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sezioni unite penali; sentenza 9 ottobre 1996; Pres. La Torre, Est. Morelli, P.M. Toscani (concl....

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sezioni unite penali; sentenza 9 ottobre 1996; Pres. La Torre, Est. Morelli, P.M. Toscani (concl. parz. diff.); ric. Carpanelli ed altri. Annulla senza rinvio App. Bologna 5 maggio 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 327/328-331/332 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191243 . Accessed: 24/06/2014 23:49 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.49 on Tue, 24 Jun 2014 23:49:29 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 9 ottobre 1996; Pres. La Torre, Est. Morelli, P.M. Toscani (concl.parz. diff.); ric. Carpanelli ed altri. Annulla senza rinvio App. Bologna 5 maggio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 5 (MAGGIO 1997), pp. 327/328-331/332Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191243 .

Accessed: 24/06/2014 23:49

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GIURISPRUDENZA PENALE

teoria generale del diritto e che la stessa convenzione di Ginevra

[del 1956] ripete la distinzione, ma istituzionalizza quelle che

definisce pratiques, nel senso che le specie elencate, attraverso

la legge di ratifica, sono divenute nel nostro ordinamento ap

punto 'fatti normativi'». Di qui — secondo l'ordinanza — la

possibilità del rilievo d'un equivoco, ove sarebbe incorsa la giu

risprudenza di merito, quando — incalzata da casi non precisa mente rapportabili alle pratiques elencate nel testo in discorso — ha finito per intendere la nozione di condizione analoga alla

schiavitù quale indicativa di disvalori sociali o di fatto, senza

che si ritenessero vincolanti i parametri indicati nella convenzio

ne supplementare suddetta. Ma tutti codesti rilievi non possono vedersi riconosciuta attualità di interesse e pertinenza, a fronte

dei termini in cui — come sopra — si è ritenuta come la più attendibile — in quanto coerentemente dimostrabile — la pro

posta ermeneusi della norma incriminatrice, su cui si verte.

Rimane, piuttosto, da puntualizzare il ruolo che — nell'ottica

dell'attuale virtualità interpretativa inerente ai disposti positivi, che fanno riferimento alla «condizione analoga alla schiavitù»

[art. 600-601 e 602 c.p.] — deve ascriversi al dettato dell'art.

I dell'appena ulteriormente citata convenzione supplementare, che è descrittiva — come già detto — delle istituzioni o prati che, alla cui completa abolizione o abbandono doveva volgere

l'impegno degli Stati — poi — ratificanti. E non v'è difficoltà a ritenere — coerentemente coi concetti sopra espressi, circa

il significato della locuzione «condizione analoga ...» — che

descrizioni siffatte sian suscettibili d'essere in quest'ultima ri

comprese, essendo insita in ognuna di esse quella connotazione

di assoggettamento effettuale d'una persona umana alla signo ria altrui, che — come visto — costituisce la sostanzialità della

somiglianza della condizione, in cui può venire a versare una

persona, a quella propria della schiavitù. Epperò, è del tutto

ovvio osservare che non possano essere ritenute le suddette de

scrizioni tali da esaurire la virtualità espansiva della nozione

di «condizione analoga», della cui sussistenza potrà positiva mente farsene riscontro le quante volte — anche al di là degli estremi specifici, dettati dalla convenzione — sia dato verificare

l'esplicazione d'una condotta, cui sia ricollegabile l'effetto del

totale asservimento (nel senso sopra visto) d'una persona uma

na al soggetto responsabile della condotta stessa.

Si elide, in tal guisa, ogni valenza nel costrutto avversante

(che, invece, come visto, ha trovato eco nell'analisi compiuta nell'ordinanza di rimessione) che sostanzia il secondo motivo

di ricorso — oggetto del presente esame — essendosi ivi conte

stato dall'impugnante — sulla scia d'una tesi giuridica, che è

qui disattesa — che potessero i giudici di merito legittimamente ravvisare una condizione analoga alla schiavitù in quella della

vittima della vicenda in causa, al di là della possibilità di ricon

durla esattamente in taluna delle sopra considerate previsioni della citata convenzione supplementare del 1956. Non essendovi

dubbio — per contro — circa la corretta valorizzazione dei dati fattuali emergenti, che suggerirono a quei giudici il convinci

mento della sancita colpevolezza — quali sono stati già compiu tamente evocati in narrativa — l'avversato esito è da ritenere essere stato raggiunto, sulla scorta d'un ragionamento giuridi co, che, in definitiva — non divergendo nella sostanza da quel lo fatto in questa sede — coerisce alle linee dell'ermeneusi rico struttiva della fattispecie legale, come sopra sono state traccia te. Sicché, di sicuro, sfugge l'impugnata sentenza al deferito vizio dell'erronea applicazione della legge penale, onde può così

stimatizzarsi l'infondatezza del suddetto motivo d'impugnazione. E, quanto al primo, non resta, del pari, che disattenderne i

contenuti, in quanto del tutto inabili a dimostrare la sussisten

za, nell'impugnata pronuncia, di errori concettuali ovvero di

mende afferenti all'applicazione delle pertinenti regole di giudi zio; apparendo — per converso — ineccepibile la delibazione dei fatti, compiuta dal giudice di merito, in quanto sorretta da un iter ricostruttivo, di cui sono stati con completezza espositi va e con innegabile congruenza logica esplicati tutti i passaggi, confluenti nell'esito raggiunto. La costruzione argomentativa, che il ricorrente mostra di voler privilegiare, si snoda, per con

tro, in segmenti, che — sia singolarmente che nella loro globali tà — non appaiono da altro sostenuti se non da un dissenso di puro merito, la cui espressione non può che restare sterile di effetti, nell'ambito del giudizio di legittimità. Ragioni, code ste, per le quali il ricorso di Osmanovic merita di essere respinto.

II Foro Italiano — 1997.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 9 ot tobre 1996; Pres. La Torre, Est. Morelli, P.M. Toscani

(conci, parz. diff.); ric. Carpanelli ed altri. Annulla senza rinvio

App. Bologna 5 maggio 1994.

Imputato — Dichiarazioni indiziatiti — Utilizzabilità nella par te relativa a terzi — Esclusione — Limiti (Cod. proc. pen., art. 63).

Le dichiarazioni rese da persona che sin dall'inizio avrebbe do

vuto esser sentita come indagata o imputata e non è stata

ascoltata in tale qualità sono inutilizzabili anche nei confronti dei terzi; il divieto di utilizzabilità, peraltro, non concerne le dichiarazioni favorevoli al soggetto che le rende ed a terzi, né quelle riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in rea ti diversi, non connessi o non collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano indizi a carico del dichiarante

medesimo, che in tal caso assume la veste di testimone (la corte ha anche precisato che esulano dalla disciplina dell'art.

63, 2° comma, c.p.p., in quanto rientranti nella sfera delle

nullità, riguardanti solo la persona nell'interesse della quale le formalità sono previste, i casi di irregolarità — omesso avviso al difensore o simili — di assunzione delle dichiarazio ni di colui che viene sentito come indagato o imputato). (1)

(Omissis). 5. - Il motivo di ricorso, proposto dalla maggior parte dei ricorrenti, con il quale si deduce l'inutilizzabilità nei loro confronti delle dichiarazioni rese dall'Herrero nel corso del l'esame reso in qualità di teste al dibattimento, prima della so

(1) Con la sentenza che si riporta le sezioni unite hanno risolto un contrasto determinatosi nella giurisprudenza della corte (le varie posi zioni e le relative pronunce sono esaustivamente indicate nella motiva zione della sentenza) circa la utilizzabilità o meno anche nei confronti di altri soggetti delle dichiarazioni rese nell'ipotesi di cui al 2° comma dell'art. 63 c.p.p. ossia da persona che «doveva essere sentita sin dall'i nizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini» e che invece non è stata ascoltata come tale.

La tesi accolta dalle sezioni unite è in linea non solo con l'espresso intento dei compilatori del codice (v. il passo della relazione al progetto preliminare del codice ricordato nella motivazione), ma anche con quanto diffusamente ritenuto in dottrina: nello stesso senso, cfr., infatti, tra gli altri, Kostoris, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1989, I, 325, sub art. 63; Dominio ns in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, I, 400, sub art. 63; Cordero, Pro cedura penale, Milano, 1993, 236; più di recente, v. pure Sanna, Di chiarazioni autoindizianti e loro inutilizzabilità, in Giur. it., 1996, II, 175 ss. (che osserva, tra l'altro, che «. . . l'art. 63, 2° comma, costitui sce un fronte avanzato di tutela dei divieti posti dall'art. 197, 1° com ma, lett. a e b, c.p.c.»).

Conviene inoltre segnalare come le sezioni unite abbiano operato nel la sentenza de qua anche ulteriori affermazioni di principio, tra le quali pare utile ricordare le seguenti: 1) la cancellazione di dati dalla memo ria di un computer in modo tale da renderne necessaria la creazione di nuovi significa rendere inservibile parzialmente, mediante la distru zione di un bene immateriale, l'elaboratore, cioè un bene mobile, e dunque costituisce comportamento idoneo ad integrare il reato di dan neggiamento, se commesso anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 9 1. 23 dicembre 1993 n. 547, che ha introdotto la specifica figura di reato di cui all'art. 635 bis c.p.; 2) la disposizione generale di cui al l'art. 24 disp. att. c.p.p., secondo la quale la nomina di ulteriori difen sori si considera senza effetto finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultino in eccedenza rispetto al numero previsto dagli art. 96, 100 e 101 del codice, non è applicabile nel giudi zio di legittimità, valendo per esso la norma speciale contenuta nell'art. 613, 2° comma, secondo periodo, c.p.p., la quale dispone che nel pro cedimento davanti alla Corte di cassazione «il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente» e che solo «in man canza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ulti mo giudizio». [A. Ferraro]

Improvvisamente perdiamo un amico sensibile e un collaboratore di screto e allo stesso tempo determinato e accurato.

Pubblichiamo l'ultima nota redazionale di Angelo Ferraro, meticolo so ricercatore e prezioso osservatore della realtà della giurisprudenza penale, in cui troppo spesso oramai le suggestioni della cronaca e del facile effetto tendono — per fortuna non ancora definitivamente — a prendere il posto proprio della serena e approfondita analisi e del meditato inquadramento delle fattispecie, che i collaboratori di queste colonne ultracentenarie cercano quotidianamente di preservare, non di menticando l'indispensabile ausilio della migliore dottrina.

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GIURISPRUDENZA PENALE

spensione dell'esame stesso, disposta dal pretore ai sensi del

l'art. 63, 1° comma, c.p.p., è destituita di fondamento ma per

ragioni diverse da quelle addotte dalla sentenza della corte terri

toriale, nella cui motivazione si annida un errore di diritto che — sebbene ininfluente sul decisum — deve essere corretto per

quanto ora si dirà.

5.1. - L'art. 63 c.p.p. disciplina le due diverse ipotesi della

persona che in quanto non indagata o imputata viene sentita

dall'autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria come persona informata dei fatti (nella fase delle indagini preliminari) o come

teste (nel dibattimento) e dalle cui dichiarazioni emergano indizi

di reità a suo carico (1° comma), e di colui che invece nella

stessa veste renda dichiarazioni, mentre la sua posizione, in re

lazione alle risultanze al momento acquisite, era quella di inda

gato o imputato, pur non avendo assunto formalmente tale qua lità (2° comma). Le due fattispecie si diversificano quindi per il diverso rapporto tra la posizione dell'autorità alla quale le

dichiarazioni sono rese — inquirente o giudice — e quella della

persona che le rende, nel senso che nella prima ipotesi l'autorità

ignora gli elementi che inducono a ritenere il soggetto indagato 0 imputato, venendone a conoscenza solo durante le dichiara

zioni e attraverso il loro contenuto, mentre nella seconda l'au

torità è consapevole di ciò e tuttavia procede all'escussione in

qualità di persona informata e di teste.

Orbene, risulta dalla sentenza di primo grado che il pretore nel corso dell'esame del teste Herrero, ritenendo che dalle sue

dichiarazioni emergevano indizi di reità a suo carico, interrom

peva detto esame ai sensi dell'art. 63, 1° comma, c.p.p. Le di

fese richiesero allora l'acquisizione delle dichiarazioni rese dal

l'Herrero al pubblico ministero nella fase delle indagini prelimi nari al fine di dimostrare che dalle stesse e da una lettera

indirizzata dalla Sistemi s.p.a. a terzi, si enucleavano indizi di

una sua responsabilità concorrente nei reati contestati e che per tanto le dichiarazioni rese in sede dibattimentale prima dell'in

terruzione dell'esame non potevano essere utilizzate nei confronti

degli imputati secondo una corretta interpretazione dell'art. 63, 2° comma. Il pretore rigettò la richiesta sia perché tardiva, in

quanto fatta dopo l'audizione del teste e non in sede di tratta

zione delle questioni preliminari o di decisione sull'ammissione

dei mezzi di prova, sia perché le dichiarazioni rese dall'Herrero,

dopo la scadenza del termine stabilito per la fase delle indagini

preliminari, non erano utilizzabili neppure per le contestazioni

e non acquisibili al fascicolo del dibattimento, mentre la lettera

menzionata dalla difesa non aveva alcun rilievo indiziante. Ri

teneva quindi che si rimanesse nell'ambito della disciplina di

cui al 1° comma dell'art. 63 e utilizzava ai fini della decisione

le dichiarazioni dell'Herrero rese prima dell'interruzione dell'e

same, riguardanti le condotte poste in essere dagli imputati. Tale iter procedurale seguito dal primo giudice, alla luce di

quanto dianzi precisato in tema di esegesi dell'art. 63, appare corretto avendo in punto di fatto motivatamente escluso l'esi

stenza di elementi idonei ad indicare l'Herrero già raggiunto ab initio da indizi di reità.

La corte d'appello, dopo aver dichiarato che il problema era

stato «affrontato e risolto dal pretore in maniera condivisa dal

la corte» — nel senso cioè di escludere in fatto che l'Herrero

«fosse da considerare raggiunto da indizi di reità tale da far

ritenere che egli avrebbe dovuto assumere la veste di indagato ancor prima della citazione per rendere l'esame» — ha creduto

opportuno di rafforzare la condivisa statuizione con un ulterio

re ed aggiuntivo argomento in punto di diritto. Ha infatti rile

vato che quel problema «deve considerarsi oggi risolto dal più recente indirizzo giurisprudenziale, che, superata ogni distinzio

ne tra le ipotesi previste dall'art. 63 c.p.p. per quanto concerne

1 terzi, ha affermato l'utilizzabilità in ogni caso, nei confronti

degli altri imputati, delle dichiarazioni rese dal soggetto che,

pur dovendo assumere la veste di imputato o di indagato, sia

stato esaminato in qualità di testimone».

Così motivando la corte d'appello si è uniformata sul punto ad un indirizzo giurisprudenziale di questa corte che, però, ri

sulta contrastato da un opposto orientamento. Ed è proprio

per dirimere tale contrasto che il presente procedimento è stato

rimesso alle sezioni unite (con la sopra ricordata ordinanza 9

maggio 1996 della quarta sezione penale). Al qual fine si osser

va quanto segue. 5.2. - La tesi della unicità di disciplina dei due commi del

l'art. 63 in ordine alle dichiarazioni riguardanti terze persone è stata sostenuta dalla prima sezione con la sentenza 7 febbraio

1991, n. 620, Bruno, secondo la quale le disposizioni contenute

Il Foro Italiano — 1997.

in detto articolo fanno parte di quelle che mirano a garantire i diritti della difesa e che al di fuori di tale ratio non v'è ostaco

lo derivante dall'inutilizzabilità ivi sancita, ond'è che «il 2° com

ma non è che il completamento del precedente cui va collegato» e anche nell'ipotesi ivi prevista resta esclusa l'inutilizzabilità nei

confronti dei terzi. Lo stesso indirizzo è stato seguito dalla sesta

sezione con le sentenze 10 maggio 1991, Zumpano (Foro it.,

Rep. 1992, voce Imputato, n. 9), 15 marzo 1993, Di Tommaso

(id., Rep. 1993, voce cit., n. 8), 13 gennaio 1994, Patané, tutte

riguardanti, peraltro, fattispecie in cui i giudici di merito aveva

no ritenuto che i dichiaranti al momento in cui rendevano le

dichiarazioni non potevano assumere la qualità di indagati o

imputati; e, più recentemente, con la sentenza 23 maggio 1995,

Gatto, che ha ritenuto utilizzabili in quanto sicuramente non

rese contra se, le dichiarazioni del tossicodipendente acquirente di sostanze stupefacenti attraverso le quali sia stato possibile risalire allo spacciatore.

La tesi contraria è stata invece affermata per la prima volta

dalla quarta sezione con la sentenza 8 febbraio 1994, Borzi (id.,

Rep. 1995, voce cit., n. 17), in cui è stata evidenziata la diversa

formulazione letterale dei due commi, seguita da quella della

prima sezione 11 aprile 1994, Curatola (id., 1995, II, 494), se

condo la quale l'inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni

rese da colui che sin dall'inizio doveva essere sentito come im

putato o indagato si desume, oltre che dal dato letterale, dalla

considerazione che «il regime di inutilizzabilità di cui al 1° comma

si riferisce all'ipotesi "fisiologica" nella quale vengono rispetta te le norme di garanzia, mentre nel 2° comma il legislatore ha

introdotto un "deterrente" contro ipotesi "patologiche", in cui

deliberatamente si ignorano i già preesistenti indizi di reità a

carico dell'escusso con pericolo di dichiarazioni accusatorie, com

piacenti o negoziate a carico di terzi».

Identica l'interpretazione di sez. VI 6 aprile 1995, Primavera, e 15 luglio 1996, Tesser.

Il problema è stato oggetto di approfondimento da parte del

la sezione feriale che con la sentenza 10 agosto 1995, Calabrese

(id., Rep. 1995, voce cit., n. 18), partendo dalla ratio garanti stica che sottende entrambe le ipotesi disciplinate dall'art. 63, ritiene sempre utilizzabili le dichiarazioni che si risolvono in fa

vore di chi le rende o in danno di terzi, purché relative a fatti

ai quali egli sia completamente estraneo.

Altre decisioni concernenti casi di persone sentite come inda

gate ma in assenza di difensore, cioè con violazione della garan zia fondamentale posta a sua diretta e personale tutela, hanno

ribadito il principio dell'inutilizzabilità erga omnes delle dichia

razioni di chi doveva essere assunto sin dall'inizio come indaga to o imputato, ma hanno ritenuto che nella suddetta ipotesi non opera la categoria dell'inutilizzabilità, bensì quella della nul

lità, che resta circoscritta alla parte riguardante la responsabili tà del dichiarante, trattandosi di violazione della garanzia fon

damentale posta a sua diretta e personale tutela, restandone in

denni le dichiarazioni a carico di terzi, il cui diritto di difesa

non è in alcun modo pregiudicato (sez. VI 26 settembre 1990, El Annon; sez. I 21 aprile 1993, Rizzo id., Rep. 1993, voce

cit., n. 7; sez. Ili 26 luglio 1993, Petrone id., Rep. 1994, voce

Nullità penale, n. 13; sez. I 11 luglio 1994, Lacerenza id., Rep. 1995, voce Imputato, n. 16; sez. VI 25 novembre 1994, Crisa

fulli, ibid., n. 15; 8 marzo 1996, Costarelli; 19 aprile 1996, Ga

lasso; nonché la citata 10 agosto 1995, Calabrese della sezione

feriale). 5.3. — Ad avviso di queste sezioni unite merita consenso l'in

dirizzo giurisprudenziale secondo il quale le dichiarazioni della

persona che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita come

indagata o imputata sono inutilizzabili anche nei confronti dei

terzi (fermo restando che i casi di irregolarità di assunzione del

le dichiarazioni di colui che viene sentito come indagato o im

putato: omesso avviso al difensore o simili, esulano dalla disci

plina dell'art. 63, 2° comma, in quanto rientranti nella sfera

delle nullità, riguardanti solo la persona nell'interesse della qua le le formalità sono previste).

Non lascia adito a dubbi di sorta anzitutto la lettera della

legge, che mentre per le dichiarazioni di colui a carico del quale

emergono indizi di reità nel corso dell'esame sancisce espressa mente l'inutilizzabilità di quelle precedenti all'avvertimento ma

solo «contro la persona che le ha rese», la stessa inutilizzabilità, senza limitazione soggettiva alcuna e quindi «oggettivamente», stabilisce per quelle di colui che sin dall'inizio si trovava ndla

posizione sostanziale di indagato o di imputato.

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PARTE SECONDA

Esplicita conferma si rinviene nella relazione al progetto pre

liminare, che evidenzia a chiare lettere la netta distinzione tra

la disciplina delle due ipotesi, rilevando che nella seconda «si

è ritenuto più corretto prevedere che le dichiarazioni rese in

assenza del difensore non possono essere utilizzate non solo nei

confronti della persona che le ha rese, bensì neppure nei con

fronti di altri».

Soccorre altresì l'interpretazione logica. Se l'inutilizzabilità pre vista dal 2° comma dovesse intendersi in senso relativo, cioè

solo contro il dichiarante, e non in senso assoluto, cioè erga

omnes, la norma sarebbe inutile, perché già compresa nel 1°

comma: se, infatti, non sono utilizzabili le dichiarazioni rese

dalla persona prima che emergano gli indizi di reità, a maggior

ragione non lo sono quelle rese da colui a carico del quale, sin dall'inizio, erano «già emersi gli indizi» di reità e, quindi, doveva essere sentito come indagato o imputato.

Peraltro, al fine di una completa oltre che corretta interpreta zione della norma in questione, essa va esaminata nel contesto

delle altre del codice di rito (art. 197, lett. a e b, 208, 210 c.p.p.),

che, nel disciplinare la posizione dell'imputato e del coimputato dello stesso reato o dell'imputato di reato connesso o collegato, attuano il principio del diritto al silenzio. L'art. 63, 2° comma, rende operante tale diritto in un momento antecedente a quello dell'assunzione formale della qualità di indagato o imputato dalla

quale scaturisce il diritto stesso, costituendo in tal modo un

fronte avanzato di tutela. L'incapacità a testimoniare di tali sog

getti e la correlativa disciplina del loro esame con le garanzie difensive e la facoltà di non sottoporvisi, riguardano, com'è

ovvio, l'intero contenuto dei temi oggetto di esame, quindi sia

ciò che attiene alla propria posizione, sia i fatti che riguardano

quei terzi che assumono la veste di coimputato dello stesso rea

to o di imputato di reato connesso o collegato. La ragione è

evidente: taluno di questi soggetti, nel momento in cui rende

dichiarazioni accusatorie nei confronti degli altri che si trovano in una posizione processuale in vario modo legata alla propria

(concorso nel reato, attribuzione di reato connesso o collegato),

può riferire circostanze che per l'intima connessione e interdi

pendenza tra il fatto proprio e quello altrui, possono coinvolge re la sua responsabilità ed indurlo, anche per questo solo moti

vo, ad esercitare il diritto al silenzio, che gli viene riconosciuto

per il principio nemo tenetur se detegere. Il che non si verifica

nell'ipotesi in cui il soggetto sia imputato, nello stesso o in altro

processo, per un reato o per reati che non abbiano alcun lega me processuale con quelli per cui si procede, rispetto ai quali la sua posizione è di totale estraneità e indifferenza ed è quindi

quella del testimone.

Da ciò discende che in tanto può intervenire il regime di inu

tilizzabilità assoluta di cui all'art. 63, 2° comma, in quanto le dichiarazioni provengano da persona a carico della quale sussi stevano indizi in ordine allo stesso reato o a reato connesso o collegato attribuito al terzo e che tali dichiarazioni avrebbe avuto il diritto di non rendere se fosse stato sentito come inda

gato o imputato. Restano quindi escluse dal divieto, in quanto al di fuori del

l'ambito di applicazione della norma, le dichiarazioni riguar danti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non con nessi o non collegati con quello o quelli in ordine ai quali esiste vano indizi a carico del dichiarante, poiché in tal caso costui, come si è detto, assume la veste di testimone.

Ne restano altresì escluse, alla stregua della ratio ispiratrice della tutela del diritto di difesa, le dichiarazioni favorevoli al

soggetto che le rende e a terzi, quali che essi siano, non essen dovi ragione alcuna di escludere dal materiale probatorio ele menti che con quel diritto non collidono.

Solo in questi limiti può dunque dirsi che la più rigida sanzio ne di inutilizzabilità dell'art. 63, 2° comma, sia dettata in fun zione deterrente rispetto alle prassi illiberali di sentire una per sona senza le garanzie dell'imputato o dell'indagato al fine di

poter continuare a svolgere indagini informali, ignorando deli beratamente l'esistenza di indizi di reità a suo carico, e che per segua lo scopo, come ben evidenzia la sentenza Curatola, di evitare il pericolo di dichiarazioni, compiacenti o negoziate, a carico di terzi. E ciò per l'evidente ragione che colui che ha la veste di teste in rapporto alle persone nei cui confronti rende dichiarazioni dannose non abbisogna di alcuna tutela difensiva e non può perciò diventare oggetto di alcuna strumentalizzazio ne da parte dell'inquirente.

Il Foro Italiano — 1997.

5.4. - Sul tema manifesta si appalesa l'infondatezza della do

glianza che pretende di far discendere dalla interruzione dell'e

same dell'Herrero la violazione del diritto di difesa per il man

cato controesame del teste. Invero, stante la piena legittimità della procedura adottata dal pretore, l'esigenza di tale controe

same avrebbe dovuto essere prospettata dai difensori che, aven

dovi interesse, a tal fine avrebbero dovuto richiedere l'ammis

sione dell'Herrero ai sensi dell'art. 210 c.p.p.: il che non hanno

fatto né nel dibattimento di primo grado, dopo l'interruzione

dell'esame, né con i motivi di appello ai sensi dell'art. 603 c.p.p.

Correttamente, pertanto, la corte di merito, ha evidenziato che

la questione non attiene all'applicazione dell'art. 63, ma al di

ritto alla prova previsto dall'art. 190 c.p.p., che «nel caso di

specie non risulta in alcuna maniera ostacolato o compresso».

(Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 19

giugno 1996; Pres. Calla, Est. Albamonte, P.M. (conci, parz.

diff.); ric. Proc. rep. Pret. Trani c. Monterisi. Annulla senza rinvio Pret. Trani-Andria, ord. 21 gennaio 1994.

Edilizia e urbanistica — Costruzioni abusive — Ordine di de

molizione — Esecuzione — Competenza (Cod. proc. pen., art. 655, 665; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupe ro e sanatoria delle opere edilizie, art. 7, 20).

L'ordine giudiziale di demolizione dell'opera abusiva ha natura di provvedimento giurisdizionale, con la conseguenza che ne è demandata l'esecuzione al p.m. ed al giudice dell'esecuzio

ne, secondo le rispettive competenze. (1)

(1) I. - Le sezioni unite intervengono a sanare il risalente contrasto

giurisprudenziale attinente all'interpretazione dell'ultimo comma dell'art. 7 1. 47/85, con precipuo riferimento alla natura giuridica dell'ordine di demolizione ed alle connesse questioni di giurisdizione.

Una parte della giurisprudenza ha inteso attribuire natura ammini strativa all'ordine de quo, confinando il potere del giudice penale ad un intervento meramente suppletivo e residuale rispetto alla primaria ed esclusiva potestà di governo del territorio spettante alla pubblica amministrazione; a quest'ultima competerebbe dunque in via esclusiva attuare la sanzione demolitoria.

Nel senso illustrato, tra le pronunce citate nella sentenza in epigrafe, v. Cass. 19 marzo 1992, Conti, Foro it., 1993, II, 239, con nota reda zionale di G. Giorgio, alla quale si rinvia; 7 marzo 1994, Acquafredda, id., Rep. 1995, voce Edilizia e urbanistica, n. 762, e Riv. giur. polizia locale, 1995, 495 (la quale, in particolare, si sofferma a chiarire che, ai fini della demolizione, il giudice dell'esecuzione deve specificamente verificare la compatibilità dell'ordine stesso con altri provvedimenti de l'autorità amministrativa); 15 dicembre 1992, Vanello, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 739, e Riv. pen., 1993, 921. In senso analogo, v. anche Cass. 1° aprile 1994, Galotta, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 755, e Giur. it., 1995, II, 11; 8 maggio 1992, Ruggieri, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 592, e, per la motivazione, Cass. pen., 1994, 146.

L'opzione interpretativa testé illustrata risulta peraltro legata alle in dicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte costituzionale, a proposito della legittimità, secondo il diritto vivente, delle ipotesi di emanazione in via sostitutiva, da parte del giudice ordinario, di provvedimenti am ministrativi (ord. n. 33 del 1990, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 622, pubblicata in Cass. pen., 1990, 1009). Di recente, la Suprema corte ha tra l'altro ribadito la manifesta infondatezza della questione di costi tuzionalità, con riferimento ai poteri del giudice ordinario in materia edilizia, in quanto gli stessi concretizzerebbero, nei confronti della pub blica amministrazione, una forma di supplenza e non un'usurpazione: v. Cass. 7 marzo 1994, Callari, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 758. Si rammenti comunque che la medesima Corte costituzionale si era già favorevolmente pronunciata in ordine alla costituzionalità dell'art. 7 1. cit.: sent. 15 luglio 1991, n. 345, id., 1992, I, 3.

Il fulcro argomentativo proprio dell'opposto filone giurisprudenziale consiste invece nell'assunto per cui la sanzione demolitoria esplichereb be una funzione eminentemente penale, mirando a ripristinare specifi camente e nella sua integrità il bene giuridico offeso. In tale prospettiva

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