sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl.conf.); ric. De Lorenzo. Dichiara inammissibile ricorso straordinario per errore di fattoavverso Cass. 14 giugno 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 535/536-557/558Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196868 .
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PARTE SECONDA
svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale».
In definitiva, quindi, il contenuto fortemente riduttivo della
previsione normativa espressa con l'art. 45 c.p.p. non è sovrap
ponibile all'area del «legittimo sospetto», e, d'altronde, la cor
retta applicazione di quella norma ha reso manifesta, non solo la
disarmonia con la legge delega, ma anche la lacuna normativa
rispetto a tutte le possibili cause che possono porre in pericolo
l'imparzialità del giudice o la libertà di determinazione delle
parti e dei testimoni.
Né tale lacuna può essere colmata in questa sede dilatando la
potenzialità interpretativa dell'art. 45, perché ciò equivarrebbe disattendere il contenuto della norma, negare valenza preclusiva ai presupposti tassativamente fissati e, quindi, sconfinare, come
si è già avuto occasione di rilevare, oltre il punto critico delle
possibili interpretazioni adeguatici. 11. - La. sollevata questione di legittimità costituzionale è
certamente rilevante.
È da premettere che gli imputati, specialmente il Berlusconi e
il Previti, nelle loro richieste di rimessione hanno ravvisato la
«grave situazione locale tale da turbare lo svolgimento del pro cesso e da pregiudicare la libertà di determinazione delle perso ne che partecipano al processo» in una nutrita serie di fatti, ai
fini dell'accertamento della sussistenza di un legittimo sospetto
sull'imparzialità del giudice e sulla libera determinazione delle
parti e dei testimoni nei processi in corso presso il Tribunale di
Milano.
Secondo i richiedenti, il primo, e il più significativo, di questi fatti è stato l'essersi trasformata la procura della repubblica di
Milano in un vero e proprio organismo politico «tale da condi
zionare, in certi momenti drammatici, le stesse istituzioni re
pubblicane», come si legge nel ricorso del Previti.
Procura che, oltre a consentire continue propalazioni concer
nenti, in molti casi, perfino notizie coperte dal segreto investi
gativo, ha rilasciato, dal dicembre 1993 al gennaio 2002, in par ticolare con il dr. Borrelli, capo della stessa, non poche dichia
razioni nei confronti e, spesso, contro gli imputati Berlusconi e
Previti. Quelle dichiarazioni e le successive iniziative assunte dal dr.
Borrelli nell'ottobre 2001 — iniziative che avevano coinvolto
magistrati della procura e giudici per «studiare una strategia contro gli imputati Berlusconi e Previti» — sono state, poi, il
segno della politicizzazione della magistratura milanese.
Le dichiarazioni, culminate nel discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario del 12 gennaio 2002, tenuto dal dr. Bor
relli nella sua qualità di procuratore generale presso la Corte
d'appello di Milano, sono state, inoltre, accompagnate da un'in
sistente compagna di stampa e da numerose manifestazioni di
piazza, quali la manifestazione organizzata al «Palavobis» il 23
febbraio 2002 e il «girotondo» intorno agli uffici giudiziari di Milano il 26 gennaio 2002, nel corso delle quali migliaia di per sone hanno inveito «con accenti durissimi, contro il presidente del consiglio in carica, in nome della parola d'ordine 'resistere,
resistere, resistere', lanciata dal dr. Borrelli nel discorso inaugu rale dell'anno giudiziario 2002».
Hanno assunto, infine, il valore di eloquente sintomo del pe ricolo della non imparzialità e della mancanza di serenità dei
giudici non pochi provvedimenti contra legem presi dai due
colleghi. 12. - Ebbene, i difensori, nel proporre la questione di legitti
mità costituzionale, hanno osservato che, ove non dovesse rav
visarsi il pericolo concreto di quella coartazione fisica o psichi ca, preclusiva di ogni scelta diversa dalla parzialità o dalla man
canza di serenità, nella quale consiste il pregiudizio della «li
bertà di determinazione delle persone che partecipano al proces so», la grave situazione locale, denunciata dagli imputati, giusti ficherebbe, quanto meno, il ragionevole dubbio, il «legittimo
sospetto», che il giudice possa non essere imparziale e sereno e
che possano non essere serene le altre persone che partecipano al processo, secondo il significato che la dottrina e la giurispru denza attribuiscono a questa più ampia formula ed è questa ine
quivoca prospettazione dei difensori che autorizza, senza ombra di dubbio, il giudizio di rilevanza della questione.
Se, infatti, dall'esame degli atti, allegati alle richieste di ri messione, dovesse emergere la grave situazione denunciata e se si dovesse ritenere che questa situazione, pur se non ha pregiu dicato, ovvero se non pregiudica, la libertà di determinazione
Il Foro Italiano — 2002.
del giudice e/o delle parti, così come questo pregiudizio viene e
deve essere inteso, alla luce della corretta interpretazione del
l'art. 45 c.p.p., è tale, però, da ingenerare almeno il forte so
spetto, nel senso attribuito al termine dalla dottrina e dalla giuris
prudenza, della non imparzialità del giudice o della non sere
nità delle persone che partecipano al processo, queste sezioni
unite non sarebbero in grado di decidere, sulla base della nor
mativa vigente, non consentendo il testo del codice perché privo del riferimento, pur previsto dalla legge delega, al «legittimo
sospetto» e dovrebbero limitarsi al rigetto delle richieste di ri
messione.
13. - Ciò premesso, disposta la riunione dei procedimenti, va
dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 c.p.p. in riferimento al
l'art. 2, n. 17,1. delega 16 febbraio 1987 n. 81, nella parte in cui
non prevede tra le cause di rimessione il «legittimo sospetto»; va disposta la sospensione del procedimento e va rigettata la ri
chiesta di sospensione dei processi non sussistendone i presup
posti, essendosi queste sezioni unite limitate a prendere atto
della prospettazione dei difensori prescindendo da ogni valuta
zione critica della denunciata situazione locale.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27
marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani
(conci, conf.); ric. De Lorenzo. Dichiara inammissibile ricor
so straordinario per errore di fatto avverso Cass. 14 giugno 2001.
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Decisioni impugnabili (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, interventi legislativi in
materia di tutela della sicurezza dei cittadini, art. 6). Cassazione penale
— Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica zione (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Errore di fatto — Omesso esame di un
motivo di ricorso per cassazione — Condizioni — Limiti
(Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6). Cassazione penale
— Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica bilità (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Inammissibilità pronunciata in esito
all'udienza — Forma della decisione — Sentenza (Cod.
proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
In tema di correzione dell 'errore di fatto, poiché la relativa ri
chiesta è ammessa solo a favore del condannato e l'art. 625
bis c.p.p. ha natura di norma eccezionale, che deroga al prin
cipio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas
sazione, possono costituire oggetto dell 'impugnazione straor
dinaria esclusivamente quei provvedimenti della Corte di cas
sazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e
non anche le decisioni emesse ali 'interno di procedimenti in
cidentali. (1)
(1-13) Le pronunce in rassegna — che si riportano, nelle parti in di
ritto, per intero, allo scopo di consentire le opportune letture coordinate
degli enunciati di principio e delle correlative fattispecie giudiziarie —
affrontano e risolvono un complesso di nodi problematici di primario rilievo concernenti l'inedito congegno del ricorso straordinario per er rore materiale o di fatto previsto dall'art. 625 bis c.p.p., interpolato dal l'art. 6, 6° comma, I. 26 marzo 2001 n. 128 (che il gergo ha, sin dall'i
nizio, battezzato come «pacchetto sicurezza»). Sull'istituto, cfr., fra gli altri, Bruno, Innovazioni e modifiche al giudizio di cassazione, in Le
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GIURISPRUDENZA PENALE
Sono estranei all'ambilo di applicazione del ricorso straordi
nario per errore materiale o di fatto gli errori di interpreta zione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la
supposta esistenza delle norme stesse o / 'attribuzione ad esse
di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indi rizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi
far valere — anche se risoltisi in travisamento del fatto —
soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordina
rie. (2) L'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà
luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625 bis
c.p.p. né determina incompletezza della motivazione della
sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il
motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso
perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della
motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e
giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza
medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assor
bite dall'esame di altro motivo preso in considerazione; l'o
messo esame di un motivo di ricorso per cassazione è, invece, riconducibile alla figura dell 'errore di fatto quando sia dipe so da vera e propria svista materiale, cioè da una disatten
zione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'er
ronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui pre senza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base
al semplice controllo del contesto del ricorso. (3) L 'operatività del ricorso straordinario non può essere limitata
alle decisioni relative all'accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall 'effetti va portata della norma, in quanto l'errore percettivo può ca
dere su qualsiasi dato fattuale. (4) In tema di procedimento per la correzione dell'errore di fatto,
ove il ricorso straordinario sia dichiarato inammissibile in
esito ali 'udienza la relativa pronuncia assume la forma della
sentenza, atteso che l'art. 625 bis, 4° comma, c.p.p. impone l'adozione dell'ordinanza nei soli casi in cui l'inammissibi
lità sia dichiarata de plano, senza l'instaurazione, del con
traddittorio, e che, al di fuori dei casi previsti da specifiche
disposizioni di legge, la sentenza individua la forma tipica delle decisioni della Corte di cassazione, siano esse adottate
nell'udienza pubblica o in quella camerale, partecipata e
non. (5)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27
marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani
(conci, conf.); ric. Basile. Dichiara inammissibile ricorso
straordinario per errore di fatto avverso Cass. 11 ottobre
2001.
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Decisioni impugnabili (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica zione (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Errore di fatto — Omesso esame di un
motivo di ricorso per cassazione — Condizioni — Limiti
(Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6). Cassazione penale
— Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Errore di fatto — Ambito di applica bilità (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Inammissibilità pronunciata in esito
all'udienza — Forma della decisione — Sentenza (Cod.
proc. pen., art. 625 bis; 1. 26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
nuove norme sulla tutela della sicurezza dei cittadini a cura di Span
gher, Milano, 2001, 111 ss.; G. Conti, Le nuove norme sul giudizio di
cassazione, in Processo penale: nuove norme sulla sicurezza dei citta dini a cura di Gaeta, Padova, 2001, 196 ss.; Fumu, Commento all'art. 6 I. 26 marzo 2001 n. 128, in Legislazione pen., 2002, 410 ss.; Iadecola,
Il Foro Italiano — 2002.
In tema di correzione dell 'errore di fatto, poiché la relativa ri
chiesta è ammessa solo a favore del condannato e l'art. 625
bis c.p.p. ha natura di norma eccezionale, che deroga al prin
cipio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas
sazione, possono costituire oggetto dell 'impugnazione straor
dinaria esclusivamente quei provvedimenti della Corte di cas sazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e
non anche le decisioni emesse ali 'interno di procedimenti in
cidentali. (6) Sono estranei all'ambito di applicazione del ricorso straordi
nario per errore materiale o di fatto gli errori di interpreta zione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la
supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse
di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indi
rizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi
far valere — anche se risoltisi in travisamento del fatto —
soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordina
rie. (7) L'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà
luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625 bis
c.p.p. né determina incompletezza della motivazione della
sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il
motivo proposto debba considerarsi implicitamente disùtteso
perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della
motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e
giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza
medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assor
bite dall'esame di altro motivo preso in considerazione; l'o
messo esame di un motivo di ricorso per cassazione è, invece, riconducibile alla figura dell 'errore di fatto quandg sia dipe so da vera e propria svista materiale, cioè da una disatten
zione dì ordine meramente percettivo che abbia causato l'er
ronea supposizione dell 'inesistenza della censura, la cui pre senza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base
al semplice controllo del contesto del ricorso. (8)
L'operatività del ricorso straordinario non può essere limitata
alle decisioni relative all'accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall'effetti va portata della norma, in quanto l'errore percettivo può ca
dere su qualsiasi dato fattuale. (9) In tema di procedimento per la correzione dell'errore di fatto,
ove il ricorso straordinario sia dichiarato inammissibile in
esito ali 'udienza la relativa pronuncia assume la forma della
sentenza, atteso che l'art. 625 bis, 4° comma, c.p.p. impone l'adozione dell'ordinanza nei soli casi in cui l'inammissibi
lità sia dichiarata de plano, senza l'instaurazione del con
traddittorio, e che, al di fuori dei casi previsti da specifiche
disposizioni di legge, la sentenza individua la forma tipica delle decisioni della Corte di cassazione, siano esse adottate
nell'udienza pubblica o in quella camerale, partecipata e
non. (10)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27 marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani
(conci, conf.); ric. Chiatellino. Dichiara inammissibile ricorso
straordinario per errore di fatto avverso Cass. 23 novembre
2000.
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Nuova normativa -— Omessa previsio ne di norme transitorie —
Proponibilità del ricorso
straordinario — Esclusione — Correzione di errori mate
riali — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 130, 625 bis', 1. 26
marzo 2001 n. 128, art. 6).
E inammissibile, in assenza di disposizioni transitorie, il ricorso
straordinario per errore di fatto proposto avverso provvedi menti della Corte di cassazione depositati prima della data di
entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p., introdotto dall'art.
6, 6° comma, l. 26 marzo 2001 n. 128. (11)
Il giudizio in Cassazione, in Dir. pen. e proc., 2001, 951 ss.; Riviezzo, Pacchetto sicurezza, Milano, 2001, 81 ss.; Santoro, Cassazione: sezio ne «ad hoc» per i ricorsi inammissibili, in Guida al dir., 2001, fase. 16,
spec. 52 ss. Per una prima lettura dei principi enunciati dalle decisioni
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PARTE SECONDA
Non è consentito il ricorso alla procedura dì correzione del
l'errore materiale, prevista dall'art. 130 c.p.p., per porre ri
medio ad errori di fatto contenuti in provvedimenti della
Corte di cassazione non sottoponibili, per ragioni di diritto
intertemporale, a ricorso straordinario per errore di fatto a
norma dell'art. 625 bis c.p.p. (12)
IV
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27
marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Silvestri, P.M. Toscani
(conci, conf.); ric. Degraft. Dichiara inammissibile ricorso
straordinario per errore di fatto avverso Cass. 25 gennaio 2001.
Cassazione penale — Ricorso straordinario per errore ma
teriale o di fatto — Nuova normativa — Omessa previsio ne di norme transitorie —
Proponibilità del ricorso
straordinario — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 625 bis; 1.
26 marzo 2001 n. 128, art. 6).
È inammissibile, in assenza di disposizioni transitorie, il ricorso
straordinario per errore di fatto proposto avverso provvedi menti della Corte di cassazione depositati prima della data di
entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p., introdotto dall'art.
6, 6° comma, l. 26 marzo 2001 n. 128. (13)
I
Osserva. — (Omissis). 4. - L'art. 552 c.p.p. del 1930 dispo neva che «tutti i provvedimenti della Corte di cassazione in
materia penale, anche se emessi dalle singole sezioni, sono
inoppugnabili» e la Corte costituzionale aveva riconosciuto la
conformità della norma ai principi della Carta fondamentale, chiarendo che l'inderogabilità della regola era giustificata dal
l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche controverse, dalla quale consegue che la stessa funzione della giurisdizione
postula un accertamento irrevocabile che chiuda definitivamente
il processo penale, «il cui momento terminale, ove siano esperiti i normali mezzi di impugnazione, è costituito dal giudizio e
dalla pronunzia della Corte di cassazione che, per il ruolo di su
premo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costi
tuzione (art. Ili, 2° comma), non può soffrire ulteriore sinda
cato ad opera di un giudice diverso» (Corte cost. 4 febbraio
1982, n. 21, Foro it., 1982,1, 626). Pur non figurando nel codice vigente una disposizione che
sancisca esplicitamente la regola dell'inoppugnabilità delle de
cisioni della Corte di cassazione, non è stata mai posta in dubbio
la persistente operatività del principio, considerato quale un po stulato del sistema processuale funzionalmente connaturato al
l'esercizio della giurisdizione. E proprio con riferimento al co dice vigente è stato precisato che «il principio della irrevocabi lità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di cassazione, oltre ad essere rispondente al fine di evitare la perpetuazione dei
giudizi e di conseguire un accertamento definitivo — il che co
stituisce, del resto, lo scopo stesso dell'attività giurisdizionale e realizza l'interesse fondamentale dell'ordinamento alla certezza
delle situazioni giuridiche — è pienamente conforme alla fun
zione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima
Corte di cassazione dall'art. 111 Cost.» (Corte cost. 5 luglio 1995, n. 294, id., Rep. 1995, voce Cassazione penale, n. 54). Mette conto anche di osservare che la Corte costituzionale ha
costantemente lasciato cadere le ripetute sollecitazioni, dettate
da evidenti esigenze di giustizia sostanziale, tendenti a provoca re una pronuncia additiva che aprisse un varco nel regime di as
soluta intangibilità delle decisioni della Cassazione e consentis
se di rimediare agli errori in esse contenuti, ritenendo che l'in
troduzione di un rimedio straordinario implichi una pluralità di
soluzioni e di modalità attuative, onde non può che costituire il
risultato di scelte discrezionali riservate al legislatore (sentenze
in epigrafe, con peculiare riguardo all'ambito applicativo dell'errore di fatto e ai profili procedimentali, cfr. Leo, Le sezioni unite precisano i
confini tra errore di fatto e materiale, id., 2002, fase. 26, 60 ss., e Ma
ri, Quando c 'è errore di fatto in Cassazione, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 20, 18 s.
Il Foro Italiano — 2002.
21/82, cit. e 294/95, cit.). Peraltro, il giudice delle leggi ha te nuto fermo il rifiuto di un intervento additivo, analogo a quello
compiuto per il processo civile con le sentenze n. 17 del 1986
(id., 1986, I, 313) e n. 36 del 1991 (id, 1991, I, 1033), con ri guardo agli errori di fatto, di tipo percettivo, relativi alla lettura
degli atti interni al giudizio di legittimità, precisando, tuttavia, che simili errori compromettono indebitamente l'effettività del
giudizio di cassazione e devono avere un necessario rimedio, che deve essere individuato dalla stessa Corte di cassazione al
l'interno dell'ordinamento processuale nell'esercizio della fun
zione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata (Corte cost. 28 luglio 2000, n. 395, id., Rep. 2000, voce Revisione pe
nale, n. 7). L'immanenza e la centralità del principio nel sistema proces
suale, in funzione di strumento di chiusura dello stesso, sono
state costantemente sottolineate dalla giurisprudenza di legitti mità rilevando che la giurisdizione, per sua intrinseca essenza, è
retta dalla «necessità di fissare definitivamente l'accertamento
giudiziale e di cristallizzare su determinati risultati la ricerca
della verità compiuta nel processo, nella consapevolezza che, nelle vicende umane, il vero ed il giusto possono essere rimessi
sempre in discussione e che esiste un momento in cui la dinami
ca processuale deve comunque arrestarsi per cedere il posto al
l'esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizio nali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali» (Cass., sez. I, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, id., 1998, II,
729). E proprio nel valore della certezza è stato individuato il
fondamento di vari istituti, che nell'inoppugnabilità dei provve dimenti della Corte di cassazione trovano specifica base giusti ficativa. In tale precisa prospettiva ricostruttiva del sistema delle
impugnazioni, è stato stabilito — con riferimento al delicato
problema del giudicato progressivo — che i limiti ai quali è
vincolato il giudice di rinvio «sono tutti riconducibili alla rile
vanza ed all'efficacia della sentenza pronunciata dalla Corte di
cassazione» e che «gli effetti preclusivi che impediscono al giu dice di rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a
quelli che conseguono alla delimitazione del contenuto dei mo
tivi di impugnazione: essi, infatti, sono diretta ed ineludibile conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di
cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annul
late ed a queste non necessariamente connesse» (Cass., sez. un., 23 novembre 1990, Agnese e altri, id., 1991, II, 376; 19 gennaio 2000, Tuzzolino, id., Rep. 2000, voce Cosa giudicata penale, n.
5). E, nella stessa ottica della definitività e della immodificabi lità dei provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione, sono
stati tracciati i rigorosi, tassativi, limiti di esperibilità della pro cedura di correzione degli errori materiali prevista dall'art. 130
c.p.p., nella quale è del tutto assente la funzione sostitutiva pro
pria dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, Armati, id., Rep. 1997, voce Cassazio
ne penale, nn. 56, 57; 18 maggio 1994, Armati, id., 1994, II, 617).
5. - L'assolutezza del principio dell'irrevocabilità delle deci sioni della Corte di cassazione ha subito indubbiamente una de
roga a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6, 6° comma, 1. 26
marzo 2001 n. 128, che, inserendo nel codice l'art. 625 bis, ha
introdotto l'istituto del ricorso straordinario, ammettendo, a fa
vore del condannato, la richiesta di correzione degli errori mate
riali o di fatto contenuti nei provvedimenti della corte di legit timità.
Deve, anzitutto, premettersi che è senz'altro condivisibile
l'opinione unanimamente espressa nei primi commenti delle di
sposizioni dell'art. 625 bis c.p.p., secondo cui nella previsione del ricorso straordinario sono accomunate due situazioni pro cessuali radicalmente diverse, alle quali corrispondono rimedi
nettamente differenti per struttura e per finalità.
La figura dell'errore materiale coincide, in tutto e per tutto, con quella che forma oggetto della disciplina dettata dall'art.
130 c.p.p., da sempre ritenuta pacificamente applicabile anche ai provvedimenti della Corte di cassazione penale. Tale tipo di
errore, comprensivo sia degli errori in senso stretto che delle
omissioni, consiste, nella sostanza, nel frutto di una svista, di un
lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giu dice e materiale rappresentazione grafica della stessa e la dif
formità tra il pensiero del decidente e l'estrinsecazione formale
dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e
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GIURISPRUDENZA PENALE
valutativo da cui scaturisce la decisione: questa, cioè, corri
sponde perfettamente a quanto rappresenta il contenuto della
deliberazione, dato che il vizio si risolve nella inadeguatezza della forma espressiva rispetto alla volontà effettiva. Il che
spiega la ragione per cui la correzione dell'errore materiale ha
una funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica
volta ad «armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione
con il suo reale contenuto» (Cass., sez. un., 18 maggio 1994,
Armati, cit.). La correzione dell'errore materiale riguarda, quin di, la sola documentazione grafica quale mezzo di manifestazio
ne della volontà giudiziale, regolarmente formatasi senza l'in
fluenza perturbatrice di quell'errore, tant'è che l'applicazione dell'art. 130 c.p.p. è stata considerata del tutto compatibile col
principio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas sazione, proprio perché rigorosamente circoscritta alla categoria
degli errori materiali che non determinano nullità e sono elimi
nabili senza una modificazione essenziale del provvedimento. 6. - Del tutto differente è la natura dell'errore di fatto. Questo
consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un
equivoco, nel quale la Corte di cassazione è incorsa nella lettura
degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato dall'influen za esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla
inesatta percezione delle risultanze processuali, il cui svisa
mento conduce ad una decisione diversa da quella che sarebbe
adottata senza l'errore di fatto.
in mancanza di una definizione nell'art. 625 bis c.p.p., nelle
prime pronunce di questa corte, al fine di delimitare la categoria dell'errore di fatto previsto in tale disposizione, si è ritenuto di
potere fare utile riferimento alla nozione dell'errore di fatto re
vocatorio delineata dall'art. 395, n. 4, c.p.c. ed espressamente richiamata dall'art. 391 bis c.p.c., con cui, dopo le sentenze
della Corte costituzionale n. 17 del 1986, cit., e n. 36 del 1991,
cit., è stato regolato il ricorso per la correzione degli errori ma
teriali e per la revocazione delle sentenze della Corte di cassa
zione civile. Alla luce del modello dell'errore revocatorio, è
stato, pertanto, precisato che si ha errore di fatto, ai sensi e per
gli effetti dell'art. 625 bis c.p.p., quando la decisione è fondata
sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente
esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la
cui verità è positivamente stabilita (Cass., sez. fer., 7 settembre
2001, Schiavone; sez. VI 30 ottobre 2001, Botteselle, id., Rep.
2001, voce cit., n. 58; sez. I 13 novembre 2001, Salerno). In una
siffatta ottica, in tutte le sentenze è stato sottolineato che l'erro
re di fatto postula inderogabilmente che lo sviamento della vo
lontà del giudice sia non solo decisivo, per essere stato determi
nante nella scelta della soluzione adottata, ma anche di oggetti va ed immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti
processuali deve fare trasparire, in modo diretto ed evidente
(vale a dire, ictu oculi), che la decisione è stata condizionata
dall'inesatta percezione e non dall'errata valutazione o dal non
corretto apprezzamento di quegli atti.
Pertanto, l'errore di fatto deve essere inteso in senso stretto, nella sua dimensione meramente percettiva, essendo i suoi con
fini rigidamente segnati dalla circostanza che in esso fa assoluto
difetto qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la Corte di cassazione è chiamata a pronunciare. Deve trarsene la
conseguenza che, qualora la causa dell'errore non sia identifica
bile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e presenti un qualsiasi contenuto valutativo, la qualificazione
appropriata è quella corrispondente all'errore di giudizio, non
all'errore di fatto, onde deve senz'altro escludersi la proponibi lità del ricorso straordinario.
7. - Le argomentazioni sin qui sviluppate rivelano, in modo
non equivoco, che l'art. 625 bis c.p.p. regola due distinti istituti:
l'uno è costituito dal ricorso per la correzione degli errori mate
riali presenti nel testo dei provvedimenti della Corte di cassa
zione; l'altro corrisponde al ricorso per l'eliminazione degli er
rori di fatto che hanno influito sul processo formativo della vo
lontà ed ha la finalità d rimuovere la decisione e di sostituirla
con quella che sarebbe stata deliberata senza quegli errori. Il ri
corso straordinario per errore di fatto ha, dunque, la funzione ti
pica di una impugnazione in senso tecnico, come è confermato
dalla circostanza che il 4° comma dell'art. 625 bis, nel disporre che la corte, «se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore», prefigura
— all'esito della
procedura camerale partecipata di cui all'art. 127 c.p.p. — ri
medi flessibili ed adattabili alle diverse situazioni, che permet
II Foro Italiano — 2002.
tono l'immediata pronuncia della nuova decisione, in luogo di
quella viziata dall'errore di fatto, ovvero, se necessario, la sola
caducazione di questa e la celebrazione del nuovo giudizio nelle
forme dell'udienza pubblica o della camera di consiglio. Per
tanto, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso straordinario per errore di fatto, il momento rescindente e quello rescissorio, pur restando concettualmente sempre distinguibili, possono essere
unificati o separati, secondo il prudente apprezzamento della
corte, in relazione alle peculiari connotazioni delle singole si
tuazioni processuali: in ogni caso, benché l'art. 625 bis si limiti
a parlare di «correzione», l'accoglimento del ricorso comporta una nuova decisione che sostituisce quella precedente.
Dalle precedenti riflessioni si evince che soltanto il ricorso
straordinario per errore di fatto ha natura di vero e proprio mez
zo di impugnazione, mentre il ricorso relativo all'errore mate.
riale rappresenta null'altro che uno strumento di correzione,
speciale rispetto a quella prevista dall'art. 130 c.p.p., senza al
cuna incidenza sul contenuto della decisione e con funzione di
mera rettifica della forma espressiva della volontà del giudice. La riprova più convincente può trarsi dalla stessa disciplina del
l'art. 625 bis c.p.p., che, pur prevedendo l'identico termine di
centottanta giorni per il ricorso nei riguardi dell'una e dell'altra
specie di errore, specifica, al 3° comma, che l'errore materiale
può essere rilevato, d'ufficio, in ogni momento e, al 4° comma,
che è inammissibile il ricorso per errore di fatto proposto dopo la scadenza del termine di centottanta giorni, confermando così
che soltanto quest'ultimo costituisce mezzo di impugnazione straordinaria dei provvedimenti della Corte di cassazione, nono
stante la loro definitività ed esecutività.
La ragione della previsione di una medesima normativa per due tipi di errore così diversi deve plausibilmente individuarsi
nel fatto che l'art. 625 bis c.p.p. è stato modellato sull'analoga
disciplina contenuta nell'art. 391 bis c.p.c., all'interno della
quale l'errore materiale è regolato accanto all'errore di fatto. La
consapevolezza di tale circostanza, di ordine estrinseco e con
tingente, deve contribuire a non offuscare la chiarezza concet
tuale indispensabile per la corretta differenziazione delle due
categorie di errore e dei distinti rimedi azionabili: e ciò è tanto
più vero se si tengono presenti le puntuali considerazioni — ri
ferite all'art. 391 bis c.p.c. ma sicuramente estensibili all'art.
625 bis c.p.p. — contenute nella sentenza della Corte costitu
zionale, che, nel dichiarare l'incostituzionalità della disposizio ne in cui è previsto un termine per la proposizione dell'istanza
di correzione degli errori materiali delle sentenze della Corte di
cassazione, ha sottolineato la diversità dell'errore materiale dal
l'errore di fatto, precisando che per il primo, e solo per esso,
l'esistenza di un termine di decadenza contrasta col canone di
ragionevolezza (sentenza n. 119 del 18 aprile 1996, id., 1996,1,
2321). 8. - I risultati dell'indagine permettono di fissare un punto di
primaria importanza sul piano ermeneutico, dal momento che
essi convergono univocamente nel porre in luce che il ricorso
per errore di fatto, quale mezzo straordinario di impugnazione,
rappresenta una evidente eccezione ad uno dei principi fonda
mentali dell'ordinamento processuale: quello della inoppugna bilità delle decisioni della Corte di cassazione, che, pur avendo
perduto il carattere della assolutezza per effetto, appunto, del
l'art. 625 bis c.p.p., resta uno dei cardini del sistema delle im
pugnazioni e della formazione del giudicato. Deve inferirsene
che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario per erro
re di fatto non sono suscettibili di applicazione analogica e,
dunque, non si applicano oltre i casi in esse considerati, in forza
del divieto sancito dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in
generale, proprio perché costituiscono deroga alla regola del
l'intangibilità dei provvedimenti del giudice di legittimità. Il carattere tassativo della normativa dettata dall'art. 625 bis
rende evidente che non può condividersi la pronuncia con cui è
stato ritenuto che il ricorso straordinario per errore di fatto sia
proponibile anche contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali de liberiate (Cass., sez. fer., 7 settembre 2001,
Schiavone, cit.). Invero, se si considera che l'art. 625 bis am
mette il ricorso soltanto «a favore del condannato» (1° comma)
e limita la legittimazione all'impugnazione straordinaria al pro
curatore generale e al condannato (2° comma), risulta palese che
il legislatore ha assunto come modello il contenuto della disci
plina della revisione (cfr. art. 629 e 632 c.p.p.), anch'essa cer
tamente di carattere eccezionale (Cass., sez. I, 21 settembre
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PARTE SECONDA
1999, Ilacqua, id., Rep. 2000, voce Revisione penale, n. 20; sez. II 2 dicembre 1998, Lucidi, id., Rep. 1999, voce cit., n. 21). Ne
segue che oggetto del ricorso straordinario possono essere sol
tanto le sentenze di condanna e che l'estensione a decisioni
emesse all'interno di procedimenti incidentali trova insuperabile
preclusione nel divieto dell'interpretazione analogica, come è
stato, del resto, esattamente ritenuto nella pronuncia con cui è
stato considerato inammissibile il ricorso per errore di fatto
contro la decisione adottata nel procedimento di rimessione del
processo a norma dell'art. 45 c.p.p. (Cass., sez. I, 7 febbraio
2002, Pili). 9. - Al fine di chiarire l'effettivo ambito applicativo della di
sciplina del ricorso straordinario per errore di fatto, occorre pre cisare che sono certamente estranei al campo di applicazione dell'art. 625 bis c.p.p. gli errori di interpretazione di norme giu ridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza
delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta por tata, anche quando siano dovuti all'ignoranza di indirizzi giuris
prudenziali consolidati. Ne consegue che 1 'error iuris, al pari dell'errore di giudizio o valutativo, non può mai essere fatto
valere a mezzo del ricorso straordinario, dato che, rispetto ad
esso, resta intatto il rigore del principio dell'intangibilità delle
decisioni della Corte di cassazione.
Deve osservarsi, altresì, che, nell'intento di definire la nozio
ne di errore di fatto, in una recente pronuncia di questa corte è
stato stabilito che l'art. 625 bis c.p.p. resta inapplicabile in caso
di omesso esame di un motivo di ricorso, sul rilievo che un tale
vizio dà origine ad un difetto di motivazione che non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale
(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, cit.). L'indirizzo interpretativo non può essere accolto nella sua
portata generalizzante e richiede le necessarie precisazioni ed i
dovuti approfondimenti. Preliminarmente va precisato che la mancanza della presa in
considerazione di un motivo di ricorso non dà causa ad un erro
re di fatto, né determina incompletezza della motivazione della
sentenza, allorquando, pur in mancanza di espressa disamina, la censura debba considerarsi implicitamente disattesa perché in
compatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che
compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima: dital
ché, in una simile evenienza, non può propriamente parlarsi di
omessa pronuncia su un motivo di ricorso né, ovviamente, di
decisione viziata da errore di fatto. Va rilevato, inoltre, che non
è configurabile l'errore di fatto neppure quando la corte, dopo avere esaminato un motivo di ricorso, abbia ritenuto assorbite le
altre censure, per la ragione che, in tale ipotesi, dette censure
sono state comunque valutate e se ne è reputata superflua la
trattazione per effetto dei risultati della disamina del motivo
preso in considerazione, giudicato, a ragione o a torto, dotato di
valore assorbente, sul piano logico-giuridico, rispetto a quello il cui esame è stato reputato ultroneo.
L'omesso esame di un motivo di ricorso è riconducibile, in
vece, nella figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di or dine meramente percettivo, che abbia causato l'erronea supposi zione dell'inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al
semplice controllo del contenuto del ricorso. Deve chiarirsi, tuttavia, che la sola possibilità di qualificare la predetta svista come errore di fatto non può giustificare, di per sé, l'accogli mento del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. in mancan za di una situazione in cui non sia verificabile un rapporto di de rivazione causale necessaria della decisione adottata dall'omes so esame del motivo di ricorso, nel senso che il risultato della deliberazione della Corte di cassazione non sarebbe cambiato, anche se fosse stata sottoposta a vaglio la censura dedotta dal ri corrente. La soluzione è imposta dall'inderogabile carattere de cisivo dell'errore di fatto, dovendo questo necessariamente tra
dursi, per legittimare il ricorso straordinario, nell'erronea sup posizione di un fatto realmente influente sull'esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provve dimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità. Per tanto, dalla decisività dell'errore di fatto deve trarsi il corollario che l'errore stesso resta irrilevante, agli effetti della disposizio ne di cui all'art. 625 bis, qualora i motivi di ricorso risultino in
fondati, ovvero inconferenti rispetto al tema di indagine e non
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dedotti con l'appello. E, con particolare riferimento all'omesso
esame di motivi infondati, in modo manifesto o non, è opportu no sottolineare che l'esclusione del ricorso straordinario trova
convincente base giustificativa non solo nell'indicato principio di decisività dell'errore, ma anche in evidenti esigenze di eco
nomia processuale e nella irragionevolezza di una conclusione
interpretativa, che, in caso di mancato esame di motivi privi di
fondatezza, rendesse necessaria la rescissione della precedente decisione del giudice di legittimità e la sostituzione della stessa
con una nuova decisione di contenuto perfettamente identico.
E stato sostenuto, da una parte della dottrina, che l'operatività del ricorso straordinario è limitata alle decisioni relative alle
questioni processuali, per le quali la Corte di cassazione è giu dice anche del fatto, sicché l'erronea supposizione, per essere
rilevante, dovrebbe inerire ad un error in procedendo dovuto ad
un difetto di percezione degli atti che formano oggetto di esame
nel giudizio di legittimità. In altri termini, dovrebbe trattarsi di errori denunciabili ai sensi dell'art. 606, 1° comma, lett. c),
c.p.p., rispetto ai quali «la corte di legittimità 'è giudice anche
del fatto' e, per risolvere la relativa questione, può — talora de
ve necessariamente — accedere all'esame dei relativi atti pro cessuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del
provvedimento impugnato ex art. 606, 1° comma, lett. e), sol
tanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione» (Cass., sez. un., 31 ottobre 2001, Policastro
e altri, id., 2002, II, 170). Una simile interpretazione restrittiva dell'ambito applicativo
dell'errore di fatto non è giustificata dall'effettiva portata del
l'art. 625 bis c.p.p. Infatti, non è controvertibile che la sentenza
impugnata, sottoposta al sindacato della corte, costituisce l'og
getto del giudizio di cassazione e che l'errore percettivo può an
che cadere su un dato fattuale, nei precisi termini, ovviamente, accertati dal giudice di merito. Anche in tale situazione l'errore
non nasce dall'interpretazione di un fatto storico e dalla valuta
zione della ricostruzione compiuta dal giudice di merito, ma da
una semplice svista materiale che ha portato a supporre erro
neamente l'esistenza o l'inesistenza di un fatto, che, al contra
rio, dal testo della sentenza impugnata risulta, ictu oculi, incon
trastabilmente escluso o positivamente stabilito: sicché si verte, anche in questo caso, nella situazione tipica dell'errore di fatto
di ordine meramente percettivo, che, incidendo su uno specifico dato fattuale ed essendo privo di qualsiasi implicazione valuta
tiva, può assumere valore determinante sul contenuto della deci sione e giustificare, dunque, l'accoglimento del ricorso straor
dinario. Infine, nel definire l'intrinseca consistenza dell'errore di fat
to, deve escludersi che nell'area del ricorso straordinario possa essere ricondotto l'errore percettivo non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferi
bile alla decisione del giudice di merito, potendo, in tale ipotesi, l'errore essere fatto valere soltanto nelle forme e nei limiti delle
impugnazioni ordinarie. Pertanto, il travisamento del fatto non
può legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. quando costituisca un vizio della decisione del giudice di meri to. La soluzione contraria, prospettata in talune posizioni della
dottrina, appare assolutamente priva di plausibilità logica e si
stematica se si considera che il travisamento non è deducibile come motivo di ricorso ai sensi dell'art. 606, 1° comma, lett. e) c.p.p., se non nei rigorosi limiti tracciati dalla giurisprudenza ormai costante di questa corte (cfr. Cass., sez. un., 30 aprile 1997, Dessimone e altri, id., 1998, II, 90; 26 settembre 2001, Pi sano, id., 2002, II, 461).
10. - L'applicazione dei principi dianzi illustrati pone in luce che non è riconducibile nel campo di applicazione dell'art. 625
bis c.p.p. nessuno degli asseriti errori denunciati con il ricorso
straordinario proposto dal De Lorenzo in data 14 febbraio 2002 avverso la sentenza n. 1051 in data 14 giugno 2001 della quinta sezione penale di questa corte, depositata il 21 dicembre 2001.
Con l'impugnazione straordinaria, il ricorrente ha premesso che — in relazione all'imputazione di associazione per delin quere, estesa a tutti i componenti del Comitato interministeriale
prezzi farmaci ed aggravata, quindi, a norma dell'art. 416, 1° e 5° comma, c.p.
— la sentenza di primo grado aveva limitato il reato associativo ai soli De Lorenzo, nel ruolo di promotore, Marone e Vittoria, con esclusione dell'aggravante del numero di associati superiore a dieci e che la Corte d'appello di Napoli, in
accoglimento dell'appello del p.m., aveva condannato il De Lo
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renzo per l'associazione per delinquere doppiamente aggravata, sul presupposto che il reato associativo fosse riferibile a tutti i
membri del Cip farmaci, precisando che dovevano considerarsi
«disattesi tutti gli argomenti difensivi di segno opposto». Il ri corrente ha, poi, dedotto che la Corte di cassazione, con la pre detta sentenza n. 1051 del 14 giugno 2001, ha accolto il motivo
di ricorso riguardante l'insussistenza dell'aggravante del nume
ro degli associati, prevista dal 5° comma dell'art. 416 c.p., ed ha
pronunciato l'annullamento senza rinvio, rideterminando il
trattamento sanzionatorio mediante l'eliminazione dell'aumento
di pena stabilito dal giudice di appello per la citata aggravante. Così statuendo, però, la Corte di cassazione ha omesso di esa
minare — ad avviso del ricorrente — le doglianze mosse contro
la ritenuta configurabilità del reato associativo, limitato a tre
persone, né si è resa conto della necessità di pronunciare l'an
nullamento con rinvio, in modo da consentire al giudice di me
rito la disamina di dette doglianze e da fare accertare quale fos
se il reato più grave ai fini della continuazione.
Le deduzioni del ricorrente non integrano, in alcuno dei pro fili prospettati, l'errore di fatto nei sensi precedentemente preci sati.
In primo luogo, deve porsi in risalto che, nella sentenza n.
1051 del 14 giugno 2001 (pag. 69 ss.), la quinta sezione penale di questa corte, nell'esaminare il ventiduesimo motivo di ricor
so, ha dato atto che il ricorrente aveva contestato non solo l'ag
gravante relativa al numero delle persone, ma anche la «ipotiz zabilità oggettiva dell'associazione per delinquere» in relazione
alla «evidenziata contrapposizione tra due gruppi operativi» esi
stenti all'interno del Cip farmaci, ritenendo che «le doglianze ri
ferite ad insussistenza di associazione per delinquere ed a nega zione del ruolo di promotore risultano destituite di fondamento»
ed indicando gli elementi che comprovano l'esistenza del rap
porto associativo tra il De Lorenzo, il Marone e il Vittoria. La
motivazione della sentenza della corte di legittimità si conclude
con l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416, 5° comma,
c.p., «restando assorbito l'esame di ogni ulteriore connessa do
glianza». I precedenti rilievi rendono palese che nel caso di specie non
è configurabile un errore di fatto, di natura meramente percetti
va, che abbia fatto sorgere nella Corte di cassazione l'errata
supposizione dell'inesistenza del tema di indagine vertente sulla
configurabilità del reato associativo limitato a tre persone, in
quanto l'argomento è stato esplicitamente esaminato e deciso. Il
ricorrente può dolersi, in ipotesi, della circostanza che il Supre mo collegio avrebbe dovuto riservare al giudice di rinvio l'esa
me delle doglianze concernenti l'insussistenza del reato asso
ciativo, ristretto a tre persone, dato che esse implicavano ap
prezzamenti di fatto preclusi al giudice di legittimità. Tuttavia, è
evidente che l'eventuale superamento dei limiti propri del giu dizio di cassazione non può essere classificato all'interno della
figura dell'errore di fatto ex art. 625 bis c.p.p., dovendo comun
que escludersi che esso abbia avuto origine da un errore percet
tivo, da una svista materiale, e dovendo, semmai, considerarsi
come il risultato di un errore di giudizio, determinato dalla non
corretta applicazione delle regole giuridiche che definiscono i
poteri di cognizione della corte di legittimità. Inoltre, costituisce indubbiamente frutto di errore di diritto, e non di errore di fatto, anche la denunciata illegittimità della pronuncia di annulla
mento senza rinvio in ordine all'individuazione del reato più
grave ai fini della determinazione della pena base sulla quale
applicare gli aumenti per la continuazione ritenuta fra i reati per i quali il De Lorenzo è stato condannato: ditalché, neanche sotto
tale particolare profilo, è possibile riconoscere l'esistenza delle
ineludibili condizioni richieste per la proposizione del ricorso
straordinario.
Non sono individuabili gli estremi dell'errore di fatto neppure in riferimento alla pronuncia relativa al reato di cui al capo 42
contestato al De Lorenzo (corruzione per la ricezione della
somma di lire 60.000.000 consegnata da Humpert Bernt, presi dente della società farmaceutica Pzifer Italiana), rispetto al
quale la sentenza d'appello conterrebbe una motivazione che si
riduceva ad un mero richiamo alla motivazione riguardante l'af
fermazione di responsabilità per il reato al capo 23 (corruzione
per avere ricevuto da Giampaolo Zambeletti, titolare dell'omo
nima impresa farmaceutica, la somma di lire 50.000.000, non
ché regali per un valore di circa 400.000.000 di lire e la dispo nibilità di alcuni viaggi aerei). Ne deriva, ad avviso del ricor
II Foro Italiano — 2002.
rente, che l'annullamento senza rinvio pronunciato dalla Corte
di cassazione per il capo 23 rendeva consequenziale l'annulla
mento della sentenza d'appello per il capo 42.
In proposito deve sottolinearsi, anzitutto, che la Corte d'ap
pello di Napoli non ha motivato per relationem, in quanto nella
sentenza di secondo grado sono state sviluppate autonome e di
stinte argomentazioni relativamente all'interpretazione delle
prove dei due differenti episodi corruttivi, sulla cui base è stata
giustificata la condanna per il reato di cui al capo 23 (v. pag. 201 ss.) e per quello di cui al capo 42 (v. pag. 243 ss.). Se, poi, si tiene presente che questa corte ha annullato senza rinvio la
condanna per il capo 23 a causa della mancanza dei riscontri
esterni alle dichiarazioni accusatorie del coimputato Zambeletti
(v. pag. 64-65 della sentenza 1051/01) e ha ritenuto inammissi
bili le censure vertenti sul capo 42 perché rivolte a provocare una rivalutazione di merito (v. pag. 60 della stessa sentenza), ri
esce davvero arduo comprendere la ragione per cui dall'annul
lamento per il capo 23 avrebbe dovuto necessariamente conse
guire la caducazione della sentenza d'appello anche per il capo 42.
Mancano di pregio, altresì, le deduzioni relative alla configu rabilità di un errore di fatto in ordine all'imputazione di cui al
capo 11 (corruzione per la ricezione della somma complessiva di lire 300.000.000 dalla Inverni Della Beffa s.p.a.) in riferi mento al fatto che la sentenza d'appello aveva indicato come
presupposto il reato associativo esteso a tutti i componenti del
Cip farmaci. Sul punto la sentenza 1051/01 di questa corte ha
osservato che l'apparato motivazionale della decisione di se
condo grado «resiste ai rilievi di incoerenza e di incompletezza»
(v. pag. 57) e che «il procedimento argomentativo della senten
za impugnata non tralascia l'approfondimento di ogni rilevante
acquisizione probatoria, pervenendo alla affermazione della
colpevolezza dell'imputato con ragionamento assolutamente
immune dai vizi logici denunziati» (v. pag. 58). Deve trarsene la conseguenza che la Corte di cassazione ha indubbiamente prov veduto alla disamina del motivo di ricorso concernente il reato
di cui al capo 11 e che la relativa pronuncia non può considerar
si viziata da errore percettivo, ma, caso mai, da un errore di na
tura tipicamente valutativa.
In conclusione, il ricorso straordinario deve dichiararsi
inammissibile per la non configurabilità dell'errore di fatto, con
la precisazione che tale pronuncia deve assumere la forma della
sentenza. Deve sottolinearsi, sul punto, che il 4° comma del
l'art. 625 bis stabilisce che è pronunciata ordinanza nel caso in
cui l'inammissibilità sia dichiarata de plano, senza l'instaura
zione del contraddittorio, se il ricorso straordinario è stato pro
posto fuori dell'ipotesi prevista al 1° comma o, per l'errore di
fatto, dopo la scadenza del termine previsto al 2° comma, ovve
ro perché manifestamente infondato. La precisa delimitazione
posta dalla norma comporta che la decisione deve essere emessa
con sentenza, e non con ordinanza, nell'ipotesi in cui la dichia
razione di inammissibilità venga adottata non a seguito di deli
bazione preliminare, ma a conclusione del procedimento in ca
mera di consiglio, nel contraddittorio delle parti, dato che — al
di fuori dei casi previsti da specifiche disposizioni di legge — la sentenza corrisponde all'ordinaria forma delle decisioni della
Corte di cassazione, anche se dichiarative dell'inammissibilità
del ricorso, siano esse adottate nell'udienza pubblica o nel pro cedimento in camera di consiglio, partecipato o non partecipato.
Infine, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con
danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non emettere condanna al pagamento di
una somma a favore della cassa delle ammende, non potendosi ravvisare una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indi
cazioni della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale
(id., 2000,1, 3426), nei termini nei quali sono state applicate da
queste sezioni unite (cfr. sent. 27 giugno 2001, Cavalera, id.,
2001,11,564).
II
Osserva. — (Omissis). 3. - L'art. 552 c.p.p. del 1930 dispo neva che «tutti i provvedimenti della Corte di cassazione in
materia penale, anche se emessi dalle singole sezioni, sono
inoppugnabili» e la Corte costituzionale aveva riconosciuto la
conformità della norma ai principi della Carta fondamentale, chiarendo che l'inderogabilità della regola era giustificata dal
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PARTE SECONDA
l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche controverse, dalla quale consegue che la stessa funzione della giurisdizione
postula un accertamento irrevocabile che chiuda definitivamente
il processo penale, «il cui momento terminale, ove siano esperiti i normali mezzi di impugnazione, è costituito dal giudizio e
dalla pronunzia della Corte di cassazione che, per il ruolo di su
premo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costi
tuzione (art. Ili, 2° comma), non può soffrire ulteriore sinda
cato ad opera di un giudice diverso» (Corte cost. 4 febbraio
1982, n. 21, Foro it., 1982,1, 626). Pur non figurando nel codice vigente una disposizione che
sancisca esplicitamente la regola dell'inoppugnabilità delle de
cisioni della Corte di cassazione, non è stata mai posta in dubbio
la persistente operatività del principio, considerato quale un po stulato del sistema processuale funzionalmente connaturato al
l'esercizio della giurisdizione. E proprio con riferimento al co
dice vigente è stato precisato che «il principio della irrevocabi
lità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di cassazione, oltre ad essere rispondente al fine di evitare la perpetuazione dei
giudizi e di conseguire un accertamento definitivo — il che co
stituisce, del resto, lo scopo stesso dell'attività giurisdizionale e
realizza l'interesse fondamentale dell'ordinamento alla certezza
delle situazioni giuridiche — è pienamente conforme alla fun
zione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima Corte di cassazione dall'art. 111 Cost.» (Corte cost. 5 luglio 1995, n. 294, id., Rep. 1995, voce Cassazione penale, n. 54). Mette conto anche di osservare che la Corte costituzionale ha
costantemente lasciato cadere le ripetute sollecitazioni, dettate
da evidenti esigenze di giustizia sostanziale, tendenti a provoca re una pronuncia additiva che aprisse un varco nel regime di as
soluta intangibilità delle decisioni della Cassazione e consentis
se di rimediare agli errori in esse contenuti, ritenendo che l'in
troduzione di un rimedio straordinario implichi una pluralità di
soluzioni e di modalità attuative, onde non può che costituire il
risultato di scelte discrezionali riservate al legislatore (sentenze
21/82, cit. e 294/95, cit.). Peraltro, il giudice delle leggi ha te nuto fermo il rifiuto di un intervento additivo, analogo a quello
compiuto per il processo civile con le sentenze n. 17 del 1986
(id., 1986, I, 313) e n. 36 del 1991 (id., 1991, I, 1033), con ri guardo agli errori di fatto, di tipo percettivo, relativi alla lettura
degli atti interni al giudizio di legittimità, precisando, tuttavia, che simili errori compromettono indebitamente l'effettività del
giudizio di cassazione e devono avere un necessario rimedio, che deve essere individuato dalla stessa Corte di cassazione al
l'interno dell'ordinamento processuale nell'esercizio della fun
zione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata (Corte cost. 28 luglio 2000, n. 395, id., Rep. 2000, voce Revisione pe nale, n. 7).
L'immanenza e la centralità del principio nel sistema proces suale, in funzione di strumento di chiusura dello stesso, sono
state costantemente sottolineate dalla giurisprudenza di legitti mità, rilevando che la giurisdizione, per sua intrinseca essenza, è retta dalla «necessità di fissare definitivamente l'accertamento
giudiziale e di cristallizzare su determinati risultati la ricerca
della verità compiuta nel processo, nella consapevolezza che, nelle vicende umane, il vero ed il giusto possono essere rimessi
sempre in discussione e che esiste un momento in cui la dinami
ca processuale deve comunque arrestarsi per cedere il posto al
l'esigenza di certezza e di stabilità delle decisioni giurisdizio nali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali»
(Cass., sez. 1, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, id., 1998, II,
729). E proprio nel valore della certezza è stato individuato il
fondamento di vari istituti, che nell'inoppugnabilità dei provve dimenti della Corte di cassazione trovano specifica base giusti ficativa. In tale precisa prospettiva ricostruttiva del sistema delle
impugnazioni, è stato stabilito — con riferimento al delicato
problema del giudicato progressivo — che i limiti ai quali è vincolato il giudice di rinvio «sono tutti riconducibili alla rile vanza ed all'efficacia della sentenza pronunciata dalla Corte di
cassazione» e che «gli effetti preclusivi che impediscono al giu dice di rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a
quelli che conseguono dalla delimitazione del contenuto dei motivi di impugnazione: essi, infatti, sono diretta ed ineludibile
conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di
cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annul
late ed a queste non necessariamente connesse» (Cass., sez. un.,
Il Foro Italiano — 2002.
23 novembre 1990, Agnese e altri, id., 1991, II, 376; 19 gennaio 2000, Tuzzolino, id., Rep. 2000, voce Cosa giudicata penale, n.
5). E, nella stessa ottica della definitività e della immodificabi
lità dei provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione, sono
stati tracciati i rigorosi, tassativi, limiti di esperibilità della pro cedura di correzione degli errori materiali prevista dall'art. 130
c.p.p., nella quale è del tutto assente la funzione sostitutiva pro
pria dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, Armati, id., Rep. 1997, voce Cassazio
ne penale, nn. 56, 57; 18 maggio 1994, Armati, id., 1994, II,
617). 4. - L'assolutezza del principio dell'irrevocabilità della deci
sioni della Corte di cassazione ha subito indubbiamente una de
roga a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6, 6° comma, 1. 26
marzo 2001 n. 128, che, inserendo nel codice l'art. 625 bis, ha
introdotto l'istituto del ricorso straordinario, ammettendo, a fa
vore del condannato, la richiesta di correzione degli errori mate
riali o di fatto contenuti nei provvedimenti della corte di legit timità.
Deve, anzitutto, premettersi che è senz'altro condivisibile
l'opinione unanimamente espressa nei primi commenti delle di
sposizioni dell'art. 625 bis c.p.p., secondo cui nella previsione del ricorso straordinario sono accomunate due situazioni pro cessuali radicalmente diverse, alle quali corrispondono rimedi
nettamente differenti per struttura e per finalità.
La figura dell'errore materiale coincide, in tutto e per tutto, con quella che forma oggetto della disciplina dettata dall'art.
130 c.p.p., da sempre ritenuta pacificamente applicabile anche
ai provvedimenti della Corte di cassazione penale. Tale tipo di
errore, comprensivo sia degli errori in senso stretto che delle
omissioni, consiste, nella sostanza, nel frutto di una svista, di un
lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giu dice e materiale rappresentazione grafica della stessa e la dif
formità tra il pensiero del decidente e l'estrinsecazione formale
dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e
valutativo da cui scaturisce la decisione: questa, cioè, corri
sponde perfettamente a quanto rappresenta il contenuto della
deliberazione, dato che il vizio si risolve nella inadeguatezza della forma espressiva rispetto alla volontà effettiva. Il che
spiega la ragione per cui la correzione dell'errore materiale ha
una funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica
volta ad «armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione
con il suo reale contenuto» (Cass., sez. un., 18 maggio 1994,
Armati, cit.). La correzione dell'errore materiale riguarda, quin di, la sola documentazione grafica quale mezzo di manifestazio
ne della volontà giudiziale, regolarmente formatasi senza l'in
fluenza perturbatrice di quell'errore, tant'è che l'applicazione dell'art. 130 c.p.p. è stata considerata del tutto compatibile col
principio dell'inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cas
sazione, proprio perché rigorosamente circoscritta alla categoria
degli errori materiali che non determinano nullità e sono elimi
nabili senza una modificazione essenziale del provvedimento. 5. - Del tutto differente è la natura dell'errore di fatto. Questo
consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un
equivoco, nel quale la Corte di cassazione è incorsa nella lettura
degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato dall'influen
za esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla
inesatta percezione delle risultanze processuali, il cui svisa
mento conduce ad una decisione diversa da quella che sarebbe
adottata senza l'errore di fatto.
In mancanza di una definizione nell'art. 625 bis c.p.p., nelle
prime pronunce di questa corte, al fine di delimitare la categoria dell'errore di fatto previsto in tale disposizione, si è ritenuto di
potere fare utile riferimento alla nozione dell'errore di fatto re
vocatorio delineata dall'art. 395, n. 4, c.p.c. ed espressamente richiamata dall'art. 391 bis c.p.c., con cui, dopo le sentenze
della Corte costituzionale n. 17 del 1986, cit., e n. 36 del 1991,
cit., è stato regolato il ricorso per la correzione degli errori ma
teriali e per la revocazione delle sentenze della Corte di cassa
zione civile. Alla luce del modello dell'errore revocatorio, è
stato, pertanto, precisato che si ha errore di fatto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 625 bis c.p.p., quando la decisione è fondata
sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente
esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la
cui verità è positivamente stabilita (Cass., sez. fer., 7 settembre
2001, Schiavone; sez. VI 30 ottobre 2001, Botteselle, id., Rep. 2001, voce cit., n. 58; sez. I 13 novembre 2001, Salerno). In una
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GIURISPRUDENZA PENALE
siffatta ottica, in tutte le sentenze è stato sottolineato che l'erro
re di fatto postula inderogabilmente che lo sviamento della vo
lontà del giudice sia non solo decisivo, per essere stato determi
nante nella scelta della soluzione adottata, ma anche di oggetti va ed immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti
processuali deve fare trasparire, in modo diretto ed evidente
(vale a dire, ìctu oculi), che la decisione è stata condizionata
dall'inesatta percezione e non dall'errata valutazione o dal non
corretto apprezzamento di quegli atti.
Pertanto, l'errore di fatto deve essere inteso in senso stretto, nella sua dimensione meramente percettiva, essendo i suoi con
fini rigidamente segnati dalla circostanza che in esso fa assoluto
difetto qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la
Corte di cassazione è chiamata a pronunciare. Deve trarsene la
conseguenza che, qualora la causa dell'errore non sia identifica
bile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e presenti un qualsiasi contenuto valutativo, la qualificazione
appropriata è quella corrispondente all'errore di giudizio, non
all'errore di fatto, onde deve senz'altro escludersi la proponibi lità del ricorso straordinario.
6. - Le argomentazioni sin qui sviluppate rivelano, in modo
non equivoco, che l'art. 625 bis c.p.p. regola due distinti istituti:
l'uno è costituito dal ricorso per la correzione degli errori mate
riali presenti nel testo dei provvedimenti della Corte di cassa
zione; l'altro corrisponde al ricorso per l'eliminazione degli er
rori di fatto che hanno influito sul processo formativo della vo
lontà ed ha la finalità di rimuovere la decisione e di sostituirla
con quella che sarebbe stata deliberata senza quegli errori. Il ri
corso straordinario per errore di fatto ha, dunque, la funzione ti
pica di una impugnazione in senso tecnico, come è confermato
dalla circostanza che il 4° comma dell'art. 625 bis, nel disporre che la corte, «se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore», prefigura
— all'esito della
procedura camerale partecipata di cui all'art. 127 c.p.p. — ri
medi flessibili ed adattabili alle diverse situazioni, che permet tono l'immediata pronuncia della nuova decisione, in luogo di
quella viziata dall'errore di fatto, ovvero, se necessario, la sola
caducazione di questa e la celebrazione del nuovo giudizio nelle
forme dell'udienza pubblica o della camera di consiglio. Per
tanto, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso straordinario per errore di fatto, il momento rescindente e quello rescissorio, pur restando concettualmente sempre distinguibili, possono essere
unificati o separati, secondo il prudente apprezzamento della
corte, in relazione alle peculiari connotazioni delle singole si
tuazioni processuali: in ogni caso, benché l'art. 625 bis si limiti
a parlare di «correzione», l'accoglimento del ricorso comporta una nuova decisione che sostituisce quella precedente.
Dalle precedenti riflessioni si evince che soltanto il ricorso
straordinario per errore di fatto ha natura di vero e proprio mez
zo di impugnazione, mentre il ricorso relativo all'errore mate
riale rappresenta null'altro che uno strumento di correzione,
speciale rispetto a quella prevista dall'art. 130 c.p.p., senza al
cuna incidenza sul contenuto della decisione e con funzione di
mera rettifica della forma espressiva della volontà del giudice. La riprova più convincente può trarsi dalla stessa disciplina del
l'art. 625 bis c.p.p., che, pur prevedendo l'identico termine di
centottanta giorni per il ricorso nei riguardi dell'una e dell'altra
specie di errore, specifica, al 3° comma, che l'errore materiale
può essere rilevato, d'ufficio, in ogni momento e, al 4° comma, che è inammissibile il ricorso per errore di fatto proposto dopo la scadenza del termine di centottanta giorni, confermando così
che soltanto quest'ultimo costituisce mezzo di impugnazione straordinaria dei provvedimenti della Corte di cassazione, nono
stante la loro definitività ed esecutività.
La ragione della previsione di una medesima normativa per due tipi di errore così diversi deve plausibilmente individuarsi
nel fatto che l'art. 625 bis c.p.p. è stato modellato sull'analoga
disciplina contenuta nell'art. 391 bis c.p.c., all'interno della
quale l'errore materiale è regolato accanto all'errore di fatto. La
consapevolezza di tale circostanza, di ordine estrinseco e con
tingente, deve contribuire a non offuscare la chiarezza concet
tuale indispensabile per la corretta differenziazione delle due
categorie di errore e dei distinti rimedi azionabili: e ciò è tanto più vero se si tengono presenti le puntuali considerazioni — ri
ferite all'art. 391 bis c.p.c. ma sicuramente estensibili all'art.
625 bis c.p.p. — contenute nella sentenza della Corte costitu
zionale, che, nel dichiarare l'incostituzionalità della disposizio
II Foro Italiano — 2002.
ne in cui è previsto un termine per la proposizione dell'istanza
di correzione degli errori materiali delle sentenze della Corte di
cassazione, ha sottolineato la diversità dell'errore materiale dal
l'errore di fatto, precisando che per il primo, e solo per esso, l'esistenza di un termine di decadenza contrasta col canone di
ragionevolezza (sentenza n. 119 del 18 aprile 1996, id., 1996, I, 2321).
7. - I risultati dell'indagine permettono di fissare un punto di
primaria importanza sul piano ermeneutico, dal momento che
essi convergono unicamente nel porre in luce che il ricorso per errore di fatto, quale mezzo straordinario di impugnazione, rap
presenta una evidente eccezione ad uno dei principi fondamen
tali dell'ordinamento processuale: quella della inoppugnabilità delle decisioni della Corte di cassazione, che, pur avendo per duto il carattere della assolutezza per effetto, appunto, dell'art.
625 bis c.p.p., resta uno dei cardini del sistema delle impugna zioni e della formazione del giudicato. Deve inferirsene che le
disposizioni regolatrici del ricorso straordinario per errore di
fatto non sono suscettibili di applicazione analogica e, dunque, non si applicano oltre i casi in esse considerati, in forza del di
vieto sancito dall'art. 14 disp. sulla legge in generale, proprio
perché costituiscono deroga alla regola dell'intangibilità dei
provvedimenti del giudice di legittimità. Il carattere tassativo della normativa dettata dall'art. 625 bis
rende evidente che non può condividersi la pronuncia con cui è
stato ritenuto che il ricorso straordinario per errore di fatto sia
proponibile anche contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali de liberiate (Cass., sez. fer., 7 settembre 2001,
Schiavone, cit.). Invero, se si considera che l'art. 625 bis am
mette il ricorso soltanto «a favore del condannato» (1° comma) e limita la legittimazione all'impugnazione straordinaria al pro curatore generale e al condannato (2° comma), risulta palese che
il legislatore ha assunto come modello il contenuto della disci
plina della revisione (cfr. art. 629 e 632 c.p.p.), anch'essa cer
tamente di carattere eccezionale (Cass., sez. I, 21 settembre
1999, Ilacqua, id.. Rep. 2000, voce Revisione penate, n. 20; sez.
II 2 dicembre 1998, Lucidi, id., Rep. 1999, voce cit., n. 21). Ne segue che oggetto del ricorso straordinario possono essere sol
tanto le sentenze di condanna e che l'estensione a decisioni
emesse all'interno di procedimenti incidentali trova insuperabile
preclusione nel divieto dell'interpretazione analogica, come è
stato, del resto, esattamente ritenuto nella pronuncia con cui è
stato considerato inammissibile il ricorso per errore di fatto
contro la decisione adottata nel procedimento di rimessione del
processo a norma dell'art. 45 c.p.p. (Cass., sez. I, 7 febbraio
2002, Pili). 8. - Al fine di chiarire l'effettivo ambito applicativo della di
sciplina del ricorso straordinario per errore di fatto, occorre pre cisare che sono certamente estranei al campo di applicazione dell'art. 625 bis c.p.p. gli errori di interpretazione di norme giu ridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza
delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta por tata, anche quando siano dovuti all'ignoranza di indirizzi giuris
prudenziali consolidati. Ne consegue che l'errar iuris, al pari dell'errore di giudizio o valutativo, non può mai essere fatto
valere a mezzo del ricorso straordinario, dato che, rispetto ad
esso, resta intatto il rigore del principio dell'intangibilità delle
decisioni della Corte di cassazione.
Deve osservarsi, altresì, che, nell'intento di definire la nozio
ne di errore di fatto, in una recente pronuncia di questa corte è
stato stabilito che l'art. 625 bis c.p.p. resta inapplicabile in caso
di omesso esame di un motivo di ricorso, sul rilievo che un tale
vizio dà origine ad un difetto di motivazione che non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale
(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, cit.). L'indirizzo interpretativo non può essere accolto nella sua
portata generalizzante e richiede le necessarie precisazioni ed i
dovuti approfondimenti. Preliminarmente va precisato che la mancanza della presa in
considerazione di un motivo di ricorso non dà causa ad un erro
re di fatto, né determina incompletezza della motivazione della
sentenza, allorquando, pur in mancanza di espressa disamina, la
censura debba considerarsi implicitamente disattesa perché in
compatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che
compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima: dital
ché, in una simile evenienza, non può propriamente parlarsi di
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PARTE SECONDA
omessa pronuncia su un motivo di ricorso né, ovviamente, di
decisione viziata da errore di fatto. Va rilevato, inoltre, che non
è configurabile l'errore di fatto neppure quando la corte, dopo avere esaminato un motivo di ricorso, abbia ritenuto assorbite le
altre censure, per la ragione che, in tale ipotesi, dette censure
sono state comunque valutate e se ne è reputata superflua la
trattazione per effetto dei risultati della disamina del motivo
preso in considerazione, giudicato, a ragione o a torto, dotato di
valore assorbente, sul piano logico-giuridico, rispetto a quello il
cui esame è stato reputato ultroneo.
L'omesso esame di un motivo di ricorso è riconducibile, in
vece, nella figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una
vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di or
dine meramente percettivo, che abbia causato l'erronea supposi zione dell'inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al
semplice controllo del contenuto del ricorso. Deve chiarirsi,
tuttavia, che la sola possibilità di qualificare la predetta svista
come errore di fatto non può giustificare, di per sé, l'accogli mento del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. in mancan
za di una situazione in cui non sia verificabile un rapporto di de
rivazione causale necessaria della decisione adottata dall'omes
so esame del motivo di ricorso, nel senso che il risultato della
deliberazione della Corte di cassazione non sarebbe cambiato, anche se fosse stata sottoposta a vaglio la censura dedotta dal ri
corrente. La soluzione è imposta dall'inderogabile carattere de
cisivo dell'errore di fatto, dovendo questo necessariamente tra
dursi, per legittimare il ricorso straordinario, nell'erronea sup
posizione di un fatto realmente influente sull'esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provve dimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità. Per
tanto, dalla decisività dell'errore di fatto deve trarsi il corollario
che l'errore stesso resta irrilevante, agli effetti della disposizio ne di cui all'art. 625 bis, qualora i motivi di ricorso risultino in
fondati, ovvero inconferenti rispetto al tema di indagine o non
dedotti con l'appello. E, con particolare riferimento all'omesso
esame di motivi infondati, in modo manifesto o non, è opportu no sottolineare che l'esclusione del ricorso straordinario trova
convincente base giustificativa non solo nell'indicato principio di decisività dell'errore, ma anche in evidenti esigenze di eco
nomia processuale e nella irragionevolezza di una conclusione
interpretativa, che, in caso di mancato esame di motivi privi di
fondatezza, rendesse necessaria la rescissione della precedente decisione del giudice di legittimità e la sostituzione della stessa
con una nuova decisione di contenuto perfettamente identico.
E stato sostenuto, da una parte della dottrina, che l'operatività del ricorso straordinario è limitata alle decisioni relative alle
questioni processuali, per le quali la Corte di cassazione è giu dice anche del fatto, sicché l'erronea supposizione, per essere
rilevante, dovrebbe inerire ad un error in procedendo dovuto ad
un difetto di percezione degli atti che formano oggetto di esame
nel giudizio di legittimità. In altri termini, dovrebbe trattarsi di
errori denunciabili ai sensi dell'art. 606, 1° comma, lett. c),
c.p.p., rispetto ai quali «la corte di legittimità 'è giudice anche
del fatto' e, per risolvere la relativa questione, può — talora de
ve necessariamente — accedere all'esame dei relativi atti pro cessuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del
provvedimento impugnato ex art. 606, 1° comma, lett. e), sol
tanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione» (Cass., sez. un., 31 ottobre 2001, Policastro
e altri, id., 2002, II, 170). Una simile interpretazione restrittiva dell'ambito applicativo
dell'errore di fatto non è giustificata dall'effettiva portata del
l'art. 625 bis c.p.p. Infatti, non è controvertibile che la sentenza
impugnata, sottoposta al sindacato della corte, costituisce l'og
getto del giudizio di cassazione e che l'errore percettivo può an
che cadere su un dato fattuale, nei precisi termini, ovviamente, accertati dal giudice di merito. Anche in tale situazione l'errore
non nasce dall'interpretazione di un fatto storico e dalla valuta
zione della ricostruzione compiuta dal giudice di merito, ma da
una semplice svista materiale che ha portato a supporre erro
neamente l'esistenza o l'inesistenza di un fatto, che, al contra
rio, dal testo della sentenza impugnata risulta, ictu oculi, incon
trastabilmente escluso o positivamente stabilito: sicché si verte, anche in questo caso, nella situazione tipica dell'errore di fatto
di ordine meramente percettivo, che, incidendo su uno specifico dato fattuale ed essendo privo di qualsiasi implicazione valuta
li Foro Italiano — 2002.
tiva, può assumere valore determinante sul contenuto della deci
sione e giustificare, dunque, l'accoglimento del ricorso straor
dinario.
Infine, nel definire l'intrinseca consistenza dell'errore di fat
to, deve escludersi che nell'area del ricorso straordinario possa essere ricondotto l'errore percettivo non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferi
bile alla decisione del giudice di merito, potendo, in tale ipotesi, l'errore essere fatto valere soltanto nelle forme e nei limiti delle
impugnazioni ordinarie. Pertanto, il travisamento del fatto non
può legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p.
quando costituisca un vizio della decisione del giudice di meri
to. La soluzione contraria, prospettata in talune posizioni della
dottrina, appare assolutamente priva di plausibilità logica e si
stematica se si considera che il travisamento non è deducibile
neppure come motivo di ricorso ai sensi dell'art. 606, 1° com
ma, lett. e), c.p.p., se non nei rigorosi limiti tracciati dalla giuri
sprudenza ormai costante di questa corte (cfr. Cass., sez. un., 30
aprile 1997, Dessimone e altri, id., 1998, II, 90; 26 settembre
2001, Pisano, id., 2002, II, 461). 9. - L'applicazione dei principi dianzi illustrati al fine di chia
rire la nozione di errore di fatto di cui all'art. 625 bis c.p.p. ri
vela la manifesta infondatezza del ricorso straordinario proposto dal Basile in data 21 dicembre 2001 avverso la sentenza n. 1160
della sesta sezione penale di questa corte, depositata il 19 no
vembre 2001.
Con l'impugnazione straordinaria, il ricorrente ha denunciato
che la sentenza del giudice di legittimità ha dato per scontata la
responsabilità del Basile, quale agente della polizia penitenzia
ria, per l'impossessamento dell'orologio Rolex sul presupposto che tra le sue funzioni rientrasse la gestione dell'ufficio cassa
valori del carcere di Reggio Calabria, mentre l'imputato
«giammai fu preposto a quell'ufficio, giammai fu responsabile di quell'ufficio, giammai lavorò in quell'ufficio». Il ricorrente
ha aggiunto che la Corte di cassazione ha trascurato di valutare
le censure dedotte con i motivi di ricorso, mentre l'esame degli atti processuali avrebbe posto in evidenza che i giudici di merito
avevano travisato i fatti e non avevano in alcun modo motivato
sul punto riguardante la codetenzione dell'orologio depositato nell'ufficio valori della casa circondariale.
La situazione prospettata dal ricorrente non è in alcun modo
riconducibile nella categoria dell'errore di fatto, dato che dal
controllo degli atti del giudizio di legittimità (sentenza n. 1160
depositata il 19 novembre 2001, motivi del ricorso nell'interesse
del Basile, sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria
del 26 giugno 2000) si evince, con assoluta chiarezza, che la
Corte di cassazione ha compiutamente esaminato le censure
concernenti il tema della detenzione dell'orologio da parte del
Basile per ragioni di ufficio, reputandole infondate sulla base
dei dati di fatto accertati dal giudice di merito con motivazione
immune da vizi logici. Mancano, dunque, nella situazione rappresentata dal ricor
rente le condizioni minime per ipotizzare l'esistenza di una svi
sta materiale o di un errore percettivo che possa giustificare
l'inquadramento nella figura dell'errore di fatto ex art. 625 bis.
Del resto, è sufficiente esaminare le esplicite deduzioni conte
nute nel ricorso straordinario per rendersi conto che la difesa del
Basile, con la denuncia dell'errore di fatto, ha cercato di ma
scherare il tentativo di rimettere in discussione le questioni di
fatto e di diritto irretrattabilmente decise con la precedente sen
tenza della Corte di cassazione e di estendere, così, l'indagine al
travisamento del fatto, asseritamente operato dal giudice di me
rito, senza tenere conto che il preteso vizio non avrebbe potuto formare oggetto del sindacato di legittimità neppure se fosse
stato dedotto col ricorso proposto a norma dell'art. 606, 1°
comma, c.p.p. nel giudizio di legittimità conclusosi con la sen
tenza 1160/01.
In conclusione, il ricorso straordinario deve dichiararsi
inammissibile per la manifesta non configurabilità dell'errore di
fatto, con la precisazione che tale pronuncia deve assumere la
forma della sentenza. Al riguardo deve sottolinearsi, che il 4°
comma dell'art. 625 bis stabilisce che è pronunciata ordinanza
nel caso in cui l'inammissibilità sia dichiarata de plano, senza
l'instaurazione del contraddittorio. La precisa delimitazione po sta dalla norma comporta che la decisione deve essere emessa
con sentenza, e non con ordinanza, nell'ipotesi in cui la dichia
razione di inammissibilità venga adottata non a seguito di deli
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GIURISPRUDENZA PENALE
bazione preliminare, ma a conclusione del procedimento in ca
mera di consiglio, nel contraddittorio delle parti, dato che — al
di fuori dei casi previsti da specifiche disposizioni di legge — la sentenza corrisponde all'ordinaria forma delle decisioni della
Corte di cassazione, anche se dichiarative dell'inammissibilità
del ricorso, siano esse adottate nell'udienza pubblica o nel pro cedimento in camera di consiglio, partecipato o non partecipato.
Infine, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con
danna del ricorrente alle spese del procedimento e, stante la ma
nifesta infondatezza del ricorso, al pagamento di una congrua somma a favore della cassa delle ammende.
Ili
Osserva. — 1. - Con istanza depositata il 6 agosto 2001, Lo
dovico Chiatellino e il suo difensore, avv. Giovanni Vasoin De
Prosperi, proponevano ricorso straordinario per errore di fatto, a
norma dell'art. 625 bis c.p.p., contro la sentenza emessa dalla
terza sezione penale di questa corte in data 23 novembre 2000,
depositata il 27 febbraio 2001 (Foro it., Rep. 2001, voce Beni
culturali, paesaggistici e ambientali, n. 193), con cui era stato
rigettato il ricorso proposto contro la sentenza pronunciata in
data 1° luglio 1999 dalla Corte d'appello di Venezia, che aveva
confermato la condanna alla pena di lire 50.000.000 di ammen
da, di cui lire 6.750.000 in sostituzione di tre mesi di arresto, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte ci
vile amministrazione comunale di San Giorgio in Bosco, per es
sere stato il Chiatellino giudicato responsabile del reato di cui
all'art. 1 sexies 1. n. 431 del 1985 per avere eseguito scavi in
difformità dell'autorizzazione n. 40/277 del 1° luglio 1983 del
magistrato delle acque di Venezia, sconfinando, per una super ficie complessiva di 7.600 mq, dal perimetro di progetto in tre
distinte aree.
1 ricorrenti deducevano che la sentenza della Corte di cassa
zione è viziata da errore di fatto per la ragione che è stata esclu
sa la prescrizione del reato in base all'errata supposizione che la
consumazione del reato si fosse protratta fino alla sentenza di
primo grado, dato che, con la contestazione suppletiva effettuata
all'udienza dell'8 novembre 1996, era stato precisato che i lavo
ri erano «in corso a tutt'oggi». La decisione della Corte di cas
sazione era la conseguenza di un evidente equivoco sul conte
nuto della contestazione suppletiva, in cui la specificazione della data del commesso reato riguardava soltanto il reato con
testato al capo b), dal quale il Chiatellino era stato assolto dalla
sentenza di secondo grado, sul punto divenuta irrevocabile, mentre il periodo di consumazione del reato contestato al capo a) era rimasto fissato «fino al 22 febbraio 1996».
I ricorrenti chiedevano, quindi, che, in accoglimento del ri
corso straordinario, fosse eliminato l'errore di fatto e fosse pro nunciato l'annullamento senza rinvio della sentenza di secondo
grado per essere il reato estinto per prescrizione. 2. - Il ricorso straordinario veniva assegnato alla terza sezione
penale di questa corte, che, con ordinanza del 3 dicembre 2001, rimetteva la decisione alle sezioni unite ai sensi dell'art. 618
c.p.p., rilevando che la tesi dell'inammissibilità del ricorso straordinario proposto contro una sentenza depositata prima dell'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n. 128, che ha in
trodotto il nuovo istituto, è stata accolta in una pronuncia della
sesta sezione penale (sentenza n. 3388 del 30 ottobre 2001,
Botteselle, ibid., voce Cassazione penale, n. 58) e che la limita
zione temporale della proponibilità del ricorso straordinario può dare luogo ad un contrasto di giurisprudenza. La sezione rimet
tente individuava un'ulteriore possibilità di contrasto giurispru denziale rispetto alla questione concernente i limiti della deci
sione da adottare in caso di accoglimento del ricorso straordina
rio. II primo presidente assegnava il ricorso alle sezioni unite, fis
sando per la trattazione l'udienza in camera di consiglio del 27
marzo 2002.
3. - Con memoria depositata il 22 marzo 2002, la difesa del
ricorrente insisteva per l'accoglimento del ricorso straordinario,
osservando, anzitutto, che questo doveva considerarsi ammissi
bile in quanto, ancorché la sentenza della Corte di cassazione
fosse stata depositata prima dell'entrata in vigore della 1. n. 128
del 2001, la situazione processuale era ancora attuale, non es
sendo decorso il termine di centottanta giorni previsto dall'art.
625 bis c.p.p. Nel merito, veniva ribadito che la pronuncia di ri
II Foro Italiano — 2002.
getto della richiesta di prescrizione del reato costituiva l'evi
dente risultato di un errore di fatto, determinato da una svista
nella rilevazione della data del commesso reato, emendabile —
anche se non fosse applicabile il nuovo istituto del ricorso
straordinario ex art. 625 bis c.p.p. — in base all'interpretazione
estensiva dell'art. 130 c.p.p. seguita dalla giurisprudenza di le
gittimità. 4. - Con sentenze deliberate nella stessa camera di consiglio
del 27 marzo 2002 nei procedimenti promossi da Basile Palmo e
da De Lorenzo Francesco, che precedono, le sezioni unite hanno
esaminato la portata delle disposizioni contenute nell'art. 625
bis c.p.p., introdotte dall'art. 6 1. 26 marzo 2001 n. 128, ponen do in luce le caratteristiche strutturali e funzionali del ricorso
straordinario per errore di fatto, l'ambito applicativo del nuovo
istituto e la natura eccezionale della normativa, che rende inap
plicabile il metodo dell'interpretazione analogica. Tanto premesso, è da rilevare che il ricorso proposto dal
Chiatellino è stato oggetto di rimessione a norma dell'art. 618
c.p.p. per l'ipotizzabilità di un contrasto in ordine all'ammissi
bilità o non del ricorso straordinario per errore di fatto proposto contro le sentenze di condanna depositate prima dell'entrata in
vigore del citato art. 6 1. n. 128 del 2001, onde le sezioni unite
sono chiamate a risolvere tale specifica questione pregiudiziale. Va segnalato, anzitutto, che — contrariamente a quanto rite
nuto dalla sezione rimettente — il contrasto non è virtuale, ma
effettivo, in quanto nella giurisprudenza di questa corte si è già
prodotta, sul punto, una netta divergenza di indirizzi interpreta tivi.
L'orientamento prevalente esclude l'ammissibilità del ricorso
straordinario proposto contro sentenze depositate anteriormente
all'entrata in vigore della disposizione che ha introdotto l'art.
625 bis, sul rilievo che, in mancanza di una norma transitoria, deve trovare applicazione il principio tempus regit actum, sic
ché, anche in considerazione della natura eccezionale della di
sposizione, la nuova disciplina resta inapplicabile alle decisioni
della Corte di cassazione depositate prima che quella disposi zione entrasse a far parte del sistema delle impugnazioni penali
(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, cit.; sez. II 26 no
vembre 2001, Panarisi; sez. VI 5 dicembre 2001, Padalino; 6 di cembre 2001, Galletta e altri; 13 dicembre 2001, Reggiani).
L'opposto indirizzo, muovendo dalla natura processuale del
l'art. 625 bis e dal principio della immediata applicazione della
nuova normativa, ritiene ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto contro decisioni precedentemente depositate
qualora non sia ancora scaduto, alla data di entrata in vigore della 1. n. 128 del 2001, il termine di decadenza di centottanta
giorni dalla data del deposito del provvedimento della Corte di
cassazione, non essendosi ancora verificato, in tale caso, il con
solidamento della situazione processuale (Cass., sez. I, 13 no
vembre 2001, Salerno; sez. fer. 7 settembre 2001, Schiavone). Le sezioni unite condividono la tesi contraria all'ammissibi
lità del ricorso straordinario contro le sentenze depositate prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p. per le seguenti con
vergenti ragioni di ordine letterale, logico e sistematico.
In primo luogo, deve sottolinearsi che — fatte salve le dero
ghe espresse — il tradizionale principio tempus regit actum co
stituisce la regola base del diritto processuale intertemporale e, di riflesso, che, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, la nuova normativa non può essere applicata agli atti processuali
pregressi, legittimamente compiuti e produttivi di effetti giuri dici completamente esauritisi nell'ambito della disciplina pre cedente. Da tale premessa deve inferirsi che, mancando nell'art.
625 bis c.p.p. una norma diretta a regolare l'impugnazione straordinaria per errore di fatto delle decisioni della Corte di
cassazione anteriormente depositate, queste ultime restano sen
z'altro estranee al campo di applicazione della nuova disciplina. La conclusione è avvalorata da un duplice ordine di considera
zioni di complementare valore logico, individuabili, da un lato,
nel richiamo al canone che conforma il regime delle impugna zioni alla normativa vigente all'epoca in cui si esaurisce il pro cedimento formativo del provvedimento e, dall'altro, nella cir
costanza che le decisioni della corte di legittimità emesse prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis conservano il crisma del
l'assoluta inoppugnabilità, ditalché il superamento di tale pecu liare connotato potrebbe avvenire soltanto eludendo il divieto
dell'estensione analogica di una disposizione indubbiamente
eccezionale.
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PARTE SECONDA
Deve osservarsi, altresì, che la tesi favorevole all'ammissibi
lità del ricorso straordinario contro le decisioni della Corte di
cassazione già depositate al momento dell'entrata in vigore del
l'art. 625 bis c.p.p. non riesce a superare evidenti incongruenze
logiche connesse al problema dell'identificazione della data di
decorrenza del termine per la proposizione del ricorso medesi
mo. Infatti, individuare il dies a quo nella data di deposito della
sentenza — come, del resto, esplicitamente dispone l'art. 625
bis — significa ammettere che il decorso del termine possa av
venire, almeno in parte, prima che il condannato abbia acquisito la titolarità della facoltà di proporre l'impugnazione straordina
ria: con l'inevitabile risultato che, allorché tale facoltà sia dive
nuta azionabile a seguito dell'entrata in vigore della nuova di
sciplina, ogni singolo ricorrente dispone di un termine di impu
gnazione più o meno ampio a seconda della differente data di
deposito del provvedimento. Nella consapevolezza di tale diffi
coltà concettuale e delle evidenti aporie che ne conseguono, la
maggior parte della dottrina favorevole all'ammissibilità del ri
corso straordinario contro le decisioni già depositate fa decorre
re il termine dell'impugnazione straordinaria dalla data di en
trata in vigore della 1. n. 128 del 2001. L'opinione non può esse
re condivisa, in quanto presuppone un'operazione ricostruttiva
della disciplina che si traduce in una palese alterazione del chia
ro e preciso dettato normativo contenuto nell'art. 625 bis, che, al 2° comma, fa decorrere il termine di centottanta giorni dalla
data del deposito del provvedimento che forma oggetto del.ri
corso straordinario.
Alla luce delle precedenti argomentazioni deve dichiararsi
l'inammissibilità del ricorso straordinario proposto dal Chiatel
lino contro la sentenza n. 3943 pronunciata il 23 novembre 2000
da questa corte e depositata in data 27 febbraio 2001, prima del
l'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n. 128, che, all'art. 6, 6° comma, ha inserito nel codice di procedura penale l'art. 625
bis. 5. - Con note difensive depositate il 22 marzo 2002, il ricor
rente ha dedotto che la correzione della citata sentenza n. 3943
dovrebbe essere, comunque, disposta a norma dell'art. 130
c.p.p., nell'interpretazione estensiva seguita dalla giurispruden za di legittimità.
La tesi non merita consenso. Le sezioni unite hanno precisato, da tempo, i rigorosi, tassativi, limiti di esperibilità della proce dura di correzione degli errori materiali prevista dall'art. 130
c.p.p., chiarendo che in essa è del tutto assente la funzione so
stitutiva propria dei mezzi dì impugnazione, ordinari e straordi
nari (Cass., sez. un., 9 ottobre 1996, Armati, id., Rep. 1997, vo
ce cit., nn. 56, 57; 18 maggio 1994, Armati, id., 1994, II, 617). La linea interpretativa di rigida delimitazione degli interventi
correttivi aventi ad oggetto gli errori materiali è stata ribadita da
queste sezioni unite con le sentenze deliberate nella camera di
consiglio del 27 marzo 2002 nei procedimenti promossi da Ba
sile Palmo e da De Lorenzo Francesco, con le quali è stato rile
vato che questo tipo di errori rappresenta il frutto di una svista, di un lapsus espressivo, da cui deriva il divario tra volontà del
giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa, con la
conseguente difformità tra il pensiero del decidente e l'estrinse
cazione formale dello stesso, senza alcuna incidenza sul proces so cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione. La natu
ra dell'errore materiale è determinante ai fini dell'individuazio
ne della finalità della correzione ex art. 130 c.p.p. che ha una
funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica
volta ad «armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione
con il suo reale contenuto», senza alcuna modificazione essen
ziale del contenuto del provvedimento (Cass., sez. un., 18 mag
gio 1994, Armati, cit.). Nella prospettiva dischiusa dalla con trapposizione tra errore materiale ed errore di fatto, è stato altre
sì osservato che soltanto il ricorso straordinario per errore di
fatto ha natura di vero e proprio mezzo di impugnazione, mentre
il ricorso relativo all'errore materiale, previsto nella medesima
disposizione, rappresenta null'altro che uno strumento di corre
zione, speciale rispetto a quella prevista dall'art. 130 c.p.p., che, al pari di questa, è privo di incidenza sul contenuto della deci
sione ed ha una funzione di mera rettifica nella forma espressiva della volontà del giudice, come è puntualmente attestato dalla
stessa disciplina dell'art. 625 bis c.p.p., in cui pur essendo pre visto l'identico termine di centottanta giorni per il ricorso con
tro l'una e l'altra specie di errore, è specificato, al 3° comma, che l'errore materiale può essere rilevato, d'ufficio, in ogni
Il Foro Italiano — 2002.
momento. È da segnalare, peraltro, che il rigore e la coerenza
dell'indirizzo limitativo dell'ambito di operatività dell'istituto
della correzione degli errori materiali risultano tanto più giusti ficati alla luce della disciplina dell'art. 625 bis c.p.p., che, pre vedendo un apposito rimedio per l'eliminazione delle conse
guenze degli errori di fatto, ha rimosso la premessa della neces
sità di salvaguardia delle esigenze di giustizia sostanziale in
nome delle quali la giurisprudenza di questa corte ha forzato, in
non poche occasioni, i precisi confini apposti dall'art. 130 alla
giuridica possibilità di correzione degli errori materiali. Dai precedenti rilievi si evince che nel caso in esame resta
preclusa l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 130 non
solo per la ragione che il vizio denunciato deve qualificarsi co
me errore di fatto, che ha condizionato il contenuto della sen
tenza di questa corte n. 3943 del 23 novembre 2000, ma anche
perché la correzione dell'errore richiede una modificazione es
senziale della sentenza medesima, dovendo sostituirsi la pro nuncia di rigetto del ricorso con quella di annullamento senza
rinvio per avvenuta estinzione del reato a seguito di prescrizio ne.
6. - A norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con
danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non dover emettere condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in quanto l'esaminato contrasto di giurisprudenza fa escludere l'esistenza
di una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indicazioni
della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale (id.,
2000,1, 3426).
IV
Osserva. — (Omissis). 3. - Con sentenze deliberate nella stes
sa camera di consiglio del 27 marzo 2002 nei procedimenti
promossi da Basile Palmo e da De Lorenzo Francesco (che pre
cedono) le sezioni unite hanno esaminato la portata delle dispo sizioni contenute nell'art. 625 bis c.p.p., introdotte dall'art. 6 1.
26 marzo 2001 n. 128, ponendo in luce le caratteristiche struttu
rali e funzionali del ricorso straordinario per errore di fatto, l'ambito applicativo del nuovo istituto e la natura eccezionale
della normativa, che rende inapplicabile il metodo dell'inter
pretazione analogica. Tanto premesso, è da rilevare che il ricorso proposto dal De
graft è stato oggetto di rimessione a norma dell'art. 618 c.p.p.
per l'ipotizzabilità di un contrasto in ordine all'ammissibilità o
non del ricorso straordinario per errore di fatto proposto contro
le sentenze di condanna depositate prima dell'entrata in vigore del citato art. 6 1. n. 128 del 2001, onde le sezioni unite sono
chiamate a risolvere tale specifica questione pregiudiziale. Va segnalato, anzitutto, che — contrariamente a quanto rite
nuto dalla sezione rimettente — il contrasto non è virtuale, ma
effettivo, in quanto nella giurisprudenza di questa corte si è già
prodotta, sul punto, una netta divergenza di indirizzi interpreta tivi.
L'orientamento prevalente esclude l'ammissibilità del ricorso
straordinario proposto contro sentenze depositate anteriormente
all'entrata in vigore della disposizione che ha introdotto l'art.
625 bis, sul rilievo che, in mancanza di una norma transitoria, deve trovare applicazione il principio tempus regit actum, sic
ché, anche in considerazione della natura eccezionale della di
sposizione, la nuova disciplina resta inapplicabile alle decisioni
della Corte di cassazione depositate prima che quella disposi zione entrasse a far parte del sistema delle impugnazioni penali
(Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, Botteselle, Foro it., Rep. 2001, voce Cassazione penale, n. 58; sez. II 26 novembre 2001, Pana
risi; sez. VI 5 dicembre 2001, Padalino; 6 dicembre 2001, Gal letta e altri; 13 dicembre 2001, Reggiani). L'opposto indirizzo, muovendo dalla natura processuale dell'art. 625 bis e dal prin
cipio della immediata applicazione della nuova normativa, ritie
ne ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto contro
decisioni precedentemente depositate qualora non sia ancora
scaduto, alla data di entrata in vigore della 1. n. 128 del 2001, il
termine di decadenza di centottanta giorni dalla data del depo sito del provvedimento della Corte di cassazione, non essendosi
ancora verificato, in tale caso, il consolidamento della situazio
ne processuale (Cass., sez. I, 13 novembre 2001, Salerno; sez.
fer., 7 settembre 2001, Schiavone). Le sezioni unite condividono la tesi contraria alPammissibi
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GIURISPRUDENZA PENALE
lità del ricorso straordinario contro le sentenze depositate prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis c.p.p. per le seguenti con
vergenti ragioni di ordine letterale, logico e sistematico.
In primo luogo, deve sottolinearsi che — fatte salve le dero
ghe espresse — il tradizionale principio tempus regit actum co
stituisce la regola base del diritto processuale intertemporale e, di riflesso, che, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, la nuova normativa non può essere applicata agli atti processuali
pregressi, legittimamente compiuti e produttivi di effetti giuri dici completamente esauritisi nell'ambito della disciplina pre cedente. Da tale premessa deve inferirsi che, mancando nell'art.
625 bis c.p.p. una norma diretta a regolare l'impugnazione straordinaria per errore di fatto delle decisioni della Corte di
cassazione anteriormente depositate, queste ultime restano sen
z'altro estranee al campo di applicazione della nuova disciplina. La conclusione è avvalorata da un duplice ordine di considera
zioni di complementare valore logico, individuabili, da un lato, nel richiamo al canone che conforma il regime delle impugna zioni alla normativa vigente all'epoca in cui si esaurisce il pro cedimento formativo del provvedimento e, dall'altro, nella cir
costanza che le decisioni della corte di legittimità emesse prima dell'entrata in vigore dell'art. 625 bis conservano il crisma del
l'assoluta inoppugnabilità, ditalché il superamento di tale pecu liare connotato potrebbe avvenire soltanto eludendo il divieto
dell'estensione analogica di una disposizione indubbiamente
eccezionale.
Deve osservarsi, altresì, che la tesi favorevole all'ammissibi
lità del ricorso straordinario contro le decisioni della Corte di
cassazione già depositate al momento dell'entrata in vigore del
l'art. 625 bis c.p.p. non riesce a superare evidenti incongruenze
logiche connesse al problema dell'identificazione della data di
decorrenza del termine per la proposizione del ricorso medesi
mo. Infatti, individuare il dies a quo nella data di deposito della
sentenza — come, del resto, esplicitamente dispone l'art. 625
bis — significa ammettere che il decorso del termine possa av
venire, almeno in parte, prima che il condannato abbia acquisito la titolarità della facoltà di proporre l'impugnazione straordina
ria: con l'inevitabile risultato che, allorché tale facoltà sia dive
nuta azionabile a seguito dell'entrata in vigore della nuova di
sciplina, ogni singolo ricorrente dispone di un termine di impu
gnazione più o meno ampio a seconda della differente data di
deposito del provvedimento. Nella consapevolezza di tale diffi
coltà concettuale e delle evidenti aporie che ne conseguono, la
maggior parte della dottrina favorevole all'ammissibilità del ri
corso straordinario contro le decisioni già depositate fa decorre
re il termine dell'impugnazione straordinaria dalla data di en
trata in vigore della 1. n. 128 del 2001. L'opinione non può esse
re condivisa, in quanto si risolve nell'attribuzione all'interprete del potere di introdurre un'apposita norma transitoria attraverso
un'operazione ricostruttiva della disciplina consistente in una
palese alterazione del chiaro e preciso dettato normativo conte
nuto nell'art. 625 bis, che, al 2° comma, fa decorrere il termine
di centottanta giorni dalla data del deposito del provvedimento che forma oggetto del ricorso straordinario.
Alla luce delle precedenti argomentazioni deve dichiararsi
l'inammissibilità del ricorso straordinario proposto dal Degraft contro la sentenza n. 225 pronunciata il 22 gennaio 2001 dalla
terza sezione penale di questa corte e depositata in data 19 mar
zo 2001, prima dell'entrata in vigore della 1. 26 marzo 2001 n.
128, che, all'art. 6, 6° comma, ha inserito nel codice di procedu ra penale l'art. 625 bis.
4. - A norma dell'art. 616 c.p.p., deve pronunciarsi la con
danna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si ritiene, invece, di non dover emettere condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in quanto l'esaminato contrasto di giurisprudenza fa escludere l'esistenza
di una situazione di colpa del ricorrente, secondo le indicazioni
della sentenza n. 186 del 2000 della Corte costituzionale (id,
2000,1, 3426).
Il Foro Italiano — 2002.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 27
marzo 2002; Pres. Marvulli, Est. Gemelli, P.M. (conci,
conf.); ric. Ashraf e altra. Annulla Trib. Ancona, ord. 27 ago sto 2001.
Misure cautelari personali — Riesame — Richiesta del pub
blico ministero — Omessa o tardiva trasmissione al tribu
nale — Perdita di efficacia della misura — Esclusione
(Cod. proc. pen., art. 291, 309).
L 'omessa o tardiva trasmissione al tribunale del riesame della
richiesta di applicazione della misura formulata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 291 c.p.p. non ne determina la ca
ducazione a mente del 5° e 10° comma del successivo art. 309
in quanto trattasi di un atto di mero impulso processuale,
funzionale all'attivazione del procedimento e privo di rile
vanza sul quadro indiziario e cautelare emergente dagli ele
menti presentati a sostegno della stessa. (1)
(1) Una delle questioni sulle quali più frequentemente è chiamata a
pronunciarsi la giurisprudenza riguarda la completezza o meno degli atti che il p.m. deve inviare al tribunale per il riesame ai sensi dell'art.
309, 5° comma, c.p.p. La ragione è di tutta evidenza dopo che con l'art. 16 1. 8 agosto 1995 n. 332 sono stati modificati tale comma, fissando in
cinque giorni il termine per l'invio (da intendere come ricezione, se condo l'interpretazione delle sezioni unite: sentenza 29 ottobre 1997, Schillaci, Foro it., 1998, II, 81), nonché il successivo 10° comma che ne ha sancito la natura perentoria: l'incompletezza dell'invio, infatti,
può aprire all'interessato (nei casi più gravi) le porte del carcere a se
guito della perdita di efficacia che il citato 10° comma ricollega al
mancato, ancorché parziale (Cass. 14 luglio 1997, De Luca, id., Rep. 1997, voce Misure cautelari personali, n. 473; 24 ottobre 1996, D'O
riano, ibid., n. 503), invio degli atti in questione nel termine suddetto
(ex plurimis, Cass. 12 aprile 1999, Greco, id., Rep. 1999, voce cit., n.
345), rispetto a quelli trasmessi al g.i.p. per sostenere la richiesta (nel senso che la completezza dell'invio, fatta eccezione per il caso in cui si
ponga un problema di elementi sopravvenuti favorevoli all'indagato, va valutata con riferimento agli atti di cui all'art. 291, 1° comma, c.p.p., v.
Cass., sez. un., 26 settembre 2000, Mennuni, id., 2001, II, 217, in moti
vazione, e Cass. pen., 2001, 2652, con nota di De Amicis, Omessa tra smissione dei verbale dell'interrogatorio di «garanzia» e riesame del
provvedimento cautelare', Riv. it. dir. eproc. pen., 2001, 1016, con nota di Ponzetta, Elementi favorevoli alla persona sottoposta a custodia cautelare ed interrogatorio di «garanzia» a norma dell'art. 294 c.p.p.: diritti e oneri delle parti processuali nel procedimento di riesame).
Anteriormente alla riforma del 1995 non si era mai posto un proble ma di sanzioni processuali collegabili all'omesso invio della richiesta di applicazione della misura; in particolare, era stato affermato che l'autorità giudiziaria procedente è tenuta a trasmettere al tribunale del
riesame gli atti contenenti gli elementi su cui la richiesta di applicazio ne della misura cautelare è fondata, ma non la richiesta medesima, sal
vo che a ciò sia particolarmente sollecitata per l'insorgere di un pro blema di conformità del provvedimento emanato con la richiesta anzi detta (Cass. 18 aprile 1995, Iero, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 508;
analogamente, Cass. 8 giugno 1995, Latella, ibid., n. 507). La problematica affrontata dalla decisione in epigrafe si è posta —
ed il contrasto è insorto — con l'entrata in vigore della 1. n. 332, poten do, dall'invio o meno della richiesta, per le ragioni dianzi evidenziate, derivare la perdita di efficacia della misura.
Secondo un primo orientamento, emerso subito dopo la riforma, an che la mancanza, tra gli atti inviati al tribunale, della, sola richiesta del
p.m. fa ritenere inadempiuto l'obbligo a questi imposto dall'art. 309, 5°
comma, c.p.p., con conseguente perdita di efficacia della misura: Cass. 30 ottobre 1998, Girotto, id., Rep. 1999, voce cit., n. 382, per la quale
l'obbligo non può dirsi adempiuto con la trasmissione del solo «di schetto» di computer contenente la richiesta, non accompagnato dalla
relativa trascrizione (su tale specifico profilo la decisione è criticata da
Aprile, 1 procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Milano, 1999,
85, nota 74); 24 settembre 1996, Basanisi, Foro it., Rep. 1997, voce
cit., n. 508; 23 maggio 1996, Mazzara, id., Rep. 1996, voce cit., n. 596.
Meno univoche, rispetto a tali decisioni, sono Cass. 23 gennaio 2001, Hu Shoudeng, id., Rep. 2001, voce cit., n. 253, e 19 novembre 1998,
Vulluet, id., Rep. 1999, voce cit., n. 378, entrambe richiamate in moti
vazione, almeno a giudicare dalla massima che ne è stata estratta, poi ché non contengono alcuno specifico riferimento alla richiesta, limitan
dosi ad affermare che in tema di riesame di misure cautelari, la sanzio
ne di inefficacia della misura consegue automaticamente alla violazione
dell'obbligo di integrale trasmissione all'organo del riesame di tutti gli atti presentati al g.i.p.; ne consegue che non sussiste alcuna possibilità di selezione ad opera dell'autorità procedente né vi è, da parte del tri
bunale, possibilità di apprezzamento sulla rilevanza degli atti non tra
smessi. Un orientamento di segno opposto è prevalso, invece, in epoca più
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