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sezioni unite penali; sentenza 24 novembre 1984; Pres. Mazza, Est. Pecchiai, P. M. Ciani (concl....

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sezioni unite penali; sentenza 24 novembre 1984; Pres. Mazza, Est. Pecchiai, P. M. Ciani (concl. conf.); ric. Proc. rep. Napoli c. Varriale. Annulla Trib. Napoli 14 novembre 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 4 (APRILE 1985), pp. 157/158-159/160 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178456 . Accessed: 28/06/2014 08:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.173 on Sat, 28 Jun 2014 08:57:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 24 novembre 1984; Pres. Mazza, Est. Pecchiai, P. M. Ciani (concl. conf.); ric. Proc. rep. Napoli c. Varriale. Annulla Trib. Napoli 14 novembre 1983

sezioni unite penali; sentenza 24 novembre 1984; Pres. Mazza, Est. Pecchiai, P. M. Ciani (concl.conf.); ric. Proc. rep. Napoli c. Varriale. Annulla Trib. Napoli 14 novembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 4 (APRILE 1985), pp. 157/158-159/160Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178456 .

Accessed: 28/06/2014 08:57

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157 GIURISPRUDENZA PENALE 158

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 24

novembre 1984; Pres. Mazza, Est. Pecchiai, P. M. Ciani

(conci, conf.); ric. Proc. rep. Napoli c. Varriale. Annulla Trib.

Napoli 14 novembre 1983.

CORTE DI CASSAZIONE;

Libertà personale dell'imputato — Arresto — Provvedimenti del

procuratore della repubblica o del pretore — Convalida dell'ar

resto e provvedimento sulla custodia in carcere — Duplicità di

statuizioni — Mandato di cattura obbligatorio e facoltativo —

Disciplina (Cod. proc. pen., art. 235, 236, 246, 253, 254; 1. 12

agosto 1982 n. 532, disposizioni in materia di riesame dei

provvedimenti restrittivi della libertà personale e dei provvedi menti di sequestro. Misure alternative alla carcerazione preven tiva, art. 2, 4; 1. 28 luglio 1984 n. 398, nuove norme relative

alla diminuzione dei termini di carcerazione cautelare e alla

concessione della libertà provvisoria, art. 12).

Nel caso di arresto in flagranza da parte di ufficiali e agenti dalla polizia giudiziaria il procuratore della repubblica o il

pretore, ai sensi dell'art. 246 c.p.p., nella formulazione di cui

all'art. 2 l. n. 532/82, successivamente modificato dall'art. 12

l. n. 398/84, deve adottare un provvedimento a duplice struttura in quanto racchiude due distinte statuizioni, una sulla

legittimità dell'operato della polizia giudiziaria, l'altra sulla

custodia in carcere, che è assimilabile ad un mandato o ordine

di cattura; la seconda statuizione può anche non avere una

formale autonomia o essere insita nella stessa convalida allorché

per il reato sia obbligatorio il mandato di cattura-, in caso

contrario, ove il p.m. o il pretore non ritenga di disporre la

liberazione dell'imputato, deve essere motivata con riguardo ai

parametri enunciati dall'art. 254 c.p.p. (1)

Ritenuto in fatto. — Varriale Nicola, tratto a giudizio direttis

simo per rispondere del delitto di detenzione illegale di arma da

guerra (art. 10 1. 14 ottobre 1974 n. 497 e 1 1. 18 aprile 1975 n.

110), veniva scarcerato su istanza della difesa dal Tribunale

di Napoli, con ordinanza dibattimentale in data 14 novem

bre 1983, in base al rilievo che lo stato di detenzione do

veva considerarsi illegittimo per mancanza di titolo, giacché il

p.u. si era limitato a convalidare l'arresto in flagranza in ordine

al reato che vi1 aveva dato causa, senza adottare la conseguente statuizione relativa al mantenimento della custodia in carcere.

Per l'annullamento di tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il procuratore della repubblica della stessa città, deducendo: che, a norma dell'art. 246, 2° cpv., c.p.p. (nuovo

testo), il decreto di convalida costituisce di per sé titolo legittimo di detenzione, non avendo il legislatore inteso attribuire significa tiva rilevanza o autonoma portata alla locuzione « dispone il

mantenimento della custodia in carcere »; che l'ultimo comma

dello stesso articolo assoggetta a richiesta di riesame solo il

decreto di convalida e non anche il provvedimento che dispone la

permanenza dello stato di detenzione, contro il quale non è data

impugnazione; che l'obbligo di motivare in base ai criteri stabiliti

dall'art. 254, 2" comma, c.p.p. è previsto solo in relazione

(1) Le sezioni unite sono intervenute per dirimere il contrasto (cui ha dato origine, peraltro, un'unica sentenza che non ha condiviso l'orientamento prevalente) emerso nella giurisprudenza dalla Corte di cassazione sugli effetti della nuova disciplina della convalida dell'arre sto in flagranza di cui all'art. 2 1. n. 532/82, che ha parzialmente sostituito l'art. 246 c.p.p., ulteriormente modificato dall'art. 12 1. n.

398/84: nello stesso senso della sentenza che si riporta v. Cass. 23 marzo 1984, Capozzoli, Cass, pen., 1984, 1168, e in Riv. polizia, 1984, 470, con nota di Lemme; 28 settembre 1983, Padula, Giust. pen., 1984, III, 1; 10 agosto 1983, Pelle, Riv. pen., 1984, 343; 5 maggio 1983, Graziano, Cass, pen., 1984, 1994; 26 novembre 1982, Pititto, Foro it., Rep. 1983, voce Libertà personale dell'imputato, nn. 165, 166; analogamente, in dottrina, Grevi, Commento agli art. 2-3 l. 12 agosto 1982 n. 532, in Legislazione pen., 1983, 71, e, sia pure meno diffusamente,

Scolozzi, Alcune considerazioni sulla l. 12 agosto 1982 n. 532, in

Giust. pen., 1983, III, 118. Contra, Cass. 3 ottobre 1983, Faralla, id.,

1984, III, 461, e in Giur. it., 1984, II, 400 con nota di De Roberto, criticata dalle sezioni unite, e, in dottrina, Catamo, Convalida dell'arre

sto e provvedimenti conseguenziali sulla libertà personale dall'arrestato, in Giust. pen., 1983, III, 619, il quale riproduce, sostanzialmente, la mo

tivazione della sentenza Faralla, di cui è stato l'estensore. Sulla nuova formulazione dell'art. 246 c.p.p. cfr. altresì Cass. 20

gennaio 1983, Raffa, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 164; e, in

dottrina, De Roberto, Convalida dell'arresto e misure sostitutive della carcerazione preventiva, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1984, 1134, spec.

1141; Pierro, Conferma del decreto di convalida dell'arresto in fla granza e contestuale liberazione dell'arrestato: un nuovo potere del « tribunale della libertà? », in Giur. merito, 1983, 1266.

all'ipotesi di liberazione dell'imputato o di applicazione nei suoi confronti di una misura alternativa alla carcercazione; che, co

munque, nel decreto di convalida era stato fatto esplicito riferi mento alla sussistenza del pericolo di fuga, onde qualsiasi censura

riguardante la motivazione avrebbe dovuto essere dedotta nel termine di legge davanti al tribunale per il riesame dei provvedi menti restrittivi della libertà personale.

Il ricorso, inizialmente assegnato alla prima sezione penale di

questa Corte suprema, è stato successivamente, in seguito a richiesta del presidente titolare di detta prima sezione, assegnato a

queste sezioni unite per la risoluzione della questione relativa alla

legittimità o meno del decreto di convalida delFarresto emesso ex art. 246 c.p.p. dal p.m. senza la ulteriore statuizione espressa concernente il « mantenimento della custodia dell'arrestato in carcere ».

Osserva in diritto. — Il ricorso è parzialmente fondato. Ai fini della risoluzione della questione devoluta all'esame di queste sezioni unite, va premesso che il tema principale dell'indagine verte sui limiti entro i quali deve operare la riforma apportata al testo dell'art. 246, 3° comma, c.p.p. dall'art. 2 1. 12 agosto 1982 n. 532, riforma che, per la sua incidenza sul sistema processuale, desta alcune riflessioni, con riferimento al tema fondamentale della tutela della libertà personale.

Secondo una tesi, la quale ha avuto riscontro in una pronuncia di questa Corte suprema (Cass. 3 ottobre 1983, P.m. c. Faralla e

Barra), si è sostenuto che la sopra accennata riforma si sarebbe tradotta in un nuovo collegamento della convalida dell'arresto con il mutato regime della carcerazione cautelare e delle connesse misure alternative, nonché con il nuovo istituto del riesame dei

provvedimenti restrittivi della libertà personale.

Da tale premessa deriverebbe che la convalida dell'arresto, anche dopo l'emanazione della novella del 1982, ha conservato la sua primitiva funzione poiché guarda al passato, quanto alla formazione del titolo, del quale è elemento costitutivo, e guarda all'avvenire, quanto all'efficacia di esso, per cui l'arresto in

flagranza, una volta convalidato, diviene intangibile sia come mezzo restrittivo della libertà personale, sia come mezzo di contestazione dell'accusa sino al proscioglimento o alla condanna

definitiva; che il quid novi rispetto alla precedente normativa non è costituito dalla statuizione sul mantenimento della custodia in

carcere, che invece compariva anche in quella, sia pure con

espressioni diverse, bensì nell'esplicita previsione della convalida

dell'arresto, quale antecedente logico e giuridico di quella statui

zione; che tale ripartizione è resa necessaria dalla scissione tra

qualificazione formale del provvedimento e contenuto sostanziale dello stesso, perché, con l'introduzione delle misure alternative, la convalida dell'arresto non si risolve necessariamente nel mantenere il prevenuto in vincoli, ma può dar luogo, nei casi di mandato di cattura facoltativo, in base ai criteri stabiliti dall'art. 254, 2°

comma, c.p.p., all'adozione di una di tali misure alternative o, addirittura, alla liberazione dell'arrestato; che il mantenimento della custodia costituisce un provvedimento ordinatorio e conse

guenziale alla convalida dell'arresto, come tale non abbisognevole di propria motivazione, necessaria solo se di magistrato decida di

avvalersi, nei casi consentiti, della facoltà di adottare una misura alternativa o -di disporre la liberazione del prevenuto.

A fronte dà tali criteri, tenuti presentì, come si è accennato in

premessa, gli scopi della riforma, volta a determinare concreta mente la misura e le modalità di scelte garantistiche della libertà, si deve opporre, in conformità con altre decisioni di questa Corte

suprema (23 marzo 1984, P.m. c. Capezzoli; 3 aprile 1984, P.m. c. Piccolo; 26 novembre 1982, Pititto, Foro it., Rep. 1983, voce Libertà personale dell'imputato, nn. 165, 166), che — come si rileva chiaramente dal dato normativo (art. 246, 3° comma, c.p.p.) — la pronunzia sul mantenimento della custodia è una nuova

realtà, che si aggiunge alla statuizione sulla convalida.

Laddove nel sistema anteriore era prevista soltanto l'emissione di un decreto motivato, a mezzo del quale il magistrato si

limitava ad ordinare che l'imputato rimanesse a disposizione della

autorità competente, con il nuovo testo normativo è previsto —

invece — un migliore adeguamento ai valori della libertà, tute landoli lin base a consentanee esperienze e ad appropriati metodi, secondo d principi fissati, oltre che nella Costituzione, anche nella

convenzione europea e nella dichiarazione dei diritti dell'uomo.

Pertanto, la decisione, con la quale viene conservato lo stato di

custodia, non è più meramente conseguenziale rispetto alla con

valida, ma risulta fornita di una propria sfera di autonomia per contenuto e grado di efficienza, in conformità alla struttura

dualistica del provvedimento.

Il Foro Italiano — 1985 — Parte II-12.

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PARTE SECONDA

Nei confronti dell'originaria carenza, nel magistrato, di poteri

discrezionali, in quanto egli doveva soltanto disporre la scarcera

zione per l'arresto avvenuto fuori dei casi consentiti, o altrimenti

doveva convalidarlo, si è ora attribuito all'autorità giudiziaria il

potere di ordinare la liberazione del prevenuto o di imporre una

delle misure alternative già accennate.

Di fronte a tale dualismo, il far luogo a dette misure si risolve

in una pronuncia che, per il prefisso molo assegnatole, deve

assimilarsi ad un provvedimento di cattura, il quale può anche

non avere una formale autonomia, o può essere insito nella stessa

convalida, allorché per il reato sia obbligatorio il mandato di

cattura.

Ma ^autonomia dell'atto in questione trova una chiara conferma

nell'ipotesi in cui, convalidandosi l'arresto e trattenendosi in via

provvisoria l'imputato da parte del procuratore della repubblica o

del pretore incompetente, la legge affida, invece, al magistrato

competente il potere di adottare, entro un brevissimo termine e

sotto comminatoria della perdita di efficacia, le disposizioni

previste dal 3" comma dell'art. 246 c.p.p., le quali non possono, a

seguito della valutazione compiuta con riguardo ai parametri enunciati dall'art. 254, 2° comma, c.p.p., ove non sia obbligato ria la cattura, che consistere o nella liberazione dell'imputato, o

nella conservazione della custodia, o nell'applicazione di una

misura alternativa a quella carceraria, correlandosi in tal modo la

situazione anzidetta a quella -in cui il decreto di convalida sia

stato emesso da magistrato competente.

All'argomentazione che questi debba, al fine di evitare l'effetto

caducatone, emettere un decreto di convalida definitiva dell'arre

sto già convalidato dal magistrato incompetente, è da opporre che

una tale tesi non trova alcuna base di appoggio nel testo

normativo.

E ciò tenuto particolarmente presente che in un sistema, come

l'attuale, in cui ii principio del favor libertatis circola in tutto il

processo penale, l'intervento del magistrato competente non può risolversi in una formalistica convalida definitiva, piuttosto che in

una pronuncia sullo status libertatis del prevenuto.

L'obbligo della motivazione, che scaturisce dalla nuova discipli na processuale prevista dall'art. 246 c.p.p. (nuovo testo) e che si

traduce anche nell'accertare gli elementi intrinsechi della fattispe cie, così da assegnare ad essi un particolare risalto formale

nell'ipotesi di cattura non obbligatoria, si adegua al peculiare

aspetto innovativo della fattispecie stessa.

Conseguentemente, in tale ipotesi, l'adeguatezza della motivazio ne deve essere valutata tenendo conto della particolarità della stazione originata dall'arresto in flagranza e della brevità del

termine per decidere su fatti e persone con criteri di prevalente carattere sintomatico.

Dal quadro normativo sostanziale, come sopra delineato, si

desume, infine, che l'opposta tesi, oltre a comportare un ribalta

mento della logica del sistema, in cui la norma è inserita,

potrebbe dare adito a fondati sospetti di incostituzionalità degli art. 246, 3° e 7° comma, e 263 ter c.p.p. sotto il profilo della

violazione del principio di uguaglianza e della menomazione del

diritto di difesa.

Infatti, mentre l'imputato arrestato su mandato od ordine

dell'autorità giudiziaria può conoscere dalla motivazione del prov vedimento restritivo gli indizi di colpevolezza a suo carico e le

ragioni giustificative della coercizione, e può cosi provvedere

adeguatamente alla propria difesa, invece, l'imputato arrestato con

atto provvisorio della polizia giudiziaria, successivamente convali

dato dal magistrato, verrebbe trattenuto in carcere in base ad un

decreto per il quale non è richiesta motivazione sulle relative

esigenze di natura cautelare, con una evidente quanto irrazionale

flessione di quei mezzi difensivi che il sistema normativo statale e

comunitario intende, come si è accennato, garantire allo stesso

grado in ambedue le ipotesi. Laddove, in conseguenza dell'avverso

orientamento, si darebbe corso ad un trattamento sperequato di

tali ipotesi, nonostante la loro innegabile equivalenza, in contrasto

con la logica del sistema e perfino con i modelli normativi

proposti in sede di riforma con scelte che qualificano non solo il

processo, ma la stessa struttura dell'ordinamento giuridico.

Dalle suesposte considerazioni deriva la inaccettabilità delle tesi

dell'ufficio ricorrente, anche per quanto riguarda la negata neces

sità di una espressa motivazione circa gli elementi previsti dall'art. 254, 2° comma, c.p.p., per il caso che l'arrestato debba

essere trattenuto in vincoli. Ma tale erroneità non comporta il

rigetto del ricorso in esame che, come si è premesso, deve essere

accolto in relazione alla censura contenuta nell'ultimo mezzo.

Invero, contrariamente a quanto ritenuto con eccessivo rigore

formalistico dai giudici di merito, la statuizione, nel provvedimen to emesso dal pubblico ministero, sul mantenimento della custo

dia, pur se non manifestata in termini di espressione grafica, deve

tuttavia considerarsi insita nel contenuto sostanziale del provvedi

mento, e si ricava dal richiamo, che si legge nel provvedimento

stesso, alla rilevante pericolosità sociale dell'imputato, come moti

vo idoneo, da un lato, a giustificare la protrazione della carcera

zione cautelare e ostativo, dall'altro, alla liberazione del prevenuto ed alla adozione di una delle sopra accennate misure alternative.

È ben vero che una siffatta motivazione potrebbe essere

censurata sotto il profilo della genericità, ma si tratterebbe,

comunque, di un vizio formale che non ha incidenza sulla

legittimità dello stato di detenzione e che si sarebbe dovuto far

valere con gli ordinari mezzi di giustizia, ossia con richiesta di

riesame, ai sensi dell'art. 246, ultimo comma, c.p.p., e, successi

vamente, con ricorso per cassazione (art. 263 quater), e non

mediante istanza di scarcerazione.

Non essendosi l'imputato avvalso dei suddetti rimedi — come

bene rileva il procuratore generale di questa sede — il vizio in

questione ha esaurito i suoi effetti e non è più deducibile in

giudizio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 13

ottobre 1984; Pres. Barba, Est. Anedda, P. M. Amoroso (conci,

conf.); ric. Cacciò. Conferma Trib. Livorno 31 gennaio 1983.

Impugnazioni penali — Impugnazione generica — Motivi circo

scritti ai soli interessi civili — Notificazione — Necessità —

Termine — Decorrenza (Cod. proc. pen., art. 202).

L'obbligo della notificazione prescritta dall'art. 202, 2° comma,

c.p.p. sussiste anche quando la dichiarazione di impugnazione sia generica e i motivi successivamente presentati siano circo scritti agli interessi civili; in tale ipotesi il termine di tre

giorni, previsto a pena di decadenza per la notificazione

dell'impugnazione alle altre parti, decorre sempre dal giorno della dichiarazione di impugnazione. (1)

(1) Con la decisione in epigrafe, la Cassazione a sezioni unite ha risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla sussistenza dell'obbli go della notificazione di cui all'art. 202, 2° comma, c.p.p. anche qualora a una dichiarazione di impugnazione generica facciano seguito motivi circoscritti unicamente alla responsabilità civile e alle spese.

Ed invero, l'art. 202, 2° comma, c.p.p. si limita a statuire che « la parte che impugna una sentenza o un altro provvedimento per i soli interessi civili deve fare notificare la dichiarazione entro tre giorni alle altre parti a pena di decadenza ».

Si tratta, come è stato osservato, di una disposizione conforme al principio fondamentale del processo civile, secondo il quale l'impugna zione, quale domanda, deve essere notificata alle altre parti in pregiudizio degli interessi delle quali è indirizzata (Tranchina, Impu gnazioni (dir. proc. pen.), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1970, XX, 727 s. In generale cfr. anche Bonetto, Sulla notificazione delle impugnazioni del querelante, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 305; Id., L'impugnazione per i soli interessi civili, id., 1959, 1014; Grevi, La notifica dell'impugnazione proposta per i soli interessi civili, id., 1966, 310).

Con riferimento al caso di specie, un primo indirizzo giurispruden ziale, in forza della considerazione che la dichiarazione e i motivi di impugnazione conservano sotto molti aspetti una loro autonomia, tanto è vero che essi possono esplicarsi con atti materialmente e cronologi camente distinti, ha ritenuto che, per verificare se sussista o meno l'obbligo della notificazione, occorre fare riferimento unicamente al contenuto della dichiarazione e non anche a quello dei motivi, che possono eventualmente limitare l'oggetto della domanda di impugna zione. Qualora, pertanto, la dichiarazione di impugnazione investa l'intera sentenza, non sarebbe necessaria la notificazione, ai sensi dell'art. 202, 2° comma, c.p.p., anche quando con la presentazione dei motivi l'ambito dell'impugnazione venga limitato ai soli interessi civili: in questo senso cfr. Cass. 29 gennaio 1962, Costantino, Foro it., Rep. 1962, voce Impugnazioni penali, n. 161; 9 febbraio 1966, Castello, id., Rep. 1966, voce cit., nn. 189-191; 2 maggio 1977, De Besi, id., Rep. 1978, voce cit., n. 127; 12 gennaio 1981, Morleo, id., Rep. 1982, voce cit., n. 129; 12 maggio 1982, Basile, id., Rep. 1983, voce cit., n. 116; e, in dottrina, Tranchina, op. cit., 728.

Un secondo orientamento giurisprudenziale, al quale aderisce la decisione in epigrafe, ha posto invece in rilievo come l'impugnazione sia un atto sostanzialmente unico, anche se costituito dalla dichiarazione e dai motivi. Ne consegue che il carattere civilistico o penalistico dell'impugnazione non può essere desunto dalla sola dichiarazione, bensì congiuntamente da questa e dai motivi, per cui deve ritenersi obbligatoria la notificazione dell'impugnazione alle altre parti, anche

Il Foro Italiano — 1985.

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