sezioni unite penali; sentenza 25 febbraio 1998; Pres. La Torre, Est. Papadia, P.M. Toscani(concl. parz. diff.); ric. Bono e altri. Conferma Assise app. Torino 20 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1998), pp. 449/450-455/456Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193155 .
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449 GIURISPRUDENZA PENALE 450
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 4 mag
gio 1998; Pres. Tonini, Est. Postiglione, P.M. Frangini
(conci, diff.); Mei. Annulla Pret. Pesaro-Fano 17 luglio 1997.
CORTE DI CASSAZIONE;
Dibattimento penale — Difensore — Legittimo impedimento —
Fattispecie (Cod. proc. pen., art 486).
Costituisce legittimo impedimento, idoneo — ove sussistano gli ulteriori requisiti posti dall'art. 486, 5° comma, c.p.p. — ad
imporre il rinvio dell'udienza dibattimentale, la deduzione,
da parte del difensore in stato di gravidanza al nono mese,
di dolori colici addominali, tempestivamente dedotti e docu
mentati. (1)
Fatto e diritto. — Il Pretore di Pesaro, sezione distaccata
di Fano, con sentenza del 17 luglio 1997, condannava Mei Gual
tiero alla pena di lire cinque milioni di ammenda per il reato
di scarico di insediamento produttivo senza autorizzazione (art.
21, 1° comma, 1. 319/76) e alla pena di 350 mila di ammenda
per il reato di cui all'art. 734 c.p. Contro questa sentenza ha
proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo prelimi narmente la nullità della decisione per l'erroneo rigetto dell'i
stanza di rinvio avanzato dal difensore.
Il ricorso sul punto è fondato.
Con l'ordinanza di rigetto dell'istanza di rinvio il pretore si
limita a prendere in considerazione «la semplice affezione da
dolori colici addominali» dell'avvocato difensore, senza valuta
re la circostanza, pur documentata, della gravidanza al nono
mese.
Le peculiari condizioni del difensore e la insorgenza della im
possibilità a comparire imponevano il dovere di rinvio del di
battimento, anche alla luce della 1. 11 dicembre 1990 n. 379
e dei principi costituzionali (art. 31 e 37 sulla tutela della mater
nità), nonché dell'orientamento della Corte costituzionale (sent.
3/98, Foro it., 1998, I, 664).
(1) Non constano precedenti editi in termini. La pronuncia si colloca
in linea con l'indirizzo, già da tempo messo a fuoco in sede di legittimi tà (Cass., sez. un., 27 marzo 1992, Fogliarli, Foro it., 1992, II, 345, con nota di ulteriori richiami; in un'ottica omogenea, cfr., peraltro,
già Corte cost. 29 aprile 1991, n. 178, id., Rep. 1992, voce Dibattimen
to penale, nn. 33, 34) che tende ad attribuire — proprio allo scopo di scongiurare interpretazioni troppo meccaniche del congegno di cui
all'art. 486, 5° comma, c.p.p. — non trascurabili margini di discrezio
nalità al giudice al fine di apprezzare, con giudizio attento alle peculia rità di ciascun caso concreto, gli estremi del legittimo impedimento del
difensore idoneo a determinare l'obbligo di rinvio dell'udienza (per una
messa a punto della problematica, all'indomani della su citata pronun cia delle sezioni unite, cfr., tra gli altri, D'Andria, I contrasti giuris
prudenziali e l'intervento delle sezioni unite in tema di impedimento del difensore per concorrenti impegni professionali, in Cass, pen., 1992, 1791 ss.; De Roberto, In tema di concomitanti impegni del difensore, in Giur. it., 1993, II, 103 ss., e, più di recente, Montagna, Rinvio
del dibattimento per legittimo impedimento del difensore dell'imputato,
id., 1996, II, 419 ss.; per una fattispecie emblematica di corretto eserci
zio della discrezionalità giudiziale in sede di apprezzamento degli estre
mi ex art. 486, 5° comma, c.p.p. nel quadro dei contestuali impegni
professionali del difensore, cfr. Trib. Termini Imerese 23 aprile 1993, Foro it., 1993, II, 393, con nota di richiami). Sui caratteri dell'impedi mento che inerisca alla persona fisica del difensore e concerna la sfera
della tutela della salute, cfr. il pur rigoroso indirizzo di Cass. 18 aprile
1994, Guastalegname, id., Rep. 1995, voce cit., n. 77.
Sulla indennità di maternità alle libere professioniste, cfr. Corte cost.
29 gennaio 1998, ri. 3, id., 1998, I, 664, con nota di richiami di L.
Carbone.
li Foro Italiano — 1998 — Parte II-15.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 25
febbraio 1998; Pres. La Torre, Est. Papadia, P.M. Toscani
(conci, parz. diff.); ric. Bono e altri. Conferma Assise app. Torino 20 dicembre 1996.
Impugnazioni penali in genere — Motivi nuovi — Nozione (Cod.
proc. pen., art. 311, 325, 585, 611; norme attuaz., coord,
e trans, cod. proc. pen., art. 167).
Impugnazioni penali in genere — Motivi nuovi — Nozione —
Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 76; 1. 16 febbraio 1987 n. 81, delega legislativa al gover no della repubblica per l'emanazione del nuovo codice di pro cedura penale, art. 3, n. 88; cod. proc. pen., art. 311, 325,
585, 611).
I «motivi nuovi» a sostegno dell'impugnazione non possono in
vestire anche i capi o i punti della decisione impugnata diversi
da quelli specificamente attinti dall'originario ricorso. (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 585, 4° comma, c.p.p. (e quindi degli art.
311, 4° comma, 325, 3° comma, e 611, 1° comma, stesso
codice), non essendo dette disposizioni, interpretate restritti
vamente circa la portata dei «motivi nuovi», viziate — per
difetto — da eccesso di delega rispetto alla direttiva n. 88
dell'art. 2 l. 16 febbraio 1987 n. 81, in riferimento all'art.
76 Cost. (2)
(1-2) Il ricorso veniva rimesso alle sezioni unite dalla I sezione penale con ordinanza in data 20 maggio 1997, essendo necessario esaminare, in via preliminare, la questione di diritto riguardante la portata applica tiva e l'ammissibilità dei «nuovi» ed autonomi motivi di ricorso — non
collegati cioè ai capi e punti della decisione già oggetto dell'originario atto d'impugnazione — proposti dal difensore di uno degli imputati,
per la ragione che, qualora si fosse condivisa l'opinione seguita dalla
prevalente giurisprudenza di legittimità, di essi, pure dotati di obiettiva
rilevanza, si sarebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità.
Secondo un primo indirizzo largamente prevalente, i motivi «nuovi»
di cui agli art. 585, 4° comma, e 611, 1° comma, c.p.p. (disposizione
quest'ultima dettata, per il giudizio di cassazione, relativamente al pro cedimento in camera di consiglio, ma applicabile anche per quello —
come nella specie — in udienza pubblica «ove si considerino la regola della pienezza e dell'effettività del contraddittorio cui si ispira il vigente codice di rito e la necessità per il giudice di conoscere tempestivamente le varie questioni prospettate»: Cass., sez. V, 1° dicembre 1992, Boero, Foro it., Rep. 1993, voce Cassazione penale, n. 56), ed altresì analoga mente per il ricorso cautelare ex art. 311, 4° comma, e 325, 3° comma, devono essere inerenti al thema decidendum delineato in virtù della spe cifica enunciazione dei capi o punti della decisione impugnata investiti
dagli originari motivi di gravame, ai sensi degli art. 581, 1° comma, lett. a), c.p.p. e 167 norme attuaz.
Il contenuto dei motivi «nuovi» deve dunque consistere in un'ulterio
re illustrazione o sviluppo delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono le richieste al giudice dell'impugnazione, ma non
può configurarsi, a pena d'inammissibilità, in modo del tutto autono
mo e indipendente da quanto inizialmente devoluto (cfr., da ultimo,
explurimis, Cass., sez. I, 5 giugno 1997, Maraffa, cit. in motivazione, Ced Cass., rv. 208054; sez. Ili 4 marzo 1997, D'Agostino, ibid., rv.
207628; sez. I 20 marzo 1997, Gomizelj, ibid., rv. 207323; sez. II 20
marzo 1997, Carena, ibid., rv. 207415; 8 gennaio 1997, Guerino, ibid., rv. 206865; sez. IV 17 gennaio 1997, Beikircher, ibid., rv. 206653; 14
settembre 1996, Palella, ibid., rv. 206547; 16 settembre 1996, Pileri,
ibid., rv. 206553; 5 settembre 1996, Cecere, Foro it., Rep. 1996, voce
Misure cautelari personali, n. 650; sez. I 22 maggio 1996, Mannino,
ibid., voce Impugnazioni penali, n. 105; 11 marzo 1996, Biondolillo,
ibid., voce Cassazione penale, n. 20; sez. Ili 5 marzo 1996, Hofer,
ibid., voce Impugnazioni penali, n. 106; sez. I 13 dicembre 1995, Mu
sarra, ibid., n. 108; 17 novembre 1995, Favaretto, ibid., n. 110; sez.
III 14 novembre 1995, Viceconti, ibid., n. 112; sez. VI 29 novembre
1995, Porletti, ibid., n. 109; 17 novembre 1995, Iacolare, ibid., n. Ili;
8 marzo 1995, Piliarvu, ibid., n. 116). Gli argomenti comunemente utilizzati a sostegno di questa prima tesi
interpretativa possono essere riassunti in tre ordini di ragioni: a) in base
alla formulazione letterale dell'art. 167 norme attuaz. c.p.p., nel caso
di presentazione di motivi nuovi, «devono essere specificati i capi e
i punti enunciati a norma dell'art. 581.1, lett. a), del codice ai quali i motivi si riferiscono»; b) l'opposta soluzione interpretativa, consen
tendo una concreta elusione dell'iniziale termine perentoriamente fissa
to per il gravame, vanificherebbe la regola di una tempestiva e comple ta instaurazione del contraddittorio entro termini rigorosi; c) l'appello incidentale di cui all'art. 595 c.p.p., non previsto con riferimento ai
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PARTE SECONDA
Motivi della decisione. — 1. - Il quesito sottoposto all'esame
di queste sezioni unite consiste nel seguente: «se i motivi nuovi
di cui all'art. 611, 1° comma, c.p.p. (rectius: art. 585.4 c.p.p.)
possano investire anche capi o punti della decisione impugnata diversi da quelli specificamente attinti dall'originario ricorso».
È chiaro che, se anche il quesito attiene al solo art. 585 c.p.p., il problema investe unitariamente tutte le ipotesi in cui il vigen te codice di rito ha introdotto tale istituto, ed in particolare l'art. 311.4, l'art. 325.3, l'art. 611.1 c.p.p. nonché l'art. 167
disp. att. c.p.p. posto che la disciplina è stata prevista in modo
unitario, con esclusione di aspetti particolari relativamente al
procedimento incidentale, ed identiche sono le motivazioni.
2. - Il codice di rito previgente, a differenza di quello Zanar
delli del 1913, non conteneva una norma di carattere generale che consentisse la proposizione di motivi aggiunti o diversi da
quelli originariamente proposti. Nella relazione al re, al n. 84, si giustificò questa omissione con la considerazione che il difen
sore nel giudizio di appello era normalmente quello di primo
grado il quale conosceva bene il processo e non aveva bisogno di attendere la trasmissione degli atti alla corte territoriale ovve
ro al tribunale per espletare la difesa; né per proporre i motivi
di appello era indispensabile e richiesta quella professionalità necessaria per il giudizio di legittimità. Motivo questo che spin se quel legislatore ad introdurre la possibilità di proporre moti
motivi nuovi, sarebbe completamente mortificato se fosse possibile pro spettare con essi ulteriori e diversi profili di annullamento, né l'assenza di tale istituto nel giudizio di cassazione potrebbe giustificare l'asiste matica frammentazione della disciplina generale delle impugnazioni.
Un'opposta, ma nettamente minoritaria, linea interpretativa è stata affermata — sia pure con specifico riferimento al ricorso per cassazione avverso le ordinanze de libertate a norma dell'art. 311, 4° comma, c.p.p. — da alcune decisioni della sezione VI, tutte redatte dal medesimo esten
sore, per le quali i motivi «nuovi» possono investire anche capi o punti della decisione impugnata diversi da quelli specificamente attinti dall'o
riginario ricorso: cfr. Cass., sez. VI, 21 novembre 1995, Bernardo, ibid., voce Misure cautelari personali, n. 652; 15 febbraio 1995, Leale, id., Rep. 1995, voce cit., n. 673; 5 dicembre 1994, Chieffallo, ibid., n. 674; 28 novembre 1994, Bellagamba, non massimata e inedita.
A sostegno di tale secondo orientamento s'invoca l'interpretazione storico-sistematica dell'istituto.
La terminologia adottata nella direttiva n. 88 dell'art. 2 1. delega 16 febbraio 1987 n. 81 per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale («nuovi» motivi) segnerebbe il radicale distacco, anche semanti
co, rispetto alla previgente disciplina dell'art. 529, 2° comma, c.p.p. del 1930 (motivi «aggiunti»).
L'art. 1 d.l. 21 ottobre 1988 n. 445, recante interventi urgenti a tutela del diritto di difesa, che prevedeva, nel caso di appello avverso una sentenza depositata dopo il novantesimo giorno dalla pronuncia, la pos sibilità di presentare motivi «nuovi», veniva sostituito in sede di con versione del decreto ad opera della 1. 21 dicembre 1988 n. 535 dall'e
spressione «motivi nuovi ed aggiunti»: la duplice aggettivazione adotta ta dalla novellazione dell'art. 511, 1° comma, c.p.p. del 1930, intervenuta
peraltro nelle more tra l'approvazione e l'entrata in vigore del nuovo codice di rito, sembrerebbe contemplare sia l'ipotesi di una prospetta zione diversa ed integratrice dei motivi di ricorso originariamente già presentati, sia quella di ulteriori censure anche in ordine a capi e punti non investiti con i motivi iniziali (contra, nonostante la nuova defini
zione, Cass., sez. VI, 6 dicembre 1989, De Giorgi, cit. in motivazione, id., Rep. 1991, voce Cassazione penale, n. 27).
Ed ancora, mentre il testo dell'art. 149 del progetto preliminare delle
disposizioni di attuazione del nuovo codice di rito recepiva la locuzione «motivi aggiunti», per estendere anche ad essi il requisito di specificità, il definitivo art. 167 norme attuaz. intitolato «Nuovi motivi dell'impu gnazione già proposta», reca invece la dizione «motivi nuovi», in acco
glimento dei rilievi mossi dall'apposita commissione parlamentare, il cui parere era espresso nei seguenti termini: «Visto il dettato del 3° comma dell'art. 585, per uniformità di linguaggio si preferisce adottare
l'espressione "motivi nuovi", fermo restando che tale dizione compren de anche lo sviluppo di questioni precedentemente trattate»; lasciando sottintendere la prospettabilità di questioni non precedentemente tratta
te, mediante motivi «nuovi», non condizionati dai capi e dai punti già gravati della decisione impugnata.
Alla seria obiezione, mossa alla tesi dell'ampia proponibilità di moti vi «nuovi», inerente al regime dell'impugnazione incidentale, si rispon de — da parte di questo orientamento giurisprudenziale minoritario —
che trattasi di istituto comunque non previsto dalla legge e perciò estra neo al procedimento davanti alla Corte di cassazione (principio pacifi co, per il quale cfr. Cass., sez. Ili, 7 febbraio 1996, Valtorta, id., Rep.
Il Foro Italiano — 1998.
vi «aggiunti» nel solo ricorso per cassazione (art. 529, 2° com
ma, c.p.p.).
Comunque, vigente il vecchio codice di rito, non si è posto mai il problema oggi all'esame di queste sezioni unite. Per cui
pacificamente, tanto in dottrina che giurisprudenza, si è sempre sostenuto che i motivi «aggiunti» non potevano investire capi o punti della decisione impugnata diversi da quelli specifica mente attinti dall'originario ricorso; con la inevitabile conse
guenza che: a) la validità del motivo aggiunto era subordinata
a quella dei motivi principali; b) non proposti i motivi principa li, quelli aggiunti dovevano ritenersi inammissibili; c) la possibi lità di presentare motivi aggiunti riguardava solo il difensore
e non anche il ricorrente; d) il difensore non iscritto nell'albo
speciale era ammesso a presentare motivi contestuali, ma non
anche motivi aggiunti. 3. - Poco prima della entrata in vigore del nuovo codice di
procedura penale (fissata per il 24 ottobre 1989), il legislatore ha inteso la necessità di modificare sul punto l'art. 511 c.p.p. del 1930 con d.l. 21 ottobre 1988 n. 445, convertito in 1. 21
dicembre 1988 n. 535. In tale provvedimento legislativo si se
gnalò la necessità ed urgenza di intervenire per modificare il
sistema dell'allora vigente disciplina in tema di presentazione dei (soli) motivi di appello avverso le sentenze, al dichiarato
fine di garantire il più ampio esercizio di difesa in relazione
1996, voce cit., n. 11; sez. V 11 gennaio 1993, Diodati, id., Rep. 1993, voce cit., n. 11).
Le sezioni unite, chiamate a dirimere il contrasto interpretativo profi latosi nella giurisprudenza di legittimità sulle linee ricostruttive della normativa contenuta nell'art. 2, n. 88, 1. delega n. 87 del 1988, negli art. 585, 4° comma, 311, 4° comma, 325, 3° comma, e 611, 1° comma,
c.p.p. ed infine nell'art. 167 norme attuaz., ma, in sostanza, circa il modo d'intendere la portata applicativa delle specifiche disposizioni ri
guardanti l'assetto dialettico del contraddittorio nel giudizio sull'impu gnazione, hanno condiviso con la sentenza in epigrafe il primo, larga mente dominante, dei due contrapposti indirizzi giurisprudenziali, rac
cogliendone in termini le indicazioni. La Suprema corte, per rafforzare la trama argomentativa della deci
sione, ha sottolineato, da un lato, «la disinvoltura» dell'uso della nuo va terminologia da parte del legislatore nei distinti contesti normativi, e, dall'altro, come dall'accoglimento dell'opposta tesi interpretativa «ri sulterebbe completamente frustrata la formulazione dell'art. 581 c.p.p., che rappresenta un principio fondamentale di delimitazione dell'ambito di operatività dell'impugnazione», ed elusa la concreta applicazione del
l'appello incidentale di cui all'art. 595; né si può sostenere l'irrilevanza di tale argomento quanto al giudizio di cassazione perché, così argo mentando, «si produrrebbe una inammissibile frammentazione del si stema delle impugnazioni creato dal legislatore del 1988 che non trova alcuna giustificazione» e che sarebbe anzi «contrario ai canoni di lealtà nel contraddittorio privilegiandosi in tal modo tattiche difensive dirette a limitare l'intervento del contraddittore».
Sulla manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità della rece
pita opzione ermeneutica restrittiva non si rinvengono precedenti giuris prudenziali, né prese di posizione della dottrina.
In dottrina, si sono espressi contro l'interpretazione riduttiva dell'am bito di operatività dell'istituto, qual è fornita dalla prevalente giuri sprudenza di legittimità, ed a favore di una soluzione interpretativa che consenta di introdurre con i motivi «nuovi» censure coinvolgenti punti e capi non censurati con i motivi originari, Ramatoli, Le impugnazioni penali: appello, Cassazione, revisione, Padova, 1994, 63; Spangher, Impugnazioni penali, voce del Digesto pen., Torino, 1992, VI, 227.
Privilegiano invece l'interpretazione restrittiva: Bellavista, Motivi nuo vi e motivi aggiunti, in Arch, nuova proc. pen., 1992, 17 ss.; Catala
no, Motivi nuovi, doglianze nuove (nota a Cass., sez. Ili, 14 novembre 1995, Viceconti, cit.), in Dir. pen. e proc., 1996, 731 ss.; Sellaroli, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da M.
Chiavario, Torino, 1991, VI, sub art. 585, 111 ss.; Sellaroli, ibid., La normativa complementare. I. Norme di attuazione, 1992, sub art.
167, 642 ss. Per una tesi intermedia (secondo la quale, «non dovrebbe escludersi
che l'art. 585, 4° comma, possa riguardare all'interno del capo impu gnato anche punti diversi da quelli originariamente gravati»), v. Ma
randola, Brevi considerazioni in tema di motivi nuovi (nota a Cass., sez. VI, 8 marzo 1995, Piliarvu, cit.), in Cass, pen., 1996, 1872 ss.
In genere, per un'esauriente panoramica dello stato della giurispru denza e della dottrina sull'istituto dei motivi «nuovi», cfr. De Rober to, in Codice di procedura penale - Rassegna di giurisprudenza e di dottrina a cura di G. Lattanzi ed E. Lupo, Milano, 1997, sub art. 585, 261 ss.
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GIURISPRUDENZA PENALE
ad «impugnazioni di sentenze di particolare complessità», in
troducendo la possibilità di presentare «motivi nuovi». In sede
di conversione del decreto legge, si specificò espressamente che
tale possibilità poteva essere esercitata esclusivamente in occa
sione di appello avverso sentenze depositate oltre il novantesi
mo giorno dalla pronuncia. Sempre in sede di conversione, la
frase «motivi nuovi» venne sostituita con quella «motivi nuovi
e aggiunti». Per quanto consta, esiste una decisione della VI
sezione di questa corte, emanata nella vigenza della predetta 1. 535/88 secondo cui, nonostante la nuova definizione, si è
affermato che «per motivi aggiunti significa bensì motivi ulte
riori e nuovi, ma sempre riferiti alle specifiche statuizioni impu
gnate, non ad altre ad libitum del proponente» (6 dicembre 1989,
ric. De Giorgi, Foro it., Rep. 1991, voce Cassazione penale, n. 27).
4. - Con la introduzione del vigente codice di rito si è venuta
formando un'assoluta prevalente giurisprudenza di legittimità la quale, nel solco della vecchia interpretazione e nonostante
la nuova dizione, ha insistito nel sostenere che i motivi nuovi
debbano sempre essere collegati e riferiti ai capi e punti della
sentenza già investiti del gravame originario. Solo di recente,
e con esclusivo riferimento al ricorso per cassazione de liberiate
ai sensi dell'art. 311 c.p.p., sono state emanate da una sezione
alcune decisioni secondo cui l'espressione «motivi nuovi» non
può non considerarsi se non come introduttiva di un regime
diverso da quello relativo ai «motivi aggiunti» di cui al previ
gente codice di rito.
A conforto di tale conclusione si richiama l'interpretazione storico-sistematica dell'istituto. Si sostiene, invero, che la diret
tiva n. 88 dell'art. 2 1. delega 16 febbraio 1987 n. 81 relativa
all'emanazione del nuovo codice di procedura penale ha sosti
tuito all'aggettivo «aggiunti» il termine «nuovi» a proposito dei
motivi di impugnazione; così significando la radicale innovazio
ne rispetto alla previgente disciplina dell'art. 529, 2° comma,
del codice di rito del 1930. E che i due termini non possano
ritenersi sinonimi, sarebbe ancora dimostrato, sempre secondo
la anzidetta tesi minoritaria, dalla vicenda relativa alla novella
zione dell'art. 511 richiamato ad opera del d.l. 445/88 converti
to in 1. 535/88. Infatti, come innanzi evidenziato, la dizione
«motivi nuovi» contenuta nel decreto sarebbe stata poi modifi
cata in «motivi nuovi ed aggiunti» proprio allo scopo di mag
giormente evidenziare la possibilità di ulteriori censure anche
relativamente a capi e punti della sentenza non investiti con
i motivi originari. Si aggiunge altresì, sempre a sostegno di siffatta tesi, che ana
loga operazione era stata compiuta in occasione della formula
zione del testo dell'art. 167 disp. att. c.p.p. Infatti, il testo del
progetto preliminare, il quale all'art. 149 aveva recepito la di
zione «motivi aggiunti», era stato poi riformulato nel progetto
definitivo con la nuova dizione «motivi nuovi» e con l'aggiunta
che tale locuzione doveva comprendere «anche» la prospetta
zione di questioni precedentemente trattate.
Le decisioni innanzi citate della VI sezione penale di questa Suprema corte ammettono che l'unico serio ostacolo alla solu
zione adottata quanto alla proponibilità di motivi veramente
nuovi, sembrerebbe derivare dal regime delle impugnazioni inci
dentali adottato dal nuovo codice. Ma l'obiezione viene subito
respinta rilevando che l'istituto è estraneo ai procedimenti in
nanzi la Corte di cassazione.
5. - Rilevano queste sezioni unite di non potere condividere
l'indirizzo minoritario come sopra esposto e di dover ribadire
la tesi maggioritaria affermata siccome più rispondente all'inte
ro sistema delle impugnazioni come delineato dal vigente codice
di rito. Ed innanzi tutto va posto in evidenza che nessun significato
valido può attribuirsi alla diversa terminologia adottata (motivi
nuovi al posto di quelli aggiunti). Già nella esposizione di cui
sopra è stato chiarito che l'aggettivazione è stata adoperata in
maniera confusa e senza alcun significato tecnico. A prescinde
re dalla considerazione che spesso il legislatore ha adoperato
termini diversi come sinonimi attribuendo agli stessi un identico
significato, appare poi quanto meno strano come, in un sistema
di impugnazione costruito unitariamente, diversa dovrebbe es
sere la disciplina, rispetto ai procedimenti che seguono con l'os
servanza del rito previgente, a seconda che trattisi di appello
Il Foro Italiano — 1998.
ovvero di ricorso per cassazione, posto che, per quest'ultimo, nessuna modifica venne apportata all'art. 529 c.p.p. del 1930.
In realtà, la vicenda di cui al d.l. 445/88 e seguente 1. 535/88, è scaturita dalla emergenza provocata dalla contemporanea ce
lebrazione dei c.d. maxiprocessi ed alle lamentele della classe
forense che aveva manifestato il disagio conseguente alla neces
sità di approntare in termini ristretti complessi e numerosi mo
tivi di gravame. Con il frettoloso e poco chiaro provvedimento
legislativo di cui sopra si è ritenuto di tacitare le doglianze dei difensori. E comunque, quand'anche il legislatore avesse inteso
attribuire ai due termini diverso significato, non può non con
venirsi con sez. I 5 giugno 1997, Marraffa, per la quale costitui
sce valida interpretazione quella secondo cui la diversa termino
logia starebbe a significare che vanno considerati i motivi ag
giunti quale ulteriore illustrazione di «questioni precedentemente
trattate», mentre dovrebbe intendersi per motivi nuovi la pro
spettazione di questioni «non precedentemente trattate», sem
pre comunque nell'ambito dei capi e dei punti della decisione
impugnata già oggetto dell'originaria impugnazione. 6. - Le considerazioni innanzi svolte sono utili altresì per at
tribuire un corretto significato al contenuto della direttiva n.
88 dell'art. 2 della legge delega sopra menzionata. Quivi si pre
vede la possibilità di motivi nuovi e si enuncia semplicemente:
«possibilità di nuovi motivi dell'impugnazione entro termini pre
stabiliti». Nella 1. n. 81 del 1987 non è contenuta altra spiega zione o precisazione al riguardo. E, sulla base di quanto espo
sto, non può la nuova terminologia usata, di per sé sola, costi
tuire valido motivo per ritenere che sia stata consentita la
possibilità all'impugnante di proporre motivi svincolati dai capi
e punti della decisione originariamente impugnata. Si noti la disinvoltura con cui il legislatore parla alle volte
di motivi nuovi (art. 611.1, art. 585.4) ed altre di nuovi motivi
(art. 311.4, art. 2, n. 88, 1. delega) senza apparente giustifica
zione. Nella intestazione dell'art. 167 disp. att. c.p.p., poi, si
menzionano i nuovi motivi, mentre nel testo dello stesso artico
lo, si parla di motivi nuovi.
7. - In ogni caso, all'argomento di ordine letterale non può
comunque attribuirsi alcun valore innovativo dal momento che
il nuovo codice di rito ha unificato in un unico atto di impu
gnazione i due momenti — nel codice abrogato ontologicamen
te e temporalmente diversi —, della dichiarazione e della pre
sentazione dei motivi, sotto il controllo del giudice ad quem
cui vanno trasmessi gli atti del procedimento e l'atto di impu
gnazione. E proprio la distinta elencazione degli elementi conte
nuta nell'art. 581 c.p.p. i quali, a pena di inammissibilità sanci
ta dall'art. 591 c.p.p., debbono essere contenuti nell'atto di im
pugnazione e che costituiscono l'elemento specificante della
impugnazione con espressa funzione di delimitazione del devo
lutimi, induce a concludere che i motivi «nuovi» debbano avere
ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata, come
disposto dall'art. 581, lett. a), c.p.p. ed ai quali debbono neces
sariamente riferirsi i motivi menzionati nella successiva lett. c)
del medesimo articolo. Ove si addivenisse a diversa conclusio
ne, dovrebbe innanzi tutto ammettersi che il sistema delle impu
gnazioni creato dal legislatore del 1988 che ha voluto la concen
trazione del gravame in unico atto onde rendere più rigido e
snello il sistema stesso, ne verrebbe sostanzialmente sconvolto,
determinandosi una non consentita elusione del termine iniziale
di cui all'art. 585 c.p.p. stabilito a pena di inammissibilità; e
ne conseguirebbe altresì la necessità di una diversa interpreta
zione del termine «motivi» in quanto, nell'art. 581, lett. c), c.p.p.,
sarebbero stati usati come argomenti a sostegno dell'impugna
zione contro i punti o i capi obbligatoriamente indicati, mentre
nell'art. 585, 4° comma, c.p.p., avrebbero il senso di doglianze
mosse genericamente avverso il provvedimento e, quindi, con
tro punti o capi diversi da quelli originariamente indicati. Ma, in tal modo, verrebbe completamente alterato lo schema fissato
dall'art. 581 c.p.p. in cui la indicazione dei punti o capi rappre senta elemento avente la specifica funzione di delimitare il de
volutimi. Ove si ammettesse l'applicabilità del principio secon
do cui i motivi nuovi possano prescindere dai capi o punti origi
nariamente specificati, risulterebbe completamente frustrata la
formulazione dell'art. 581 c.p.p. che rappresenta un principio
fondamentale di delimitazione dell'ambito di operatività della
impugnazione.
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PARTE SECONDA
8. - Nè può fondatamente sostenersi, come taluno adombra,
che tale principio non vale nei procedimenti cautelari ex art.
311 e 325 c.p.p. innanzi la Corte di cassazione in quanto, stante
il concetto unitario dell'impugnazione come prevista dal codice
di rito, la disposizione di cui all'art. 311.4 c.p.p. va necessaria
mente correlata all'altra disposizione contenuta nel 4° comma
dell'art. 585 c.p.p., norma di carattere generale e applicabile anche al ricorso per cassazione. Inoltre, ove il legislatore avesse
inteso derogare ad un principio fondamentale dell'ordinamento
prcessuale, si sarebbe resa necessaria una norma apposita di
deroga dall'obbligo di osservanza del termine stabilito dall'art.
311.1 c.p.p. modellando una dichiarazione di ricorso, in tema
di misure cautelari, sullo schema della richiesta di riesame di
cui all'art. 309 c.p.p. laddove, al 6° comma, è prevista la possi bilità di enunciare in ogni momento del procedimento, sino al
l'inizio della discussione, la doglianza che si intende muovere
al provvedimento impugnato. Sussistono comunque altri validi motivi che inducono questa
corte a ritenere non modificato lo schema previgente, anche se
adattato alle esigenze del nuovo sistema processuale. 9. - L'art. 167 disp. att. c.p.p. enuncia espressamente: «nel
caso di presentazione di motivi nuovi, si applicano le disposi zioni dell'art. 164, 2° e 3° comma, e devono essere specificati i capi e i punti enunciati a norma dell'art. 581, 1° comma, lett. a), del codice, ai quali i motivi si riferiscono». Tralascian
do il richiamo all'art. 164, che nella specie non interessa, appa re significativa la indicazione dei capi e punti enunciati a norma
dell'art. 581, 1° comma, lett. a), con la ulteriore precisazione che detti motivi «nuovi» si riferiscono appunto ai predetti capi e punti. Se si tiene presente la struttura unitaria dell'impugna zione e la sanzione di inammissibilità prevista dall'art. 591, lett.
c), deve necessariamente concludersi che i motivi, definiti «nuo
vi», non possono ritenersi svincolati e liberamente proponibili. Il che, del resto, è chiarito dai lavori preparatori. Perché al
l'art. 149 del progetto preliminare delle disposizioni di attuazio
ne al codice di procedura penale, si parla di «presentazione di
motivi aggiunti»; e nelle osservazioni del governo si ribadisce
la qualifica di «aggiunti» ai motivi. Il parere della commissione
parlamentare, poi, spiega che si è preferito usare la terminolo
gia di «motivi nuovi» per «uniformità di linguaggio», visto il contenuto dell'art. 585, 3° comma. Il che lascia ragionevolmen te ritenere che il mutamento sarebbe stato determinato solo da
esigenze linguistiche e non da innovazioni sostanziali.
10. - Non va poi trascurata la considerazione che, qualora
potesse essere ampliato il tema della impugnazione, verrebbe
ad essere frustrata la concreta applicazione dell'appello inciden
tale di cui all'art. 595 c.p.p.; infatti, questo — correlativo ai
capi e punti del gravame — richiede la notifica alle altre parti con cadenze temporali che risultano incompatibili con la tesi
che non si condivide ove i nuovi motivi vengano presentati nei
quindici giorni precedenti l'udienza relativa al secondo grado del giudizio.
Né vale sostenere che tale impugnazione incidentale non è
prevista nel giudizio di cassazione. Perché così argomentando si produrrebbe un'inammissibile frammentazione del sistema delle
impugnazioni che non trova alcuna giustificazione. Senza contare, infine, che un sistema di impugnazione così
disarmonico, oltre ad apparire incomprensibile ed ingiustificato siccome volto a determinare un'elusione al regime dei termini, faciliterebbe anche condotte processuali poco lineari, stimolan
do un opportunismo difensivo contrario ai canoni di lealtà nel
contraddittorio, privilegiandosi, in tal modo, tattiche difensive
dirette a limitare l'intervento del contraddittore.
11.- Non sembra inutile richiamare, a questo punto, ad ulte
riore conferma della tesi accolta, il contenuto dell'ultima parte dell'art. 609.2 c.p.p. secondo cui «la corte decide altresì le que stioni . . . che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di
appello». La disposizione, che rappresenta una deroga a quanto contenuto nell'ultima parte dell'art. 606 c.p.p., trova come pre cedente il disposto dell'art. 538, 3° comma, c.p.p. del 1930.
Con la sola differenza che, mentre nel codice previgente; era
attribuita una particolare giurisdizione di merito alla Corte di
cassazione, il codice vigente prevede una deroga alla tassatività
dei motivi deducibili, anche se questi ultimi debbono fare riferi
mento esclusivamente a questioni di diritto che sorgano per ius
Il Foro Italiano — 1998.
superveniens ovvero a circostanze, non emerse prima che siano
pur sempre di diritto. Appare evidente che la ritenuta necessità,
da parte del legislatore del 1989, di indicare espressamente le
circostanze suddette quali motivi proponibili di ricorso, sta a
significare che proprio il significato di motivo «nuovo» inteso
in senso restrittivo come sopra evidenziato avrebbe impedito la
proponibilità di un siffatto motivo, posto che, in caso contra
rio, la disposizione potrebbe ritenersi superflua. In conseguenza di quanto sopra, la impugnazione dello Spa
nò relativa ai motivi nuovi non collegati con i capi e con i punti ai quali si riferisce l'atto di gravame, deve ritenersi inammissi
bile, trattandosi in concreto di doglianze del tutto svincolate
dai punti e capi della sentenza originariamente impugnata e do
vendosi escludere che siano state proposte nullità rilevabili
d'ufficio. 12. - Il ricorrente, nelle note con le quali propone i motivi
nuovi, solleva, in via subordinata, illegittimità costituzionale del
l'art. 585.4 c.p.p. (e, quindi, 311.4 e 611.1 c.p.p.) nell'ipotesi in cui venga accolta la interpretazione restrittiva di dette norme
derivanti (e derivate) dalla direttiva 88 dell'art. 2 1. delega n.
81 del 1987 perché, per difetto, affette da eccesso di delega. La eccezione, che, peraltro non indica la norma costituziona
le che sarebbe violata, sembra adombrare la mancata osservan
za dell'art. 76 Cost. La doglianza, però, non può essere accolta
e deve essere dichiarata manifestamente infondata. Invero, per come innanzi esposto, queste sezioni unite ritengono che non
ricorra alcuna incertezza in ordine alla esatta interpretazione della norma delegante e di quelle delegate poiché sia l'una che
le altre si ispirano al medesimo concetto di «novità» nel signifi cato sopra chiarito, il più rispondente ai principi costituzionali
in tema di impugnazione penale. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 6 feb
braio 1998; Pres. Sacchetti, Est. Vancheri, P.M. Ranieri
(conci, conf.); ric. Proc. gen. Assise Messina in c. Munaò.
Annulla Assise Messina 17 maggio 1997.
Suicidio (istigazione o aiuto ai) — Omicidio del consenziente — Differenze — Fattispecie (Cod. pen., art. 579, 580).
Risponde del delitto di istigazione o aiuto al suicidio di cui al
l'art. 580 c.p., e non di omicidio del consenziente ai sensi
dell'art. 579 c.p., chi, pur senza avere in alcun modo contri
buito afar nascere o rafforzare l'altrui proposito suicida, ab
bia fornito aiuto o mezzi, sul piano materiale, che abbiano
reso più agevole la realizzazione del suicidio (nella specie, si
trattava di un doppio suicidio con sopravvivenza di uno dei
soggetti). (1)
(1) Non constano precedenti editi in termini. La sentenza viene in rilievo, nel contesto di un panorama giurispru
denziale quantomai rarefatto, per le argomentazioni volte a precisare l'ambito applicativo dell'art. 580 c.p. sotto una duplice angolazione: in primo luogo, fissandone i contorni rispetto alla fattispecie dell'art. 579 c.p.; poi, delineando i tratti differenziali tra le varie ipotesi contem
plate dalla norma. La Suprema corte ha preliminarmente cura di precisare che la sussi
stenza di una disposizione che punisce l'omicidio del consenziente, ac canto a quella che sanziona l'istigazione o aiuto al suicidio, deve indur re l'interprete a restringere il contenuto precettivo della prima, se si vuole che la seconda non perda di significato. Sotto questo profilo, il discrimine tra le due ipotesi viene individuato nella circostanza che la vittima abbia conservato o meno il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea istigatrice o agevolatri ce, e l'abbia portata a termine, anche materialmente, di mano propria.
Riguardo alla fattispecie dell'art. 580 c.p., il giudice di legittimità
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