perdita di efficacia della misura. La corte ribadisce, tuttavia, il limite del «giudicato cautelare»: ove la quaestio, proposta nella linea cautelare (e, dunque, con ricorso per cas sazione ex art. 311 c.p.p.), sia già stata negativamente decisa non sarà consentito riproporla avanti al giudice del procedimento principale, il
quale subirà, dunque, sul punto l'intangibile vincolo del precedente decisum.
Va segnalato come, da ultimo, Cass. 12 aprile 1999, Caputo e altri
(che sarà riportata in un prossimo fascicolo), nel ribadire il principio posto dalla pronuncia sub I, abbia messo a fuoco una disarmonia so stanziale del sistema delle segmentazioni cronologiche del riesame così come riletto da Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232, cit., e di seguito dalla giurisprudenza delle sezioni unite: se la ratio ultima di tale assetto normativo, alla luce del diritto vivente, si sostanzia nell'imprimere cer tezza ai tempi della verifica de libertate, sì da porre l'interessato in
grado di ottenere il richiesto controllo entro e non oltre quindici giorni dalla proposizione della domanda introduttiva del riesame, appare —
si è posto in luce — incongruo, pur se de iure condito approdo obbliga to, che si attribuisca, riconnettendovi i trancianti effetti caducatori di cui all'art. 309, 10° comma, c.p.p., autonomo rilievo alla mera viola zione del termine di cinque giorni, ai fini della trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria procedente, anche nelle ipotesi in cui la decisione sul riesame sia di seguito comunque intervenuta nell'arco dei quindici giorni successivi al deposito della richiesta dell'interessato. [G. Di Chiara]
Il Foro Italiano — 1999.
dimento principale sia competente a dichiarare ai sensi dell'art.
306 c.p.p., in via esclusiva o concorrente con il giudice del pro cedimento incidentale d'impugnazione, la perdita d'efficacia del
l'ordinanza che dispone la misura coercitiva.
Con un primo indirizzo giurisprudenziale (sez. V 3 maggio
1995, De Gennaro, id., Rep. 1995, voce Misure cautelari perso
nali, nn. 588, 589; sez. I 21 giugno 1995, Franco, id., Rep.
1996, voce cit., n. 658; sez. IV 24 settembre 1996, Basanisi,
id., Rep. 1997, voce cit., n. 508; sez. I 4 marzo 1997, Cappuc
cio, ibid., n. 438), avallato da talune decisioni delle sezioni uni te (sez. un. 17 aprile 1996, Moni, id., 1996, II, 563; 16 dicem
bre 1998, Alagni, in epigrafe), questa corte ha statuito che la
declaratoria d'inefficacia dell'ordinanza coercitiva spetta, di re
gola, al giudice del procedimento principale ai sensi dell'art.
306 c.p.p., e in via eccezionale anche alla Corte di cassazione
sul ricorso contro l'ordinanza di riesame, quando la relativa
questione sia stata proposta unitamente ad altre attinenti alla
legittimità originaria della misura cautelare. Con altro orienta
mento interpretativo (sez. V 12 ottobre 1998, Cesario; sez. I
7 maggio 1998, Tirino; 13 febbraio 1996, Palmas, id., Rep. 1996, voce cit., n. 572; sez. VI 10 luglio 1992, Valenzise, id., Rep.
1993, voce cit., n. 596) ha invece affermato che legittimato a
siffatta pronuncia è soltanto il giudice dell'impugnazione de li
beriate, essendo la perdita d'efficacia della misura ricollegata ad invalidità proprie del medesimo procedimento incidentale.
Le sezioni unite, nell'ipotesi di sospensione obbligatoria del pro cedimento di riesame per la risoluzione di una pregiudiziale co
stituzionale, hanno peraltro avvertito che l'imputato, il quale
ritenga di avere diritto alla liberazione per la perdita d'efficacia
della misura coercitiva secondo l'art. 309, 10° comma, c.p.p.,
può adire — «in deroga alla competenza funzionale normal
mente spettante al tribunale della libertà in costanza del giudi zio di riesame» — il giudice del procedimento principale ai sen
si dell'art. 306 c.p.p. (sez. un. 17 aprile 1996, Vernengo, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 593). La questione da risolvere si collega dunque con quella della
legittimazione del giudice del procedimento incidentale d'impu
gnazione a dichiarare, in questa ipotesi, la perdita d'efficacia
dell'ordinanza coercitiva.
A tale quesito queste sezioni unite hanno dato risposta positi va con sentenza pronunciata il 15 gennaio 1999, Caridi, in epi
grafe, affermando che, nei casi di perdita di efficacia della mi
sura coercitiva a norma dell'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., la caducazione è deducibile dall'interessato e rilevabile d'ufficio
nel corso dell'ordinario giudizio incidentale di riesame. Se l'i
nefficacia non sia stata dedotta dall'interessato né rilevata d'uf
ficio, essa può essere fatta valere per la prima volta o rilevata
d'ufficio, anche oltre i limiti del devoluto, nel giudizio di cas
sazione.
3. - Rimane perciò da stabilire se la caducazione della misura
cautelare a norma dell'art. 309, 10° comma, c.p.p. possa essere
dichiarata, oltre che dal giudice del procedimento incidentale di impugnazione, anche dal giudice del procedimento principale.
Come si è detto, queste sezioni unite hanno già avuto modo di affermare che, nei casi di perdita di efficacia della misura
coercitiva secondo l'art. 309, 10° comma, c.p.p., l'imputato può adire quel giudice al fine di far dichiarare la caducazione della misura e ottenere l'immediata liberazione. Hanno inoltre speci ficato che la domanda dell'imputato, in quanto diretta alla tu tela di un diritto assoluto e inviolabile, è proponibile in ogni tempo, salvo soltanto il limite della preclusione, ove la questio ne abbia già formato oggetto di c.d. giudicato cautelare nelle sedi proprie (sez. un. 17 aprile 1996, Vernengo, cit.).
Il principio deve essere ribadito, riaffermandosi che, quando la perdita d'efficacia del provvedimento restrittivo della libertà non sia stata dedotta nel procedimento incidentale d'impugna zione, né il giudice l'abbia rilevata d'ufficio, così da rimanere
estranea alle relative statuizioni decisorie, non vi è alcuna ragio ne di ordine logico-giuridico che possa impedire di richiedere al giudice del procedimento principale il provvedimento di im mediata liberazione conseguente all'estinzione della misura cau
telare, ai sensi dell'art. 306 c.p.p. In particolare, poiché l'art. 309 fa parte dello stesso titolo
del codice che include l'art. 306, e questo si riferisce ai «casi in cui la custodia cautelare perde efficacia secondo le norme di questo titolo», l'obbligo del giudice di disporre l'immediata liberazione non può non concernere anche le ipotesi di caduca zione di cui all'art. 309, 10° comma, allo stesso modo delle
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GIURISPRUDENZA PENALE
ipotesi di estinzione di cui al capo V, anch'esse collegate al so
pravvenire di eventi che non riguardano i presupposti probatori e cautelari della misura e non incidono sulla validità dell'ordi
nanza che l'ha disposta. Ad avviso dei giudici di appello la questione della caducazio
ne della misura per mancato rispetto dei termini del giudizio di riesame non potrebbe essere sottoposta alla verifica del giu dice del procedimento principale, il quale verrebbe a sindacare il regolare svolgimento del giudizio d'impugnazione. Ma in con
trario è da osservare che l'art. 309, 10° comma, c.p.p., sancisce
la perdita d'efficacia della misura coercitiva come effetto auto
matico della violazione dei termini richiamati. Si tratta di san
zione — prevista dal legislatore in ossequio alla garanzia di ha
beas corpus (art. 13 Cost.; art. 5.4 della convenzione europea dei diritti dell'uomo; art. 9.4 patto internazionale dir. civ. e
poi.), con le inderogabili e coessenziali caratteristiche di rapidi tà e certezza (sez. un. 15 gennaio 1999, Caridi, cit.; 29 ottobre
1997, Schillaci, id., 1998, II, 81) — che consegue ipso iure alla
detta inosservanza, talché non v'è spazio per un sindacato o
apprezzamento valutativo quale quello ipotizzato dai giudici di
appello. 4. - Si deve tuttavia ribadire che la questione di cui si discute
è proponibile nel procedimento principale soltanto se non è sta
ta decisa nel procedimento incidentale di impugnazione (riesa me o ricorso per cassazione).
Queste sezioni unite hanno infatti stabilito che si determina
una preclusione endoprocessuale a seguito delle pronunce emes
se dal tribunale in sede di riesame, se non impugnate mediante
ricorso per cassazione, ovvero dalla Corte di cassazione se im
pugnate (sez. un. 1° luglio 1992, Grazioso, id., 1993, II, 290; 18 giugno 1993, Dell'Omo, id., 1994, II, 79; 12 ottobre 1993, Stablum e Capitali, id., Rep. 1994, voce cit., n. 624; 12 ottobre
1993, Durante, id., 1994, II, 1; 8 luglio 1994, Buffa, id., 1995, II, 455; 25 giugno 1997, Gibilras, id., Rep. 1997, voce cit., n.
578). Si è precisato che la preclusione ha un'efficacia più ri
stretta rispetto a quella della cosa giudicata, perché include sol
tanto le questioni dedotte e non anche quelle deducibili, e so
prattutto opera «allo stato degli atti», restando condizionata
al permanere della situazione di fatto.
Tuttavia essa realizza una situazione di stabilità della decisio
ne, funzionale anche all'esigenza di evitare contraddizioni nel
processo, e non consente all'interessato di reiterare la medesima
richiesta utilizzando strumentalmente il procedimento discipli nato dall'art. 306 c.p.p.
5. - Nella specie, il termine di cinque giorni per la trasmissio
ne degli atti, decorrente non dalla ricezione dell'avviso da parte dell'autorità procedente ma dal giorno della presentazione della
richiesta di riesame, non è stato rispettato per i ricorrenti Liddi
(richiesta di riesame 15 novembre 1997 - trasmissione degli atti
24 novembre 1997) e Ferrigni (richiesta di riesame 22 novembre
1997 - trasmissione degli atti 11 dicembre 1997). I suddetti ricorrenti hanno perciò conseguito il diritto a riac
quistare lo status libertatis, né ha rilevanza l'omessa deduzione
0 rilevazione dell'evento caducatorio nel corso del procedimen to incidentale d'impugnazione dell'ordinanza coercitiva (sez. un.
1° ottobre 1991, Alleruzzo, id., 1992, II, 65). Deve pertanto pronunciarsi l'annullamento senza rinvio delle
ordinanze impugnate e dichiararsi l'inefficacia dell'ordinanza che
ha disposto la custodia cautelare, in applicazione del seguente
principio di diritto: «Nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'art. 309, 10° comma, c.p.p., l'immediata liberazione della persona sotto
posta alla misura può essere chiesta al giudice del procedimento
principale a norma dell'art. 306 c.p.p.». 6. - Ad analoghe conclusioni non può invece pervenirsi per
1 ricorrenti Boccasini, Cristallo e Santovito, nei confronti dei
quali questa Corte di cassazione, con sentenze 15 maggio 1998, n. 3066 e 20 maggio 1998, n. 3125, nel pronunciare il rigetto dei ricorsi da essi proposti avverso le ordinanze del riesame del
Tribunale di Lecce, ha disatteso il motivo di gravame riguar dante la violazione dell'art. 309, 5° comma, c.p.p.
I loro ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in appli cazione del seguente principio di diritto: «Nei casi in cui la cu
stodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini ri
chiamati dall'art. 309, 10° comma, c.p.p., l'immediata libera
zione della persona sottoposta alla misura non può essere chiesta
al giudice del procedimento principale, a norma dell'art. 306
c.p.p., quando la richiesta sia già stata respinta nel procedi mento incidentale d'impugnazione».
Il Foro Italiano — 1999.
II
Fatto e diritto. — 1. - Con due ordinanze del 14 gennaio 1998 il Tribunale di Reggio Calabria confermava, in sede di
riesame, la misura cautelare della custodia in carcere applicata a tutti gli indagati indicati in epigrafe per i reati di cui agli art. 416 bis e 629 c.p., nonché a Caridi Giuseppe e Caridi Bru
no (nato nel 1966) per il delitto di omicidio. La gravità degli indizi era affermata sulla base di intercetta
zioni telefoniche e delle dichiarazioni di alcuni collaboratori; le esigenze cautelari erano ritenute in relazione alla presunzione stabilita dall'art. 275, 3° comma, c.p.p., per le associazioni mafiose.
I difensori degli indagati hanno proposto ricorso per cassa zione deducendo violazione di legge, vizio di motivazione, inu
tilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, inattendibilità dei
collaboratori, omessa valutazione critica degli indizi. II difensore di Condemi Antonino ha dedotto anche mancan
za di motivazione sulla questione, già sollevata in sede di riesa
me, dell'inefficacia dell'ordinanza coercitiva per la tardiva tra
smissione degli atti al tribunale del riesame. Lo stesso motivo
è stato dedotto, quale «motivo nuovo», anche dal difensore di
Caridi Leo e Bruno (nato nel 1958), del Melari e del Nocera.
I ricorsi, assegnati alla quinta sezione di questa corte, sono
stati rimessi alle sezioni unite, ritenendosi l'esistenza di un con
trasto interpretativo su questione rilevante ai fini della efficacia
dell'ordinanza coercitiva: se la violazione dei termini richiamati
dall'art. 309, 10° comma, possa essere dedotta quale «motivo
nuovo» e rilevata d'ufficio nel giudizio di cassazione contro l'or
dinanza di riesame.
La sezione rimettente postula una rimeditazione del principio della non deducibilità nel giudizio di riesame della perdita di
efficacia della misura coercitiva, affermato dalle sezioni unite
con le sentenze 5 luglio 1995, Galletto, Foro it., Rep. 1995, voce Misure cautelari personali, n. 577, e 17 aprile 1996, Moni,
id., 1996, II, 563 (con il temperamento fissato però da quest'ul
tima, secondo cui la questione può essere proposta insieme ad
altre concernenti la legittimità originaria del provvedimento coer
citivo mediante il ricorso per cassazione avverso la decisione
del riesame), in considerazione dell'altro principio, pure affer
mato dalle sezioni unite con sentenza 29 ottobre 1997, Schillaci
(id., 1998, II, 81), per la quale «il venir meno della misura
coercitiva ai sensi dell'art. 309, 5° e 10° comma, si traduce giu ridicamente in una causa di preclusione per il tribunale perché è ormai trascorso il termine riservato alla verifica giurisdiziona le del titolo custodiale», con la conseguenza che il vizio del pro cedimento sarebbe comunque rilevabile d'ufficio in sede di le
gittimità ex art. 609, 2° comma, c.p.p. I ricorsi vengono decisi congiuntamente per effetto della riu
nione, disposta all'odierna udienza, del procedimento n. 13929/98
al n. 10562/98.
2. - Le sezioni unite sono chiamate a stabilire se l'inosservan
za dei termini previsti dall'art. 309, 5° comma, c.p.p. — secon
do la lettura che sul punto dell'omissione di immediato avviso
della presentazione di richiesta di riesame ne ha data la Corte
costituzionale con sentenza 232/98 (ibid., I, 2314), condivisa da queste sezioni unite con sentenza 16 dicembre 1998, Alagni, in epigrafe — e la conseguente perdita di efficacia dell'ordinan
za coercitiva possano, nel giudizio di cassazione instaurato av
verso la decisione del riesame, essere rilevate anche d'ufficio
ai sensi dell'art. 609, 2° comma, ovvero dedotte quali «motivi
nuovi» nell'ambito del disposto degli art. 311, 4° comma, e
585, 4° comma, c.p.p.
Rispetto a tale questione risulta però pregiudiziale il proble ma della legittimazione del giudice del procedimento incidentale
d'impugnazione a dichiarare, nell'ipotesi considerata, la perdita automatica di efficacia dell'ordinanza coercitiva, problema al
quale la giurisprudenza di legittimità ha dato soluzioni non uni
voche, anche se in prevalenza ispirate alla finalità di evitare,
per il preminente favor libertatis, il ritardo della decisione.
Con un primo indirizzo giurisprudenziale (sez. V 3 maggio
1995, De Gennaro, id., Rep. 1995, voce cit., nn. 588, 589; sez.
I 21 giugno 1995, Franco, id., Rep. 1996, voce cit., n. 658; sez. IV 24 settembre 1996, Basanisi, id., Rep. 1997, voce cit., n. 508; sez. I 4 marzo 1997, Cappuccio, ibid., n. 438) avallato
da talune decisioni delle sezioni unite (sez. un. 17 aprile 1996,
Moni, cit.; 16 dicembre 1998, Alagni, cit.), questa corte ha sta
tuito che la declaratoria d'inefficacia dell'ordinanza coercitiva
spetta, di regola, al giudice del procedimento principale ai sensi
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PARTE SECONDA
dell'art. 306 c.p.p., e in via eccezionale anche alla Corte di cas
sazione sul ricorso contro la decisione del riesame, quando la
relativa questione sia stata proposta unitamente ad altre atti
nenti alla legittimità originaria della misura cautelare. Con altro
orientamento interpretativo (sez. V 12 ottobre 1998, Cesario;
sez. I 7 maggio 1998, Tirino; 13 febbraio 1996, Palmas, id., Rep. 1996, voce cit., n. 572; sez. VI 10 luglio 1992, Valenzise,
id., Rep. 1993, voce cit., n. 596) ha invece affermato che legitti mato a siffatta pronuncia è soltanto il giudice dell'impugnazio ne de liberiate, essendo la perdita d'efficacia della misura ricol
legata ad invalidità proprie del medesimo procedimento inci
dentale. Le sezioni unite, nell'ipotesi di sospensione obbligatoria del procedimento di riesame per la risoluzione di una pregiudi ziale costituzionale, hanno peraltro avvertito che l'imputato, il
quale ritenga di avere diritto alla liberazione per la perdita d'ef
ficacia della misura coercitiva secondo l'art. 309, 10° comma,
c.p.p., può adire — «in deroga alla competenza funzionale nor
malmente spettante al tribunale della libertà in costanza del giu dizio di riesame» — il giudice del procedimento principale ai
sensi dell'art. 306 (sez. un. 17 aprile 1996, Vernengo, id., Rep.
1996, voce cit., n. 593). L'art. 309, 10° comma, c.p.p., nel testo sostituito dall'art.
16 1. 8 agosto 1995 n. 332, stabilisce che la perdita di efficacia
dell'ordinanza impositiva della misura segue all'inosservanza sia
del termine stabilito per la trasmissione degli atti al tribunale, sia del termine per la decisione sulla richiesta di riesame.
La rigida disciplina trova il suo fondamento nella rilevanza
costituzionale del bene primario della libertà personale (art. 13
Cost.) e in quelle norme delle convenzioni internazionali che
sanciscono il diritto di ogni persona sottoposta ad arresto o
detenzione a ricorrere al giudice per ottenere, «entro brevi ter
mini» (art. 5.4 della convenzione europea dei diritti dell'uomo) e «senza indugio» (art. 9.4 patto internazionale dir. civ. e poi.), una decisione sulla legalità della detenzione e sulla liberazione:
previsioni alle quali il codice di procedura penale si è adeguato in osservanza dell'art. 2, 1° comma, della legge delega.
È proprio la ratio legis a spiegare, nell'interpretazione logico sistematica di questa corte (sez. un. 29 ottobre 1997, Schillaci,
cit.; 16 dicembre 1998, Alagni, cit.) e del giudice della costitu
zionalità delle leggi (Corte cost., 232/98, cit.), l'accentuato ri
gore dato alle garanzie del diritto di libertà personale. L'effetti
va tutela de\Y habeas corpus presuppone infatti che il controllo
di legalità si svolga, nel contraddittorio sia pure differito fra
le parti, entro termini tassativamente stabiliti.
3. - Come si è detto, questa corte ha già statuito che, nei
casi di perdita di efficacia del provvedimento cautelare a norma
dell'art. 309, 10° comma, c.p.p., il soggetto che ha diritto a
riacquistare la libertà può in ogni tempo, salvo il limite della
preclusione derivante dal «giudicato cautelare», chiedere al giu dice del procedimento principale la dichiarazione di sopravve nuta caducazione della misura (sez. un. 17 aprile 1996, Vernen
go, cit.). Tuttavia, anche nel corso del giudizio incidentale di riesame
l'imputato può agire davanti a quel giudice per far valere l'au
tomatica caducazione dell'ordinanza di custodia cautelare per l'inosservanza dei termini della medesima procedura richiamati
dall'art. 309, 10° comma, c.p.p. (sez. un. 17 aprile 1996, Ver
nengo, cit.; sez. V 12 ottobre 1998, Cesario; sez. I 7 maggio
1998, Tirino; 13 febbraio 1996, Palmas, cit.; sez. VI 29 ottobre
1992, Valenzise, cit.).
Egli quindi non è obbligato a devolvere la cognizione al giu dice del procedimento principale, corrispondendo alla logica com
plessiva del sistema processuale il riconoscimento che il giudice della procedura incidentale d'impugnazione è giudice della pro
pria competenza (sez. un. 20 luglio 1994, De Lorenzo, id., 1995,
II, 445, e 25 ottobre 1994, De Lorenzo, id., Rep. 1995, voce
Competenza penale, n. 97), della regolare instaurazione del con
traddittorio e della validità di ogni suo atto (Cass., sez. V, 11
marzo 1994, Forcinelli, ibid., voce Sentenza penale, n. 91). A
maggior ragione, egli è giudice del rispetto dei termini della pro cedura, dalla cui inosservanza può derivare la perdita di effica
cia dell'ordinanza coercitiva, logicamente pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione di legittimità o di merito (sez. un. 27
marzo 1996, Monteleone, id., 1996, II, 710; 29 ottobre 1997,
Schillaci, cit.). 4. - Questa giurisprudenza va pertanto mantenuta, riaffer
mandosi che il mancato rispetto del termine prescritto dall'art.
309, 5° comma, è deducibile dall'interessato e rilevabile d'uffi
II Foro Italiano — 1999.
ciò nel procedimento davanti al giudice chiamato a decidere sul
l'impugnazione. Se nel giudizio di riesame l'inefficacia del provvedimento coer
citivo non sia stata dedotta o rilevata d'ufficio, essa può essere
conosciuta nell'eventuale successivo giudizio di cassazione, in
cui la questione può dunque essere sollevata dal ricorrente indi
pendentemente da altri motivi attinenti alla legittimità origina ria della misura, o rilevata d'ufficio anche oltre i limiti del de
voluto: poiché la perdita di efficacia del provvedimento impu
gnato incide sul thema decidendum, devoluto alla Corte di
cassazione con motivi di ricorso riferiti alla legittimità origina ria della misura, essendo la permanenza della forza cogente del
titolo pregiudiziale ai fini della decisione. 5. - L'affermata rilevabilità d'ufficio della questione riguar
dante la perdita d'efficacia della misura assorbe il tema del
l'ammissibilità dei motivi nuovi proposti da taluni degli indaga
ti, al pari di quello — prospettato dalla pubblica accusa — del
l'efficacia estensiva della decisione favorevole al Condemi
Antonino, unico ricorrente ad avere eccepito nel giudizio di rie
same l'inutile decorso del termine per la trasmissione degli atti.
Poiché nella specie l'inosservanza del termine si è verificata
in relazione ad ogni ricorrente (richieste di riesame e trasmissio
ne degli atti rispettivamente alle date 27 dicembre 1997 - 5 gen naio 1998 e 29 dicembre 1997 - 5 gennaio 1998), le ordinanze
impugnate devono essere annullate senza rinvio, così come l'or
dinanza di custodia cautelare, sulla base del seguente principio di diritto: «La perdita d'efficacia dell'ordinanza coercitiva a nor
ma dell'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., è deducibile dall'inte
ressato e rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione avverso
la decisione del tribunale del riesame».
Tale conclusione comporta l'assorbimento di tutti gli altri mo
tivi di ricorso.
Ili
Motivi della decisione. — 1. - Per completezza espositiva e
per chiarire i termini della vicenda, è necessario indicare, anche
se sinteticamente, l'iter che ha dato luogo al procedimento in
esame.
Con sentenza 25 marzo 1998, Savino, queste sezioni unite, essendo state investite, anche se incidentalmente, del problema relativo alla decorrenza del termine di cui all'art. 309, 5° com
ma, c.p.p., confermavano la concorde giurisprudenza di merito
e di legittimità secondo cui il termine predetto decorre dal gior no in cui l'avviso del tribunale perviene all'autorità procedente. Detta decisione veniva depositata il 30 giugno 1998.
Senonché, in data 22 giugno 1998, n. 232, la Corte costitu
zionale (Foro it., 1998, I, 2314), adita dalla I sezione penale di questa Suprema corte, depositava una decisione con la quale dichiarava non fondata, «nei sensi di cui in motivazione», la
questione medesima ed enunciava il principio secondo cui il ter
mine dei cinque giorni cominciava a decorrere nel momento in
cui la richiesta di riesame viene presentata allo stesso tribunale
competente. Detta decisione veniva pubblicata sulla Gazzetta
ufficiale, serie speciale del 1° luglio 1998.
In tale ultima data la V sezione penale di questa Suprema
corte, non tenendo conto della decisione della Corte costituzio
nale, con due provvedimenti conformi (in proc. Catapano Giu
seppe e Catapano Antonio), ribadiva la precedente costante giu
risprudenza sul punto. Al contrario, nella stessa data del 1°
luglio 1998, la VI sezione penale, in proc. Musolino, aderiva
all'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale.
Successivamente, all'udienza del 3 luglio 1998, ancora la V
sezione penale, pur prestando ossequio al dictum della Consul
ta, rimetteva il ricorso (in proc. Romano) alle sezioni unite sul
rilievo di un esistente contrasto di giurisprudenza. Il primo presidente aggiunto, con decreto 21 luglio 1988, di
sponeva la trasmissione degli atti alla sezione feriale sul rilievo
che un eventuale dissenso dall'interpretazione fornita dalla Cor
te costituzionale imponeva al giudice di nuovamente sollevare
questione di legittimità costituzionale.
Seguivano altre decisioni che tutte si conformavano alle con
clusioni della Corte costituzionale (sez. IV 7 luglio 1998, Caru
so; sez. I 22 settembre 1998, Morrone; sez. V 24 settembre 1998,
Mangieri; sez. I 1° ottobre 1998, Susca). Con ordinanza 26 ottobre 1998, la VI sezione, in proc. Man
ganelli, sollevava ancora questione di legittimità costituzionale
dell'art. 309, 5° comma, c.p.p., ritenendo non condivisibili le
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GIURISPRUDENZA PENALE
conclusioni di cui alla decisione 232/98, cit., ma parimenti ille
gittima la norma per violazione degli art. 13 e 24 Cost.
La stessa I sezione con ordinanza 6 novembre 1998, ravvisan do l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale, rimetteva a queste sezioni unite, il procedimento Alagni Angelica.
2. - Ritiene questa corte che effettivamente il denunziato con trasto sussiste nei termini di cui innanzi, essendo state emanate decisioni di opposto contenuto in breve lasso di tempo dopo il deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 232 del
1998, cit. 3. - Circa l'ammissibilità del motivo nuovo presentato dalla
difesa dell'indagata dopo la pubblicazione della sentenza della
Corte costituzionale n. 232 del 1998, occorre rilevare che già con i motivi del proposto ricorso si era eccepita violazione del
l'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., per non essere stati trasmes
si tutti gli atti di cui all'art. 291 c.p.p., entro il termine di legge. Con il motivo in esame viene censurato lo stesso punto della
decisione impugnata anche se la violazione dello stesso termine
viene prospettata sotto altra angolazione. In ogni caso, va ricordato che, anche se è vero che le cause
che determinano l'inefficacia della custodia cautelare, non agendo sul piano della legittimità dell'ordinanza applicativa della misu
ra cautelare, debbono essere fatte valere attraverso l'istanza di
revoca di cui all'art. 306 c.p.p. ed i rimedi dell'appello e del
ricorso per cassazione, è altresì pacifico per costante giurispru denza, ribadita da sez. un. 3 luglio 1997, Moni, che qualora con il ricorso avverso la decisione sulla richiesta di riesame sia
censurata, con la perdita di efficacia del provvedimento coerci
tivo, anche la legittimità originaria dello stesso, si opera la vis
attractiva del proposto gravame e si radica la competenza del
giudice di legittimità. Con la conseguenza che, se l'eccezione
d'inefficacia sopravvenuta è fondata, si evita il ritardo della
decisione de libertate.
4. - Tanto premesso in fatto, va a questo punto rilevato che
la categoria delle sentenze c.d. «interpretative» emanate dalla
Corte costituzionale nel rigettare le impugnative rappresenta un
tertium genus tra quelle di accoglimento e di semplice rigetto ed è stata introdotta dalla giurisprudenza della predetta corte
a partire dalla decisione n. 8 del 1956 (id., 1956, I, 1050), 26
gennaio 1957, n. 1 (id., 1957, I, 354), e 19 febbraio 1965, n. 11 (id., 1965, I, 385). È seguita nel tempo una nutrita giurispru
denza, sempre costituzionale, che ha di volta in volta sviluppa to e fissato principi e regole valide per la fissazione di alcuni
precetti di carattere generale e si è manifestata una vivace attivi
tà dottrinaria cui hanno partecipato i maggiori cultori della
materia.
Circa il significato delle sentenze «interpretative di rigetto», occorre rifarsi alle decisioni predette che ne hanno delineato
le caratteristiche. Dopo aver premesso la distinzione tra «nor
ma» e «disposizione legislativa» nel senso che la Corte costitu
zionale sin dall'inizio ha posto in evidenza che l'interpretazione delle norme sottoposte al suo giudizio può anche distaccarsi dai
termini indicati nei ricorsi e nelle ordinanze, si è passato a spe cificare che possono essere emanate sentenze di rigetto «nel sen
so di cui in motivazione», e cioè pronunce basate sulla necessa
ria premessa secondo la quale ogni disposizione legislativa deve
essere interpretata «al fine di accertarne la legittimità costitu
zionale nell'attuale sistema nel quale vive»; posto che «lo stabi
lire quale sia il contenuto delle norme impugnate appartiene al giudizio della corte non meno della comparazione che ne con
segue fra la norma interpretata e la norma costituzionale, l'una
e l'altra essendo parti inscindibili di un giudizio che è propria mente suo» (v. le sentenze della Corte costituzionale sopra ri
chiamate n. 8 del 1956 e n. 11 del 1965). In linea generale si è quasi sempre ritenuto che non debba
trattarsi di risoluzioni che possano contrastare con il c.d. «dirit
to vivente», terminologia coniata dalla stessa dottrina e dalla
giurisprudenza costituzionale per significare interpretazioni giu
risprudenziali prevalenti o consolidate. In tali ipotesi, infatti, la stessa Corte costituzionale adegua la sua funzione interpreta
trice, anche allo scopo di evitare contrasti inopportuni. In tal
senso esiste un vasto numero di decisioni costituzionali (v. sent.
17/87, id., 1987, I, 1003; 18/87, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2161; 100/87, id., 1987,1, 1671; 170/87, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 575; 192/87, ibid., voce Sani
tà pubblica, nn. 252-254;81/88, id., 1988, I, 2462; 82/88, ibid., 3215; 279/88, id., 1990, I, 2149, ed altre) con le quali la corte
si è adeguata ad un «diritto vivente» già affermato.
Ma è chiaro che questa autolimitazione che la Corte costitu
ii Foro Italiano — 1999.
zionale si è imposta sulla base del principio che «le norme sono non quali appaiono in astratto, ma quali sono applicate nella
quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed effi
caci», non può sempre funzionare «avendo la corte la funzione di porre a confronto la norma, nel significato ad essa attribui
to, con le disposizioni della Costituzione, per rilevarne eventua li contrasti e trarne le conseguenze sul piano costituzionale» (sen tenza n. 129 del 1975, id., 1975, I, 2178).
È ovvio, quindi, che il vincolo del «diritto vivente» non signi fica subordinazione dell'interpretazione del giudice delle leggi all'interpretazione giudiziaria; che anzi, la consuetudine inter
pretativa uniforme rappresenta non un limite ma un sostegno alla valutazione effettuata dalla Corte costituzionale, come è
dimostrato dal fatto che in varie occasioni è stata abbandonata dal predetto organo la valutazione divenuta costante dal giudice ordinario per adeguare la stessa ad una visione rispondente ai
principi costituzionali. E ciò perché, di contro alla separazione dei due sistemi normativi, quello ordinario e quello costituzio
nale, la Corte costituzionale ha adottato il criterio del collega mento c.d. intersistemico secondo cui in ciascun sistema norma
tivo, ordinario e costituzionale, debbono essere presenti rispet tivamente le regole costituzionali ed ordinarie. Con la conse
guenza che la norma impugnata può essere dichiarata illegitti ma anche in conseguenza di una ricostruzione non coincidente con quella prospettata nell'ordinanza di rinvio ovvero la que stione essere dichiarata non fondata in base ad un'interpreta zione non considerata dall'autorità denunziante.
Dal che deriva, poi, che la corte delle leggi, in casi consimili, non pronuncia direttamente la dichiarazione d'incostituzionali
tà, ma preferisce una decisione che salvi l'esistenza della norma
a condizione che alla stessa venga attribuito un significato che
sia non incompatibile con il parametro costituzionale.
5. - Ma, ove la giurisprudenza della Corte di cassazione non
si sia ancora consolidata ovvero esista contrasto di decisioni, la Corte costituzionale riacquista la sua completa autonomia
interpretativa. Nel primo caso la dottrina parla di decisioni «correttive»,
mentre, nella seconda ipotesi, in cui viene disattesa l'interpreta zione fornita dal giudice a quo rimettente, le decisioni vengono definite «adeguatrici», nel senso che le stesse mirano soprattut to a far valere i principi costituzionali sulla base di un sindacato
di legittimità rivolto alla norma più che al testo legislativo e
tale da rendere appunto il contenuto normativo «non incompa tibile» con le norme della Costituzione.
L'adozione del criterio della «non incompatibilità» appare il
più idoneo per l'adoperata formula del rigetto soprattutto in
relazione al principio che la decisione deve intendersi «nel senso
di cui in motivazione» e spiega le ragioni quanto agli effetti
della stessa decisione nei confronti del giudice rimettente ed in
qualche misura in ordine a tutti gli altri procedimenti similari.
6. - Al riguardo, la giurisprudenza di questa Suprema corte
non è vasta.
Si ricorda innanzitutto la decisione delle sez. un. 13 dicembre
1995, Clarke (id., 1996, II, 343) che, affrontando ex professo il problema, ha affermato che le sentenze interpretative di riget to della Corte costituzionale non sono munite di efficacia erga omnes come quelle dichiarative d'incostituzionalità; che, per
tanto, le stesse assumono il valore di mero precedente; che il
giudice può discostarsi dall'interpretazione fornita dalla corte
e sollevare anche nuova questione di legittimità della stessa di
sposizione per le medesime ragioni già dalla corte disattese; che,
però, la sentenza interpretativa di rigetto determina nel giudizio a quo il sorgere di una preclusione endoprocessuale; che tale
vincolo deriva dal carattere incidentale del giudizio di legittimi tà costituzionale e dal nesso di necessaria pregiudizialità che
lo lega a quello principale; che, in conseguenza, la medesima
questione non può essere riproposta nello stesso giudizio e nel
medesimo grado, ma neppure in quelli successivi dello stesso
processo; che, infine, lo stesso giudice ordinario non può attri
buire alla norma di legge denunciata una portata esegetica dalla
Corte costituzionale ritenuta non corretta.
Analogamente si era già pronunciata la stessa Corte di cassa
zione, sez. I, 25 ottobre 1986, n. 6260 (id., Rep. 1986, voce
Corte costituzionale, n. 36), in cui, con ampia motivazione, erano
state espresse le medesime considerazioni; e, prima ancora, che
le sezioni unite civili con la sentenza n. 147 del 1958 (id., Rep.
1958, voce cit., n. 97), che avevano addirittura concluso, sem
pre rispetto al caso deciso, per l'efficacia con piena autorità
di giudicato.
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PARTE SECONDA
E tali conclusioni erano state successivamente ribadite con
la decisione della Corte costituzionale 25 maggio 1990, n. 268
{id., 1990, I, 3067), la quale aveva a sua volta affermato che
è precluso allo stesso giudice a quo sollevare questione identica
a quella già dichiarata infondata nel corso del medesimo giudi
zio, anche nella ipotesi in cui la riproposizione della questione muova dall'interpretazione esclusa dalla corte con pronuncia avente natura interpretativa; mentre, ancora prima, la stessa Cor
te costituzionale (sentenza n. 54 del 1961, id., 1961, I, 1569), aveva proclamato la regola dell'inammissibilità della riproposi zione della medesima questione da parte del medesimo giudice a quo nel corso dello stesso processo.
Il tutto in carenza quasi totale di referenti normativi, non
esistendo altro riferimento se non l'art. 137 Cost, (secondo cui
contro le decisioni della corte non è ammessa alcuna impugna
zione), l'art. 29 1. n. 87 del 1953 (relativamente al deposito della
decisione nella cancelleria della corte ed alla comunicazione al
giudice a quo) nonché l'art. 20 delle norme integrative per i
giudizi davanti la Corte costituzionale 16 marzo 1915, modifi
cato dall'art. 28 delle norme 27 novembre 1962 (quanto alla
pubblicazione delle decisioni). Nello stesso senso si è espressa pacificamente la dottrina co
stituzionale la quale ha concluso per l'insuscettibilità del vinco
lo al di fuori dei soli giudici rimettenti. 7. - Le affermazioni tanto della dottrina che della giurispru
denza, apparentemente semplici, abbisognano, però, di alcune
precisazioni. Innanzitutto, poiché le sentenze di rigetto (le uniche di cui
nella specie occorre occuparsi), sebbene interpretative, non han
no per loro natura efficacia generale e proprio perché l'eccezio
ne d'illegittimità è stata respinta sulla base della interpretazione e motivazione adottata con il criterio della «non incompatibilità della soluzione con i principi costituzionali», ne deriva, in ade
renza con la dottrina più autorevole, che lo stesso giudice ri
mettente, pur obbligato a quella interpretazione, è abilitato a
procedere ad una ulteriore soluzione interpretativa con il solo
limite, però, di non concludere nel senso scartato dalla Corte
costituzionale. Ma tutto ciò, comunque, sulla base di una valu
tazione che, anche se in concreto di difficile attuazione, pur essa non sia incompatibile con le norme della Costituzione.
Ma ove, per avventura, dal contesto della motivazione della
decisione della Corte costituzionale appaia chiaro che la solu
zione adottata sia «l'unica compatibile», essendo state scartate
tutte le altre possibili soluzioni, è evidente che la sentenza di
rigetto, pur se interpretativa, non consente al giudice rimettente
alcuna possibilità di ulteriormente sollevare eccezioni d'illegitti mità costituzionale, essendo pienamente vincolato alla decisione
adottata.
Le considerazioni innanzi esposte consentono di affermare,
pertanto, che esistono vincoli positivi della sentenza di rigetto
interpretativa in relazione al procedimento che ha dato luogo al giudizio di costituzionalità, nel senso che il giudice a quo
può essere tenuto a fare applicazione della disposizione nei ter mini posti a base della decisione costituzionale senza altra fa coltà. In caso contrario, una eventuale nuova eccezione di ille
gittimità costituzionale non potrebbe avere altro esito se non la dichiarazione d'incostituzionalità della norma.
8. - In relazione a tutti gli altri giudizi si afferma che non
esiste alcun effetto vincolante della decisione di rigetto interpre tativa della corte delle leggi.
Tale conclusione, esatta nella sua premessa generale, trova dei correttivi e necessita di chiarimenti ricavabili dalla giurisdi zione della stessa corte e dalla elaborazione dottrinale.
Innanzitutto va ricordata la distinzione tra disposizione e nor ma siccome evidenziata in premessa per affermare che le sen tenze interpretative di rigetto, nel dichiarare non fondata la que stione di legittimità costituzionale, non fanno riferimento alla sola disposizione indicata nell'ordinanza o nel ricorso siccome
sospettati d'illegittimità, ma si riferiscono anche a norme diver se ma ugualmente, a giudizio della corte, deducibili dalle pre dette elencate disposizioni in quanto sia possibile da queste ulti me ricavare norme diverse ma costituzionalmente legittime se condo una valutazione che compete a tale organo il quale deve
operare non solo un'interpretazione delle regole della legislazio ne ordinaria, ma soprattutto una valutazione dei precetti costi tuzionali ritenuti come valido criterio di paragone.
Una siffatta attività che la Corte costituzionale deve effettua re nell'esercizio del suo compito di sindacato di costituzionalità
degli atti legislativi pone evidentemente tale organo in posizione
Il Foro Italiano — 1999.
di vertice; onde non può il giudice ordinario sbrigativamente andare in contrario avviso, ma ha l'obbligo, anche giuridico, di spiegare adeguatamente le ragioni per le quali dissente da
quella soluzione.
Tale principio, peraltro non scritto, è ricavabile dalla prassi secondo la quale il giudice ordinario, ove ritenga di non aderire
alla decisione costituzionale, è tenuto a sollevare ancora nuova
questione di legittimità (v. sentenza 2 luglio 1956, n. 8, cit.,
che, per prima, ha adottato tale criterio, nonché sez. un. 13
luglio 1998, Gallieri, id., 1999, II, 87). Dal canto suo, la Corte costituzionale, ove non vengano ad
dotte questioni nuove o prospettazioni originali, usa decidere
con ordinanza dichiarativa d'inammissibilità per manifesta in
fondatezza.
A ciò va, poi, aggiunto, che in concreto, ove i giudici ordina
ri non abbiano ritenuto di uniformarsi alla precedente soluzione
adottata dalla Corte costituzionale, quest'ultima, proprio allo
scopo di impedire che nell'ordinamento sopravvivano norme ri
tenute contrarie alla Costituzione, ha in seguito adottato una
decisione dichiarativa d'illegittimità costituzionale, eliminando
così ogni futura possibilità di equivoci e contrasti.
E, per quel che può valere, non è senza significato la conside
razione che il legislatore, con la 1. 11 dicembre 1984 n. 839, abbia sentito la necessità di stabilire all'art. 3, 5° comma (at tualmente art. 21 d.p.r. 28 dicembre 1985 n. 1092) che anche
le sentenze interpretative di rigetto debbono essere pubblicate nella Gazzetta ufficiale nel testo integrale.
Pertanto, non può disconoscersi l'efficacia di «precedente» che deve essere riconosciuto alle decisioni di rigetto in genere, ed in particolar modo a quelle interpretative, e l'influenza che
siffatta pronuncia determina nei confronti dei giudici comuni
e degli operatori del diritto i quali, in mancanza di validi moti
vi, sono tenuti ad uniformarsi alla sentenza, la quale, secondo
la dottrina prevalente, viene ad assumere la figura di una «dop
pia pronuncia», nel senso che contiene una duplice affermazio
ne: che cioè l'atto, proprio perché espressione di un principio
proveniente dalla Corte costituzionale, è costituzionalmente le
gittimo e che, al contrario, nella diversa interpretazione del giu dice a quo, lo stesso non è conforme a Costituzione. È pur vero che non si tratta di vincolo giuridico, del resto inesistente
nel nostro ordinamento; pur tuttavia è innegabile il valore per suasivo di siffatta pronuncia costituendo un precedente autore
vole nonché il risultato di un'interpretazione sistematica in fun
zione adeguatrice proveniente dall'organo più qualificato in te
ma d'interpretazione costituzionale. Senza contare, poi, che, in
tali sentenze, la motivazione non rappresenta semplicemente il
motivo della decisione, ma svolge un ruolo più importante e
decisivo in quanto diviene elemento costitutivo della decisione
stessa che, con diversa motivazione, avrebbe avuto esito diverso. E che un tale vincolo sia in effetti esistente e non già pura
mente teorico, deriva, poi, dalla considerazione che, secondo la prevalente dottrina e la più recente giurisprudenza, tutti i
giudici sono tenuti a non fare applicazione delle disposizioni in un senso diverso da quello affermato dalla Corte costituzio nale senza aver prima sollevato questione di legittimità costitu zionale.
9. - Le affermazioni e conclusioni innanzi esposte quanto alla natura ed efficacia delle decisioni della Corte costituzionale, ed in particolare, di quelle così dette interpretative di rigetto, non ché le considerazioni contenute nella stessa decisione della Cor te costituzionale n. 232 del 1998, cit., impongono a queste se zioni unite di rivedere quella consolidata giurisprudenza in ordi ne alla reale portata e natura del termine di cui all'art. 309, 5° comma, c.p.p.
Va innanzitutto rilevato che già nella giurisprudenza di que sta Suprema corte, e prima ancora, nella novellazione n. 332 del 1995, si era andata manifestando la tendenza a rendere più rigidi i termini previsti per il procedimento di riesame, amplian do, da un lato, i diritti e la garanzia della difesa e, dall'altro,
predisponendo adempimenti più rigorosi per il giudice ed il p.m., anche allo scopo di evitare possibili abusi.
È pur vero che però la nuova formula legislativa «immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente la quale, entro il gior no successivo, e comunque non oltre il quinto giorno ...» era abbastanza equivoca essendo stato adoperato l'aggettivo «im mediato» di non univoco significato, ed istituito, per lo stesso
adempimento, un termine ordinatorio senza alcun effetto pro cessuale ed altro termine perentorio cui consegue l'inefficacia
prevista dal 10° comma dello stesso articolo. In ogni caso, la
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GIURISPRUDENZA PENALE
prefissione di un termine perentorio, nelle intenzioni del legis latore, avrebbe comunque impedito che un ritardo ingiustifica to nella trasmissione degli atti ovvero una trasmissione parziale,
potesse pregiudicare il diritto dell'imputato a veder decisa con
rapidità la sua istanza.
Senonché, la giurisprudenza restava ancorata all'interpreta zione secondo cui il termine di cinque giorni iniziava a decorre
re dal momento in cui la richiesta perveniva all'autorità giudi ziaria competente; con la conseguenza che continuavano a veri
ficarsi ritardi ingiustificati nei confronti dei quali si riteneva mancante qualunque sanzione al di fuori dell'ipotetico procedi mento disciplinare.
A questo punto la giurisprudenza di legittimità, pur preve dendo «scansioni temporali» cui restava affidata la tempestiva
garanzia del controllo giurisdizionale, compiva un ulteriore pas so a garanzia della difesa. Infatti, con la sentenza delle sez.
un. 29 ottobre 1997, Schillaci (id., 1998, II, 81), questa corte
decideva di adottare l'interpretazione secondo cui la perdita d'ef
ficacia prevista dal 10° comma dell'art. 309 c.p.p., andava rife
rita non al momento della trasmissione bensì a quello del «far
pervenire» gli atti «non oltre il quinto giorno» al tribunale per il riesame. E ciò sulla base della considerazione che il legis latore, nell'usare il termine «trasmettere», vocabolo di non uni
voco significato, aveva inteso tutelare l'interesse non del mit
tente nel compiere l'atto, bensì quello de libertate della persona
sottoposta alla misura coercitiva. Conclusione, questa, che ve
niva ribadita anche se nessun rimprovero di inerzia poteva esse
re mosso all'autorità giudiziaria procedente dovendo addebitar
si l'eventuale ritardo a circostanze estranee.
Cominciava a farsi strada, pertanto, l'idea secondo cui la nuo
va tecnica consentiva di adoperare moderni mezzi di comunica
zione in virtù dei quali la trasmissione del dato diveniva imme
diata ed il cui uso, peraltro, era stato legislativamente previsto dall'art. 64, 4° comma, disp. att. c.p.p. In tal senso si era pro nunciata dapprima sez. I 14 febbraio 1992, Nigro, e, successi
vamente, Cass. 12 dicembre 1995, Raia, id., Rep. 1996, voce
Misure cautelari personali, n. 526; 5 giugno 1996, Sisca, ibid., voce Procedimento penale, n. 31, le quali avevano considerato
equipollente alla raccomandata ed al telegramma l'uso del tele
fax, a condizione che il cancelliere del giudice che lo emetteva
attestasse in calce di aver trasmesso il testo originale e che la
conferma dell'apparecchio poteva valere quale prova dell'avve
nuta comunicazione.
Si pronunciavano sul punto anche le sezioni unite (sentenza 26 marzo 1997, Procopio, id., 1998, II, 183) che, anche se ad
altri fini, raccomandavano l'applicazione dell'art. 44 disp. att.
c.p.p. quanto all'uso di rapidi mezzi di comunicazione, quali il fonogramma ed il telefax.
10. - Interveniva a questo punto, quale naturale sviluppo di
un iter volto a garantire la reale incisività delle scansioni crono
logiche del rito del riesame, la citata sentenza della Corte costi
tuzionale la quale parte dalla consolidata premessa che, tra più
possibili interpretazioni della norma, occorre privilegiare quella conforme a Costituzione. Nel corso di tale ricostruzione, i giu dici delle leggi evidenziano che all'«immediato avviso» di cui
all'art. 309, 5° comma, c.p.p., proprio in considerazione del
concetto di immediatezza che, per sua natura, non assume rilie
vo giuridico e «non tollera intervalli temporali predefiniti», non
può essere attribuito altro significato se non quello di porre in grado l'autorità procedente ad ottemperare al proprio obbli
go di trasmettere gli atti di cui all'art. 291 c.p.p., depositati
presso il suo ufficio.
E, di contro alle obiezioni secondo cui anche una formula
normativa che contiene un concetto d'immediatezza nel senso
di contiguità temporale tra due eventi va adattata alla realtà
delle concrete situazioni, dovendosi comunque tener presente il tempo per mettere in moto i meccanismi organizzativi, la cor
te risponde agevolmente significando che l'avviso in questione
può e deve essere dato in forma libera, anche utilizzando quei mezzi di comunicazione moderni che eliminano quasi del tutto
l'intervallo di tempo tra la spedizione e la ricezione e che non
esiste alcun motivo, anche di fatto, valido perché detto avviso
non venga spedito subito dopo la presentazione dell'istanza, senza
necessità di inutili intervalli di tempo. Aggiunge la decisione in parola a tali considerazioni l'ulteriore preminente rilievo se
condo cui, nel bilanciamento tra le esigenze organizzative degli uffici giudiziari e quelle del favor libertatis volte alla concreta
garanzia di un rapido riesame della situazione penale della per sona colpita da misura restrittiva, è solo quest'ultima, per i prin
II Foro Italiano — 1999.
cipì di cui all'art. 13 Cost, secondo cui le limitazioni all'inviola
bilità della libertà personale non sono suscettibili di interpreta zioni estensive o analogiche, che deve avere la prevalenza, ben
potendo la prima essere risolta con opportuni accorgimenti di
carattere pratico. Rimedi, questi, peraltro, subito recepiti dal
l'amministrazione la quale, già in data 24 giugno 1998, emana va una circolare con la quale invitava tutti gli uffici giudiziari periferici ad usare, per le comunicazioni, sistemi di trasmissione via cavo ed a predisporre gli opportuni accorgimenti anche per i procedimenti in corso.
Rilevano queste sezioni unite che una interpretazione del ge nere è assolutamente incontestabile e perfettamente in linea con i principi costituzionali.
Va al riguardo ricordato che già il legislatore del 1989, con
l'art. 100 disp. att. c.p.p., aveva evidenziato ed imposto l'asso
luta urgenza della trasmissione in questione, prevedendo la «pre cedenza assoluta su ogni altro affare» e che, per quanto sopra
esposto, l'iter originariamente previsto è stato faticosamente rag
giunto dopo il superamento di ostacoli di vario tipo che ne han
no ritardato il conseguimento; la successiva 1. n. 232 del 1995
ha inteso poi eliminare altre difficoltà, anche di carattere tem
porale, al fine di garantire concretamente l'effettiva difesa.
La Corte costituzionale, con la sua decisione, ha innanzitutto
eliminato ogni irragionevole disparità di trattamento tra situa
zioni identiche posto che la decorrenza del termine viene fatta
coincidere per tutti i ricorrenti dalla data in cui l'istanza pervie ne nella cancelleria del tribunale del riesame, termine definito
e determinabile con certezza, e non è più affidata alle mutevoli
sollecitudini dell'autorità giudiziaria. Con il che si realizza an
che la funzione primaria di garanzia posta a base dell'istituto.
Senza contare, poi, che la linea adottata dalla Corte costitu
zionale semplifica il procedimento ed elimina tutte le difficoltà
interpretative di cui è ricca la dottrina e la giurisprudenza di
questi ultimi anni e che il concetto di «immediatezza» nel senso
esposto dai giudici costituzionali non è del resto ignoto nel no
stro sistema processuale. Già l'art. 80 del vecchio c.p.p. ed il corrispondente art. 123
del vigente codice di rito hanno previsto e disciplinato una ipo tesi in cui le dichiarazioni e le impugnazioni proposte dal dete
nuto con atto ricevuto dal direttore dell'istituto valgono quale atto ricevuto direttamente dall'autorità giudiziaria.
E la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la tempesti vità delle dichiarazioni e degli atti d'impugnazione inserite nel
registro d'iscrizione va riferita alla data della iscrizione stessa
e non già a quella risultante dal mod. 25 che va trasmessa al
l'autorità giudiziaria (art. 44 disp. att. c.p.p.). Con il che si è istituzionalizzato il principio, che deve ritener
si di carattere generale, secondo cui per l'esercizio dei diritti
attinenti al favor libertatis non è ammissibile alcun ritardo.
E non vale obiettare che in pratica è possibile, per espressa
previsione legislativa, che la decisione di riesame intervenga do
po il termine di quindici giorni, posto che le ipotesi previste dall'art. 101 disp. att. c.p.p. riguardano casi in cui la necessità
della proroga deriva da espressa volontà della persona ristretta
la quale, in tal modo, rinuncia alla garanzia del termine rite
nendo più vantaggiosa o l'istanza di rinvio o quella relativa al suo ascolto.
Da ultimo, non va dimenticato che i giudici delle leggi hanno
esplicitamente dichiarato di rendersi perfettamente conto dei pro blemi organizzativi e delle difficoltà pratiche derivanti dalla de
cisione nonché della difforme interpretazione della norma ad
opera dei giudici ordinari; ma hanno con forza dichiarato pre valenti i principi costituzionali relativi alla garanzia in materia
di libertà personale ed invitato il legislatore ad eventualmente
provvedere, sempre in armonia con la regola enunciata.
Dal che deriva, poi, che nella specie la decisione in parola deve ritenersi fornita di una maggiore efficacia, così come enun
ciato sub n. 7, posto che l'interpretazione fornita è stata esplici tamente dichiarata l'unica compatibile con i principi costitu
zionali. 11. - E poiché nella specie è pacifico in atti che il termine
di cui sopra non è stato rispettato, ne consegue che l'ordinanza
impugnata va annullata senza rinvio al pari del provvedimento istitutivo del g.i.p., con declaratoria di cessazione della misura
cautelare.
Tutti gli altri motivi di ricorso debbono intendersi assorbiti
e superati dall'accoglimento dell'eccezione sollevata con i moti
vi nuovi.
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