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sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.);...

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sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 agosto 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 557/558-563/564 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196869 . Accessed: 28/06/2014 07:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.195 on Sat, 28 Jun 2014 07:43:13 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 agosto 2001

sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.);ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 agosto 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 557/558-563/564Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196869 .

Accessed: 28/06/2014 07:43

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GIURISPRUDENZA PENALE

lità del ricorso straordinario contro le sentenze depositate prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p. per le seguenti con

vergenti ragioni di ordine letterale, logico e sistematico.

In primo luogo, deve sottolinearsi che — fatte salve le dero

ghe espresse — il tradizionale principio tempus regit actum co

stituisce la regola base del diritto processuale intertemporale e, di riflesso, che, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, la nuova normativa non può essere applicata agli atti processuali

pregressi, legittimamente compiuti e produttivi di effetti giuri dici completamente esauritisi nell'ambito della disciplina pre cedente. Da tale premessa deve inferirsi che, mancando nell'art.

625 bis c.p.p. una norma diretta a regolare l'impugnazione straordinaria per errore di fatto delle decisioni della Corte di

cassazione anteriormente depositate, queste ultime restano sen

z'altro estranee al campo di applicazione della nuova disciplina. La conclusione è avvalorata da un duplice ordine di considera

zioni di complementare valore logico, individuabili, da un lato, nel richiamo al canone che conforma il regime delle impugna zioni alla normativa vigente all'epoca in cui si esaurisce il pro cedimento formativo del provvedimento e, dall'altro, nella cir

costanza che le decisioni della corte di legittimità emesse prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis conservano il crisma del

l'assoluta inoppugnabilità, ditalché il superamento di tale pecu liare connotato potrebbe avvenire soltanto eludendo il divieto

dell'estensione analogica di una disposizione indubbiamente

eccezionale.

Deve osservarsi, altresì, che la tesi favorevole all'ammissibi

lità del ricorso straordinario contro le decisioni della Corte di

cassazione già depositate al momento dell'entrata in vigore del

l'art. 625 bis c.p.p. non riesce a superare evidenti incongruenze

logiche connesse al problema dell'identificazione della data di

decorrenza del termine per la proposizione del ricorso medesi

mo. Infatti, individuare il dies a quo nella data di deposito della

sentenza — come, del resto, esplicitamente dispone l'art. 625

bis — significa ammettere che il decorso del termine possa av

venire, almeno in parte, prima che il condannato abbia acquisito la titolarità della facoltà di proporre l'impugnazione straordina

ria: con l'inevitabile risultato che, allorché tale facoltà sia dive

nuta azionabile a seguito dell'entrata in vigore della nuova di

sciplina, ogni singolo ricorrente dispone di un termine di impu

gnazione più o meno ampio a seconda della differente data di

deposito del provvedimento. Nella consapevolezza di tale diffi

coltà concettuale e delle evidenti aporie che ne conseguono, la

maggior parte della dottrina favorevole all'ammissibilità del ri

corso straordinario contro le decisioni già depositate fa decorre

re il termine dell'impugnazione straordinaria dalla data di en

trata in vigore della 1. n. 128 del 2001. L'opinione non può esse

re condivisa, in quanto si risolve nell'attribuzione all'interprete del potere di introdurre un'apposita norma transitoria attraverso

un'operazione ricostruttiva della disciplina consistente in una

palese alterazione del chiaro e preciso dettato normativo conte

nuto nell'art. 625 bis, che, al 2° comma, fa decorrere il termine

di centottanta giorni dalla data del deposito del provvedimento che forma oggetto del ricorso straordinario.

Alla luce delle precedenti argomentazioni deve dichiararsi

l'inammissibilità del ricorso straordinario proposto dal Degraft contro la sentenza n. 225 pronunciata il 22 gennaio 2001 dalla

terza sezione penale di questa corte e depositata in data 19 mar

zo 2001, prima dell'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n.

128, che, all'art. 6, 6° comma, ha inserito nel codice di procedu ra penale l'art. 625 bis.

4. - A norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con

danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non dover emettere condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in quanto l'esaminato contrasto di giurisprudenza fa escludere l'esistenza

di una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indicazioni

della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale (id,

2000,1, 3426).

Il Foro Italiano — 2002.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27

marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (conci,

conf.); ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 ago sto 2001.

Misure cautelari personali — Riesame — Richiesta del pub

blico ministero — Omessa o tardiva trasmissione al tribu

nale — Perdita di efficacia della misura — Esclusione

(Cod. proc. pen., art. 291, 309).

L 'omessa o tardiva trasmissione al tribunale del riesame della

richiesta di applicazione della misura formulata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 291 c.p.p. non ne determina la ca

ducazione a mente del 5° e 10° comma del successivo art. 309

in quanto trattasi di un atto di mero impulso processuale,

funzionale all'attivazione del procedimento e privo di rile

vanza sul quadro indiziario e cautelare emergente dagli ele

menti presentati a sostegno della stessa. (1)

(1) Una delle questioni sulle quali più frequentemente è chiamata a

pronunciarsi la giurisprudenza riguarda la completezza o meno degli atti che il p.m. deve inviare al tribunale per il riesame ai sensi dell'art.

309, 5° comma, c.p.p. La ragione è di tutta evidenza dopo che con l'art. 16 1. 8 agosto 1995 n. 332 sono stati modificati tale comma, fissando in

cinque giorni il termine per l'invio (da intendere come ricezione, se condo l'interpretazione delle sezioni unite: sentenza 29 ottobre 1997, Schillaci, Foro it., 1998, II, 81), nonché il successivo 10° comma che ne ha sancito la natura perentoria: l'incompletezza dell'invio, infatti,

può aprire all'interessato (nei casi più gravi) le porte del carcere a se

guito della perdita di efficacia che il citato 10° comma ricollega al

mancato, ancorché parziale (Cass. 14 luglio 1997, De Luca, id., Rep. 1997, voce Misure cautelari personali, n. 473; 24 ottobre 1996, D'O

riano, ibid., n. 503), invio degli atti in questione nel termine suddetto

(ex plurimis, Cass. 12 aprile 1999, Greco, id., Rep. 1999, voce cit., n.

345), rispetto a quelli trasmessi al g.i.p. per sostenere la richiesta (nel senso che la completezza dell'invio, fatta eccezione per il caso in cui si

ponga un problema di elementi sopravvenuti favorevoli all'indagato, va valutata con riferimento agli atti di cui all'art. 291, 1° comma, c.p.p., v.

Cass., sez. un., 26 settembre 2000, Mennuni, id., 2001, II, 217, in moti

vazione, e Cass. pen., 2001, 2652, con nota di De Amicis, Omessa tra smissione dei verbale dell'interrogatorio di «garanzia» e riesame del

provvedimento cautelare', Riv. it. dir. eproc. pen., 2001, 1016, con nota di Ponzetta, Elementi favorevoli alla persona sottoposta a custodia cautelare ed interrogatorio di «garanzia» a norma dell'art. 294 c.p.p.: diritti e oneri delle parti processuali nel procedimento di riesame).

Anteriormente alla riforma del 1995 non si era mai posto un proble ma di sanzioni processuali collegabili all'omesso invio della richiesta di applicazione della misura; in particolare, era stato affermato che l'autorità giudiziaria procedente è tenuta a trasmettere al tribunale del

riesame gli atti contenenti gli elementi su cui la richiesta di applicazio ne della misura cautelare è fondata, ma non la richiesta medesima, sal

vo che a ciò sia particolarmente sollecitata per l'insorgere di un pro blema di conformità del provvedimento emanato con la richiesta anzi detta (Cass. 18 aprile 1995, Iero, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 508;

analogamente, Cass. 8 giugno 1995, Latella, ibid., n. 507). La problematica affrontata dalla decisione in epigrafe si è posta —

ed il contrasto è insorto — con l'entrata in vigore della 1. n. 332, poten do, dall'invio o meno della richiesta, per le ragioni dianzi evidenziate, derivare la perdita di efficacia della misura.

Secondo un primo orientamento, emerso subito dopo la riforma, an che la mancanza, tra gli atti inviati al tribunale, della, sola richiesta del

p.m. fa ritenere inadempiuto l'obbligo a questi imposto dall'art. 309, 5°

comma, c.p.p., con conseguente perdita di efficacia della misura: Cass. 30 ottobre 1998, Girotto, id., Rep. 1999, voce cit., n. 382, per la quale

l'obbligo non può dirsi adempiuto con la trasmissione del solo «di schetto» di computer contenente la richiesta, non accompagnato dalla

relativa trascrizione (su tale specifico profilo la decisione è criticata da

Aprile, 1 procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Milano, 1999,

85, nota 74); 24 settembre 1996, Basanisi, Foro it., Rep. 1997, voce

cit., n. 508; 23 maggio 1996, Mazzara, id., Rep. 1996, voce cit., n. 596.

Meno univoche, rispetto a tali decisioni, sono Cass. 23 gennaio 2001, Hu Shoudeng, id., Rep. 2001, voce cit., n. 253, e 19 novembre 1998,

Vulluet, id., Rep. 1999, voce cit., n. 378, entrambe richiamate in moti

vazione, almeno a giudicare dalla massima che ne è stata estratta, poi ché non contengono alcuno specifico riferimento alla richiesta, limitan

dosi ad affermare che in tema di riesame di misure cautelari, la sanzio

ne di inefficacia della misura consegue automaticamente alla violazione

dell'obbligo di integrale trasmissione all'organo del riesame di tutti gli atti presentati al g.i.p.; ne consegue che non sussiste alcuna possibilità di selezione ad opera dell'autorità procedente né vi è, da parte del tri

bunale, possibilità di apprezzamento sulla rilevanza degli atti non tra

smessi. Un orientamento di segno opposto è prevalso, invece, in epoca più

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PARTE SECONDA

Fatto. — Il g.i.p. del Tribunale di Ancona, con ordinanza del

25 luglio 2001, ha applicato la misura cautelare della custodia in

carcere a Mohamed Ali Ashraf ed a Monica Aluigi, gestori della

s.r.l. Euro Invest Company di Urbania, in relazione a vari delitti

tributari posti in essere, anche nel vigore del d.leg. 10 marzo

2000 n. 74, al fine di lucrare indebitamente l'Iva sfruttando

l'esenzione prevista per cessioni intracomunitarie di beni, attra

verso una doppia serie di fatturazioni collegate a finte interme

diazioni di «società cartiere». Le conseguenti dichiarazioni tri

recente, allorché, con specifico riferimento alla problematica degli atti che l'autorità procedente deve trasmettere al tribunale del riesame, è

prevalsa una concezione non meramente formale, ma sostanzialistica

dell'obbligo incombente a detta autorità ai sensi del 5° comma dell'art.

309, con conseguente irrilevanza di eventuali omissioni concernenti atti non utilizzati dal g.i.p. o comunque irrilevanti ai fini della valutazione del quadro indiziario o cautelare e/o già nella disponibilità della difesa: v. Cass. 1° dicembre 2000, Lo Russo, id., Rep. 2001, voce cit., n. 217, secondo cui l'obbligo di trasmissione concerne solo gli atti nella esclu siva disponibilità del p.m.; per quanto riguarda invece gli atti relativi ad altri procedimenti, divenuti pubblici e che possono essere liberamente

acquisiti dalle parti interessate, nessun obbligo incombe su detto orga no, anche se essi furono a suo tempo trasmessi al g.i.p., perché tanto la

parte privata, quanto l'organo del riesame possono procurarsene la di

sponibilità; 3 ottobre 2000, Laratta, ibid., n. 218, e Cass, pen., 2001, 2424 (la perdita di efficacia della misura ai sensi del 9° comma dell'art. 309 non può essere ricollegata all'omessa o tardiva trasmissione di un atto che, ai fini della decisione del tribunale, sia manifestamente irrile

vante); 6 giugno 2000, Gorea, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 242, che ha ritenuto ininfluente la mancata trasmissione di documentazione già prodotta dalla difesa all'udienza di convalida; 25 gennaio 2000, Gas, id., Rep. 2000, voce cit., n. 350, per la quale in materia di misure cau telari personali, la disposizione la quale prescrive che in seguito alla

presentazione dell'istanza di riesame siano trasmessi al tribunale com

petente, a pena di inefficacia della misura cautelare applicata, gli atti

presentati a norma dell'art. 291, 1° comma, c.p.p., non va intesa for malisticamente, nel senso che la mancata trasmissione al tribunale di uno qualsiasi degli atti presentati dal p.m. al g.i.p. in occasione della ri chiesta della misura determini automaticamente l'inefficacia di que st'ultima, dovendosi escludere tale effetto quando siano stati trasmessi al giudice del riesame gli atti posti a base del provvedimento impugna to, ovvero il contenuto di essi sia integralmente ricostruibile sulla base

degli atti trasmessi; 21 dicembre 1999, Castrogiovanni, ibid., n. 352 (in materia di riesame delle misure cautelari, l'inosservanza della disposi zione dell'art. 309, 5° comma, c.p.p. ha i previsti effetti invalidanti e caducatori solo quando gli elementi di prova di cui sia stata omessa la trasmissione al giudice del riesame siano idonei ad assumere in con creto una specifica rilevanza probatoria in favore del destinatario della

misura; ne consegue che, per dedurre validamente la violazione del suddetto art. 309, non è sufficiente indicare gli atti di cui sia stata omessa o ritardata la trasmissione al giudice del riesame, ma occorre anche prospettare la possibilità di una loro utilizzazione probatoria a

sostegno di una tesi difensiva). Corollario di questa diversa impostazione, condivisa dalle sezioni

unite, è che la mancata trasmissione della richiesta di adozione della misura cautelare non può in nessun caso determinare la perdita di effi cacia della misura trattandosi di un atto di mero impulso processuale, il

quale esaurisce la sua funzione con l'instaurazione del procedimento cautelare e da cui non è possibile trarre elementi a favore o contro l'in

dagato: cfr. Cass. 15 febbraio 2000, Terracciano, ibid., n. 347; 1° feb braio 2000, Carloni, id., Rep. 2001, voce cit, n. 220; 20 dicembre 1999, Sessa, id., Rep. 2000, voce cit., n. 349, nella quale, tuttavia, si adombra la possibilità di una deroga ove sia prospettata, in modo reali stico, l'eventualità che la misura sia stata applicata ex officio o in dif formità da quanto richiesto dal p.m., ma poiché ciò nella specie non si era verificato la corte non prende espressamente posizione sul punto, potendo nella specie porsi più che un problema di perdita di efficacia ex 10° comma, una questione di nullità.

In dottrina, questo orientamento della giurisprudenza volto al supe ramento di una interpretazione meramente letterale e formalistica del combinato disposto del 5° e 10° comma dell'art. 309 c.p.p. è stato, sia

pure con diverse accentuazioni, criticato da Benenati, Gli atti da tra smettere a! tribunale del riesame, in Giur. it., 1999, 594; Dall'Agli, L 'incompleta eventuale trasmissione degli atti al tribunale del riesame, da parte del pubblico ministero, dà luogo a perdita di efficacia de!

provvedimento cautelare, in Arch, nuova proc. pen., 2001, 257; Ma inandola, Riesame del provvedimento cautelare e trasmissione ex art. 309, 5° comma, dell'interrogatorio della persona «in vinculis», in Cass. pen., 1996, 3738; Orlandi, Omesso invio dell'interrogatorio di

garanzia al giudice del riesame: causa di nullità del giudizio di impu gnazione o motivo di inefficacia del provvedimento impugnato?, id., 1997, 2782; Polvani, Le impugnazioni «de liberiate». Riesame, appel lo, ricorso, Padova, 1999, 243 s., pur se si dimostra possibilista quanto

Il Foro Italiano — 2002.

butarie, basate su annotazioni contabili false, sono risultate

fraudolente.

A seguito di richiesta di riesame il Tribunale di Ancona, con

ordinanza del 27 agosto 2001, ha accolto in via preliminare ed

assorbente l'eccezione di perdita di efficacia dell'ordinanza co

ercitiva a norma dell'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p. per il ri

tardato invio della richiesta di misura cautelare presentata dal

p.m. ai sensi dell'art. 291, 1° comma, c.p.p. e ha disposto la

scarcerazione degli indagati, entrando altresì incidentalmente

nel merito delle contestazioni.

Ha proposto ricorso il p.m. richiamandosi all'orientamento

giurisprudenziale secondo il quale la richiesta prevista dall'art.

291 non è compresa fra gli atti la cui mancata trasmissione nel

termine di cui al 5° comma dell'art. 309 determina la perdita di

efficacia della misura cautelare; ed ha chiesto l'annullamento

del provvedimento impugnato, che ha censurato anche per la

ritenuta esclusione del concorso di persone nei reati tributari.

Anche il difensore degli indagati ha proposto ricorso reite

rando l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di

Ancona in ordine ai reati in oggetto. La terza sezione penale della Suprema corte, cui il ricorso era

stato assegnato, rilevato il contrasto interpretativo sulle conse

guenze dell'omessa trasmissione al tribunale del riesame del

l'integralità degli atti presentati dal p.m. e in particolare dalla

richiesta cautelare, ha rimesso la relativa decisione alle sezioni

unite.

Diritto. — 1. - Va premesso che non hanno rilevanza le cen

sure del p.m. sul concorso di persone e della difesa sulla com

petenza per territorio in materia di reati tributari, attinendo a

questioni trattate incidentalmente dal tribunale, che ha dichia

rato la perdita di efficacia della misura coercitiva imposta dal

g.i.p. Le sezioni unite sono chiamate a risolvere il contrasto riguar

dante la perdita o meno dell'efficacia della misura cautelare nel

caso di omessa o ritardata trasmissione della richiesta di cui al

l'art. 291, 1° comma, c.p.p. presentata dal p.m. al giudice. La norma, che ha il suo referente nella direttiva n. 59 dell'art.

agli atti che, pur trasmessi al g.i.p. unitamente alla richiesta, siano privi di rilevanza nella prospettiva del procedimento cautelare. Su posizioni meno rigorose e, comunque, tendenzialmente volte ad escludere la ca ducazione della misura nel caso di mancato invio di atti non utilizzati dal g.i.p. o nella disponibilità della difesa, cfr. Aprile, Il procedimento di riesame nella giurisprudenza di legittimità, in Giur. merito, 1999, 905; D'Ambrosio-Fidelbo, L'incidenza del fattore «tempo» nella di

sciplina delle misure cautelari personali, in Misure cautelari e diritto di difesa a cura di Grevi, Milano, 1995, 173 s.; Giannone, Commento all'art. 16 l. 8 agosto 1995 n. 332, in Legislazione pen., 1995, 724 s.; Mercone, lì fascicolo del riesame tra esigenze contenutistiche, termini e sanzioni procedurali, in Cass, pen., 1998, 580, per il quale la sanzio ne endoprocedimentale di inefficacia della misura è applicabile solo

quando l'omessa, tardiva o incompleta trasmissione degli atti sia adde bitabile al p.m. e sia lesiva degli interessi dell'inquisito controinteres

sato; non quando il vizio di trasmissione lede le ragioni dell'accusa, salve le conseguenze in tema di non utilizzabilità degli elementi di pro va non acquisiti; Nuzzo, La «trasmissione degli atti» al tribunale del riesame nella giurisprudenza di legittimità, ibid., 1920.

Scarsa è stata l'attenzione della dottrina alla specifica questione, og getto della sentenza in epigrafe, degli effetti della omessa trasmissione al tribunale della richiesta di adozione della misura cautelare personale; gli autori che se ne sono occupati sono pervenuti a conclusioni opposte a quelle delle sezioni unite: cfr. Nuzzo, Sulla necessità di trasmettere a! tribunale del riesame la richiesta di applicazione della misura cautela

re, id., 2000, 3092 (il quale pone in rilievo che la richiesta racchiude, sotto il profilo formale, l'esposizione degli elementi da cui emergono i

gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari da soddisfare costi tuendo il termine di riferimento per stabilire la corrispondenza tra

quanto chiesto dal p.m. e quanto disposto dal g.i.p.; dal che deriva la necessità di trasmetterla all'organo che svolge un nuovo giudizio sulla libertà personale dell'indagato con pienezza di cognizione, che pre scinde da specifici motivi di doglianza delle parti); Savino, Potere di accusa e diritto di difesa: rimeditazione sulle garanzie nel procedi mento «de liberiate», id., 2001, 934.

In argomento, merita, da ultimo, di essere richiamata Cass. 9 maggio 2001, Romeo, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 250, secondo la quale la

parte che eccepisca la mancata trasmissione al tribunale del riesame di tutti gli atti posti a fondamento dell'ordinanza applicativa di misura

cautelare, non può limitarsi ad una dichiarazione di mera incompletezza dei detti atti ma deve documentare concretamente, di quali atti si la menti la mancata trasmissione.

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GIURISPRUDENZA PENALE

2 1. delega 81/87 per l'emanazione del nuovo codice di proce dura penale, nella formulazione originaria prevedeva: «le mi

sure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che pre senta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si

fonda».

L'ordinanza, dopo l'esecuzione, era depositata nella cancelle

ria del giudice che l'aveva emessa, con successivo avviso al di

fensore (art. 293, 3° comma, c.p.p.). Ciò comportava che, ese

guito l'atto a sorpresa, permanesse la situazione d'inconoscibi

lità da parte dell'indagato degli elementi posti a fondamento

della richiesta, con evidente disparità di trattamento rispetto al

l'imputato nell'ipotesi in cui questa fosse stata avanzata dopo il

rinvio a giudizio con la completa discovery. In particolare, con

riferimento agli elementi favorevoli nei confronti dell'indagato, nella fase delle indagini preliminari la conoscibilità da parte del

giudice cautelare era rimessa alla discrezionalità del p.m., sic

ché questi avrebbe potuto eludere l'obbligo derivante dall'art.

358 c.p.p., sacrificato nel caso di segretazione di alcune indagi ni.

Vigendo tale assetto normativo, la trasmissione al tribunale

degli «atti presentati a norma dell'art. 291, 1° comma» era pre vista dal 5° comma dell'art. 309 con cadenze temporali non pe rentorie (v. anche l'art. 100 disp. att. c.p.p.), il cui superamento non comportava la caducazione dell'ordinanza coercitiva. La

compiuta trasmissione degli atti, pur se attuata in maniera fra

zionata, assumeva rilievo solo ai fini del decorso del termine di

decadenza dei dieci giorni entro i quali sarebbe dovuta interve

nire la decisione del tribunale della libertà (sez. un. 18 giugno

1993, Dell'Omo, Foro it., 1994, II, 79), pena la perdita di effi cacia dell'ordinanza impositiva (art. 309, 10° comma). Inoltre, detta trasmissione assumeva significato pregnante di garanzia del diritto di difesa, tutelato dalla clausola generale di nullità

prevista dall'art. 178, lett. c), c.p.p., col correttivo dell'effettivo

ostacolo ad esso, dando così ingresso ad un criterio di «resisten

za» condizionante il valore degli atti inutilizzati nel caso il p.m. avesse selezionato il materiale trasmesso al tribunale rispetto a

quello presentato al g.i.p. La richiesta di riesame costituiva per

l'indagato il mezzo per scoprire gli elementi posti a base della

strategia dell'accusa, in considerazione di «atto a sorpresa» della misura coercitiva e del limite di conoscibilità inerente al

deposito in cancelleria della sola ordinanza cautelare (art. 293,

3° comma, c.p.p.) dopo l'esecuzione del provvedimento restrit

tivo. Da qui il fiorire di una giurisprudenza tutoria della trasmis

sione completa degli atti inviati dal p.m. al giudice cautelare e

di ogni altro atto in connessione essenziale, indispensabili per un corretto e completo controllo del provvedimento impugnato nella dialettica camerale in sede di riesame; col conseguente

dovere-potere del tribunale di acquisire gli atti necessari quale fattore di garanzia al fine indicato (sez. un. 5 luglio 1995, Par

lati, id.. Rep. 1995, voce Misure cautelari personali, n. 544). Anche se, per sopperire ad una carente trasmissione, inevitabil

mente veniva spostata in avanti la decorrenza del termine pe rentorio (art. 309, 9° e 10° comma, e 101 disp. att. c.p.p.) deli

mitante temporalmente la decisione.

2. - La svolta è intervenuta con la 1. 8 agosto 1995 n. 332 e la

previsione dell'obbligo del p.m. di presentare al giudice cautela

re anche «tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali

deduzioni e memorie difensive» (ultima parte del novellato art.

291, 1° comma), nonché con la previsione del deposito nella

cancelleria del giudice che ha emesso l'ordinanza cautelare an

che della «richiesta del pubblico ministero» e degli «atti pre sentati con la stessa» (art. 293, 3° comma) ed ancora con l'in

troduzione del termine perentorio («non oltre il quinto giorno»

dall'avviso, dato dal presidente all'autorità giudiziaria proce

dente, della presentazione della richiesta di riesame) per la tra

smissione degli atti presentati ai sensi dell'art. 291 dal p.m. (art.

309, 5° e 10° comma, c.p.p.). È così venuta meno la possibilità di trasmissione frazionata

oltre il termine suindicato e fino alla decisione (entro i dieci

giorni successivi a detta scadenza) del tribunale.

Il riesame ha assunto in tal modo la funzione di strumento di

controllo a garanzia della libertà personale nella dialettica delle

parti attraverso un'effettiva e tempestiva verifica giudiziale, con

l'attuata discovery degli elementi a sostegno della richiesta

cautelare, conseguita col deposito in cancelleria che ha consen

tito la preventiva conoscenza da parte della difesa degli ele

menti indicati a fondamento dell'accusa. Da mezzo di difesa per

II. Foro Italiano — 2002.

«costringere» il p.m. a scoprire la sua strategia accusatoria, il ri

esame si è connotato, secondo l'evoluzione giurisprudenziale, di

una logica di tipo sostanziale che consentisse la polarizzazione del controllo del tribunale sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso la trasmissione dei dati dai

quali potessero desumersi gli elementi di colpevolezza, le esi

genze cautelari e l'adeguatezza della misura prescelta per assi

curarle, definitivamente superando l'originaria finalizzazione

dell'istituto stesso a costituire garanzia dell'accesso difensivo

agli atti. Col correttivo di restringere la trasmissione degli atti

sopravvenuti a quelli effettivamente favorevoli all'indagato, idonei ad influire positivamente sulla sua posizione (sez. un. 26

settembre 2000, Mennuni, id., 2001, II, 217). In conseguenza dell'accentrarsi del controllo a più ampio raggio dell'ordinanza

applicativa, si è per converso venuto attenuando il potere selet

tivo del p.m. (sez. un. 20 novembre 1996, Glicora, id., Rep.

1997, voce cit., n. 495). Tale approdo ermeneutico di riferimento ai dati sostanziali

qualificanti, la cui omessa o tardiva trasmissione al giudice del

riesame produce la caducazione della misura, ha accentuato la

«prova di resistenza» del provvedimento restrittivo in riferi

mento all'irrilevanza, ai fini della correttezza e della legittimità della decisione cautelare, di elementi non trasmessi ininfluenti

sulla decisione ovvero di elementi già noti alla difesa (cono sciuti o conoscibili) in quanto nella sua disponibilità (tra le più recenti, sez. II 3 ottobre 2000, Laratta, id., Rep. 2001, voce cit., n. 218), anche quali atti pubblici pertinenti ad altri procedimenti

(sez. VI 1° dicembre 2000, Lo Russo, ibid., n. 217). La conclusione che si trae dall'evoluzione interpretativa suc

cessiva alla novella del 1995 è il tendenziale atteggiamento a re

sponsabilizzare la difesa, ormai a tempestiva conoscenza degli elementi sostanziali su cui la cautela si fonda, alla produzione

vicaria, sganciata dal termine perentorio di cui al citato 5°

comma, di materiale utile per la decisione in sede di riesame in

coincidenza di specifiche prospettazioni fino all'udienza came

rale e nel corso della stessa, con particolare riguardo alla so

pravvenienza di elementi favorevoli; delimitandosi così le con

seguenze caducatone dell'omessa trasmissione di atti non a ge neriche deduzioni al riguardo ma alla denuncia di specifiche omissioni di dati sostanziali decisivi, presi in considerazione dal

giudice cautelare e sui quali deve svolgersi il controllo in sede

di riesame.

3. - Inquadrato il sistema in direzione della trasmissione al

tribunale della libertà di atti a contenuto sostanziale incidenti ai

fini di un idoneo controllo, per la soluzione della questione ri

messa a queste sezioni unite va posto in luce che il 1° comma

dell'art. 291 pone esplicita distinzione tra «richiesta» de! p.m. ed «elementi» sui quali si fonda: la lettera della legge opera una

divaricazione, esaltando la funzione di atto propulsivo della

prima, il cui contenuto, è solo una riflessa elencazione degli elementi a sostegno della richiesta cautelare, mentre accentua il

momento contenutìstico dei secondi, delineando una separazio ne tra atto formale e atti sostanziali allegati a sostegno. La giuri

sprudenza prima della riforma, dopo qualche oscillazione, si era

assestata sulla necessità della trasmissione della richiesta al fine

di verificare la corrispondenza tra domanda e provvedimento

coercitivo, al solo fine di accertare, quale risposta all'eccezione *

di tipo formalistico, la nullità assoluta per la violazione del

principio neprocedat index ex officio, sempre che dell'atto stes

so non fosse stata fatta menzione in un atto diverso, in particola re nell'ordinanza impugnata (sez. I 8 giugno 1995, Latella, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 507, tra le altre).

Dopo la riforma del 1995 si è accentuato il contrasto a causa

della modifica del 5° comma dell'art. 309 poiché, a seconda

della soluzione positiva o negativa della necessità di trasmissio

ne della richiesta cautelare nel termine perentorio introdotto, de

rivava la caducazione della cautela imposta. 4. - Fondamentalmente si sono delineati due orientamenti giu

risprudenziali: l'uno sostiene che il difetto di trasmissione della

richiesta comporta la perdita di efficacia della misura (sez. 1 19

novembre 1998, Vulluet, id., Rep. 1999, voce cit., n. 378, e 23

gennaio 2001, Hu Shoudeng, id., Rep. 2001, voce cit., n. 253;

sez. VI 30 ottobre 1998, Girotto, id., Rep. 1999, voce cit., n.

382); quello di segno opposto esclude la caducazione del prov vedimento a causa di detta omissione (sez. II 1° febbraio 2000,

Carloni, id., Rep. 2001, voce cit., n. 220; sez. Ili 25 gennaio

2000, Gas, id., Rep. 2000, voce cit., n. 350, e sez. VI 20 dicem

bre 1999, Sessa, ibid., n. 349).

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Page 5: sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (concl. conf.); ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 agosto 2001

PARTE SECONDA

La rilevanza della trasmissione, secondo l'orientamento più

rigoroso, che pone sullo stesso piano la richiesta e gli elementi

sui quali si fonda, s'individua nell'interesse difensivo alla veri

fica del tribunale della conformità, della proporzione e della

congruità tra richiesta e atti che la sorreggono e risposta cautela

re, nonché al controllo della corretta interpretazione e della va

lutazione da parte del p.m. dei dati presentati a fondamento del

l'atto propulsivo (sez. IV 24 settembre 1996, Basanisi, id., Rep.

1997, voce cit., n. 508). Viene così valorizzata la richiesta come atto che va necessà

riamente trasmesso per conoscere gli elementi indicati dal p.m. a fondamento della domanda cautelare e quelli (eventuali) a fa

vore dell'indagato (tra le altre, sez. VI Girotto, cit.). L'orienta

mento meno rigoroso, che fa riferimento all'espressa censura

relativa all'addotto eccesso del giudice cautelare rispetto alla

domanda del p.m., si basa sulla considerazione che l'opposta te

si, che prescinde da un'esplicita deduzione difensiva, poteva avere un senso nella disciplina previgente alla 1. 332/95 in as

senza di un'effettiva discovery, ma dopo la novella legislativa

perde valore logico-giuridico a causa dell'accessibilità delia di

fesa al controllo (arg. ex art. 293, 3° comma, cit.). Viene ad accentuarsi la concezione sostanziale della trasmis

sione degli atti considerati funzionali al compito del giudice del

riesame, la cui mancanza comporta la sanzione di cui al 10°

comma dell'art. 309 c.p.p.

L'approdo, dunque, è in direzione di una concezione sostan

zialistica dell'atto da cui deriva la superfluità della trasmissione

della richiesta, che non ha rilievo ai fini del merito della que stione cautelare, nulla aggiungendo al quadro indiziario già

emergente dagli atti allegati, che si limita solo a richiamare (tra le altre, sez. V 15 febbraio 2000, Terracciano, id., Rep. 2000,

voce cit., n. 347). Dalla richiesta cautelare non è, quindi, possibile trarre ele

menti a favore o contro l'indagato, avendo l'atto mera funzione

processuale che si esaurisce nell'impulso al procedimento cau

telare.

5. - A quest'ultimo orientamento, seguito da larga parte della

dottrina, aderiscono queste sezioni unite.

La concezione formalistica si distacca dalla lettera e dalla ra

tio della legge; per converso, l'orientamento opposto evoca so

luzioni d'ispirazione sostanzialistica, dando altresì rilevanza

alla facoltà della difesa di una produzione calibrata alle specifi che censure addotte (fra le più recenti, sez. II Carloni, cit.),

quale ad esempio l'asserita non corrispondenza tra la «richie

sta» e la «risposta» cautelare in violazione del divieto nei con

fronti del giudice di emettere d'ufficio la misura coercitiva (sez. I Latella, cit., e sez. VI 19 gennaio 1998, Braschi, id., Rep. 1998, voce cit., n. 372).

Resta, dunque, stabilito che l'espressa eccezione può com

portare l'acquisizione di un atto d'impulso processuale da ri

chiedersi o da allegarsi in qualsiasi momento del giudizio di rie same (sentenza Terracciano, cit.).

Si manifesta, pertanto, la convinzione che al giudice del rie

same non debba garantirsi in via generale e astratta qualsiasi controllo sulla legittimità del provvedimento impugnato: l'e

ventuale necessità di verifica resta assicurata dalla produzione o

acquisizione successiva (prevalentemente) di atti di contenuto

processuale, sganciata da termini perentori. La funzione del tribunale si compendia e si esaurisce nel

controllo del ragionamento adottato dal giudice della cautela, con la concreta previsione dell'esame di atti presentati dal p.m. al giudice ed effettivamente utilizzati nell'economia del prov vedimento impositivo, restando esclusa la necessità della pre senza di un atto non decisivo, ritenuto dalla difesa interessante

per il giudizio di impugnazione e conosciuto dalla stessa, il cui

ruolo attivo di propulsione ai fini dell'acquisizione o della pro duzione diretta attenua nel sistema il ricorso al meccanismo

sanzionatorio dell'art. 309.

Dall'affermazione del principio che l'omessa o — è il caso in

esame — tardiva trasmissione al tribunale del riesame della ri

chiesta di misura cautelare personale, presentata al giudice

quale mero atto propulsivo a contenuto processuale, non deter

mina la perdita di efficacia del provvedimento coercitivo a nor

ma dell'art. 309, 5° e 10° comma, c.p.p., consegue l'annulla

mento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di An

cona per nuovo esame.

II Foro Italiano — 2002.

CORTE D'ASSISE DI ROMA; sentenza 6 dicembre 2000; Pres. ed est. D'Andria; imp. Riveros e altri.

CORTE D'ASSISE DI ROMA;

Omicidio e infanticidio — Omicidio — Responsabilità del superiore gerarchico

— Estremi — Fattispecie (Cod. pen.,

art. 40, 110, 575). Cause di non punibilità

— Adempimento di un dovere —

Ordine palesemente illegittimo — Valenza esimente —

Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 51 ).

Sequestro di persona — Persona scomparsa ma probabil

mente ancora in vita — Natura di reato permanente (Cod.

pen., art. 605). '

II superiore gerarchico di un 'organizzazione militare è respon sabile per gli omicidi commessi dai suoi subordinati allorché

la sua condotta manifesti non soltanto un 'adesione al! 'altrui

condotta criminosa, ma si concretizzi quantomeno in un 'atti

vità di istigazione e di rafforzamento della volontà degli ese

cutori materiali; sussiste, in ogni caso, una responsabilità per concorso mediante omissione del superiore gerarchico, stante

l'obbligo giuridico dello stesso di impedire manifeste viola

zioni delle norme vigenti (fattispecie relativa a delitti com

messi in Argentina, durante il periodo dell'ultima dittatura

militare, ai danni di cittadini italiani). (1) Non è invocabile l'esimente dell'adempimento di un dovere al

lorché venga data esecuzione ad ordini palesemente illegitti mi; tali sono sicuramente quelli che comportano torture, de

tenzioni e uccisioni senza imputazioni e con violazione delle

regole che vanno rispettale anche in tempo di guerra. (2) Il delitto di sequestro di persona è da intendersi come perma

nente qualora non sia acquisito alcun elemento che possa far escludere che la persona sequestrata sia ancora in vita. (3)

(1-3) Circa la repressione di crimini durante la seconda guerra mon

diale, cfr. D. Maltese, in Foro it., 1999, II, 591.

* * *

Il giudice e Io storico: la «command responsibility» tra diritto

penale interno ed internazionale.

1. - Il fenomeno della «internazionalizzazione della giustizia». La sentenza su riprodotta (1) si inserisce a pieno titolo all'interno di quel processo di «internazionalizzazione della giustizia» che da qualche an no a questa parte ha portato alla «proliferazione» di numerose decisioni

giurisprudenziali in tema di crimini qualificabili come internazionali, sia ad opera di organi sovranazionali che interni.

Come è stato efficacemente notato, infatti, «Dopo le vicende balca

niche, i massacri africani e la prima guerra cecena, i diritti umani hanno

assunto, nelle democrazie occidentali, uno straordinario rilevo» (2). Da un lato, invero, si è assistito alla nascita dei c.d. tribunali internazionali ad hoc per l'ex Iugoslavia (International Criminal Tribunal for the Former Jugoslavia, ICTY) ed il Ruanda (International Criminal Tribu nal for Rwanda, ICTR) ed è stato portato a compimento l'ambizioso

progetto di elaborare uno statuto per una corte penale internazionale

permanente (International Criminal Court, ICC); dall'altro lato, i sin

goli ordinamenti nazionali non sono rimasti inerti di fronte alle macro

scopiche violazioni dei diritti umani. E probabilmente proprio a seguito delle forti esigenze (avvertite dalla

comunità internazionale) di garantire adeguata tutela ai diritti umani ed alla conseguente «riscoperta» del diritto penale internazionale che le

singole giurisdizioni nazionali hanno recepito l'appello a non lasciare

impuniti siffatti gravi crimini. E vero che la sentenza in epigrafe non fa alcun riferimento al diritto

penale internazionale, e giunge a condannare i generali argentini sotto

posti a giudizio applicando le disposizioni codicistiche del diritto pe nale «ordinario». Tuttavia, tale decisione è sintomatica di un rinnovato

equilibrio di poteri: la repressione di crimini commessi all'estero da cittadini stranieri (a danno di italiani), non è più un settore di esclusiva

competenza dell'esecutivo ma rientra a pieno titolo nella competenza del potere giudiziario. Cosicché, malgrado l'effettiva repressione dei crimini internazionali ad opera di un organo giudiziario sovranazionale

permanente non sia ancora effettiva, sono comunque i singoli ordina menti nazionali che si «prendono carico» di non lasciare impuniti tali

episodi criminosi.

Occorre, infatti, segnalare come le indagini nei confronti dei respon sabili delle atrocità commesse in Argentina non rappresentano una esclusiva italiana. Numerosi sono i procedimenti giudiziari che si sono

aperti in Europa nel tentativo di reprimere o, quantomeno, di accertare

(1) Il testo integrale della sentenza è reperibile in Internet ai siti:

<www.studiperlapace.it>; <www.derechos.org/nizkor/italia/sent.html>. (2) S. Romano, La pace perduta, Longanesi, Milano, 2001, 173.

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