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sezioni unite penali; sentenza 8 aprile 1998; Pres. La Torre, Est. Pioletti, P.M. Toscani (concl....

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sezioni unite penali; sentenza 8 aprile 1998; Pres. La Torre, Est. Pioletti, P.M. Toscani (concl. conf.); ric. Vitrano ed altro. Conferma Trib. Palermo, ord. 1° ottobre 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 12 (DICEMBRE 1998), pp. 771/772-775/776 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192767 . Accessed: 25/06/2014 05:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:43:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 8 aprile 1998; Pres. La Torre, Est. Pioletti, P.M. Toscani (concl. conf.); ric. Vitrano ed altro. Conferma Trib. Palermo, ord. 1° ottobre 1997

sezioni unite penali; sentenza 8 aprile 1998; Pres. La Torre, Est. Pioletti, P.M. Toscani (concl.conf.); ric. Vitrano ed altro. Conferma Trib. Palermo, ord. 1° ottobre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 12 (DICEMBRE 1998), pp. 771/772-775/776Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192767 .

Accessed: 25/06/2014 05:43

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PARTE SECONDA

c) i parametri di riferimento concernenti il limite minimo dro

gante sono stati tutt'altro che uniformi.

In particolare, per quanto concerne l'eroina la soglia dell'ef

fetto stupefacente è stato fissato in 25-30 mg. di principio atti

vo (Cass., sez. IV, 9 novembre 1993, Nabil, cit.; sez. VI 15

ottobre 1996, P.g. c. Basseoni, cit.) 18,4 mg. (Cass., sez. IV, 24 gennaio 1996, P.g. c. Cardamone, cit.), in 5-6 mg. (Cass., sez. V, 13 gennaio 1990, Pirro, cit.);

d) l'incertezza che ne è derivata, sotto il profilo della repres sione penale relativa al mercato della droga, imposta al nostro

paese dalle convenzioni internazionali alle quali ha aderito, è

basata sull'erroneo presupposto che il bene giuridico della salu

te pubblica, ricompreso tra quelli oggetto della tutela penale di cui trattasi, non sia suscettibile di essere messo in pericolo dall'assunzione di sostanze elencate come stupefacenti o psico

trope che non superino la cosiddetta soglia drogante;

é) è stato più volte, al contrario, sottolineato in sede scientifi

ca che le sostanze in questione agiscono esplicando un'attività

farmacologica a danno del sistema nervoso centrale e sono ido

nee ad alterare le funzioni psichiche particolarmente quando l'as

suntore sia un soggetto debole e giovane. 5. - Ma una considerazione di fondo si impone. Il legislatore non ha fornito una definizione delle sostanze

stupefacenti o psicotrope essendosi limitato ad individuarle e

catalogarle. Il riferimento fatto dal medesimo alla struttura chimica delle

stesse ed agli effetti, diretti ed indiretti, che producono in dan

no dell'assuntore in caso di dosaggio drogante, se rileva al fine

della loro individuazione per la composizione delle tabelle non

rileva invece al fine dell'indviduazione delle condotte penalmen te rilevanti ai sensi dell'art. 73 d.p.r. 309/90.

Nel nostro ordinamento, invero, in mancanza di una defini

zione farmacologica, la nozione di stupefacente non può che

avere natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa

che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specifica mente indicate negli elenchi appositamente predisposti.

Il fatto che il principio attivo contenuto nella singola sostan

za oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta «soglia

drogante», in mancanza di ogni riferimento parametrico previ sto per legge o per decreto, non ha rilevanza ai fini della puni bilità del fatto.

L'inidoneità dell'azione, relativamente alle fattispecie previ ste dall'art. 73 1. stupefacenti va dunque valutata unicamente

avuto riguardo ai beni oggetto della tutela penale, individuabili, come già si è detto, in quelli della salute pubblica, della sicurez

za e dell'ordine pubblico, nonché della salvaguardia delle giova ni generazioni.

Tali beni sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi

contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante sia per le considerazioni già svolte concernenti la salute pubbli ca, ulteriormente minacciata dal possibile impiego antigienico di determinati mezzi di assunzione, sia perché trattasi di attività

riconducibile al mercato della droga, alimentato dalla cessione

al consumatore finale, qualunque sia il quantitativo di volta

in volta ceduto, ed attorno al quale prospera il fenomeno della

criminalità organizzata. Alla luce di tali considerazioni l'assunto del ricorrente secon

do cui l'illecita detenzione e vendita di sostanza stupefacente contenente mg. 13,4 di eroina base sarebbe priva di rilevanza

penale per inidoneità dell'azione, trattandosi di principio attivo

al di sotto della soglia che assicura l'effetto drogante, appare infondato.

Il ricorso del Kremi deve pertanto essere rigettato.

Il Foro Italiano — 1998.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 8 aprile

1998; Pres. La Torre, Est. Pioletti, P.M. Toscani (conci,

conf.); ric. Vitrano ed altro. Conferma Trib. Palermo, ord.

1° ottobre 1997.

Misure cautelari personali — Applicazione e durata — Determi

nazione della pena — Circostanze del reato — Concorso di

più circostanze ad effetto speciale — Criteri (Cod. pen., art.

2; cod. proc. pen., art. 278, 280, 303).

In materia di misure cautelari personali, per la determinazione della pena, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., rilevante ai fini della

adozione e della individuazione del termine di durata, nel ca

so in cui concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordina

ria del reato o circostanze ad effetto speciale, si deve tener

conto, ex art. 63, 4° comma, c.p., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo. (1)

Svolgimento del processo. — Con ordinanza del 1° ottobre

1997 il Tribunale di Palermo ha rigettato l'appello proposto da Vitrano Cosimo e da Vitrano Giovanni avverso il provvedi mento del tribunale della stessa città del 18 agosto 1997 che

aveva disatteso l'istanza di scarcerazione per intervenuta decor

renza del termine della custodia cautelare ad essi applicata il

26 giugno 1996 perché indagati per il reato di rapina aggravata

(art. 628, 3° comma, c.p.) con l'ulteriore aggravante di cui al

ti) Con la sentenza in epigrafe (e con altra in pari data, ricorrente

Tognetti) le sezioni unite sono intervenute per dirimere un contrasto

giurisprudenziale emerso negli ultimi anni sulla determinazione della pena ex art. 278 c.p.p. — che trova applicazione non solo ai fini dell'adozio ne del provvedimento cautelare, ma anche per individuare i termini di durata di cui al successivo art. 303 (Cass. 28 gennaio 1992, Pitzalis, Foro it., Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, n. 354, e, in moti vazione, sez. un. 1° ottobre 1991, Simioli, id., 1992, II, 276) — allor

quando il reato per cui si procede risulti aggravato da più circostanze ad affetto speciale o per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa rispetto a quella ordinaria del reato.

Come emerge dalla motivazione della sentenza che si riporta, le se zioni unite hanno optato per la soluzione ermeneutica che aveva raccol to maggiori consensi nell'ambito della stessa corte di legittimità: non

può non tenersi conto, ai fini e per gli effetti di cui all'art. 278 cit., di tutte le circostanze contestate con l'operatività, tuttavia, del criterio correttivo previsto dall'art. 63, 4° comma, c.p.; secondo tale orienta mento l'aumento di un terzo previsto per le circostanze diverse da quel la più grave non trasforma queste ultime da circostanze ad effetto spe ciale in circostanze comuni (giusta quanto dispone l'art. 64, 1° comma, c.p.), delle quali, ai sensi dello stesso art. 278, non si deve tener conto

(eccezion fatta per quella prevista dall'art. 62, n. 4, c.p.; v., in tal

senso, Cass. 13 marzo 1997, Casile, id., Rep. 1997, voce cit., n. 349; 23 maggio 1996, Biliardi, id., Rep. 1996, voce cit., n. 413; 20 maggio 1996, Celona, ibid., n. 415; 2 aprile 1996, Mendola, e 28 marzo 1996, Sanfilippo, id., 1996, II, 706, con nota di ulteriori richiami).

Secondo un orientamento minoritario occorre bensì tener conto di tutte le circostanze in esame calcolate, tuttavia, non globalmente, con il criterio moderatore di cui all'art. 63, 4° comma, c.p., ma autonoma mente: cfr. Cass. 21 maggio 1996, Aligi, id., Rep. 1996, voce cit., n. 414; 9 aprile 1996, Sanfilippo, ibid., n. 416; 6 marzo 1995, Orefice, id., Rep. 1995, voce cit., n. 292.

Isolato è rimasto, invece, l'orientamento secondo cui si deve tener conto della sola aggravante più grave, atteggiandosi l'altra (o le altre), ai sensi del più volte citato art. 63, 4° comma, come circostanza aggra vante comune, per di più facoltativa: Cass. 27 febbraio 1996, Nicastro, id., 1996, II, 706.

La dottrina non ha riservato particolare attenzione al problema sot toposto alle sezioni unite; soltanto De Amicis, Sulla rilevanza delle ag gravanti ad effetto speciale ai fini della determinazione della durata massima della custodia cautelare, in Cass. pen., 1997, 144, lo affronta ex professo annotando la sentenza Mendola dianzi richiamata. L'a. nel

l'esprimere adesione alla soluzione prospettata dalla corte, osserva che «l'identificazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale non discende dal livello di variazione frazionaria della pena, in base al siste ma di aumento in concorrenza di altra circostanza aggravante dello stesso tipo — secondo il meccanismo tipizzato dall'art. 63, 4° comma, c.p. — ... ma soltanto dal dettato legislativo, per il quale si è in presenza di tal genere di circostanze aggravanti allorquando l'aumento di pena è superiore ad un terzo, ex art. 63, 3° comma, ultima parte, c.p.». In altri termini, la ontologica diversità delle aggravanti in esame, desu mibile dal diverso criterio, rispetto a quello previsto dall'art. 64 c.p., prescelto dal legislatore per stabilire l'incidenza che esse hanno sulla pena stabilita per il reato, non viene meno in caso di concorso di una pluralità di circostanze aggravanti di tal tipo.

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GIURISPRUDENZA PENALE

l'art. 7 d.l. 3 maggio 1991 n. 152, convertito in 1. 12 luglio 1991 n. 203 (per connessione ad attività mafiose).

Ha ritenuto il tribunale che il termine di durata massima del

la custodia cautelare non dovesse essere di un anno ai sensi

dell'art. 303, 1° comma, lett. b), n. 2, c.p.p. come sostenuto

dagli appellanti, ma di un anno e mezzo come disposto dal n.

2 dello stesso articolo, perché si procedeva per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel

massimo a venti anni. Al riguardo il giudice d'appello osserva

innanzi tutto che, in relazione ai termini di durata massima del

la custodia cautelare, fissati dall'art. 303, la pena si deve deter

minare ai sensi dell'art. 278, che dispone che si debba tener

conto delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad

effetto speciale, sicché a tali fini si deve tener conto di tutte

tali circostanze, e non vale la regola posta dall'art. 63, 4° com

ma, c.p. secondo la quale, nel caso di concorso di circostanze

aggravanti del tipo già detto, si applica soltanto la pena stabili

ta per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla:

e ciò perché le due regole hanno differenti campi di applicazio

ne, in quanto la prima riguarda la determinazione della pena ai fini del calcolo dei termini di durata massima della custodia

cautelare, la seconda concerne l'applicazione della pena nel giu dizio. Prosegue però il tribunale notando che, pur volendo con

siderare la regola posta dall'art. 63 valida anche per la determi

nazione dei termini di durata della custodia cautelare, poiché si deve tener conto non solo della più grave circostanza specia

le, che è quella della rapina (che prevede la pena della reclusio

ne non superiore nel massimo a venti anni), come affermano

invece gli indagati, ma anche della ulteriore circostanza ad ef

fetto speciale, che è quella di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, si supera la soglia di gravità indicata, con la conseguenza che

il termine massimo di custodia non è quello di un anno ai sensi

dell'art. 303, 1° comma, lett. b), n. 2, c.p.p. ma quello più

ampio di cui al n. 3 della stessa disposizione, non ancora decorso.

Gli indagati ricorrono per cassazione deducendo la violazione

degli art. 63, 4° comma, c.p., 278, 303, lett. b), n. 3, c.p.p. sull'assunto che la circostanza aggravante meno grave, nella spe cie quella di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, degraderebbe ad aggravante comune perché l'art. 63 prevede che nel concorso

di più aggravanti ad effetto speciale il giudice applica soltanto

la pena stabilita per la circostanza più grave, ma può aumentar

la; essendo questo ultimo, cioè l'aumento fino a un terzo, l'ef

fetto delle aggravanti comuni, l'aggravante di cui all'art. 7 cit.

non potrebbe essere considerata ai sensi dell'art. 278 c.p.p. e

il termine di carcerazione avrebbe dovuto quindi essere ritenuto

quello di un anno, già scaduto.

La seconda sezione penale della corte, alla quale il ricorso

era stato assegnato, rilevato che sulla questione della computa

bilità, ai fini della durata della custodia cautelare, delle circo

stanze aggravanti ad effetto speciale meno gravi, vi è contrasto

tra le sezioni della corte, ai sensi dell'art. 618 c.p.p. ne ha ri

messo la risoluzione a queste sezioni unite.

Motivi della decisione. — La questione alla quale le sezioni

semplici di questa corte danno soluzioni in contrasto, la cui

composizione la seconda sezione ha rimesso a queste sezioni

unite, concerne il calcolo dei termini di durata massima della

custodia cautelare posti dall'art. 303 c.p.p., nella parte in cui

esso fa riferimento al livello di pena detentiva stabilita per il

delitto per il quale si procede, e che è diverso non solo in rela

zione alla pena edittale massima prevista per ogni delitto, ma

anche avuto riguardo alle circostanze ricorrenti nell'ipotesi pre

figurata. Ciò in relazione al disposto di cui all'art. 278 c.p.p., che detta i criteri per la determinazione della pena agli effetti

dell'applicazione delle misure, e che, quanto alle circostanze,

stabilisce che di esse non si tiene conto, fatta eccezione per quelle

per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da

quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. E nella fattispecie in esame, appunto, i ricorrenti sono inda

gati per il reato di rapina aggravata (art. 628, 2° comma, c.p.)

con l'ulteriore aggravante di cui all'art. 7 d.l. 3 maggio 1991

n. 152, convertito in 1. 12 luglio 1991 n. 203 (per connessione

ad attività mafiose), ed entrambe le circostanze aggravanti sono

ad effetto speciale. La prima, che è la più grave, prevede la

pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni,

e dovendo calcolare solo questa il termine di durata massima

della custodia cautelare, che è di un anno, ai sensi dell'art. 303,

Il Foro Italiano — 1998.

1° comma, lett. b), n. 2, c.p.p., è già decorso come affermano

i ricorrenti, sicché solo tenendo conto anche della seconda la

pena della reclusione è superiore nel massimo a venti anni e

il termine, che è di un anno e 6 mesi ai sensi del n. 3 della

stessa disposizione, non è ancora scaduto.

Proprio sulla particolare questione del calcolo di tali circo

stanze ai fini della determinazione della pena per i termini di

durata si incentrano i contrasti nelle decisioni della corte, che

vertono sul rilievo da assegnare all'art. 63, 4° comma, c.p. che, nel disciplinare gli aumenti e le diminuzioni di pena quando concorrono più circostanze aggravanti tra quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria

del reato o che sono ad effetto speciale, dispone che «si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il

giudice può aumentarla».

Infatti, secondo un orientamento, al quale si richiama l'argo mentazione principale del provvedimento impugnato, nella de

terminazione della pena a fini cautelari non si deve tener conto

della norma sostanziale, che è dettata per esigenze diverse quali sono quelle dell'applicazione della pena in concreto, ma si deve

considerare solo quella regolamentazione che è funzionale alle

esigenze di cautela proccessuale, qual è appunto quella di cui

all'art. 278 c.p.p., con la conseguenza che si deve tener conto

di tutte le circostanze del tipo qui in esame, considerate non

globalmente ma autonomamente (sez. VI 6 marzo 1995, Orefi

ce, Foro it., Rep. 1995, voce Misure cautelari personali, n. 292; sez. I 21 maggio 1996, Aligi, id., Rep. 1996, voce cit., n. 414; 9 aprile 1996, Sanfilippo, ibid., n. 416).

Altro indirizzo, e a questo si appellano i ricorrenti, prende invece in considerazione il 4° comma dell'art. 63 c.p., ma giun

ge alla opposta soluzione che si applica solo la pena stabilita

per la circostanza più grave, e che delle altre non si può tenere

conto. E ciò perché, stabilendo l'art. 63 che per le circostanze

ulteriori, oltre quella più grave, il giudice può aumentare la pe

na, le ulteriori circostanze del tipo qui considerato si atteggiano

quale aggravante comune in quanto comportano l'aumento, pe raltro facoltativo, della pena fino a un terzo, effetto questo che è proprio delle circostanze comuni (art. 64, 1° comma,

c.p.p.), e come tali la loro computabilità per la determinazione

della pena a fini custodiali è esclusa dall'art. 278 c.p.p.; a tal

riguardo si soggiunge che la natura della seconda circostanza, che diviene comune, deve essere unitaria sicché non può avere

una duplice valenza, a seconda che di essa si tenga conto ai

fini della determinazione della pena nel giudizio o dell'applica bilità della misura cautelare, per ritenerla ad effetto speciale solo in questo secondo caso (sez. I 27 febbraio 1996, Nicastro,

id., 1996, II, 706). Terzo ed ultimo orientamento nelle decisioni della corte, e

ad esso si riferisce come ulteriore sostegno l'ordinanza del Tri

bunale di Palermo, è quello che afferma doversi tener conto

di tutte le circostanze ad effetto speciale contestate, determi

nando la pena secondo la regola posta dall'art. 63, 4° comma,

c.p., e cioè nel massimo stabilito per la più grave delle aggra vanti con l'ulteriore aumento di un terzo per tutte le successive

aggravanti complessivamente considerate. Al riguardo si precisa che la natura della circostanza, quale comune o ad effetto spe

ciale, non può derivare dal meccanismo relativo all'aumento della

pena previsto dall'art. 63 cit. per le circostanze ulteriori rispetto a quella più grave, perché esso è ispirato al criterio del cumulo

giuridico, tant'è che se così non fosse la medesima circostanza

muterebbe natura, da circostanza ad effetto speciale a circo

stanza comune, a seconda che fosse contestata da sola ovvero

dalla posizione assunta nell'ordine di gravità delle circostanze

concorrenti (sez. I 13 marzo 1997, Casile, id., Rep. 1997, voce

cit., n. 349; 2 aprile 1996, Mendola, id., 1996, II, 706; 23 mag gio 1996, Biliardi, id., Rep. 1996, voce cit., n. 413; 28 marzo

1996, Sanfilippo, id., 1996, II, 706; 22 gennaio 1992, Brusca,

id., Rep. 1992, voce Libertà personale dell'imputato, n. 5; 20

maggio 1996, Celona, id., Rep. 1996, voce Misure cautelari per

sonali, n. 415). Ritengono le sezioni unite della corte che questo ultimo orien

tamento sia da condividere.

E invero la prima tesi, quella che ritiene che quando concor

rono più circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o ad effetto spe ciale non debba farsi ricorso al criterio dell'art. 64 c.p. essendo

sufficiente il dettato del codice di rito che stabilisce che di tali

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PARTE SECONDA

circostanze si debba tener conto, non indica come deve avvenire la loro sommatoria. Va da sé che tali circostanze, proprio per la loro natura, interrompono il collegamento con la pena stabi lita per il reato cui accedono, quelle c.d. autonome, ovvero hanno una variazione non frazionaria della pena della stessa specie, quelle c.d. indipendenti, e avendo quindi autonomia sanziona toria non vi è una base sulla quale apportare gli aumenti succes

sivi, come avviene invece per le cicostanze comuni, nulla dispo nendo in proposito il codice di rito: tale tesi, non sussistendo

apposite regole per il concorso delle circostanze computabili ex art. 278 c.p.p., risulta pertanto in contrasto con i principi di

legalità e tassatività dei casi di limitazione della libertà della

persona (art. 272 c.p.p. e 13 Cost.). Non è da condividere neanche il secondo orientamento, quel

lo che considera sì la disposizione posta dal più volte ricordato art. 63 c.p. ma tiene conto solo della pena stabilita per la circo stanza più grave, perché le altre le degrada a circostanze comu

ni, le quali non possono essere valutate per l'esclusione fattane dall'art. 278 del codice di rito, che eccettua solo la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. e le circostanze del tipo già detto, sia attenuanti che aggravanti. In proposito si può osservare non solo che ogni circostanza mantiene la sua natura

perché è irragionevole ritenere che la muti a seconda della sua collocazione nell'ordine di gravità delle circostanze che concor

rono, ma anche e soprattutto che la regola dell'aumento fino ad un terzo posta dalla norma codicistica costituisce certo un cumulo giuridico delle pene per le ulteriori circostanze, ma as solve anche alla funzione di limite legale della pena per la parti colare ipotesi considerata, in sostituzione del limite ordinario

previsto per il concorso delle circostanze comuni dagli art. 66 e 67 c.p. che espressamente eccettuano le circostanze del tipo qui considerato.

Quindi, la natura della circostanza è sempre la stessa, e per ché ciò sia evidente è sufficiente considerare che i dati normati vi sostanziali, sia costitutivi di reato sia di circostanze, rilevano

sempre in due momenti, quello edittale in cui si considera a certi effetti la pena stabilita in modo vincolato dalla legge e

quello giudiziale in cui quella stessa pena è valutata nella sua discrezionale applicazione da parte del giudice.

E pena stabilita dalla legge è quella della reclusione dell'art. 303 c.p.p. che, a seconda della sua estensione, indicante il livel lo di gravità del delitto per cui si procede, rapporta i diversi termini di durata massima della custodia cautelare. E così pure è pena stabilita dalla legge, quella determinata agli effetti delle

misure, considerata dall'art. 278 quando indica di quali dati si deve tener conto. E così si può continuare ricordando, ad

esempio, come si tenga conto della pena edittale, cioè appunto della pena stabilita dalla legge, per la competenza per materia

quantitativa (art. 4, 5, 7 c.p.p.).

Quando poi si deve determinare quale sia la pena che la legge stabilisce, bisogna aver riguardo alla legge sostanziale che for mula la fattispecie, sia essa codicistica o extracodicistica, e alle

disposizioni che la regolano e che in genere, salvo deroghe, so no quelle del codice sul reato in generale.

Altro invece è il momento in cui quella stessa pena così stabi lita viene applicata, cioè quello giudiziale, in cui nell'ambito della estensione della pena stabilita dalla legge, il giudice, com

piuta ogni altra valutazione intorno alla fattispecie, e verificata la rispondenza della ipotesi concreta a quella astratta, conclude il giudizio applicando la pena discrezionalmente commisurata al caso concreto.

È ora da considerare la disciplina posta dall'art. 63 c.p. per gli aumenti e diminuzione di pena. I primi due commi stabili scono come operano gli aumenti di una o più circostanze aggra vanti o attenuanti comuni quando concorrono una o più circo stanze omogenee, nel senso che il primo aumento o diminuzio ne opera sulla quantità che il giudice applicherebbe se il reato non fosse circostanziato, e sulla quantità di pena risultante dal primo calcolo operano i successivi aumenti o diminuzioni. A ciò deroga il 3° comma quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del rea to o si tratta di circostanza ad effetto speciale: in tal caso le ulteriori circostanze comuni non operano sulla pena ordinaria del reato ma sulla pena stabilita per tale circostanza.

Infine il 4° comma dell'art. 63 regola il caso di concorso di

Il Foro Italiano — 1998.

più circostanze di questo tipo e dispone che si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla.

Le considerazioni innanzi fatte sulla proprietà dei termini «pena applicata» e «pena stabilita» usati dal legislatore consentono di notare conclusivamente come in questa disposizione conver

gano il momento applicativo della pena e quello edittale, come reso evidente dall'adozione, in correlazione tra loro, delle espres sioni «si applica» e «pena stabilita». Il primo si manifesta sia nella dichiarata applicazione della sola pena stabilita per la cir costanza più grave — ed esso è consono alla sede in cui è collo

cato, perché è all'esito del giudizio che risulta qual è la circo stanza più grave — sia nella discrezionalità dell'aumento di pe na per le ulteriori circostanze; il momento edittale a sua volta è individuato laddove il legislatore lo determina nella pena sta bilita per la circostanza più grave, aumentata.

Pertanto queste sezioni unite, risolvendo la questione propo sta, ritengono che, ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso concorrano

più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una

pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostan ze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell'art. 63, 4° comma, c.p.p., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e tale aumento costituisce cumulo

giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti

per le circostanze meno gravi del tipo già detto che mantengono la loro natura.

Ne consegue che i ricorsi devono essere rigettati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 8 aprile 1998; Pres. La Torre, Est. Malinconico, P.M. Iannelli

(conci, conf.); ric. Marzaioli. Annulla senza rinvio Pret. Pa via, ord. 19 luglio 1997.

Notificazioni di atti penali — Servizio postale — Mancata con

segna del piego — Deposito presso l'ufficio postale — Avviso al destinatario — Omessa menzione sull'avviso di ricevimento dell'avvenuta esecuzione di tutte le formalità, del deposito e dei motivi — Nullità —

Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 157, 170, 171, 177; 1. 20 novembre 1982 n. 890, notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta con nesse con la notificazione di atti giudiziari, art. 8).

L'omessa menzione sull'avviso di ricevimento dell'avvenuta ese cuzione di tutte le formalità prescritte dall'art. 8, 2° comma, l. n. 890 del 1982 — deposito del piego nell'ufficio postale per mancata consegna, avviso a! destinatario mediante affis sione alla porta d'ingresso o immissione nella cassetta della corrispondenza —, del deposito e dei motivi che li hanno de terminati costituisce causa di nullità della notificazione effet tuata col mezzo della posta (fattispecie in tema di nullità del la notifica dell'avviso di deposito della sentenza contumaciale e del conseguente ordine di carcerazione). (1)

(1) Il ricorso veniva rimesso alle sezioni unite dalla seconda sezione penale, con ordinanza 18 dicembre 1997, per la risoluzione della que stione di diritto riguardante le conseguenze, sulla validità della notifica zione a mezzo del servizio postale — in termini di nullità o di mera irregolarità — dell'omessa annotazione sull'avviso di ricevimento delle ragioni della mancata consegna del piego al destinatario o a persona abilitata a riceverlo e dell'avvenuto espletamento delle formalità all'uo po previste (deposito nell'ufficio postale e relativo avviso al destinata rio, mediante affissione alla porta d'ingresso oppure mediante immis sione nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda, ai sensi dell'art. 8, 2° comma, 1. 20 novembre 1982 n. 890): questione in ordine alla quale s'era venuto recentemente delinean do un contrasto di giurisprudenza.

Secondo un primo indirizzo, affermatosi già nell'immediatezza del

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