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Sicuterat - uniroma1.it · 2019. 10. 9. · eia 'A fariséu 'di brutto aspetto' (avranno di certo...

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Dello stesso autore in edizione Garzanti: Italiano Le forme della lontananza GIAN LUIGI BECCARIA Sicuterat Il latino d i c h i n o n l o sa: Bibbia e liturgia nell'italiano e nei dialetti GARZANTI 4335
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Del lo stesso autore i n edizione Garzant i : Italiano

Le forme della lontananza

G I A N L U I G I BECCARIA

Sicuterat I l latino d i chi n o n lo sa:

Bibbia e l i turgia nell ' i taliano e nei dialetti

GARZANTI

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té'", e anche pagghie de scinde Pi perché mentre stavano trebbianuu - v . ^ . alcuni videro che san Pietro era stanco del lungo viag­gio verso Roma, e gli dettero una bracciata di paglia per farlo riposare, e la paglia, trascinata da un punto all'al­tro, lasciò qua e là dei residui che in cielo si trasforma­rono in stelle". Tra i nomi romanzi della Via Lattea si annoverano i tipi strada, vìa, cammino, sentiero, scala di san Giacomo, i l santo che al momento dell'agonia si di­ceva venisse a prendersi l'anima del moribondo per portarla in cielo lungo la strada bianca segnata dalla Via Lattea12.

'"' Questo tipo di denominazione ricopre una vasta area mediterraneo-orientale (el i . Cortelazzo 1973a, pp. 116-17). 9 1 Scorcia 1972, p. 93. 9 2 Volpati 1933, pp. 27-35; Colon 1987, pp. 144-46. Questo legame di san Giacomo con la morte spiegherebbe tra l'altro, secondo una suggestiva ipotesi di Ottavio Lurati, la locuzione far Giacomo Giacomo (Lurali 1991, pp. 251 sgg.)

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13. I L POTERE DELLA PAROLA RELIGIOSA E IL NOME PROPRIO

La tradizione dell'Occidente in ogni sua manifestazio­ne, dalla pittura alla poesia, dall'etica alla politica, ha tro­vato ragione e ispira/ione e forma nei libri dell'Antico e del Nuovo Testamento. La parola della Scrittura ha fon­dato la cultura dell'Europa cristiana. Per gli strati più bassi e incolti della popolazione la chiesa, coi suoi mes­saggi orali e figurali, ha costituito per secoli il luogo dove si trasmettevano e custodivano i significati di ogni discor­so sul mondo: accanto alle parole dall'altare e dal pulpi­to, hanno agito i grandi cicli pittorici, gli affreschi anche delle più modeste cappelle di campagna (è bastata un'opposizione tra il gagliardo cavallo da battaglia di san Giorgio e la stanca cavalcatura di san Martino nei pressi del povero per fissare nel Polesine quel magagna come el cavai de san Martin, detto di 'persona piena di magagne': Beggio 1995). In passato, la sola 'parola' che di fatto le classi popolari hanno 'visto' è stata affidata alle pareti af­frescate delle cappelle e delle chiese, e la sola memora­bilmente udita quella delle Scritture, della predica, della liturgia, delle formule di orazione (le preghiere fatte re­citare dai fedeli e le preghiere fatte ascoltare ai fedeli).

La Chiesa è stata il secolare «istituto della parola», co­me magistero, come liturgia o pratica di pietà'. Straor­dinario i l potere della parola religiosa e del rito in una società quasi totalmente illetterata. Ha avuto un'in­fluenza enorme sulle masse popolari: un riferimento ineludibile, come prova il travaso massiccio da quel lin-

1 Pozzi 1995, p. 302.

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guaggio specifico alla lingua degli incolti. Le Scritture diventano una miniera inesauribile di citazioni che spesso gli stessi uomini di Chiesa hanno promosso e aiutato a penetrare nelle pieghe del discorso popolare e familiare. E certamente qualche chierico, frate o predi­catore, non certo un popolano, ad aver promosso da un frammento del Genesi i l venez. roba vegnua de rore celi 'mandata dalla provvidenza o dalla sorte', rover. e trent. vegnir de rore celi, detto di cose che giungono all'improv­viso, inaspettate (Genesi, xxvu, 28 «Det tibi Deus de rore caeli / et de pinguetucline terrae / abundantiam fru­menti et vini», ti dia i l Signore dalla rugiada del cielo e dalla grassezza della terra abbondanza di frumento e di vino) 2. Certi passi delle Scritture hanno addirittura dif­fuso assurde, ma popolarissime, credenze: come la sor­dità della vipera, il vespa surdu, mitico maschio della vi­pera di Valle Arroscia (Imperia), o lu scurzune surdu sa-lentino, dal Salmo LVII, dove compare un'aspissurda (ve­di la variante parmigiana15 di una rima popolare presen­te in gran parte delle regioni italiane: «Se la vipra la gh' sintiss / e l 'orbzén ('l 'orbettino') ghe vidiss / guai a chi as gh'imbatiss»). Già conoscevamo nel vicentino di Ma­lo la versione Meneghello: «Se la lfpara ('la vipera') ghe vedesse, e la sioramàndola (Ma salamandra') ghe sentis­se, no ghe sana pi omini al mondo che vivesse». A

Luoghi, personaggi dell'Antico e Nuovo Testamento, sacre rappresentazioni, narrazioni edificanti, preghiera e liturgia: un serbatoio da cui hanno attinto a piene ma­ni anche i gerghi (già abbiamo visto i trapianti gergali di latino liturgico). A Milano apostoli' sono diventati i complici (nel lomb. gerg. apostolo 'ladro', sec. xvi: LEI, s.v.), e anche i carabinieri, che vanno a due a due (Mar­co, vi, 7 «Allora chiamò i Dodici, e incominciò a man­darli a due a due»); nel Biellese (inni) angei indica, i 'ca-

2 Cfr. Cortelazzo-Marcato 1992, e Cortelazzo 1994, p. 85. "' Cit. in Petrolini 1971, p. 57. 1 Biacchi 1982, pp. 63-64; Ferrerò 1991, s.v.

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rabinieri', i custodi appunto, così come in Sicilia (scher­zoso e paragergale) anali, ancileddi, ancilicchr', it. angeli custodi, a ligio//ni (Rigutini-Fanfani 1893); nel palerrn. gerg. àncilu era detto di ladro timido, che scappa o prende i l volo al minimo rumore o contrasto, e ne! sec. xix l ' i t . angelo custode indicava la spia, che si cela sotto le spoglie di un compagno fedele ( L E I , s.v. angelus); farisei6, rigidi osservanti della legge, era per dispregio i l nome dei carabinieri7; nel furbesco pilato significa 'giudice', a Milano, in gergo, pilàt era il capo, i l notabile, o il gover­natore della città, dal nome di Pilato governatore della Giudea8; san Pilato era a Firenze, in gergo, la 'pila' di monete, il denaro, così come ih romanesco Pilato ' i l da­naro"'. La vedova e profetessa Anna che saluta Gesù presentato al tempio, la quale «serviva Dio giorno e not­te, con digiuni e preghiere» (Luca, LI , 27) già in vene­ziano furbesco aveva dato il nome alla 'fame' (don'A-na) '": ne reca testimonianze anche Leo Spi teer nel suo saggio sulla metaforica della fame, e Angelico Prati cita

Piccillo-Tropea 1977; Tropea 1995, p. 253. " Fariseo è diventato per antonomasia l 'uomo 'astuto' e 'ipocrita' in gran parte dell'Europa cristiana (cfr. per es. spagn. fariseo, port. fariseu). Cosi nei dialetti: milan. farisée significa 'furfante, truffatore' (Cherubini 1839: Azzeccagarbugli, nei discorsi di Renzo, è per l'appunto, in quanto dottore, assimilato agli scribi e ai farisei: Pozzi 1996, p. 318); nel biell. farisèi, fariséu, riferito di solito a un ragazzo, significa 'persona strafottente, che dileggia in modo insultante' (DAPB); in molis. farèsea 'persona crudele, senza scru­poli ' (Castelli 1996). E vedi venez. muso da fariseo (Boerio 1829), pieni, fa-eia 'A fariséu 'di brutto aspetto' (avranno di certo influito i cicli di affreschi) o 'viso di ipocrita' (Sant'Albino 1859); 'falso, ipocrita' anche in area ladi­na, dove fariseo è inoltre il bambino che vuole le moine, che 'si comporta da lezioso, in modo svenevole' (Pallabazzer 1989). 7 Rimando a Ferrerò 1991, s.v. 8 Cherubini 1839, Ferrerò 1991, s.v., e Bracchi 1982, p. 71. In Trentino giu­stizia de Pilato 'un procedere ingiusto' (Azzolini 1836). " Cfr. Menarini 1942. p. 517; Belloni-Nillson Ehle 1957, s.v. 1(1 Vedi Boerio 1829, s.v.; Prati 1940, p. 79. Migl ior ini 1927, p. 137 cita come modo «settentrionale» l'ir, salsa di san Bernardo 'fame': in realtà, oltre che già raccolto da Monosini 1604, poi in Passarmi 1875, p. 252, è documen­talo in Belli, son. 1273.

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tra le voci d i gerganti e vagabondi valsug., feltr. desperà come Ana, veron. desparà come Ana 'povero i n canna'" . Anche i n area ladina santa Ana è 'la fame' (can che sbat santa Ana 'quando c'è una gran fame' : Pallabazzer 1989), a Trieste bater sor Ana, o sant'Ana 'patire la fame' (Pinguent ini 1969, Dor ia 1987), n e l l ' A g o r d i n o co' siora Ana bat 'nte le coste, tut 'l é bon 'quando si è affamati tutto è b u o n o ' (Rossi 1992), a Venezia don Ana spassissa 'la fa­me si fa sentire' (Boerio 1829), a Chioggia, al bambino che chiedeva da mangiare, si diceva che quando la si­gnora A n n a passeggia, cioè quando si ha fame, piace tutto : co' sior Ana spassisse, luto xé bon. A d un 'a l t ra Anna, forse la madre d i Maria (ma se ne parla soltanto negli A p o c r i f i ) , o forse la madre di Samuele (/ Samuele, f : u n ­ti i predi le t t i , nella Bibbia, sono f ig l i di madre vecchia), allude l'espressione chioggiotta sant'Ana rinfresca, detto d i donna inc inta n o n più giovane.

A M i l a n o manioche sono i n gergo i questur ini , dal Mardocheo bibl ico, i l giudeo al servizio del re Assuero che (come si narra nel l ibro d i Ester) fa l'investigatore e svela i piani dei congiurat i 1 ' . A Trieste diventa s inonimo di 'ebreo' (P inguent ini 1969). I n Veneto mardocheo ha subito la degradazione semantica che tocca d i solito al­le parole i n -co, Zebedeo, cireneo, fariseo, giudeo, cal­deo, fil isteo, maccabeo («malacleto Mardocheo, con quel muso de giudeo,...», filastrocca triestina: Pinguen­t i n i 1969): riavvicinato a babbeo, mardocheo ha f i n i t o col significare 'stupido, semplic iotto ' (Solinas 1950, Ferre­rò 1991), e con questo significato era appunto diventa­ta voce popolare d i relativa diffusione i n italiano ( M i ­g l i or i n i 1927). N e l romanesco canteo 'sciocco, imbeci l ­le' 1 1 1 è s inonimo d i taddeo 'babbeo'" . Anche per la desi-

" Spilzer 1921, pp. 74, 114-16; Prati 1940, p. 66. '' Bracchi 1982, p. 69; F e r r e r ò 1991, s.v. " V e d i Chiappini 1945, s.v. caldeo, e cardeo'm Belli, son. 345, 350, 381,1210, 1315, 1635, 1837, 1846, 1872, 2020, 2065, 2192, 2205. " Belli , son. 240. Vedi anche, nel l 'Agordino, tedeo (Rossi 1992) 'distratto, sbadato, sciocco' . E vedi in Belli ancora, son. 598, 2088. 2185. cazzeo 'min-

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nenza i n -eo, sono negativi i significati d i maccabeo. M i a madre, per dire che ero u n ragazzo t roppo 'vivace, b i r i ­c h i n o ' m i diceva che ero u n macabéu. E voce diffusa i n m o l t i dialet t i , e n o n solo i n quest'accezione (vedi nel Triveneto macabeo, macabio)15, ma soprattutto col signifi­cato d i 'sciocco, ingenuo ' (piem. , l ig . macabéu 'sciocco', f r i u l . macabeo, abr. maccabbée, aquil . maccabeo ' i d . ' , molis. maccabbejP'; calabr. maccabéu 'persona cattiva, brut ta ' e anche 'minchione ' : Rohlfs 1932; istr. macabro ' tanghero, noioso' : Pellizzer 1992; mi lan . brutto macabée «masche­rone, figura da cimbali»: C h e r u b i n i 1839; «brutto mac­cabeo» i n De Marchi , Demetrio Pianellì», tv, 5; «sporchia maccabeo» in Basile, Canto de li cunti, i , 1). 'Sciocco' è pure u n significato de l l ' i t . maccabeo1'.

Anche a cireneo (dal nome d i Simone di Cirene che aiuta Cristo a portare la croce nella salita al Calvario: Matteo, xxvn, 32, Marco, xv, 21, Luca, xin, 26,; roman./ó er cirineo 'porgere a iuto ' : Bel loni-Nil lson Ehle 1957; trent. far da zireneo 'fare i l cavaliere servente ' ) 1 8 tocca talvolta (come nel cosentino cirinéu ' u o m o cattivo, energume­no, truce d i aspetto': Rohlfs 1932) u n deciso peggiora­mento semantico. Nel Biellese cirinéu, 'povero tapino, miserello' , può riferirsi anche ad u n animale o a cosa misera, u n p o ' r idicola (DAPB). Un'alterazione negativa ancora per Zebedeo, padre degli apostoli Giacomo e

chione ' , così come, nel son. 967, Mardocheo spregiativamente alterato in Merdoccheo. ''' Migliorini 1927, p. 112. Nel Triveneto spirilo maro beo è un individuo, in specie un ragazzo, 'vivace, malizioso'. I n area ladina è rilento a chi ha un 'caratteraccio', un 'carattere forte e impetuoso' (Pallabazzer 1989). " Cfr . F inamore 1893. Gribaudo-Seglie 1972, Cavalieri 1991, Fortina 1992, Castelli 1996. " Cfr . Gnu, che reca es. di D e l e d d a e Moretti. Sono stati ipotizzati legami, o conlaminazioni tra maccabeo e danza macabra, il ballo della morte che, co­me ricorda Sperber 1958, pp. 391 sgg., era chiamata a Besancon, a. 1453, chorea machabaeorum, e makkabeusdans in una poesia di Antonio di Roovere da Bruges ( f 1482). E anche probabile, come ipotizza Zumthor, una con­taminazione (ma rimando a D E L I , s.v. macabro). " Prati 1936, p. 202 n.

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Giovanni: oltre al significato di 'goffo, babbeo', i l plura­le è diffuso nei dialetti centro-settentrionali col signifi­cato di 'testicoli', semplicemente pervia di Matteo, xxvi, 37, «cluobus fìliis Zebedaei»; vedi roman. zebbedei (Belli, son. 106), scoccia lizzebbedei (son. 2153), genov. rompi i ze­bedei (Casaccia 1851). E qui entra in gioco i l senso equi­voco, erotico-osceno, e dissacratorio che molto spesso viene assunto dalle parole di ambito religioso: vedi Sac­chetti, Trecentonovelle, L X X , 5 e cxxx, 7 calonaci, forma dis­similata di canonici, per 'testicoli', col senso nel testo di 'sciocchi' per antonomasia.

I l nome proprio ha una forza particolare. Dal nome di Manasse, i l figlio primogenito di Giuseppe, deriva i l piem. essi 'd la tribù Vi Manasse, ven. id., riferito a chi ha le mani grosse, delle manacce19. L'ignoto è scherzosa­mente assimilato al noto. La falsa equivalenza produce ricostruzioni inattese: per esempio, in Piemonte le «pe­sche del re David», una varietà a pasta gialla coltivata nel Saluzzese, sono in realtà le red Haven, di origine ameri­cana; i l contadino, per somiglianza fonetica, ha riporta­to quel blocco forestiero, incompreso, alla propria cul­tura, la Bibbia e i l re David.

Dal nome del villaggio non lontano da Gerusalemme dove, come narra Luca, xxrv, 13-16, Gesù appare dopo la Resurrezione e si fa riconoscere da due discepoli in­creduli i cui occhi «erano incapaci di riconoscerlo», di­pende la fortuna di andare a Emmaus2". Nel veronese gerg. andar in Emaus (Solinas 1950) significa 'dimenti­carsi, distrarsi', berg. inda in Emaus ' id . ' (Tiraboschi 1873), piem. anele an Emaus 'andare in estasi, andar fuo­ri di sé per la gioia' (Zalli 1815), 'incantarsi, avere la te­sta tra le nuvole' (Sella 1998)21; e con successivi allarga-

1 9 Migliorini 1927, p. 306-7; Burzio 1983, num. 469. ""' Panzini 1905 la registra come locuzione familiare lombarda. 2 1 Un concetto simile era espresso nelle comunità rurali veronesi con 'ridar a la Senso 'alla festa dell'Ascensione', uno svago così ricco di attrattive da far 'rimbambire': tale infatti il significato della locuzione (Manzini 1965, p. 280).

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menti semantici, mantov. andar in Emos 'scomparire' (Arrivabene 1882), bologn. andar in Emus 'andare in luogo lontanissimo' (Coronedi Berti 1869), e così a Ge­nova (Casaccia 1851), a Venezia (Boerio 1829), in Pie­monte 'andare in fumo, svanire, sparire' (Rosa 1889, Maragliano 1976, e anche Foresti 1855), e si dice in par­ticolare di un affare che non riesce, di una cosa che va in disuso22. Già in Aretino (Ipocrito, iv, 14, a. 1542 andare in Menaus) 'andare in capo al mondo, in luogo estre­mamente remoto', ma anche 'far fuori, uccidere' (Ra­gionamento delle corti, P. ì).

La forza del nome proprio: malco a Verona (Beltrami-ni-Donati 1963) e in alcuni gerghi del Nord Italia signi­fica 'villano, maleducato', e per i gerganti della Valtelli­na melchi sono le orecchie umane (o anche «le orecchie dei laveggi, quei due elementi metallici che sporgono dal laveggio e in cui si fissa i l manico») 2 3 . I l termine de­riva dal nome Malco, i l servo del sommo sacerdote, di­ventato in tutto l'Occidente una creatura malvagia2", di larghissima fortuna nella tradizione popolare, nelle sa­cre rappresentazioni, anche se nei Vangeli è citato una sola volta {Giovanni, xvm, 10), là dove si narra di Pietro che in difesa di Gesù che sta per essere arrestato dalle guardie del sommo sacerdote e dei farisei, taglia con la spada l'orecchio destro di questo Malco. Nel Veronese, avere le mani di Malco significava 'avere le mani pesanti', o 'essere una persona rozza', così come feltr. aver ipie da Malco 'avere piedi larghi, mal fatti', valsug. pie de Malco 'piede grosso'23, in Cadore malco indica una figura 'al­lampanata e sgraziata' (Zandegiacomo 1988); Migliori­ni cita dall'ampezzano i l tipo mani come Malco 'mani grossolane', venez. ant. (sec. xvi) malco 'con un orec-

2 2 D'Azeglio 1886, p. 136. 2 3 Lurati 1984b, p. 14; Lurati 1995, p. 343. 2 1 In Russia uno dei nomi dell'orso è kucyi 'monco', ma anche kornouchij 'che ha un orecchio più corto' o 'con un orecchio che manca', come il Malco del Vangelo (cfr. Zelenin 1928, i, p. 280, tu, p. 213). 2 3 Cfr. Bracchi 1982, p. 69 con bibl.; e anche Migliorini 1927, p. 122.

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chio d i meno' , i r p i n . marcosurdo ' f into tonto ' , e marcosa-lemme 'saccente"-6. D i u n coltello che n o n taglia nel Biel-lese (Sella 1998) si dice che ha tagliato le orecchie a Malco, al à tajajej urégge a Match, lo stesso a Roma, ha ttajjato l'orecchia a Marco (Lurat i 1998). Quanto alle 'ma­n i ' pesanti, grossolane, dovrebbe trattarsi di una confu­sione: nei Vangeli n o n si dice che Malco abbia schiaf­feggiato Gesù , ma la scena dell 'arresto si è fusa con quella del sinedrio dove, secondo i l citato Giovanni, XVIII, 22, una guardia schiaffeggiò Gesù . Malco, Giuda, Pilato, Barabba, diventano una classe d i 'a t tor i ' d i se­gno negativo, tant 'è che Malco p u ò sostituire Giuda, le orecchie di Giuda diventano anche le orecchie di Malco, en­t rambi n o m i popo la l i d i una pianta dotata d i poteri co­me l 'Achil lea m i l l e f o l i u m L. 2 7 ; o p u ò sostituire diavolo nella locuzione tirar le orecchie a Marco (attestata nei dial . mer id . : a Catanzaro pizzicarci l'oricchji a Marcu, a Brindis i tirati li vecchi a Marcu)2", che corrisponde a tirare le orec­chie al diavolo (attestato i n Piemonte) , che è la 'tecnica' del tirare sù o spostare leggermente le carte da gioco torcendole tra l ' indice e i l pollice, scoprendole a poco a poco, come per forzare la fortuna, cercarla, volerla, nel­l'azzardo di u n gioco ogni volta avventuroso, 'pericolo­so', e che giustifica q u i n d i l'evocazione del pr incipe del male (così i n spagn. tirar de la oreja ajorge 'giocare a gio­chi p r o i b i t i ' ) 2 9 . Un'ossessione, questa d i Malco e delle orecchie, nella tradizione popolare (la scena di Malco che si fa avanti per arrestare Gesù, e Pietro che gli moz­za u n orecchio, r icorre i n numerosi cicli di affreschi).

E sono tante i n Europa le leggende su Malco, come sono molte quelle su Pilato, o su Giuda, personaggi ne­gativi, veri e p r o p r i demoni , ed eternamente castigati

Migliorini 1968a, p. X L I X .

" Sui nomi 'negativi' dell'achillea vedi Beccaria 1995, p. 245. * Migliorini 1927, p. 122. " In Toscana significa genericamente 'amare il gioco', nel Veneto tirare le rete al diavolo 'giocare a carte' (cfr. Cortelazzo 1994, pp. 95-96, e Beccaria 1995, p. 278).

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sulla terra. Giuda espia in mezzo all 'Oceano, solo, tra­volto da u n gorgo 3 0 ; e assai diffusa è pure la credenza ch'egli si trovi condannato a volare nel vento: gli ulula­t i della bufera sono suoi lamenti . Respinto per f ino dal­le potenze inferna l i , è costretto a girare senza posa sino al Giudizio universale, e la sua anima i n pena si p u ò po­sare soltanto per poco su una pianta d i tamerice o sul­l 'albero o m o n i m o , V albero di Giuda, al quale si era i m ­piccato. Leggende siciliane narrano che Giuda vaga per l 'aria con uno spirito dannato, Don Pietru Malizia, che è appunto i l nome d i u n vento 3 1 . Quanto a Malco, secon­do una leggenda Cristo lo avrebbe condannato (per lo schiaffo) a girare fino alla fine del m o n d o at torno alla colonna della flagellazione scavandosi così i l terreno a poco a poco, lentamente sprofondando 3 2 ; secondo un'a l t ra leggenda 3 3 è condannato a stare i n u n fiume, assetato sempre, senza potere mai bere; nel Trapanese era diffusa la credenza secondo cui Malco per quell'af­f ronto a Cristo sarebbe stato incatenato i n fondo al ma­re, e d i laggiù invocava aiuto quando sentiva passare nei pressi una barca, ma era bene n o n rispondere, perché i l mare si sarebbe spalancato per trascinare i mar inai nel­l'abisso. Nelle tradizioni popolar i abruzzesi si racconta che Malco è condannato a vivere per l 'eternità al buio , i n una caverna di Gerusalemme, chiusa da sette porte d i ferro; i n alcune versioni vive sottoterra, nelle grotte di una montagna appenninica (provincia d i Teramo) chiamata «della Sibil la» 3 4 .

5 0 Neri 1912, p. 219. " Cfr. P i t i e 1889, m, p. 69; Lapucci 1989, p. 193. "'-'Neri 1912, p. 219, con bibl. " Raccolta in Sicilia (Montevago) e riferita da Pi tré 1889, [V, p. 482. 11 l'ansa, i, pp. 51-52. La Sibilla latina rivìve in provincia di Chieti nelle tre mitiche sorelle, la subbéjje de Monde Come, la subbéjje de la Majelle, la subbéjje de la Marine, personificazione dei tre tipici temporali estivi (Fanciullo 1978, pp. 33-34). Notevole l'abr. .mobilie' tromba marina' (Finamore 1893). Mala Sibilla in Abruzzo era di casa: per antica tradizione la Sibilla appenninica abita in una grotta del monte Vettore. E siamo anche in prossimità del la­go di Pilato, funestato da demoni (vedi p. 193).

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Nell'universo attuale dominato dall'effimero mas­smediatico, affidato a parola 'debole', passeggera, che usi e getti, quella della Chiesa e delle Scritture ha costi­tuito una parola forte, di lunga secolare tenuta. La forza di un nome proprio citato nelle sacre Scritture, associa­to al punto distinto di un atto, di una particolare situa­zione, è stato irresistibile. Basta una battuta appena, co­me quella dell'angelo che venuto a liberare l'apostolo Pietro dalla prigione dice «Avvolgiti nel mantello e se­guimi» (Atti degli Apostoli, X I I , 8) per promuovere i vari piero, pietro, sanpiero, pierina, pierino che nel furbesco, nel gergo dei girovaghi e dei birbi, hanno assunto il signifi­cato di 'mantello', 'cappa', 'tabarro', 'cappotto', 'giac­ca', 'giubba', 'panciotto' 3 3. Dall'episodio di san Pietro imprigionato nel carcere e liberato dall'angelo (Atti de­gli Apostoli, X I I ) penso sia stata tratta l'espressione anto-nomastica in domo Petn, ' in prigione' (piem. andé in do­mo Pelri 'andare in prigione: Rosa 1889; in Belli, son. 58, in domopietro). Da un passo di Luca, v, 5, dove san Pie­tro dice «Maestro, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso niente», è nato i l sic. varca di san Petru, riferito a una barca che dà scarsi guadagni ai pescatori (è innesto fraseologico nei Malavoglia, xin, 360) x . In nap. fra Pàvolo significa ' i l sonno' soltanto perché gli At­ti degli Apostoli (xx, 9-12) raccontano di san Paolo che abbraccia e risuscita un giovane che è caduto per un colpo di sonno dal terzo piano di un edificio 3 7.

M Prati 1940, p. 116; Ageno I960, p. 97; Lurati 1984b, p. 14. E vedi Garzo­ni 1585, p. 934 scorza di S. Pietro 'cappa'. Quanto al gerg. piero 'chiavi' è evi­dente l'allusione alle chiavi di san Pietro. % Alfieri 1980, p. 69. 1 7 Lurati 1984b, p. 10.

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14. FAR DA MARTA E MADDALENA

Nomi propri, ancora. Nei Promessi sposi (xxix, 200) Perpetua, che si è addossata non solo la propria parte, ma anche quella del curato, sbotta, al rimprovero di don Abbondio, «Ho pensato forse più alla roba di casa che alla mia; non ho avuto chi mi desse una mano; ho dovuto far da Marta e Maddalena». I l modo popolare, milan. fa de Marta e Maddalena, è riferito a chi fa insieme due cose inconciliabili, due mestieri in uno, e simili (co­me sarebbe, commenta Cherubini 1839, bere e zufola­re, suonare e ballare..., oppure, come annotava Nieri 1904, per lucch. far da Marta e da Maddalena, 'comanda­re ed eseguire; essere la mente direttrice e lavorare ma­terialmente'; equivale alle espressioni dialettali, usate in tutta Italia, del tipo o canti o porli la croce, due cose im­possibili da fare contemporaneamente, agord. ntanl che se dis messa no se va 'n processión: Rossi 1992). Nello stile popolare sono frequenti le coppie polari, antitetiche, o indivisibili, mentalmente associabili: essere un santus sen­za osanna 'essere incompleto, insoddisfacente'1, essere co­me la messa senza il paternostro ' id . ' , i l biell. andé da san Pe­rù a san Jacu 'saltare di palo in frasca' (Sella 1998), i ci­tati come il carnevale e la quaresima, o i l gioco di sanpietro-sanpaolo, quello dello scaricabarili.

Ma torniamo a Marta e Maddalena, a questa locuzio­ne che doveva essere particolarmente diffusa nel l in­guaggio vivo del sec. xix (la si trova tanto nell1Epistolario

Attestato nelle Satire di Pietro Nelli , sec. xvi, GDU, S.V. osanna.

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del Giusti quanto nella poesia del Belli) 2, e che Manzoni, scrittore attentissimo ai modi vivacemente popolari, lom­bardi e toscani ad un tempo, sensibile all'oralità effettiva, non manca di accogliere nel registro medio del suo ro­manzo. Un altro caso di sensibile attenzione da parte del Manzoni al parlato nutrito di liturgia è opportunamente citato da padre Pozzi, quando nel romanzo (cap. xxxvi) si fa tornare don Rodrigo al castello «glorioso e trion­fante» (lo dice don Abbondio), come Cristo risorto, qua­le si contempla nel primo dei misteri gloriosi in una dif­fusissima redazione popolare8: dai misteri del rosario, cioè da quelle formule evocanti tratti della vita di Cristo e Maria intercalate tra le decine di avemarie, e coll'aiuto anche di alcuni manuali di pietà settecenteschi di ora­zioni che fissano nella memoria collettiva la formula, questa espressione era passata al parlare quotidiano del­la gente1. Manzoni coglie i l sapore di un segmento par­lato 'vivo e vero', e lo adopera immediatamente.

Far da Marta e Maddalena: per' sottolineare una secca polarità la locuzione ricorre a indicatori di carattere e quindi di funzione opposta. In questi due nomi familia­r i la tradizione coglieva la contrapposizione tra due so­relle, l 'ima preoccupata delle faccende domestiche, l'al­tra di indole più tranquilla, riservata: i l contrasto tra i l tipo pratico, operoso, attivo e i l tipo contemplativo, tra una Marta abituata al comando, e una Maria (di Beta-

- Fra diffusa soprattutto net Settentrione e in Toscana (come mostrano Crusca 1806, Tommaseo-Bellini 1861, Fanfani 1863, Giorgini-Broglio 1870, Petrocchi 1887. s. v.). 3 Formula usata anche in Porta, XLII I , 265, nella enunciazione rovesciata «trionfant e glorios», e (come nota Isella nel commento al testo) già in D. Balestrieri, La Gerusalemme liberala travestila in lingua milanese, Milano 1772, ni, 5, 8 «l'è sortii glorios e trionfant», detto di Cristo risorto. Vedi anche piac. glurins e trìunfanl (Tarami 1998). Attesta la popolar i tà ottocentesca dell'espressione anche Belli, son. 459 (Limbo, ' i l l imbo') : «Appena Cristo in barba dei pretorio / risusscitò ggrorioso e ttrionfante, / volò all'Imbo... ecc.», e son. 1289, 2096. ' Ma rimando a Pozzi 1996, p. 319 e n.

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nia) più timida. I l punto di partenza della contrapposi­zione è i l passo di Luca, x, 39-40, ove Marta che vuol fa­re onore a Gesù («era assorbita per i l grande servizio») fa notare di esser sola a lavorare mentre Maria restava seduta «ai piedi del Signore e stava ad ascoltare la sua parola»; anche in Giovanni, xn, 2-4, quando preparano un pranzo a Gesù, Marta serve, mentre Maria unge i piedi al Messia con olio di nardo e glieli asciuga con i suoi capelli. Per aver preparato qualcosa da mangiare per l'ospite Gesù, si fece Marta patrona delle casalin­ghe e dei cuochi. Nell'iconografia è rappresentata co­me una santa casalinga, che cucina e serve a tavola. Me­stolo, schiumarola o mazzo di chiavi saranno difatti gli attributi di Marta. Poiché era un tipo pratico, le fu an­che assegnata l'assistenza ai malati, e divenne patrona delle infermiere. Invece Maria (Maddalena) nell'icono­grafia è ritratta ai piedi del Signore mentre lo ascolta con attenzione5. Nella copia secentesca da Bernardino Luini a Palazzo Pitti, la Maddalena è ingioiellata, come un simbolo della vanità, e le sta accanto una Marta se­vera, monacale, simbolo della modestia. Attributo della Maddalena è il vaso di unguento con gli aromi: altra sta­bile ricorrenza iconografica, dalla Maestà di Ambrogio Lorenzetti a quella di Simone Martini a Siena, a Piero della Francesca nella cattedrale di Arezzo'1. Ma pei che e nell'iconografia e nella citata frase idiomatica Maddale­na, e non Maria (di Betania), la sorella di Marta7? Si tratta di una confusione, triplice: la Maria di Betania e

' Di qui il modo di dire romagn. ave sernpar la madalena sola i pi 'essere pi­gro e infreddolito', da madalena 'scaldino di terracotta' che aveva preso quel nome da Maria Maddalena costantemente rappresentata ai piedi del Signore (Foschi 1975, pp. 275-76).

Cattabiani 1993, p. 696 ci rimanda opportunamente al catalogo della mo­stra fiorentina La Maddalena Ira sacro e profano, Milano 1986. Notevole la Maddalena rimproverala da Maria del Caravaggio, smarrito nell'originale, ma in «buona copia» (Longhi) ad Oxford. ' Vedi però De Marchi, Demetrio Piantili, l i , 6 «fare da Marta e da Maria», nel senso di 'interessarsi di tutte le faccende'.

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la Peccatrice anonima sono confuse con la Maria Mad­dalena. Intanto, la confusione è possibile perché Maria era un nome ebraico comunissimo: soltanto nel Nuovo Testamento ce ne sono sei diverse. Si aggiunga poi i l fatto che i l passo su Maria Maddalena di Luca, voi, 1-3 segue immediatamente quello di Luca, vii, 37 sulla pec­catrice anonima. In Marco, xvi, 9 si dice tra l'altro che da «Maria Maddalena erano usciti sette demoni», i l che ha potuto far pensare alla Maddalena peccatrice, in realtà i l sette è un numero simbolico che significa che Maria aveva sofferto, più che di una possessione diabolica, di una o più malattie gravi dalle quali Gesù l'aveva libera­ta*. Ma soprattutto c'è un gesto simile che contribuisce a far confondere le tre. Nel citato Luca, VII , la Peccatri­ce, una prostituta che viene nella casa del fariseo con un vasetto di olio profumato, bagna di lacrime i piedi di Gesù e li asciuga coi propri capelli, compie lo stesso ge­sto che Giovanni, xi, 1-2, racconta avesse fatto Maria di Betania. Anche la Maddalena si apprestava a profumale con aromi i l corpo di Gesù, ma nel sepolcro. La confu­sione con Maria di Betania e la Peccatrice le attribui­scono invece il vasetto di profumi per Gesù in vita. L'u­guale gesto che accomunava le tre donne contribuiva a confondere le loro figure l'una con l'altra, e la confu­sione delle loro figure attribuiva alla Maddalena un ge­sto che lei non aveva compiuto. La Peccatrice-prostituta era messa erroneamente in relazione con Maria Mad­dalena, ed era a volte confusa con Maria di Betania con­fusa a sua volta con Maria Maddalena. Marta finisce con l'avere come sorella Maria Maddalena, errore che si perpetua dal medioevo ad oggi, anche nell'iconografia9.

Maria di Magdala, la Maddalena, ha sopraffatto Maria di Betania; di qui la ben più popolare citata espressione fare da Marta e Maddalena rispetto a da Maria e Maria, co­me si dovrebbe.

s Cfr. Garcia de la Fuente 1994, p. 690. 11 Rimando a Mokmann-M'endel 1985, pp. 2) sgg.

15. DAL V E C C H I O T E S T A M E N T O

La Bibbia è ' i l Libro ' che più ha dato parole all'Eu­ropa cristiana: singole voci, soprattutto locuzioni idio­matiche. Alcune sono soltanto regionali o dialettali. Ve­di per esempio leggere la vita', 'dire male di qualcuno, spettegolare sul suo conto', diffusa in toscano, in molti dialetti, nel sardo, ma di probabile origine settentrio­nale: non ha nulla a che vedere col leggere la vita sulla mano, come fanno i chiromanti, bensì col leggere i Levi­ti, l'uso claustrale di leggere il Levitico al mattutino, a notte alta, quando in molti conventi era consuetudine che i l priore, dopo Salmi e Inni e lettura delle Sacre Scritture, e in specie del Levitico, si rivolgesse singolar­mente ai monaci ora lodandoli, più spesso biasiman­doli, 'leggendo loro la vita', appunto (ted. die Leviten le­seti 'cantare i l vespro a qualcuno') 2. E cito ancora, di fonte biblica {Genesi, i , 31, «Dio vide tutte le cose che fece, ed erano molto buone») , i l piem. al é 'ciò che Dio fe­ce', piac. ess culi che 'Dio fece' (con citazione in italiano), detto di cosa che riesce la più opportuna, eccellente, fatta come Dio comanda", quel che proprio ci vuole, o

1 Gustosamente commentato da P. Levi (vedi Opere, in, Torino 1990, pp. 640 sgg.). 2 Vidossi 1902, p. 366. Ma secondo Piati 1951, s.v., e Cortelazzo-Marcato 1992, s.v. vita, occorre invece riandare a locuzioni simili come tose, leggere sul libro d'alcuno (e fior, far l'albero, sott. genealogico), calabr. léjere la vita, u li­brilo lu calannariu. A proposito della 'levataccia' dei monaci per recitare Yhora. matutina, vedi fri L I 1. matutins (Colledani 1998) 'rumori molesti, scem­piaggini, cose inutili'. 3 Cfr. Foresti 1855; Burzio 1983, num. 1144; vedi anche piem. anele da, angel

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