sezioni unite penali; sentenza 30 ottobre 2002; Pres. Marvulli, Est. Fiale, P.M. Febbraro (concl.conf.); ric. Proc. gen. App. Trieste in c. Vanone. Annulla G.u.p. Trib. Udine 10 ottobre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 2 (FEBBRAIO 2003), pp. 73/74-81/82Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198859 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 30 ottobre 2002; Pres. Marvulli, Est. Fiale, P.M. Febbraro
(conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Trieste in c. Vanone. An nulla G.u.p. Trib. Udine 10 ottobre 2000.
CORTE DI CASSAZIONE; s
Falsa testimonianza, perizia, interpretazione o attestazione — Ritrattazione — Causa di non punibilità di natura sog gettiva — Estensibilità all'istigatore — Condizioni (Cod. pen., art. 119, 376).
Subornazione di testimoni — Qualità di persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all'autorità giudiziaria —
Acquisizione (Cod. pen., art. 377; cod. proc. pen., art. 468).
La causa sopravvenuta di non punibilità della ritrattazione pre vista dall'art. 376 c.p. è circostanza di carattere soggettivo, che può estendersi all'istigatore solo se questi rechi un deci
sivo contributo causale alla neutralizzazione del fatto lesivo
dell'interesse alla realizzazione di un giusto processo. (1)
(1) La sentenza sopra riprodotta ribalta la conclusione cui le stesse sezioni unite penali della Corte di cassazione erano pervenute con la sentenza 23 novembre 1985, Cottone, Forò it., 1987, II, 327, con nota di Albeggiane che aveva affermato la natura oggettiva della causa di non punibilità in esame e la sua incondizionata estensibilità all'istigato re, anche ove questi non si fosse in alcun modo attivato per l'effettua zione della ritrattazione da parte dell'autore della falsa testimonianza e non avesse, dunque, prestato alcun contributo causale alla rimozione del fatto lesivo integrato dalla pregressa falsità.
Il nuovo intervento della massima istanza nomofilattica è stato pro vocato da Cass. 17 giugno 1986, Cavaggina, id.. Rep. 1987, voce Falsa
testimonianza, n. 8, e 24 maggio 1996, Campana, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 10, che, contraddicendo le conclusioni della sentenza Cottone, si erano pronunciate per la natura soggettiva della causa di non punibilità della ritrattazione, in tal modo tornando al primitivo e largamente pre valente indirizzo della corte di legittimità espresso dalle numerose sentenze citate nella motivazione della sentenza in rassegna ed avver sato unicamente da Cass. 10 marzo 1980, Orsolini, id., 1980, II, 654, con nota di Boschi.
Ripercorrendo le principali cadenze argomentative della menzionata sentenza Campana le sezioni unite hanno ora (definitivamente?) aval lato l'orientamento maggioritario, precisando che la ritrattazione co stituisce essenzialmente una manifestazione di ravvedimento operoso da ricondursi ad un comportamento volontario dell'agente, di cui la realizzazione di un giusto processo costituisce soltanto risultato e non connotato essenziale, e che l'estensione dei suoi effetti all'istigatore può avvenire solo ove costui presti un contributo causalmente efficiente alla realizzazione della causa di non punibilità in questione.
La sentenza in epigrafe, atteggiandosi criticamente nei confronti della precedente pronuncia delle stesse sezioni unite, secondo cui la ri trattazione renderebbe penalmente indifferente la condotta illecita pre gressa, puntualizza come una siffatta conclusione sia compatibile uni camente con la definizione della ritrattazione medesima come «causa di estinzione del reato» mentre essa deve, invece, qualificarsi come «cau sa di estinzione della punibilità» o «causa sopravvenuta di non punibi lità», come tale non escludente il connotato di penale illiceità della pre cedente condotta. La sentenza si segnala anche per il risoluto distacco dai criteri di cui all'art. 70 c.p. (relativi alle circostanze del reato intese, in senso tecnico, come accidentalia delieti) ai fini dell'individuazione della natura oggettiva o soggettiva delle circostanze di esclusione della
pena di cui al successivo art. 119, del quale si riconosce l'autonomia
concettuale, nonché per l'esclusione, ai medesimi fini, di ogni riferi mento al disposto dell'art. 182 c.p., concernente le cause generali di estinzione del reato o della pena di cui agli art. 150-184 stesso codice.
Per l'identificazione della finalità primaria della previsione dell'art. 376 c.p. in quella di favorire l'accertamento della verità — e, dunque, di tutelare il normale svolgimento ed il corretto esito del processo —
piuttosto che in quella di assicurare un trattamento premiale all'autore della ritrattazione, v., peraltro, le numerose pronunzie in materia della Corte costituzionale (sentenze 206/82, id., 1983,1, 2105; 228/82, ibid., 2103; 101/99, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 10, 20; 424/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 14, ed ordinanze 298/98, id., Rep. 1999, voce cit., n.
21, e 247/99, id., Rep. 2000, voce cit., n. 13), nessuna delle quali inve
ste, tuttavia, specificamente il tema della natura oggettiva o soggettiva della causa di non punibilità in esame; in particolare l'esclusione di
profili di illegittimità costituzionale per la sua mancata estensione al reato di favoreggiamento personale commesso mediante false o reti centi dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria viene argomentata (v. sentenze 228/82 e 424/00 nonché ordinanza 298/98) con il rilievo che in tal caso la falsità o reticenza possono aver già irrimediabilmente
compromesso l'efficacia delle indagini, rendendo insignificante la ri trattazione (ma rilievo identico può essere formulato anche nel caso di ritrattazione di dichiarazione resa al p.m. o di testimonianza resa al
giudice, dalle quali pure potrebbero derivare pregiudizi irreversibili
quali lo sviamento delle indagini, la dispersione delle fonti di prova o l'adozione di provvedimenti cautelari in danno di un innocente, donde
Il Foro Italiano — 2003 — Parte II-3.
Ai fini della configurabilità del reato di subornazione di cui al l'art. 377 c.p., la qualità di «persona chiamata a rendere di
chiarazione davanti all'autorità giudiziaria», esclusi i casi di ammissione di prova testimoniale ex art. 493, 2° comma, e 507 c.p.p., si acquista con l'autorizzazione del giudice alla
citazione del testimone ai sensi dell'art. 468, 2° comma,
c.p.p., a prescindere dalla notificazione della citazione di cui all'art. 142 norme att. c.p.p. (2)
Fatto e diritto. — Il giudice dell'udienza preliminare del Tri bunale di Udine, con sentenza 10 ottobre 2000, dichiarava non luogo a procedere, nei confronti di Vanone Renzo:
a) trattandosi di persona non punibile ai sensi degli art. 119 e 376 c.p., in ordine al delitto di cui agli art. 110 e 372 c.p., per avere, quale istigatore di Rossit Flavio ed in concorso con que st'ultimo, consumato falsa testimonianza, avendo in particolare Rossit Flavio — indicato come teste a discarico nel corso di un
procedimento penale a carico del Vanone, per il delitto di con
un ulteriore argomento a sostegno della natura soggettiva della ritratta
zione, che non vale ad eliminare ogni possibile effetto negativo della
precedente condotta illecita e di cui sarebbe incongruo che automati camente fruisse anche il concorrente non resipiscente, il quale non ab bia offerto alcun contributo causale alla sua realizzazione).
In dottrina, agli scritti citati in nota alle sentenze Cottone e Orsolini, citate, adde, nel senso della natura soggettiva della causa di non puni bilità in parola e della sua inestensibilità all'istigatore che non sia con corso a darvi causa, Capizzano, Riflessioni sulla ritrattazione, in Arch,
pen., 1962, 362 ss.; Velotti, Il concorso di persone nei delitti di auto calunnia e di falsa testimonianza, id., 1977, 305 ss.; Giuliano Bale
strino, I limiti della compartecipazione criminosa, Milano, 1988, 97; Bortone, Efficacia ed estensibilità della ritrattazione, in Riv. polizia, 1987, 777 ss.; Coppi, 1 delitti contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 1996, 352 ss., e, nel senso della natura oggettiva, con correlati va sua indiscriminata estensione al concorrente-istigatore, E. Gallo, Il
falso processuale, Padova, 1973, 303 ss.; Santoro, Testimonianza, pe rizia, interpretazione, voce del Novissimo digesto, Torino, 1973, XIX, 304; Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, 3a ed., Bologna, 2002, 371 ; Romano, La subornazione tra istigazione, corruzione e pro cesso, Milano, 1993, 185 ss., e Subornazione, voce del Digesto pen., Torino, 1999, XIV, 76 s.
Per la valutabilità della ritrattazione anche in favore del solo istigato re, pur in difetto di analoga condotta resipiscente da parte dell'autore della falsa dichiarazione, v. Giuliani Balestrino e Coppi, op. cit., men tre in senso contrario si è pronunciato Romano, La subornazione tra
istigazione, corruzione e processo, cit., sul rilievo della natura eccezio nale della previsione di cui all'art. 376 c.p. e della sua inestensibilità
analogica, anche se in bonam partem, ostandovi l'art. 14 disp. sulla
legge in generale. (2) La seconda massima, relativa al tema dell'identificazione del
momento di acquisizione della qualità di «persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all'autorità giudiziaria» ai fini della consumazio ne del reato di subornazione di cui all'art. 377 — come modificato dal d.l. 306/92, convertito in 1. 356/92, con la sostituzione alla parola «te stimone» della locuzione sopra riportata tra virgolette — nel censurare la sentenza impugnata individua, di norma, detto momento nell'adozio ne del decreto giudiziale di autorizzazione alla citazione dei testimoni di cui all'art. 468, 2° comma, c.p.p. La soluzione, su cui non constano
precedenti in termini, legittima, peraltro, perplessità, atteso che la lette ra della norma fa espresso riferimento alla «chiamata» del soggetto in dicato come testimone e che questa può dirsi avvenuta solo con la noti ficazione effettiva della citazione prevista dall'art. 142 norme att. c.p.p. o con la presentazione diretta al dibattimento di cui all'art. 468, 3°
comma, c.p.p., restando sino a tale momento il rapporto circoscritto alla
parte ed al giudice. Per la riferibilità della necessaria connotazione soggettiva di cui al
l'art. 377 c.p. anche ai soggetti chiamati dalla polizia giudiziaria su
delega del p.m. ai sensi dell'art. 370, 1° comma, c.p.p., v. Cass. 11 di cembre 1996, Samperi, Foro it., Rep. 1998, voce Subornazione di te
stimoni, n. 4. Nel senso della permanenza della qualifica soggettiva del destinatario della condotta illecita anche dopo che questi ha reso dichia
razioni, potendo egli essere nuovamente esaminato, nella medesima od in una successiva fase del procedimento, v. Cass. 13 dicembre 1996, Elmir, id., Rep. 1997, voce cit., n. 2, e 23 marzo 1965, Febo, id., Rep. 1965, voce Testimonianza e perizia falsa, n. 5.
Per la necessità che le qualificazioni del soggetto passivo preesistano alla condotta dell'agente, esigendosi l'attualità del rapporto tra il desti natario della subornazione e l'autorità (nella specie, l'autorità giudizia ria) da cui proviene la chiamata, v. già Cass. 27 febbraio 1961, Ivaldi, id., Rep. 1961, voce Subornazione di testimoni, n. 2; 10 luglio 1963,
Bergoin, id., Rep. 1964, voce cit., n. 6; 17 gennaio 1963, Melizza, ibid., nn. 1-3, e 24 gennaio 1966, Frullano, id., 1966, II, 478. In precedenza, peraltro, Cass. 29 gennaio 1959, Salzano, id., Rep. 1959, voce cit., n. 2, aveva ritenuto sufficiente che l'agente, all'atto della sua condotta ille
cita, fosse a conoscenza della qualità che il soggetto passivo avrebbe in
seguito assunto. [E. Gironi]
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PARTE SECONDA
traffazione in scrittura privata in danno di Miani Gaetano, in
corso di celebrazione dinanzi al Pretore di Udine — deposto
circostanze false, essendo stato escusso quale testimone all'u
dienza del 13 gennaio 1998, sulla scorta di un apposito foglio manoscritto consegnatogli dal Vanone e riportante il contenuto
delle mendaci dichiarazioni da rendere nel procedimento penale — in Udine, il 13 gennaio 1998;
b) per insussistenza del fatto, in ordine al delitto di cui all'art. 337 c.p., per avere promesso a Rossit Flavio — citato quale te
stimone nel procedimento penale contro Clocchiatti Pietro ed
altri, in corso di celebrazione davanti ài Tribunale di Udine — la somma di lire trecentomila (di cui lire duecentomila corrispo
stegli anticipatamente in occasione del rinvio dell'udienza di as sunzione), per indurlo a commettere il reato di falsa testimo
nianza ed in particolare a rendere dichiarazioni mendaci, il cui contenuto era specificato in un foglio manoscritto redatto dal
Vanone e consegnato al testimone prima dell'udienza — in Fo
gliano di Redipuglia, verso la fine del marzo 1998. Il Rossit era stato dichiarato non punibile, in ordine al reato di
cui all'art. 372 c.p., per aver ritrattato il falso e manifestato il
vero ai sensi dell'art. 376 stesso codice, e tale causa di esclusio
ne della punibilità veniva estesa al giudice delle indagini preli minari, ai sensi dell'art. 119 c.p., anche all'istigatore concor
rente nel reato, sul ritenuto presupposto del «carattere oggetti vo» di essa.
Quanto al delitto di subornazione, il giudice delle indagini preliminari rilevava che dagli atti non era emerso che il Rossit
avesse effettivamente assunto la qualità di testimone, in quanto non vi era alcun riscontro circa l'avvenuta citazione a giudizio di esso: sicché considerava non perfezionati gli elementi costi
tutivi del reato di cui all'art. 377 c.p. Avverso tale sentenza di proscioglimento, pronunciata ai sen
si dell'art. 425 c.p.p., ha proposto ricorso il procuratore generale della repubblica presso la Corte d'appello di Trieste, il quale lamenta erronea applicazione della legge penale, sostenendo
che:
a) gli effetti della ritrattazione (contrariamente a quanto af
fermato dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza 23
novembre 1985, Cottone, Foro it., 1987, II, 327) non si potreb bero estendere all'istigatore della falsa testimonianza, salvo che
questi non apporti un decisivo contributo causale alla ritratta
zione del teste: la ritrattazione, infatti, dovrebbe considerarsi
«circostanza di esclusione della punibilità di carattere soggetti vo».
In proposito il p.g. ricorrente prospetta che, seguendo l'indi
rizzo accolto dalla sentenza impugnata, si potrebbe mandare
impunito anche l'istigatore concorrente che cercasse di dissua
dere, pure con minacce, il teste intenzionato a ritrattare;
b) quanto al proscioglimento per il reato di subornazione, il subornato Rossit avrebbe assunto in concreto la qualità prevista dalla norma incriminatrice.
Il giudice, in ogni caso, illegittimamente avrebbe omesso di avvalersi dei poteri istruttori di cui al 1° comma dell'art. 422
c.p.p. Il ricorso è stato assegnato alla sesta sezione penale di questa
Suprema corte, la quale, all'udienza del 19 aprile 2002, ha rile vato la permanenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine
alla questione relativa all'estensione della causa di non punibi lità di cui all'art. 376 c.p. all'istigatore ed ha rimesso la deci sione alle sezioni unite, a norma dell'art. 618 c.p.p., al fine di
comporre il contrasto.
Il primo presidente ha assegnato il ricorso alle sezioni unite
penali, fissando per la trattazione l'odierna camera di consiglio. 1. - La questione controversa sottoposta all'esame delle se
zioni unite consiste nello stabilire «se la causa di non punibilità, prevista dall'art. 376 c.p. in caso di ritrattazione della falsa te stimonianza, si estenda anche a beneficio del concorrente
istigatore». 2. - In relazione a tale questione esiste effettivamente un
contrasto nella giurisprudenza di legittimità. 2.1. - Per lungo tempo la ritrattazione da parte del falso testi
mone, intervenuta nei termini previsti dall'art. 376 c.p., è stata
considerata, senza oscillazioni, come «causa soggettiva di
esclusione della punibilità», in quanto fondata «sull'emenda
psicologica verificatasi nell'animo del falso testimone». Tale principio risulta affermato da Cass. 28 marzo 1957, Ma
siero (id., Rep. 1957, voce Testimonianza e perizia falsa, n. 17), ove si rileva che — per ragioni di politica criminale, intese a fa
II Foro Italiano — 2003.
vorire l'accertamento giudiziario della verità — l'art. 376 c.p. eleva a causa di non punibilità la ritrattazione (che altrimenti
costituirebbe una circostanza attenuante comune, quale quella di
cui all'art. 62, n. 6, c.p.), fondata su un intimo atteggiamento della coscienza che determina una condizione squisitamente
soggettiva, i cui effetti possono riguardare solo la persona a cui
si riferisce. Peraltro — sottolinea la citata decisione — una diversa solu
zione porterebbe ad un'assurda disarmonia del sistema perché, a
norma dell'art. 377 c.p., andrebbe assoggettato a sanzione pe nale colui che ha solo tentato, senza riuscirvi, di indurre il te
stimone a deporre il falso, e non colui che ha conseguito il più
pericoloso risultato di far rendere la falsa testimonianza.
Muovendo dalle stesse premesse, questa Suprema corte
(Cass. 3 novembre 1970, Nizzardelli, id., Rep. 1971, voce Falsa testimonianza, n. 7; 24 febbraio 1971, Stevanin, ibid., n. 11) ha fatto discendere la conseguenza che il beneficio dell'esclusione
della punibilità può essere attribuito solo al suo autore e non an
che all'istigatore, estraneo al processo psicologico ed alla vo
lontà riparatoria del testimone ritrattante; tanto più quando «l'i
stigatore lungi dall'ammettere la falsità e dal manifestare il vero
si limita a invocare l'esimente senza aderire all'altrui ritratta
zione».
Il medesimo orientamento risulta ribadito da Cass. 16 marzo
1973, Mancini (id., Rep. 1974, voce cit., n. 8) e 3 febbraio 1976, Rusciano (id., Rep. 1976, voce cit., n. 14), ove si afferma che la ritrattazione è una circostanza concernente la condizione psico
logica ed una qualità personale dell'agente, sicché, in applica zione del 1° comma dell'art. 119 c.p., con riferimento all'art.
70, n. 2, c.p., non è consentita l'applicazione del beneficio an
che ai concorrenti nel reato, tenuto anche conto che l'istigatore è «estraneo al processo psichico ed alla volontà riparatoria del
ritrattante».
Più diffusamente, nella sentenza n. 971, ric. Rinaldi, emessa
dalla sezione terza il 15 marzo 1978 (id., Rep. 1978, voce cit., n. 4) —
premesso che la ritrattazione è una esimente speciale di
innegabile carattere soggettivo, per la realizzazione della quale
l'istigatore non esplica alcuna attività concreta che possa meri
targli l'estensione — viene specificato che «sul piano oggettivo, il trattamento che la legge penale fa a colui che ritratta si inqua dra nel più generale discorso sistematico che la legge fa a favore
di coloro che dimostrano resipiscenza nella condotta illecita e, come tale, non può estendersi a favore di coloro che tale volontà
non hanno dimostrato. Non senza considerare che, quando la
legge ha voluto stabilire l'estensione delle esimenti o delle cau
se estintive anche ai correi, lo ha esplicitamente dichiarato».
2.2. - L'orientamento giurisprudenziale che si era così conso
lidato è stato messo radicalmente in discussione dalla sentenza
della terza sezione penale n. 451 del 10 marzo 1980, Orsolini ed
altri (id., 1980, II, 654). Tale decisione muove dalla premessa che la ritrattazione, nei
termini previsti dall'art. 376 c.p., deve essere classificata fra le
cause di cessazione della punibilità attinenti all'oggetto del reato in modo più qualificante e decisivo di quanto attenga al
soggetto da cui proviene l'atto, cioè alle qualità personali del
colpevole. Ed infatti — argomenta la sentenza — il bene tute
lato è il «giusto processo» che, in virtù della ritrattazione del
falso e della manifestazione del vero, non subisce il danno te
muto.
Da ciò viene desunta la natura prevalentemente oggettiva della causa estintiva in oggetto, che comporta la connaturale e
necessaria estensione dell'effetto della non punibilità al correo
istigatore. La citata sentenza contesta che, per la soluzione del proble
ma, possa farsi richiamo all'art. 182 c.p. (che prevede l'effetto estintivo del reato solo per coloro ai quali la causa estintiva si
riferisce), affermando che tale norma si riferirebbe esclusiva mente alle cause generali di estinzione previste dal titolo VI del
codice penale e non avrebbe valore di principio generale. Essa prende in considerazione, invece, il disposto dell'art.
119 c.p., congiuntamente all'art. 70 stesso codice, come indice
di un principio più generale applicabile in materia di concorso di persone nel reato, valido quindi anche per le cause speciali di cessazione della punibilità le quali, a seconda che abbiano pre valente attinenza con gli aspetti oggettivi del reato ovvero con
la persona dell'agente, hanno effetto per tutti i concorrenti nel
reato oppure solo riguardo alla persona alla quale la causa di
esclusione si riferisce.
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GIURISPRUDENZA PENALE
In relazione a tali disposizioni normative rileva, quindi, che la ritrattazione presuppone la semplice volontarietà e non anche la
spontaneità della condotta successiva, facendone discendere che
non sarebbe indicativo il richiamo alle «qualità personali» del reo laddove si tratta di un «semplice e forse momentaneo ravve
dimento» determinato dalle più varie ragioni. Evidenzia, in particolare, la decisione in esame che l'interes
se specifico tutelato dalla norma attiene solo al corretto e tem
pestivo svolgimento del procedimento in corso, visto che non si
ritiene sufficiente la confessione del falso testimone ma si ri
chiede che si «manifesti il vero», sicché, una volta reso possi bile lo scopo perseguito, cade qualsiasi interesse alla punizione sia per l'autore della falsità che per l'eventuale correo.
2.3. - Le sezioni unite penali si sono già occupate dell'argo mento — con la sentenza n. 18 del 23 novembre 1985, Cottone
(depositata il 10 aprile 1986), cit. — ed hanno seguito l'indiriz zo che in caso di ritrattazione si estende al concorrente la causa
di non punibilità. Le sezioni unite, in particolare: — hanno condiviso l'affermazione che la questione non può
essere risolta con il richiamo all'art. 182 c.p., poiché tale norma
riguarda soltanto le cause generali di estinzione del reato o della
pena, bensì con riferimento all'art. 119 c.p., che fornisce una
regola generale per la valutazione delle circostanze di esclusio
ne della pena nei casi di concorso di persone nel reato; — hanno quindi ritenuto che la ritrattazione abbia natura si
curamente oggettiva e pertanto ricada nell'applicazione del ca
poverso dell'art. 119 c.p. Le relative argomentazioni sono state testualmente articolate
nel senso che «la ritrattazione si risolve in un impedimento vo
lontario, ma non necessariamente spontaneo, del danno o del pe ricolo derivante dalla falsità commessa, sicché con essa viene
del tutto eliminata la ragione stessa della punibilità della con
dotta e cioè l'ostacolo alla retta amministrazione della giustizia. Tale impedimento produce, quindi, l'effetto di rendere penal mente indifferente la falsità già commessa con la conseguente esclusione della punibilità del reo». Del resto la non punibilità viene prevista dalla legge non in funzione delle qualità del teste
reo, ma solo per effetto dell'oggettivo comportamento del teste
che ritratta; sicché — hanno concluso le sezioni unite penali —
non può trovare alcun giuridico fondamento la pretesa di punire
penalmente chi abbia istigato o determinato altri a commettere
un fatto riconosciuto, nei confronti del suo autore, come penal mente irrilevante e non punibile.
2.4. - La questione è stata nuovamente affrontata da Cass. 17
giugno 1986, Cavaggina (id., Rep. 1987, voce cit., n. 8), che ha aderito all'opposto indirizzo secondo cui la ritrattazione della
falsa testimonianza sarebbe una causa di esclusione della puni bilità di carattere soggettivo, in quanto attinente alla condizione
psicologica e personale dell'agente, con la conseguenza che i
suoi effetti non si estenderebbero al concorrente nel reato.
Ancora una volta è stato altresì sottolineato che «una diversa
soluzione porterebbe ad un'assurda disarmonia nel sistema, per ché andrebbe assoggettato a sanzione penale, a norma dell'art.
377 c.p., colui che ha soltanto tentato, senza riuscirvi, di indurre il testimone a deporre il falso e non colui che ha conseguito il
più pericoloso risultato di far rendere falsa testimonianza».
Tale sentenza, però, non reca alcun cenno alla contraria pro nuncia delle sezioni unite, depositata poco più di due mesi pri ma.
In consapevole contrasto con l'orientamento delle sezioni
unite si è posta, invece, la sezione quarta, con la sentenza n. 917
del 24 maggio 1996, Campana (id., Rep. 1997, voce cit., n. 10). La pronuncia ha qualificato nuovamente la ritrattazione della
falsa testimonianza come circostanza di esclusione della puni bilità di carattere soggettivo, ponendo in rilievo che, «se è vero che, in virtù della tempestiva ritrattazione e della manifestazio ne del vero, l'interesse protetto dall'art. 372 c.p.
— cioè il giu sto processo, corretto e tempestivo
— non subisce il pregiudizio insito nella previsione della norma, è anche vero che un simile
effetto rappresenta non un connotato della condotta di ritratta
zione ma soltanto il suo risultato».
È stato sottolineato, in proposito, che: — va esclusa la valenza «subordinata» dell'art. 182 c.p. ri
spetto alle disposizioni degli art. 70 e 119 stesso codice, rappre sentando invece lo stesso art. 182 «un precetto connaturato al
fenomeno estintivo ed operante in via generale, salvo che la
Il Foro Italiano — 2003.
legge non disponga altrimenti»; l'estensione dell'effetto estinti vo non può operare nelle ipotesi in cui la causa di non punibilità
dipenda da un comportamento consapevole e volontario che de
ve sostanziarsi in un contrarius actus dai connotati soggettivi
perfettamente corrispondenti al comportamento incriminato.
È stata tratta, pertanto, la conclusione che «nei confronti del
l'istigatore la ritrattazione non può operare se non ove questi abbia arrecato un decisivo contributo causale alla neutralizza
zione del fatto lesivo dell'interesse alla realizzazione del giusto
processo, come nell'ipotesi in cui abbia indotto gli autori della falsa testimonianza a ritrattare la deposizione reticente o contra
ria al vero». 2.5. - La Corte costituzionale: — con la sentenza n. 206 del 1982 (id., 1983,1, 2105), ha af
fermato che «la finalità primaria dell'art. 376 c.p. è quella di fa vorire l'accertamento della verità, non quella di far ottenere la
non punibilità al colpevole del falso»; — con la sentenza n. 228 del 1982 (ibid., 2103), ha ribadito
che l'interesse tutelato dall'art. 376 c.p. è quello rivolto alla
giusta definizione del processo, sicché il legislatore ha inteso
incoraggiare il ravvedimento operoso del falso testimone, pre vedendone la non punibilità, purché la ritrattazione del falso e la
manifestazione del vero intervengano in tempo utile ad evitare il
pericolo di una decisione fondata su presupposti non veritieri; — con la sentenza n. 424 del 2000 (id., Rep. 2000, voce cit.,
n. 14), ha specificato che «la ritrattazione, quale prevista dal vi
gente codice penale, è finalizzata primariamente a dare soddi
sfazione all'interesse alla definizione del giudizio penale (nel caso dell'art. 372 c.p.) o all'esercizio dell'azione penale (nel caso dell'art. 371 bis c.p.) fondati su elementi probatori veridi
ci»; — con la stessa sentenza 424/00 e con l'ordinanza n. 244 del
2002 ha soggiunto che «non esiste un diritto costituzionale alla
ritrattazione delle false dichiarazioni comunque rese nel proces so penale», sicché deve riconoscersi «un'ampia sfera di discre
zionalità del legislatore nel modellare la disciplina delle false asserzioni nelle diverse fasi del procedimento».
3. - Tenuto conto dei due orientamenti della giurisprudenza di
legittimità dianzi illustrati, ritengono queste sezioni unite di af fermare il principio secondo il quale la causa sopravvenuta di
non punibilità, prevista dall'art. 376 c.p. in caso di ritrattazione
della falsa testimonianza, è circostanza di carattere soggettivo che può operare nei confronti dell'istigatore, concorrente nel
reato di cui all'art. 372 c.p., esclusivamente qualora questi abbia
arrecato un decisivo contributo causale alla neutralizzazione del
fatto lesivo dell'interesse alla realizzazione del giusto processo. 3.1. - La ritrattazione muove da un atto di volontà individuale
e, sotto questo profilo, appartiene al suo autore (la Corte costi
tuzionale, nella sentenza 206/82, la configura quale «manifesta
zione di un ravvedimento operoso e, come tale, atto personale volontario del falso testimone»), mentre la realizzazione di un
processo giusto e fondato su elementi probatori veridici (tutelata dall'art. 376 c.p.) rappresenta non un connotato della condotta
di ritrattazione ma soltanto il suo risultato.
La ritrattazione medesima — alla stregua dell'art. 119 c.p., che riguarda la valutazione delle «circostanze di esclusione
della pena» nei confronti di coloro che sono concorsi nel reato
ma che, pur se da una parte della dottrina viene riferito in senso
proprio alle circostanze che fin dall'origine escludono o condi
zionano la punibilità di un fatto-reato, può essere quanto meno
invocato come indice di un principio più generale applicabile, in materia di concorso, anche alle cause speciali di cessazione
della punibilità — non può essere classificata tra le «circostanze
oggettive». La giurisprudenza di questa corte ha proceduto per lo più alla
specificazione di tali circostanze con riferimento alle previsioni dell'art. 70 c.p., che, al 1° comma, n. 1, individua le «circostan ze oggettive» come «quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità del l'azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condi
zioni o le qualità personali dell'offeso». È stato fatto conseguentemente rilevare che: — le «modalità dell'azione» attengono alla condotta crimino
sa, che si esaurisce con la consumazione del reato; la ritrattazio
ne, invece, è circostanza posteriore al momento consumativo del
reato, che si pone al di fuori dell'esecuzione di esso; — la «gravità del danno o del pericolo», a sua volta, concerne
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PARTE SECONDA
l'evento ed è perciò valutabile anch'essa dal momento consu
mativo del reato (in cui l'evento si verifica). Sono «circostanze soggettive», invece, ai sensi dell'art. 70, 1°
comma, n. 2, c.p., «quelle che concernono l'intensità del dolo o
il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l'offeso, ovvero che so
no inerenti alla persona del colpevole». La ritrattazione, però, costituisce «un comportamento della
persona», non una «qualità» di essa, ed il 2° comma dell'art. 70
specifica che «le circostanze inerenti alla persona del colpevole
riguardano l'imputabilità e la recidiva». Il problema deve affrontarsi, allora, con esclusivo richiamo
all'art. 119 c.p. e prescindendosi da ogni riferimento all'art. 70 stesso codice, le cui distinzioni riguardano le sole circostanze del reato in senso tecnico (aggravanti ed attenuanti). Tutto il ca po II del titolo III del libro I del codice penale, in cui l'art. 70 è contenuto, riguarda infatti le circostanze aggravanti ed atte
nuanti, con la sola eccezione dell'art. 59, ove peraltro si parla esplicitamente di circostanze di esclusione della pena.
Ed in relazione all'art. 119 deve rilevarsi che: — hanno effetto rispetto a tutti i concorrenti le circostanze
oggettive di esclusione della pena, intendendosi come tali le
cause che escludono l'antigiuridicità oggettiva del fatto (c.d. scriminanti);
— hanno invece effetto soltanto nei confronti della persona cui si riferiscono, le circostanze soggettive, intendendosi come
tali le cause che escludono la pena per taluno dei concorrenti
(c.d. cause di esclusione della colpevolezza) e le cause di esclu
sione della sola punibilità e non anche del reato.
La ritrattazione si connette alla determinazione tipicamente
personale e volontaria di riparare il danno già posto in essere. Essa, quale causa di esclusione della sola punibilità, ha ca
rattere evidentemente soggettivo e, per il principio della indivi duazione della responsabilità, ha effetto soltanto riguardo alla
persona che si è determinata alla riparazione e non può spiegare influenza sulla valutazione del fatto degli altri compartecipi.
3.2. - La precedente pronunzia 18/85 delle sezioni unite ha af
fermato che «con la ritrattazione viene del tutto eliminata la ra
gione stessa della punibilità della condotta e cioè l'ostacolo alla retta amministrazione della giustizia. Tale impedimento produ ce, quindi, l'effetto di rendere penalmente indifferente la falsità già commessa con la conseguente esclusione della punibilità del reo». Da ciò si è dedotto che «non può trovare alcun giuridico fondamento la pretesa di punire penalmente chi abbia istigato o
determinato altri a commettere un fatto riconosciuto, nei con
fronti del suo autore, come penalmente irrilevante e non puni bile».
Tali argomentazioni, però, allorquando si definisce «penal mente indifferente» e «penalmente irrilevante» la falsità a se
guito della ritrattazione, sarebbero coerenti con una classifica
zione tra le «cause di estinzione del reato» della fattispecie di sciplinata dall'art. 376 c.p., mentre — secondo quanto verrà più
ampiamente esposto di seguito —
qui si verte in tema di «causa
di estinzione della punibilità» e quest'ultima, per causa soprav veniente, viene dissociata dal reato commesso ma non esclude
l'illiceità penale del fatto, del quale non viene meno alcuno dei
suoi elementi essenziali e costitutivi.
3.3. - L'art. 376 c.p., come si è appena affermato, ipotizza una tipica causa sopravvenuta di non punibilità.
Ciò si deduce dalla stessa formulazione testuale della norma, allorché si consideri che affermare che taluno «non è punibile se ritratta ... il falso» manifestando il quale abbia commesso un certo reato, null'altro può significare se non che alla ritrattazio
ne si deve il venir meno, e dunque l'estinguersi, della punibilità derivante dalla commissione di quel reato.
L'inapplicabilità della pena, dunque, non deriva da una decla ratoria di estinzione del reato, né dalla mancanza di colpevolez za, né dalla presenza di una causa di giustificazione.
Il fatto illecito continua a rimanere reato (non viene reso,
cioè, retroattivamente indifferente) e tuttavia non produce gli ef
fetti della punibilità del suo autore, che la norma, significativa mente, definisce ancora «colpevole».
Tale norma, nella correlazione all'art. 372 c.p., è sicuramente
rivolta (come rilevato anche dalla Corte costituzionale) alla rea
lizzazione dell'esigenza primaria che il pregiudizio derivante alla possibilità di una corretta decisione giudiziale da una depo sizione mendace o reticente del testimone sia eliminato in virtù
li. Foro Italiano — 2003.
4i una successiva deposizione veridica e non reticente. La puni bilità, dunque, viene esclusa per ragioni di tutela del bene pro tetto, in una prospettiva essenziale di eliminazione degli effetti ulteriormente lesivi del fatto illecito già realizzato. In questa prospettiva, però, non può disconoscersi che il legislatore abbia inteso anche in certo modo premiare il testimone che manifesta
il pentimento operoso, favorendo il suo ravvedimento.
Nel caso in cui nel reato di falsa testimonianza — che è reato
proprio definito altresì «di attuazione personale» da una parte della dottrina — concorra colui che ha cagionato la deposizione mendace o reticente (istigatore), a fronte dell'unità del fatto sul
piano lesivo, sono riscontrabili addebiti soggettivi che restano sempre distintamente e diversamente graduabili e che vanno di
versamente valutati. Ne consegue che la ritrattazione, qualora sia estranea alla condotta dell'istigatore o addirittura con essa
confliggente, non può riverberare effetti sul medesimo concor
rente morale proprio perché è un fatto del terzo e sarebbe ingiu sto che apportasse vantaggi a chi nulla ha fatto per suscitarlo, o
essendosi limitato ad operare nel senso della commissione del
reato, senza poi attivarsi positivamente per annullarne le conse
guenze, o essendosi addirittura adoperato per scongiurare la ri trattazione medesima.
Diverso è, invece, il caso in cui la ritrattazione sia il risultato del comportamento attivo dell'istigatore, rivolto a sollecitarla
per annullare gli effetti del falso commesso dall'autore mate
riale, in quanto si verifica in detta ipotesi una sorta di «concorso nella ritrattazione» che ben può legittimare l'estensione ad en
trambi i soggetti dell'esenzione dalla punibilità. 3.4. - Secondo l'orientamento assolutamente prevalente di
questa Suprema corte — come si è detto — deve escludersi che
possa farsi riferimento all'art. 182 c.p., ed a tale conclusione si perviene sul presupposto che l'art. 182 riguarda soltanto le cau
se generali di estinzione del reato o della pena e che esiste una
netta distinzione tra la categoria delle «cause di non punibilità» e quella delle «cause di estinzione del reato e della pena» (cate goria quest'ultima nella quale parte della dottrina tende invece a
ricomprendere la prima, sottolineandone le notevoli affinità). Alle medesime conclusioni sostanziali (di non estensibilità
del beneficio all'istigatore che sia rimasto estraneo alla ritratta
zione ed alla rivelazione della verità) si perverrebbe comunque — ed a maggior ragione
— qualora si accedesse:
— sia a quell'orientamento dottrinario che individua nella fattispecie in esame una causa speciale di estinzione del reato, con conseguente applicazione dell'art. 182 c.p.;
— sia a quell'orientamento dottrinario secondo il quale la formula dell'art. 182 c.p. («salvo che la legge disponga altri menti, l'estinzione del reato o della pena ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce») dovrebbe in tendersi nel senso che, in caso di concorso di persone nel reato
con pluralità di soggetti responsabili, l'estinzione anche della punibilità — e non solo «del reato o della pena» — si verifica, salvo che la legge disponga altrimenti (v., ad esempio, per un
caso espressamente eccettuato, l'ultimo comma dell'art. 556
c.p., ove viene previsto che, qualora il matrimonio precedente mente contratto dal bigamo venga dichiarato nullo ovvero venga annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla biga mia, il reato è estinto anche rispetto ai concorrenti), solo a favo
re dei soggetti cui la causa di estinzione si riferisce. Tali orientamenti sembrano riecheggiare, in certo modo, nella
sentenza 917/96 della sesta sezione, cit., nella parte ove si af
ferma che della norma posta dall'art. 182 c.p. «deve escludersi
la valenza subordinata rispetto alle disposizioni degli art. 70 e 119 stesso codice, rappresentando, invece, un precetto connatu
rato al fenomeno estintivo ed operante in via generale, salvo che
la legge non disponga altrimenti». 4. - Il secondo motivo di gravame inerisce al contestato de
litto di subornazione (art. 377 c.p.), in relazione al quale il giu dice delle indagini preliminari, nella sentenza impugnata, ha ri levato che il p.m. aveva depositato soltanto l'istanza di escus
sione di Rossit Flavio, nel processo penale contro Clocchiatti Pietro ed altri, in qualità di teste indicato dalla parte civile Va none, nonché l'autorizzazione alla citazione adottata dal presi dente del tribunale. Dall'esame degli atti istruttori acquisiti non emergeva, però, alcun riscontro che il Rossit fosse stato mai ef
fettivamente citato, anche oralmente, come testimone nel proce dimento penale in questione, né l'accusa aveva allegato riscontri
idonei a comprovare le circostanze che lo stesso Rossit avesse
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GIURISPRUDENZA PENALE
mai assunto la qualità di teste e che il preteso subornante fosse
stato consapevole di rivolgersi a persona che aveva assunto tale
qualità. Da ciò il proscioglimento per insussistenza del fatto. Il p.g. ricorrente ha eccepito, in proposito: — la possibilità di ricondurre la qualità concretamente as
sunta da Rossit Flavio alla previsione della norma incriminatri ce;
— l'illegittimità della conformazione del giudice agli «atti istruttori sin qui acquisiti» ed il mancato esercizio dei poteri di cui all'art. 422 c.p.p.
Tale doglianza è fondata nella sua prima articolazione.
L'art. 377 c.p., come modificato dal d.l. 306/92, convertito nella 1. 356/92 (le modifiche successivamente introdotte dal l'art. 22 1. 7 dicembre 2000 n. 397 si connettono alla disciplina delle indagini difensive e non riguardano la contestazione in oggetto) sanziona — per quanto rileva ai fini del presente giudi zio — la condotta di «chiunque offre o promette denaro o altra
utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti al
l'autorità giudiziaria», qualora l'offerta o la promessa non siano accettate, ovvero siano accettate ma la falsità non sia commessa.
Trattasi di un reato a consumazione anticipata, in relazione al
quale il tentativo non è ammissibile, e la qualità di «persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudizia ria» (che, a decorrere dal d.l. 306/92, ha sostituito il termine «testimone» quale destinatario dell'offerta o della promessa su
bornatrice) si assume — nel processo che si svolga davanti al
tribunale non con «citazione diretta» a giudizio — all'esito del
l'autorizzazione del giudice alla citazione quale testimone, ai sensi del 2° comma dell'art. 468 c.p.p. (salvi i casi eccezionali di cui agli art. 493, 2° comma, e 507 c.p.p.).
Il deposito della lista testimoniale, previsto dall'art. 468 c.p.p., costituisce un momento essenziale della fase predibatti mentale, rivolto a garantire l'effettività e la correttezza del con
traddittorio, evitando l'introduzione di prove c.d. «a sorpresa» e — in seguito all'indicazione nella lista testimoniale ritualmente depositata ed all'autorizzazione della citazione da parte del giu dice — l'escussione del teste non è più rimessa esclusivamente
alla volontà della parte che l'ha richiesta, tant'è che l'eventuale
successiva rinuncia ad essa fa salvo il diritto delle altre parti di procedere all'esame e comunque vincola il giudice a motivare
in modo esplicito sulla non assunzione della prova, in ossequio al principio contenuto nel 4° comma dell'art. 495 c.p.p.
Non è necessario, invece, che sia intervenuta la citazione pre vista dall'art. 142 disp. att. (d.leg. 271/89), allorché si consideri che i testimoni indicati nelle liste ed ammessi «possono anche
essere presentati direttamente al dibattimento», a norma del 3°
comma dell'art. 468 c.p.p., e che nell'ipotesi in cui, a seguito del decreto di autorizzazione emesso ai sensi del 2° comma del
l'art. 468 c.p.p., il teste non risulti citato, il giudice non può per ciò soltanto revocare la prova ammessa, a meno che essa non si
riveli superflua secondo quanto prevede il 4° comma dell'art.
495 c.p.p. (v. Cass., sez. V, 28 marzo 2000, Nicoletta, id., Rep. 2001, voce Dibattimento penale, n. 49).
Nella fattispecie in esame, il giudice delle indagini prelimina ri ha dato atto che — nel procedimento penale contro Cloc
chiatti Pietro ed altri — il difensore di parte civile aveva depo sitato la propria lista testimoniale ed il presidente del tribunale
aveva autorizzato la citazione, come teste, del Rossit: con l'e
missione di tale provvedimento di autorizzazione quest'ultimo
(cioè la persona verso la quale, secondo la contestazione, era
stata diretta l'attività subornatrice) aveva acquistato la qualità di
«persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità
giudiziaria» ed in relazione a quel momento doveva e deve esse
re verificata l'addebitata condotta di offerta di denaro per rende
re dichiarazioni mendaci e di corresponsione di un anticipo sulla
somma offerta.
5. - Il ricorso del p.g., per tutte le argomentazioni dianzi
svolte, deve essere accolto integralmente e la sentenza impu
gnata deve essere annullata, con rinvio per l'ulteriore corso al
Tribunale di Udine ai sensi dell'art. 623, lett. d), c.p.p.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; ordinanza 14 ottobre 2002; Pres. D'Urso, Rei. Giordano, P.M. Iacoviello
(conci, conf.); Ascione e altri.
Difensore e difesa penale — Difensore — Incompatibilità — Difesa di più imputati — Applicabilità nel giudizio avanti alla Corte di cassazione — Esclusione (Cod. proc. pen., art.
106).
La limitazione della libertà di scelta del difensore, sancita dal l'art. 106, comma 4 bis, c.p.p. a tutela della trasparenza e
della genuinità della prova, non opera in sede di giudizio di legittimità, atteso che la prova dichiarativa si è già compiu tamente formata nel contraddittorio tra le parti e non sussiste
ulteriormente alcun rischio di distorsione, in tal senso, del
mandato difensivo. (1)
Vista la propria ordinanza in data 27 settembre 2002 con cui
sono state rilevate le situazioni di incompatibilità ai sensi del l'art. 106, comma 4 bis, c.p.p. nei confronti degli avvocati Ma ria Luisa Marini Borgato e Floriana Maris; sentiti il p.g. e le parti presenti e lette le memorie prodotte nell'odierna udienza
dagli avvocati suddetti; ritenuto che dai lavori preparatori della 1. 45/01 è desumibile
che la ratio della disciplina di cui al citato comma 4 bis dell'art. 106 c.p.p. è quella di garantire la «trasparenza e genuinità nella
formazione della prova» evitando che la scelta di un comune di
fensore possa contribuire alla circolazione tra più imputati del
contenuto di dichiarazioni eteroaccusatorie; rilevato che l'indubbia limitazione del diritto di difesa che
siffatta disposizione comporta quanto alla libera scelta del di fensore è stata ritenuta non irragionevole e compatibile con
l'art. 24 Cost., proprio in considerazione della suddetta ratio, dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 214 del 2002;
ritenuto che la descritta limitazione del diritto di difesa non
(1) Non constano precedenti in termini. Allo scopo di scongiurare ogni sospetto circa l'assoluta trasparenza dei percorsi di formazione della prova dichiarativa, l'art. 16, 1° comma, lett. c), 1. 13 febbraio 2001 n. 45 ha introdotto, con il conio del «nuovo» comma 4 bis del l'art. 106 c.p.p., un'inedita causa di incompatibilità ad esercitare fun zioni difensive, volta a impedire il concentrarsi, in capo al medesimo
professionista, della difesa di più imputati che abbiano reso dichiara zioni erga alios nel corso del medesimo procedimento o in procedi mento per reato teleologicamente connesso o probatoriamente collegato a quello per cui si procede.
Alcuni dubbi di ortodossia costituzionale della norma, con riferi
mento alla tutela del diritto di difesa, erano già stati prospettati nel cor
so dei lavori preparatori della 1. n. 45 del 2001; tali dubbi, ribaditi al
l'indomani dell'entrata in vigore della novella del 2001 (cfr., ad esem
pio, Galasso, Incompatibilità contro il monopolio della difesa, in Gui
da al dir., 2001, fase. 11, 65 ss.), hanno trovato corpo in molteplici ri messioni degli atti alla Corte costituzionale (cfr., tra le altre, Assise Palermo 17 maggio 2001, Foro it., 2001, II, 436, con nota di richiami). I dubbi sono stati, tuttavia, dichiarati dal giudice delle leggi manifesta
mente privi di fondatezza (Corte cost. 23 maggio 2002, n. 214, G.U., la
s.s., n. 21 del 2002, 35), sulla scorta — tra l'altro — del rilievo per cui «la libertà di scelta del difensore, certamente espressione del diritto di
difesa, può subire limitazioni dettate sia da esigenze di funzionalità
dell'organizzazione giudiziaria, sia dal contemperamento con altri inte
ressi, anche processuali, meritevoli di tutela», pur a condizione che «i
limiti posti dal legislatore siano frutto di scelte discrezionali non irra
gionevoli e comunque tali da assicurare una possibilità di scelta del di
fensore sufficientemente ampia». Nel rimarcare l'eccezionalità della norma, e nel valorizzarne la ratio
di precipua tutela della trasparenza e della genuinità nella formazione della prova, la pronuncia in epigrafe, facendo leva su una lettura costi
tuzionalmente orientata dell'incompatibilità ex art. 106, comma 4 bis,
c.p.p., ne esclude l'applicabilità nel giudizio di cassazione: essendo, in
questa sede, la prova già compiutamente formata, e non sussistendo al
cun rischio di distorsioni del mandato difensivo idonee a riverberarsi
sulla correttezza degli itinerari formativi del materiale probatorio, viene
meno la stessa ratio della limitazione della libertà di scelta del difenso
re; valorizzando la formula «in quanto compatibili», contenuta nel me
desimo art. 106, comma 4 bis, c.p.p., la pronuncia giunge, dunque, a
predicare una riespansione della libertà di scelta allorché il processo
giunga al grado di legittimità (e, come sembra implicito, limitatamente
a questo). Sulla pronuncia in epigrafe, cfr., per un primo commento, M. Fumo,
Pentiti, le conseguenze incongrue del divieto di mandati difensivi plu rimi, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 41, 15 ss. [G. Di Chiara]
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