sezioni unite penali; sentenza 27 febbraio 2002; Pres. Vessia, Est. Canzio, P.M. Iadecola (concl.diff.); ric. Martola. Annulla Trib. sorv. Milano, ord. 26 gennaio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 1 (GENNAIO 2003), pp. 11/12-19/20Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198148 .
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PARTE SECONDA
con la struttura malavitosa», costituendo «per così dire, 'l'inter faccia' politico della societas sceleris», che pur rimanendo
estraneo all'organizzazione sia, però, «disponibile al soddisfa
cimento delle esigenze della stessa, alla quale per parte sua
chiede, ogni volta che sia necessario, sostegno elettorale».
Con ciò il tema, almeno sotto il profilo teorico, doveva consi
derarsi già esaurito e non più proponibile dal ricorrente. Giova,
peraltro, chiarire un equivoco che sembra annidarsi in molte
pronunce anche della Suprema corte.
L'art. 416 bis, 1° comma, c.p. punisce la partecipazione ad
un'associazione di tipo mafioso, sicché il concorso eventuale
che non sia inquadrabile dal punto di vista soggettivo ed ogget tivo, nello schema legale delineato dalla norma incriminatrice
non è punibile, tanto più che anche «coloro che promuovono,
dirigono o organizzano l'associazione» (art. 416 bis, 2° comma) sono ugualmente, per un tempo più o meno lungo, secondo il
ruolo in concreto rivestito, anzitutto partecipi della stessa.
In pratica, però, il concorso eventuale, così come descritto
dall'elaborazione giurisprudenziale più avveduta, altro non è
che una forma di partecipazione saltuaria, sporadica part-time,
per così dire (cfr., in proposito, Cass., sez. I, 14 aprile 1995,
Mastrantuono, id., Rep. 1995, voce Ordine pubblico (reati), n.
11), la quale esige, tuttavia, pur sempre la consapevolezza del
l'esistenza del sodalizio con le connotazioni indicate dalla legge e la volontà di dare il proprio contributo al conseguimento dei
suoi scopi in un determinato momento della sua evoluzione.
Il che comporta, come corollario, che fuori di questo mo
mento e, eventualmente, di altri esattamente individuati, il con
corrente eventuale, a differenza di coloro i quali agiscono «nella
'fisiologia', nella vita corrente quotidiana dell'associazione»
(sez. un. 5 ottobre 1994, Demitry, cit.), con i suoi alti e bassi, con le sue pause nell'esercizio dell'attività per cui venne costi
tuita, di coloro, cioè, che possono in qualche modo considerarsi
sempre «in servizio», esaurisce la propria condotta criminosa
con il compimento dell'operazione concordata, la quale, come
s'è visto, può consistere anche nella semplice promessa di favo
ri connessi alla carica o all'ufficio rivestiti dal concorrente me
desimo e alla contiguità, percepibile all'esterno, con l'associa
zione mafiosa.
Ciò assume una decisiva rilevanza anche ai fini della deter
minazione del tempo di consumazione del reato e della sua
eventuale continuazione conseguente alla pluralità dei fatti di
partecipazione «provvisoria». S'è già visto come e perché la corte d'appello abbia con mo
tivazione ineccepibile sul piano della legittimità ravvisato nei
comportamenti dell'imputato un fattivo contributo allo sviluppo e al rafforzamento dei gruppi delinquenziali operanti nelle terre
interessate dall'azione politica del predetto. Ma poiché tali
comportamenti, secondo la ricostruzione degli accadimenti ac
colta dai giudici di merito, risalgono tutti ad epoca anteriore al
1992, è necessario stabilire se la modifica dell'art. 416 bis, 3°
comma, c.p., consista nel precisare una delle modalità che può, in concreto, assumere l'azione del sodalizio mafioso, di per sé
già perseguibile in base al testo originario della disposizione —
secondo la tesi del procuratore generale — ovvero abbia intro
dotto nell'ordinamento penale una fattispecie criminosa nuova — come sostiene, invece, la difesa, con conseguente esclusione della punibilità del Frasca.
Va premesso che questa corte con la pronuncia del 16 marzo
2000 ha già qualificato i fatti addebitati all'imputato come commessi in violazione dell'art. 416 bis, 3° comma, c.p., nella
nuova formulazione risultante dalla modifica apportata dal d.l. 8
giugno 1992 n. 306, convertito nella 1. 7 agosto 1992 n. 356.
Dello spirito della riforma, fortemente sollecitata dalla co
scienza sociale, preoccupata di impedire che le competizioni elettorali risultassero in qualche modo «inquinate» dall'azione
di organizzazioni criminali, si era già fatta interprete, del resto, la Suprema corte con una sentenza (8 giugno 1992, Battaglini, id., 1993, II, 133) di poco posteriore alla data del primo provve dimento legislativo, riconoscendo che la promessa di benefici di
qualsivoglia natura per ottenere il voto, utilizzato questo, perciò, come oggetto di scambio, poteva integrare gli estremi della
partecipazione all'associazione criminosa anche con riferimento
al soggetto esterno, vale a dire al candidato non inserito nell'or
ganigramma della struttura mafiosa e non soltanto ai comparte cipi «ufficiali» della stessa.
In questo ambito va circoscritto il senso dell'adesione mani
festata dalla quinta sezione penale di questa corte alla sentenza
Battaglini, mentre, per il resto, appare necessario fare alcune brevi osservazioni sulla struttura del reato in esame.
Il Foro Italiano — 2003.
Va, in particolare, rilevato che laddove la condotta di parteci
pazione all'associazione criminosa in genere e a quella mafiosa
in specie non trova nella normativa vigpnte una precisa conno
tazione, tanto da apparire persino atipica e conseguire la neces
saria definizione soltanto mediante l'accertamento della rile
vanza causale della condotta del singolo ai fini della nascita,
della permanenza in vita o 'dell'operatività del gruppo, gli obiettivi che questo deve perseguire e cercare di raggiungere, servendosi del metodo mafioso, sono invece chiaramente defi
niti dal legislatore, la cui elencazione, proprio perché ispirata, evidentemente, al rispetto del principio di legalità, in una mate
ria già di per sé piuttosto nebulosa e controversa, non può com
siderarsi semplicemente esemplificativa, presentando, per con
tro, il carattere della tassatività.
E indiscutibile, comunque, che l'ipotesi aggiunta all'art. 416
bis dalla legge del 1992, pur rispondendo allo scopo perseguito dal legislatore di punire più ampiamente e severamente condotte
atte a turbare il libero svolgimento delle competizioni elettorali,
già previste da preesistenti norme incriminatrìci, tuttora in vigo re, nulla ha a che vedere con gli altri casi contemplati dalla di
sposizione dettata dall'art. 1 1. 13 settembre 1982 n. 646 e rap
presenta una fattispecie completamente nuova, che qualifica in
modo diverso rispetto alle altre la finalità cui tende il sodalizio
mafioso in combutta con chi va a caccia di voti e che non esita,
pur di raggiungere l'agognato successo elettorale, a stipulare
patti scellerati con la criminalità.
Ma se ciò è vero, e non si vede come possa sostenersi il con
trario, e si conviene che la nuova normativa ha introdotto nel si
stema penale una figura inedita di reato, appare di solare evi
denza che, in virtù del perentorio e intangibile disposto degli art. 25, 2° comma, Cost, e 2, 1° comma, c.p., «i comportamenti concludenti» addebitati al Frasca con l'unico intento di ottenere
il sostegno elettorale delle cosche mafiose della sua terra non
sono punibili, perché consistenti in fatti che al tempo in cui fu
rono commessi non erano previsti dalla legge come reati.
La sentenza impugnata, la quale, adeguandosi alle direttive di
questa corte, ha compiuto — come più volte sottolineato —
un'attenta e approfondita disamina dei molteplici episodi men
zionati nel capo d'accusa, determinando anche i tempi in cui
vanno collocati, non ha tenuto conto di questo dato fondamen
tale legato all'innovazione legislativa e alla conseguente estra
neità dei fatti alla sfera di operatività dell'attuale normativa e
deve essere, pertanto, annullata senza rinvio ai sensi dell'art.
620, lett. a), c.p.p.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27 febbraio 2002; Pres. Vessia, Est. Canzio, P.M. Iadecola
(conci, diff.); ric. Martola. Annulla Trib. sorv. Milano, ord. 26
gennaio 2001.
Ordinamento penitenziario — Affidamento in prova al ser
vizio sociale — Esito — Comportamenti successivi al pe riodo di prova — Valutabilità — Condizioni (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sull'ese cuzione delle misure privative e limitative della libertà, art.
47). Ordinamento penitenziario — Affidamento in prova al ser
vizio sociale — Esito negativo — Pena residua — Deter minazione (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 47).
Nel valutare se l'esito dell'affidamento in prova al servizio so
ciale sia stato positivo, ai fini della declaratoria di estinzione della pena, il giudice può fare oggetto dì apprezzamento an
che i comportamenti successivi al periodo di esecuzione della
misura, che devono però essere rigorosamente vagliati e posti in relazione con la condotta complessivamente tenuta e con
l'esperienza maturata dall'affidato nel corso della prova. (1)
(1) Sulla questione della valutabilità, al fine della declaratoria di estinzione della pena per esito positivo dell'affidamento al servizio so ciale a norma dell'art. 47, 12° comma, 1. 26 luglio 1975 n. 354, di com
portamenti tenuti dopo la conclusione del periodo di prova, la giuris prudenza di legittimità si era inizialmente pronunciata in senso contra rio: cfr. Cass. 14 novembre 1996, Motta, Foro it.. Rep. 1997, voce Or
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GIURISPRUDENZA PENALE
Nel dichiarare l'esito negativo dell'affidamento in prova al servizio sociale, preclusivo della declaratoria di estinzione della pena, il giudice è tenuto a determinare la durata della residua pena da espiare sitila base delle specifiche circostan
ze poste a fondamento del giudizio sulla prova. (2)
Fatto. — 1. - Con ordinanza del 26 gennaio 2001 il Tribunale di sorveglianza di Milano, valutato negativamente l'esito del l'affidamento in prova al servizio sociale del condannato Mar tola Giuseppe, iniziato il 22 novembre 1999 e concluso il 2 set tembre 2000, «revoca(va) con effetto ex tunc» la misura alter nativa e, di conseguenza, «non dichiara(va) estinta là pena» in flitta allo stesso con sentenza 16 marzo - 16 novembre 1998 del
g.i.p. del Tribunale di Milano. Rilevava il tribunale che il Martola in data 5 settembre 2000,
a pochi giorni dalla cessazione della misura, aveva posto in es sere gravi reati (rapina ed estorsione aggravate) in danno del suo ex datore di lavoro Milano Gianpaolo: in particolare, incontra tolo e rammostratagli la ferita subita nello scontro avvenuto il 24 luglio 2000 con tale Cirami Franco, persona incaricata dal Milano di comunicargli la cessazione del rapporto di lavoro, aveva percosso e costretto quest'ultimo a seguirlo, a prelevare la somma di lire 500.000 mediante bancomat ed a promettergli il versamento quindicinale della somma di lire 750.000 fino al l'importo complessivo di lire 10.000.000.
Il tribunale considerava non determinante la collocazione del fatto in un momento successivo e di pochissimi giorni alla con clusione della misura, trattandosi di episodio estremamente gra ve che «trovava le proprie radici in epoca precedente e conco
mitante con la misura» e quindi sorretto da motivi a delinquere che la misura stessa non aveva in alcun modo permesso di supe rare.
Dunque, il Martola aveva dimostrato di non avere in alcun modo partecipato all'opera di rieducazione, avendo posto in es
sere un comportamento delittuoso di estrema gravità, del tutto
incompatibile con l'accertamento del buon esito dell'esperi mento, sì che non poteva essere dichiarata l'estinzione della pe
dìnamento penitenziario, n. 106, menzionata in motivazione. Nello stesso senso erano seguite: Cass. 15 maggio 1998, Milan, id., Rep. 1998, voce cit., n. 87; 15 maggio 1998, Allegrucci, ibid., n. 88; 22
maggio 2000, Bertini, id., Rep. 2000, voce cit., n. 86, parimenti men zionate in motivazione.
Si affermava che la condotta tenuta dall'affidato successivamente alla scadenza della misura non può avere alcuna incidenza sul giudizio da esprimere circa l'esito della stessa.
A partire dal 1998 si era andato però affermando un opposto orien
tamento, secondo il quale possono formare oggetto di apprezzamento anche i comportamenti successivi alla scadenza del periodo di prova, i
quali però — proprio perché non ricadenti nell'ambito dell'esperimento -— devono essere ancor più rigorosamente vagliati e posti in relazione con la complessiva condotta tenuta e con l'esperienza maturata nel cor so della prova: Cass. 19 giugno 1998, Quaranta, id., Rep. 1998, voce
cit., n. 90; 22 giugno 1999, Berlingeri, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 102; 3 ottobre 2000, La Perna, Ced Cass., rv. 217606; 31 ottobre 2000, Li
Mandri, id., rv. 217928. Il fondamento di queste decisioni stava nel rilievo che, costituendo
l'integrale emenda del condannato il parametro di valutazione e al tem
po stesso la causa che legittima l'estinzione del rapporto punitivo, van no valutati in concreto, non la mera condotta tenuta nel corso della pro va, ma essenzialmente i risultati che sul piano dell'emenda sono scatu riti dall'applicazione della misura.
L'indicato contrasto giurisprudenziale, interno alla prima sezione della Corte di cassazione, è stato risolto dalla riportata sentenza delle sezioni unite nel senso della valutabilità delle condotte successive al
compimento del periodo di prova, ma ovviamente antecedenti alla deci sione del tribunale di sorveglianza, perché detto giudice, «non doven dosi limitare a riscontrare il formale ossequio del condannato alle pre scrizioni impartitegli, ben può tener conto di qualsiasi elemento fattuale seriamente sintomatico del mancato raggiungimento delle finalità cui è destinata la misura».
La scelta della sentenza appare pienamente condivisibile perché la
stessa, fondata su argomenti che non offrono il fianco ad alcuna critica, in concreto presenta altresì il pregio di evitare l'evidente irragionevo lezza che caratterizzerebbe decisioni dichiarative dell'esito positivo della prova pur di fronte a risultanze in senso contrario già note. Sono
quindi evitati astratti automatismi e vengono quanto meno contrastati
l'opportunismo e l'adesione soltanto formale alle prescrizioni e alle re
gole della buona condotta.
(2) Più complessa e dì meno agevole soluzione, sul piano della mera
interpretazione delle norme, risultava la seconda questione sottoposta all'esame della corte: se cioè, nel caso di diniego dell'esito positivo della prova, «il tribunale di sorveglianza debba determinare (come nel
l'ipotesi di revoca della misura) la durata della residua pena da sconta
II Foro Italiano — 2003.
na quale effetto della positiva conclusione della misura alterna
tiva, che andava revocata ex tunc. 2. - Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso per cassa
zione il Martola, il quale ha dedotto la violazione delle disposi zioni di cui all'11° e 12° comma dell'art. 47 ord. penit., laddove è stata dichiarata la non estinzione della pena e la non computa bilità ex tunc del periodo di affidamento in prova, sotto un du
plice profilo: da un lato, è stata presa in considerazione ed ap prezzata, peraltro con illogica motivazione, una condotta «addi rittura posteriore cronologicamente rispetto al periodo di prova» e solo «presuntivamente» illecita, essendo ancora in corso la fa se delle relative indagini; dall'altro, non è stato rispettato il
principio per cui «l'assenza di un provvedimento di revoca du rante il periodo di prova deve essere interpretato quale esito si curamente positivo della stessa», risolvendosi per contro la de cisione in una «sostanziale duplicazione della pena», pure effet tivamente scontata, «di fronte ad una possibile non rieducazione del reo», cui la pena deve semplicemente tendere senza imporla come risultato da conseguire «sempre e comunque».
3. - La prima sezione della Corte di cassazione, con ordinanza del 6 dicembre 2001, rimetteva il ricorso alle sezioni unite sul rilievo dell'esistenza di un contrasto interpretativo in ordine alla «estensione temporale da attribuire al parametro di valutazione
della condotta del condannato all'esito della prova»: all'orien
tamento secondo il quale possono valutarsi anche i comporta menti successivi all'espletamento della misura, ove essi abbiano
caratteristiche tali da saldarsi a Quelli pregressi, si contrappone infatti l'altro, per il quale l'esame della condotta deve essere ri
gorosamente limitato ai fatti occorsi durante il periodo di affi
damento, anche se i comportamenti successivi possano essere
soggettivamente sintomatici ai fini della richiesta valutazione.
Diritto. — 1. - Nella giurisprudenza di legittimità è stato chia rito che la distinzione tra revoca dell'affidamento in prova e
valutazione negativa del periodo di prova poggia sulle peculiari caratteristiche strutturali e funzionali dei due istituti, regolati da
diverse disposizioni della legge penitenziaria. Poiché il tratto distintivo della revoca è costituito dalla natura
re, tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato e del suo com
plessivo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento,
oppure il relativo giudizio debba avere, sempre, efficacia ex tunc». In senso contrario deponevano, puntualmente menzionate in motiva
zione, Cass. 2i febbraio 1983, Didona, Foro it., Rep. 1985, voce Ordi namento penitenziario, n. 64; 6 maggio 1985, Falcetelli, id., Rep. 1986, voce cit., n. 67; 18 novembre 1996, Galante, id., Rep. 1997, voce cit., n. 81; 18 settembre 1997, Renda, ibid., n. 113; 17 febbraio 2000, Cor
nero, id., Rep. 2000, voce cit., n. 112; 31 ottobre 2000, Li Mandri, cit.; 16 gennaio 2001, Ruggero, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 89.
Con la sentenza riportata, i giudici di legittimità hanno rilevato e
ampiamente argomentato l'analogia della situazione che si crea per ef fetto della declaratoria di esito non positivo della prova rispetto a quella che si determina per effetto della revoca dell'affidamento, prendendo atto dell'esistenza di una sentenza (Cass. 21 novembre 2000, Bavagno li, ibid., n. 76), sia pure isolata, pronunciata in senso favorevole all'ap plicazione nella specie del principio dell'effetto — eventualmente -—
parziale, secondo i canoni di individualizzazione e proporzionalità della
pena affermati in riferimento alla revoca dell'affidamento in prova da Corte cost. 343/87, id., 1989,1, 587.
Sulla base di queste premesse, la corte si è richiamata al potere dovere del giudice di «ricercare e privilegiare le possibili interpretazio ni alternative a quella lettura che lo indurrebbe a sollevare la questione di costituzionalità», reiteratamente richiamato dalla giurisprudenza co stituzionale (cfr., in particolare, menzionata in motivazione, Corte cost.
174/99, id., Rep. 2000, voce Misure cautelari personali, n. 197), così
giungendo a statuire che il tribunale di sorveglianza non può limitarsi a dichiarare non estinta la pena, ma deve altresì determinare la durata della residua pena da espiare.
Anche con questa decisione, che va parimenti apprezzata e condivi
sa, la Corte di cassazione ha evitato un duplice inconveniente: quello derivante dallo «azzeramento con efficacia ex tunc del già patito assog gettamento del condannato alle restrizioni della libertà personale nel
periodo di affidamento» e quello opposto dell'assenza di sanzioni per la violazione delle prescrizioni, del depotenziamento dell'impegno del
condannato verso la positiva conclusione dell'esperimento, nonché
della contraddittorietà dell'esito con la funzione rieducativa della pena. Per ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza, cfr. Presutti,
Commento all'art. 47, in Grevi-Giostra-Della Casa, Ordinamento
penitenziario. Commento articolo per articolo, 2a ed., Padova, 2000, 375 ss.
Per una riflessione aggiornata su alcuni profili problematici della
materia, cfr. Della Casa, La crisi di identità delle misure alternative tra sbandamenti legislativi, esperimenti di «diritto pretorio» e irrisolte
carenze organizzative, in Cass. pen., 2002, 1097. [G. La Greca]
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PARTE SECONDA
sanzionatoria e dagli effetti impeditivi dell'ulteriore svolgi mento dell'esperimento della prova, sul presupposto dell'in
compatibilità dello stesso con la condotta tenuta dal condannato
(art. 47, penultimo comma, ord. penit.), la revoca non può non
intervenire nel corso della prova, di cui determina la cessazione, mentre la valutazione dell'esito negativo dell'affidamento (art.
47, ultimo comma, ord. penit.) attiene necessariamente all'inte
ro periodo di prova, già concluso.
E la differenza tra i due istituti si riflette sul diverso conte
nuto del giudizio affidato al tribunale di sorveglianza, il quale, nella revoca, è chiamato a valutare la gravità di singoli, specifi ci, episodi per verificare se essi, attesa la mancanza di una ri
sposta positiva al trattamento, siano espressione di un compor tamento incompatibile con la prosecuzione della prova, mentre, al termine della stessa, deve stabilirne l'esito, procedendo ad
una valutazione globale dell'atteggiarsi del condannato durante
10 svolgimento dell'intero periodo di prova, per decidere se sia
avvenuto o meno il recupero sociale del condannato.
Secondo la linea interpretativa più seguita in sede di legitti mità (ex plurimis, sez. I 21 febbraio 1983, Didona, Foro it.,
Rep. 1985, voce Ordinamento penitenziario, n. 64; 25 ottobre
1984, Fracassini, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 64, 68; 6 maggio 1985, Falcetelli, ibid., n. 67; 18 settembre 1997, Renda, id.,
Rep. 1997, voce cit., nn. 110, 113; 17 febbraio 2000, Cornero,
id., Rep. 2000, voce cit., n. 112; 16 gennaio 2001, Ruggero, id., Rep. 2001, voce cit., n. 89), l'effetto estintivo della pena non
consegue dunque, automaticamente, al mero decorso del perio do di prova che sia rimasto immune da provvedimenti di revoca
dell'affidamento stesso. Occorre, per contro, il globale accerta
mento di elementi di comportamento positivo, tali da poter escludere, ancorché non sussistano singoli episodi che abbiano dato luogo a revoca, che vi sia stata da parte del condannato
solo un'apparente e sterile adesione alle prescrizioni e ai canoni
formali della buona condotta, e da far ritenere viceversa che sia
avvenuta la sua rieducazione ai fini del reinserimento nella so
cietà. A differenza di quanto accade per la diversa misura alter
nativa della liberazione condizionale, per la quale, in considera
zione del presupposto di un ravvedimento «sicuro», ossia cer
tamente avvenuto, non di una mera prognosi di emenda del con
dannato, l'art. 177, 2° comma, c.p. lascia ab extrinseco e ope
legis presumere come raggiunta la finalità rieducativa e conclu
so positivamente l'esperimento, con il conseguente effetto
estintivo della pena, sulla base del dato formale costituito dal
decorso del tempo senza che sia intervenuta alcuna causa di re
voca (Cass., sez. I, 26 giugno 1995, Anastasio, id., Rep. 1996, voce Liberazione condizionale, n. 2).
Ciò posto, deve innanzi tutto rilevarsi che, benché il tribunale
di sorveglianza abbia impropriamente qualificato nel dispositivo 11 proprio provvedimento come «revoca con effetto ex tunc»
dell'affidamento in prova, dai precedenti rilievi circa le caratte
ristiche strutturali e funzionali dei due istituti emerge inequivo camente che la reale natura dell'atto, al di là delle astratte quali ficazioni, corrisponde a quello di una valutazione negativa del l'esito della prova, dato che il giudizio è stato formulato con ri ferimento all'intero periodo e dopo la scadenza dello stesso, tanto che nella motivazione è stato esplicitamente ritenuto il
fallimento della prova per essersi ravvisato nella commissione di altri reati l'indice sicuro della mancata risocializzazione del condannato.
2. - Occorre, a questo punto, stabilire se siffatta valutazione
negativa possa, o non, trovare base giustificativa in condotte
compiute dal condannato non durante il periodo di esperimento, ma successivamente alla scadenza dello stesso.
E stata infatti sottoposta all'esame delle sezioni unite la spe cifica, controversa, questione se, in tema di affidamento in pro va al servizio sociale, ai fini della valutazione dell'esito del pe riodo di prova
— che, se positivo, «estingue la pena e ogni altro
effetto pénale» ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 47 ord. pe nit. —, si possano prendere in considerazione fatti o comporta menti successivi all'espletamento della misura alternativa.
Sul tema si contrappongono due indirizzi interpretativi della
Suprema corte.
Da un lato, si sostiene che l'esame della condotta del condan
nato, affidato in prova al servizio sociale, ai fini non solo della revoca della misura ma anche dell'estinzione della pena conse
guente all'esito positivo della prova, debba essere limitato esclusivamente al periodo di affidamento, non potendo la con dotta del soggetto successiva alla scadenza della misura avere alcuna influenza sul giudizio da esprimere in ordine all'esito di essa (sez. I 14 novembre 1996, Motta, id., Rep. 1997, voce Or
li Foro Italiano — 2003.
dinamento penitenziario, n. 106; 15 maggio 1998, Milan, id.,
Rep. 1998, voce cit., n. 87; 15 maggio 1998, Allegrucci, ibid., n.
88; 22 maggio 2000, Bertini, id., Rep. 2000, voce cit., n. 86). Si afferma in senso contrario che, poiché l'integrale emenda
del condannato costituisce il parametro di valutazione e al tem
po stesso la causa che legittima l'estinzione del rapporto puniti vo, vanno valutati in concreto — ai fini dell'esito positivo del
periodo di prova —, non la mera condotta tenuta nel corso della
prova ma, essenzialmente, i risultati che sul piano dell'emenda
sono scaturiti dall'applicazione della misura. Di talché, possono formare oggetto di apprezzamento anche i comportamenti suc
cessivi alla scadenza del periodo di prova i quali però, proprio
perché non ricadenti nell'ambito della medesima, devono essere
ancor più rigorosamente vagliati e posti in relazione con la
complessiva condotta serbata e con l'esperienza maturata nel
corso della prova (sez. I 19 giugno 1998, Quaranta, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 90; 22 giugno 1999, Berlingeri, id., Rep. 1999, voce cit., n. 102; 3 ottobre 2000, La Perna; 31 ottobre
2000, Li Mandri). 3. - Le sezioni unite, rilevato che la prima tesi interpretativa
collide sia con il dato testuale della norma di riferimento che
con la ratio della disciplina positiva, condividono il secondo dei
richiamati indirizzi giurisprudenziali per le seguenti considera
zioni di ordine formale e logico-sistematico, recepite anche dal
procuratore generale requirente. Alla stregua delle argomentazioni contenute nelle citate sen
tenze Berlingeri e Li Mandri, comportamenti posti in essere dal
condannato in epoca successiva all'esaurimento del periodo di
affidamento, sebbene non siano mai idonei a giustificare la re
voca della misura alternativa ormai conclusa, possono tuttavia
essere apprezzati quali indici sintomatici dell'esito dell'esperi mento, a condizione che intervengano prima che il tribunale ab
bia formulato il giudizio relativo a detto esito, dichiarando
estinta la pena e ogni altro effetto penale, «... sempre che, con
esclusione di ogni automatismo, essi siano reputati realmente
significativi, per la loro gravità, del mancato recupero sociale
del condannato ...». In altri termini, la valutazione deve essere
compiuta «... caso per caso, con un apprezzamento globale, al
l'interno del quale deve tenersi conto, da un lato, della condotta
del condannato durante l'esecuzione della prova e, dall'altro, dell'effettiva entità del fatto successivo, della distanza cronolo
gica dalla scadenza dell'affidamento e dell'eventuale collega mento di esso con le modalità di espletamento dell'esperimen to ...» (sent. Li Mandri, cit.). Scaturendo l'effetto estintivo
della pena dall'esito positivo della prova, vale a dire dai risultati
che, sul piano dell'emenda, il percorso trattamentale e l'espe rienza della misura hanno consentito al condannato di consegui re, in tale prospettiva anche i comportamenti successivi possono formare oggetto di valutazione sempre che «... tali comporta menti presentino caratteristiche tali da saldarsi alla condotta
serbata ed all'esperienza maturata nel corso della prova, in un
unico alveo finalisticamente orientato all'integrale recupero del
condannato, reale obiettivo della misura e, più in generale, del l'intero percorso esecutivo ...» (sent. Berlingeri, cit.).
Le considerazioni fin qui svolte avvalorano dunque la linea
rità logica e sistematica della soluzione ermeneutica secondo la
quale, giusta l'ordinamento positivo, il tribunale di sorveglian za, al termine dell'esperimento, non dovendosi limitare a ri
scontrare il formale ossequio del condannato alle prescrizioni
impartitegli, ben può tener conto di qualsiasi elemento fattuale
seriamente sintomatico del mancato raggiungimento delle fina
lità cui è destinata la misura: fatti e comportamenti cioè che, pur non riconducibili storicamente nel perimetro temporale della
prova, si palesino tuttavia, avuto riguardo alla loro qualità e
gravità, significativi e in grado di illuminare retrospettivamente il processo rieducativo del condannato ai fini del reinserimento
sociale e dell'auspicata prognosi di non recidivanza.
Inoltre (anche in riferimento ad una specifica doglianza del
ricorrente), è opportuno sottolineare che, nell'ipotesi in cui do
po il periodo di prova sia commesso un reato per il quale non
sia stata ancora pronunciata condanna con sentenza irrevocabile, il tribunale di sorveglianza deve delibare autonomamente il fatto
per accertarne sia la reale attribuibilità al condannato che la
consistenza di elementi idonei a ricondurne la matrice al pre
gresso espletamento della prova, e perciò la concreta incidenza sul giudizio di recupero sociale.
4. - Ciò posto, per giustificare nel caso in esame la valutazio ne negativa dell'esito della prova, il tribunale di sorveglianza ha sottolineato che la condotta criminosa contestata al ricorrente
seguiva di pochissimi giorni la conclusione della prova e che si
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GIURISPRUDENZA PENALE
trattava di «... un fatto estremamente grave che trovava le radi
ci [di sicuro sotto l'aspetto psicologico] in epoca precedente e
concomitante con la misura e quindi sorretta da motivi a delin
quere che la misura stessa non aveva in alcun modo permesso di
superare ...». Ed ha quindi concluso nel senso che l'accertata
violazione, a nulla rilevando la formale osservanza delle pre scrizioni nel corso dell'esperimento, costituiva inequivoco e
sintomatico indice dell'assoluta mancanza di partecipazione al
l'opera rieducativa e trattamentale, connessa all'affidamento e
finalizzata alla risocializzazione del condannato.
Pertanto, poiché l'ordinanza impugnata — sul punto
— ri
sulta rispondente alle linee interpretative indicate e trova ade
guata base giustificativa in una motivazione, in fatto, immune
da vizi logici, il giudizio critico e valutativo circa l'esito negati vo della prova e il mancato recupero sociale del ricorrente resta
incensurabile nel giudizio di legittimità. 5. - Alla luce del principio di diritto sopra affermato la corte,
dovendo prendere in esame l'ulteriore censura difensiva circa
l'erronea, integrale, non computabilità del periodo di affida
mento in prova al servizio sociale, è chiamata a risolvere l'altra
questione controversa «se, in caso di valutazione negativa della
prova, il tribunale di sorveglianza debba determinare (come nel
l'ipotesi di revoca della misura) la durata della residua pena da
scontare, tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato e
del suo complessivo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento, oppure il relativo giudizio debba avere, sempre, efficacia ex tunc».
Secondo il tradizionale e prevalente indirizzo della giurispru denza di legittimità (sez. I 21 febbraio 1983, Didona, cit.; 6 maggio 1985, Falcetelli, cit.; 18 novembre 1996, Galante, id.,
Rep. 1997, voce cit., n. 81; 18 settembre 1997, Renda, cit.; 17
febbraio 2000, Cornero, cit.; 31 ottobre 2000, Li Mandri, cit.; 16
gennaio 2001, Ruggero, cit.) la distinzione tra i due istituti ha effetti sostanziali di rilevante importanza per la ragione che, trattandosi non di revoca ma di valutazione negativa dell'esito
della prova, non è applicabile la disciplina risultante della sen
tenza della Corte costituzionale n. 343 del 1987 (id., 1989, I,
587), con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del
l'art. 47, penultimo comma, ord. penit. laddove, in caso di revo
ca, non consentiva al tribunale di sorveglianza di determinare la
residua pena da espiare, tenuto conto della durata della limita
zione patita dal condannato e del comportamento tenuto durante
il periodo trascorso in regime di affidamento. Poiché il giudizio
negativo comporta la risoluzione ex tunc dell'efficacia del
l'esperimento ne consegue, come corollario, che il tempo tra
scorso in affidamento non si considera come pena espiata e
l'espiazione della pena riprende a decorrere dal giorno dell'af
fidamento.
Ad avviso del collegio, siffatta restrittiva interpretazione non
sembra coerente con le soluzioni indicate dalla Corte costituzio
nale mediante i progressivi ed incisivi interventi in tema di ces
sazione, annullamento e revoca dell'affidamento in prova al
servizio sociale (sentenze di parziale illegittimità costituzionale
dell'art. 47 ord. penit.; 185/85, id., 1985, I, 1888; 312/85, ibid., 3065, e 343/87, cit.) e di revoca della liberazione condizionale — istituto ormai attratto nella logica rieducativa della pena e
nell'orbita delle vere e proprie misure alternative alla detenzio
ne (sentenza di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 177, 1° comma, c.p. 282/89, id., 1989, I, 3036). Tali interventi sono
diretti ad affermare, in ossequio ai principi stabiliti dagli art. 3 e
13 Cost., l'inidoneità di ogni provvedimento negativo sull'esito
della misura a sterilizzare ex se, secondo moduli applicativi vi
ziati da «automatismo» e «rigidità regressiva», le restrizioni
della libertà personale già subite dal condannato nel corso del
l'esperimento. Ed invero, il giudice delle leggi, nell'affermare il principio
della potenziale computabilità dell'esperimento nel periodo di
pena espiata e dell'obbligo del tribunale di sorveglianza di de
terminare la pena detentiva residua da scontare, ha rilevato che:
da un lato, la dubbia affidabilità del giudizio prognostico di rie ducabilità e l'esiguità dei concreti strumenti di reinserimento
rendono evidente che non sempre l'epilogo negativo possa ascriversi esclusivamente al condannato, sul quale le relative
conseguenze debbano ricadere automaticamente; d'altra parte,
l'innegabile incidenza afflittiva del carico coercitivo, costituito
dalle prescrizioni imposte al condannato, comporta che ulteriori
restrizioni della libertà personale non possano aggiungersi in
sede esecutiva a quelle originariamente ritenute dal giudice della cognizione proporzionate al grado di responsabilità del
Il Foro Italiano — 2003.
soggetto, in assenza di specifiche garanzie alla stregua dei prin
cipi di proporzionalità e individualizzazione della pena. Da qui l'equilibrata scelta del giudice delle leggi di contestare
la validità di entrambe le opposte tesi ispirate ad astratti e rigidi automatismi (quella dell'effetto retroattivo e quella dell'inte
grale scomputo dalla pena detentiva del periodo trascorso in af
fidamento, o in libertà vigilata, prima della revoca) e di deman
dare al tribunale di sorveglianza il compito, difficile ma inelu
dibile, di determinare il quantum della residua pena detentiva
ancora da espiare, individuando l'eventuale periodo di prova utilmente eseguito con relativa detrazione di pena: giudizio,
questo, sicuramente caratterizzato da un ampio grado di discre
zionalità, attesa la particolari dei singoli casi, e però vincolato da taluni, fondamentali, parametri di riferimento. Il tribunale
deve infatti congruamente giustificare la scelta applicativa, te
nendo conto «sia del periodo di prova trascorso dal condannato
nell'osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico
di queste [in relazione ai tipi, alla concreta afflittività e ad ogni altro elemento strutturale e contenutistico che ne designi il reale
peso limitativo della libertà], sia della gravità oggettiva e sog
gettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca», e
delle modalità del «sostegno» offerto al condannato durante
l'esperimento e della prognosi di rieducabilità e pericolosità dello stesso.
E ai dieta della Corte costituzionale sembra essersi, infine,
ispirata la nuova disciplina del regolamento dell'ordinamento
penitenziario, approvato con d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230, il cui
art. 98, 7° comma, nel dettare i criteri di valutazione della pena detentiva residua da espiare in caso di revoca, indica i medesimi
parametri «della durata delle limitazioni patite dal condannato e
del suo comportamento durante il periodo trascorso in affida
mento», mentre il successivo comma prescrive, in caso di an
nullamento dell'ordinanza di concessione del beneficio, l'inte
grale deduzione del periodo di esecuzione della pena in regime di affidamento, «che resta utilmente espiato».
6. - Ritiene il collegio che, nonostante il perdurante silenzio
del legislatore sulle conseguenze dell'esito negativo della prova e sebbene la Corte costituzionale abbia esplicitamente conside
rato, nella sentenza additiva 343/87, soltanto l'ipotesi della re
voca dell'affidamento, analoga valutazione in merito alla durata
della pena detentiva da espiare debba essere effettuata dal tribu
nale di sorveglianza anche in caso di giudizio negativo sull'e
sito della prova: giudizio finale, questo, al quale, secondo l'or
mai consolidato orientamento giurisprudenziale, si deve comun
que far luogo, anche quando il soggetto abbia portato a termine
il periodo di affidamento senza offrire ragioni per la revoca
della misura.
Non essendo consentito delineare un trattamento diverso per
analoghe situazioni fattuali (scil.: il fallimento della prova, sia
nel caso di rottura traumatica ed eclatante dell'esperimento che
ne determina la revoca, sia nel caso in cui l'affidamento sia
stato portato a conclusione ma con esito negativo) e prospettan dosi quindi il dubbio di costituzionalità della norma di cui al l'ultimo comma dell'art. 47 ord. penit., costituisce compito
primario per il giudice (come la Corte costituzionale ha nume
rose volte affermato: ex plurimis, ord. 174/99, id., Rep. 2000, voce Misure cautelari personali, n. 197), tanto più ineludibile
per il silenzio della formulazione normativa e per l'assenza di
un «diritto vivente» consolidato secondo un uniforme orienta
mento della giurisprudenza di legittimità, quello di ricercare e
privilegiare le possibili interpretazioni alternative a quella lettu
ra che lo indurrebbe a sollevare la questione di costituzionalità.
Soluzione che in tal modo consenta, mediante la ricostruzione di
un coerente sistema normativo, di adeguare la disposizione di
legge agli stessi parametri che dovrebbero invocarsi a sostegno del dubbio di costituzionalità, poiché, in via di principio, «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è
possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è im
possibile darne interpretazioni costituzionali» (sent. 356/96, id.,
1997,1,1306). Occorre a questo punto ribadire, da un lato, che la misura
dell'affidamento in prova costituisce «una pena essa stessa, al
ternativa alla detenzione o se si vuole una modalità di esecuzio
ne della pena» (Corte cost. 185/85, cit.), ovvero «una misura re
strittiva di esecuzione penale» (Corte cost., ord. n. 146 del 2001,
id., Rep. 2001, vbee Ordinamento penitenziario, nn. 95, 96) e,
dall'altro, che le prescrizioni inerenti all'affidamento, investen
do con incisive norme di condotta l'intera attività del condan
nato e comportando significative limitazioni all'esercizio di una
serie di diritti costituzionalmente garantiti, hanno «carattere
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PARTE SECONDA
sanzionatorio-afflittivo», al pari di ogni conseguenza restrittiva
discendente da una condanna penale, «sì che non è dubbio che
esse rientrino a pieno titolo tra quelle restrizioni della libertà
personale la cui imposizione l'art. 13 Cost, circonda di partico lari cautele» (Corte cost. 343/87, cit.).
E che si tratti di «una forma di espiazione» della pena inflitta
con la sentenza di condanna, sia pure in qualche misura «minore
o attenuata», risulta altresì confermato dal recente disegno di
legge 568/S, approvato dal senato della repubblica in prima let-'
tura il 7 febbraio 2002, secondo cui, superandosi definitiva
mente i postulati delle teorie contrattualistiche dell'istituto, è
concessa la riduzione di pena prevista dall'art. 54 ord. penit. per la liberazione anticipata anche a favore del condannato a pena detentiva sottoposto al regime dell'affidamento, il quale durante
l'esperimento abbia dato prova di partecipazione all'opera di ri
educazione.
Posta questa premessa, non può non riconoscersi la validità
del risultato ermeneutico cui è pervenuta una, sia pure isolata, decisione della corte di legittimità (sez. I 21 novembre 2000,
Bavagnoli, ibid., n. 76), secondo la quale, per lineari esigenze di
coerenza logico-sistematica, il principio dell'effetto estintivo —
eventualmente — parziale secondo i canoni di individualizza
zione e proporzionalità della pena, affermati in merito alla revo
ca dell'affidamento con la citata sentenza 343/87, non possono non valere anche per l'istituto della valutazione negativa dell'e
sito della prova, di cui all'ultimo comma dell'art. 47 ord. penit., attesa la similarità degli effetti afflittivi sulla libertà personale del condannato, in aggiunta e di entità superiore a quelli della
pena irrorata dal giudice della cognizione con la sentenza di
condanna.
Ne consegue che, nel caso di esito negativo della prova, il tri
bunale di sorveglianza non può limitarsi a dichiarare non estinta la pena, ma deve altresì determinare la durata della residua pena detentiva da espiare, prendendo in considerazione, in maniera
puntuale, l'entità delle specifiche circostanze poste a fonda
mento del giudizio di negatività della prova, in quanto l'irroga zione di sanzioni che si aggiungono a quelle ritenute origina riamente proporzionate al grado di responsabilità del soggetto non può avvenire senza una valutazione della qualità, gravità, estensione temporale e relazione di proporzionalità con l'aggra vamento sanzionatorio delle condotte violatrici poste a giustifi cazione dell'accertamento di detto risultato negativo.
L'azzeramento con efficacia ex tunc del già patito assogget tamento del condannato alle restrizioni della libertà personale nel periodo di affidamento costituirebbe, con l'automatica e in
tegrale replica della pena, un risultato viziato da «rigidità re
gressiva», contrastante con le, garanzie costituzionali in tema di
libertà personale e di legalità delle pene. Così come sarebbe
inaccettabile l'opposto risultato cui si perverrebbe con l'inte
grale e, del pari, automatico scomputo del periodo di affida mento interamente espletato. In tal modo la condotta violatrice delle prescrizioni resterebbe priva di qualsiasi sanzione e sareb be depotenziato l'impegno del condannato verso la positiva conclusione dell'esperimento e menomata la funzione rieducati va della misura. Ma soprattutto «se la meccanica e rigida parifi cazione in termini di durata (un giorno di pena detentiva = un
giorno di affidamento) tra sanzioni ben diversamente afflittive — non a caso, sconosciuta a molti ordinamenti ove vigono analoghi istituti di prova controllata —
può ancora giustificarsi in caso di esito positivo della prova, che la norma qui in esame
presume coincidente con un risultato di compiuta rieducazione, essa non può, viceversa, ritenersi razionalmente fondata quando si constati che tale risultato non è stato raggiunto» (Corte cost., sent. 343/87, cit.): e quindi, sembra lecito inferire, anche quan do tale verifica venga compiuta in sede di giudizio finale ex art.
47, ultimo comma, ord. penit. Il tribunale di sorveglianza potrà tanto far decorrere la pena
fin dal momento di ammissione al beneficio in caso di riscon trata negatività complessiva, se il comportamento globale del condannato sia stato tale da palesare la sua assoluta inidoneità alla rieducazione e alla risocializzazione; quanto, viceversa, ri durre la pena originariamente inflitta in proporzione al periodo di prova positivamente trascorso, inglobando un segmento di ca rico sanzionatorio già eseguito in regime alternativo.
Ed invero, la personalizzazione dell'effetto estintivo —
eventualmente — parziale della valutazione finale negativa cir
ca l'esito della prova, nel rispondere allo.scopo di prospettare una risposta flessibile, che meglio s'iscriva nell'ottica rieduca tiva e risocializzatrice propria delle misure alternative, giustifica
Il Foro Italiano — 2003.
l'ampia discrezionalità demandata al tribunale di sorveglianza, essendo necessario che i parametri commisurativi astrattamente
indicati siano contemperati e messi a fuoco, caso per caso, in
relazione alla personalità del condannato, al grado di insuccesso
della prova e di avvenuta sua risocializzazione, alla stregua di
un ragionamento sorretto da esauriente, logico e persuasivo ap
parato argomentativo, suscettibile di stringente scrutinio da
parte del giudice di legittimità. 7. - Quanto alla fattispecie concreta in esame, rileva la corte
che il Tribunale di sorveglianza di Milano si è limitato, con
l'ordinanza impugnata, a dare atto dell'esito negativo della pro va e a dichiarare non estinta la pena, senza affatto motivare, pe raltro, in merito alla concreta entità della pena detentiva residua
da espiare da parte del condannato, secondo le linee del modello
sopra disegnato: così aderendo implicitamente alla tesi dell'in
tegrale, automatica e perciò irrazionale duplicazione del già su
bito carico sanzionatorio.
Sussiste, di conseguenza, la denunciata violazione di legge e
va pronunciato l'annullamento parziale dell'impugnata ordinan
za con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Milano che, nella
nuova deliberazione sulla determinazione della residua pena detentiva da espiare all'esito negativo della prova, dovrà atte
nersi ai principi dianzi enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 22
gennaio 2002; Pres. Papadia, Est. Grassi, P.M. Albano
(conci, conf.); ric. Bacchilega. Conferma Trib. Forlì 20 feb braio 2001.
Animali (uccisione, danneggiamento, maltrattamenti, omes
sa custodia e malgoverno) — Maltrattamento — Reato —
Fattispecie (Cod. pen., art. 727).
Costituisce maltrattamento di animali detenere un cane, adde
strato per la caccia e la ricerca del tartufo, ali 'interno di una
capanna di circa sei metri, buia, maleodorante, costruita con
reti e ricoperta di lamiera e pezzi di compensato. ( 1 )
Con sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di
Forlì, datata 20 febbraio 2001, Pino Bacchilega veniva condan
nato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che, alla pena di tre milioni di lire di ammenda in quanto colpe vole del reato previsto dall'art. 727 c.p., del quale era chiamato
a rispondere per avere custodito un cane, in Castrocaro Terme di
Virano, in condizioni incompatibili con la natura di esso, dete nendolo in uno spiazzo angusto e buio per diversi mesi nel cor
so dell'anno 1999.
Affermava, fra l'altro, il giudice di merito:
a) che a seguito di reiterate segnalazioni di un volontario, la
(1) La sentenza in epigrafe, nel ravvisare nel caso di specie gli estremi del reato preveduto dall'art. 727 c.p., più in particolare secondo la modalità di realizzazione costituita dalla detenzione in condizioni in
compatibili con la natura dell'animale, fa applicazione di alcuni princi pi interpretativi precedentemente affermati da una parte della giurispru denza di legittimità.
Nel senso che l'ipotesi dell'incrudelimento può essere configurabile soltanto in presenza del dolo, mentre quella della detenzione dell'ani male in condizioni incompatibili con la sua natura ammette una realiz zazione anche in forma colposa, cfr. Cass. 24 giugno 1999, Patalano
(fattispecie relativa ad un soggetto il quale, in una giornata estiva, ave va lasciato il proprio cane chiuso a bordo di un'autovettura), citata in motivazione, Riv. pen., 1999, 852, e massimata in Foro it., Rep. 1999, voce Animali (uccisione), n. 5.
Per la tesi secondo cui l'art. 727 c.p. tende a tutelare gli animali, quali esseri viventi, da tutti i comportamenti umani dai quali possano scaturire non solo dolore o sofferenza, ma anche condizioni di vita in
compatibili con la loro natura o lo stato in cui vivono, cfr. Cass. 8 otto bre 1996, Feltrini, citata in motivazione, id., Rep. 1997, voce Caccia, n. 23. Con maggiore chiarezza, nel senso che ad integrare l'ipotesi della detenzione in condizioni di incompatibilità non è necessario l'elemento della sofferenza fisica, connaturato invece alla diversa fattispecie del l'incrudelimento, cfr. Cass. 19 novembre 1997, Losi, Giur. it., 1999,
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