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Scuola Europea in Anestesia Ostetrica
Master Biennale di Alto Perfezionamento
IN ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA
INTENSIVA IN OSTETRICIA
Direttore Prof. Giorgio Capogna
ANNO ACCADEMICO 2015/16
Simulazione in Ostetricia: una moda o
un valore aggiunto?
TESI FINALE DI: Roma, 21 ottobre 2016
Dott.ssa Carolina Zannoni
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Non puoi insegnare qualcosa ad un uomo.
Puoi solo aiutarlo a scoprirla dentro di sé
Galileo Galilei
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Indice
1. Introduzione: pag. 4
2. Un po’ di storia: pag. 6
3. Il simulatore materno e neonatale caratteristiche e possibile utilizzo: pag. 13
4. Errore e “fattori umani”: sbagliando s’impara: pag. 18
5. Apprendere in simulazione: il CRM: pag. 22
6. Simulazione in ostetricia: sicurezza e outcome: pag. 27
7. Conclusioni: pag. 33
8. Bibliografia: pag. 35
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1.Introduzione
A prima vista la parola “simulazione” e ancor più “simulatore” portano con sé
un’accezione negativa ma se guardiamo alla definizione del vocabolario della
lingua italiana ( Treccani ) ci accorgiamo della presenza anche di altri
significati:
“Simulare:- infatti - Nel linguaggio tecnico e scientifico, e in particolare nella
teoria dei sistemi, - significa - realizzare una simulazione, ossia riprodurre il
comportamento di un determinato sistema, processo o fenomeno tramite un
modello che permetta, per esempio, di variare i parametri del sistema o
dell’ambiente in maniera più semplice rispetto al sistema che si vuole
analizzare o ottimizzare.”
La simulazione, ad oggi, è argomento di discussione in numerose discipline,
dalle scienze matematiche e ingegneristiche agli studi psico-pedagogici - dalle
tecniche di ricerca alle teorie di management - dal cinema alle arti, in genere.
Le simulazioni possono essere realizzate per fare ricerca e/o previsioni, per
scopi ludici e/o culturali e per motivi educativi e/o formativi.
Nell’ ambiente tecnico-scientifico essa è diventata un metodo
didattico/formativo volto a riprodurre un “fenomeno”; si può avvalere, ma
non come condizione necessaria, di un simulatore tecnologico. Una sua
caratteristica fondamentale è quella di permettere di verificare in tempo
reale le conseguenze delle azioni dei soggetti, mentre gestiscono il
“fenomeno” simulato. Simulazione dunque, è tutto ciò che ci permette di
vivere e imparare a gestire possibili situazioni di difficoltà, in un ambiente
sicuro.
In medicina, la simulazione è stata riscoperta all’inizio degli anni ’90 del secolo
scorso e via via implementata, a scopo formativo e di apprendimento
dinamico; viene utilizzata in numerosi corsi strutturati o meno, con due
finalità principali: accrescere le competenze tecniche ( tecnical skills ) e
sviluppare le abilità non tecniche ( non tecnical skills ), esercitandosi a
lavorare in gruppo o team e utilizzando a tal fine strumenti quali il CRM.
Obiettivo principale è quello di identificare e ridurre gli errori dovuti ai
cosiddetti “fattori umani”.
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In questo senso, essa si affianca e vorrebbe completare la formazione d’aula e
precedere la pratica clinica, rendendola più sicura. In particolare negli ultimi
due decenni abbiamo osservato che la simulazione sta diventando un
fenomeno pervasivo; infatti, è divenuta una pratica condivisa, quella di
utilizzare la metodologia della simulazione, finalizzata all'apprendimento e al
mantenimento del sapere esperto, di tutte le professioni medico-sanitarie,
entrando a far parte delle tecniche formative dei Programmi di Educazione
Continua, nazionali e internazionali ( ECM )
Da fenomeno pervasivo la simulazione è anche diventato fenomeno
necessario in seguito ad un processo di trasformazione delle pratiche di
formazione sanitaria, conseguente all'introduzione e allo sviluppo di un
insieme di vincoli etici, ossia di nuove sensibilità e esigenze che hanno messo
in discussione l'abitudine di “fare pratica solamente sui pazienti”. Oggi, ogni
medico ha bisogno di sperimentare in pratica il proprio lavoro per apprendere
e mantenere le competenze centrate sul paziente (cura, comunicazione,
raccolta di informazioni), sul processo (gestione del gruppo, delle
informazioni) e sull’ambiente (competenze culturali, amministrative e di
leadership). A questo si deve poi aggiungere anche l’aggiornamento ciclico
delle procedure sanitarie, l’aumento di conoscenze mediche e la forte
diffusione delle tecniche specialistiche. Il tempo di evoluzione delle tecnologie
mediche è così veloce, che viene richiesto un aggiornamento costante degli
operatori affinché possano mantenere elevati gli standard di qualità della
cura. È all’interno di questo contesto di trasformazione della formazione
sanitaria, delle sensibilità sociali e delle tecnologie mediche, che si diffonde
l’utilizzo della simulazione per l’insegnamento e la formazione dei
professionisti. Si è aperta in questo modo la strada e la ricerca di soluzioni
alternative, ossia momenti di formazione sicura che non mettano in pericolo
la vita dei pazienti. La simulazione è stata quindi considerata, come la via
“alternativa” indispensabile e necessaria per poter sperimentare
“concretamente” quanto appreso dai libri e dalle nuove scoperte scientifiche,
in particolare gli aspetti difficili, inusuali e potenzialmente pericolosi. Questa
metodologia, infatti, mette i soggetti nelle condizioni di provare e riprovare
interventi, procedure e manovre, annullando i rischi in cui incorrerebbero sia i
pazienti a causa degli errori che si potrebbero commettere, sia i soggetti
stessi che dovrebbero rispondere dell’accaduto.
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In quest’ottica diviene necessario pensare anche agli aspetti organizzativi e al
ruolo che la simulazione può ricoprire all’interno dei percorsi di studio
istituzionali e di aggiornamento continuo del personale.
Dal punto di vista tecnico, per migliorare l’ambiente in cui simulare, sono nati
in questi ultimi decenni, e si stanno sempre più diffondendo manichini
“animati”, con caratteristiche quanto mai realistiche, specifici per i vari ambiti
medici, sempre più sofisticati e costosi. Quando queste attrezzature siano
inserite in ambienti che ricreano la realtà, si parla di centri o ambienti di
simulazione, dove l’unica differenza con la realtà è la sostituzione del paziente
con un manichino. Tutto ciò ha un costo economico non indifferente, in
termini di materiali, necessità di formatori ed ore di formazione permanente.
In questa tesi mi occuperò perciò di valutare, alla luce di quanto pubblicato e
della mia, seppur piccola, esperienza, se sia possibile affermare che la
simulazione, specificatamente in ambito ostetrico, sia davvero un valore
aggiunto e uno strumento da diffondere al fine di migliorare la qualità
dell’assistenza, attraverso la riduzione del rischio.
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1. Storia
La simulazione e il simulare appartengono a diversi ambiti della vita umana.
C’è una disciplina, in particolare, nella quale lo strumento della simulazione è
stato utilizzato fin dall’antichità: quella militare. Le origini risalgono
approssimativamente al 3000 a.C., nella civiltà cinese. Fu, però, soltanto sul
finire del diciottesimo secolo, quando la guerra da scienza diventa arte, che il
gioco di simulazione acquistò rilevanza. Due in particolare sono le tipologie
di simulazione maggiormente conosciute e ampiamente considerate in
letteratura militare: l'utilizzo dei simulatori di volo e i giochi di guerra.
Agli albori dell'aviazione i piloti imparavano a volare su aeroplani veri:
cominciavano come semplici passeggeri, poi facevano qualche decollo su
aeroplani sufficientemente potenti, infine affrontavano un volo vero e
proprio. Successivamente grazie agli sviluppi tecnologici le sessioni di
addestramento hanno iniziato ad essere svolte su simulatori: si passa così da
parti di aeroplano disposte su superfici mobili (inizi del '900), ai primi
simulatori che registravano le risposte dei piloti (anni '20), per arrivare poi ai
moderni simulatori di volo. In particolare agli inizi del '900 venne introdotta
la prima forma di simulatore di volo (Sanders Teacher), un aeroplano vero,
ma montato su uno snodo esposto ad un vento che soffiava sempre nella
stessa direzione, in questo modo il simulatore modificava la sua posizione in
base ai comandi, come accade su un aereo. Successivamente vengono
brevettati i primi “veri” simulatori (Synthetic Flight Training Device), usati
anche nella selezione dei piloti durante la I Guerra Mondiale. I dispositivi in
questi casi permettevano all'istruttore di cambiare la posizione della
fusoliera mentre il simulatore registrava elettronicamente le risposte del
pilota. Una pietra miliare dei simulatori è rappresentata dal Link Trainer,
costruito tra il 1927 e il 1929 da Edwin Link; era un simulatore in grado di
produrre movimenti più realistici rispetto ai suoi precursori e venne pertanto
introdotto nelle scuole di volo. Con l'introduzione del computer digitale (anni
60) fu implementato sull'UDOFT (Universal Digital Operational Flight
Trainer). Oggi i simulatori aeronautici possono riprodurre fedelmente
qualsiasi tipo di movimento e di visuale e trovano applicazione sia nel volo,
sia nelle operazioni della torre di controllo. Dopo i disastri aerei
dell’aeroporto di Tenerife e del Volo United Airlines 173 del dicembre 1978,
si comincia a formalizzare la necessità di una formazione in simulazione per i
piloti. La United Airlines fu, nel 1981, la prima compagnia aerea a
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provvedere ad una formazione basata sul CRM. Dal 1990 la simulazione per i
piloti è un obbligo imposto dalle compagnie: devono partecipare a delle
sessioni di simulazione con cadenza prestabilita e sottoporsi a certificazioni
per ottenere l'abilitazione al pilotaggio. Tutto ciò ha un duplice scopo
formativo: lo sviluppo di skills tecnici, da un lato, e, dall’altro, il
miglioramento di tutte le competenze necessarie per affrontare situazioni
particolari o di emergenza. La metodologia utilizzata per gestire le
simulazioni di volo è quella del CRM (Crew Resource Management). Il
termine "cockpit resource management" ( successivamente trasformato in
"crew resource management") è stato coniato da John Lauber, psicologo
della NASA, nel 1979 dopo aver studiato per molti anni i modi e gli stili di
comunicazione nelle cabine di pilotaggio degli aerei.
Per quanto concerne i giochi di guerra, come già accennato, di essi abbiamo
notizie a partire dal 3000 a.c.. A partire dagli anni '50 si assiste alla loro
trasformazione: basati fino a quel momento su modelli in miniatura, giochi
cartacei o modelli matematici, vengono trasferiti al computer. Negli anni '60
viene alla luce SpaceWar che, in poco tempo, grazie alla rete Arpanet,
diventa il programma più usato negli Stati Uniti. In continua evoluzione
questi “war games” vengono utilizzati nella formazione militare.
A partire dal 1956 ad opera dell’American Management Association (AMA),
la simulazione fu introdotta nelle industrie, nel commercio e nelle Università
per la formazione dei manager. L'economia aziendale e il management
strategico, infatti, si sono rivelate discipline particolarmente adatte a
beneficiare delle possibilità offerte dalla metodologia di simulazione. Dalla
dimostrata efficacia delle simulazioni di guerra, hanno preso spunto i
cosiddetti business game, o giochi d’affari, ossia giochi aziendali che
introducono il/la discente in una ipotetica realtà aziendale, dove si devono
prendere decisioni per gestire le variabili di un contesto simulato.
Se il campo dei giochi di guerra ha trovato una notevole diffusione in ambito
economico ed aziendale, gli sviluppi dei simulatori di volo ha invece aperto la
strada alle recenti forme di simulazione sanitaria. Ripercorrendo la storia
dell’utilizzo delle simulazioni in medicina, si può vedere come questa tecnica,
sembra essersi diffusa piuttosto tardi, in particolare se confrontata con
l’esperienza in campo aeronautico e militare. In ambito medico, infatti, si
inizia a riparlare di simulazioni solo a partire dagli anni ‘70 e limitatamente a
particolari centri universitari; ma è solamente attorno alla fine degli anni ’80
e l’inizio degli anni ’90 che si diffonde questa pratica negli ospedali e nei
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centri di formazione. L’utilizzo sistematico delle simulazioni in medicina
avviene a partire dal 2000, quando aumentano i centri che ne fanno uso, gli
studi che le testano, e quando, grazie agli sviluppi tecnologici e
all’abbattimento dei costi, le simulazioni divengono una pratica legittimata e
istituzionalizzata dei Programmi di Educazione Continua in Medicina, noti
come ECM. Si diffonde in particolare l'utilizzo dei manichini umani conosciuti
come simulatori, degli attori che recitano la parte di malati/e, ma anche l'uso
di sistemi di realtà virtuale 3D, che riproducono su computer o in ambienti
dedicati interventi di vario tipo e che si aggiungono ai task trainers.
Quella descritta sopra però non è la nascita bensì la rinascita della
simulazione in medicina. È infatti opportuno ricordare che essa ha radici ben
più profonde che, come per le arti militari, affondano nel passato remoto e
partono dal bisogno di trasmettere l’arte medica nel modo più sicuro ed
efficace possibile.
Un esempio arriva, anche in questo caso, dalla Cina, dove nell’ XI secolo
venivano utilizzati modelli umani, in bronzo, per l’insegnamento
standardizzato dell’agopuntura. Erano dotati di organi interni e di 354 fori
che permettevano l’inserimento degli aghi; per aumentare il livello di
fedeltà, i fori erano riempiti di liquido e ricoperti di cera.
In Europa a partire dal XVI secolo, la difficoltà di reperire cadaveri, condusse
alla produzione di modelli di cera. Si diffusero, in seguito modelli detti
“scorticati“ ovvero modelli anatomici privi degli strati superficiali per lo
studio dell’anatomia. Spesso venivano anche creati piccoli modelli in bronzo
per lo studio individuale, anche di parti anatomiche specifiche. È del 1730
una commissione papale relativa a modelli anatomici in cera per
l’insegnamento agli studenti di medicina.
In ambito ostetrico sappiamo che Giovanni Antonio Galli nel XVIII secolo
realizzò un modello composto da un utero di vetro inserito su una pelvi e
dotato di un feto flessibile; doveva servire per la formazione e la valutazione
degli studenti e delle ostetriche.
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Fig.2: utero e canale del parto. Francia
XVIII sec.
Fig.1: esempio di manichino italiano del XVIII sec.
Abbiamo testimonianze dell’impiego di simulatori ostetrici per la formazione
sia medica che ostetrica un po’ in tutta Europa. Interessante un modello
(XVIII sec.) realizzato in Francia e capace di rappresentare i vari gradi di
dilatazione cervicale ed era dotato di un’articolazione sacrococcigea mobile.
Madame du Coudray ( 1712-1790 ), su incarico di Luigi XV organizzò un vero
corso di assistenza al parto, utilizzando modelli ricoperti di pellame rosa,
composti da addome, pelvi, radice delle cosce e utero con canali del parto e
neonati di diverse dimensioni; delle spugne completavano i modelli per
simulare la perdita di sangue e liquido amniotico (Fig. 3)
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Fig. 3: modello creato da Madame du Coudray
L’uso dei manichini ostetrici si diffuse in Olanda, Germania, Francia e Spagna
tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘800.
Non mancò mai chi riteneva più efficace l’esercizio su cadavere ma questo
non fermò lo sviluppo nell’Ottocento di manichini ostetrici che, nati in
Europa, si diffusero nelle facoltà di medicina americane. Diversi docenti, tra
cui Abraham Flexner, riformatore del sistema universitario americano e
canadese, sostenevano che la pratica sulle pazienti dovesse essere preceduta
da quella su manichini.
A questo sviluppo seguì dalla prima guerra mondiale in poi una sorta di
amnesia così profonda che ha portato a pensare che la simulazione in
medicina nasca negli anni ’80. Questa rinascita è dovuta a numerosi fattori:
la necessità di aumentare la sicurezza dei pazienti; lo sviluppo di nuove
tecnologie; l’ estensione del CRM all’anestesia prima e poi a tutti gli ambiti
dell’emergenza; la rianimazione cardiopolmonare standardizzata ( massaggio
cardiaco esterno e ventilazione ).
Il primo manichino moderno nasce dalla collaborazione tra un produttore di
giocattoli norvegese ( A. Laerdal ) e Peter Safar, padre della rianimazione
cardiopolmonare, ad opera di un anestesista scandinavo ( B. Lind ).
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Il presente è un’industria in grado di produrre simulatori estremamente
sofisticati, specifici per ogni tipo di paziente insieme a programmi sempre più
sofisticati in grado di riprodurre anche le criticità cliniche più rare. A questo
sviluppo della tecnologia si è affiancato il crescente interesse scientifico.
Sono fiorite società scientifiche e congressi, pubblicazioni di articoli e libri.
Ora aspettiamo di scrivere il futuro.
Fig. 4 simulatore materno
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3. Il simulatore materno e neonatale: caratteristiche e
possibile utilizzo
La crescita e l’applicazione sempre più ampia, alle varie discipline mediche,
della cultura della simulazione è stata accompagnata dallo sviluppo di una
tecnologia che permette, in modo sempre più realistico e sofisticato di
riprodurre e creare scenari clinici, semplici e complessi. I prodotti in
commercio sono molteplici e danno modo di esercitarsi sia negli
skills/competenze tecniche che in quelli non tecniche.
Quando parliamo di simulatori dobbiamo ricordarci che essi sono differenti
dai semplici manichini, dai modelli anatomici e dai tasks trainers; dobbiamo
anche distinguere la simulazione virtuale (davanti ad un computer) da quella
reale (ambiente di simulazione con manichino simulatore).
Fig.5: esempio di manichino. Uomo adulto
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Un simulatore, infatti è un dispositivo e/o un ambiente che riproduce un
particolare spazio e tipo di attività, ovvero le condizioni ambientali fisiche e
cliniche in cui si svolge una specifica funzione. Il fine non è tanto o solo
quello di acquisire competenze tecniche ma quello di imparare a lavorare in
situazioni complesse, di urgenza ed emergenza, dove mettere in campo
anche le competenze cosiddette non tecniche, La scienza si impegna così per
riprodurre spazi e situazioni sempre più simili alla realtà clinica, in cui inserire
situazioni cliniche: gli scenari. Il simulatore, così inteso, è poi dotato di
sistemi di regia che permettono di creare e guidare gli scenari. Questi
possono inoltre essere registrati o semplicemente riesaminati per diventare
materiale di debriefing.
In medicina i simulatori sono differenti perché cercano di riprodurre i tipi di
pazienti che afferiscono ai diversi ambiti di cura e quindi di simulazioni. Ecco
alcuni esempi:
- adulto
- neonato
- gravida
- bambino
- adulto e bambino extra-ospedaliero
- ALS
- parto
- controllo vie aeree
Per quanto concerne la simulazione in ambito ostetrico, in commercio
esistono differenti tipi di simulatori di parto, base e avanzati, a corpo intero
con anatomia e funzionalità accurate per facilitare l'addestramento ostetrico
multi-professionale alla gestione delle nascite, con modalità di parto
manuale e automatico. Esistono anche simulatori specifici ostetrici che
permettono di esercitarsi esclusivamente nelle varie modalità di parto (Fig.
8). Questi strumenti permettono agli istruttori di pianificare l’apprendimento
di studenti individuali o di gruppi, sia di livello base che di livello avanzato.
Hanno a disposizione softwere sofisticati che permettono di controllare i
manichini a distanza e di registrare quanto avviene durante la simulazione.
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Fig. 8 simulatore parto manuale
Esistono vari modelli che permettono differenti usi; quello avanzato combina
le caratteristiche generali (registrazione monitoraggio non ed invasivo;
controllo vie aeree; urgenze ed emergenze cardiocircolatorie, respiratorie,
neurologiche; ecc.) con quelle specifiche ostetriche: registrazione e
modificazioni del battito cardiaco fetale; parto vaginale semplice e con
presentazione anomala; parti operativi; parto cesareo; distocia di spalla;
inversione uterina; emorragia post parto, ecc.. Come nella realtà le situazioni
si possono intrecciare e complicare; prevedere l’intervento di singole o
multiple professionalità, con l’ulteriore fine di apprendere il lavoro in team.
Un simulatore materno può dunque essere utilizzato:
Per la formazione nella cura pre- e post-natale.
Come strumento ibrido di formazione o come simulatore di paziente a
corpo intero.
Per il parto: può avere, in alcuni modelli, il modulo di parto
automatico.
Da gruppi omogenei o multi professionali, secondo l’obiettivo fissato
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Può dare alla luce un manichino di un neonato a termine.
Al simulatore materno può essere affiancato quello neonatale.
Fig.9: esempio di simulatore materno ad alta fedeltà
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Un esperto è uno che ha fatto tutti gli
errori possibili nel suo campo. Niels Bohr
4. Errore e “fattori umani”: sbagliando s’impara
Diciassette anni fa, il comitato americano per la qualità delle cure (Quality of
Healthcare in America Committee of the Institute of Medicine, IOM) ha
pubblicato il rapporto dal titolo “L’errore è umano: costruire un sistema
sanitario più sicuro” (Kohn et al., 1999), che esaminava la qualità delle cure
nel sistema sanitario americano. Esso segna una svolta nel modo di
affrontare sistematicamente e a vari livelli: individuale, di gruppo,
organizzativo e politico, il problema dell’errore in medicina. I dati emersi
sorpresero e furono lo stimolo per una seria riflessione: ogni anno da 44.000
a quasi centomila persone morivano negli ospedali americani in seguito a
errori medici evitabili. Anche utilizzando le stime più basse, il numero di
morti attribuite all’errore medico evitabile superava la mortalità da traumi,
cancro al seno e HIV. Se pensiamo alla similitudine tra medicina e aviazione
non ci possiamo meravigliare del fatto che anche nella storia dell’aviazione,
gli investigatori hanno individuato nell’elemento umano la fonte degli errori
che hanno poi causato la maggior parte degli incidenti. Anche l’analisi di
guasti catastrofici avvenuti in imprese ad alto rischio (ad es. Cernobyl,
Challenger) ha rivelato uno schema ricorrente: indipendentemente
dall’ambiente e dall’attività, il 70-80% degli incidenti non erano causati da
problemi tecnologici ma risultavano invece da inadeguata capacità di
risolvere problemi, da scelte operative errate e da un lavoro di gruppo
inesistente oppure insufficiente.
Il rapporto dell’IOM diede luogo a iniziative a favore della sicurezza dei
pazienti in tutto il mondo e fu all’origine di uno sforzo senza precedenti nella
comunità medica per identificare gli errori e sviluppare interventi per
prevenirne o ridurne gli effetti. Una delle conclusioni principali del rapporto
era particolarmente interessante perché smentiva le posizioni esistenti fino
ad allora nella comunità medica, affermando che la maggioranza degli errori
medici non era dovuta a noncuranza individuale, ma era invece provocata da
sistemi imperfetti, processi e condizioni che portavano le persone a sbagliare
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o non aiutavano a prevenire gli errori. Dalla pubblicazione di questo rapporto
numerose iniziative sono state prese ma ancora nel 2009 pochi erano stati i
progressi (Jewel e McGiffert, 2009). Per questo, forti dell’esperienza
militare, si è sviluppato, anche in ambito sanitario, un forte interesse verso lo
studio e la comprensione di come gli esseri umani lavorano in ambienti ricchi
di stress al fine di ottenere risultati rilevanti in termini di sicurezza e
miglioramento dell’efficienza. In tale direzione va interpretato lo sviluppo di
sistemi e programmi formativi rivolti a identificare potenziare e sostenere
qualità e debolezze delle persone che operano all’interno del sistema
sanitario. È, infatti, sempre più chiaro che il comportamento umano sia un
elemento dominante nel rischio dei sistemi socio-tecnologici moderni.
Questa nozione è il frutto di quarant’anni di sforzi congiunti di gruppi di
ricerca interdisciplinari nel campo delle scienze cognitive, della psicologia
sociale, dello studio del comportamento nelle organizzazioni,
dell’antropologia, della sociologia e dell’ingegneria dei sistemi. Questi gruppi
hanno studiato aspetti dell’interazione tra esseri umani e mondo circostante,
evidenziando che l’efficienza operativa e la sicurezza sul posto di lavoro
possono essere migliorate attraverso la comprensione dei fattori umani e lo
sviluppo in loro funzione di attrezzature, sistemi, metodi di lavoro e
formazione. In tale senso vanno l’utilizzo della simulazione e i metodi quali il
CRM.
Ulteriore passo necessario è quello di definire cosa intendiamo per fattore
umano o human factor e per errore. In aviazione lo human factor è la
disciplina che si occupa del fattore umano al fine di studiare le modalità con
le quali l’uomo agisce nel suo ambiente lavorativo, con l’obbiettivo di
aumentare i livelli di sicurezza delle operazioni di cabina e torre di controllo.
Secondo la definizione formulata dall’ICAO (International Civil Aviation
Organization): “I fattori umani hanno come oggetto di studio le persone,
mentre espletano le loro mansioni, il loro inserimento nell’ambiente di
lavoro inteso in senso fisico ed interpersonale, il loro rapportarsi agli
strumenti di lavoro ed alle procedure cui attenersi. L’obiettivo di tale ricerca
è il perseguire sicurezza ed efficienza”- (ICAO circolare 227). Più in generale
possiamo dire che un fattore umano è la caratteristica fisica o cognitiva di un
individuo che influenza le sue interazioni con l’ambiente circostante e con i
sistemi, sia sociali che tecnologici. Esiste una “scienza dei fattori umani”, che
studia gli aspetti anatomici, fisiologici, psicologici e sociali degli operatori
all’interno del loro ambiente di lavoro, con l’obiettivo di ottimizzare la
sicurezza, il confort e l’efficienza. Essa chiarisce le interazioni tra fattori
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ambientali e organizzativi specifici del lavoro da una parte e caratteristiche
umane e individuali, dall’altra. La disciplina che si occupa di applicare questi
concetti al disegno, sviluppo e installazione di strumenti, apparecchi, sistemi,
processi, servizi e ambienti di lavoro, si chiama ergonomia o ingegneria dei
fattori umani. Quando parliamo di fattori umani ci occupiamo dunque di:
individuo; lavoro; organizzazione. In ognuno di questi ambiti i fattori umani
hanno la caratteristica sia di poter dare origine alle situazioni critiche, che di
fornire gli strumenti e le competenze per controllarle. Essi sono come una
sola medaglia con due facce.
In questa dimensione si embrica l’errore in medicina. Quando parliamo di
errore è importante sottolineare che tutti gli esseri umani sbagliano
frequentemente, ma tutti i sistemi che si basano su una performance esente
da errori sono destinati a fallire. Possiamo definire l’errore umano come il
risultato dell’interazione tra normali processi cognitivi e fattori sistemici.
Il Ministero della Sanità occupandosi dell’errore afferma : “Partendo dalla
considerazione che l’errore è una componente inevitabile della realtà umana
(efficace in questo senso ed esplicativo di una filosofia è il titolo di un
importante rapporto pubblicato nel 1999 dall’Institute Of Medicine - IOM
“To err is human ”), diventa fondamentale riconoscere che anche il sistema
può sbagliare creando le circostanze per il verificarsi di un errore (stress,
tecnologie poco conosciute...), che restano latenti fino a quando un errore
dell’operatore ( active failure) non le rende manifeste. Se non si può
eliminare completamente l’errore umano, è fondamentale favorire le
condizioni lavorative ideali e porre in atto un insieme di azioni che renda
difficile per l’uomo sbagliare (Reason, 1992), ed in secondo luogo, attuare
delle difese in grado di arginare le conseguenze di un errore che si è
verificato ( DM 5 marzo 2003 ).
“-Errare humanum est, sed perseverare diabolicum- Il detto sintetizza bene
un aspetto essenziali della nostra condizione e sottolinea l’inevitabilità
dell’errore quale conseguenza della condizione umana, senza dimenticare la
valenza che può acquistare l’errore. Questo aforisma in qualche misura ci
invita a distinguere l’errore – come evento inevitabile perché intrinseco alla
nostra natura – dallo sbaglio, il quale richiama la responsabilità soggettiva
del non aver fatto tesoro degli errori precedenti.
Va detto tuttavia che di questa differenza non si tiene generalmente conto,
sia in ambito educativo che professionale: ogni errore, qualunque sia la sua
natura, tende a venire colpevolizzato, richiedendo così per ogni errore una
21
punizione. Non si può tuttavia disconoscere come questo atteggiamento, più
moralistico che etico, abbia sottratto all’errore la sua forte valenza educativa
perché in fondo “sbagliando s’impara” .Forse non è un caso che il verbo
“errare” abbia due significati: quello di commettere errori e quello di vagare
alla ricerca di qualcosa; proprio questa vicinanza semantica può dar ragione
della potenzialità educativa dell’errore: in fondo la conoscenza dell’uomo si è
da sempre costruita attraverso il suo vagare nella realtà alla ricerca di
soluzioni adeguate dei problemi che continuamente impegnano il suo vivere;
e queste soluzioni vengono di volta in volta sperimentate finché si trova
quella soddisfacente, quella corretta; ma ciò fa giudicare errate le soluzioni
scartate, perché incapaci di risolvere correttamente il problema.
In modo suggestivo l’evoluzione della conoscenza segue le stesse leggi
dell’evoluzione biologica: procede per tentativi ed errori, facendone sempre
di nuovi ma evitando quelli di cui si è già fatta esperienza” ( AIFA: il valore
dell’errore in medicina ).
Quando vogliamo utilizzare la conoscenza dei fattori umani e l’errore non
per stigmatizzare il comportamento del singolo o le inefficienze del sistema,
ma per sviluppare competenze tecniche e non tecniche da un lato, e
individuare spazi di miglioramento del sistema, dall’altro, la simulazione
diventa il metodo formativo più efficace. Questo è intuitivo per quanto
riguarda manovre che possono essere provate e riprovate senza danno
potenziale per il paziente e fino a quando non siano diventate competenze
acquisite dall’individuo in formazione: ad esempio il massaggio cardiaco, la
ventilazione, il controllo delle vie aeree, alcune tecniche chirurgiche, ecc.,
ecc.. Meno nota, ma certamente non meno importante è la possibilità che
uno scenario di simulazione ci dà di imparare a lavorare in gruppo,
condizione questa indispensabile in situazioni complesse quali la
rianimazione cardiopolmonare, il trattamento dell’emorragia post parto, del
politraumatizzato, del cesareo emergente e di centinaia di altre situazioni in
cui il risultato non dipende tanto dalla competenza e dall’abilità del singolo
quanto da un buon lavoro di squadra.
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Imparare è un’esperienza
tutto il resto è informazione A. Einstein
5. Apprendere in simulazione: il CRM
L’apprendimento, secondo la definizione proposta dallo psicologo Ernest
Hilgard (1971), è un processo intellettivo attraverso cui l’individuo
acquisisce conoscenze sul mondo che, successivamente, utilizza per
strutturare e orientare il proprio comportamento in modo duraturo.
L’apprendimento può essere il risultato di processi spontanei, come avviene
nei bambini, ad esempio con il linguaggio, o può essere indotto e guidato
mediante un intervento esterno di insegnamento. La psicologia e la
pedagogia si sono interessate spesso ai processi di apprendimento,
producendo numerose e differenti teorie interpretative dell’apprendimento
(Cr. Hilgard, 1971; Hilgard - Bower, 1971; Legrenzi, 1980; Knowles, 1993)
classificate in relazione alle grandi scuole della psicologia del novecento:
comportamentismo, cognitivismo, costruttivismo.
Le nostre conoscenze sono costituite da ciò che impariamo e dall’esperienza;
non sono immagazzinate come frammenti di informazioni senza rapporto,
ma in piccole entità significative, i cosiddetti “schemi” (Selz, 1913; Bartlett,
1932). Gli schemi sono un insieme di dati tra loro collegati e strutturati,
immagazzinati nella rete neuronale del cervello. Essi contengono
informazioni basate sulla regolarità percepita del mondo circostante e sulle
esperienze personali con l’ambiente (Cohen, 1989). Gli schemi comprendono
attese riguardanti la stabilità o le variazioni del nostro ambiente: tendiamo a
percepire una situazione non solo in conformità a modelli di stimoli
momentanei, ma anche secondo le aspettative su possibili sviluppi della
situazione. Le aspettative sono talvolta così forti che possiamo perfino
“vedere” oppure “sentire” cose che attendiamo, come la conferma di un
ordine, anche se non accadono; questo soltanto perché ci aspettiamo di
vederle o di sentirle. Possiamo pertanto compiere manipolazioni della
memorizzazione. Esiste una forte propensione a organizzare la propria
23
visione del mondo o di una situazione, secondo i caratteri generali delle
passate esperienze personali. Gli schemi sono strutture cognitive generiche
di prim’ordine, all’origine di ogni aspetto e organizzazione delle conoscenze
e delle capacità umane. Le conoscenze procedurali codificate negli schemi
sono alla base di molti nostri comportamenti clinici (rianimazione
cardiopolmonare, accessi venosi, intubazione ecc.) (Anderson, 2004; Dörner,
1984; Dörner, 1999). La conoscenza è sempre formata da schemi registrati
nelle reti neuronali. Essa funziona attraverso le interrelazioni tra percezioni
sensoriali, programmi motori e moventi, per generare un programma
comportamentale. I dati memorizzati sono connessi in un modo associativo,
che permette un reperimento veloce ed efficiente delle informazioni più
rilevanti. In conseguenza di queste interrelazioni, la memoria umana è attiva
e adattativa. La memoria umana non è un’entità precisamente localizzabile
nel cervello. La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che vi siano
diverse funzioni di memorizzazione, localizzate in zone differenti del cervello
(Anderson, 2004; Wickens, 1992). Ad esempio, i dati sensoriali, sono
conservati solo per tempi molto brevi. Tuttavia, i contenuti di queste
informazioni sensoriali possono essere ulteriormente elaborati e diventare
percezioni rilevanti, per essere trasferiti alla memoria di lavoro immediata, o
anche verso la memoria a lungo termine. Il pensiero è possibile soltanto
attraverso la comparazione dell’esperienza presente con quelle precedenti.
Dobbiamo per questo accedere sia alle informazioni durevoli della memoria
a lungo termine, che a percezioni sensoriali soltanto momentaneamente
disponibili. Gli elementi memorizzati e attivi in un dato momento si trovano
nella memoria di lavoro. Per registrare le esperienze nella memoria a lungo
termine, gli esseri umani sono dotati di una “funzionalità protocollo” per gli
eventi. Questa memoria protocollo (Dörner, 1999) tiene traccia delle
operazioni mentali in corso e filtra i dettagli importanti o più rilevanti. Può
essere sorprendente il fatto che tra i principali criteri che portano a
considerare qualcosa “importante o rilevante” si ritrovino fattori legati al
successo o al piacere. Queste cose tendono quindi a prevalere nella memoria
a lungo termine. I fattori valutati come associati a insuccessi o esperienze
spiacevoli sono considerati come non importanti o meno rilevanti e tendono
a non essere conservati.
L’apprendimento è inseparabile dalla memoria: imparare significa ampliare
la gamma di schemi procedurali e comunicativi, che rappresentano
conoscenze e scelte comportamentali a nostra disposizione. Impariamo in
continuazione; ogni azione, ogni osservazione considerata “rilevante” o
24
“piacevole” è registrata nella nostra memoria, perfeziona la qualità e
aumenta la quantità degli schemi disponibili. L’esperienza determina i nostri
comportamenti e le nostre motivazioni. Le conseguenze delle nostre azioni
hanno un forte impatto sulle azioni successive. Se un certo comportamento
conduce al successo o genera emozioni piacevoli, tenderemo a ripeterlo
qualora si presentino nuovamente circostanze attinenti (teoria psicologica
del rinforzo). Oltre alla ricerca del piacere e l’evitare il disagio, anche la
necessità di sicurezza e di un senso di competenza rappresentano
motivazioni per l’apprendimento. Essendo creature sociali, siamo capaci di
imparare semplicemente attraverso l’osservazione delle azioni altrui e le loro
relative conseguenze. In ambiente sanitario, i principianti imparano
osservando i loro colleghi più esperti e ascoltando i compagni di lavoro. Oltre
all’apprendimento di nozioni e procedure mediche, i principianti tendono
anche ad assimilare la cultura organizzativa del posto di lavoro.
Imparare da adulti significa anche, in linea di principio, assumersi la
responsabilità del proprio apprendimento, vale a dire smistare più o meno
consapevolmente le informazioni e decidere quello che si vuole imparare.
Dopo tutto, nella complessa società di oggi, il volume di ciò che può essere
imparato supera di gran lunga la capacità di apprendimento di ogni singolo
individuo. Quindi una selezione d’ingresso deve essere necessariamente
fatta dall’apprendente adulto.
A differenza di quello senza censure e fiducioso dei bambini,
l’apprendimento degli adulti è fondamentalmente selettivo e auto-diretto. In
breve, l’adulto:
1. impara quello che vuole imparare e ciò che è significativo per lui;
2. attinge dalle risorse che ha già incamerato nel corso del suo
apprendimento;
3. si assume la responsabilità di ciò che impara ;
4. non è particolarmente incline a imparare qualcosa per cui non prova
interesse, o in cui non scorge un significato o uno scopo.
Lo imparerà in modo parziale, con una mancanza di motivazione che con
molta probabilità lo porterà a dimenticare.
Fatta questa premessa, possiamo andare a definire e descrivere, in breve il
CRM.
25
In alcune aree non mediche, l’aviazione ad esempio, in cui la gestione di
eventi complessi e critici è affidata allo sviluppo di capacità non tecniche,
come leadership, comunicazione, lavoro in team, da anni ormai sono stati
sviluppati programmi formativi che prevedono l’uso di strumenti quali il CRM
(Crew Resource Management). A partire dal 1980 Gaba e alcuni collaboratori
per primi trasferiscono questi concetti alla pratica anestesiologica. Accanto
alle capacità tecniche viene focalizzata l’attenzione sulle capacità non
tecniche, anche in ambito medico. Il Crisis Resource Management (CRM) è
un metodo di apprendimento che enfatizza il fattore umano
comportamentale nella gestione di un evento critico. Il principio su cui
poggia è quello di sviluppare le capacità durante una situazione critica
simulata e di trasferire le conoscenze su quanto è necessario fare in azioni
efficaci nelle situazioni cliniche concrete. Gli eventi critici sono differenti, ma
le abilità richieste per la gestione sono simili.
I principi del CRM sono 15:
1. conoscere l’ambiente in cui si agisce: risorse tecniche e di personale;
attrezzature; sistema in cui si è inseriti
2. anticipazione e pianificazione: conoscere i possibili problemi e
pianificare in anticipo le possibili azioni; non lasciarsi travolgere
3. chiamare aiuto precocemente: conoscere e riconoscere i propri limiti;
sapere che in certe situazioni è indispensabile essere in tanti; pensare
alla paziente senza sentirsi sminuiti; superare il proprio orgoglio.
Concentrati su cosa è giusto più che su chi ha ragione.
4. esercitare il ruolo di leader e collaboratore in base alla situazione
5. distribuire il lavoro in modo equilibrato
6. utilizzare tutte le risorse disponibili: sollecita e utilizza l’expertise dei
componenti del team; identifica presto soluzioni alternative quando le
cose vanno storte
7. comunicare efficacemente
8. utilizzare tutte le informazioni disponibili: fare controlli incrociati sui
dati e aggiornarli
9. prevenire ed evitare gli errori di fissazione
10. eseguire un doppio controllo ( terapie; dosaggi…. )
11. utilizzare ausili mnemonici: checklist, protocolli e linee guida,
calcolatrici, schemi
12. rivalutare ripetutamente la situazione
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13. lavorare in team, facendo un buon lavoro di squadra: soprattutto
comunicare, ovvero: parlare con chiarezza; se necessario richiedere
silenzio; chiamare le persone per nome; non lanciare ordini nel vuoto;
assicurarsi che tutti possano sentire; chiudere la comunicazione;
ascoltare gli altri; chiarire i dubbi;
14. rivolgere l’attenzione alla persona e agli eventi in maniera oculata:
focalizzare gli aspetti più importanti e delegare ad altri quelli meno
urgenti;
15. stabilire le priorità in modo dinamico: la situazione evolve
Il CRM viene applicato all’apprendimento in simulazione. Attraverso degli
scenari, vengono ricreate realisticamente delle situazioni cliniche di
emergenza. I 15 punti del CRM vengono successivamente discusse in una
sessione di debriefing utilizzando il vissuto e/o anche la registrazione video
dello scenario clinico simulato. Il debriefing CRM enfatizza gli elementi
relativi alla gestione dell’emergenza da parte del team: comunicazione,
distribuzione dei ruoli, individuazione delle priorità, consapevolezza
dell’emergenza; e del singolo: esercizio di leaderschip e followership, errori
di fissazione, richiesta tempestiva di aiuto, rivalutazione, comunicazione.
L’obbiettivo è di esplorare in maniera interattiva gli aspetti teorici e pratici
della gestione di eventi clinici complessi e stressanti al fine di apprendere
come migliorare la performance del gruppo ma anche del singolo e ridurre al
minimo gli errori. La consapevolezza di lavorare in un ambiente sicuro e che
valorizza l’errore come risorsa e non come giudizio, permette di creare le
condizioni perché si verifichi un apprendimento positivo e duraturo.
La simulazione dunque è un ambiente, oltre che un metodo, di
apprendimento “sicuro”, che ci offre la possibilità di far pratica almeno “una
volta nella vita” di situazioni critiche ed emergenze ad alto rischio e bassa
incidenza. Ci permette di imparare ad integrare conoscenze teoriche con
abilità pratiche. Possiamo imparare durante la simulazione ( reflect “in” ),
durante la fase di debriefing ( reflect “on” ) ottenendo così un beneficio per
l’individuo e per l’intero Team.
L’ostetricia è una specialità che ha tutte le caratteristiche per poter
beneficiare di una tale esperienza.
27
6. Simulazione in ostetricia: sicurezza e outcome
L’uso della simulazione in ostetricia, in particolare applicata all’ambiente
“sala parto” è cresciuto in questi decenni e continua a crescere. Anche la
produzione scientifica è diventata rilevante. In ambito ostetrico vengono
utilizzati tutti i tipi di simulazione: quella basata sull’utilizzo di manichini (
task trainers); quella che utilizza i computer e quella ad alta fedeltà. In effetti
l’apprendimento in simulazione riguarda tutte le figure professionali che
lavorano in ostetricia, esperte e in formazione: ginecologi, ostetriche,
neonatologi, infermieri, anestesisti.
Come abbiamo visto, la tecnologia viene incontro alle diverse esigenze e
dispone di differenti tipologie di manichini, che rispecchiano i/le pazienti per
dimensioni e funzioni. Data l’importanza dell’alta fedeltà, la scelta del
simulatore dovrebbe essere fatta in base al tipo di uso che se ne vuole fare;
importante è dunque definire a chi è rivolta la formazione e cosa vogliamo
trasmettere, le forze che abbiamo a disposizione, in termini di istruttori di
simulazione e tecnici di simulazione, prima di acquistare e impiantare un
simulatore.
L’ostetricia in genere, e la sala parto in particolare sono ambienti in cui le
aspettative della donna e della famiglia, sono altissime. Il parto è un evento
fisiologico, le donne sono mamme e non pazienti, l’ambiente è studiato per
essere il meno simile possibile ad una stanza di ospedale. Sul territorio
nazionale abbiamo realtà estremamente differenti e spesso impreparate ad
affrontare l’emergenza. Anche chi lavora attorno alla donna non è
psicologicamente preparato ad affrontare la complicanza grave né
tantomeno la morte. Il personale che lavora in ostetrica è costituito da varie
figure professionali: ostetriche, ginecologi, personale di supporto, pediatri,
neonatologi, infermieri del nido e/o della TIN, anestesisti, spesso non
dedicati all’ostetricia.
La comunicazione, già difficile nella pratica routinaria, può diventare
impossibile nell’emergenza. Registri come il CEMD, ( Confidential Enquiries
into Mternal Deaths ) e il CESDI ( Confidential Enquiry into Stillbirths and
Deaths in Infancy ) continuano ad evidenziare come le cause di morti
ostetriche e neonatali, siano dovute, in proporzione significativa a cure
“substandard”.
28
In più tutta una serie di fattori demografici e sociali, hanno causato
indirettamente un aumento significativo di patologia ostetrica e le urgenze e
le emergenze ostetriche sono cresciute con essa. Nonostante piani sanitari
ed economici, ci sono ancora molti punti nascita con poche centinaia di
parti/anno.
Emorragia post parto, embolia, taglio cesareo emergente, arresto cardio-
circolatorio, attacco eclamptico, ma anche distocia di spalla, parto operativo,
parto podalico, intubazione difficile e molto altro sono tra le emergenze più
temute e sono l’oggetto degli scenari più utilizzati in SBME ( simulation-
based medical education ), per apprendere gli skills tecnici ma anche per
imparare attraverso il CRM.
Il Ministero della Sanità italiano rivela una speciale attenzione all’ambito
ostetrico; in quest’ottica è stato creato nel 2006 l’ Italian Obstetric
Surveillance System (ItOSS) dell’Istituto superiore di sanità (ISS), guidato da
Serena Donati, finanziato dal Ministero della salute, attualmente in
collaborazione con le regioni Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna,
Toscana, Lazio, Campania, e Sicilia: in queste regione nascono
complessivamente più del 70% dei bambini.
È chiaro che tutto ciò va nella direzione di identificare le cause e di mettere
in atto ogni tipo di scelta e provvedimento, politico, di sistema, organizzativo
e formativo, che permetta di ridurre il rischio.
Può la simulazione essere la risposta formativa a questa domanda? Esiste
una relazione tra apprendimento in simulazione, riduzione del rischio clinico
e miglioramento dell’outcome? È possibile identificare se sia più efficace la
simulazione “in situ” o quella “off site”?
Articoli riguardanti la simulazione, dagli anni ’90 in poi, hanno trovato spazio
sulle principali riviste; sono nate anche riviste specifiche e società
scientifiche internazionali e nazionali che si occupano di simulazione.
L’interesse economico è importante ed ha alle spalle importanti aziende del
settore.
In una review del 2010 Merién et al., analizzarono gli studi che descrivevano
e valutavano la formazione in team, in ambiente di simulazione, come
strumento per affrontare le emergenze ostetriche. Dei 97 articoli vagliati,
solo otto analizzavano gli effetti della simulazione sul lavorare in gruppo in
emergenza ostetrica; quattro erano studi randomizzati controllati e quattro
29
studi di coorte. Sette dimostravano che il training in ambiente di simulazione
migliorava le conoscenze, le capacità tecniche, la comunicazione e la
performance del team. Un unico studio, centrato sugli esiti perinatali,
evidenziava uno statisticamente significativo, costante, miglioramento
dell’outcome neonatale, sia in termini di Apgar score a 5 minuti che di
riduzione di encefalopatia ipossico-ischemica ( Drycott T. 2006 ) dopo
l’introduzione, dal 2000, di training in emergenza ostetrica. Questa review
sottolineò i seguenti vantaggi e svantaggi dell’uso dei simulatori ad alta
fedeltà. Gli svantaggi evidenziati furono: gli alti costi; la mancanza di
istruttori capaci; scarsità di programmi formativi adeguati; mancanza di studi
su costi-benefici. I vantaggi: ambiente di apprendimento sicuro per pazienti e
allievi; opportunità di lavorare in gruppi multidisciplinari; infinita possibilità
di esercitarsi su eventi clinici rari e complessi; la possibilità di programmare
gli scenari senza aspettare che accadano realmente; avere un immediato
feedback; eseguire manovre tecniche fino all’acquisizione delle stesse;
possibilità di provare nuove tecnologie senza esporre la paziente a rischi.
Non ci furono evidenze che il training in centri di simulazione permettesse di
migliorare l’outcome rispetto a quello eseguito nelle strutture ospedaliere.
Nel 2012 Pratt pubblicò una review dal titolo “Recent trends in simulation
for obstetric anesthesia” che analizza la simulazione applicata all’ anestesia
ostetrica suddividendola in quattro campi: apprendimento di skills tecnici;
trining in competenze non tecniche; valutazione delle competenze
individuali; sicurezza e ambiente clinico; da essa si evince che sia gli skills
tecnici, quali la stima delle perdite ematiche, l’anestesia generale per il
cesareo emergente, la cricotiroidotomia, che quelli non tecnici come il lavoro
in team, la comunicazione tra il personale ( Siassakos et al. 2011 ) e con le
pazienti ( Croft JF et al. 2008 ), vengono migliorati dalla formazione in
simulazione. Questa poi resta un importante parte dello sforzo per
implementare la cultura della sicurezza in ostetricia ( Grunebaum et al. ).
Anche questa review, però, sottolinea la necessità di ulteriori studi per
verificare se quanto appreso simulando possa tradursi, sistematicamente in
un miglior outcome clinico. Nella stessa direzione ci portano Wenk M. e
Popping D.M. con il loro articolo del 2015 “ Simulation for anesthesia in
obstetrics “ che, dopo aver enunciato i vantaggi della simulazione per
l’anestesista ostetrico, consigliano di puntare la ricerca su quale sia il reale
impatto clinico, in termini di outcome, e sul valutare se sia più produttiva la
simulazione individuale o in gruppo.
30
Sempre in ambito di anestesia ostetrica una review del 2016 (Mushambi
M.C. and Sahana J. ) si è occupata esclusivamente di controllo e training sulle
vie aeree, in ostetricia. Da essa si evince la necessità di approcciare il
problema, a partire dalle società scientifiche (OAA) sia da un punto di vista
tecnico-culturale che da quello dell’acquisizione di competenze non
tecniche, attraverso il training in simulazione. Il 40% degli outcome avversi
riportati dal NAP4 sono, infatti, stati attribuiti ai fattori umani.
Un programma formativo di simulazione focalizzato sui fattori umani ed in
particolare sulla collaborazione interdisciplinare è descritto da Burke C. et al.
nel loro articolo del 2013. Esso ha prodotto un aumento della sicurezza per
le pazienti misurato con uno score dell’Agenzia (americana) per la ricerca e la
qualità della salute.
Ma la simulazione non è solo per i Paesi ricchi. Lo dimostra un interessante
articolo di quest’anno che si occupa di valutare quanto resti di acquisito, a
distanza di due anni, di un training in simulazione sull’emorragia post parto
in Rwanda. Esso conferma che la formazione che utilizza la simulazione possa
essere un metodo efficace di insegnamento anche in Paesi del terzo mondo
(Nathan L. et al. 2016), aprendo l’interrogativo su quale sia il tempo migliore
per il retaining al fine di non perdere le competenze acquisite. Questo
articolo ci ricorda che la simulazione è primariamente finalizzata
all’apprendimento, è uno strumento, non il fine. Come sottolineato da
Pasquale S.J. nel suo articolo del 2015 è dunque necessario che coloro che
insegnano abbiano anche conoscenze in campo di scienze educative e della
loro applicazione all’insegnamento ed all’apprendimento in simulazione.
Molto importante è imparare a saper condurre un briefing e un debriefing
quando si usa la SBME (Kolbe M. et al 2015).
Quest’anno è stato pubblicato anche il risultato del progetto che ha visto lo
stato dell’Illinois impegnato ad implementare le conoscenze sull’emorragia
post parto con quattro metodi, tra cui anche la simulazione ed il debriefing.
Cynthia Wong et al. illustrano i metodi utilizzati in questo progetto ed i,
positivi, risultati ottenuti, giungendo anch’essi alla conclusione che siano
necessari studi a lungo termine che valutino se il miglioramento degli skills
ottenuti con la formazione contribuiranno a migliorare l’outcome delle
donne dell’Illinois che sviluppano un’emorragia post parto.
Un altro campo di studio in cui viene utilizzata la simulazione è la definizione
di standard qualitativi e/o quantitativi da soddisfare quando si verifichino
31
determinate situazioni. Un gruppo canadese (Kurrek et al. 2015) ha usato
appunto la simulazione per stabilire i tempi di risposta a quattro differenti
scenari ostetrici: vie aeree difficili; pre-eclampsia - edema polmonare;
embolia da liquido amniotico; DIPNI e emorragia.
Simulazione “in situ” verso “off site” è diventato, infine, uno degli ultimi
argomenti di dibattito e verifica, per chi si occupa di simulazione. Il gruppo
danese di Sørensen, in particolare, si è occupato di ciò in due articoli ( 2013,
2015 ). Anche gli autori di questi studi concordano sul fatto che, per le
caratteristiche proprie delle emergenze ostetriche, la SBME sembra essere
importante o addirittura essenziale, come già sottolineato da Johannsson H.
e da Issemberg S.B. nel nei loro aticoli del 2005 e da Crofts JF. nel 2007.
Dallo studio randomizzato controllato del 2013 e da quello randomizzato
educazionale del 2015, volti a definire quale tipo di simulazione sia migliore,
ISS (“in situ”simulation) o OSS (“off site” simulation), si evince che non ci
sono differenze significative in merito a conoscenze, sicurezza per il paziente,
motivazione, misura dello stress quando mettiamo a confronto l’ISS versus
l’OSS. Tuttavia l’ISS aumenta la percezione di veridicità e produce più
osservazioni su possibili miglioramenti nell’organizzazione.
Una piccola esperienza in tal senso l’ho vissuta nella mia realtà quest’anno.
Le recenti scelte organizzative aziendale hanno reso necessario un
aggiornamento del personale ostetrico. Ho pertanto programmato e
recentemente portato a termine, con la collaborazione delle infermiere di
anestesie, un progetto formativo per le ostetriche, volendo coinvolgere
anche il personale di supporto di sala parto. Ho diviso il tempo di
insegnamento in due momenti: il primo teorico (4 ore), di lezione frontale; il
secondo (4 ore) nei luoghi in cui si possono verificare le urgenze/emergenze:
una sala parto; la sala cesarei; una stanza di degenza; una stanza del primo
intervento ostetrico. In ognuno di questi luoghi abbiamo messo in scena, in
modo molto rudimentale, quattro differenti casi clinici: emorragia post
parto; intubazione difficile; attacco eclamptico; ACC.
Hanno partecipato in cinque edizioni più dell’80% delle ostetriche e delle
O.S.S.. I risultati più immediati sono stati l’acquisizione di un vocabolario più
condiviso; un miglioramento del clima; un maggior lavoro di squadra nella
gestione dell’emorragia post parto e dell’anestesia generale.
Inoltre abbiamo imparato dove sono i materiali che servono nell’emergenza,
apportando piccole ma funzionali modifiche alla distribuzione di materiali e
32
all’organizzazione. Esempi di ciò sono l’acquisizione di tre saturimetri, la
costituzione di borse che contengono tutto ciò che può servire per erogare
O2 prontamente disponibili e che non richiedano che l’operatore debba
allontanarsi dalla donna. Abbiamo appeso algoritmi per la gestione
dell’emergenza nei vari luoghi e definito le attività di chi è impegnato
nell’urgenza. In molte hanno trovato soluzioni originali. Perché, ad esempio,
dobbiamo trasferire sulla barella una paziente per portarla dal secondo
piano in sala parto, se lo possiamo fare con il letto?
Accanto agli aspetti positivi questa esperienza è stata utile per evidenziare
numerose carenze su cui lavorare; prima fra tutte il non aver pensato di
invitare al corso i ginecologi e gli altri anestesisti come se non fosse loro
necessario imparare a lavorare insieme, sapere dove si trovano i materiali,
quali i limiti della struttura e del numero di personale (giorno piuttosto che
notte).
Il successo dell’iniziativa è dimostrato dal fatto che la maggioranza del
personale che ha partecipato, anche quello in principio più scettico, ha
chiesto di programmare nuove giornate “pratiche” coinvolgendo anche
ginecologi, strutturati e specializzandi, ed anestesisti.
33
7. Conclusioni
Sicurezza e outcome materno e neonatale sono temi che impegnano politica,
sociale e mondo sanitario.
La formazione che utilizza la simulazione come punto di forza, si è sviluppata
enormemente in tutto il mondo e in tutte le discipline mediche, negli ultimi
decenni. La tecnologia ha sviluppato sistemi integrati che permettono di
apprendere in ambienti sempre più realistici, con manichini specifici per i
vari ambiti. Insieme sono stati sviluppati i più vari task trainers per
l’apprendimento delle manovre rare e/o difficili.
L’esperienza di questi vent’anni ci ha dimostrato che, in ostetricia,
l’apprendimento in simulazione, è sicuramente utile e forse indispensabile,
per quanto riguarda numerose urgenze/emergenze. Essa è utilizzata per
imparare e mantenere competenze tecniche quali distocia di spalla,
valutazione corretta delle perdite ematiche, assistenza a parto podalico,
parto operativo, anestesia generale in emergenza, controllo delle vie aeree,
rianimazione cardio-polmonare ecc.. Il suo impiego si è esteso, con successo,
anche all’apprendimento, attraverso l’applicazione del CRM, di competenze
non tecniche, indispensabili nella gestione delle emergenze: comunicazione,
leadership, distribuzione dei compiti, rivalutazione ecc.. In questo modo, il
lavoro in team migliora, così come il “clima” e lo stress diminuisce.
Nonostante queste evidenze un unico studio dimostra la ricaduta di un
programma di SBME sull’outcome clinico, miglioramento dell’Apgar score a 5
minuti e riduzione dei danni ipossico-ischemici.
Interessante è, anche, la possibilità di utilizzare la simulazione per definire e
perseguire gli standard minimi professionali di competenze necessarie per
poter lavorare in una sala parto (privileges).
Possiamo dunque concludere che l’uso della simulazione è giustificata delle
evidenze scientifiche ma che restano aperte alcune domande per il futuro
prossimo:
definire gli obiettivi a breve, medio e lungo termine
scegliere chi deve essere formato e differenziare i percorsi
scegliere gli strumenti in base agli obiettivi
trovare indicatori comuni, locali, nazionali ed internazionali, di
outcome e di sicurezza per ogni tipo di manovra e situazione clinica
34
sviluppare database comuni per raccogliere i risultati
programmare percorsi formativi di training e retraining
formare una classe di formatori motivata, riconosciuta e che continui a
formarsi
capire il ruolo del tecnico di simulazione nella simulazione ad alta
fedeltà
valutare la possibilità di fare simulazione “in situ” , utilizzando anche
materiali molto meno costosi e sofisticati e/o attori
credere e promuovere l’utilizzo della simulazione nei corsi di laurea e
specializzazione.
La riduzione dell’errore legato ai fattori umani è indispensabile, in ostetricia
come nelle altre discipline mediche. A tal fine la simulazione si aggiunge ad
altri provvedimenti, quale strumento per implementare una cultura che
impari a riconoscere e ad imparare dagli errori, che se fatti in un ambiente
sicuro come quello della simulazione, non mettono a rischio la vita delle
pazienti, bensì aiutano a formare sanitari sempre più preparati ad affrontare
e prevedere l’imprevisto.
Posso dunque rispondere alla domanda della tesi affermando che la
simulazione in ostetricia non è la moda di un momento ma un valore
aggiunto, che va utilizzato e per la cui diffusione vale la pena impegnarsi e
lavorare.
35
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