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sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl....

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13
sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl. conf.); ric. De Lorenzo. Dichiara inammissibile ricorso straordinario per errore di fatto avverso Cass. 14 giugno 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 535/536-557/558 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196868 . Accessed: 28/06/2014 19:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 19:17:56 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl. conf.); ric. De Lorenzo. Dichiara inammissibile ricorso straordinario per errore

sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl.conf.); ric. De Lorenzo. Dichiara inammissibile ricorso straordinario per errore di fattoavverso Cass. 14 giugno 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 535/536-557/558Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196868 .

Accessed: 28/06/2014 19:17

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PARTE SECONDA

svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale».

In definitiva, quindi, il contenuto fortemente riduttivo della

previsione normativa espressa con l'art. 45 c.p.p. non è sovrap

ponibile all'area del «legittimo sospetto», e, d'altronde, la cor

retta applicazione di quella norma ha reso manifesta, non solo la

disarmonia con la legge delega, ma anche la lacuna normativa

rispetto a tutte le possibili cause che possono porre in pericolo

l'imparzialità del giudice o la libertà di determinazione delle

parti e dei testimoni.

Né tale lacuna può essere colmata in questa sede dilatando la

potenzialità interpretativa dell'art. 45, perché ciò equivarrebbe disattendere il contenuto della norma, negare valenza preclusiva ai presupposti tassativamente fissati e, quindi, sconfinare, come

si è già avuto occasione di rilevare, oltre il punto critico delle

possibili interpretazioni adeguatici. 11. - La. sollevata questione di legittimità costituzionale è

certamente rilevante.

È da premettere che gli imputati, specialmente il Berlusconi e

il Previti, nelle loro richieste di rimessione hanno ravvisato la

«grave situazione locale tale da turbare lo svolgimento del pro cesso e da pregiudicare la libertà di determinazione delle perso ne che partecipano al processo» in una nutrita serie di fatti, ai

fini dell'accertamento della sussistenza di un legittimo sospetto

sull'imparzialità del giudice e sulla libera determinazione delle

parti e dei testimoni nei processi in corso presso il Tribunale di

Milano.

Secondo i richiedenti, il primo, e il più significativo, di questi fatti è stato l'essersi trasformata la procura della repubblica di

Milano in un vero e proprio organismo politico «tale da condi

zionare, in certi momenti drammatici, le stesse istituzioni re

pubblicane», come si legge nel ricorso del Previti.

Procura che, oltre a consentire continue propalazioni concer

nenti, in molti casi, perfino notizie coperte dal segreto investi

gativo, ha rilasciato, dal dicembre 1993 al gennaio 2002, in par ticolare con il dr. Borrelli, capo della stessa, non poche dichia

razioni nei confronti e, spesso, contro gli imputati Berlusconi e

Previti. Quelle dichiarazioni e le successive iniziative assunte dal dr.

Borrelli nell'ottobre 2001 — iniziative che avevano coinvolto

magistrati della procura e giudici per «studiare una strategia contro gli imputati Berlusconi e Previti» — sono state, poi, il

segno della politicizzazione della magistratura milanese.

Le dichiarazioni, culminate nel discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario del 12 gennaio 2002, tenuto dal dr. Bor

relli nella sua qualità di procuratore generale presso la Corte

d'appello di Milano, sono state, inoltre, accompagnate da un'in

sistente compagna di stampa e da numerose manifestazioni di

piazza, quali la manifestazione organizzata al «Palavobis» il 23

febbraio 2002 e il «girotondo» intorno agli uffici giudiziari di Milano il 26 gennaio 2002, nel corso delle quali migliaia di per sone hanno inveito «con accenti durissimi, contro il presidente del consiglio in carica, in nome della parola d'ordine 'resistere,

resistere, resistere', lanciata dal dr. Borrelli nel discorso inaugu rale dell'anno giudiziario 2002».

Hanno assunto, infine, il valore di eloquente sintomo del pe ricolo della non imparzialità e della mancanza di serenità dei

giudici non pochi provvedimenti contra legem presi dai due

colleghi. 12. - Ebbene, i difensori, nel proporre la questione di legitti

mità costituzionale, hanno osservato che, ove non dovesse rav

visarsi il pericolo concreto di quella coartazione fisica o psichi ca, preclusiva di ogni scelta diversa dalla parzialità o dalla man

canza di serenità, nella quale consiste il pregiudizio della «li

bertà di determinazione delle persone che partecipano al proces so», la grave situazione locale, denunciata dagli imputati, giusti ficherebbe, quanto meno, il ragionevole dubbio, il «legittimo

sospetto», che il giudice possa non essere imparziale e sereno e

che possano non essere serene le altre persone che partecipano al processo, secondo il significato che la dottrina e la giurispru denza attribuiscono a questa più ampia formula ed è questa ine

quivoca prospettazione dei difensori che autorizza, senza ombra di dubbio, il giudizio di rilevanza della questione.

Se, infatti, dall'esame degli atti, allegati alle richieste di ri messione, dovesse emergere la grave situazione denunciata e se si dovesse ritenere che questa situazione, pur se non ha pregiu dicato, ovvero se non pregiudica, la libertà di determinazione

Il Foro Italiano — 2002.

del giudice e/o delle parti, così come questo pregiudizio viene e

deve essere inteso, alla luce della corretta interpretazione del

l'art. 45 c.p.p., è tale, però, da ingenerare almeno il forte so

spetto, nel senso attribuito al termine dalla dottrina e dalla giuris

prudenza, della non imparzialità del giudice o della non sere

nità delle persone che partecipano al processo, queste sezioni

unite non sarebbero in grado di decidere, sulla base della nor

mativa vigente, non consentendo il testo del codice perché privo del riferimento, pur previsto dalla legge delega, al «legittimo

sospetto» e dovrebbero limitarsi al rigetto delle richieste di ri

messione.

13. - Ciò premesso, disposta la riunione dei procedimenti, va

dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 c.p.p. in riferimento al

l'art. 2, n. 17,1. delega 16 febbraio 1987 n. 81, nella parte in cui

non prevede tra le cause di rimessione il «legittimo sospetto»; va disposta la sospensione del procedimento e va rigettata la ri

chiesta di sospensione dei processi non sussistendone i presup

posti, essendosi queste sezioni unite limitate a prendere atto

della prospettazione dei difensori prescindendo da ogni valuta

zione critica della denunciata situazione locale.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27

marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani

(conci, conf.); ric. De Lorenzo. Dichiara inammissibile ricor

so straordinario per errore di fatto avverso Cass. 14 giugno 2001.

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Decisioni impugnabili (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, interventi legislativi in

materia di tutela della sicurezza dei cittadini, art. 6). Cassazione penale

— Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica zione (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Errore di fatto — Omesso esame di un

motivo di ricorso per cassazione — Condizioni — Limiti

(Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6). Cassazione penale

— Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica bilità (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Inammissibilità pronunciata in esito

all'udienza — Forma della decisione — Sentenza (Cod.

proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

In tema di correzione dell 'errore di fatto, poiché la relativa ri

chiesta è ammessa solo a favore del condannato e l'art. 625

bis c.p.p. ha natura di norma eccezionale, che deroga al prin

cipio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas

sazione, possono costituire oggetto dell 'impugnazione straor

dinaria esclusivamente quei provvedimenti della Corte di cas

sazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e

non anche le decisioni emesse ali 'interno di procedimenti in

cidentali. (1)

(1-13) Le pronunce in rassegna — che si riportano, nelle parti in di

ritto, per intero, allo scopo di consentire le opportune letture coordinate

degli enunciati di principio e delle correlative fattispecie giudiziarie —

affrontano e risolvono un complesso di nodi problematici di primario rilievo concernenti l'inedito congegno del ricorso straordinario per er rore materiale o di fatto previsto dall'art. 625 bis c.p.p., interpolato dal l'art. 6, 6° comma, I. 26 marzo 2001 n. 128 (che il gergo ha, sin dall'i

nizio, battezzato come «pacchetto sicurezza»). Sull'istituto, cfr., fra gli altri, Bruno, Innovazioni e modifiche al giudizio di cassazione, in Le

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GIURISPRUDENZA PENALE

Sono estranei all'ambilo di applicazione del ricorso straordi

nario per errore materiale o di fatto gli errori di interpreta zione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la

supposta esistenza delle norme stesse o / 'attribuzione ad esse

di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indi rizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi

far valere — anche se risoltisi in travisamento del fatto —

soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordina

rie. (2) L'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà

luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625 bis

c.p.p. né determina incompletezza della motivazione della

sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il

motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso

perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della

motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e

giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza

medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assor

bite dall'esame di altro motivo preso in considerazione; l'o

messo esame di un motivo di ricorso per cassazione è, invece, riconducibile alla figura dell 'errore di fatto quando sia dipe so da vera e propria svista materiale, cioè da una disatten

zione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'er

ronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui pre senza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base

al semplice controllo del contesto del ricorso. (3) L 'operatività del ricorso straordinario non può essere limitata

alle decisioni relative all'accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall 'effetti va portata della norma, in quanto l'errore percettivo può ca

dere su qualsiasi dato fattuale. (4) In tema di procedimento per la correzione dell'errore di fatto,

ove il ricorso straordinario sia dichiarato inammissibile in

esito ali 'udienza la relativa pronuncia assume la forma della

sentenza, atteso che l'art. 625 bis, 4° comma, c.p.p. impone l'adozione dell'ordinanza nei soli casi in cui l'inammissibi

lità sia dichiarata de plano, senza l'instaurazione, del con

traddittorio, e che, al di fuori dei casi previsti da specifiche

disposizioni di legge, la sentenza individua la forma tipica delle decisioni della Corte di cassazione, siano esse adottate

nell'udienza pubblica o in quella camerale, partecipata e

non. (5)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27

marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani

(conci, conf.); ric. Basile. Dichiara inammissibile ricorso

straordinario per errore di fatto avverso Cass. 11 ottobre

2001.

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Decisioni impugnabili (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica zione (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Errore di fatto — Omesso esame di un

motivo di ricorso per cassazione — Condizioni — Limiti

(Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6). Cassazione penale

— Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica bilità (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Inammissibilità pronunciata in esito

all'udienza — Forma della decisione — Sentenza (Cod.

proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

nuove norme sulla tutela della sicurezza dei cittadini a cura di Span

gher, Milano, 2001, 111 ss.; G. Conti, Le nuove norme sul giudizio di

cassazione, in Processo penale: nuove norme sulla sicurezza dei citta dini a cura di Gaeta, Padova, 2001, 196 ss.; Fumu, Commento all'art. 6 I. 26 marzo 2001 n. 128, in Legislazione pen., 2002, 410 ss.; Iadecola,

Il Foro Italiano — 2002.

In tema di correzione dell 'errore di fatto, poiché la relativa ri

chiesta è ammessa solo a favore del condannato e l'art. 625

bis c.p.p. ha natura di norma eccezionale, che deroga al prin

cipio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas

sazione, possono costituire oggetto dell 'impugnazione straor

dinaria esclusivamente quei provvedimenti della Corte di cas sazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e

non anche le decisioni emesse ali 'interno di procedimenti in

cidentali. (6) Sono estranei all'ambito di applicazione del ricorso straordi

nario per errore materiale o di fatto gli errori di interpreta zione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la

supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse

di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indi

rizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi

far valere — anche se risoltisi in travisamento del fatto —

soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordina

rie. (7) L'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà

luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625 bis

c.p.p. né determina incompletezza della motivazione della

sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il

motivo proposto debba considerarsi implicitamente disùtteso

perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della

motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e

giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza

medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assor

bite dall'esame di altro motivo preso in considerazione; l'o

messo esame di un motivo di ricorso per cassazione è, invece, riconducibile alla figura dell 'errore di fatto quandg sia dipe so da vera e propria svista materiale, cioè da una disatten

zione dì ordine meramente percettivo che abbia causato l'er

ronea supposizione dell 'inesistenza della censura, la cui pre senza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base

al semplice controllo del contesto del ricorso. (8)

L'operatività del ricorso straordinario non può essere limitata

alle decisioni relative all'accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall'effetti va portata della norma, in quanto l'errore percettivo può ca

dere su qualsiasi dato fattuale. (9) In tema di procedimento per la correzione dell'errore di fatto,

ove il ricorso straordinario sia dichiarato inammissibile in

esito ali 'udienza la relativa pronuncia assume la forma della

sentenza, atteso che l'art. 625 bis, 4° comma, c.p.p. impone l'adozione dell'ordinanza nei soli casi in cui l'inammissibi

lità sia dichiarata de plano, senza l'instaurazione del con

traddittorio, e che, al di fuori dei casi previsti da specifiche

disposizioni di legge, la sentenza individua la forma tipica delle decisioni della Corte di cassazione, siano esse adottate

nell'udienza pubblica o in quella camerale, partecipata e

non. (10)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani

(conci, conf.); ric. Chiatellino. Dichiara inammissibile ricorso

straordinario per errore di fatto avverso Cass. 23 novembre

2000.

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Nuova normativa -— Omessa previsio ne di norme transitorie —

Proponibilità del ricorso

straordinario — Esclusione — Correzione di errori mate

riali — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 130, 625 bis', 1. 26

marzo 2001 n. 128, art. 6).

E inammissibile, in assenza di disposizioni transitorie, il ricorso

straordinario per errore di fatto proposto avverso provvedi menti della Corte di cassazione depositati prima della data di

entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p., introdotto dall'art.

6, 6° comma, l. 26 marzo 2001 n. 128. (11)

Il giudizio in Cassazione, in Dir. pen. e proc., 2001, 951 ss.; Riviezzo, Pacchetto sicurezza, Milano, 2001, 81 ss.; Santoro, Cassazione: sezio ne «ad hoc» per i ricorsi inammissibili, in Guida al dir., 2001, fase. 16,

spec. 52 ss. Per una prima lettura dei principi enunciati dalle decisioni

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PARTE SECONDA

Non è consentito il ricorso alla procedura dì correzione del

l'errore materiale, prevista dall'art. 130 c.p.p., per porre ri

medio ad errori di fatto contenuti in provvedimenti della

Corte di cassazione non sottoponibili, per ragioni di diritto

intertemporale, a ricorso straordinario per errore di fatto a

norma dell'art. 625 bis c.p.p. (12)

IV

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27

marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani

(conci, conf.); ric. Degraft. Dichiara inammissibile ricorso

straordinario per errore di fatto avverso Cass. 25 gennaio 2001.

Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma

teriale o di fatto — Nuova normativa — Omessa previsio ne di norme transitorie —

Proponibilità del ricorso

straordinario — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1.

26 marzo 2001 n. 128, art. 6).

È inammissibile, in assenza di disposizioni transitorie, il ricorso

straordinario per errore di fatto proposto avverso provvedi menti della Corte di cassazione depositati prima della data di

entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p., introdotto dall'art.

6, 6° comma, l. 26 marzo 2001 n. 128. (13)

I

Osserva. — (Omissis). 4. - L'art. 552 c.p.p. del 1930 dispo neva che «tutti i provvedimenti della Corte di cassazione in

materia penale, anche se emessi dalle singole sezioni, sono

inoppugnabili» e la Corte costituzionale aveva riconosciuto la

conformità della norma ai principi della Carta fondamentale, chiarendo che l'inderogabilità della regola era giustificata dal

l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche controverse, dalla quale consegue che la stessa funzione della giurisdizione

postula un accertamento irrevocabile che chiuda definitivamente

il processo penale, «il cui momento terminale, ove siano esperiti i normali mezzi di impugnazione, è costituito dal giudizio e

dalla pronunzia della Corte di cassazione che, per il ruolo di su

premo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costi

tuzione (art. Ili, 2° comma), non può soffrire ulteriore sinda

cato ad opera di un giudice diverso» (Corte cost. 4 febbraio

1982, n. 21, Foro it., 1982,1, 626). Pur non figurando nel codice vigente una disposizione che

sancisca esplicitamente la regola dell'inoppugnabilità delle de

cisioni della Corte di cassazione, non è stata mai posta in dubbio

la persistente operatività del principio, considerato quale un po stulato del sistema processuale funzionalmente connaturato al

l'esercizio della giurisdizione. E proprio con riferimento al co dice vigente è stato precisato che «il principio della irrevocabi lità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di cassazione, oltre ad essere rispondente al fine di evitare la perpetuazione dei

giudizi e di conseguire un accertamento definitivo — il che co

stituisce, del resto, lo scopo stesso dell'attività giurisdizionale e realizza l'interesse fondamentale dell'ordinamento alla certezza

delle situazioni giuridiche — è pienamente conforme alla fun

zione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima

Corte di cassazione dall'art. 111 Cost.» (Corte cost. 5 luglio 1995, n. 294, id., Rep. 1995, voce Cassazione penale, n. 54). Mette conto anche di osservare che la Corte costituzionale ha

costantemente lasciato cadere le ripetute sollecitazioni, dettate

da evidenti esigenze di giustizia sostanziale, tendenti a provoca re una pronuncia additiva che aprisse un varco nel regime di as

soluta intangibilità delle decisioni della Cassazione e consentis

se di rimediare agli errori in esse contenuti, ritenendo che l'in

troduzione di un rimedio straordinario implichi una pluralità di

soluzioni e di modalità attuative, onde non può che costituire il

risultato di scelte discrezionali riservate al legislatore (sentenze

in epigrafe, con peculiare riguardo all'ambito applicativo dell'errore di fatto e ai profili procedimentali, cfr. Leo, Le sezioni unite precisano i

confini tra errore di fatto e materiale, id., 2002, fase. 26, 60 ss., e Ma

ri, Quando c 'è errore di fatto in Cassazione, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 20, 18 s.

Il Foro Italiano — 2002.

21/82, cit. e 294/95, cit.). Peraltro, il giudice delle leggi ha te nuto fermo il rifiuto di un intervento additivo, analogo a quello

compiuto per il processo civile con le sentenze n. 17 del 1986

(id., 1986, I, 313) e n. 36 del 1991 (id, 1991, I, 1033), con ri guardo agli errori di fatto, di tipo percettivo, relativi alla lettura

degli atti interni al giudizio di legittimità, precisando, tuttavia, che simili errori compromettono indebitamente l'effettività del

giudizio di cassazione e devono avere un necessario rimedio, che deve essere individuato dalla stessa Corte di cassazione al

l'interno dell'ordinamento processuale nell'esercizio della fun

zione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata (Corte cost. 28 luglio 2000, n. 395, id., Rep. 2000, voce Revisione pe

nale, n. 7). L'immanenza e la centralità del principio nel sistema proces

suale, in funzione di strumento di chiusura dello stesso, sono

state costantemente sottolineate dalla giurisprudenza di legitti mità rilevando che la giurisdizione, per sua intrinseca essenza, è

retta dalla «necessità di fissare definitivamente l'accertamento

giudiziale e di cristallizzare su determinati risultati la ricerca

della verità compiuta nel processo, nella consapevolezza che, nelle vicende umane, il vero ed il giusto possono essere rimessi

sempre in discussione e che esiste un momento in cui la dinami

ca processuale deve comunque arrestarsi per cedere il posto al

l'esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizio nali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali» (Cass., sez. I, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, id., 1998, II,

729). E proprio nel valore della certezza è stato individuato il

fondamento di vari istituti, che nell'inoppugnabilità dei provve dimenti della Corte di cassazione trovano specifica base giusti ficativa. In tale precisa prospettiva ricostruttiva del sistema delle

impugnazioni, è stato stabilito — con riferimento al delicato

problema del giudicato progressivo — che i limiti ai quali è

vincolato il giudice di rinvio «sono tutti riconducibili alla rile

vanza ed all'efficacia della sentenza pronunciata dalla Corte di

cassazione» e che «gli effetti preclusivi che impediscono al giu dice di rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a

quelli che conseguono alla delimitazione del contenuto dei mo

tivi di impugnazione: essi, infatti, sono diretta ed ineludibile conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di

cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annul

late ed a queste non necessariamente connesse» (Cass., sez. un., 23 novembre 1990, Agnese e altri, id., 1991, II, 376; 19 gennaio 2000, Tuzzolino, id., Rep. 2000, voce Cosa giudicata penale, n.

5). E, nella stessa ottica della definitività e della immodificabi lità dei provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione, sono

stati tracciati i rigorosi, tassativi, limiti di esperibilità della pro cedura di correzione degli errori materiali prevista dall'art. 130

c.p.p., nella quale è del tutto assente la funzione sostitutiva pro

pria dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, Armati, id., Rep. 1997, voce Cassazio

ne penale, nn. 56, 57; 18 maggio 1994, Armati, id., 1994, II, 617).

5. - L'assolutezza del principio dell'irrevocabilità delle deci sioni della Corte di cassazione ha subito indubbiamente una de

roga a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6, 6° comma, 1. 26

marzo 2001 n. 128, che, inserendo nel codice l'art. 625 bis, ha

introdotto l'istituto del ricorso straordinario, ammettendo, a fa

vore del condannato, la richiesta di correzione degli errori mate

riali o di fatto contenuti nei provvedimenti della corte di legit timità.

Deve, anzitutto, premettersi che è senz'altro condivisibile

l'opinione unanimamente espressa nei primi commenti delle di

sposizioni dell'art. 625 bis c.p.p., secondo cui nella previsione del ricorso straordinario sono accomunate due situazioni pro cessuali radicalmente diverse, alle quali corrispondono rimedi

nettamente differenti per struttura e per finalità.

La figura dell'errore materiale coincide, in tutto e per tutto, con quella che forma oggetto della disciplina dettata dall'art.

130 c.p.p., da sempre ritenuta pacificamente applicabile anche ai provvedimenti della Corte di cassazione penale. Tale tipo di

errore, comprensivo sia degli errori in senso stretto che delle

omissioni, consiste, nella sostanza, nel frutto di una svista, di un

lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giu dice e materiale rappresentazione grafica della stessa e la dif

formità tra il pensiero del decidente e l'estrinsecazione formale

dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e

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GIURISPRUDENZA PENALE

valutativo da cui scaturisce la decisione: questa, cioè, corri

sponde perfettamente a quanto rappresenta il contenuto della

deliberazione, dato che il vizio si risolve nella inadeguatezza della forma espressiva rispetto alla volontà effettiva. Il che

spiega la ragione per cui la correzione dell'errore materiale ha

una funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica

volta ad «armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione

con il suo reale contenuto» (Cass., sez. un., 18 maggio 1994,

Armati, cit.). La correzione dell'errore materiale riguarda, quin di, la sola documentazione grafica quale mezzo di manifestazio

ne della volontà giudiziale, regolarmente formatasi senza l'in

fluenza perturbatrice di quell'errore, tant'è che l'applicazione dell'art. 130 c.p.p. è stata considerata del tutto compatibile col

principio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas sazione, proprio perché rigorosamente circoscritta alla categoria

degli errori materiali che non determinano nullità e sono elimi

nabili senza una modificazione essenziale del provvedimento. 6. - Del tutto differente è la natura dell'errore di fatto. Questo

consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un

equivoco, nel quale la Corte di cassazione è incorsa nella lettura

degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato dall'influen za esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla

inesatta percezione delle risultanze processuali, il cui svisa

mento conduce ad una decisione diversa da quella che sarebbe

adottata senza l'errore di fatto.

in mancanza di una definizione nell'art. 625 bis c.p.p., nelle

prime pronunce di questa corte, al fine di delimitare la categoria dell'errore di fatto previsto in tale disposizione, si è ritenuto di

potere fare utile riferimento alla nozione dell'errore di fatto re

vocatorio delineata dall'art. 395, n. 4, c.p.c. ed espressamente richiamata dall'art. 391 bis c.p.c., con cui, dopo le sentenze

della Corte costituzionale n. 17 del 1986, cit., e n. 36 del 1991,

cit., è stato regolato il ricorso per la correzione degli errori ma

teriali e per la revocazione delle sentenze della Corte di cassa

zione civile. Alla luce del modello dell'errore revocatorio, è

stato, pertanto, precisato che si ha errore di fatto, ai sensi e per

gli effetti dell'art. 625 bis c.p.p., quando la decisione è fondata

sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente

esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la

cui verità è positivamente stabilita (Cass., sez. fer., 7 settembre

2001, Schiavone; sez. VI 30 ottobre 2001, Botteselle, id., Rep.

2001, voce cit., n. 58; sez. I 13 novembre 2001, Salerno). In una

siffatta ottica, in tutte le sentenze è stato sottolineato che l'erro

re di fatto postula inderogabilmente che lo sviamento della vo

lontà del giudice sia non solo decisivo, per essere stato determi

nante nella scelta della soluzione adottata, ma anche di oggetti va ed immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti

processuali deve fare trasparire, in modo diretto ed evidente

(vale a dire, ictu oculi), che la decisione è stata condizionata

dall'inesatta percezione e non dall'errata valutazione o dal non

corretto apprezzamento di quegli atti.

Pertanto, l'errore di fatto deve essere inteso in senso stretto, nella sua dimensione meramente percettiva, essendo i suoi con

fini rigidamente segnati dalla circostanza che in esso fa assoluto

difetto qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la Corte di cassazione è chiamata a pronunciare. Deve trarsene la

conseguenza che, qualora la causa dell'errore non sia identifica

bile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e presenti un qualsiasi contenuto valutativo, la qualificazione

appropriata è quella corrispondente all'errore di giudizio, non

all'errore di fatto, onde deve senz'altro escludersi la proponibi lità del ricorso straordinario.

7. - Le argomentazioni sin qui sviluppate rivelano, in modo

non equivoco, che l'art. 625 bis c.p.p. regola due distinti istituti:

l'uno è costituito dal ricorso per la correzione degli errori mate

riali presenti nel testo dei provvedimenti della Corte di cassa

zione; l'altro corrisponde al ricorso per l'eliminazione degli er

rori di fatto che hanno influito sul processo formativo della vo

lontà ed ha la finalità d rimuovere la decisione e di sostituirla

con quella che sarebbe stata deliberata senza quegli errori. Il ri

corso straordinario per errore di fatto ha, dunque, la funzione ti

pica di una impugnazione in senso tecnico, come è confermato

dalla circostanza che il 4° comma dell'art. 625 bis, nel disporre che la corte, «se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore», prefigura

— all'esito della

procedura camerale partecipata di cui all'art. 127 c.p.p. — ri

medi flessibili ed adattabili alle diverse situazioni, che permet

II Foro Italiano — 2002.

tono l'immediata pronuncia della nuova decisione, in luogo di

quella viziata dall'errore di fatto, ovvero, se necessario, la sola

caducazione di questa e la celebrazione del nuovo giudizio nelle

forme dell'udienza pubblica o della camera di consiglio. Per

tanto, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso straordinario per errore di fatto, il momento rescindente e quello rescissorio, pur restando concettualmente sempre distinguibili, possono essere

unificati o separati, secondo il prudente apprezzamento della

corte, in relazione alle peculiari connotazioni delle singole si

tuazioni processuali: in ogni caso, benché l'art. 625 bis si limiti

a parlare di «correzione», l'accoglimento del ricorso comporta una nuova decisione che sostituisce quella precedente.

Dalle precedenti riflessioni si evince che soltanto il ricorso

straordinario per errore di fatto ha natura di vero e proprio mez

zo di impugnazione, mentre il ricorso relativo all'errore mate.

riale rappresenta null'altro che uno strumento di correzione,

speciale rispetto a quella prevista dall'art. 130 c.p.p., senza al

cuna incidenza sul contenuto della decisione e con funzione di

mera rettifica della forma espressiva della volontà del giudice. La riprova più convincente può trarsi dalla stessa disciplina del

l'art. 625 bis c.p.p., che, pur prevedendo l'identico termine di

centottanta giorni per il ricorso nei riguardi dell'una e dell'altra

specie di errore, specifica, al 3° comma, che l'errore materiale

può essere rilevato, d'ufficio, in ogni momento e, al 4° comma,

che è inammissibile il ricorso per errore di fatto proposto dopo la scadenza del termine di centottanta giorni, confermando così

che soltanto quest'ultimo costituisce mezzo di impugnazione straordinaria dei provvedimenti della Corte di cassazione, nono

stante la loro definitività ed esecutività.

La ragione della previsione di una medesima normativa per due tipi di errore così diversi deve plausibilmente individuarsi

nel fatto che l'art. 625 bis c.p.p. è stato modellato sull'analoga

disciplina contenuta nell'art. 391 bis c.p.c., all'interno della

quale l'errore materiale è regolato accanto all'errore di fatto. La

consapevolezza di tale circostanza, di ordine estrinseco e con

tingente, deve contribuire a non offuscare la chiarezza concet

tuale indispensabile per la corretta differenziazione delle due

categorie di errore e dei distinti rimedi azionabili: e ciò è tanto

più vero se si tengono presenti le puntuali considerazioni — ri

ferite all'art. 391 bis c.p.c. ma sicuramente estensibili all'art.

625 bis c.p.p. — contenute nella sentenza della Corte costitu

zionale, che, nel dichiarare l'incostituzionalità della disposizio ne in cui è previsto un termine per la proposizione dell'istanza

di correzione degli errori materiali delle sentenze della Corte di

cassazione, ha sottolineato la diversità dell'errore materiale dal

l'errore di fatto, precisando che per il primo, e solo per esso,

l'esistenza di un termine di decadenza contrasta col canone di

ragionevolezza (sentenza n. 119 del 18 aprile 1996, id., 1996,1,

2321). 8. - I risultati dell'indagine permettono di fissare un punto di

primaria importanza sul piano ermeneutico, dal momento che

essi convergono univocamente nel porre in luce che il ricorso

per errore di fatto, quale mezzo straordinario di impugnazione,

rappresenta una evidente eccezione ad uno dei principi fonda

mentali dell'ordinamento processuale: quello della inoppugna bilità delle decisioni della Corte di cassazione, che, pur avendo

perduto il carattere della assolutezza per effetto, appunto, del

l'art. 625 bis c.p.p., resta uno dei cardini del sistema delle im

pugnazioni e della formazione del giudicato. Deve inferirsene

che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario per erro

re di fatto non sono suscettibili di applicazione analogica e,

dunque, non si applicano oltre i casi in esse considerati, in forza

del divieto sancito dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in

generale, proprio perché costituiscono deroga alla regola del

l'intangibilità dei provvedimenti del giudice di legittimità. Il carattere tassativo della normativa dettata dall'art. 625 bis

rende evidente che non può condividersi la pronuncia con cui è

stato ritenuto che il ricorso straordinario per errore di fatto sia

proponibile anche contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali de liberiate (Cass., sez. fer., 7 settembre 2001,

Schiavone, cit.). Invero, se si considera che l'art. 625 bis am

mette il ricorso soltanto «a favore del condannato» (1° comma)

e limita la legittimazione all'impugnazione straordinaria al pro

curatore generale e al condannato (2° comma), risulta palese che

il legislatore ha assunto come modello il contenuto della disci

plina della revisione (cfr. art. 629 e 632 c.p.p.), anch'essa cer

tamente di carattere eccezionale (Cass., sez. I, 21 settembre

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PARTE SECONDA

1999, Ilacqua, id., Rep. 2000, voce Revisione penale, n. 20; sez. II 2 dicembre 1998, Lucidi, id., Rep. 1999, voce cit., n. 21). Ne

segue che oggetto del ricorso straordinario possono essere sol

tanto le sentenze di condanna e che l'estensione a decisioni

emesse all'interno di procedimenti incidentali trova insuperabile

preclusione nel divieto dell'interpretazione analogica, come è

stato, del resto, esattamente ritenuto nella pronuncia con cui è

stato considerato inammissibile il ricorso per errore di fatto

contro la decisione adottata nel procedimento di rimessione del

processo a norma dell'art. 45 c.p.p. (Cass., sez. I, 7 febbraio

2002, Pili). 9. - Al fine di chiarire l'effettivo ambito applicativo della di

sciplina del ricorso straordinario per errore di fatto, occorre pre cisare che sono certamente estranei al campo di applicazione dell'art. 625 bis c.p.p. gli errori di interpretazione di norme giu ridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza

delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta por tata, anche quando siano dovuti all'ignoranza di indirizzi giuris

prudenziali consolidati. Ne consegue che 1 'error iuris, al pari dell'errore di giudizio o valutativo, non può mai essere fatto

valere a mezzo del ricorso straordinario, dato che, rispetto ad

esso, resta intatto il rigore del principio dell'intangibilità delle

decisioni della Corte di cassazione.

Deve osservarsi, altresì, che, nell'intento di definire la nozio

ne di errore di fatto, in una recente pronuncia di questa corte è

stato stabilito che l'art. 625 bis c.p.p. resta inapplicabile in caso

di omesso esame di un motivo di ricorso, sul rilievo che un tale

vizio dà origine ad un difetto di motivazione che non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale

(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, cit.). L'indirizzo interpretativo non può essere accolto nella sua

portata generalizzante e richiede le necessarie precisazioni ed i

dovuti approfondimenti. Preliminarmente va precisato che la mancanza della presa in

considerazione di un motivo di ricorso non dà causa ad un erro

re di fatto, né determina incompletezza della motivazione della

sentenza, allorquando, pur in mancanza di espressa disamina, la censura debba considerarsi implicitamente disattesa perché in

compatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che

compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima: dital

ché, in una simile evenienza, non può propriamente parlarsi di

omessa pronuncia su un motivo di ricorso né, ovviamente, di

decisione viziata da errore di fatto. Va rilevato, inoltre, che non

è configurabile l'errore di fatto neppure quando la corte, dopo avere esaminato un motivo di ricorso, abbia ritenuto assorbite le

altre censure, per la ragione che, in tale ipotesi, dette censure

sono state comunque valutate e se ne è reputata superflua la

trattazione per effetto dei risultati della disamina del motivo

preso in considerazione, giudicato, a ragione o a torto, dotato di

valore assorbente, sul piano logico-giuridico, rispetto a quello il cui esame è stato reputato ultroneo.

L'omesso esame di un motivo di ricorso è riconducibile, in

vece, nella figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di or dine meramente percettivo, che abbia causato l'erronea supposi zione dell'inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al

semplice controllo del contenuto del ricorso. Deve chiarirsi, tuttavia, che la sola possibilità di qualificare la predetta svista come errore di fatto non può giustificare, di per sé, l'accogli mento del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. in mancan za di una situazione in cui non sia verificabile un rapporto di de rivazione causale necessaria della decisione adottata dall'omes so esame del motivo di ricorso, nel senso che il risultato della deliberazione della Corte di cassazione non sarebbe cambiato, anche se fosse stata sottoposta a vaglio la censura dedotta dal ri corrente. La soluzione è imposta dall'inderogabile carattere de cisivo dell'errore di fatto, dovendo questo necessariamente tra

dursi, per legittimare il ricorso straordinario, nell'erronea sup posizione di un fatto realmente influente sull'esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provve dimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità. Per tanto, dalla decisività dell'errore di fatto deve trarsi il corollario che l'errore stesso resta irrilevante, agli effetti della disposizio ne di cui all'art. 625 bis, qualora i motivi di ricorso risultino in

fondati, ovvero inconferenti rispetto al tema di indagine e non

Il Foro Italiano — 2002.

dedotti con l'appello. E, con particolare riferimento all'omesso

esame di motivi infondati, in modo manifesto o non, è opportu no sottolineare che l'esclusione del ricorso straordinario trova

convincente base giustificativa non solo nell'indicato principio di decisività dell'errore, ma anche in evidenti esigenze di eco

nomia processuale e nella irragionevolezza di una conclusione

interpretativa, che, in caso di mancato esame di motivi privi di

fondatezza, rendesse necessaria la rescissione della precedente decisione del giudice di legittimità e la sostituzione della stessa

con una nuova decisione di contenuto perfettamente identico.

E stato sostenuto, da una parte della dottrina, che l'operatività del ricorso straordinario è limitata alle decisioni relative alle

questioni processuali, per le quali la Corte di cassazione è giu dice anche del fatto, sicché l'erronea supposizione, per essere

rilevante, dovrebbe inerire ad un error in procedendo dovuto ad

un difetto di percezione degli atti che formano oggetto di esame

nel giudizio di legittimità. In altri termini, dovrebbe trattarsi di errori denunciabili ai sensi dell'art. 606, 1° comma, lett. c),

c.p.p., rispetto ai quali «la corte di legittimità 'è giudice anche

del fatto' e, per risolvere la relativa questione, può — talora de

ve necessariamente — accedere all'esame dei relativi atti pro cessuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del

provvedimento impugnato ex art. 606, 1° comma, lett. e), sol

tanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione» (Cass., sez. un., 31 ottobre 2001, Policastro

e altri, id., 2002, II, 170). Una simile interpretazione restrittiva dell'ambito applicativo

dell'errore di fatto non è giustificata dall'effettiva portata del

l'art. 625 bis c.p.p. Infatti, non è controvertibile che la sentenza

impugnata, sottoposta al sindacato della corte, costituisce l'og

getto del giudizio di cassazione e che l'errore percettivo può an

che cadere su un dato fattuale, nei precisi termini, ovviamente, accertati dal giudice di merito. Anche in tale situazione l'errore

non nasce dall'interpretazione di un fatto storico e dalla valuta

zione della ricostruzione compiuta dal giudice di merito, ma da

una semplice svista materiale che ha portato a supporre erro

neamente l'esistenza o l'inesistenza di un fatto, che, al contra

rio, dal testo della sentenza impugnata risulta, ictu oculi, incon

trastabilmente escluso o positivamente stabilito: sicché si verte, anche in questo caso, nella situazione tipica dell'errore di fatto

di ordine meramente percettivo, che, incidendo su uno specifico dato fattuale ed essendo privo di qualsiasi implicazione valuta

tiva, può assumere valore determinante sul contenuto della deci sione e giustificare, dunque, l'accoglimento del ricorso straor

dinario. Infine, nel definire l'intrinseca consistenza dell'errore di fat

to, deve escludersi che nell'area del ricorso straordinario possa essere ricondotto l'errore percettivo non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferi

bile alla decisione del giudice di merito, potendo, in tale ipotesi, l'errore essere fatto valere soltanto nelle forme e nei limiti delle

impugnazioni ordinarie. Pertanto, il travisamento del fatto non

può legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. quando costituisca un vizio della decisione del giudice di meri to. La soluzione contraria, prospettata in talune posizioni della

dottrina, appare assolutamente priva di plausibilità logica e si

stematica se si considera che il travisamento non è deducibile come motivo di ricorso ai sensi dell'art. 606, 1° comma, lett. e) c.p.p., se non nei rigorosi limiti tracciati dalla giurisprudenza ormai costante di questa corte (cfr. Cass., sez. un., 30 aprile 1997, Dessimone e altri, id., 1998, II, 90; 26 settembre 2001, Pi sano, id., 2002, II, 461).

10. - L'applicazione dei principi dianzi illustrati pone in luce che non è riconducibile nel campo di applicazione dell'art. 625

bis c.p.p. nessuno degli asseriti errori denunciati con il ricorso

straordinario proposto dal De Lorenzo in data 14 febbraio 2002 avverso la sentenza n. 1051 in data 14 giugno 2001 della quinta sezione penale di questa corte, depositata il 21 dicembre 2001.

Con l'impugnazione straordinaria, il ricorrente ha premesso che — in relazione all'imputazione di associazione per delin quere, estesa a tutti i componenti del Comitato interministeriale

prezzi farmaci ed aggravata, quindi, a norma dell'art. 416, 1° e 5° comma, c.p.

— la sentenza di primo grado aveva limitato il reato associativo ai soli De Lorenzo, nel ruolo di promotore, Marone e Vittoria, con esclusione dell'aggravante del numero di associati superiore a dieci e che la Corte d'appello di Napoli, in

accoglimento dell'appello del p.m., aveva condannato il De Lo

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GIURISPRUDENZA PENALE

renzo per l'associazione per delinquere doppiamente aggravata, sul presupposto che il reato associativo fosse riferibile a tutti i

membri del Cip farmaci, precisando che dovevano considerarsi

«disattesi tutti gli argomenti difensivi di segno opposto». Il ri corrente ha, poi, dedotto che la Corte di cassazione, con la pre detta sentenza n. 1051 del 14 giugno 2001, ha accolto il motivo

di ricorso riguardante l'insussistenza dell'aggravante del nume

ro degli associati, prevista dal 5° comma dell'art. 416 c.p., ed ha

pronunciato l'annullamento senza rinvio, rideterminando il

trattamento sanzionatorio mediante l'eliminazione dell'aumento

di pena stabilito dal giudice di appello per la citata aggravante. Così statuendo, però, la Corte di cassazione ha omesso di esa

minare — ad avviso del ricorrente — le doglianze mosse contro

la ritenuta configurabilità del reato associativo, limitato a tre

persone, né si è resa conto della necessità di pronunciare l'an

nullamento con rinvio, in modo da consentire al giudice di me

rito la disamina di dette doglianze e da fare accertare quale fos

se il reato più grave ai fini della continuazione.

Le deduzioni del ricorrente non integrano, in alcuno dei pro fili prospettati, l'errore di fatto nei sensi precedentemente preci sati.

In primo luogo, deve porsi in risalto che, nella sentenza n.

1051 del 14 giugno 2001 (pag. 69 ss.), la quinta sezione penale di questa corte, nell'esaminare il ventiduesimo motivo di ricor

so, ha dato atto che il ricorrente aveva contestato non solo l'ag

gravante relativa al numero delle persone, ma anche la «ipotiz zabilità oggettiva dell'associazione per delinquere» in relazione

alla «evidenziata contrapposizione tra due gruppi operativi» esi

stenti all'interno del Cip farmaci, ritenendo che «le doglianze ri

ferite ad insussistenza di associazione per delinquere ed a nega zione del ruolo di promotore risultano destituite di fondamento»

ed indicando gli elementi che comprovano l'esistenza del rap

porto associativo tra il De Lorenzo, il Marone e il Vittoria. La

motivazione della sentenza della corte di legittimità si conclude

con l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416, 5° comma,

c.p., «restando assorbito l'esame di ogni ulteriore connessa do

glianza». I precedenti rilievi rendono palese che nel caso di specie non

è configurabile un errore di fatto, di natura meramente percetti

va, che abbia fatto sorgere nella Corte di cassazione l'errata

supposizione dell'inesistenza del tema di indagine vertente sulla

configurabilità del reato associativo limitato a tre persone, in

quanto l'argomento è stato esplicitamente esaminato e deciso. Il

ricorrente può dolersi, in ipotesi, della circostanza che il Supre mo collegio avrebbe dovuto riservare al giudice di rinvio l'esa

me delle doglianze concernenti l'insussistenza del reato asso

ciativo, ristretto a tre persone, dato che esse implicavano ap

prezzamenti di fatto preclusi al giudice di legittimità. Tuttavia, è

evidente che l'eventuale superamento dei limiti propri del giu dizio di cassazione non può essere classificato all'interno della

figura dell'errore di fatto ex art. 625 bis c.p.p., dovendo comun

que escludersi che esso abbia avuto origine da un errore percet

tivo, da una svista materiale, e dovendo, semmai, considerarsi

come il risultato di un errore di giudizio, determinato dalla non

corretta applicazione delle regole giuridiche che definiscono i

poteri di cognizione della corte di legittimità. Inoltre, costituisce indubbiamente frutto di errore di diritto, e non di errore di fatto, anche la denunciata illegittimità della pronuncia di annulla

mento senza rinvio in ordine all'individuazione del reato più

grave ai fini della determinazione della pena base sulla quale

applicare gli aumenti per la continuazione ritenuta fra i reati per i quali il De Lorenzo è stato condannato: ditalché, neanche sotto

tale particolare profilo, è possibile riconoscere l'esistenza delle

ineludibili condizioni richieste per la proposizione del ricorso

straordinario.

Non sono individuabili gli estremi dell'errore di fatto neppure in riferimento alla pronuncia relativa al reato di cui al capo 42

contestato al De Lorenzo (corruzione per la ricezione della

somma di lire 60.000.000 consegnata da Humpert Bernt, presi dente della società farmaceutica Pzifer Italiana), rispetto al

quale la sentenza d'appello conterrebbe una motivazione che si

riduceva ad un mero richiamo alla motivazione riguardante l'af

fermazione di responsabilità per il reato al capo 23 (corruzione

per avere ricevuto da Giampaolo Zambeletti, titolare dell'omo

nima impresa farmaceutica, la somma di lire 50.000.000, non

ché regali per un valore di circa 400.000.000 di lire e la dispo nibilità di alcuni viaggi aerei). Ne deriva, ad avviso del ricor

II Foro Italiano — 2002.

rente, che l'annullamento senza rinvio pronunciato dalla Corte

di cassazione per il capo 23 rendeva consequenziale l'annulla

mento della sentenza d'appello per il capo 42.

In proposito deve sottolinearsi, anzitutto, che la Corte d'ap

pello di Napoli non ha motivato per relationem, in quanto nella

sentenza di secondo grado sono state sviluppate autonome e di

stinte argomentazioni relativamente all'interpretazione delle

prove dei due differenti episodi corruttivi, sulla cui base è stata

giustificata la condanna per il reato di cui al capo 23 (v. pag. 201 ss.) e per quello di cui al capo 42 (v. pag. 243 ss.). Se, poi, si tiene presente che questa corte ha annullato senza rinvio la

condanna per il capo 23 a causa della mancanza dei riscontri

esterni alle dichiarazioni accusatorie del coimputato Zambeletti

(v. pag. 64-65 della sentenza 1051/01) e ha ritenuto inammissi

bili le censure vertenti sul capo 42 perché rivolte a provocare una rivalutazione di merito (v. pag. 60 della stessa sentenza), ri

esce davvero arduo comprendere la ragione per cui dall'annul

lamento per il capo 23 avrebbe dovuto necessariamente conse

guire la caducazione della sentenza d'appello anche per il capo 42.

Mancano di pregio, altresì, le deduzioni relative alla configu rabilità di un errore di fatto in ordine all'imputazione di cui al

capo 11 (corruzione per la ricezione della somma complessiva di lire 300.000.000 dalla Inverni Della Beffa s.p.a.) in riferi mento al fatto che la sentenza d'appello aveva indicato come

presupposto il reato associativo esteso a tutti i componenti del

Cip farmaci. Sul punto la sentenza 1051/01 di questa corte ha

osservato che l'apparato motivazionale della decisione di se

condo grado «resiste ai rilievi di incoerenza e di incompletezza»

(v. pag. 57) e che «il procedimento argomentativo della senten

za impugnata non tralascia l'approfondimento di ogni rilevante

acquisizione probatoria, pervenendo alla affermazione della

colpevolezza dell'imputato con ragionamento assolutamente

immune dai vizi logici denunziati» (v. pag. 58). Deve trarsene la conseguenza che la Corte di cassazione ha indubbiamente prov veduto alla disamina del motivo di ricorso concernente il reato

di cui al capo 11 e che la relativa pronuncia non può considerar

si viziata da errore percettivo, ma, caso mai, da un errore di na

tura tipicamente valutativa.

In conclusione, il ricorso straordinario deve dichiararsi

inammissibile per la non configurabilità dell'errore di fatto, con

la precisazione che tale pronuncia deve assumere la forma della

sentenza. Deve sottolinearsi, sul punto, che il 4° comma del

l'art. 625 bis stabilisce che è pronunciata ordinanza nel caso in

cui l'inammissibilità sia dichiarata de plano, senza l'instaura

zione del contraddittorio, se il ricorso straordinario è stato pro

posto fuori dell'ipotesi prevista al 1° comma o, per l'errore di

fatto, dopo la scadenza del termine previsto al 2° comma, ovve

ro perché manifestamente infondato. La precisa delimitazione

posta dalla norma comporta che la decisione deve essere emessa

con sentenza, e non con ordinanza, nell'ipotesi in cui la dichia

razione di inammissibilità venga adottata non a seguito di deli

bazione preliminare, ma a conclusione del procedimento in ca

mera di consiglio, nel contraddittorio delle parti, dato che — al

di fuori dei casi previsti da specifiche disposizioni di legge — la sentenza corrisponde all'ordinaria forma delle decisioni della

Corte di cassazione, anche se dichiarative dell'inammissibilità

del ricorso, siano esse adottate nell'udienza pubblica o nel pro cedimento in camera di consiglio, partecipato o non partecipato.

Infine, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con

danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non emettere condanna al pagamento di

una somma a favore della cassa delle ammende, non potendosi ravvisare una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indi

cazioni della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale

(id., 2000,1, 3426), nei termini nei quali sono state applicate da

queste sezioni unite (cfr. sent. 27 giugno 2001, Cavalera, id.,

2001,11,564).

II

Osserva. — (Omissis). 3. - L'art. 552 c.p.p. del 1930 dispo neva che «tutti i provvedimenti della Corte di cassazione in

materia penale, anche se emessi dalle singole sezioni, sono

inoppugnabili» e la Corte costituzionale aveva riconosciuto la

conformità della norma ai principi della Carta fondamentale, chiarendo che l'inderogabilità della regola era giustificata dal

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PARTE SECONDA

l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche controverse, dalla quale consegue che la stessa funzione della giurisdizione

postula un accertamento irrevocabile che chiuda definitivamente

il processo penale, «il cui momento terminale, ove siano esperiti i normali mezzi di impugnazione, è costituito dal giudizio e

dalla pronunzia della Corte di cassazione che, per il ruolo di su

premo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costi

tuzione (art. Ili, 2° comma), non può soffrire ulteriore sinda

cato ad opera di un giudice diverso» (Corte cost. 4 febbraio

1982, n. 21, Foro it., 1982,1, 626). Pur non figurando nel codice vigente una disposizione che

sancisca esplicitamente la regola dell'inoppugnabilità delle de

cisioni della Corte di cassazione, non è stata mai posta in dubbio

la persistente operatività del principio, considerato quale un po stulato del sistema processuale funzionalmente connaturato al

l'esercizio della giurisdizione. E proprio con riferimento al co

dice vigente è stato precisato che «il principio della irrevocabi

lità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di cassazione, oltre ad essere rispondente al fine di evitare la perpetuazione dei

giudizi e di conseguire un accertamento definitivo — il che co

stituisce, del resto, lo scopo stesso dell'attività giurisdizionale e

realizza l'interesse fondamentale dell'ordinamento alla certezza

delle situazioni giuridiche — è pienamente conforme alla fun

zione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima Corte di cassazione dall'art. 111 Cost.» (Corte cost. 5 luglio 1995, n. 294, id., Rep. 1995, voce Cassazione penale, n. 54). Mette conto anche di osservare che la Corte costituzionale ha

costantemente lasciato cadere le ripetute sollecitazioni, dettate

da evidenti esigenze di giustizia sostanziale, tendenti a provoca re una pronuncia additiva che aprisse un varco nel regime di as

soluta intangibilità delle decisioni della Cassazione e consentis

se di rimediare agli errori in esse contenuti, ritenendo che l'in

troduzione di un rimedio straordinario implichi una pluralità di

soluzioni e di modalità attuative, onde non può che costituire il

risultato di scelte discrezionali riservate al legislatore (sentenze

21/82, cit. e 294/95, cit.). Peraltro, il giudice delle leggi ha te nuto fermo il rifiuto di un intervento additivo, analogo a quello

compiuto per il processo civile con le sentenze n. 17 del 1986

(id., 1986, I, 313) e n. 36 del 1991 (id., 1991, I, 1033), con ri guardo agli errori di fatto, di tipo percettivo, relativi alla lettura

degli atti interni al giudizio di legittimità, precisando, tuttavia, che simili errori compromettono indebitamente l'effettività del

giudizio di cassazione e devono avere un necessario rimedio, che deve essere individuato dalla stessa Corte di cassazione al

l'interno dell'ordinamento processuale nell'esercizio della fun

zione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata (Corte cost. 28 luglio 2000, n. 395, id., Rep. 2000, voce Revisione pe nale, n. 7).

L'immanenza e la centralità del principio nel sistema proces suale, in funzione di strumento di chiusura dello stesso, sono

state costantemente sottolineate dalla giurisprudenza di legitti mità, rilevando che la giurisdizione, per sua intrinseca essenza, è retta dalla «necessità di fissare definitivamente l'accertamento

giudiziale e di cristallizzare su determinati risultati la ricerca

della verità compiuta nel processo, nella consapevolezza che, nelle vicende umane, il vero ed il giusto possono essere rimessi

sempre in discussione e che esiste un momento in cui la dinami

ca processuale deve comunque arrestarsi per cedere il posto al

l'esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizio nali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali»

(Cass., sez. 1, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, id., 1998, II,

729). E proprio nel valore della certezza è stato individuato il

fondamento di vari istituti, che nell'inoppugnabilità dei provve dimenti della Corte di cassazione trovano specifica base giusti ficativa. In tale precisa prospettiva ricostruttiva del sistema delle

impugnazioni, è stato stabilito — con riferimento al delicato

problema del giudicato progressivo — che i limiti ai quali è vincolato il giudice di rinvio «sono tutti riconducibili alla rile vanza ed all'efficacia della sentenza pronunciata dalla Corte di

cassazione» e che «gli effetti preclusivi che impediscono al giu dice di rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a

quelli che conseguono dalla delimitazione del contenuto dei motivi di impugnazione: essi, infatti, sono diretta ed ineludibile

conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di

cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annul

late ed a queste non necessariamente connesse» (Cass., sez. un.,

Il Foro Italiano — 2002.

23 novembre 1990, Agnese e altri, id., 1991, II, 376; 19 gennaio 2000, Tuzzolino, id., Rep. 2000, voce Cosa giudicata penale, n.

5). E, nella stessa ottica della definitività e della immodificabi

lità dei provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione, sono

stati tracciati i rigorosi, tassativi, limiti di esperibilità della pro cedura di correzione degli errori materiali prevista dall'art. 130

c.p.p., nella quale è del tutto assente la funzione sostitutiva pro

pria dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, Armati, id., Rep. 1997, voce Cassazio

ne penale, nn. 56, 57; 18 maggio 1994, Armati, id., 1994, II,

617). 4. - L'assolutezza del principio dell'irrevocabilità della deci

sioni della Corte di cassazione ha subito indubbiamente una de

roga a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6, 6° comma, 1. 26

marzo 2001 n. 128, che, inserendo nel codice l'art. 625 bis, ha

introdotto l'istituto del ricorso straordinario, ammettendo, a fa

vore del condannato, la richiesta di correzione degli errori mate

riali o di fatto contenuti nei provvedimenti della corte di legit timità.

Deve, anzitutto, premettersi che è senz'altro condivisibile

l'opinione unanimamente espressa nei primi commenti delle di

sposizioni dell'art. 625 bis c.p.p., secondo cui nella previsione del ricorso straordinario sono accomunate due situazioni pro cessuali radicalmente diverse, alle quali corrispondono rimedi

nettamente differenti per struttura e per finalità.

La figura dell'errore materiale coincide, in tutto e per tutto, con quella che forma oggetto della disciplina dettata dall'art.

130 c.p.p., da sempre ritenuta pacificamente applicabile anche

ai provvedimenti della Corte di cassazione penale. Tale tipo di

errore, comprensivo sia degli errori in senso stretto che delle

omissioni, consiste, nella sostanza, nel frutto di una svista, di un

lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giu dice e materiale rappresentazione grafica della stessa e la dif

formità tra il pensiero del decidente e l'estrinsecazione formale

dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e

valutativo da cui scaturisce la decisione: questa, cioè, corri

sponde perfettamente a quanto rappresenta il contenuto della

deliberazione, dato che il vizio si risolve nella inadeguatezza della forma espressiva rispetto alla volontà effettiva. Il che

spiega la ragione per cui la correzione dell'errore materiale ha

una funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica

volta ad «armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione

con il suo reale contenuto» (Cass., sez. un., 18 maggio 1994,

Armati, cit.). La correzione dell'errore materiale riguarda, quin di, la sola documentazione grafica quale mezzo di manifestazio

ne della volontà giudiziale, regolarmente formatasi senza l'in

fluenza perturbatrice di quell'errore, tant'è che l'applicazione dell'art. 130 c.p.p. è stata considerata del tutto compatibile col

principio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas

sazione, proprio perché rigorosamente circoscritta alla categoria

degli errori materiali che non determinano nullità e sono elimi

nabili senza una modificazione essenziale del provvedimento. 5. - Del tutto differente è la natura dell'errore di fatto. Questo

consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un

equivoco, nel quale la Corte di cassazione è incorsa nella lettura

degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato dall'influen

za esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla

inesatta percezione delle risultanze processuali, il cui svisa

mento conduce ad una decisione diversa da quella che sarebbe

adottata senza l'errore di fatto.

In mancanza di una definizione nell'art. 625 bis c.p.p., nelle

prime pronunce di questa corte, al fine di delimitare la categoria dell'errore di fatto previsto in tale disposizione, si è ritenuto di

potere fare utile riferimento alla nozione dell'errore di fatto re

vocatorio delineata dall'art. 395, n. 4, c.p.c. ed espressamente richiamata dall'art. 391 bis c.p.c., con cui, dopo le sentenze

della Corte costituzionale n. 17 del 1986, cit., e n. 36 del 1991,

cit., è stato regolato il ricorso per la correzione degli errori ma

teriali e per la revocazione delle sentenze della Corte di cassa

zione civile. Alla luce del modello dell'errore revocatorio, è

stato, pertanto, precisato che si ha errore di fatto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 625 bis c.p.p., quando la decisione è fondata

sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente

esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la

cui verità è positivamente stabilita (Cass., sez. fer., 7 settembre

2001, Schiavone; sez. VI 30 ottobre 2001, Botteselle, id., Rep. 2001, voce cit., n. 58; sez. I 13 novembre 2001, Salerno). In una

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GIURISPRUDENZA PENALE

siffatta ottica, in tutte le sentenze è stato sottolineato che l'erro

re di fatto postula inderogabilmente che lo sviamento della vo

lontà del giudice sia non solo decisivo, per essere stato determi

nante nella scelta della soluzione adottata, ma anche di oggetti va ed immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti

processuali deve fare trasparire, in modo diretto ed evidente

(vale a dire, ìctu oculi), che la decisione è stata condizionata

dall'inesatta percezione e non dall'errata valutazione o dal non

corretto apprezzamento di quegli atti.

Pertanto, l'errore di fatto deve essere inteso in senso stretto, nella sua dimensione meramente percettiva, essendo i suoi con

fini rigidamente segnati dalla circostanza che in esso fa assoluto

difetto qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la

Corte di cassazione è chiamata a pronunciare. Deve trarsene la

conseguenza che, qualora la causa dell'errore non sia identifica

bile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e presenti un qualsiasi contenuto valutativo, la qualificazione

appropriata è quella corrispondente all'errore di giudizio, non

all'errore di fatto, onde deve senz'altro escludersi la proponibi lità del ricorso straordinario.

6. - Le argomentazioni sin qui sviluppate rivelano, in modo

non equivoco, che l'art. 625 bis c.p.p. regola due distinti istituti:

l'uno è costituito dal ricorso per la correzione degli errori mate

riali presenti nel testo dei provvedimenti della Corte di cassa

zione; l'altro corrisponde al ricorso per l'eliminazione degli er

rori di fatto che hanno influito sul processo formativo della vo

lontà ed ha la finalità di rimuovere la decisione e di sostituirla

con quella che sarebbe stata deliberata senza quegli errori. Il ri

corso straordinario per errore di fatto ha, dunque, la funzione ti

pica di una impugnazione in senso tecnico, come è confermato

dalla circostanza che il 4° comma dell'art. 625 bis, nel disporre che la corte, «se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore», prefigura

— all'esito della

procedura camerale partecipata di cui all'art. 127 c.p.p. — ri

medi flessibili ed adattabili alle diverse situazioni, che permet tono l'immediata pronuncia della nuova decisione, in luogo di

quella viziata dall'errore di fatto, ovvero, se necessario, la sola

caducazione di questa e la celebrazione del nuovo giudizio nelle

forme dell'udienza pubblica o della camera di consiglio. Per

tanto, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso straordinario per errore di fatto, il momento rescindente e quello rescissorio, pur restando concettualmente sempre distinguibili, possono essere

unificati o separati, secondo il prudente apprezzamento della

corte, in relazione alle peculiari connotazioni delle singole si

tuazioni processuali: in ogni caso, benché l'art. 625 bis si limiti

a parlare di «correzione», l'accoglimento del ricorso comporta una nuova decisione che sostituisce quella precedente.

Dalle precedenti riflessioni si evince che soltanto il ricorso

straordinario per errore di fatto ha natura di vero e proprio mez

zo di impugnazione, mentre il ricorso relativo all'errore mate

riale rappresenta null'altro che uno strumento di correzione,

speciale rispetto a quella prevista dall'art. 130 c.p.p., senza al

cuna incidenza sul contenuto della decisione e con funzione di

mera rettifica della forma espressiva della volontà del giudice. La riprova più convincente può trarsi dalla stessa disciplina del

l'art. 625 bis c.p.p., che, pur prevedendo l'identico termine di

centottanta giorni per il ricorso nei riguardi dell'una e dell'altra

specie di errore, specifica, al 3° comma, che l'errore materiale

può essere rilevato, d'ufficio, in ogni momento e, al 4° comma, che è inammissibile il ricorso per errore di fatto proposto dopo la scadenza del termine di centottanta giorni, confermando così

che soltanto quest'ultimo costituisce mezzo di impugnazione straordinaria dei provvedimenti della Corte di cassazione, nono

stante la loro definitività ed esecutività.

La ragione della previsione di una medesima normativa per due tipi di errore così diversi deve plausibilmente individuarsi

nel fatto che l'art. 625 bis c.p.p. è stato modellato sull'analoga

disciplina contenuta nell'art. 391 bis c.p.c., all'interno della

quale l'errore materiale è regolato accanto all'errore di fatto. La

consapevolezza di tale circostanza, di ordine estrinseco e con

tingente, deve contribuire a non offuscare la chiarezza concet

tuale indispensabile per la corretta differenziazione delle due

categorie di errore e dei distinti rimedi azionabili: e ciò è tanto più vero se si tengono presenti le puntuali considerazioni — ri

ferite all'art. 391 bis c.p.c. ma sicuramente estensibili all'art.

625 bis c.p.p. — contenute nella sentenza della Corte costitu

zionale, che, nel dichiarare l'incostituzionalità della disposizio

II Foro Italiano — 2002.

ne in cui è previsto un termine per la proposizione dell'istanza

di correzione degli errori materiali delle sentenze della Corte di

cassazione, ha sottolineato la diversità dell'errore materiale dal

l'errore di fatto, precisando che per il primo, e solo per esso, l'esistenza di un termine di decadenza contrasta col canone di

ragionevolezza (sentenza n. 119 del 18 aprile 1996, id., 1996, I, 2321).

7. - I risultati dell'indagine permettono di fissare un punto di

primaria importanza sul piano ermeneutico, dal momento che

essi convergono unicamente nel porre in luce che il ricorso per errore di fatto, quale mezzo straordinario di impugnazione, rap

presenta una evidente eccezione ad uno dei principi fondamen

tali dell'ordinamento processuale: quella della inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cassazione, che, pur avendo per duto il carattere della assolutezza per effetto, appunto, dell'art.

625 bis c.p.p., resta uno dei cardini del sistema delle impugna zioni e della formazione del giudicato. Deve inferirsene che le

disposizioni regolatrici del ricorso straordinario per errore di

fatto non sono suscettibili di applicazione analogica e, dunque, non si applicano oltre i casi in esse considerati, in forza del di

vieto sancito dall'art. 14 disp. sulla legge in generale, proprio

perché costituiscono deroga alla regola dell'intangibilità dei

provvedimenti del giudice di legittimità. Il carattere tassativo della normativa dettata dall'art. 625 bis

rende evidente che non può condividersi la pronuncia con cui è

stato ritenuto che il ricorso straordinario per errore di fatto sia

proponibile anche contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali de liberiate (Cass., sez. fer., 7 settembre 2001,

Schiavone, cit.). Invero, se si considera che l'art. 625 bis am

mette il ricorso soltanto «a favore del condannato» (1° comma) e limita la legittimazione all'impugnazione straordinaria al pro curatore generale e al condannato (2° comma), risulta palese che

il legislatore ha assunto come modello il contenuto della disci

plina della revisione (cfr. art. 629 e 632 c.p.p.), anch'essa cer

tamente di carattere eccezionale (Cass., sez. I, 21 settembre

1999, Ilacqua, id.. Rep. 2000, voce Revisione penate, n. 20; sez.

II 2 dicembre 1998, Lucidi, id., Rep. 1999, voce cit., n. 21). Ne segue che oggetto del ricorso straordinario possono essere sol

tanto le sentenze di condanna e che l'estensione a decisioni

emesse all'interno di procedimenti incidentali trova insuperabile

preclusione nel divieto dell'interpretazione analogica, come è

stato, del resto, esattamente ritenuto nella pronuncia con cui è

stato considerato inammissibile il ricorso per errore di fatto

contro la decisione adottata nel procedimento di rimessione del

processo a norma dell'art. 45 c.p.p. (Cass., sez. I, 7 febbraio

2002, Pili). 8. - Al fine di chiarire l'effettivo ambito applicativo della di

sciplina del ricorso straordinario per errore di fatto, occorre pre cisare che sono certamente estranei al campo di applicazione dell'art. 625 bis c.p.p. gli errori di interpretazione di norme giu ridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza

delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta por tata, anche quando siano dovuti all'ignoranza di indirizzi giuris

prudenziali consolidati. Ne consegue che l'errar iuris, al pari dell'errore di giudizio o valutativo, non può mai essere fatto

valere a mezzo del ricorso straordinario, dato che, rispetto ad

esso, resta intatto il rigore del principio dell'intangibilità delle

decisioni della Corte di cassazione.

Deve osservarsi, altresì, che, nell'intento di definire la nozio

ne di errore di fatto, in una recente pronuncia di questa corte è

stato stabilito che l'art. 625 bis c.p.p. resta inapplicabile in caso

di omesso esame di un motivo di ricorso, sul rilievo che un tale

vizio dà origine ad un difetto di motivazione che non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale

(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, cit.). L'indirizzo interpretativo non può essere accolto nella sua

portata generalizzante e richiede le necessarie precisazioni ed i

dovuti approfondimenti. Preliminarmente va precisato che la mancanza della presa in

considerazione di un motivo di ricorso non dà causa ad un erro

re di fatto, né determina incompletezza della motivazione della

sentenza, allorquando, pur in mancanza di espressa disamina, la

censura debba considerarsi implicitamente disattesa perché in

compatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che

compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima: dital

ché, in una simile evenienza, non può propriamente parlarsi di

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PARTE SECONDA

omessa pronuncia su un motivo di ricorso né, ovviamente, di

decisione viziata da errore di fatto. Va rilevato, inoltre, che non

è configurabile l'errore di fatto neppure quando la corte, dopo avere esaminato un motivo di ricorso, abbia ritenuto assorbite le

altre censure, per la ragione che, in tale ipotesi, dette censure

sono state comunque valutate e se ne è reputata superflua la

trattazione per effetto dei risultati della disamina del motivo

preso in considerazione, giudicato, a ragione o a torto, dotato di

valore assorbente, sul piano logico-giuridico, rispetto a quello il

cui esame è stato reputato ultroneo.

L'omesso esame di un motivo di ricorso è riconducibile, in

vece, nella figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una

vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di or

dine meramente percettivo, che abbia causato l'erronea supposi zione dell'inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al

semplice controllo del contenuto del ricorso. Deve chiarirsi,

tuttavia, che la sola possibilità di qualificare la predetta svista

come errore di fatto non può giustificare, di per sé, l'accogli mento del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. in mancan

za di una situazione in cui non sia verificabile un rapporto di de

rivazione causale necessaria della decisione adottata dall'omes

so esame del motivo di ricorso, nel senso che il risultato della

deliberazione della Corte di cassazione non sarebbe cambiato, anche se fosse stata sottoposta a vaglio la censura dedotta dal ri

corrente. La soluzione è imposta dall'inderogabile carattere de

cisivo dell'errore di fatto, dovendo questo necessariamente tra

dursi, per legittimare il ricorso straordinario, nell'erronea sup

posizione di un fatto realmente influente sull'esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provve dimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità. Per

tanto, dalla decisività dell'errore di fatto deve trarsi il corollario

che l'errore stesso resta irrilevante, agli effetti della disposizio ne di cui all'art. 625 bis, qualora i motivi di ricorso risultino in

fondati, ovvero inconferenti rispetto al tema di indagine o non

dedotti con l'appello. E, con particolare riferimento all'omesso

esame di motivi infondati, in modo manifesto o non, è opportu no sottolineare che l'esclusione del ricorso straordinario trova

convincente base giustificativa non solo nell'indicato principio di decisività dell'errore, ma anche in evidenti esigenze di eco

nomia processuale e nella irragionevolezza di una conclusione

interpretativa, che, in caso di mancato esame di motivi privi di

fondatezza, rendesse necessaria la rescissione della precedente decisione del giudice di legittimità e la sostituzione della stessa

con una nuova decisione di contenuto perfettamente identico.

E stato sostenuto, da una parte della dottrina, che l'operatività del ricorso straordinario è limitata alle decisioni relative alle

questioni processuali, per le quali la Corte di cassazione è giu dice anche del fatto, sicché l'erronea supposizione, per essere

rilevante, dovrebbe inerire ad un error in procedendo dovuto ad

un difetto di percezione degli atti che formano oggetto di esame

nel giudizio di legittimità. In altri termini, dovrebbe trattarsi di

errori denunciabili ai sensi dell'art. 606, 1° comma, lett. c),

c.p.p., rispetto ai quali «la corte di legittimità 'è giudice anche

del fatto' e, per risolvere la relativa questione, può — talora de

ve necessariamente — accedere all'esame dei relativi atti pro cessuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del

provvedimento impugnato ex art. 606, 1° comma, lett. e), sol

tanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione» (Cass., sez. un., 31 ottobre 2001, Policastro

e altri, id., 2002, II, 170). Una simile interpretazione restrittiva dell'ambito applicativo

dell'errore di fatto non è giustificata dall'effettiva portata del

l'art. 625 bis c.p.p. Infatti, non è controvertibile che la sentenza

impugnata, sottoposta al sindacato della corte, costituisce l'og

getto del giudizio di cassazione e che l'errore percettivo può an

che cadere su un dato fattuale, nei precisi termini, ovviamente, accertati dal giudice di merito. Anche in tale situazione l'errore

non nasce dall'interpretazione di un fatto storico e dalla valuta

zione della ricostruzione compiuta dal giudice di merito, ma da

una semplice svista materiale che ha portato a supporre erro

neamente l'esistenza o l'inesistenza di un fatto, che, al contra

rio, dal testo della sentenza impugnata risulta, ictu oculi, incon

trastabilmente escluso o positivamente stabilito: sicché si verte, anche in questo caso, nella situazione tipica dell'errore di fatto

di ordine meramente percettivo, che, incidendo su uno specifico dato fattuale ed essendo privo di qualsiasi implicazione valuta

li Foro Italiano — 2002.

tiva, può assumere valore determinante sul contenuto della deci

sione e giustificare, dunque, l'accoglimento del ricorso straor

dinario.

Infine, nel definire l'intrinseca consistenza dell'errore di fat

to, deve escludersi che nell'area del ricorso straordinario possa essere ricondotto l'errore percettivo non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferi

bile alla decisione del giudice di merito, potendo, in tale ipotesi, l'errore essere fatto valere soltanto nelle forme e nei limiti delle

impugnazioni ordinarie. Pertanto, il travisamento del fatto non

può legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p.

quando costituisca un vizio della decisione del giudice di meri

to. La soluzione contraria, prospettata in talune posizioni della

dottrina, appare assolutamente priva di plausibilità logica e si

stematica se si considera che il travisamento non è deducibile

neppure come motivo di ricorso ai sensi dell'art. 606, 1° com

ma, lett. e), c.p.p., se non nei rigorosi limiti tracciati dalla giuri

sprudenza ormai costante di questa corte (cfr. Cass., sez. un., 30

aprile 1997, Dessimone e altri, id., 1998, II, 90; 26 settembre

2001, Pisano, id., 2002, II, 461). 9. - L'applicazione dei principi dianzi illustrati al fine di chia

rire la nozione di errore di fatto di cui all'art. 625 bis c.p.p. ri

vela la manifesta infondatezza del ricorso straordinario proposto dal Basile in data 21 dicembre 2001 avverso la sentenza n. 1160

della sesta sezione penale di questa corte, depositata il 19 no

vembre 2001.

Con l'impugnazione straordinaria, il ricorrente ha denunciato

che la sentenza del giudice di legittimità ha dato per scontata la

responsabilità del Basile, quale agente della polizia penitenzia

ria, per l'impossessamento dell'orologio Rolex sul presupposto che tra le sue funzioni rientrasse la gestione dell'ufficio cassa

valori del carcere di Reggio Calabria, mentre l'imputato

«giammai fu preposto a quell'ufficio, giammai fu responsabile di quell'ufficio, giammai lavorò in quell'ufficio». Il ricorrente

ha aggiunto che la Corte di cassazione ha trascurato di valutare

le censure dedotte con i motivi di ricorso, mentre l'esame degli atti processuali avrebbe posto in evidenza che i giudici di merito

avevano travisato i fatti e non avevano in alcun modo motivato

sul punto riguardante la codetenzione dell'orologio depositato nell'ufficio valori della casa circondariale.

La situazione prospettata dal ricorrente non è in alcun modo

riconducibile nella categoria dell'errore di fatto, dato che dal

controllo degli atti del giudizio di legittimità (sentenza n. 1160

depositata il 19 novembre 2001, motivi del ricorso nell'interesse

del Basile, sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria

del 26 giugno 2000) si evince, con assoluta chiarezza, che la

Corte di cassazione ha compiutamente esaminato le censure

concernenti il tema della detenzione dell'orologio da parte del

Basile per ragioni di ufficio, reputandole infondate sulla base

dei dati di fatto accertati dal giudice di merito con motivazione

immune da vizi logici. Mancano, dunque, nella situazione rappresentata dal ricor

rente le condizioni minime per ipotizzare l'esistenza di una svi

sta materiale o di un errore percettivo che possa giustificare

l'inquadramento nella figura dell'errore di fatto ex art. 625 bis.

Del resto, è sufficiente esaminare le esplicite deduzioni conte

nute nel ricorso straordinario per rendersi conto che la difesa del

Basile, con la denuncia dell'errore di fatto, ha cercato di ma

scherare il tentativo di rimettere in discussione le questioni di

fatto e di diritto irretrattabilmente decise con la precedente sen

tenza della Corte di cassazione e di estendere, così, l'indagine al

travisamento del fatto, asseritamente operato dal giudice di me

rito, senza tenere conto che il preteso vizio non avrebbe potuto formare oggetto del sindacato di legittimità neppure se fosse

stato dedotto col ricorso proposto a norma dell'art. 606, 1°

comma, c.p.p. nel giudizio di legittimità conclusosi con la sen

tenza 1160/01.

In conclusione, il ricorso straordinario deve dichiararsi

inammissibile per la manifesta non configurabilità dell'errore di

fatto, con la precisazione che tale pronuncia deve assumere la

forma della sentenza. Al riguardo deve sottolinearsi, che il 4°

comma dell'art. 625 bis stabilisce che è pronunciata ordinanza

nel caso in cui l'inammissibilità sia dichiarata de plano, senza

l'instaurazione del contraddittorio. La precisa delimitazione po sta dalla norma comporta che la decisione deve essere emessa

con sentenza, e non con ordinanza, nell'ipotesi in cui la dichia

razione di inammissibilità venga adottata non a seguito di deli

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GIURISPRUDENZA PENALE

bazione preliminare, ma a conclusione del procedimento in ca

mera di consiglio, nel contraddittorio delle parti, dato che — al

di fuori dei casi previsti da specifiche disposizioni di legge — la sentenza corrisponde all'ordinaria forma delle decisioni della

Corte di cassazione, anche se dichiarative dell'inammissibilità

del ricorso, siano esse adottate nell'udienza pubblica o nel pro cedimento in camera di consiglio, partecipato o non partecipato.

Infine, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con

danna del ricorrente alle spese del procedimento e, stante la ma

nifesta infondatezza del ricorso, al pagamento di una congrua somma a favore della cassa delle ammende.

Ili

Osserva. — 1. - Con istanza depositata il 6 agosto 2001, Lo

dovico Chiatellino e il suo difensore, avv. Giovanni Vasoin De

Prosperi, proponevano ricorso straordinario per errore di fatto, a

norma dell'art. 625 bis c.p.p., contro la sentenza emessa dalla

terza sezione penale di questa corte in data 23 novembre 2000,

depositata il 27 febbraio 2001 (Foro it., Rep. 2001, voce Beni

culturali, paesaggistici e ambientali, n. 193), con cui era stato

rigettato il ricorso proposto contro la sentenza pronunciata in

data 1° luglio 1999 dalla Corte d'appello di Venezia, che aveva

confermato la condanna alla pena di lire 50.000.000 di ammen

da, di cui lire 6.750.000 in sostituzione di tre mesi di arresto, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte ci

vile amministrazione comunale di San Giorgio in Bosco, per es

sere stato il Chiatellino giudicato responsabile del reato di cui

all'art. 1 sexies 1. n. 431 del 1985 per avere eseguito scavi in

difformità dell'autorizzazione n. 40/277 del 1° luglio 1983 del

magistrato delle acque di Venezia, sconfinando, per una super ficie complessiva di 7.600 mq, dal perimetro di progetto in tre

distinte aree.

1 ricorrenti deducevano che la sentenza della Corte di cassa

zione è viziata da errore di fatto per la ragione che è stata esclu

sa la prescrizione del reato in base all'errata supposizione che la

consumazione del reato si fosse protratta fino alla sentenza di

primo grado, dato che, con la contestazione suppletiva effettuata

all'udienza dell'8 novembre 1996, era stato precisato che i lavo

ri erano «in corso a tutt'oggi». La decisione della Corte di cas

sazione era la conseguenza di un evidente equivoco sul conte

nuto della contestazione suppletiva, in cui la specificazione della data del commesso reato riguardava soltanto il reato con

testato al capo b), dal quale il Chiatellino era stato assolto dalla

sentenza di secondo grado, sul punto divenuta irrevocabile, mentre il periodo di consumazione del reato contestato al capo a) era rimasto fissato «fino al 22 febbraio 1996».

I ricorrenti chiedevano, quindi, che, in accoglimento del ri

corso straordinario, fosse eliminato l'errore di fatto e fosse pro nunciato l'annullamento senza rinvio della sentenza di secondo

grado per essere il reato estinto per prescrizione. 2. - Il ricorso straordinario veniva assegnato alla terza sezione

penale di questa corte, che, con ordinanza del 3 dicembre 2001, rimetteva la decisione alle sezioni unite ai sensi dell'art. 618

c.p.p., rilevando che la tesi dell'inammissibilità del ricorso straordinario proposto contro una sentenza depositata prima dell'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n. 128, che ha in

trodotto il nuovo istituto, è stata accolta in una pronuncia della

sesta sezione penale (sentenza n. 3388 del 30 ottobre 2001,

Botteselle, ibid., voce Cassazione penale, n. 58) e che la limita

zione temporale della proponibilità del ricorso straordinario può dare luogo ad un contrasto di giurisprudenza. La sezione rimet

tente individuava un'ulteriore possibilità di contrasto giurispru denziale rispetto alla questione concernente i limiti della deci

sione da adottare in caso di accoglimento del ricorso straordina

rio. II primo presidente assegnava il ricorso alle sezioni unite, fis

sando per la trattazione l'udienza in camera di consiglio del 27

marzo 2002.

3. - Con memoria depositata il 22 marzo 2002, la difesa del

ricorrente insisteva per l'accoglimento del ricorso straordinario,

osservando, anzitutto, che questo doveva considerarsi ammissi

bile in quanto, ancorché la sentenza della Corte di cassazione

fosse stata depositata prima dell'entrata in vigore della 1. n. 128

del 2001, la situazione processuale era ancora attuale, non es

sendo decorso il termine di centottanta giorni previsto dall'art.

625 bis c.p.p. Nel merito, veniva ribadito che la pronuncia di ri

II Foro Italiano — 2002.

getto della richiesta di prescrizione del reato costituiva l'evi

dente risultato di un errore di fatto, determinato da una svista

nella rilevazione della data del commesso reato, emendabile —

anche se non fosse applicabile il nuovo istituto del ricorso

straordinario ex art. 625 bis c.p.p. — in base all'interpretazione

estensiva dell'art. 130 c.p.p. seguita dalla giurisprudenza di le

gittimità. 4. - Con sentenze deliberate nella stessa camera di consiglio

del 27 marzo 2002 nei procedimenti promossi da Basile Palmo e

da De Lorenzo Francesco, che precedono, le sezioni unite hanno

esaminato la portata delle disposizioni contenute nell'art. 625

bis c.p.p., introdotte dall'art. 6 1. 26 marzo 2001 n. 128, ponen do in luce le caratteristiche strutturali e funzionali del ricorso

straordinario per errore di fatto, l'ambito applicativo del nuovo

istituto e la natura eccezionale della normativa, che rende inap

plicabile il metodo dell'interpretazione analogica. Tanto premesso, è da rilevare che il ricorso proposto dal

Chiatellino è stato oggetto di rimessione a norma dell'art. 618

c.p.p. per l'ipotizzabilità di un contrasto in ordine all'ammissi

bilità o non del ricorso straordinario per errore di fatto proposto contro le sentenze di condanna depositate prima dell'entrata in

vigore del citato art. 6 1. n. 128 del 2001, onde le sezioni unite

sono chiamate a risolvere tale specifica questione pregiudiziale. Va segnalato, anzitutto, che — contrariamente a quanto rite

nuto dalla sezione rimettente — il contrasto non è virtuale, ma

effettivo, in quanto nella giurisprudenza di questa corte si è già

prodotta, sul punto, una netta divergenza di indirizzi interpreta tivi.

L'orientamento prevalente esclude l'ammissibilità del ricorso

straordinario proposto contro sentenze depositate anteriormente

all'entrata in vigore della disposizione che ha introdotto l'art.

625 bis, sul rilievo che, in mancanza di una norma transitoria, deve trovare applicazione il principio tempus regit actum, sic

ché, anche in considerazione della natura eccezionale della di

sposizione, la nuova disciplina resta inapplicabile alle decisioni

della Corte di cassazione depositate prima che quella disposi zione entrasse a far parte del sistema delle impugnazioni penali

(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, cit.; sez. II 26 no

vembre 2001, Panarisi; sez. VI 5 dicembre 2001, Padalino; 6 di cembre 2001, Galletta e altri; 13 dicembre 2001, Reggiani).

L'opposto indirizzo, muovendo dalla natura processuale del

l'art. 625 bis e dal principio della immediata applicazione della

nuova normativa, ritiene ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto contro decisioni precedentemente depositate

qualora non sia ancora scaduto, alla data di entrata in vigore della 1. n. 128 del 2001, il termine di decadenza di centottanta

giorni dalla data del deposito del provvedimento della Corte di

cassazione, non essendosi ancora verificato, in tale caso, il con

solidamento della situazione processuale (Cass., sez. I, 13 no

vembre 2001, Salerno; sez. fer. 7 settembre 2001, Schiavone). Le sezioni unite condividono la tesi contraria all'ammissibi

lità del ricorso straordinario contro le sentenze depositate prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p. per le seguenti con

vergenti ragioni di ordine letterale, logico e sistematico.

In primo luogo, deve sottolinearsi che — fatte salve le dero

ghe espresse — il tradizionale principio tempus regit actum co

stituisce la regola base del diritto processuale intertemporale e, di riflesso, che, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, la nuova normativa non può essere applicata agli atti processuali

pregressi, legittimamente compiuti e produttivi di effetti giuri dici completamente esauritisi nell'ambito della disciplina pre cedente. Da tale premessa deve inferirsi che, mancando nell'art.

625 bis c.p.p. una norma diretta a regolare l'impugnazione straordinaria per errore di fatto delle decisioni della Corte di

cassazione anteriormente depositate, queste ultime restano sen

z'altro estranee al campo di applicazione della nuova disciplina. La conclusione è avvalorata da un duplice ordine di considera

zioni di complementare valore logico, individuabili, da un lato,

nel richiamo al canone che conforma il regime delle impugna zioni alla normativa vigente all'epoca in cui si esaurisce il pro cedimento formativo del provvedimento e, dall'altro, nella cir

costanza che le decisioni della corte di legittimità emesse prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis conservano il crisma del

l'assoluta inoppugnabilità, ditalché il superamento di tale pecu liare connotato potrebbe avvenire soltanto eludendo il divieto

dell'estensione analogica di una disposizione indubbiamente

eccezionale.

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PARTE SECONDA

Deve osservarsi, altresì, che la tesi favorevole all'ammissibi

lità del ricorso straordinario contro le decisioni della Corte di

cassazione già depositate al momento dell'entrata in vigore del

l'art. 625 bis c.p.p. non riesce a superare evidenti incongruenze

logiche connesse al problema dell'identificazione della data di

decorrenza del termine per la proposizione del ricorso medesi

mo. Infatti, individuare il dies a quo nella data di deposito della

sentenza — come, del resto, esplicitamente dispone l'art. 625

bis — significa ammettere che il decorso del termine possa av

venire, almeno in parte, prima che il condannato abbia acquisito la titolarità della facoltà di proporre l'impugnazione straordina

ria: con l'inevitabile risultato che, allorché tale facoltà sia dive

nuta azionabile a seguito dell'entrata in vigore della nuova di

sciplina, ogni singolo ricorrente dispone di un termine di impu

gnazione più o meno ampio a seconda della differente data di

deposito del provvedimento. Nella consapevolezza di tale diffi

coltà concettuale e delle evidenti aporie che ne conseguono, la

maggior parte della dottrina favorevole all'ammissibilità del ri

corso straordinario contro le decisioni già depositate fa decorre

re il termine dell'impugnazione straordinaria dalla data di en

trata in vigore della 1. n. 128 del 2001. L'opinione non può esse

re condivisa, in quanto presuppone un'operazione ricostruttiva

della disciplina che si traduce in una palese alterazione del chia

ro e preciso dettato normativo contenuto nell'art. 625 bis, che, al 2° comma, fa decorrere il termine di centottanta giorni dalla

data del deposito del provvedimento che forma oggetto del.ri

corso straordinario.

Alla luce delle precedenti argomentazioni deve dichiararsi

l'inammissibilità del ricorso straordinario proposto dal Chiatel

lino contro la sentenza n. 3943 pronunciata il 23 novembre 2000

da questa corte e depositata in data 27 febbraio 2001, prima del

l'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n. 128, che, all'art. 6, 6° comma, ha inserito nel codice di procedura penale l'art. 625

bis. 5. - Con note difensive depositate il 22 marzo 2002, il ricor

rente ha dedotto che la correzione della citata sentenza n. 3943

dovrebbe essere, comunque, disposta a norma dell'art. 130

c.p.p., nell'interpretazione estensiva seguita dalla giurispruden za di legittimità.

La tesi non merita consenso. Le sezioni unite hanno precisato, da tempo, i rigorosi, tassativi, limiti di esperibilità della proce dura di correzione degli errori materiali prevista dall'art. 130

c.p.p., chiarendo che in essa è del tutto assente la funzione so

stitutiva propria dei mezzi dì impugnazione, ordinari e straordi

nari (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, Armati, id., Rep. 1997, vo

ce cit., nn. 56, 57; 18 maggio 1994, Armati, id., 1994, II, 617). La linea interpretativa di rigida delimitazione degli interventi

correttivi aventi ad oggetto gli errori materiali è stata ribadita da

queste sezioni unite con le sentenze deliberate nella camera di

consiglio del 27 marzo 2002 nei procedimenti promossi da Ba

sile Palmo e da De Lorenzo Francesco, con le quali è stato rile

vato che questo tipo di errori rappresenta il frutto di una svista, di un lapsus espressivo, da cui deriva il divario tra volontà del

giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa, con la

conseguente difformità tra il pensiero del decidente e l'estrinse

cazione formale dello stesso, senza alcuna incidenza sul proces so cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione. La natu

ra dell'errore materiale è determinante ai fini dell'individuazio

ne della finalità della correzione ex art. 130 c.p.p. che ha una

funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica

volta ad «armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione

con il suo reale contenuto», senza alcuna modificazione essen

ziale del contenuto del provvedimento (Cass., sez. un., 18 mag

gio 1994, Armati, cit.). Nella prospettiva dischiusa dalla con trapposizione tra errore materiale ed errore di fatto, è stato altre

sì osservato che soltanto il ricorso straordinario per errore di

fatto ha natura di vero e proprio mezzo di impugnazione, mentre

il ricorso relativo all'errore materiale, previsto nella medesima

disposizione, rappresenta null'altro che uno strumento di corre

zione, speciale rispetto a quella prevista dall'art. 130 c.p.p., che, al pari di questa, è privo di incidenza sul contenuto della deci

sione ed ha una funzione di mera rettifica nella forma espressiva della volontà del giudice, come è puntualmente attestato dalla

stessa disciplina dell'art. 625 bis c.p.p., in cui pur essendo pre visto l'identico termine di centottanta giorni per il ricorso con

tro l'una e l'altra specie di errore, è specificato, al 3° comma, che l'errore materiale può essere rilevato, d'ufficio, in ogni

Il Foro Italiano — 2002.

momento. È da segnalare, peraltro, che il rigore e la coerenza

dell'indirizzo limitativo dell'ambito di operatività dell'istituto

della correzione degli errori materiali risultano tanto più giusti ficati alla luce della disciplina dell'art. 625 bis c.p.p., che, pre vedendo un apposito rimedio per l'eliminazione delle conse

guenze degli errori di fatto, ha rimosso la premessa della neces

sità di salvaguardia delle esigenze di giustizia sostanziale in

nome delle quali la giurisprudenza di questa corte ha forzato, in

non poche occasioni, i precisi confini apposti dall'art. 130 alla

giuridica possibilità di correzione degli errori materiali. Dai precedenti rilievi si evince che nel caso in esame resta

preclusa l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 130 non

solo per la ragione che il vizio denunciato deve qualificarsi co

me errore di fatto, che ha condizionato il contenuto della sen

tenza di questa corte n. 3943 del 23 novembre 2000, ma anche

perché la correzione dell'errore richiede una modificazione es

senziale della sentenza medesima, dovendo sostituirsi la pro nuncia di rigetto del ricorso con quella di annullamento senza

rinvio per avvenuta estinzione del reato a seguito di prescrizio ne.

6. - A norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con

danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non dover emettere condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in quanto l'esaminato contrasto di giurisprudenza fa escludere l'esistenza

di una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indicazioni

della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale (id.,

2000,1, 3426).

IV

Osserva. — (Omissis). 3. - Con sentenze deliberate nella stes

sa camera di consiglio del 27 marzo 2002 nei procedimenti

promossi da Basile Palmo e da De Lorenzo Francesco (che pre

cedono) le sezioni unite hanno esaminato la portata delle dispo sizioni contenute nell'art. 625 bis c.p.p., introdotte dall'art. 6 1.

26 marzo 2001 n. 128, ponendo in luce le caratteristiche struttu

rali e funzionali del ricorso straordinario per errore di fatto, l'ambito applicativo del nuovo istituto e la natura eccezionale

della normativa, che rende inapplicabile il metodo dell'inter

pretazione analogica. Tanto premesso, è da rilevare che il ricorso proposto dal De

graft è stato oggetto di rimessione a norma dell'art. 618 c.p.p.

per l'ipotizzabilità di un contrasto in ordine all'ammissibilità o

non del ricorso straordinario per errore di fatto proposto contro

le sentenze di condanna depositate prima dell'entrata in vigore del citato art. 6 1. n. 128 del 2001, onde le sezioni unite sono

chiamate a risolvere tale specifica questione pregiudiziale. Va segnalato, anzitutto, che — contrariamente a quanto rite

nuto dalla sezione rimettente — il contrasto non è virtuale, ma

effettivo, in quanto nella giurisprudenza di questa corte si è già

prodotta, sul punto, una netta divergenza di indirizzi interpreta tivi.

L'orientamento prevalente esclude l'ammissibilità del ricorso

straordinario proposto contro sentenze depositate anteriormente

all'entrata in vigore della disposizione che ha introdotto l'art.

625 bis, sul rilievo che, in mancanza di una norma transitoria, deve trovare applicazione il principio tempus regit actum, sic

ché, anche in considerazione della natura eccezionale della di

sposizione, la nuova disciplina resta inapplicabile alle decisioni

della Corte di cassazione depositate prima che quella disposi zione entrasse a far parte del sistema delle impugnazioni penali

(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, Foro it., Rep. 2001, voce Cassazione penale, n. 58; sez. II 26 novembre 2001, Pana

risi; sez. VI 5 dicembre 2001, Padalino; 6 dicembre 2001, Gal letta e altri; 13 dicembre 2001, Reggiani). L'opposto indirizzo, muovendo dalla natura processuale dell'art. 625 bis e dal prin

cipio della immediata applicazione della nuova normativa, ritie

ne ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto contro

decisioni precedentemente depositate qualora non sia ancora

scaduto, alla data di entrata in vigore della 1. n. 128 del 2001, il

termine di decadenza di centottanta giorni dalla data del depo sito del provvedimento della Corte di cassazione, non essendosi

ancora verificato, in tale caso, il consolidamento della situazio

ne processuale (Cass., sez. I, 13 novembre 2001, Salerno; sez.

fer., 7 settembre 2001, Schiavone). Le sezioni unite condividono la tesi contraria alPammissibi

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GIURISPRUDENZA PENALE

lità del ricorso straordinario contro le sentenze depositate prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p. per le seguenti con

vergenti ragioni di ordine letterale, logico e sistematico.

In primo luogo, deve sottolinearsi che — fatte salve le dero

ghe espresse — il tradizionale principio tempus regit actum co

stituisce la regola base del diritto processuale intertemporale e, di riflesso, che, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, la nuova normativa non può essere applicata agli atti processuali

pregressi, legittimamente compiuti e produttivi di effetti giuri dici completamente esauritisi nell'ambito della disciplina pre cedente. Da tale premessa deve inferirsi che, mancando nell'art.

625 bis c.p.p. una norma diretta a regolare l'impugnazione straordinaria per errore di fatto delle decisioni della Corte di

cassazione anteriormente depositate, queste ultime restano sen

z'altro estranee al campo di applicazione della nuova disciplina. La conclusione è avvalorata da un duplice ordine di considera

zioni di complementare valore logico, individuabili, da un lato, nel richiamo al canone che conforma il regime delle impugna zioni alla normativa vigente all'epoca in cui si esaurisce il pro cedimento formativo del provvedimento e, dall'altro, nella cir

costanza che le decisioni della corte di legittimità emesse prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis conservano il crisma del

l'assoluta inoppugnabilità, ditalché il superamento di tale pecu liare connotato potrebbe avvenire soltanto eludendo il divieto

dell'estensione analogica di una disposizione indubbiamente

eccezionale.

Deve osservarsi, altresì, che la tesi favorevole all'ammissibi

lità del ricorso straordinario contro le decisioni della Corte di

cassazione già depositate al momento dell'entrata in vigore del

l'art. 625 bis c.p.p. non riesce a superare evidenti incongruenze

logiche connesse al problema dell'identificazione della data di

decorrenza del termine per la proposizione del ricorso medesi

mo. Infatti, individuare il dies a quo nella data di deposito della

sentenza — come, del resto, esplicitamente dispone l'art. 625

bis — significa ammettere che il decorso del termine possa av

venire, almeno in parte, prima che il condannato abbia acquisito la titolarità della facoltà di proporre l'impugnazione straordina

ria: con l'inevitabile risultato che, allorché tale facoltà sia dive

nuta azionabile a seguito dell'entrata in vigore della nuova di

sciplina, ogni singolo ricorrente dispone di un termine di impu

gnazione più o meno ampio a seconda della differente data di

deposito del provvedimento. Nella consapevolezza di tale diffi

coltà concettuale e delle evidenti aporie che ne conseguono, la

maggior parte della dottrina favorevole all'ammissibilità del ri

corso straordinario contro le decisioni già depositate fa decorre

re il termine dell'impugnazione straordinaria dalla data di en

trata in vigore della 1. n. 128 del 2001. L'opinione non può esse

re condivisa, in quanto si risolve nell'attribuzione all'interprete del potere di introdurre un'apposita norma transitoria attraverso

un'operazione ricostruttiva della disciplina consistente in una

palese alterazione del chiaro e preciso dettato normativo conte

nuto nell'art. 625 bis, che, al 2° comma, fa decorrere il termine

di centottanta giorni dalla data del deposito del provvedimento che forma oggetto del ricorso straordinario.

Alla luce delle precedenti argomentazioni deve dichiararsi

l'inammissibilità del ricorso straordinario proposto dal Degraft contro la sentenza n. 225 pronunciata il 22 gennaio 2001 dalla

terza sezione penale di questa corte e depositata in data 19 mar

zo 2001, prima dell'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n.

128, che, all'art. 6, 6° comma, ha inserito nel codice di procedu ra penale l'art. 625 bis.

4. - A norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con

danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non dover emettere condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in quanto l'esaminato contrasto di giurisprudenza fa escludere l'esistenza

di una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indicazioni

della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale (id,

2000,1, 3426).

Il Foro Italiano — 2002.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27

marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (conci,

conf.); ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 ago sto 2001.

Misure cautelari personali — Riesame — Richiesta del pub

blico ministero — Omessa o tardiva trasmissione al tribu

nale — Perdita di efficacia della misura — Esclusione

(Cod. proc. pen., art. 291, 309).

L 'omessa o tardiva trasmissione al tribunale del riesame della

richiesta di applicazione della misura formulata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 291 c.p.p. non ne determina la ca

ducazione a mente del 5° e 10° comma del successivo art. 309

in quanto trattasi di un atto di mero impulso processuale,

funzionale all'attivazione del procedimento e privo di rile

vanza sul quadro indiziario e cautelare emergente dagli ele

menti presentati a sostegno della stessa. (1)

(1) Una delle questioni sulle quali più frequentemente è chiamata a

pronunciarsi la giurisprudenza riguarda la completezza o meno degli atti che il p.m. deve inviare al tribunale per il riesame ai sensi dell'art.

309, 5° comma, c.p.p. La ragione è di tutta evidenza dopo che con l'art. 16 1. 8 agosto 1995 n. 332 sono stati modificati tale comma, fissando in

cinque giorni il termine per l'invio (da intendere come ricezione, se condo l'interpretazione delle sezioni unite: sentenza 29 ottobre 1997, Schillaci, Foro it., 1998, II, 81), nonché il successivo 10° comma che ne ha sancito la natura perentoria: l'incompletezza dell'invio, infatti,

può aprire all'interessato (nei casi più gravi) le porte del carcere a se

guito della perdita di efficacia che il citato 10° comma ricollega al

mancato, ancorché parziale (Cass. 14 luglio 1997, De Luca, id., Rep. 1997, voce Misure cautelari personali, n. 473; 24 ottobre 1996, D'O

riano, ibid., n. 503), invio degli atti in questione nel termine suddetto

(ex plurimis, Cass. 12 aprile 1999, Greco, id., Rep. 1999, voce cit., n.

345), rispetto a quelli trasmessi al g.i.p. per sostenere la richiesta (nel senso che la completezza dell'invio, fatta eccezione per il caso in cui si

ponga un problema di elementi sopravvenuti favorevoli all'indagato, va valutata con riferimento agli atti di cui all'art. 291, 1° comma, c.p.p., v.

Cass., sez. un., 26 settembre 2000, Mennuni, id., 2001, II, 217, in moti

vazione, e Cass. pen., 2001, 2652, con nota di De Amicis, Omessa tra smissione dei verbale dell'interrogatorio di «garanzia» e riesame del

provvedimento cautelare', Riv. it. dir. eproc. pen., 2001, 1016, con nota di Ponzetta, Elementi favorevoli alla persona sottoposta a custodia cautelare ed interrogatorio di «garanzia» a norma dell'art. 294 c.p.p.: diritti e oneri delle parti processuali nel procedimento di riesame).

Anteriormente alla riforma del 1995 non si era mai posto un proble ma di sanzioni processuali collegabili all'omesso invio della richiesta di applicazione della misura; in particolare, era stato affermato che l'autorità giudiziaria procedente è tenuta a trasmettere al tribunale del

riesame gli atti contenenti gli elementi su cui la richiesta di applicazio ne della misura cautelare è fondata, ma non la richiesta medesima, sal

vo che a ciò sia particolarmente sollecitata per l'insorgere di un pro blema di conformità del provvedimento emanato con la richiesta anzi detta (Cass. 18 aprile 1995, Iero, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 508;

analogamente, Cass. 8 giugno 1995, Latella, ibid., n. 507). La problematica affrontata dalla decisione in epigrafe si è posta —

ed il contrasto è insorto — con l'entrata in vigore della 1. n. 332, poten do, dall'invio o meno della richiesta, per le ragioni dianzi evidenziate, derivare la perdita di efficacia della misura.

Secondo un primo orientamento, emerso subito dopo la riforma, an che la mancanza, tra gli atti inviati al tribunale, della, sola richiesta del

p.m. fa ritenere inadempiuto l'obbligo a questi imposto dall'art. 309, 5°

comma, c.p.p., con conseguente perdita di efficacia della misura: Cass. 30 ottobre 1998, Girotto, id., Rep. 1999, voce cit., n. 382, per la quale

l'obbligo non può dirsi adempiuto con la trasmissione del solo «di schetto» di computer contenente la richiesta, non accompagnato dalla

relativa trascrizione (su tale specifico profilo la decisione è criticata da

Aprile, 1 procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Milano, 1999,

85, nota 74); 24 settembre 1996, Basanisi, Foro it., Rep. 1997, voce

cit., n. 508; 23 maggio 1996, Mazzara, id., Rep. 1996, voce cit., n. 596.

Meno univoche, rispetto a tali decisioni, sono Cass. 23 gennaio 2001, Hu Shoudeng, id., Rep. 2001, voce cit., n. 253, e 19 novembre 1998,

Vulluet, id., Rep. 1999, voce cit., n. 378, entrambe richiamate in moti

vazione, almeno a giudicare dalla massima che ne è stata estratta, poi ché non contengono alcuno specifico riferimento alla richiesta, limitan

dosi ad affermare che in tema di riesame di misure cautelari, la sanzio

ne di inefficacia della misura consegue automaticamente alla violazione

dell'obbligo di integrale trasmissione all'organo del riesame di tutti gli atti presentati al g.i.p.; ne consegue che non sussiste alcuna possibilità di selezione ad opera dell'autorità procedente né vi è, da parte del tri

bunale, possibilità di apprezzamento sulla rilevanza degli atti non tra

smessi. Un orientamento di segno opposto è prevalso, invece, in epoca più

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