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sezioni unite penali; sentenza 28 gennaio 1998; Pres. La Torre, Est. Sciuto, P.M. (concl. diff.);...

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sezioni unite penali; sentenza 28 gennaio 1998; Pres. La Torre, Est. Sciuto, P.M. (concl. diff.); ric. Maiolo. Conferma Pret. Genova, ord. 6 gennaio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1998), pp. 461/462-465/466 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193157 . Accessed: 28/06/2014 10:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.21 on Sat, 28 Jun 2014 10:09:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 28 gennaio 1998; Pres. La Torre, Est. Sciuto, P.M. (concl. diff.);ric. Maiolo. Conferma Pret. Genova, ord. 6 gennaio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1998), pp. 461/462-465/466Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193157 .

Accessed: 28/06/2014 10:09

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GIURISPRUDENZA PENALE

di aiuto o di agevolazione di altri del proposito di togliersi la

vita, agevolazione che può realizzarsi in qualsiasi modo: ad esem

pio, fornendo i mezzi per il sucidio, offrendo istruzioni sull'uso

degli stessi, rimuovendo ostacoli o difficoltà che si frappongano alla realizzazione del proposito, ecc., o anche omettendo di in

tervenire, qualora si abbia l'obbligo di impedire la realizzazione

dell'evento.

L'ipotesi dell'agevolazione al suicidio prescinde totalmente dal

l'esistenza di qualsiasi intenzione, manifesta o latente, di susci

tare o rafforzare il proposito suicida altrui. Anzi presuppone che l'intenzione di autosopprimersi sia stata autonomamente e

liberamente presa dalla vita, altrimenti vengono in applicazine le altre ipotesi previste dal medesimo art. 580.

È sufficiente che l'agente abbia posto in essere, volontaria

mente e consapevolmente, un qualsiasi comportamento che ab

bia reso più agevole la realizzazione del suicidio perché si realiz

zi l'ipotesi criminosa di cui all'art. 580 c.p.

I termini della questione non cambiano quando, come nel

caso in esame, si sia trattato di un doppio suicidio con soprav

vivenza di uno dei soggetti. Si tratta di verificare quale ruolo abbia svolto nella vicenda

in esame il sopravvissuto e, avuto riguardo agli elementi fattua

li emersi, quale condotta eventualmente agevolatrice del suici

dio egli abbia posto in essere.

Decidendo come ha deciso ed assumendo che anche l'ipotesi

di agevolazione al suicidio assume rilievo penale solo quando,

in qualche modo, l'aiuto abbia connotazioni di istigazione, la

Corte di assise di Messina ha posto a base del suo giudizio asso

lutorio una motivazione che, escludendo che il Munaò abbia,

anche in minima parte, influito sulla determinazione del Conso

lo di suicidarsi, riguardava in pratica una ipotesi (quella dell'i

stigazione al suicidio) che nel caso in esame, stando alla rico

struzione operata, non poteva in alcun modo venire in rilievo.

In altri termini i giudici di merito hanno escluso che il Munaò

abbia agevolato il Consolo nel suo proposito di suicidarsi per

ché era da escludere che egli avesse messo in atto nei confronti

dell'amico una qualsiasi azione di istigazione al suicidio, laddo

ve, all'evidenza, si sarebbe dovuto prima verificare se l'imputa

to aveva o meno aiutato l'amico a suicidarsi e solo in un secon

do tempo, constatato l'esito negativo di tale indagine, assolvere

il medesimo anche dalla contestazione succedanea.

Non è chi non veda come, adottando l'iter argomentativo

e motivazionale sopra specificato, la corte di merito ha, da un

canto, palesemente violato la legge e, dall'altro, ha, di conse

guenza, omesso di motivare il proprio convincimento in ordine

all'assenza di qualsiasi attività di agevolazione nella condotta

del Munaò.

Alla stregua delle considerazioni che precedono e in parziale

accoglimento del ricorso, l'originaria imputazione di omicidio

del consenziente, ascritta all'imputato, va pertanto qualificata

come fattispecie di cui all'art. 580 c.p., sicché la sentenza impu

gnata, in conformità alle richieste del procuratore generale, va

annullata per nuovo esame in ordine alla sussistenza di tale ulti

mo reato, con conseguente rinvio, per il giudizio, alla Corte

di assise di appello di Messina ai sensi del 4° comma dell'art.

569 c.p.p.

Il Foro Italiano — 1998.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 28

gennaio 1998; Pres. La Torre, Est. Sciuto, P.M. (conci,

diff.); ric. Maiolo. Conferma Pret. Genova, ord. 6 gennaio 1997.

Esecuzione penale — Confisca — Revoca della sentenza di con

danna per «abolitio criminis» o incostituzionalità della nor

ma incriminatrice — Inefficacia della confisca — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 240, 708; cod. proc. pen., art.

673; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul

funzionamento della Corte costituzionale, art. 30).

La revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della sentenza conse

guente all'abrogazione della norma incriminatrice o alla sua

declaratoria di incostituzionalità, non comporta anche il ve

nir meno degli effetti dell'eventuale confisca con essa dispo

sta, che comporta il trasferimento a titolo originario a favore del patrimonio dello Stato dei beni che ne costituiscono l'og

getto al momento del passaggio in giudicato della sentenza

(nella specie, la confisca era stata disposta con una sentenza

di condanna per il reato di cui all'art. 708 c.p., dichiarato

incostituzionale da Corte cost. 370/96). (1)

Con sentenza 26 ottobre 1995, emessa in sede pre dibattimentale ex art. 469 c.p.p., il Pretore di Genova dichiarò

non doversi procedere nei confronti di Carmelo Maiolo in ordi

ne al reato di cui all'art. 708 c.p. perché estinto per prescrizio ne. Con la stessa sentenza venne disposta la confisca della som

ma di denaro in sequestro.

Dopo il passaggio in giudicato della sentenza di prosciogli

mento, avvenuto il 17 dicembre 1995, il Maiolo, mediante istanza

del 20 dicembre successivo, chiese al giudice dell'esecuzione la

revoca della confisca e la restituzione della somma; tale richie

sta fu rigettata con ordinanza de plano in data 29 febbraio 1996;

l'impugnazione avverso tale provvedimento, proposta dal Maiolo

(1) Sulla questione oggetto della sentenza in epigrafe erano emersi, come risulta dalla motivazione, due contrastanti linee interpretative, che

hanno determinato l'intervento delle sezioni unite. Secondo un primo orientamento, condiviso dalla sentenza che si riporta, la revoca della

sentenza in sede esecutiva non fa venir meno la confisca, che, in quanto misura di sicurezza patrimoniale, non è equiparabile agli «effetti pena li» che cessano quando il fatto non costituisce più reato a seguito di

una legge posteriore che abroga la norma incriminatrice o di una pro nuncia della Corte costituzionale che la dichiara illegittima (cfr. art.

2, 2° comma, c.p. e 30, 4° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87): v. Cass.

25 giugno 1993, De Cristofaro, Foro it., Rep. 1994, voce Esecuzione

penale, n. 91; conforme, Cass. 16 ottobre 1997, Bertozzi, Ced Cass., rv. 209023, in una fattispecie analoga a quella oggetto della presente sentenza.

Contra, nel senso che la revoca necessariamente deve comportare l'e

liminazione di ogni statuizione pregiudizievole all'interessato, ivi com

presa quella della disposta misura di sicurezza, v. Cass. 10 febbraio

1995, Surleti, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 77, e, più recentemente, 29 settembre 1997, Gonzales Mattus, Ced Cass., rv. 208772, anch'essa in tema di confisca ordinata a seguito di condanna per possesso ingiu stificato di valori, contravvenzione prevista dall'art. 708 c.p., dichiara

to costituzionalmente illegittimo con sentenza 2 novembre 1996, n. 370,

id., 1997, I, 1695, con nota di Tramontano, L'«irragionevole indeter

minatezza» della norma penale non più al passo coi tempi: dichiarato

incostituzionale l'art. 708 c.p. La dottrina, anche quella specialistica, non ha affrontato il proble

ma; in generale, sulla confisca v. Manzini, Trattato di diritto penale

italiano, Torino, 1981, III, 384 s., il quale, tra l'altro, rileva che la

misura di sicurezza de qua «non è mai revocabile, tanto più che essa

ha carattere istantaneo e non permanente», e, più recentemente, Ales

sandri, Confisca nel diritto penale, voce del Digesto pen., Torino, 1989,

III, 39. Sull'art. 673 c.p.p., V. Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, Mi

lano, 1993, 202; Corbi, L'esecuzione nel processo penale, Torino, 1992,

331; Di Ronza, Manuale di diritto dell'esecuzione penale, Padova, 1994,

599. Nel senso che il procedimento di esecuzione (art. 666 c.p.p.), salvo

che per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, esige per il suo ini

zio, a pena di nullità insanabile del provvedimento adottato a conclu

sione del relativo procedimento, l'impulso di parte, v., oltre a Cass.

12 novembre 1990, Contreras di Castelblanco, Foro it., Rep. 1991, vo

ce cit., n. 85, Cass. 25 settembre 1992, Berna, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 35.

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PARTE SECONDA

dinanzi alla Suprema corte, venne da questa qualificata — con

decisione della seconda sezione in data 3 ottobre 1996 — come

opposizione ai sensi dell'art. 667 c.p.p., con conseguente tra

smissione degli atti alla Pretura circondariale di Genova per l'ul

teriore corso.

Nelle more della successiva procedura camerale ex art. 666

ss. c.p.p. è intervenuta la sentenza 2 novembre 1996 della Con

sulta (n. 370, Foro it., 1997, I, 1695), dichiarativa della illegitti mità costituzionale dell'art. 708 c.p., per contrasto con gli art.

3 e 25 Cost.

A seguito di ciò il Maiolo, tramite il difensore, con atto del

3 novembre 1996, ha rinnovato (dinanzi allo stesso giudice ex

art. 665 c.p.p.) la richiesta di revoca della confisca e conseguen te restituzione della somma; come già in precedenza, anche in

quest'ultima occasione la richiesta non è stata formalmente estesa

alla revoca della sentenza di proscioglimento. Con ordinanza 6 gennaio 1997 il pretore, visti gli art. 676,

667 c.p.p., ha rigettato sia l'opposizione avverso l'ordinanza

de plano (istanza del 20 dicembre 1995), sia la nuova richiesta

(istanza del 3 novembre 1996), ritenendo non rientrante fra i

poteri del giudice dell'esecuzione disporre la revoca della confi

sca e la restituzione della somma.

Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso in Cassa

zione il Maiolo personalmente (con atto depositato il 14 gen naio 1997), censurando il mancato accoglimento della richiesta

di restituzione, al riguardo deducendo che tale restituzione do

veva ritenersi, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., conseguenziale alla

caducazione della norma incriminatrice per la dichiarata illegit timità costituzionale (negli stessi termini — vale aggiungere —

il difensore del Maiolo aveva in precedenza proposto opposizio ne all'ordinanza del giudice dell'esecuzione e tale mezzo era sta

to riqualificato dal pretore come ricorso e trasmesso alla corte

suprema, nell'albo della quale, peraltro, il difensore suddetto

non risulta iscritto). La sesta sezione penale di questa corte, alla quale era stato

assegnato il ricorso, lo ha rimesso alle sezioni unite, ravvisando

l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla ri

comprensibilità o meno della confisca tra gli «effetti penali» della sentenza destinati a venir meno, ai sensi del disposto degli art. 673 c.p.p., 30, ultimo comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e

2, 2° comma, c.p., in caso di declaratoria di incostituzionalità

di una norma in applicazione della quale sia stata pronunciata sentenza.

Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle se

zioni unite, fissando l'udienza del 28 gennaio 1998 per la tratta zione di esso in camera di consiglio.

Nella specie in esame — come già accennato — non è stata

formulata alcuna espressa richiesta di revoca della sentenza per effetto della abolizione del reato ex art. 708 c.p., essendosi in

concreto fatto richiamo — nelle varie istanze dell'interessato e del difensore — solo alla revoca della confisca e alla conse

guente restituzione della somma. Del pari, nel procedimento non è intervenuto alcun formale provvedimento di accoglimento o di rigetto sul suddetto specifico punto. Mancherebbe, pertanto, il presupposto per l'adozione di alcuno dei «provvedimenti con

seguenti» alla revoca della sentenza, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., posto che la giurisprudenza di questa Suprema corte (cfr. Cass., sez. I, 12 novembre 1990, P.m. in proc. Contreras, id., Rep. 1991, voce Esecuzione penale, n. 85), è nel senso di ritenere che il procedimento di esecuzione, per esplicito disposto norma tivo fart. 666, 1° comma, c.p.p.), esige per il suo inizio l'impul so di parte e non può esser promosso d'ufficio (con disciplina derogata per quanto riguarda l'applicazione dell'amnistia e del l'indulto dall'art. 672 c.p.p., che al 1° comma prevede l'ado zione di un provvedimento de plano, salva la possibilità per le parti di introdurre il giudizio camerale mediante opposizione).

Tuttavia, non può negarsi che il ripetuto riferimento del Maiolo all'art. 673 c.p.p. (e, in particolare, al 2° comma di questa di

sposizione) potrebbe in concreto essere interpretato come sinto mo dimostrativo della volontà del richiedente di ricomprendere nella sua istanza la revoca della sentenza (come mostra di rite nere l'ordinanza di rimessione ex art. 618 c.p.p.).

Ma, qualora ciò fosse, egualmente il ricorso non potrebbe trovare accoglimento, data la soluzione negativa che queste se zioni unite ritengono di dover dare al quesito che in questa sede si pone.

Il Foro Italiano — 1998.

La questione da esaminare riguarda il punto se, a seguito dell'abolizione del reato per effetto di dichiarazione di incosti

tuzionalità della norma incriminatrice, venga meno o sia co

munque revocabile la confisca già disposta con sentenza dive

nuta irrevocabile (nella specie: sentenza di non luogo a procede re per estinzione del reato).

Nel non vasto panorama di pronunce che hanno dato luogo al contrasto rilevato nell'ordinanza di rimessione, due sono gli orientamenti giurisprudenziali.

Il primo di essi è significativamente rappresentato dalla deci

sione della seconda sezione di questa corte (29 settembre 1997, n. 5034, Gonzales Mattus), che, proprio con specifico riferi

mento all'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale

dell'art. 708 c.p., ha affermato che la revoca ai sensi dell'art.

673 c.p.p. (nella specie formalmente intervenuta) della sentenza

di condanna per il reato previsto dal citato art. 708 c.p., doveva

necessariamente comportare anche il venir meno della misura

di sicurezza patrimoniale della confisca, a suo tempo già dispo sta sulle cose il cui possesso si assumeva ingiustificato.

Ciò, fondamentalmente, in base all'assunto secondo cui «l'a

brogazione della norma incriminatrice deve eliminare ogni sta

tuizione pregiudizievole all'interessato», ivi compresa, quindi, l'anzidetta misura di sicurezza (ricondotta dalla sentenza in esa

me, proprio per il suo rilevato carattere di statuizione pregiudi

zievole, alla categoria degli «effetti penali» della condanna cui

si riferisce l'art. 30, ultimo comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87). La decisione sopra menzionata richiama, quale precedente as

sunto come conforme, sia pure con riguardo a fattispecie diver

sa, la sentenza della terza sezione di questa Suprema corte (10 febbraio 1995, Surleti, id., Rep. 1995, voce cit., n. 77), la qua le, con riguardo a revoca di condanna inflitta per il reato di

cui all'art. 13 d.l. 5 maggio 1957 n. 271 (omessa denuncia di

deposito di oli minerali), successivamente depenalizzato, aveva

affermato che la suddetta revoca doveva altresì comportare, ai

sensi dell'art. 673 c.p.p., «l'eliminazione di ogni statuizione pre

giudizievole all'interessato, ivi compresa quella della disposta misura di sicurezza».

Il secondo orientamento, di segno opposto, è stato da ultimo

espresso da Cass., sez. II, 16 ottobre 1997, Bertozzi, la quale, relativamente ad identica fattispecie, ha escluso che dalla revo

ca della sentenza di condanna pronunciata per il reato di cui

all'art. 708 c.p., a seguito dell'intervenuta declaratoria di inco

stituzionalità di tale norma incriminatrice, potesse derivare an

che la revoca della confisca; ciò — si argomenta — non tanto

perché quest'ultima, in quanto misura di sicurezza, non sarebbe

annoverabile tra gli «effetti penali» della condanna, quanto per la decisiva ed assorbente ragione che, con il passaggio in giudi cato della sentenza che ha disposto la confisca, i beni confiscati

sono entrati a far parte, a titolo originario, del patrimonio del lo Stato, per cui si sarebbe in presenza di una situazione giuridi ca da considerare ormai esaurita, sulla quale perta. -o non si

riverbera conseguenza alcuna della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice. Quale precedente, la decisione in

esame si rifà a Cass., sez. Ili, 25 giugno 1993, De Cristofaro, id., Rep. 1994, voce cit., n. 91, sentenza che, in fattispecie con cernente la revoca di una condanna inflitta per altro reato poi depenalizzato (illecito valutario) aveva già escluso che detta re voca si estendesse anche alla confisca della somma di denaro

oggetto dell'illecito in questione, basando tale affermazione sul

la scontata distinzione fra misure di sicurezza ed effetti penali della condanna e sulla postulata irreversibilità del trasferimento dei beni confiscati al patrimonio dello Stato, una volta verifica tosi il passaggio in giudicato della sentenza con la quale la con

fisca era stata disposta. Altro precedente conforme richiamato dalla sentenza De Cristofaro è costituito da Cass., sez. Ili, 18

gennaio 1993, n. 112, Graziano, sostanzialmente anticipatrice della tesi dalla stessa accolta.

Vale segnalare che anche Cass., sez. Ili, 6 febbraio 1995, P.m. c. Kane Malik (id., Rep. 1995, voce Sanzioni amministra tive e depenalizzazione, n. 112), ha escluso che l'intervenuta

depenalizzazione del reato per il quale era stata pronunciata condanna (detenzione di apparecchi di accensione privi di con

trassegno fiscale) comportasse la revoca, oltre che di detta con

danna, anche della disposta confisca del corpo di reato; ciò, però, soltanto in forza della ritenuta applicabilità, nella fatti

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GIURISPRUDENZA PENALE

specie, dell'art. 41, 3° comma, 1. 689/81, che, con riguardo alle già intervenute pronunce giudiziarie concernenti gli illeciti

depenalizzati, prevede espressamente che «restano salve le pene accessorie e la confisca, nei casi in cui le stesse sono applicabili a norma dell'art. 20».

Queste sezioni unite ritengono aderente al vigente sistema nor

mativo il secondo orientamento giurisprudenziale. E tanto più

tale soluzione s'impone quando, come nella fattispecie in esa

me, la confisca non si fonda su un giudiziale accertamento di

responsabilità e «condanna», ma di non doversi procedere per

prescrizione, essendo stata la.misura disposta a norma dell'art.

240, 2° comma, n. 2 (ultimo inciso), c.p. Ai fini del decidere non rileva pertanto far riferimento al

l'art. 30, ultimo comma, 1. n. 87 del 1953 («quando in applica

zione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronuncia

ta sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione

e tutti gli effetti penali»); ciò per la considerazione del duplice

dato letterale che connota la disposizione in parola, avente ri

guardo solo a pronunce di «condanna» e ad «effetti penali» delle stesse.

A parte la già rilavata evidenza del primo dato, vale rammen

tare, quanto al secondo, che questa Suprema corte, in assenza

di precise indicazioni legislative, ha ripetutamente ritenuto che

gli effetti penali vanno individuati in quelle conseguenze giuri

diche di carattere afflittivo e pregiudizievole che automatica

mente conseguono alla (sola) condanna penale (cfr. Cass., sez.

I, 30 ottobre 1992, Usai, id., Rep. 1993, voce Pena, n. 30; 14

aprile 1993, Mondani, ibid., voce Esecuzione penale, n. 68).

I su estesi rilievi escludono chiaramente che possa venire in

considerazione, ai fini che qui interessano, il capoverso dell'art.

2 c.p., recante identica formula.

Pertanto, il problema della persistenza o meno della confisca,

nella specie, si può porre solo con riferimento all'art. 673 del

codice di rito penale, concernente la revoca della sentenza per

abolizione del reato e l'adozione dei «provvedimenti conseguen

ti», sia per il caso di pronuncia di condanna (1° comma), sia

per il caso di sentenza di proscioglimento o di non luogo a

procedere (2° comma).

Ma, a parte la difficoltà concettuale di ricondurre la revoca

della confisca nell'ambito dei «provvedimenti conseguenti», va

tenuto presente che la maggioranza degli autori e la giurispru

denza concordano nel ritenere che nel nostro sistema penale la

confisca è una vera e propria misura di sicurezza (sia pure con

particolari connotazioni), che — secondo la regola generale po

sta all'art. 236 c.p. — va annoverata fra le misure di sicurezza

patrimoniali, alle quali, in quanto tali — a norma del capover

so di tale articolo — si applicano le disposizioni degli art. 199,

200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte, e n. 3

del capoverso, e, «salvo che si tratti di confisca», le disposizio

ni del primo e secondo capoverso dell'art. 200 e quelle dell'art.

210 (tutte disposizioni di carattere generale dettate per le misure

di sicurezza personali). Va preso atto, pertanto, che non trova applicazione nei ri

guardi della confisca il 1° comma del richiamato art. 200 c.p.,

a mente del quale «la estinzione del reato impedisce l'applica

zione della misura di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione».

È ancor più significativo osservare che l'ultimo comma del

l'art. 236 c.p. estende solo alla cauzione di buona condotta,

e non anche all'altra misura di sicurezza patrimoniale costituita

dalla confisca, l'applicazione dell'art. 207 c.p., recante disposi

zioni generali in punto di revoca delle misure di sicurezza perso

nali (per effetto del venir meno della pericolosità sociale).

II cennato quadro normativo offre elementi interpretativi che

valgono a confortare la tesi, che queste sezioni unite condivido

no, della non revocabilità ex art. 673 c.p.p. della confisca, a

fronte dell'altra tesi (non particolarmente argomentata), generi

camente rtiva dell'esigenza di far venir meno, per atto del

giudice dell esecuzione, ogni statuizione pregiudizievole all'inte

ressato, in ogni caso di abrogazione o di dichiarazione di illegit

timità costituzionale della norma incriminatrice.

Invero, la misura della confisca è collocata dalla legge nel

novero degli effetti definitivamente prodotti dalla sentenza irre

vocabile che l'ha disposta, effetti non attinenti al rapporto ese

cutivo ma conseguenti dalla s>: aizione giudiziale nel momento

stesso del passaggio in giudicat .ella stessa; essa, come discen

II Foro Italiano — 1998.

de dalle disposizioni richiamate, si connota come irrevocabile, in quanto ha carattere istantaneo e non permanente (uno actu

perficitur), come sottolineato da autorevole dottrina sulla base

della considerazione che la misura in questione rappresenta, in

sostanza, una sorta di espropriazione per pubblico interesse, iden

tificato quest'ultimo nella generale finalità di prevenzione pena le. In effetti, al provvedimento che la ordina consegue un tra

sferimento a titolo originario del bene sequestrato nel patrimo nio dello Stato (in particolare — salvo eccezioni — il denaro, i titoli al portatore, i titoli di Stato e i valori in bollo sono

subito devoluti in natura alla cassa delle ammende), di tal che

la cosa confiscata viene ad essere detenuta — dallo Stato o da

altro acquirente — in forza del diritto costituito con la sentenza

irrevocabile, la quale pone il suggello finale ad una situazione

giuridica che deve considerarsi ormai «esaurita», senza che il

successivo venir meno della norma incriminatrice possa comun

que valere ai fini di una sorta di retrocessione della cosa confi

scata, non essendo ciò consentito dall'ormai avvenuta acquisi zione legittima della res al patrimonio di altro soggetto, estra

neo al processo e nei confronti del quale, oltre tutto, non si

estendono i poteri del giudice dell'esecuzione penale. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con le conse

guenze di legge.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 14 ot

tobre 1997; Pres. Giammanco, Est. Onorato, P.M. Frangi

mi (conci, diff.); ric. Paolino. Annulla Pret. Castrovillari 17

dicembre 1996.

Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Au

torizzazione provvisoria — Efficacia (L. 10 maggio 1976 n.

319, norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, art.

15, 21).

Non è punibile ex art. 21 l. n. 319 del 1976 chi prosegua lo

scarico delle acque reflue in virtù di un 'autorizzazione prov

visoria rilasciata ai sensi dell'art. 15, anche se l'autorità com

petente non sia successivamente intervenuta con provvedimento

di revoca dell'autorizzazione stessa o di rilascio di quella de

finitiva. (1)

(1) In termini, v. Pret. Sondrio-Morbegno 17 gennaio 1996, Foro

it., 1997, II, 133: la 1. 10 maggio 1976 n. 319 non prevede espressamen te (e dunque non sanziona penalmente) che il titolare di uno scarico

produttivo esistente debba richiedere l'autorizzazione definitiva una volta

che abbia ottenuto, per effetto dell'art. 15, l'autorizzazione tacita, an

corché sia decorsa la data del 13 giugno 1986 prevista dall'art. 8, ulti

mo comma, quale termine finale per il raggiungimento degli obiettivi

dei singoli piani di risanamento regionali. Sulla questione, v. anche Corte giust. 28 febbraio 1991, causa 360/87,

e 13 dicembre 1990, causa 70/89, id., 1991, IV, 321, con nota di Amen

dola, Sono tutti fuorilegge gli scarichi produttivi italiani?

In tema di reati previsti dalla 1. n. 319, si segnalano le seguenti ulte

riori pronunce: — deve considerarsi insediamento produttivo un'azienda di macella

zione, ancorché ad essa sia connessa la vendita di carni, senza che rilevi

il fatto che, per ragioni di mercato, l'attività mattatoria sia svolta setti

manalmente, avendo essa, comunque, carattere di continuità e non di

occasionalità; nella condotta del titolare dell'insediamento che, avendo

presentato la domanda nelle forme prescritte, attivi il nuovo scarico

prima che l'autorizzazione gli sia stata concessa, è ravvisabile il reato

di cui all'art. 23 (Cass. 24 novembre 1997, P.g. in proc. Santella, Ced

Cass., rv. 209344); — ai fini della distinzione fra insediamento o complesso produttivo

ed insediamento civile deve aversi riguardo essenzialmente alla natura

dei reflui, nel senso della loro assimilabilità o meno a quelli normal

mente provenienti dagli insediamenti abitativi: questa valutazione deve

essere compiuta in concreto con riferimento all'attività realmente esple

tata; consegue che se per gli esercizi, nei quali viene esercitato profes sionalmente il lavaggio delle auto, è indispensabile ottenere l'autorizza

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