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SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE … · Scrutatori sono stati la segretaria Sabrina...

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SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES numero 43 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964 Giugno 2014 Durante il Congresso SSFA di Roma, e precisamente in occasione dell’Assemblea dei Soci che ha chiuso i due giorni di lavori, si sono formalmente concluse le votazioni per il rinnovo del Consiglio. Lo scrutinio delle schede elettorali si è svolto il giorno 8 aprile 2014 nello studio del notaio dr. Francesco Gallizia in Milano. Scrutatori sono stati la segretaria Sabrina Lucioni ed il sottoscritto. Questa tornata elettorale ha visto una buona partecipazione dei Soci al voto: è certamente un fatto molto positivo, che riflette un maggior interesse verso la scelta dei Consiglieri, che dovranno guidare le attività della SSFA nel prossimo triennio. Le informa- zioni qui riportate sono disponibili dallo scorso 8 aprile sul sito SSFA: in ogni caso, le ripe- tiamo. I Soci votanti sono stati 206 (di cui per posta 150, ed in Assemblea 56): non ci sono state schede nulle, mentre è stata inserita una scheda bianca. Quindi le schede valide sono 205. Hanno ricevuto voti come Consiglieri i seguenti candidati: Seguono altri candidati con un numero minore di voti. Ha ricevuto voti come Revisore dei conti: Simona SGARBI 129 voti Il giorno 6 maggio il nuovo Consiglio è stato convocato ed ha deliberato l’attribuzione delle seguenti cariche: Presidente Marco Romano Vice Presidente Anna Piccolboni Tesoriere Luigi Godi Segretario Salvatore Bianco Il prossimo numero di SSFA oggi ospiterà una formale presentazione dei Consiglieri eletti alle quattro cariche sociali. Domenico Criscuolo 1. Anna PICCOLBONI 98 voti 2. Gianni DE CRESCENZO 80 voti 3. Luigi GODI 79 voti 4. Marie-Georges BESSE 70 voti 5. Marco ROMANO 66 voti 6. Domenico CRISCUOLO 56 voti 7. Salvatore BIANCO 53 voti 8. Rossana BENETTI 46 voti 9. Giuseppe ASSOGNA 38 voti 10. Simona COLAZZO 33 voti 11. Sergio CAROLI 29 voti Sommario: Editoriale 1 SSFA incontra AIFA 2 XIII Congresso Nazionale SSFA Prima sessione 4 XIII Congresso Nazionale SSFA Seconda sessione 6 XIII Congresso Nazionale SSFA Terza sessione 9 XIII Congresso Nazionale SSFA Quarta sessione 10 XIII Congresso Nazionale SSFA Tavola Rotonda 11 Oggi parliamo di………… 12 Clinical monitor UNI 15 The Lancet 18 British Medical Journal 20 GdL Medicina Complementare 22 Notizie dai Master 24 Il libro di oggi 29 Il giuramento di Ippocrate 30 ADR 35 Nuovi Soci 40 Seminario FE&MA 17 L’uso dei farmaci in Italia 34 17° Congresso IFAPP 16 LE ELEZIONI DEL CONSIGLIO PER IL TRIENNO 2014 – 2016 Notizie BIAS 33
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SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE

SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES

numero 43

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO

SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica

Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964

Giugno 2014

Durante il Congresso SSFA di Roma, e precisamente in occasione dell’Assemblea dei Soci che ha chiuso i due giorni di lavori, si sono formalmente concluse le votazioni per il rinnovo del Consiglio. Lo scrutinio delle schede elettorali si è svolto il giorno 8 aprile 2014 nello studio del notaio dr. Francesco Gallizia in Milano. Scrutatori sono stati la segretaria Sabrina Lucioni ed il sottoscritto. Questa tornata elettorale ha visto una buona partecipazione dei Soci al voto: è certamente un fatto molto positivo, che riflette un maggior interesse verso la scelta dei Consiglieri, che dovranno guidare le attività della SSFA nel prossimo triennio. Le informa-zioni qui riportate sono disponibili dallo scorso 8 aprile sul sito SSFA: in ogni caso, le ripe-tiamo. I Soci votanti sono stati 206 (di cui per posta 150, ed in Assemblea 56): non ci sono state schede nulle, mentre è stata inserita una scheda bianca. Quindi le schede valide sono 205. Hanno ricevuto voti come Consiglieri i seguenti candidati:

Seguono altri candidati con un numero minore di voti. Ha ricevuto voti come Revisore dei conti: Simona SGARBI 129 voti Il giorno 6 maggio il nuovo Consiglio è stato convocato ed ha deliberato l’attribuzione delle seguenti cariche:

Presidente Marco Romano Vice Presidente Anna Piccolboni Tesoriere Luigi Godi Segretario Salvatore Bianco

Il prossimo numero di SSFA oggi ospiterà una formale presentazione dei Consiglieri eletti alle quattro cariche sociali.

Domenico Criscuolo

1. Anna PICCOLBONI 98 voti 2. Gianni DE CRESCENZO 80 voti 3. Luigi GODI 79 voti 4. Marie-Georges BESSE 70 voti 5. Marco ROMANO 66 voti 6. Domenico CRISCUOLO 56 voti 7. Salvatore BIANCO 53 voti 8. Rossana BENETTI 46 voti 9. Giuseppe ASSOGNA 38 voti 10. Simona COLAZZO 33 voti 11. Sergio CAROLI 29 voti

Sommario:

Editoriale 1

SSFA incontra AIFA 2

XIII Congresso Nazionale SSFA Prima sessione 4

XIII Congresso Nazionale SSFA Seconda sessione 6

XIII Congresso Nazionale SSFA Terza sessione 9

XIII Congresso Nazionale SSFA Quarta sessione 10

XIII Congresso Nazionale SSFA Tavola Rotonda 11

Oggi parliamo di………… 12

Clinical monitor UNI 15

The Lancet 18

British Medical Journal 20

GdL Medicina Complementare 22

Notizie dai Master 24

Il libro di oggi 29

Il giuramento di Ippocrate 30

ADR 35

Nuovi Soci 40

Seminario FE&MA 17

L’uso dei farmaci in Italia 34

17° Congresso IFAPP 16

LE ELEZIONI DEL CONSIGLIO PER IL TRIENNO 2014 – 2016

Notizie BIAS 33

Anno VIII numero 43 Pagina 2

Lo scorso 7 Marzo 2014 una delegazio-ne SSFA, costituita dal Presidente Gian-ni De Crescenzo, dal Segretario Luigi Godi, da Francesco De Tomasi (Master Università Cattolica) e da Luciano M. Fuccella (Master Università di Milano Bicocca) ha incontrato a Roma il Diretto-re Generale di AIFA, prof. Luca Pani, accompagnato dalla dr.ssa Donatella Gramaglia e dal dr. Michele Marangi.

All’ordine del giorno dell’incontro tre ar-gomenti: 1) il tema della relazione del prof. Luca Pani al XIII Congresso Nazionale SSFA, ossia “Il parere di AIFA”, nella sessione “Immagine dell’industria farmaceutica”; 2) la situazione dei Comitati Etici dopo il Decreto Ministeriale; 3) la proposta, pervenuta da Pharma-Train, di realizzare in Italia un corso di formazione e di aggiornamento (CPD) per gli addetti alla ricerca clinica.

In merito al primo punto all’ordine del giorno, il prof. Pani ha confermato la sua partecipazione al Congresso ed assieme alla dr.ssa Gramaglia ed al dr. Marangi provvederà ad inviare quanto prima una sinossi della sua relazione. In merito al secondo punto all’ordine del giorno, la dr.ssa Gramaglia ha fatto pre-sente che, nonostante i termini per la riorganizzazione dei Comitati Etici siano già scaduti da qualche mese, alcune

regioni (Marche, Calabria, Molise e la provincia autonoma di Bolzano) non hanno ancora deliberato in materia. Al mo-mento comun-que si è avuta una sensibile diminuzione del numero dei Co-mitati Etici (circa 83), il che pre-suppone per una futura attività più omogenea ed il rispetto dei tem-pi. Sul terzo punto all’ordine del giorno, forse il più importante, si sono illustrati ad AIFA obiettivi ed attività del pro-getto Pharma Train e si è pro-spettata una col laborazione con AIFA in linea con i programmi di armonizzazio-ne e validazione europee della formazione del personale coin-volto nella speri-

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SSFA incontra AIFA

Anno VIII numero 43 Pagina 3

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mentazione con farmaci. Il programma Pharma Train si propone di giungere alla attribuzione del titolo di “Specialist in Medicines Development (SMD)”, con aggiornamento continuo affidato a società scientifiche nazionali (ad es. SSFA, in collaborazione con SIF e/o SIFO) insieme ad università, me-diante programmi triennali o quinquen-nali e con verifiche annuali. In un mondo in continua evoluzione quale quello della scoperta e dello sviluppo dei farmaci, dove in misura crescente si assiste alla esternalizzazione della ricerca pre-clinica e clinica, è indispensabile non solo assicurare la presenza di professio-nisti con approfondita preparazione con-seguita con appropriate tecniche di inse-gnamento garantendo anche un aggior-namento continuo (CPD: Continuing Professional Development), ma anche assicurare che gli sperimentatori clinici siano partecipi di questo processo di aggiornamento professionale. E’ evidente che il conseguimento di un programma internazionale del genere aumenta anche sensibilmente le occa-sioni di lavoro in quanto chi ha consegui-to il titolo post-laurea potrà facilmente trovare occupazione in tutti i paesi che prendono parte al programma stesso.

La SSFA, società scienti-fica dei ricercatori del farmaco, festeggia nel 2014 i suoi primi 50 anni di vita: nel corso di questo periodo rappresentanti SSFA si sono distinti per aver attivato con successo corsi di aggiornamento su tutte le attività legate al mondo del far-maco (dalla sperimentazione preclinica alla sperimentazione clinica, dagli affari regolatori alla farmacovigilanza, alla farmacoeconomia ed alla qualità). Rite-niamo pertanto di avere non solo le com-petenze necessarie per attivare un per-corso di verifica periodica, ma anche il know-how per gestire questo processo, che è già presente presso i diversi master in cui sono attivi docenti SSFA. Naturalmente in questo processo di im-plementazione di un programma di CPD, SSFA ritiene importante poter contare sulla collaborazione di autorevoli rappre-sentanti di altre istituzioni come ad e-sempio AIFA, ISS, Ministero della Salute e di altre società scientifiche (ad esem-pio SIF, SIFO, SIAR). Sarebbe opportu-no costituire un comitato CPD con tali rappresentanti, che abbiano mandato di delega come esperti validati, i quali svol-gerebbero la funzione di tutor per coloro che partecipino al programma di CPD.

Il prof. Pani ha dato la disponibilità di AIFA alla massima collaborazione in tale progetto nell’ambito delle attività di edu-cazione e formazione del personale ad-detto alla ricerca clinica. Verranno concessi a tale iniziativa spazi sul sito AIFA, dove dovranno essere riportati (sia in lingua italiana che in lin-gua inglese) una nota introduttiva per poi rimandare ai siti istituzionali di SSFA, SIF e SIFO per i dettagli operativi. AIFA non concederà né speciali finanziamenti né alcuna attività operativa (intesa come IT) da parte di esponenti dell’Agenzia. Gli aspetti tecnici saranno successiva-mente vagliati dagli addetti ai lavori.

Luigi Godi

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Anno VIII numero 43 Pagina 4

Il nostro Congresso Nazionale ha avuto un buon successo: sono intervenuti, fra iscritti, relatori e moderatori, circa 150 colleghi che hanno contribuito, con inte-ressanti presentazioni e con un vivace dibattito, all’ottima riuscita delle due gior-nate di lavori. Il motto del congresso era “I 50 anni di SSFA e la ricerca in Italia”: abbiamo voluto coniugare le celebrazio-ni dei primi 50 anni di vita della nostra associazione, con lo stato della ricerca nel nostro Paese, e soprattutto sulle prospettive di una futura crescita, che tutti auspichiamo. Eccovi, come promes-so nel numero scorso, una sintesi degli interventi. PRIMA SESSIONE Il tema della prima sessione del congres-so, e non poteva essere altrimenti data la vocazione della SSFA, è stata incentrata sul Nuovo Regolamento Europeo. I lavori della sessione sono stati articolati in quat-tro presentazioni che hanno permesso di analizzare il regolamento e le sue implica-zioni da differenti punti di vista, tutti di e-strema importanza. Il prof Vincenzo Salvatore, docente di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università dell’Insubria, è intervenuto sul tema “il perché di un nuovo regola-mento europeo sulle sperimentazioni cliniche”. L’esperienza quasi decennale del prof Salvatore presso l’ufficio legale dell’EMA ha contribuito a rendere anco-ra più significativa la Sua partecipazio-ne. Dopo aver evidenziato il fatto che era necessario per l’Unione Europea intervenire per salvaguardare il ruolo giocato dai Paesi Membri nella speri-mentazione clinica vista la progressiva riduzione degli studi registrati in Europa negli ultimi anni, il professore ha rapida-mente passato in rassegna le principali novità introdotte con il regolamento . Interessante , a tale proposito, il distin-guo messo in luce tra il ruolo dell’EMA che sancirà la necessità di acquisire nuove evidenze ed il ruolo degli Stati Membri che fungeranno da valutatori delle diverse proposte di studi e delle modalità della loro esecuzione. Da que-

sta premessa il professore ha insistito sull’importanza del Portale Unico che assorbirà EudraCT, sui diversi ruoli del Pease rapporteur e dei Paesi interessati, del flusso che sarà seguito per la valuta-zione delle diverse proposte con la loro sottomissione attraverso il PU, l’analisi della parte I “generale” e della parte II “nazionale”. Particolare attenzione il professore ha dedicato ad una delle ragioni principali di cambiamento ovvero la necessità di una maggiore trasparen-za per l’acquisizione di informazioni sulle sperimentazioni cliniche che dovrà esse-re garantita con i soli limiti determinati dalla protezione di dati personali, di dati commerciali sensibili e che non interferi-scano con il compito di monitoraggio accurato degli studi che gli Stati membri devono esercitare. In merito il Professo-re ha parlato di passaggio da un acces-so reattivo alle informazioni ad una loro messa a disposizione proattiva da parte della Agenzia Europea. Cosa debba co-stituire una informazione commerciale sensibile e quindi non accessibile al pubblico rimane uno dei punti critici sul quale non si è ancora arrivati ad una definizione condivisa. Altro aspetto im-portante ed innovativo è il concetto di co-sponsorizzazione introdotto dal nuovo regolamento, per il quale sarà possibile che più sponsor possano proporre uno stesso studio clinico, previa chiara defi-nizione delle responsabilità di ciascuno sponsor. Infine è stato esaminato dal relatore anche l’aspetto assicurativo che sarà “proporzionato al rischio”. Mentre infatti dovrà essere garantita una coper-tura assicurativa per gli studi clinici, tale copertura non sarà obbligatoria per i cosidetti studi clinici a basso livello di intervento. L’intervento del dr Carlo Tomino, Re-sponsabile dell’Ufficio Sperimentazione Clinica dell’AIFA, è stato incentrato sulla Posizione AIFA. Il dr Tomino ha confermato, mostrando i dati dell’Osservatorio della Sperimenta-zione Clinica, il trend in decrescita del numero degli studi clinici che interessa-no centri italiani.

Dopo aver ripercorso le principali novità introdotte ed avere ricordato che, a diffe-renza di quanto in atto con la direttiva 2001/20/EC, il nuovo Regolamento ha carattere vincolante per tutti gli Stati Membri, sono stati affrontati alcuni punti di particolare rilevanza: la scelta del Pa-ese Rapporteur è fatta dallo sponsor, sono definiti criteri di silenzio/assenso per la risposta da parte degli Stati Mem-bri interessati. Il relatore ha evidenziato che entrambi questi punti hanno suscita-to discussioni perchè potrebbero deter-minare, da una parte una concentrazio-ne dei Paesi che fungono da rapporteur e, dall’altra, una scarsa partecipazione dei Paesi Membri che avessero difficoltà con le tempistiche imposte. Altro punto importante del documento messo in ri-salto è il ruolo dei Comitati Etici . La valutazione etica avverrà a livello centrale e gli Stati Membri saranno libe-ri di intervenire o meno . Nel caso in cui i CE vogliano intervenire dovranno co-munque farlo attraverso il Portale Unico. E’ inoltre stato sottolineato che l’interazione comporterà la necessità di riunioni molto più frequenti (settimanali) dei Comitati Etici. E’ stato fatto notare che la cosa appare molto problematica per il sistema italiano dovendo giudicare anche alla luce di quanto è avvenuto con la recente riorganizzazione dei co-mitati etici in Italia (DM 8/2/2013). Sono poi state illustrate le tempistiche previste dal documento che appaiono tutte estre-mamente sfidanti per il carico di lavoro che impongono e che richiederanno un’organizzazione ad hoc. La copertura assicurativa, necessaria per tutte le sperimentazioni che non sia-no quelle a basso livello di intervento e la cui organizzazione e copertura è de-mandata a ciascun Paese Membro, sarà un altro punto critico richiedendo, per l’Italia, un lavoro “ex novo”. Il dr Tomino ha chiuso il Suo intervento sottolineando che le sfide che il nuovo regolamento impone sono molte e com-plesse, ha auspicato che l’Italia sappia cogliere l’opportunità di valorizzare la

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TREDICESIMO CONGRESSO NAZIONALE SSFA Roma, 31 marzo-1 aprile 2014

Tempi autorizzativi

Procedura di autorizzazioneProposta di Regolamento

Min (giorni)Max (giorni)

(con clock stop)

Sperimentazione clinica60

(10+45+5)106

(25+76+5)

Sperimentazione clinica di terapie avanzate

110(10+95+5)

156(25+126+5)

Emendamento sostanziale 49(6+38+5)

95(21+69+5)

Emendamento sostanziale di una SC di terapie avanzate

99(6+88+5)

145(21+119+5)

Aggiunta di uno Stato membro 52 83

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Anno VIII numero 43 Pagina 5

sperimentazione clinica non solo come valore insostituibile per la salute pubbli-ca ma anche come opportunità di svilup-po economico come messo in evidenza dal Governo inglese in un documento recentemente reso pubblico. I lavori sono poi continuati con l’Intervento del dr Maurizio Agostini, di-rettore della Direzione Tecnico-Scientifica di Farmindustria, che ha e-spresso la posizione di Farmindustria. Il dr Agostini ha esordito elencando le opportunità che il regolamento offre in termini di semplificazione: una tempisti-ca certa legata alla procedura del silezio-assenso e la possibilità di un coinvolgi-mento allargato a tutti i Paesi Membri. Il regolamento sarà sottoposto alla valuta-zione del Parlamento Europeo, il 3 o 4 Aprile e diventerebbe operativo due anni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e comunque sei mesi dopo l’attivazione del Portale Unico e della Banca Dati ( dove saranno riversati e conservati tutti i dati delle sperimentazio-

ni cliniche). Dopo aver illustrato le tempi-stiche per ogni fase di approvazione (tabella) delle nuove sperimentazioni, il relatore ha evidenziato il fatto che, nell’ambito degli aspetti assicurativi, è stata abolita la previsione di un meccani-smo di indennizzo nazionale (ex art.73) ribadendo che gli aspetti assicurativi rimangono un’area critica per la quale sarà necessaria ulteriore chiarezza, so-prattutto in ambito nazionale. Sono anche stati illustrati gli interventi sanzionatori previsti. E’ poi stato posto l’accento sull’opportunità di creare un network per i Comitati Etici per accelera-re il loro coinvolgimento e favorire una valutazione etica approfondita e condivi-sa da tutti gli Stati Membri interessati. Altra considerazione rilevante espressa è che, ove fosse applicato il tempo mas-simo concesso per l’approvazione, il processo approvativo Europeo risulte-rebbe tra i più lunghi a livello internazio-nale. Sono stati mostrati dati che eviden-ziano come, a fianco alla riduzione di studi clinici, si assista anche ad un decli-

no del numero degli addetti alla speri-mentazione, il che costituisce un grave danno al nostro Paese considerando l’alto livello professionale e la qualità di quanti operano in questo settore.E’ stato avanzato il suggerimento di avere sia un contratto standard sia requisiti assicura-tivi standard applicabili in tutti i centri clinici per superare rigidità di sistema che chi si occupa di ricerca clinica in Italia ben conosce. Il dr Agostini, dopo aver illustrato delle iniziative che Farmin-dustria ha recentemente attivato con alcune Regioni a favore della sperimen-tazione clinica (definizione di un contrat-to unico regionale con le regioni Lom-bardia, Veneto, Toscana e Liguria) ha chiuso il suo intervento articolando una proposta di collaborazione che prevede la formazione immediata di una task force nella quale siano rappresentati tutti i protagonisti della sperimentazione clini-ca (AIFA, ISS, Regioni, CE, farmacologi, clinici e Farmindustria) che sia in grado, entro due mesi, di fare una mappatura

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Anno VIII numero 43 Pagina 6

della situazione italiana e di elaborare un piano di intervento per adeguarsi ai re-quisiti previsti. Entro un anno dalla pub-blicazione del regolamento la task force dovrebbe proporre linee guida e un pia-no di formazione da rendere operativi su tutto il territorio nazionale per portare tra due anni, ovvero al momento della defi-nitiva operatività del nuovo regolamento, il sistema ad essere completamente allineato e pronto a lavorare nel rispetto della nuova normativa, e rendere quindi l’Italia realmente competitiva nel panora-ma internazionale. La sessione si è conclusa con l’inter-vento del professor Alessandro Mugelli, Direttore del Dipartimento di Neuroscien-ze, Psicologia, Area del Farmaco e Salu-te del Bambino dell’Università di Firenze, il quale nel Suo ruolo anche di Presiden-te del Comitato Etico per la Sperimenta-zione Clinica -Regione Toscana ha por-tato la posizione dei Comitati Etici. Il professore ha condiviso la opportunità, fornita dall’introduzione di una nuova normativa, di non appesantire l’aspetto burocratico della sperimentazione clinica che nulla aggiunge alla qualità della ri-cerca e, semmai, ne rappresenta un ostacolo. Nel contempo ha però anche espresso perplessità sulle modalità, carenti, per il coinvolgimento dei CE così come attual-mente previste nel Regolamento. Già nel documento di revisione della

Direttiva 2001/20/CE, reso pubblico dalla Comunità Europea nel 2011, si auspica-va una maggiore attenzione ai problemi etici piuttosto che sugli aspetti economici e regolatori. Nel medesimo documento si auspicava un maggior coinvolgimento dei CE e la creazione di una piattaforma comune per favorire gli scambi tra i di-versi comitati dei diversi Stati Membri nonchè una difficoltà per i CE di espri-mere un parere sui moduli di consenso informato senza una adeguata cono-scenza del protocollo di studio relativo. Il professore ha sottolineato come il Rego-lamento non definisca quale organismo sia demandato alla valutazione degli aspetti etici della sperimentazione, la-sciando a ciascuno Stato Membro la responsabilità di decidere quale sia l’organo responsabile di questa funzio-ne. Viene poi rimarcato che il nuovo r e g o l a m e n t o , f a v o r e n d o un’approvazione centrale, rischi di com-promettere un completo allineamento con la Dichiarazione di Helsinki la quale prevede la protezione di tutti i soggetti coinvolti nella sperimentazione clinica. Si auspica quindi che il Regolamento inclu-da in modo diretto ed inequivocabile la necessità di una valutazione , prelimina-re all’approvazione della ricerca, degli aspetti etici della ricerca stessa e che tale valutazione debba essere condotta da un comitato del quale dovrebbe esse-re ben definita la composizione. Il professore ha infine concluso il Suo

intervento chiarendo che il regolamento sancisce comunque la necessità di una approvazione data da un ragionevole numero di persone indipendenti , inclu-dendo anche non esperti di settore, che valutino congiuntamente il protocollo e che il regolamento non limita tale appro-vazione ai soli aspetti etici accettando quindi l’inscindibilità tra scienza ed etica. E’ ragionevole dunque pensare che i Comitati Etici mantengano la loro funzio-ne ma l’essere pronti al recepimento del Regolamento nei tempi previsti dalla Comuniità Europea rimane una sfida aperta.

GiovanBattista Leproux

SECONDA SESSIONE Questa sessione, moderata da France-sco De Tomasi e da Marco Corsi, si pre-figgeva di delineare l’immagine dell’industria farmaceutica attraverso il parere di tre figure professionali molto spiccate: l’editorialista di un peer revie-wed journal ( prof. Achille Patrizio Capu-ti), il Direttore Generale di AIFA (prof. Luca Pani) , un noto farmacologo ( prof. Luciano Caprino). La sessione è stata modificata nella sequenza degli interven-ti perchè il prof. Pani, volendo onorare l’impegno di esprimere il proprio parere e dovendo, nel primo pomeriggio, partire per Londra per impegni istituzionali, ha chiesto di anticipare la sua relazione. Il prof. Luca Pani ha percorso veloce-

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Anno VIII numero 43 Pagina 7

mente le tappe delle conquiste scientifi-che degli ultimi 200 anni partendo dalle osservazioni di Pasteur nel 1859 per giungere agli interventi farmacologici più recenti come l’approvazione, da parte di EMA, di Glybera, primo prodotto di tera-pia genica, riconoscendo il ruolo fonda-mentale dell’industria farmaceutica ed il valore della sperimentazione clinica. In questo suo percorso il prof. Pani ha indi-viduato e delineato un nuovo modo di valutazione della performance degli stu-di clinici, che, di conseguenza si riper-cuote su una nuova impostazione degli approcci preclinici e clinici per arrivare a rendere disponibile il farmaco, possibil-mente in tempi anticipati rispetto al pas-sato, soprattutto per farmaci con elevato bisogno medico insoddisfatto, ricono-scendo un moderato grado di incertezza sull’efficacia ma non sul rischio. Questo percorso, che delinea il coinvolgimento del paziente nella ricerca e sviluppo di un farmaco fin dalle prime fasi, si svolge nel programma di ricerca, sviluppo dei quesiti di ricerca, selezione degli esiti e dei comparatori, reclutamento, traslazio-ne e diffusione dei risultati. In tutto que-sto nuovo processo, in parte già iniziato, importante sarà il dialogo con le agenzie regolatorie. Ha poi, ha focalizzato la sua analisi sulla situazione italiana ricolle-gandosi ai risultati del XII rapporto na-zionale sull’uso dei farmaci nel 2012, anno in cui, nonostante il persistere del-la crisi globale, il numero degli studi clini-ci è rimasto invariato con una tenuta del numero degli studi delle fasi precoci e con una consistente presenza di studi clinici no profit, particolarmente sostenuti da AIFA, ed in aumento anche gli studi di tipo osservazionale. L’area oncologia, l’area neuropsichiatria, l’area cardiova-scolare, per le eccellenze italiane in que-sti settori, sono in grado di attrarre più ricerca in Italia. Il prof. Pani ha concluso il suo intervento con un accenno al nuo-vo regolamento europeo, alle prossime tappe ed agli effettivi cambiamenti, affer-mando come sia importante il ruolo di AIFA a livello regolatorio internazionale per attrarre investimenti sul territorio nazionale e come un rapido processo di riorganizzazione dei comitati etici sia la premessa per non perdere competitività

a livello internazionale. Ponendo infine la domanda se, per un nuovo modello di business scientifico, l’industria e gli altri attori siano pronti. Vi è stato anche tem-po per alcune domande, in genere di approfondimento delle modifiche annun-ciate; in particolare vi è stata una do-manda sull’osservatorio degli studi clini-ci. La risposta ha confermato che è stato necessario molto tempo per poter trova-re una piattaforma capace di dialogare con EMA, ma che ora l’attività e la fun-zione dell’osservatorio è ripresa. La sessione è proseguita con l’inter-vento del prof. Achille Patrizio Caputi, che ha iniziato la sua presentazione citando Stephen Carney, che individua nell’attuale situazione di crisi un momen-to di particolare tensione per le industrie farmaceutiche messe alla prova dalla riduzione del numero di nuove molecole che arrivano al mercato, dalle richieste sempre più onerose delle autorità rego-latorie , dalle richieste degli stessi pa-zienti ed infine dalle attese degli investi-tori. Ma, secondo il suo parere, la situa-zione è molto più complessa perché esiste una differenza tra i benefici attesi o prospettati ed i rischi potenziali o ma-nifesti dei nuovi farmaci, così come ri-sultano dalle sperimentazioni. Spesso, poi, l’orientamento degli sponsor in meri-to agli obiettivi di una ricerca è verso priorità utili a se stessi, piuttosto che ai pazienti, comportamento che distorce dall’ottenimento di un risultato imparzia-le. Il prof. Caputi riporta una serie di pubblicazioni che evidenziano come tra il 1999 ed il 2005 su 122 nuovi farmaci solo il 10% dimostrarono una superiorità statisticamente significativa su obiettivi clinici primari, rispetto ai farmaci esisten-ti. Per dimostrare un’efficacia superiore dei nuovi farmaci sono necessari studi comparativi, spesso a lungo termine, valutati criticamente anche alla luce dei dati di prescrizione. Esiste un’ulteriore condizione che ci induce a riflettere: un’alta percentuale di lavori pubblicati dalle riviste scientifiche è sostenuta dalle industrie farmaceutiche direttamente o tramite l’acquisto di ristampe da conse-gnare ai medici per rafforzare il messag-gio sui farmaci da loro prodotti e, d’altra parte, gli editori traggono enormi profitti da questa pratica; in sintesi si tratta di

un reale conflitto di interessi. Sarebbe opportuno indagare su questa attitudine e qualcosa in tal senso è stata fatta: una indagine ha messo in luce che più dell’ 80% delle ristampe non viene letto, il margine di guadagno per gli editori sulle ristampe è di circa l’80 %. Le testate più richieste dalle industrie farmaceutiche sono: Lancet, Lancet Neurology, Lancet Oncology, BMJ, Gut, Heart, Journal of Neurology, Neurosurgery &Psychiatry, che vengono scelte per la loro notorietà e per i nomi di illustri autori, che conferi-scono maggiore credibilità agli articoli, con la finalità di promuovere i farmaci oggetto degli studi. Si pone a questo punto un drastico quesito: le riviste scientifiche debbono evitare di pubblica-re ricerche commissionate dall’industria? Alcuni rispondono di si, altri rispondono di no ed i sostenitori di ciascuna delle tesi portano un elenco di buone ragioni. Per superare queste condizioni è neces-sario trovare il giusto equilibrio tra bene-fici e rischi di un nuovo trattamento po-nendo accurata attenzione sia ai rischi che ai benefici documentati al momento dell’approvazione del farmaco, e mante-nendo attiva la sorveglianza quando il farmaco viene impiegato su popolazioni più ampie e con più patologie. Gli studi clinici randomizzati offrono un’eccellente opportunità per valutare i danni di un intervento medico quando impiegano disegni sperimentali robusti, disponibili nella ricerca clinica. Bisogna, quindi, cambiare rotta, evitando studi che ignori-no o sottovalutino gli eventi avversi e tenendo in gran conto il principio: “ pri-mum non nocere”. Il prof. Caputi, conclu-de il suo corposo intervento ancora con una citazione, questa volta di Rosina Salerno (WHO), “ Siccome siamo in un periodo di crisi economica ci dobbiamo chiedere quale tipo di salute pubblica il sistema è in grado di sostenere”. Il prof. Luciano Caprino ha concluso la sessione illustrando le “Conquiste della farmacologia negli ultimi 50 anni”. Dagli anni 50, infatti, la farmacologia compie un passo di straordinaria portata e que-sto modifica in maniera radicale la tera-pia medica. Nuove metodologie di ricer-ca di base e clinica consentono di indivi-duare, meglio e con maggior sicurezza,

(Continua da pagina 6)

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nuove classi di farmaci potenti che van-no dagli antiipertensivi, agli antibiotici, agli psicofarmaci, fino agli antitumorali e, più recentemente ai farmaci biologici. Un passo importante è stato fatto con la scoperta e l’identificazione dei recettori. Nella sua carrellata, egli si sofferma sul-la nascita dei farmaci antiipertensivi che vanno a modificare gli atteggiamenti medici più svariati (terapia psichica, ripo-so assoluto, dieta latteo-vegetativa, ipo-sodica, qualche lassativo) con l’impiego, dal 1952 in poi, di reserpina, guanetidi-na, clorotiazide, clonidina: farmaci attivi a diversi livelli, individuati parallelamente alle scoperte sul sistema di controllo della pressione arteriosa sia a livello centrale che a livello periferico. Nel 1968 vengono individuati i beta bloccanti, una categoria molto folta: in contemporanea vengo scoperti i calcio antagonisti e, successivamente, negli anni 70 gli ACE inibitori ed i sartani. Nella classe degli antibiotici, il prof. Caprino ha tenuto a ricordare come ben prima di Fleming sia stato un medico della marina militare italiana, il dr. Vincenzo Tiberio, molisa-no, laureatosi a Napoli, a scoprire, nel 1893, il potere antibiotico di alcune muf-fe, di cui pubblicò i risultati nel 1895, ma la sua scoperta non fu pubblicizzata. Fleming nel 1943 utilizzò la penicillina per curare alcuni soldati americani. Una serie numerosa di vari tipi di antibiotici seguì negli anni successivi ed il contri-buto di ricercatori italiani non mancò, come avvenne con la scoperta di Brotzu a Cagliari, che portò ad individuare le cefalosporine. Altra importante classe di farmaci, scoperti dagli anni 50 fino ai 70, è rappresentata dagli antipsicotici, dagli antidepressivi, dagli ansiolitici, per poi arrivare agli anni 90 con gli antipsi-cotici atipici, come olanzepina e risperi-done. Il prof. Caprino, si è soffermato anche su altre classi di farmaci come quelli “contro il mal di mare” ( scopolami-na, dimedrinato, difenidramina); quelli “contro il rischio di patologie” (statine ed antiaggreganti piastrinici); “i farmaci an-tiulcera” che hanno definitivamente rivo-luzionato il precedente impiego della chirurgia (dalla cimetidina, alla ranitidina e poi all’omeprazolo); i farmaci anti AIDS, che hanno permesso di ridurre la

mortalità e di consentire una lunga soprav-vivenza in condizioni accettabili; i farmaci anti-diabetici (dalle sulfaniluree, ai biguanidi, ai glitazonici, fino agli incretino-mimetici) ; i farmaci antico-agulanti (dall’eparina, 1916, al war-farin, 1948, alle eparine a basso peso molecolare, 1980, e, più recentemente, ai NAO, nuovi anticoagulanti orali, come rivaroxaban, apixaban, dabigatran, 2009-2013). I farmaci biotec-nologici, nati dalla tecnica del DNA ri-combinante a partire dal 1972, hanno avuto una co-stante e rapida espansione che ha per-

messo di produrre molte sostanze utiliz-zate in clinica come l’insulina, l’ormone della crescita, l’ormone follicolo stimo-lante, le interleuchine, l’eritropoietina. Dal 1998 in poi, inoltre, la possibilità di costruire anticorpi monoclonali ha con-sentito l’uso di terapie “mirate” nella cui categoria si inseriscono gli ultimi farmaci antitumorali (quali ad esempio, trastuzu-mab, cetuximab e tanti altri che vengono proposti per il trattamento di specifiche patologie tumorali). Nel concludere la sua presentazione, ha parlato del recen-te “scandalo” Avastin–Lucentis citando i risultati dello studio CATT per l’equivalenza dei due farmaci, sia sul piano dell’efficacia che della sicurezza, nel trattamento della degenerazione maculare ed, infine, ha presentato il suo volume “ Il farmaco: 7000 anni di storia,

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(Continua a pagina 9) Foto del dr. Vincenzo Tiberio

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dal rimedio empirico alle biotecnologie”, pubblicazione edita in italiano ed in in-glese (già recensita sul numero 32 di SSFAoggi) e reperibile sul sito AIFA, da cui è possibile scaricarla gratuitamente.

Francesco De Tomasi

TERZA SESSIONE La terza sessione del Congresso “Crisi finanziaria e suo impatto sulla ricerca” è stata moderata da Luciano M. Fuccella e da Luigi Godi. Ai relatori era stato richie-sto di centrare gli interventi sul tema della crisi finanziaria e del suo impatto sulla ricerca clinica che si svolge presso le relative istituzioni, sulle attività messe in atto per contrastare la crisi finanziaria del settore ed identificare quali possano essere gli strumenti migliori affinché ciò non influisca significativamente sulla entità e qualità della ricerca clinica in Italia, senza dimenticare di focalizzare l'attenzione anche sugli aspetti occupa-zionali. Il prof. Massimo Fini, Direttore Scientifi-co dell’IRCCS San Raffaele Pisana di Roma, ha evidenziato come i 48 IRCCS presenti sul territorio nazionale, a fronte del mancato raggiungimento da parte dell’Italia (così come negli altri stati membri) della quota del 3% del PIL inve-stito in ricerca, come sancito dal Consi-glio Europeo nel 2002 (media europea 2,2%), hanno incrementato i propri risul-tati : + 99,5% del numero di pubblicazio-ni (10.834 nel 2012), incremento del numero di addetti alla R&S (9.575 nel 2012), mantenendo gli autori italiani il primo posto nella ricerca scientifica sia per quanto riguarda il numero di articoli per ricercatore (0,7/anno nell’ultimo qua-driennio) che per citazioni/ricercatore (6,6/anno nell’ultimo quadriennio). Non vanno di pari passo purtroppo i fondi dedicati alla ricerca e sviluppo presso gli IRCCS: infatti la quota di finanziamento medio per IRCCS è passata da 5 milioni di euro nel 2000 a 3,15 milioni di euro nel 2013, con un decremento del 37%, con una ulteriore diminuzione a 2,23 milioni di euro se si considera anche il tasso di inflazione. Altro dato preoccu-pante è anche l’incapacità degli istituti di ricerca (pubblici e privati) di utilizzare

totalmente le quote di finanziamento che arrivano dall’UE: l’Italia è stata in grado di utilizzare solo il 62,9% dei finanzia-menti ottenuti nell’ambito del 7° pro-gramma quadro. Nel secondo interven-to, il prof. Francesco Rossi (Rettore del-la Seconda Università di Napoli e Presi-dente della Società Italiana di Farmaco-logia), ha ribadito lo stato di sofferenza della ricerca in Italia, e come in Europa solo alcuni Paesi (Finlandia, Svezia e Danimarca) siano in grado di superare stabilmente la quota del 3% del PIL. La quota di finanziamenti per la ricerca in Italia deriva solo per il 44,2% dalle im-prese e questo dato ci pone all’ultimo posto tra i Paesi cosiddetti industrializza-ti. Gli ultimi anni hanno poi visto decre-scere il numero di sperimentazioni clini-che (-23% dal 2008), il numero di addetti alla R&S (-11.500 negli ultimi 6 anni), la quota di investimenti totali (-2,5%) e del profitto del settore (-30% dal 2007). Nonostante ciò, i ricercatori italiani (secondo i dati de “The SCImago Journal & Country Rank”) sono al 6° posto nella classifica mondiale per nu-mero di pubblicazioni ed al 2° posto nella classifica europea. Al fine di pro-muovere la ricerca clinica, la SIF ha cre-ato una rete tra tutti i centri nazionali di farmacologia clinica (25 in totale) al fine di espletare attività di monitoraggio tera-peutico del farmaco, di effettuare infor-mazione (il trial clinico del mese nel sito internet SIF, il “Research Day”) e forma-zione tra gli addetti ai lavori e non (summer school of clinical pharmaco-logy, attiva presenza a master universi-tari). Tuttavia la SIF vede nella sinergia e coesione tra le società scientifiche e l’industria farmaceutica la sfida per il progetto Horizon 2020, il nuovo pro-gramma di finanziamento integrato de-stinato alla ricerca approvato dal parla-mento europeo e consistente in 78,6 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Domenico Criscuolo (Presidente della biotech Genovax) ha invece incentrato il suo intervento sulla realtà emergente delle biotech rosse (dedicate alla salute) in Italia. L’Italia è stata all’avanguardia nel campo della ricerca farmaceutica con alcuni grandi ricercatori quali Carlo Erba, Giovanni Battista Schiapparelli, Achille Sclavo e Roberto Giorgio Lepetit:

tutti ricercatori prima ed imprenditori poi, che hanno contribuito alla scoperta di caposaldi terapeutici nel trattamento della tubercolosi con la rifampicina (Lepetit) e nell 'oncologia con l’adriamicina (Farmitalia). Delle numero-se aziende farmaceutiche presenti negli anni ’60 (oltre 300), oggi ne sono rima-ste molto poche con capitale ancora nelle mani di imprenditori italiani; con-temporaneamente però le aziende bio-tech sono cresciute notevolmente, tanto che l’Italia (con circa 250 aziende e 6,233 addetti in R&S) si pone al 3° posto tra le nazioni Europee, pur mancando da noi ancora una visione strategica delle società di capital venture specializzate nel settore ed una sensibilità politica ed istituzionale. Per cercare di risolvere queste problematiche sono stati creati i parchi scientifici, presenti soprattutto al centro-nord Italia, istituzioni che, in ma-niera spontanea o indotta, promuovono e realizzano l'aggregazione spaziale delle attività innovative, in relazione all'e-sistenza di economie esterne di localiz-zazione, interfacciando conoscenze scientifiche e manageriali. Anche grandi aziende farmaceutiche, captando la po-tenzialità dell’innovazione scientifica derivante da tali parchi, si stanno affac-ciando a queste ormai concrete realtà. Il biotech rappresenta pertanto una nuova opportunità per ritrovare le origini e ri-conquistare il ruolo di leadership nel mondo della ricerca. Tuttavia, per con-vincere le aziende ad incrementare i loro investimenti nella ricerca, si dovrebbe sensibilizzare maggiormente la classe politica, come è stato recentemente fatto in Turchia con la legge “Technopolis” ed il “R & D Act” che prevede esenzione dalla tassazione dei profitti derivanti da attività di R&S e delle persone fisiche ivi impegnate fino al 2023, ed ulteriori be-nefici fiscali per le aziende che svolgono in Turchia almeno due fasi di sviluppo di nuovi farmaci. Nella discussione che è seguita si è ov-viamente anche accennato ad altri fatto-ri, non solo strettamente economici, che possono avere contribuito a generare i fenomeni oggetto della sessione. E' e-sperienza generale che il mondo farma-ceutico stia profondamente mutando: le

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big pharma tendono a ridurre o addirittu-ra smantellare i laboratori di ricerca in-terni ed a cercare nelle piccole realtà progetti scientificamente d'avanguardia da sviluppare, non avendo quelle piccole strutture le risorse economiche per farlo. Si sta cioè passando da Research & Development a Search & Development. La sperimentazione clinica è ormai quasi totalmente esternalizzata e ci si sta sem-pre più orientando anche verso le pato-logie rare, come sembrano dimostrare anche i dati riferiti in un recente articolo di Giuseppe Recchia e Barbara Grassi (Quaderni della SIF – dicembre 2013), dal quale si rileva un fatto interessante: è vero che il numero delle sperimenta-zioni cliniche è diminuito, ma in modo ancor più marcato (50-70%) è diminuito il numero dei pazienti arruolati nei vari paesi. E' evidente che qualcosa di irreversibile si è messo in moto e sarà quindi neces-sario, anche in previsione dell'arrivo del regolamento europeo, eliminare tutti quei fattori che ancora penalizzano l'Ita-lia. Sempre nello stesso articolo è ripor-tato un agghiacciante grafico della A.T. Kearney, riportante “ l'Attractiveness Index”, cioè l'attrattività della sperimen-

tazione clinica nei 25 principali paesi del mondo: l'Italia non vi figura nemmeno! Il grafico si riferisce al 2010: ci auguriamo che nel frattempo qualcosa sia cambiato a nostro favore.

Luigi Godi e Luciano M. Fuccella QUARTA SESSIONE La quarta sessione, che ha aperto i lavo-ri della seconda giornata, era dedicata ad un tema molto controverso, che pur-troppo è stato anche caratterizzato da episodi violenti, quali l’irruzione di alcuni manifestanti nello stabulario dell’Istituto di Farmacologia dell’Università di Milano e la liberazione di alcuni animali da e-sperimento, i quali sicuramente saranno subito deceduti, o per lo spavento di questo episodio, oppure perché, essen-do sempre stati in cattività, non erano adatti ad una vita diversa. Ho avuto il piacere di moderare questa sessione insieme al prof Pierluigi Navarra: la ses-sione è stata molto informativa, ed ha contribuito a fare il punto sulla sperimen-tazione animale, ancor oggi indispensa-bile nel processo di sviluppo preclinico di ogni nuovo farmaco. La prima relazione è stata svolta da Do-menico Barone (SSFA), che ha ripercor-

so la storia della sperimentazione ani-male, partendo da Ippocrate e Galeno, per poi soffermarsi sulle grandi conqui-ste della fisiologia umana, tutte ottenute con studi sull’animale. Dalla fisiologia si è poi passati alla patologia, ed alla sco-perta di nuovi farmaci: tutti identificati e messi a punto grazie alla sperimentazio-ne animale. La seconda relazione è stata svolta dal prof Salvatore Cuzzocrea (Università di Messina) il quale ha illustrato il ruolo dell’Accademia negli studi di fisiologia e patologia, grazie alla sperimentazione animale. Ha inoltre ricordato che la gran-de maggioranza degli studi vengono svolti in topi e cavie, e non in cani oppu-re gatti come spesso viene fatto credere. Il motivo dell’uso prevalente di topi nella sperimentazione animale e dovuto a ragioni pratiche e scientifiche. I topi sono facili da maneggiare, si riproducono ve-locemente, e poi sono geneticamente molto simili all’uomo, avendo oltre l’80% dei geni in comune. Infine, altro aspetto da tener presente, un topo pesa media-mente 12-15 grammi, quindi per lo stu-dio di nuove molecole sono necessari solamente pochi microgrammi per ani-male. La terza relazione, per rispettare il prin-cipio di un dialogo aperto a tutti gli attori, è stata svolta dalla dr.ssa Isabella De Angelis (Presidente IPAM – Italian Pla-tform for Alternative Methods) la quale, con molta pacatezza e certamente con un atteggiamento costruttivo, ha ricorda-to che la missione del suo Istituto è quel-la di lavorare insieme ai ricercatori per la messa a punto di metodi alternativi che possano ridurre l’uso di animali. Lei ha citato diversi esempi in cui questo obiet-tivo è stato raggiunto: in realtà, ha poi ammesso, si tratta principalmente di test acuti, poiché è difficile ipotizzare l’abbandono della sperimentazione ani-male in test prolungati come la tossicità cronica. A conclusione della sessione, i modera-tori hanno ringraziato i tre relatori sia per l’ampia e documentata evidenza portata a supporto delle loro tesi, sia per aver saputo condurre un dibattito sereno su un tema che a volte viene svolto con irruenza e senza le necessarie compe-

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Le presentazioni autorizzate sono disponibili sul sito

WWW.SSFA.IT

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tenze. Domenico Criscuolo

Tavola Rotonda sulle nuove profes-sionalità nel mondo farmaceutico. Il mondo farmaceutico italiano sta attra-versando profondi cambiamenti che da un lato riflettono i fenomeni di globaliz-zazione e dall'altro rappresentano una risposta alla più specifica crisi economi-ca italiana. In questo contesto mobile i giovani professionisti che si affacciano al mondo del lavoro possono trovarsi spae-sati: per questo SSFA ha deciso di orga-nizzare una tavola rotonda dedicata proprio alle nuove professionalità nel mondo farmaceutico. Giovanni Fiori in-troduce la tavola rotonda sottolineando l’emergere di nuove professionalità co-me ad esempio quelle necessarie alla conduzione degli studi di “real life”. Il primo relatore, il dr. Leonardo Frezza (Frezza e partners), società di ricerca di personale, ha tracciato un quadro delle professionalità emergenti richieste dalle aziende. Egli ha sottolineato come i ruoli emergenti siano quelli in particolare de-dicati agli aspetti di valutazione econo-mica dei trattamenti e di accesso al mer-cato. Si tratta di ruoli caratterizzati da un'elevata trasversalità ossia che opera-no in cooperazione con diverse funzioni aziendali. Infine ha sottolineato il cre-scente ruolo delle CRO come datori di lavoro. Viviana Ruggieri ha illustrato come sia modificato il ruolo e la funzione del rego-latorio. Accanto all’interazione con gli interlocutori tradizionali (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sani-tà, Agenzia Italiana del Farmaco) è sempre più necessario rapportarsi efficacemente con gli in-terlocutori a livello regio-nale e locale. Ella ha sot-tolineato come il contesto italiano sia caratterizzato da una forte frammenta-zione amministrativa, con la conseguente necessità per le aziende di avere personale in grado di inte-ragire con le diverse am-

ministrazioni. Barbara de Cristofano ha poi discusso il ruolo del market access. Si tratta di un ruolo diventato cruciale, in quanto le Regioni hanno normative e meccanismi di accesso al farmaco spes-so disomogenei tra di loro. Le figure che emergono in questo campo devono ave-re una competenza sia scientifica che economico / amministrativa, data la tipo-logia degli interlocutori, che sono spesso amministratori. Lara Pippo ha infine parlato delle attività note come “Health Technology Assessment”. Questa bran-ca della ricerca farmaceutica sta acqui-stando un’importanza notevole proprio in considerazione della crescente attenzio-ne dei decisori sugli aspetti del rapporto tra spesa e beneficio per la comunità. La natura degli studi HTA li pone in una posizione particolare: per le ricerche HTA servono competenze medico scien-tifiche unite a specifiche competenze farmaco-economiche. L’emergere di queste nuove figure professionali è la conseguenza di un profondo cambiamento della struttura stessa del-le aziende farmaceutiche, ed ha un senso solo nel contesto di un successo del cambiamento stesso. Si tratta del passaggio da strutture aziendali / pro-c e s s i d i l a v o r o “sequenziali” o “a silos” a strutture integrate dove molteplici reparti parteci-pano allo sviluppo di un

progetto. In conclusione, tra le professionalità emergenti hanno particolare importanza quelle che attengono alle tematiche di accesso al mercato, HTA e regolatorio. Queste professioni sono caratterizzate da competenze trasversali in campi diversi (medico / scientifico; economico / amministrativo) e da notevoli capacità di interfaccia sia all'interno che all'esterno dell'azienda, da elevata flessibilità e da un continuo aggiornamento. E' una gran-de sfida portata allo sviluppo delle per-sone ma allo stesso tempo un'opportuni-tà di realizzazione professionale.

Salvatore Bianco

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A conclusione dei lavori della pri-ma giornata, Paolo E. Lucchelli, socio “storico” di SSFA, Past-President e socio onorario, ha ripercorso i momenti più signifi-cativi dei primi 50 anni della SSFA.

E’ stato un momento di grande commozione, ma anche un segna-le di continuità.

Grazie Paolo!

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Chelone ( ), non essendosi pre-sentata alle nozze di Zeus ed Era alle quali era stata invitata, per punizione fu precipitata da Hermes in un fiume, in-sieme alla sua casa, e trasformata in un rettile condannato a portarsi per sempre la casa sulle spalle. Tuttora, Chelone, in greco, significa tartaruga e Chelonia è l’ordine che comprende i rettili comune-mente noti come tartarughe o testuggi-ni. Il paleontologo e biologo americano, Alfred Romer (1894-1973), studioso dell’evoluzione dei vertebrati, sosteneva

conservativi, che noi consideriamo ani-mali comuni perché sono tuttora viventi, ma che, se fossero estinti, sarebbero per noi motivo di grande stupore.” La tassonomia ci dice che l’ordine dei Che-lonia (o Testudines (C. N. Linna-eus,1758)) comprende specie acquati-che, le tartarughe (turtle), e specie ter-restri, le testuggini (tortoise), suddivise in 75 generi e 220 specie. Questi ani-mali sono un vero e proprio enigma vivente: comparsi 210 milioni di anni or sono, alla fine del triassico, sono i rettili viventi più antichi, anche più dei dino-sauri estinti, e si sono mantenuti morfo-logicamente conservativi fino ai nostri giorni, tanto che, persino quelli più anti-chi, sono riconoscibili già a prima vista. Tartarughe e testuggini sono, infatti, caratterizzate da aspetti morfologici e fisiologici tipici ed esclusivi dei Chelo-nia. Oltre al caratteristico guscio, vivo-no molto a lungo, spesso sono sessual-mente attive ancora in età molto avan-zata, il sesso è determinato dalla tem-peratura di incubazione delle uova, so-no i tetrapodi più resistenti all’ipossia e gli individui di alcune specie hanno la capacità di congelare fin quasi a diven-tare solidi, di scongelarsi e di sopravvi-vere, riportando solo trascurabili danni tissutali. Come vedremo, il genoma di Chrysemis picta contiene molte infor-mazioni sulle basi genetiche di queste caratteristiche e di altri adattamenti uni-ci di questo straordinario ordine di ver-

tebrati. Chrysemis picta (Genere: Crysemys, Specie: Chrysemys picta) è la più diffusa e comune tartaruga del Nord America, presente dalle coste atlantiche a quelle dell’Oceano Pacifico. In natura, si trova in gran parte del sud del Canada, negli Stati Uniti e nel Mes-sico e conta 4 sottospecie regionali, differenti per aspetto, habitat e dieta alimentare, sebbene i confini delle loro aree distributive si sovrappongano e, alle periferie, vivano popolazioni ibride. C. picta bellii è la sottospecie più diffusa e colorata; le altre sono C. picta dorsa-lis, C. picta marginata e C. picta picta. Quest’ultima, come indica il nome, pre-senta tutte le caratteristiche morfologi-che distintive della specie. C. picta bel-lii, (chiamata anche western painted turtle, che in seguito chiameremo C. picta) è la sottospecie col guscio più ricco di colori e con un vistoso disegno rosso sul piastrone ventrale. Il carapace (corazza o guscio dorsale) come nelle altre sottospecie, è scuro, liscio e, negli individui adulti, misura 10-25 cm nella femmina (p. m. 500 g) e 7-15 cm nel maschio (p. m. 300 g). Il colore della pelle va dall’olivastro al nero, con stri-sce rosse, arancioni o gialle su collo, arti e coda. Una grande striatura gialla si estende da un occhio all’altro e le zampe sono palmate, con artigli. I ma-schi raggiungono la maturità sessuale a 2-9 anni di età e le femmine, più tardive, a 6-16 anni; in natura possono vivere più di 40 anni. Sono rettili onnivori che, in età adulta, si cibano prevalentemente di piante e piccoli animali, sia vivi che morti. Abitano acque fresche, basse, ferme o in lento movimento, come palu-di e acquitrini, ricche di vegetazione, con tronchi e rami spezzati e rocce e-mergenti dall’acqua, sulle quali salgono e sostano per scaldarsi al sole, e in fondi fangosi, melmosi, soffici e ricchi di vegetazione, dove si nascondono, cac-ciano, nidificano e vanno in ibernazione, durante l’inverno. Sopravvivono anche in acque salmastre, vicine alla costa e ben soleggiate. Intrappolata sotto il

ghiaccio, nel fango o in acque prive di ossigeno. C. picta va in ibernazione e smette di respirare, ma grazie ad adat-tamenti del sangue e del cervello, del cuore e del carapace, supera indenne il lungo periodo trascorso in assoluta a-nossia. Per sopravvivere durante l’inverno, questi animali devono non solo preservare le funzioni vitali in un ambiente privo di ossigeno, ma anche resistere, durante i gelidi mesi invernali, in un habitat climaticamente inospitale. Sono due le principali risposte fisiologi-che adattative alla base della loro capa-cità di sopravvivere, per così lunghi periodi, in condizioni estreme. La prima è la depressione coordinata dei proces-si metabolici endocellulari, in particolare di quelli della via glicolitica che produce ATP (in anaerobiosi, una molecola di glucosio è scissa in due molecole di acido piruvico, per generare 2 molecole di ATP e 2 di NADH, a più alta energia); a ciò si aggiunge la depressione di pro-cessi cellulari, come le pompe ioniche, che consumano ATP. Così, sia il tasso di deplezione del substrato (glucosio), che il tasso di produzione, in anaerobio-si, di acido lattico sono notevolmente rallentati. La seconda risposta fisiologi-ca adattativa consiste nello sfruttamen-to delle ampie capacità tampone, pro-prie del carapace e dello scheletro di C. picta, di neutralizzare grandi quantità di acido lattico che, eventualmente, si accumulassero durante l’ibernazione. In questa funzione sono coinvolti due meccanismi distinti propri del carapace: il rilascio di tamponi carbonato e l’uptake di acido lattico: così, l’acido è sequestrato e il pH acido viene tampo-nato. Questi meccanismi, quello meta-bolico e quello di tamponamento del pH acido/uptake di acido lattico, permetto-

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Oggi parliamo di….….Chrysemys picta bellii un mo-dello di rettile per lo studio della salute uma-na, dell’ecologia, del clima e dell’evoluzione Narra la mitologia greca che la ninfa

che “I Chelonia sono i rettili più strani e

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no a C. picta di sopravvivere per 3-4 mesi in completa anossia e con livelli ematici di acido lattico pari a 150 mmoli/Lt o più. All’inizio della primavera, quan-do la temperatura dell’acqua sale a 15-17 °C, queste tartarughe escono dall’ibernazione e, allorchè la temperatu-ra corporea raggiunge i 17 °C, nel ma-schio inizia la produzione di sperma. Nel corteggiamento rituale, il maschio si pone di fronte alla femmina, ondeggia le lunghe zampe artigliate attorno alla testa e poi gliele strofina sul muso e sul collo; se la femmina è ricettiva, contraccambia il corteggiamento accarezzandogli le zampe anteriori. Dopo l’accoppiamento, che avviene tra la primavera avanzata ed il solstizio d’estate, la femmina lascia l’ambiente acquatico per cercare un luogo adatto alla preparazione del nido; spesso torna per vari anni a nidificare nello stesso luogo. La temperatura am-bientale può influire sul momento scelto dalla femmina per nidificare. Quando la temperatura corporea raggiunge i 29-30 °C, essa scava, con le zampe posteriori, un nido sotterraneo di 8-14 cm, nel qua-le deposita 4-12 uova che copre con strati di terra e fango. Dopo 72-80 giorni di incubazione, a fine estate o a inizio autunno, le uova si schiudono. Il sesso delle tartarughe neonate è determinato dalla temperatura raggiunta dal nido durante il terzo centrale del periodo di incubazione, una finestra temporale compresa tra il 24°-27° e il 48°-54° gior-no dalla deposizione delle uova. Studi, in laboratorio e sul campo a temperature costanti e fluttuanti, hanno dimostrato che, da uova incubate a 30 e 32 °C co-stanti, nascono solo femmine, mentre da uova incubate a 22, 24 o 26 °C nascono solo maschi. Da uova incubate a 20 e a 28 °C nascono tartarughe di ambedue i sessi. Le temperature soglia, che produ-cono nidiate col 50% di maschi, sono stimate a 20 e a 27.5 °C. Non tutte le tartarughe neonate lasciano il nido subi-to dopo la nascita, per dirigersi verso i vicini stagni, paludi o acquitrini: alcune, soprattutto nelle popolazioni nordiche (Nebraska, nord dell’Illinois, New Jersey e sud del Canada) rimangono nel nido per tutto il primo inverno di vita ed emer-gono la primavera successiva, quando il fango ghiacciato che ospita il nido si scioglie. Per resistere a temperature

invernali (-10 °C ed oltre) ben inferiori al punto di congelamento, le tartarughe neonate entrano in uno stato di “super-raffreddamento”, nel quale la sopravvi-venza è possibile solo grazie a meccani-smi adattativi dei liquidi corporei e della cute: i primi, privi dei nuclei di conden-sazione (nucleating agents) che pro-muovono il passaggio dalla fase liquida a quella solida, rimangono allo stato liquido, mentre la cute si oppone alla penetrazione dei cristalli di ghiaccio dal terreno ghiacciato ai compartimenti cor-porei. Grazie a questi adattamenti e sensibilità alla temperatura, esclusivi di C. picta e di poche altre specie, queste tartarughe sono state studiate per deci-frare le basi evoluzionistiche dell’adatta-mento ad ambienti estremi e le implica-zioni ecologiche dei cambiamenti clima-tici. C. picta rappresenta un clade - grup-po di organismi che originano da un unico antenato ancestrale - la cui bio-logia e posizione filogenetica forniscono la chiave per comprendere gli aspetti fondamentali dell’evoluzione dei verte-brati. Queste caratteristiche fanno, di C. picta, un modello animale ideale per studi evoluzionistici. Ricerche ad ampio raggio di ecologia e fisiologia forniscono il contesto nel quale collocare le nuove scoperte fatte dalla genetica dell’evolu-zione, dalla genomica, dalla biologia evolutiva dello sviluppo e dall’ecologia dello sviluppo. Tali scoperte sono state possibili grazie alle attuali risorse tecno-logiche, quali la library cromosomica batterica artificiale (BAC library) di C. picta, che consente di produrre librerie genomiche con frammenti relativamente grandi di DNA, usate nel sequenziamen-to genico, e lo sviluppo di altre librerie, come le sequenze genomiche, le library di cDNA e le EST (Expressed Sequence Tags), che rappresentano porzioni di mRNA usate per individuare geni e-spressi, tramite un'analisi sistematica del trascrittoma. Questo approccio integrato permetterà di progredire nella compren-sione, dal punto di vista evoluzionistico, della labilità dei tratti biologici trovati non solo tra i rettili, ma diffusamente anche tra i vertebrati. Inoltre, poiché uomini e rettili condividono un comune capostipite ancestrale e data la maggior facilità di usare, in biologia sperimentale, vertebrati privi di placenta rispetto a em-brioni di mammifero, C. picta è un mo-

dello animale emergente nella ricerca biomedica. Queste tartarughe sono state studiate anche per capire molte risposte biologiche allo svernamento e all’anossia, come potenziali sentinelle per rivelare la presenza di xenobiotici ambientali e come modello per decifrare l’ecologia e l’evoluzione dello sviluppo sessuale e della riproduzione. Esse co-stituiscono un modello animale senza valide alternative per lo studio dei mec-canismi naturali che proteggono cervello e cuore dai danni indotti dall’ipossia. Infarto del miocardio e ischemia cere-brale sono la prima e la terza causa di morte negli USA ed in Europa e, mentre le terapie convenzionali allungano la durata della vita umana, i progressi nel migliorarle ulteriormente sono molto limitati e lenti. L’analisi genomica indica che C. picta spesso espleta le sue estre-me funzioni fisiologiche utilizzando, al-meno in parte, percorsi molecolari con-servati a livello amniotico; l’analisi fun-zionale di tali pathway, in questa ed in altre specie di tartarughe con funzioni fisiologiche variabili, può quindi fornire informazioni importanti per la prevenzio-ne di gravi patologie umane. In conclu-sione, C. picta è un eccellente sistema modello di rettile, per studi sulla salute umana e sull’importanza dei fattori am-bientali, ecologici ed evoluzionistici. L’analisi delle sequenze genomiche di C. picta ha permesso di identificare vari geni coinvolti nella sua esclusiva fisiolo-gia. Poichè alcuni di questi geni sono implicati anche in patologie umane, un’ulteriore e più approfondita analisi di queste pathway in C. picta potrà contri-buire ad una migliore comprensione ed a più efficaci strategie terapeutiche per la loro cura. Il genoma di C. picta è stato posto in un contesto di evoluzione com-parata e si è focalizzata l’analisi sulle caratteristiche genomiche associate alla perdita dei denti, alle funzioni immunita-rie, alla longevità, al differenziamento e alla determinazione del sesso ed alle capacità fisiologiche di questa specie di affrontare condizioni estreme di anossia e di congelamento dei tessuti. L’analisi filogenetica ha confermato che questa tartaruga appartiene ad una specie so-rella degli arcosauri (uccelli e coccodrilli viventi e dinosauri estinti) e ha eviden-ziato un tasso straordinariamente lento

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dell’evoluzione delle sue sequenze geni-che. La capacità di affrontare un’ anossi-a totale ed il congelamento è associata a network di geni comuni nei vertebrati ed ha permesso di identificare geni can-didati per future analisi funzionali. La perdita dei denti condivide, con gli uccel-li, un comune pattern di pseudogeniza-tion (selezione negativa: un allele, in precedenza funzionale, diventato inutile o dannoso, viene rimosso dalla selezio-ne naturale) e di degradazione dei geni specifici per i denti. I geni associati al differenziamento sessuale riflettono, generalmente, la filogenesi piuttosto che la convergenza nella funzionalità della determinazione sessuale. Tra le famiglie di geni che dimostrano un’ eccezionale espansione o mostrano firme molecolari di una forte selezione naturale, quelle che presiedono alle funzioni immunitaria e muscoloscheletrica sono consistente-mente sovra-rappresentate. Le firme molecolari sono piccole molecole endo-gene di RNA (microRNA) di 20-22 nucle-otidi, non codificante, a singolo filamen-to, con varie funzioni, tra le quali la rego-lazione trascrizionale e post-traslazionale dell’espressione genica. L’analisi genomica indica che network regolatori comuni ai vertebrati, alcuni dei quali trovano analoghi nelle patologie umane, sono spesso coinvolti nelle stra-ordinarie capacità fisiologiche di C. pic-ta. Quando queste pathways regolatorie

saranno analizzate a livello funzionale, questa tartaruga potrà offrire ulteriori, importanti informazioni e spunti nello studio e nella cura di numerose patolo-gie umane. Ma la capacità di C. picta di riprodursi è seriamente minacciata dai cambiamenti climatici globali, in partico-lare dall’aumento della temperatura am-bientale. La fenologia è il ramo dell’ecologia che studia, classifica e registra i rapporti tra i fattori meteoclima-tici ambientali (temperatura, umidità, fotoperiodo, vento) ed i fenomeni biolo-gici periodici rilevanti del ciclo vitale di piante (germogliamento, fioritura, nasci-ta e caduta delle foglie, maturazione dei frutti) e di animali (migrazioni, accoppia-mento, deposizione e schiusa delle uova di anfibi, rettili e uccelli, cicli di sviluppo degli insetti). A questo riguardo, sono particolarmente interessanti gli studi sui

, tra cui C. picta e i rettili in generale, animali particolarmente sensi-bili alla temperatura ambientale in quan-to privi di meccanismi biogeni di regola-zione autonoma della temperatura cor-porea (eterotermi), e come i fenomeni biologici che li riguardano sono influen-zati dalle variazioni climatiche stagionali ed inter-annuali e da altri fattori ambien-tali. La plasticità fenologica, cioè la ca-pacità di alterare la fenologia, è stata proposta come meccanismo grazie al quale le popolazioni animali e vegetali si proteggono dai cambiamenti climatici per affrontare gli eventi periodici del loro

ciclo vitale in condizioni ambientali più favorevoli. Lo studio della capacità po-tenziale di C. picta di affrontare tali effetti anticipando un parametro della fenologi-a, cioè la data di nidificazione, è stato condotto in un modello sperimentale che integra cambiamenti climatici, data di deposizione delle uova, effetti degli an-damenti termici stagionali sul differenzia-mento sessuale e, quindi, sul rapporto numerico tra i sessi delle tartarughe neonate. I risultati di questo studio dimo-strano che le femmine di C. picta non saranno, purtroppo, in grado di proteg-gere la loro progenie dalle conseguenze negative dei cambiamenti climatici, col solo adeguamento della data di nidifica-zione alla temperatura ambientale. E’, perciò, prevedibile che, in un non auspi-cabile futuro, le nidiate di C. picta saran-no di sole femmine. Non solo, questi risultati fanno realisticamente prevedere che molte nidiate non arriveranno nep-pure alla schiusa delle uova. Poichè la maggior parte delle specie che vivono nelle zone temperate sono esposte agli stessi andamenti termici stagionali esa-minati da questo studio su C. picta, il risultato che il solo adeguamento della fenologia primaverile non sarà sufficien-te, in questa specie, a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, può trovare una ben più ampia applicazione.

Domenico Barone

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health and safety

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Lo scorso 10 marzo 2014 il gruppo di lavoro “Figure professionali operanti nel campo del monitoraggio delle sperimen-tazioni cliniche dei medicinali (Clinical Monitor)” si è nuovamente riunito, a Mi-lano, presso la sede dell’UNI, Ente Na-zionale di Unificazione, per la finalizza-zione dell’iter di elaborazione del testo della norma volontaria sulla figura pro-fessionale del Clinical Monitor. Oltre al Coordinatore, dr. Paolo Primiero (Presidente Assomonitor) ed al rappre-sentante della segreteria tecnica UNI, ing. Marco Cibien, erano presenti il dr. Giuseppe Caruso (Farmindustria), il dr. Umberto Filibeck (consulente Assomoni-tor), la dr.ssa Silvia Sacchi (AICRO) e Luigi Godi (SSFA). Frutto dell’attività del GdL, costituito in seno alla commissione “Attività professionali non regolamenta-te”, la norma, coerentemente con le altre norme UNI in tema di professioni non regola-mentate ed in conformità al quadro europeo delle qualifiche (European Qualification Framework – EQF), definisce i re-quisiti che fanno parte del bagaglio professio-nale di chi opera nel settore della sperimenta-zione clinica dei medici-nali come Clinical Moni-tor, in termini di cono-scenza, abilità e compe-tenza. Il testo è stato completato e, dopo le necessarie approvazioni da parte delle commis-sioni competenti UNI, sarà sottoposto alla pre-vista fase di inchiesta pubblica, probabilmente entro i prossimi 3 – 4 mesi. La figura professionale del Clinical Monitor presenta una sua peculiarità, dovuta in buona parte alla natura di un’attività che, pur essendo di nicchia (sono infatti non più di un miglia-io i professionisti in Italia, anche se man-

ca un reale censimento in proposito), finisce per avere un riflesso indiretto su tutta la popolazione esposta ai farmaci. Il monitoraggio rappresenta un passag-gio ineludibile e previsto da specifiche norme e leggi del settore. Lo schema dei compiti, delle attività e delle relative responsabilità del Clinical Monitor, descritto all’interno delle Norme di Buona Pratica Clinica (Good Clinical Practice), recepite ed introdotte in Italia con il decreto ministeriale del 15 luglio 1997, ha rappresentato un solido punto di riferimento per i membri del GdL, così come le disposizioni contenute nel de-creto ministeriale 15 Novembre 2011 che definiscono i requisiti minimi per l’esercizio dell’attività dei soli Clinical Monitor che operano per le Organizza-zioni di Ricerca a Contratto (CRO – Contract Research Organization). Tutta-

via la norma UNI, non confliggendo in alcun modo, nei suoi contenuti, con gli aspetti di cogenza vigenti sul territorio nazionale, introduce l’elemento di novità di un percorso di valutazione di terza

parte, attraverso lo strumento della certi-ficazione, per tutti quei soggetti che, volontariamente, intendano rafforzare il proprio profilo professionale sul mercato del lavoro. Inoltre, il riferimento al qua-dro europeo delle qualifiche, incentrato su conoscenze, abilità e competenze, viene incontro alla domanda internazio-nale, nel senso della qualificazione di questa attività professionale, creando le migliori condizioni per una maggiore mobilità internazionale per tutti i Clinical Monitor. La norma si pone, quindi, come un punto di riferimento rivolto al mercato nel processo di razionalizzazione e otti-mizzazione, nella direzione della qualità del sistema monitoraggio: un’ opportuni-tà da valorizzare per chi opera in questo delicato settore.

Luigi Godi

Il gruppo di lavoro. da sinistra: Silvia Sacchi, Giuseppe Ca-ruso, Marco Cibien, Paolo Primiero, Lui-gi Godi, Umberto Filibeck

Clinical Monitor: la norma sulla qualificazione della professione

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Si è svolto a Berlino, il 20 e 21 marzo scorsi, il 17° congresso mondiale IFAPP chiamato “International Conference on Pharmaceutical Medicine”. Come è con-suetudine, il congresso è stato svolto in collaborazione con la società locale di medicina farmaceutica, la DGPharMed tedesca, il cui presidente, Axel Mesche-der è stato oggetto di una intervista pub-blicata sul numero 39 di SSFAoggi. Cir-ca trecento delegati sono intervenuti alle due giornate di intenso ed appassionan-te dibattito: come era prevedibile, la grande maggioranza erano colleghi te-deschi. Però erano presenti almeno uno, o spesso diversi, delegati di 33 Paesi, contribuendo a dare al convegno un respiro globale. Il motto del congresso era “Smart development for better drugs”: quattro parole che hanno inteso mettere a fuoco due aspetti che negli ultimi anni hanno attirato l’attenzione di tutti gli addetti ai lavori, e cioè un ap-proccio più moderno ed efficiente allo sviluppo dei farmaci, e la necessità di portare sul mercato farmaci migliori di quelli che i pazienti oggi hanno a dispo-sizione. In qualità di delegato IFAPP per l’Italia, ho partecipato alle teleconferen-ze mensili, svolte durante tutto il 2013, per la messa a punto del programma: ed ho avuto anche l’onore, condiviso con il prof Vincenzo Salvatore, di moderare la sessione inaugurale del congresso, de-dicata alla disamina del nuovo regola-mento europeo e del contesto europeo in cui si svolgono le sperimentazioni cliniche. Il prof Vincenzo Salvatore, con la sua brillante oratoria, ha illustrato i punti più importanti del nuovo regolamento euro-peo, sottolineando l’auspicio che i cam-biamenti previsti, che saranno adottati a breve, possano stimolare una ripresa del numero degli studi clinici in tutti i paesi EU. Personalmente ho trovato molto interessante la seconda relazione, affi-data alla dr.ssa Petra Knupfer, presiden-te del comitato etico tedesco della regio-ne del Baden-Wurtemberg. Ella si è po-sta una domanda molto importante, e forse anche imbarazzante: i comitati etici

in Europa si comportano allo stesso modo? La domanda è molto rilevante, sia perché oggi i comitati etici sono inve-stiti di grandi responsabilità, sia perché tali responsabilità saranno ancora mag-giori con l’adozione del nuovo regola-mento europeo. La sua ovvia risposta è stata un secco NO. Anzi, facendo tesoro

della sua esperienza del modo di lavora-re del comitati etici tedeschi, ci ha rac-contato come il modo di operare sia quanto mai variabile. Si va da comitati etici in cui tutti i membri ricevono tutti i documenti, e partecipano in modo infor-mato alla discussione sui protocolli, a comitati etici in cui la presentazione del-lo studio è affidata ad un solo relatore, e tutti gli altri – più o meno svogliatamente – seguono il dibattito ed accettano il parere del relatore, fino a casi in cui tutto il lavoro grava solo sulle spalle del presi-dente del CE, con scarsa o nulla colla-borazione da parte di tutti gli altri mem-bri. La sua ovvia conclusione è che que-sto sistema non sia più accettabile, e che dovrebbe essere raccomandato alle agenzie regolatorie nazionali lo svolgi-mento di periodiche ispezioni ai CE, per verificarne lo stile di lavoro, ed il coinvol-gimento partecipe di tutti i membri. Ter-zo ed ultimo relatore è stato il prof Jean-

Marie Boeymaens, della libera università di Bruxelles, persona molto competente nella messa a punto di programmi di formazione per gli sperimentatori, e che collabora attivamente al progetto Phar-maTrain, proprio nel sotto-progetto CLIC (Clinical Investigators Course). Ebbene anche lui ha messo il dito in una

piaga aperta da molti anni: in EU non esiste alcun obbligo di formazione, e di CPD, per gli sperimentatori clinici i quali si trovano a svolgere protocolli molto impegnativi, ma che a vol-te non hanno le conoscen-ze per affrontarli corretta-mente, soprattutto dal pun-to di vista del rispetto delle norme vigenti. Come pote-te immaginare, le tre rela-zioni sono state seguite da un vivace dibattito, ricco anche di esempi di vita vissuta, che hanno raffor-zato le osservazioni messe in luce nelle presentazioni. L’attività scientifica è poi proseguita con diverse

sessioni, sempre su temi di respiro inter-nazionale, quali lo sviluppo dei farmaci orfani, la delocalizzazione degli studi clinici, la formazione del personale ad-detto alle sperimentazioni cliniche, ed altro. Nel chiudere il congresso il nuovo presidente IFAPP, il brasiliano Gustavo Kesselring (la sua intervista è pubblicata sul numero 42) si è complimentato con la società tedesca per l’ottima organiz-zazione, ed ha dato appuntamento a tutti al 18° ICPM, che si svolgerà a Sao Paulo (Brasile) nel marzo 2016. Una mia nota conclusiva: anche quest’anno ero l’unico italiano a portare la bandiera SSFA in questo evento internazionale: sarei veramente lieto che fra due anni, a Sao Paulo, ci fosse con me qualche altro collega italiano.

Domenico Criscuolo

17° CONGRESSO MONDIALE IFAPP

Il nuovo presidente, Gustavo Kesselring

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Il Gruppo di Lavoro SSFA "Farmacoeconomia e Market Access", in collaborazione con SIFEIT, ha organiz-zato un seminario pomeridiano intitolato “Come valorizzare i dati di real world in un rapporto di HTA”. L’evento si è svolto lo scorso 13 marzo a Roma, nella sede dell’Università Cattolica, e ha visto la presenza di circa 50 iscritti. Questo seminario fa parte di una serie di nuove iniziative finalizzate a diffondere ed approfondire i temi dell’economia sanitaria e dell’accesso alle terapie. In particolare, l’obiettivo di questo pomerig-gio di studio era chiarire in che modo gli studi di real world possano essere usati per migliorare le conoscenze epidemio-logiche, identificare i bisogni di nuovi trattamenti, valutare ed ottimizzare il profilo di costo-efficacia delle nuove te-rapie, influendo così sullo sviluppo e l’accesso al mercato dei farmaci. I mi-gliori esperti italiani di questo tema han-no portato il loro contributo di conoscen-ze ed esperienze. Dopo una breve introduzione da parte di Giuseppe Assogna (presidente SIFEIT) e del sottoscritto (portavoce del gruppo di lavoro SSFA), ha aperto le relazioni il Prof. Luciano Caprino (Farmacologia - Università La Sapienza, Roma) che ha descritto il ruolo degli studi di outcome research nella valutazione del valore delle terapie, in particolare, individuando nella farmacoeconomia “la terza dimen-sione” della farmacologia (le altre due sono l’efficacia e la sicurezza). Questi studi si propongono di aiutare il medico e le autorità sanitarie a selezio-nare i farmaci correlando il beneficio al costo; di non ridurre contemporanea-mente il livello dell’assistenza terapeutica; di considerare che il farma-co non è solo un costo, ma anche un investimento di carattere socio-economico. E’ stata poi la volta di Gio-vanni Fiori (Medidata) che ci ha aiutato a capire che

cosa sono i dati di real world, come ven-gono classificati (in base al tipo di esito o alla fonte dei dati), quali sono gli a-spetti metodologici più rilevanti da consi-derare e, da un punto di vista normativo e regolatorio, quali sono i dubbi e le in-certezze ancora presenti. Temi partico-larmente “caldi” sono quelli del consen-so al trattamento dei dati e delle condi-zioni per l’autorizzazione generale e-spressa dal Garante della Privacy. Il prof. Americo Cicchetti (Università Catto-lica, Roma) ha inserito i temi della ricer-ca di evidenze in un percorso di guidato di adaptive pathway/licensing. Si tratta di un’ipotesi di nuovo processo di autoriz-zazione dei farmaci, che inizia con l’approvazione (temporanea) di un medi-cinale in una popolazione ristretta di pazienti, prosegue con ulteriori fasi di ricerca di evidenze e arriva all’eventuale estensione, in funzione dei dati raccolti, a popolazioni di pazienti più ampie. Su questi contenuti è in corso un vivace dibattito a livello internazionale, sia nel mondo accademico, sia negli enti rego-latori (EMA e FDA), con il coinvolgimen-to di tutti i soggetti che hanno un ruolo nell’assicurare l'accesso dei pazienti ai farmaci innovativi (industria compresa). Il prof. Lorenzo Mantovani (Università Federico II, Napoli) ci ha portato alcuni esempi di studi che ha condotto nel campo della farmacoeconomia, della farmacoepidemiologia e dell’outcome

research. I risultati di queste ricerche dimostrano che gli studi registrativi non sempre trovano diretta applicabilità e trasferibilità nella pratica clinica. Pertan-to, efficacia, effectiveness ed efficienza non sono sinonimi ma, in un mondo complesso, le risposte ai quesiti essen-ziali della ricerca (Will it work? Does it work? Is it worth?) si integrano e forni-scono la base per decisioni abbastanza buone che soddisfino le necessità (good enough, that satisfice). Il dott. Claudio Pisanelli (Farmacista - Ospedale S. Filip-po Neri, Roma) ci ha riportato su un ter-reno molto pragmatico, rappresentando il punto di vista di chi quotidianamente lavora in una struttura sanitaria pubblica. La produzione di evidenze non va di pari passo con la produzione di tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi, tecnologie biomediche, reagenti, diagnostici ) e la sfida per il decisore sta nel conciliare l’introduzione di numerose innovazioni con la necessità di contenere o addirittu-ra ridurre le risorse consumate. E’ stato un pomeriggio veramente molto interessante, con relazioni di alto profilo! Le presentazioni hanno fornito molti spunti per una vivace discussione, con-tribuendo a rendere piacevole il semina-rio. Seguite le prossime attività di questo gruppo!

Roberto Di Virgilio

Come valorizzare i dati di real world in un rapporto di HTA

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Health post-2015: evidence and power The Lancet

(MDGs) and the post-2015 development agenda. Building on more than a year of consultation, advocacy, and lobbying, the de-bate provides an opportunity to take stock of health-related proposals. Described as a generational opportunity, to what extent is evidence of the burden of ill health and early death setting the agenda? The Global Burden of Disease Study 2010 arguably pre-sents the best comparable estimates on the causes of death and disability and their underlying risk factors. Non-communicable diseases (NCDs) accounted for two of every three deaths globally in 2010, and projections indicate that by 2030 NCDs will be the most common cause of death in Africa. Do the priorities and targets currently under discussion reflect the most rational use of this evidence? For the health goals, a multistakeholder consultation in Gaborone, Botswana, in March, 2013, was complemented by the commissioned involvement of civil society, academia, and a global online consultation. The resulting evidence-informed, health thematic report proposed a framework for accelerating the MDG agenda, ensuring universal health coverage and access, and reducing the burden of NCDs. This report was submitted to the UN Secretary-General's High-Level Panel of Eminent Per-sons on the Post-2015 Development Agenda (HLP), which produced its own report. As The Lancet noted, the HLP's proposed health goal—ensuring healthy lives—had a “weak” commitment to NCDs. For example, GBD 2010 and other data highlight the burden attributable to tobacco smoking, alcohol use, and poor diet. Yet these risks warrant no more than a cursory mention in the HLP report under a catch-all and vague target to “reduce the burden of NCDs”. In July, 2013, the UN Secretary-General pub-lished A Life of Dignity for All to inform discussions in the General Assembly debate. This report drew on a range of inputs includ-ing the HLP, the Sustainable Development Solutions Network, and the UN Global Compact and emphasised the importance of dealing with the unfinished MDG agenda. The burden of NCDs is briefly mentioned, with a particular focus on mental illness and road accidents, while the report's call to “promote healthy behaviours” did not include any NCD-related specifics, such as promot-ing healthy diets and moderating alcohol consumption. The Secretary-General's report will have far-reaching implications for the post-2015 development agenda and it is therefore vital that the priorities are reflective of both current and future health needs. Yet the proposals do not seem to fully address what is needed to reduce major disease burdens. How did this happen? We be-lieve Steven Lukes' classic analysis of the “three faces of power” might be at play. First, power as decision making suggests that those at the table compete to ensure their interests and concerns are reflected in an agenda. A review of the institutions involved in the health thematic consultation reveals the institutional path dependency within the global health community: institutions funded to push specific, often MDG-related, health issues. For example, of the 99 submitted papers reviewed for the health the-matic report, 15 were from civil society organisations that promote sexual and reproductive health and rights and five were from NCD-focused civil society groups. Second, power as non-decision-making focuses on how certain issues are kept off the agenda by resourceful interest groups. The absence of any overt mention in the HLP's report of some leading global health risk factors—tobacco, alcohol, and poor diet—are an example of Lukes' second dimension of power. Global health has witnessed this aspect of power in relation to NCDs in the past. An independent committee of experts convened by WHO found that the tobacco industry deployed elaborate and secretive tactics over many years to divert the focus of WHO from NCDs. Recent publications reveal that the tobacco and food industries share common strategies and tactics to influence health policy. Lukes identified “thought control” as the third and most insidious face of power. Here the existing order of things is accepted, even when it is not in people's inter-ests. This face reveals itself less in the goal architecture (the what) of the post-2015 agenda but rather in the lack of concern with the proposed means (the how) to realise ambitious health outcomes in the next 15 years. Although welcome attention is given to equity and human rights, the frames seem apolitical to date. Addressing the global burden of disease, and promoting healthy lives, cannot be a function of the health system alone; it requires concerted cross-sectoral action supported by a range of global functions and global public goods. Legal and structural changes are required to reduce unhealthy exposure (eg, to tobacco) and maximise opportunities for healthy lifestyle choices. Holding countries to account for outcomes (eg, disease prevalence) is important, but the means of doing so are equally if not more so. For example, the Sustainable Development Solutions Network devotes one of three health-related indicators to NCDs, but it fo-cuses exclusively on personal behaviour change as opposed to structural interventions.The HIV response has much to offer in relation to “the how”. People living with and affected by HIV took centre stage: they organised mass social movements that linked demands for change at national and global levels, they dismantled structural and social barriers, they articulated norms and stan-dards in human rights terms and thereby removed the “discretionary” from development, and provided a framework of account-ability which included monitoring of legal and policy environments. The movement also demanded that everyone enjoy the right to health, including the most marginalised and vulnerable populations, making it hard to claim “progress” by reference to national averages. The international community faces a historic opportunity to ensure that health priorities truly reflect the health needs of current and future generations. If it is going to have any chance of success, it needs to pay more attention to the voices of those affected, to evidence-driven priorities, and to the politics of change.

On Sept 25, 2013, the UN General Assembly held a special session devoted to progress on the Millennium Development Goals

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Condemning the death penalty

The Lancet

sey had recently suspended all executions, several countries seemed likely to follow suit, and hopes were high that the practice would soon be consigned to “the dustbin of history”. Which is why Amnesty International's report Death Sentences and Executions 2013, published on March 27, noting a 14% increase in executions in 2013, is of particular concern. Overall, the worldwide trend for abolition continues. Rates of executions have decreased steadily in the past decade. No executions occurred in Europe and Central Asia or in 173 UN member states worldwide. In the USA, as evidence accumulates for racial disparities, miscarriages of justice, and the sentencing of several people who had mental illness, four states have stopped the death penalty since 2008, most recently Maryland in 2013. Despite these positive signs, at least 778 people were executed in 2013, 96 more than in 2012, a rise driven mainly by increases in Iran and Iraq. The number of death sentences given out also increased by 10% worldwide. Indonesia, Kuwait, Nigeria, and Vietnam resumed executions after none were recorded for up to 8 years. China is highly secretive about its use of capital punishment, but Amnesty International estimates that it executes thousands of peo-ple every year. And on March 24, an Egyptian court defiantly sentenced 528 people to death—the trial lasted 1 hour, and three-quarters of defendants were not present. As a first step towards abolition, greater transparency is needed, particularly from China and countries in the Arab world. An EU restriction of exports of sodium thiopental is thought to have hindered executions by lethal injection in the USA and Viet-nam. Lawful efforts by the medical community to obstruct capital punishment should be supported. At least 23 392 people were living with a death sentence at the end of 2013. The death penalty is an outmoded practice and focus should be on its eradication.

A new direction for hepatitis C

The Lancet The publication of the first WHO Guidelines for the Screening, Care and Treatment of Persons with Hepatitis C Infection brings hepatitis C virus (HCV) into the limelight. It is estimated that 185 million people globally are infected with HCV causing 499 000 deaths annually. More than 90% of people with HCV can be cured. These recommendations create a new framework for policy makers, government officials, health workers, and patients. The emphasis of the guidelines is on low-income and middle-income countries that have disproportionately high rates of HCV, but implementation should be global. The guidelines recommend population-wide HCV serology testing for all groups with a history of high HCV rates, and for those with increased exposure through behaviour and other risk factors. Nucleic acid testing is recommended after a positive HCV result, to detect HCV RNA before treatment. For people infected with HCV, alcohol assessment is the first stage of care. For those with moderate to high alcohol intake, behavioural support and intervention should be offered to reduce alcohol consumption. Liver fibro-sis and cirrhosis should also be assessed with the aspartate aminotransferase to platelet ratio index or FIB4 tests. Assessment for antiviral treatment should be undertaken for all people infected with HCV. Many new drugs for treatment are in development, and several emerging compounds are due to be licensed imminently. But it is too early for the guidelines to recommend combinations. The cost and pricing of drugs is contentious. Critics have singled out Gilead's Sovaldi (sofosbuvir), at US$ 84 000 for a 12 week course, as unaffordable for most of the 3·2 million people infected with HCV in the USA. By contrast, a 48 week course of pegylated-interferon and ribavirin treatment in Egypt costs US$ 2000. Government agencies and health-care providers need to work together with drug companies on new licensing agreements to make sure that treatment is within reach of all, so that people living with HCV are properly screened, cared for, and treated.

On Jan 5, 2008, The Lancet published an editorial to mark the UN's moratorium of the death penalty. We noted that the US state of New Jer-

Chemotherapy near the end of life A difficult decision with potentially unexpected implications

British Medical Journal

chemotherapy near the end of life. Although most patients with metastatic cancer choose to receive palliative chemotherapy, evidence suggests that most do not clearly understand its intent. In decision making about chemotherapy, doctors are supposed to describe, and patients are supposed to understand, the direct outcomes of the proposed treatment (for example, clinical re-sponse rates and side effects). However, the broader implications of such decisions can be just as important. In a paper by Wright , choosing palliative chemo-therapy was associated with a whole set of outcomes that may not have been known, expected, or discussed by patients, their family caregivers, and their oncologists. Wright and colleagues studied the outcomes of a cohort of 386 cancer patients who died during the Coping with Cancer Study, a federally funded cohort study of terminally ill cancer patients and their informal caregiv-ers. Wright and colleagues’ participants were patients at eight US outpatient oncology clinics who had advanced cancer refrac-tory to one or more chemotherapy regimens and were identified by their oncologists as terminally ill at study enrollment. They were categorized as receiving (56%) or not receiving chemotherapy at enrollment, and the outcomes were compared using pro-pensity scoring to balance the groups for important confounding factors. Study participants died a median of 4.0 months after enrollment. Wright and colleagues found that patients who, months before death, had decided to receive palliative chemotherapy were significantly more likely than patients not receiving chemotherapy to undergo mechanical ventilation or cardiopulmonary resuscitation in the last week of life. They were more likely to be referred to a hospice late (one week or less before death). All these outcomes have been associated with poorer quality of life for patients, worse distress for caregivers, and increased costs. Patients who received chemotherapy were also less likely than others to die in their preferred location, more likely to die in an intensive care unit, and more likely to be tube fed in the last week of life. Nota-bly, receiving chemotherapy was not associated with longer survival. Late chemotherapy has already been associated with de-creased use of hospice care. Wright and colleagues are the first to report an association between palliative chemotherapy and place of death. Previous research has focused on chemotherapy received days or weeks before death, but Wright and col-leagues studied decisions made months before patients’ deaths. Whereas only 6.2% of cancer patients use chemotherapy two weeks before death, and 20-50% use it within 30 days of death, fully 62% use it within two months before death. Given the frequency of patients choosing to have chemotherapy months rather than days before death, Wright and colleagues argue reasonably that this earlier timeframe is actually a much more important time during which to understand decisions about treatment and their implications. Most cancer patients are likely to choose chemotherapy for the promise of improved survival or quality of life. Most patients in the new study said they would be willing to accept chemotherapy if it gave them just one extra week of life. A key implication of this research is the need to better identify patients who are likely to benefit from chemotherapy near the end of life. Many of Wright and colleagues’ participants may have chosen chemotherapy for the promise of even a sin-gle extra week of life, but whether they received even that is not clear. An important and perhaps more achievable improvement that should be pursued as a result of this research is to encourage oncologists to discuss with patients the broader implications of palliative chemotherapy when making decisions about treatment. For all patients, it is time to be clear about the full extent of possible harms. Clearly, the choice to start chemotherapy should not be the end of decision making. Patients nearing the end of life should be able to refine their decisions as they get more information and understand their ongoing likelihood of benefiting from various treatments. We learnt long ago that patients do not like the either/or requirement of hospice care in the United States (where patients often have to forgo cancer treatments to receive the benefits of a hospice). Nor should we accept that a course of chemotherapy effectively commits patients to a host of outcomes that they do not want. Especially perhaps near the end of life, the choice to accept chemotherapy should not lead oncologists and patients to abandon key care assessments and planning, including regular evaluation of the efficacy of chemotherapy, advance care planning, explo-ration of the benefits of hospice care, and pursuit of one’s preferred place of death. Future work should explore how a decision to start chemotherapy, even many months before death, comes to be associated with how and where someone dies. Perhaps che-motherapy and the associated outcomes in Wright and colleagues’ study are primarily the consequence of the zeal not to “give up.” Perhaps the associations are due, at least in part, to inadequate involvement of expert palliative care. Patients may well want, and we might help them to achieve, care near the end of life that is individualized, nuanced, and consis-tent with their wishes. Working with oncology teams, early palliative care can help patients in making such decisions and in pur-suing treatments, or avoiding them, to live as long as possible, with the best possible quality of life.

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Even as cancer treatments become more effective, we can still wonder about the symbolic meaning behind decisions to pursue

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Climate change is a health emergency British Medical Journal

founders of International Physicians for the Prevention of Nuclear War. At its height IPPNW had a membership of 250 000 doc-tors from 80 countries. Its leaders spoke directly to the world’s leaders and to the public, helping them to understand the terrible things that happen to people’s bodies and lives when nuclear bombs explode. As Chivian says in a BMJ essay, the aim was to help people grasp what a nuclear war would really be like, so that politicians and the public would do everything in their power to prevent such a war from happening. Twenty years or so ago, as nuclear war became a more distant threat, Chivian and others turned their attention to climate change. But here the challenge proved far greater and the international medical community far less effective. This has been, he says, “the greatest and most painful disappointment” of his life. Many of us share that disap-pointment as well as sharing responsibility for it. Chivian’s explanation for our failure is that climate change is far more complex than nuclear war and harder to grasp. “Our human brains are wired to see what is happening right in front of us right now,” he says. “We are not very good at seeing things that are not obvious, that happen incrementally, or that occur over large areas or in other parts of the world.” Added to this is the contrast between the absolute certainty of those who deny the existence of climate change and the moderation and constraint of the scientists documenting it. The report of the Intergovernmental Panel on Climate Change on the impact of climate change, published on 31 March, illustrates the point with its cautious tone. But there is no es-caping its conclusions. It concludes, with more certainty than before, that human activity is driving climate change, that the ef-fects are already being felt in all parts of the world, and that further global warming will bring increased scarcity of food and fresh water, extreme weather events, rises in the sea level, loss of biodiversity, loss of habitable land, mass human migration, and conflict and violence. Within that list of terrible things loss of biodiversity may be the one that causes us least concern. But Chivian encourages us to think again. The cone snail depends for its survival on tropical coral reefs that are threatened by ocean warming and acidification. Why should we care? Because cone snails produce a huge array of toxic peptides that could be used to treat chronic pain, resistant epilepsy, nerve injury, and myocardial infarction. Only a tiny proportion of these peptides has so far been studied in any detail. A letter published in the Times and signed by over 50 senior UK medical professionals, including me, said, “Never before have we known so much and done so little”. As for what we can do, there is new certainty here too. As sum-marised in a BMJ editorial, we can make clear the urgent need to stop investing in fossil fuels and to invest instead in alternative energy and more active forms of transport. The health benefits of such a change would be substantial. Responsibility to act rests especially with those of us who profess to care for people’s health—and even more with those of us in the world’s richest, most powerful nations. As Chivian says, “It is up to us. Who will do it if we do not?”

Evidence based medicine: flawed system but still the best we’ve got

British Medical Journal

Evidence based medicine is so much part of the air we breathe: it can be hard to remember a time before it. An oral history, filmed for a joint JAMA and BMJ celebration last year, has now been published. As summarised in an editorial co-published by the two journals, the story features a satisfying array of heroes and detractors, forward progress and backlash. Why did evidence based medicine take off? In the video, and quoted in the editorial, David Sackett provides two main reasons: it was supported by senior clinicians who were secure in their practice and happy to be challenged, and it empowered younger doctors—and subse-quently nurses and other clinicians—to question received wisdom and practice. Sackett and his generation also succeeded be-cause they were natural iconoclasts. And now that evidence based medicine is part of the medical establishment and is itself an icon, it’s only right that it has become a target for the new iconoclasts. In a recent column Des Spence claimed that evidence based medicine was broken and that the research pond was polluted by fraud, sham diagnosis, short term data, poor regulation, surrogate endpoints, and clinically irrelevant outcomes. Spence said that evidence based medicine left no room for discretion and fuelled overdiagnosis and overtreatment. A good number of rapid responders agreed, some even saying he didn’t go far enough. Others defended the precepts of evidence based medicine and warned against throwing the baby out with the bathwa-ter. We highlight a story that could be used to argue either way. Rita Redberg and colleagues describe the saga of the Wingspan intracranial stenting device. They tell us that its continued licensing and use in people with a previous stroke were based on a single, industry funded, uncontrolled study of 44 patients, while the only randomised trial showed clear evidence of increased deaths and strokes when the device was compared with medical treatment. The Wingspan has been licensed under a special regulatory programme for high risk devices in rare conditions. In an accompanying commentary, Hwang and colleagues highlight the generally poor quality of the evidence for such devices, mainly small and uncontrolled studies. Both sets of authors call for far greater regulatory scrutiny of the safety and effectiveness of medical devices. As with democracy and peer review (with apolo-gies to Winston Churchill), evidence based medicine may be the worst system for clinical decision making, except for all those other systems that have been tried from time to time. It is only as good as the evidence and the people making the decisions.

It’s nearly 30 years since Eric Chivian and three other Harvard faculty members won the Nobel peace prize for their work as

“Quello che ci viene riportato dalla tradizione ha sicuramente una giusti-ficazione scientifica e, quando non la troviamo, non significa che on ci sia, ma che probabilmente non siamo ancora in grado di comprenderla” prof. Franco Francesco Vincieri - Univer-sità di Firenze

Oggi incontriamo Achille Beretta e Stefano Rossetti, due soci SSFA che hanno proposto la costituzione del GdL “Medicina complementare”: potete spiegarci cosa si intende per medicina alternativa complementare? Le Medicine Alternative Complementari hanno una lunga storia; sono la risultan-te di conoscenze, attitudini e pratiche di base sulle teorie, credenze ed esperien-ze di culture differenti, usate per il man-tenimento della salute, per la prevenzio-ne ed il trattamento delle malattie. Il ter-mine “Traditional Medicine” fa la sua prima comparsa su una rivista biomedi-ca di lingua inglese nel 1952. Negli anni ‘70 il termine “Medicina Alternativa” si impose per definire tutti quei trattamenti non a base di farmaci, mentre negli anni ’80, a partire dall’impulso originato in Gran Bretagna, il nuovo termine di “medicina complementare” entrò nell’uso generale. Diverse sono le definizioni e le terminologie proposte e utilizzate: tra queste una, che in qualche modo cerca di comprenderle tutte, è quella fornita nel 2005 da un comitato ad hoc, costitui-to nell’ambito del Board on Health Promotion and Disease Prevention, ne-gli Stati Uniti: “la medicina complemen-tare ed alternativa comprende numerose modalità e pratiche terapeutiche, con le rispettive teorie e credenze, che si af-fiancano a quelle intrinseche del sistema sanitario dominante di una particolare società in un determinato periodo stori-co.” Il senso che si può cogliere è il valo-re multidimensionale delle scelte, una gamma di risorse per prevenire o curare una malattia o promuovere la salute ed il benessere. Pure nella loro diversità e notevole eterogeneità, queste discipline si riconoscono in alcuni princìpi base

che le accomunano e ne sono tratto distintivo, di cui in particolare: - l'approccio globale alla persona ed alla sua con-dizione; - il miglioramento della qualità della vita; - la stimolazione delle risorse naturali della per-sona; - l'educazione a stili di vita salubri e rispettosi dell'ambiente. Quale è la dimensione numerica di questo fenomeno? Negli ultimi anni, le terapie non conven-zionali hanno raggiunto un’importante diffusione; nel 2005 circa 7 milioni 900 mila persone (il 13,6% della popolazione residente in Italia) hanno dichiarato di aver utilizzato metodi di cura non con-venzionali nei tre anni precedenti l’intervista. In Italia la salute si conferma un “bisogno centrale” per il consumato-re, nonostante il contesto economico che denota il perdurare dell’impatto ne-gativo sul potere di acquisto dei cittadini. Nel periodo aprile 2013 – marzo 2014 il mercato degli integratori ha realizzato un valore di 1.995,6 milioni di euro per un totale di quasi 143 milioni di confezioni vendute. Le variazioni registrate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente rilevano un incremento dei pezzi venduti pari al +3,1% che corrisponde ad una variazione positiva del fatturato del 4,2%. Il consumatore continua a predili-gere la farmacia per l’acquisto di integra-tori alimentari: infatti il canale farmacia detiene una quota del 79,5% delle ven-dite a volume, seguita dagli iper+super (15,3%) e dalla parafarmacia (5,1%) che registra una flessione dello 0,7%, che non si riversa sul fatturato, sostenuto da un incremento del prezzo medio dell’1,9%. (dati FEDERSALUS 2014) Un tempo le chiamavano “altre” me-dicine ed erano conosciute da pochi, adesso cominciano ad essere espe-rienza di parte della popolazione.

Qual è il cammino fatto e quello da fare dal punto di vista normativo e sperimentale da parte del legislatore e degli operatori del settore? L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stilato delle linee guida al fine di spingere i governi a mettere in atto i seguenti principi: - fare in modo che siano offerte ai con-sumatori informazioni sufficienti sia sull’efficacia e la sicurezza dei prodotti che sulle controindicazioni; - creare e far conoscere i canali corretti utilizzabili dai consumatori per segnalare gli eventi avversi; - organizzare campagne di comunicazio-ne per dotare i consumatori della capaci-tà di discernere la qualità del servizio ricevuto; - assicurare che gli operatori siano pro-priamente qualificati e registrati; - incoraggiare l’interazione tra operatori “tradizionali” ed “alternativi”; - garantire la fruibilità per le terapie ed i prodotti non convenzionali per cui ci siano prove certe di efficacia. La tendenza, che emerge dalle analisi più recenti, è la predisposizione ad integrare/associare rimedi fitoterapici e/o integratori alimentari con i farmaci tradi-zionali. L’integrazione tra diversi sistemi medici è in atto da decenni in Cina e in India. In India, presso il “Ministero della salute e del welfare familiare” è collocato uno speciale dipartimento denominato A-yush, acronimo che riassume le discipli-ne mediche complementari che, assie-

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INTERVISTA AL GRUPPO DI LAVORO MEDICINA COMPLEMENTARE

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Achille Beretta

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me alla medicina scientifica, fanno parte del servizio sanitario nazionale. In Italia sono circa 200 i centri pubblici che offro-no prestazioni di medicina complemen-tare, di cui la massima parte si trova in Toscana. Il problema fondamentale in materia di medicina complementare è la “valutazione”, nonché l’assenza/carenza di una legislazione ufficiale a livello inter-nazionale che ne regoli l’uso (e quindi ne definisca l’abuso), e ne controlli le spesso facili speculazioni. Il grande nu-mero di pazienti che si affida alla medici-na complementare pone quindi una que-stione che coinvolge tutti i protagonisti dello scenario sanitario. Sempre più cittadini sentono il bisogno di un approc-cio integrato alla salute che tenga conto del diritto di libera scelta terapeutica. Ne consegue la necessità di nuovi tipi di collaborazione ed alleanza terapeutica tra le diverse figure coinvolte (medici di medicina generale, specialisti ospedalie-ri, aziende sanitarie locali, personale parasanitario). Questo al fine di una cor-retta integrazione e di un’adeguata infor-mazione sui vantaggi e sui limiti di tali discipline che devono “naturalmente” essere sottoposte a prove di efficacia. E’ necessario considerare non solo il mon-do oggettivo della salute ma anche, e soprattutto, quello soggettivo poiché sarà sempre più parte integrante del processo terapeutico. Attualmente una delle necessità prioritarie della salute pubblica è quella di trovare strategie alternative per la prevenzione ed il con-trollo delle malattie croniche e dell’invecchiamento. Inoltre, numerosi

sono ormai gli studi nazionali e interna-zionali che hanno dimostrato che le CAM possono comportare risparmi im-portanti per il sistema sanitario. Il ruolo dei professionisti della salute è quello di supportare e fornire opzioni che mettano in grado le persone di essere consape-voli e di fare le proprie scelte. E comun-que sia, si dovrà affrontare la realtà di un paziente che, molto probabilmente, ha già cercato informazioni su internet e richiede il “il meglio” di quanto la scienza “tutta” offra. Vi è necessità di nuovi “paradigmi” nel pluralismo della scienza, di una visione che superi ogni dualismo e che veda le varie “forme” di medicina coesistere e completarsi a vicenda. Di estrema importanza è la creazione delle condizioni, scientifiche e normative, per un impiego e appropriato della medicina complementare che, se usate in modo corretto, possono contribuire a protegge-re e migliorare la salute e il benessere dei cittadini. Perché un gruppo di lavoro di medici-na complementare all’interno della SSFA? Il GdL sulla medicina complementare nasce nel settembre 2013 grazie anche al contributo di Giuseppe Assogna, Ga-briela Crescini, Carlo Cristoforetti, Cri-stiana Giussani, Emilio Minelli, Alessan-dro Mugelli e Andrea Zangara. Il GdL fino ad ora, e siamo a meno di anno di vita, ha preferito focalizzare la sua atten-zione ai prodotti appartenenti alle se-guenti categorie: integratori alimentari, alimenti ai fini medici speciali (AFMS),

ed ai derivati di origine botanica. Ciò non toglie che altri settori della medicina complementare possano essere succes-sivamente aggiunti (per esempio, medi-cina ajurvedica, omeopatica, tradizionale cinese, altri). Parallelamente i nostri ap-profondimenti riguarderanno la speri-mentazione clinica, le normative di riferi-mento (nazionali, europee, internaziona-li), l’ambito regolatorio e gli impatti sulla economia sanitaria. Quali sono i prossimi obiettivi? I prossimi obiettivi che il GdL ha deciso di darsi sono: a. Portare a conoscenza di tutti i Soci SSFA l’esistenza di tale Gruppo di Lavo-ro e chiedere la partecipazione fattiva alle attività del GdL da parte di profes-sionisti interessati a tali argomenti, tra-mite una lettera personalizzata e una serie d’interviste su temi di sostanziale rilevanza a vari personaggi istituzionali, industriali, e che verranno pubblicate sui prossimi numeri di SSFAoggi; b. Portare a conoscenza l’esistenza di tale Gruppo di Lavoro tramite una lettera personalizzata inviata ai presi-denti di SIF, SIAR, SIFEIT, Federfarma con preghiera di diffonderla a tutti i Soci di tali società; c. Individuare la lista di tutte le princi-pali aziende coinvolte nel settore e scri-vere alle direzioni scientifiche e regolato-rie una lettera personalizzata sugli scopi ed attività del GdL; d. Contattare i principali attori delle Istituzioni (Ministero della Salute, EFSA, ISS) per coinvolgerli in varie attività del GdL; e. Organizzare un evento che con-senta un dibattito approfondito e multidi-sciplinare sulle principali tematiche del settore.

A cura di Giovanni Abramo

Stefano Rossetti

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NOTIZIE DAI MASTER Molti soci SSFA collaborano attivamente nella definizione dei programmi, e come docenti, nei vari master che nel corso degli ultimi anni sono stati attivati presso diverse Università italiane. Per dare a tutti i Soci una panoramica completa delle attività in corso, abbiamo pensato di raccogliere tutte le informazioni nelle pagine seguenti.

LA NUOVA EDIZIONE DEL MASTER BICOCCA Come di consueto da qualche anno, in Aprile è iniziata la 6° edizione del master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci, organizzato dall’Università di Milano Bicocca in collaborazione con SSFA. Il successo del master, consolidatosi nel tempo, anche quest’anno ha resistito nonostante l’introduzione da parte dell’Università di una tassa di 100 euro per la presenta-zione della domanda di ammissione. Sono pervenute 77 domande, un po’ da tutta Italia per 30 posti disponibili: gli aspiranti studenti provenienti dagli atenei lombardi sono stati i più nume-rosi, seguiti da un buon numero di quelli della Campania e, in ordine decrescente, della Toscana, del La-zio e di altre regioni. La vera novità di quest’anno, a parte la tassa per l’ammissione, già presente in molti altri atenei italiani, è stata la modalità di selezione: oltre al test scritto di comprensione della lingua inglese e alla valutazione dei titoli e del curricu-lum vitae, è stato introdotto il collo-quio orale al fine di acquisire una conoscenza più dettagliata sui candidati. Dall’insieme di tutti i punteggi è emersa una graduatoria in cui sono presenti studenti abbastanza eterogenei per tipologia di laurea, provenienza geografica ed età. Rispetto agli anni scorsi il dato che emerge è la forte preponderanza degli studenti con laurea in Farmacia o CTF, che ha contribuito ad abbassare la percentuale dei biotecnolo-gi, categoria tuttavia ancora dominante; la percentuale dei biologi è rimasta costante, mentre si è riscontrato un interesse anche da parte degli statistici (Figura 1).

La metà circa degli iscritti proviene dal Nord Italia; la parte restante è divisa tra il Sud e il Centro, con una leggera predominanza di quelli provenienti dal Sud (Figura 2). Riguardo all’età, la classe è prevalente-mente composta da soggetti con età inferiore ai 35 anni, pur rimanendo una piccola percentuale di studenti oltre i 35 anni (Figura 3). Attualmente, circa la metà degli iscritti

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è senza un’occupazione lavorativa; tra gli occupati, molti hanno situazioni non stabili, spesso nella ricerca di base, e solo il 20% ha già un impiego nel settore della ricerca clinica (Figura 4). La scelta di iscriversi al master è stata dettata per molti dalla ne-cessità di avere una formazione necessaria per avere accesso al mondo della ricerca clinica, spesso precluso a chi non possiede un’esperienza pregressa nel settore, o dal-la volontà di cambiare tipologia di lavoro. La preferenza per questo master. e non per altri simili presenti sul territorio italiano, in maggior parte trae origine dalle buone pa-role spese dagli amici o conoscenti che in passato lo avevano frequentato, e soprat-

tutto dalla possibilità con-creta, testimoniata sia dai buoni dati di ingresso nel mondo del lavoro che dall’offerta variegata di aziende proposte dal master, di poter accedere ad uno stage, considerato, a ragione, una buona oc-casione per acquisire e-sperienza e competenze da spendere in futuro per una eventuale posizione lavorativa. Gli ottimi dati ottenuti nelle scorse edizio-ni, nonostante il periodo di crisi, sono stati in parte confermati anche nell’edi-zione che sta per termina-

re: ad oggi infatti il 23% degli studenti ha convertito lo stage in un contratto di lavoro a tempo determinato per un anno o di ap-prendistato, ancora prima della fine del master (Figura 5).

Elena Bresciani

La giornata inaugurale è continuata con le presentazioni di Luciano M. Fuccella sulla SSFA, di Domenico Criscuolo su IFAPP ed il progetto PharmaTrain, di Paolo Lucchelli sulla storia della medicina farmaceutica, di Domenico Barone sulla sperimentazione animale. Le lezioni sono state concluse da una molto apprezzata sessione interattiva, svolta dal dr Giuseppe Cristoferi con la collaborazione di alcuni studenti, che han-no “mimato” un colloquio di selezione, for-nendo così preziosi suggerimenti da appli-care e sottolineando gli errori da evitare in una occasione così importante nel percor-so di ricerca di un lavoro.

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Situazione lavorativa degli studenti della 5° edizione

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Master di II Livello su Sistemi di Qualità – GXP & ISO

Ha avuto inizio lo scorso marzo presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma la III edizione del master di II livello Sistemi di Qualità – GXP & ISO. La II edizione dello stesso master si era felicemente conclusa nel mese di febbraio ed era stata coronata, al termine della cerimonia di consegna dei diplomi, dalla Lectio Magistralis di Umber-to Filibeck sul tema Eticità della Sperimentazione Clinica. Questa iniziativa didattica nasce della collaborazione tra Università Cattolica del Sacro Cuore e SSFA, si avvale di una con-venzione con l’Agenzia Italiana per il Farmaco ed ha il patrocinio della divisione italiana della Society of Environmental Toxico-logy and Chemistry. Ne sono Direttore e Direttore Scientifico, rispettivamente, Giacomo Pozzoli e Sergio Caroli, mentre il coordi-namento scientifico è affidato a Maria Mercede Brunetti. Il consiglio direttivo è formato da Maria Mercede Brunetti, Sergio Caroli, Francesco De Tomasi, Pierluigi Navarra e Valentine Sforza. Maria Cristina Greco, infine, è responsabile della segreteria didattico-scientifica. Ulteriori infor-

master L’obiettivo, ormai consolidato, di questo master è fornire gli strumenti culturali più aggiornati per un’ approfondita conoscenza dei principali sistemi di qualità oggi disponibili, ognuno dei quali è stato svi-luppato per soddisfare esigenze diverse, come tali, quindi, quasi mai sovrapponibili se non in minima parte, ma di regola reciprocamente collegati e spes-so complementari. Il master consiste di undici moduli per un totale di 148 ore tra lezioni frontali ed esercitazioni. Ciascuno dei primi dieci moduli espone il quadro normativo, gli aspetti operativi e le maggiori problematiche relative a Buona Pratica di Laboratorio, Buona Pratica Clini-ca, Buona Pratica Clinica di Laboratorio, Buona Pra-tica di Fabbricazione, Buona Pratica di Distribuzione, Farmacovigilanza, Convalida dei Sistemi Compute-rizzati, Norme ISO, Regolamento REACH e Metodo-logie di Comunicazione e di Lavoro di Squadra. L’ultimo modulo è invece dedicato ad un questiona-rio generale di valutazione dell’apprendimento. La presenza di circa 50 docenti altamente qualifi-cati ed appartenenti ad Istituzioni pubbliche (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Agenzia Italiana del Farmaco e Università), ad orga-nizzazioni sovranazionali (European Commission ed Organisation for Economic Co-operation and Development) ed a realtà aziendali nazionali e multinazionali con sede in Italia, garantisce l’accesso all’informazione più rilevante, aggiornata ed attendibi-le per le tematiche trattate. Questa edizione del master permette peraltro di ospitare partecipanti esterni come uditori per specifi-ci moduli o singole lezioni. Al termine del percorso formativo previsto ed al superamento delle relative prove di valutazione gli studenti conseguiranno il titolo di master universitario di secondo livello in Sistemi di Qualità: GXP & ISO. Coloro che avranno partecipato in qualità di uditori riceveranno da parte dell’Università Cattolica un attestato di frequenza valido per gli usi consentiti. Infine, anche per questa edizione, durante la cerimonia di chiusura, sarà tenuta una Lectio Magistralis a cura di un relatore di consolidata esperienza nel campo della qualità delle attività di ricerca.

Sergio Caroli

mazioni sono desumibili dal sito www.rm.unicatt.it/

MASTER UNIVERSITA’ DI CATANIA

Il master in “Discipline regolatorie del farmaco”, attivo da diversi anni presso l’Università di Catania ed organizzato dal prof Filip-po Drago, quest’anno presenta una importante novità. Le lezioni infatti, invece di essere svolte nell’arco di un biennio, sono con-centrate in un solo anno accademico. Questa modifica è stata molto apprezzata dagli studenti, che vedono così accorciato ad un solo anno il percorso di formazione post-laurea, ed essere così più preparati ad entrare nel mondo del lavoro. Ho avuto occasione di svolgere alcune lezioni, nello scorso mese di febbraio, e di aver apprezzato l’interesse e l’impegno degli studenti. La classe quest’anno è composta da 20 studenti, in prevalenza laureati in farmacia: molti già lavorano presso farmacie oppure ASL, e la partecipazione al master è moti-vata dal desiderio di entrare nel mondo del farmaco. Le lezioni si svolgono nel pomeriggio, dalle 14 alle 18, per lasciare libero il mattino a chi svolge attività lavorativa.

Domenico Criscuolo

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MASTER DELLA SECONDA UNIVERSITA’ DI NAPOLI Nello scorso mese di marzo, con lo svolgimento del quinto modulo (della durata di una settimana) sugli aspetti regolatori dei farmaci, si è conclusa la parte didattica, con lezioni frontali, della prima edizione del master di secondo livello “Farmacovigilanza, farmacoepidemiologia ed attività regolatorie”. Il master ha ricevuto il patrocinio SSFA, e molti soci SSFA era-no stati inclusi nel corpo dei docenti. Ho svolto diverse lezioni a questo master, sia nel primo che nel quinto modulo, ed ho potuto

apprezzare l’interesse ed anche la competenza degli studenti, quasi tutti laureati in farmacia, e molti già al lavoro presso le ASL della Campania, principalmente nella rete regionale di farmacovigilanza. Ora gli stu-denti avranno l’opportunità di uno stage, che verrà svolto in diverse sedi sia istituzionali che industriali: sono state infatti scelte realtà quali l’Istituto Superiore di Sanità, la ASL 1 di Napoli, il centro di farmacosor-veglianza e farmacoepidemiologia della seconda Università di Napoli, e poi aziende quali Novartis, Lundbeck, Bristol-Myers-Squibb ed Italfarmaco. Al termine di questa esperienza lavorativa “sul campo”, tutti gli studenti dovranno preparare una tesi, che verrà discussa in occasione della chiusura ufficiale del master. Un’esperienza molto positiva e costrutti-va, che ci auguriamo venga riproposta nel prossimo anno accademico.

Domenico Criscuolo

MASTER DI SECONDO LIVELLO UNIVERSITA’ DI CAMERINO

SEDE DI ANCONA

Il panorama italiano dei master Universitari di secondo livello si arricchisce di una novità: il Master in Metodologia Clinica e Biostatistica Applicata ai Clinical Trials, organizzato dal prof Fiorenzo Mignini (Facoltà di Farmacia), e con il patro-cinio SSFA. A nostro parere, questo master, per l’orientamento didattico del pro-gramma, si rivolge soprattutto ai data managers, ed a coloro che hanno un pe-culiare interesse per la metodologia degli studi clinici, con particolare attenzione alla statistica ed alla gestione dei dati. Il master è stato da poco attivato, ed at-tualmente sono aperte le iscrizioni, per un minimo di 20 ed un massimo di 30 posti. Il master si svolgerà nella sede di Ancona, facilmente raggiungibile in treno ed aereo: si basa su nove moduli, svolti in tre giornate una volta al mese (dal giove-dì alle ore 15 al sabato alle ore 13). Ogni modulo ha quindi 20 ore di lezioni fron-tali. Per ogni ulteriore informazione, visitate il sito www.masterclinicaltrials.it. Si ricorda che la scadenza delle iscrizioni è il 31 agosto 2014.

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IL LIBRO DI OGGI Dedico il libro di oggi a tutti coloro che si occupano di sviluppo di farmaci, ma….non hanno studiato anatomia umana! Una dedica un po’ singolare, ma lasciatemi racconta-re un episodio. Tempo fa parlavo con una brillante project leader, che sta facendo un’ottima carriera in una CRO: ci trovammo a commentare un episodio di ictus cere-brale, ed io sottolineavo l’importanza della pervietà delle arterie carotidi. Lei non capi-va, e si convinse di ciò solo quando le spiegai che la grande maggioranza di apporto arterioso al cervello è delegato alle sole arterie carotidi: quindi quando un ateroma oppure un trombo ne ostruisce anche solamente una, sono guai seri. Da quella simpa-tica conversazione trassi l’idea di ricordare a tutti, attraverso queste righe ed il libro che ora vado a commentare, l’importanza dell’anatomia umana. Per coloro che, come il sottoscritto, hanno studiato medicina, l’anatomia umana ha rappresentato il primo mo-mento in cui ci siamo sentiti medici, dopo aver studiato fisica, chimica e chimica biolo-gica. Alla Sapienza negli anni ’70 anatomia era il primo grande ostacolo: dopo due anni di lezioni, bisognava preparare l’esame sul mitico Testut, cinque tomi da mille pagine ciascuno: un vero esercizio di memoria, e di costanza. Tuttavia ricordo con molta pas-sione quell’esame, perché devo riconoscere che quanto appreso mi è poi molto servito nei successivi esami di fisiologia, di patologia, e delle varie cliniche: ed è questo il moti-vo per cui parlo con tanta enfasi dell’importanza dell’anatomia umana. Non basta sape-re di fisiologia e di patologia, le vere basi per capire le malattie, e quindi anche il meccanismo d’azione di un farmaco, risiede nell’anatomia. Ed oggi, che giustamente molte funzioni di sviluppo di un farmaco sono svolte da non medici, colgo questa occa-sione per suggerire, a tutti coloro che non l’hanno studiata, di guardare con curiosità all’anatomia umana: magari iniziando dal libro “Organi vitali” di Frank Gonzalez Crussì, professore emerito di patologia alla Northwestern University di Chicago. Nel film di fantascienza degli anni 60 “Viaggio allucinante”, un gruppo di scienziati-eroi, dopo un processo di miniaturizzazione che li ridusse a dimensioni microscopiche, intraprese un viaggio pericoloso, a bordo di un sottomarino, all’interno di un corpo umano vivente. Qualcosa di simile, ed altrettanto appassionante, ci offre questo libro molto singolare. E non sarà solo un percor-so attraverso i mondi strabilianti della nostra anatomia, ma anche un itinerario fitto di sorprese, nella storia della cultura, accom-pagnata da una guida colta e brillante. Dice l’autore:” Mi è parso opportuno cercare di rendere il pubblico più consapevole del didentro del corpo. Non intendo con questo i meri fatti dell’anatomia (molte persone istruite già hanno una visione generale delle parti e delle funzioni dell’organismo), intendo la storia, i simbolismi, le meditazioni, le molte idee serie e fantastiche, ed anche il romanzesco ed il leggendario che attorniarono nel corso dei tempi i nostri organi interni”.

Organi vitali è pubblicato da Adelphi e costa 18 euro. Domenico Criscuolo

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============ IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE - QUARTA PARTE ================

Addio al giuramento di Ippocrate, scompare dal nuovo codice dei medi-ci Il nuovo codice deontologico dei medici cambia volto, modificando alcuni impor-tanti elementi della professione. Uno su tutti: il giuramento d'Ippocrate (che però non è neppure citato). Se nel vecchio codice (2006) ancora in vigore si dice in modo chiaro e netto che "il medico deve prestare giuramento professionale", il nuovo testo recita: "L'iscrizione all'Albo vincola il medico ai principi del giura-mento professionale e al rispetto delle norme del presente codice di deontologi-a medica". Resta solo il riferimento ai principi, ma non c'è più l'obbligo di for-male giuramento. Per il momento si trat-ta di una bozza, ma nel testo messo a punto dal Comitato centrale della Fede-razione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), e all'attenzione delle varie federazioni locali, ci sono tante novità. A volte piccole sfumature semantiche che stanno però sollevando il vento di prote-sta dei camici bianchi. Il testo contiene aperture sulla fecondazione assistita, una stretta sulle terapie alternative, la scomparsa di alcune parole chiave co-me libertà, indipendenza e dignità. Addio anche al termine 'paziente'. In futuro si chiamerà 'persona assistita'. Tra le mo-difiche più discusse e delicate ci sono quelle che riguardano i doveri del medi-co in materia di fecondazione assistita. Confrontando il vecchio e il nuovo testo le differenze, in effetti, saltano agli occhi. E' sparita la parte che recita: "E' fatto divieto al medico, anche nell'interesse del bene del nascituro, di attuare: forme di maternità surrogata; forme di feconda-zione assistita al di fuori di coppie etero-sessuali stabili; pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce; forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner". Il nuovo testo mette invece nero su bianco che "i trat-tamenti di procreazione medicalmente assistita, quali atti esclusivamente medi-ci, sono effettuati nelle condizioni e se-condo le modalità previste dall'ordina-mento vigente". L'articolo del nuovo co-dice che sta facendo più rumore è però il

22, che parla dell'obiezione di coscien-za. Se oggi "il medico, al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convinci-mento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comporta-mento non sia di grave e immediato no-cumento per la salute della persona as-sistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento", con il nuovo testo "il rifiuto di prestazione pro-fessionale anche al di fuori dei casi pre-visti dalle leggi vigenti è consentito al medico quando vengano richiesti inter-venti che contrastino con i suoi convinci-menti etici e tecnico-scientifici". Sparisce quindi il contrasto con la propria co-scienza. Così come scompare pure la formula "grave e immediato" legata al nocumento per la salute della persona assistita. Contestato anche l'articolo 13, che fissa i doveri del medico nel campo delle prescrizioni diagnostico-terapeuti-che. La nuova formulazione prevede che il camice bianco è tenuto a seguire "le linee guida diagnostico-terapeutiche prodotte e accreditate da fonti autorevoli e indipendenti". E se non lo fa deve mo-tivare le sue scelte. Un passaggio, que-sto, che preoccupa i camici bianchi, che temono una sorta di apertura a possibili sanzioni a danno di chi propone cure innovative e una limitazione della propria autonomia. Rispetto al vecchio codice nell'articolo sparisce la parola 'etica', sostituita con 'deontologia'. Il nuovo codice affronta pure la questio-ne del testamento biologico. Se esiste una dichiarazione anticipata di tratta-mento, "espressa in forma scritta, sotto-scritta e datata da persona capace", il medico deve "tenerne conto". A prescin-dere, quindi, dalle sue valutazioni, "dall'autonomia e dall'indipendenza che caratterizza la professione", così come recita il testo del 2006. Tra gli articoli incriminati c'è anche il numero 4. Se nel testo del 2006 si dice che "il medico deve attenersi alle conoscenze scientifi-che e ispirarsi ai valori etici della profes-sione, assumendo come principio il ri-spetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità del-

la persona", la nuova formulazione non parla più di "valori etici della professio-ne" ma dice che sul piano tecnico opera-tivo il medico è tenuto "ad adeguarsi alle più aggiornate evidenze scientifiche". Una domanda sorge spontanea: “C’é ancora bisogno di un Codice Deonto-logico?” Il Codice Deontologico è un corpo di regole, liberamente e democraticamente scelte dai medici, alle quali debbono uniformare il comportamento professio-nale. Il termine deontologia fu coniato da J. Bentham nel 1834 e deriva dal greco “to deon” (ciò che deve essere e che si deve fare) e “logos” (discorso, parola, scienza). Il Codice Deontologico non è una fonte primaria di diritto, ma ha un carattere extragiuridico, e impegna i membri del gruppo professionale al suo rispetto mediante un giuramento all’atto della iscrizione all’Ordine. Giuramento di Ippocrate In un’epoca di facili suicidi, procurati con il veleno, di infanticidi e di costumi licen-ziosi, è difficile ipotizzare che i medici ippocratici fossero ligi a principi morali così rigorosi. E allora perché si giurava ? Il giuramento ha in se una solennità ritu-ale che distingue i sacerdoti ed i re dagli altri comuni cittadini, e anche i medici dell’epoca avevano necessità di distin-guersi dai guaritori e dagli “abusivi”. In questa prospettiva il Codice Deontologi-co assume carattere di autoreferenzialità di fronte ai cittadini, e proprio per que-sto viene accusato di essere uno stru-mento di autonomia e di indipendenza di giudizio della categoria per sottrarsi al giudizio degli altri. Il rispetto del Codice, reso solenne dal giuramento, non fa altro che riaffermare che il fondamento della medicina è rappresentato dalla autonomia, dalla indipendenza e dalla libertà intellettuale del professionista. Anche se non si giura più sugli dei ed il giuramento è stato sottoposto ad una riformulazione in termini moderni, il suo significato “sociale” non è cambiato. Il problema è che è cambiata la medicina e i suoi attori principali : le malattie, i

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pazienti, i medici in una società profon-damente trasformata. Le professioni liberali tradizionali, ed in primis i medici, devono fare i conti con i cambiamenti del contesto sociale e politico i cui ope-rano. Rapporto medico-paziente Il rapporto tra il medico e il paziente si configura sempre più spesso come un incontro o uno scontro di prospettive : il paziente si reca dal medico con una pre-diagnosi del suo malessere ed esce dalla consultazione con una diagnosi di malattia, posta dal medico secondo i canoni interpretativi della clinica. Se i due paradigmi coincidono si raggiunge facilmen-te un compromesso e un clima di soddisfa-cente comunicazione bidirezionale, in un rapporto armonioso tra le parti, altrimenti si determina un con-flitto più o meno aper-to. La difficoltà della medicina moderna è quella di riuscire a conciliare un approc-cio olistico al malato con un intervento specialistico. Oggi il medico ha virtual-mente tre imperativi, contraddittori, ai quali dovrebbe rispondere: 1. i bisogni individuali del cittadino; 2. i risultati falsificabili della scienza medica; 3. le richieste di una società solidaristica ma fortemente individualistica. Solo il Codice Deontologico può rappre-sentare davvero la salvaguardia della natura fiduciaria della relazione tra medi-ci e cittadini. Alcune associazioni di medici hanno a-vanzato la richiesta di rivedere il giura-mento di Ippocrate, proponendo l'adozio-ne di un nuovo codice deontologico. In particolare viene sottolineata la necessità di fornire ai medici precise linee guida di

comportamento di fronte ai problemi aper-ti dal progresso scientifico (come la clona-zione), dalla privatizzazione dell'assisten-za sanitaria, dalla aumentata ingerenza dei politici in materia di sanita' e ricerca e dal crescente ruolo delle industrie. Il nuo-vo codice, chiamato "carta della profes-sionalità medica" e' stato elaborato da: American Board of Internal Medicine, American College of Physicians, Ameri-can Society of Internal Medicine e Euro-pean Federation of Internal Medicine e verra' pubblicato a breve sulla rivista The

Lancet. Nel moderno “Giuramento di Ip-pocrate”, il medico si impegna, in quella che chiamano «alleanza terapeutica», a difendere la vita, di non compiere mai atti idonei a «promuovere la morte di una persona», di fondare i rapporti di cura sulla «fiducia e sulla reciproca informazio-ne», e molto altro ancora. Un giuramento per le professioni economiche dovrebbe comprendere almeno i seguenti punti: «1. Non userò mai a mio vantaggio e contro

gli altri le maggiori informazioni di cui di-sporrò. 2. Guarderò al mercato come un insieme di opportunità per crescere insie-me, e non ad una lotta. 3. Non tratterò mai i lavoratori solo come un costo, come un capitale, una risorsa, al pari degli altri costi, capitali e risorse dell’economia. I lavoratori sono prima di tutto persone». I controlli non dovrebbero limitarsi agli a-spetti formali e quantitativi (facili da verifi-care), da affidare a impiegati che esami-nano il rispetto delle procedure. Si sa che i disonesti sono abilissimi a produrre ren-

diconti formalmente perfetti; se le proce-dure di controllo sono cavillose è più facile che venga preso nella rete chi dedica più tempo ai pazienti che alle relazioni. È ora di cambiare mentalità: bisogna entrare nel merito degli interventi per verificare l’appropriatezza delle scelte, la qualità delle prestazione, l’efficacia dei risultati. I principi e i valori che, sin dall’antichità, hanno governato la pratica professionale della medicina (attraverso i giuramenti e i codici deontologici) obbliga-vano il medico ad agire sempre per il massimo beneficio del paziente, vietando qualsiasi intervento che potesse arrecargli danno o che andasse contro i valori morali prevalenti nella socie-tà. Naturalmente, i

contesti culturali erano diversi, quindi anche i criteri e i valori. L’etica medica antica metteva l’accento sul carattere e le virtù richieste al medico che esercitava l’arte. CONSIDERAZIONI FINALI Scritto nell’antichità, i suoi principi sono ritenuti sacri dai medici oggi giorno: cu-rare il malato al meglio delle proprie ca-

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pacità, preservare la privacy del pazien-te, insegnare i segreti della medicina per la prossima generazione, e così via . Il giuramento di Ippocrate, affermò nel 1996 il “Codice di Deontologia Medica della American Medical Association" è rimasto nella civiltà occidentale quale espressione di un comportamento ideale per il medico . La maggior parte dei lau-reandi medici pronunciano tale giura-mento o qualche forma di esso, di solito una versione modernizzata. Ad esem-pio, il giuramento in questi ultimi decenni è aumentato: era solo nel 24 per cento delle scuole mediche degli Stati Uniti nel 1928 ed oggi in quasi il 100 per cento. Eppure, paradossalmente, anche se l'uso del moderno giuramento è fiorito, il suo contenuto è virato lontano da princi-pi fondamentali del giuramento classico. Secondo un sondaggio in 150 scuole mediche USA e canadesi nel 1993, per esempio, solo il 14 per cento dei moder-ni giuramenti vieta l'eutanasia, l'11 per cento l’alleanza con una divinità, l’8 per cento l’aborto e solo il 3 per cento proibi-rebbe il contatto sessuale con i pazienti. Mentre il giuramento classico chiede " l'opposto " di piacere e di fama per coloro che trasgrediscano il giuramento, meno della metà dei giuramenti utilizzati oggi considerano il beneficiario essere ritenuto responsabile. In effetti, un nu-mero crescente di medici sono convinti

che il giuramento di Ippocrate sia inade-guato ad affrontare le realtà di un mondo medico che ha visto enormi cambiamenti scientifici, economici, politici e sociali; un mondo di aborto legalizzato, di suicidio assistito e varie calamità non prevedibili al tempo di Ippocrate. Alcuni medici han-no iniziato a fare domande per quanto riguarda la rilevanza del giuramento: in un contesto di crescente specializzazio-ne medica, dovrebbero i medici giurare un singolo giuramento? Con i governi e le organizzazioni sanitarie che richiedo-no informazioni ai pazienti: come può un medico mantenere la privacy di un pa-ziente? Sono i medici obbligati moral-mente a trattare i pazienti con nuove malattie mortali come l'AIDS o il virus Ebola? Alcuni medici sostengono che i principi sanciti nel giuramento non costi-tuivano un nucleo comune di valori mo-rali e che le origini pagane del giuramen-to rendono antitetiche le convinzioni di cristiani, ebrei e mussulmani. Altri nota-no che il Giuramento classico non fa menzione di tali problemi contemporanei come l'etica della sperimentazione, la cura in un team, o le responsabilità so-ciali e giuridiche di un medico. Inoltre la maggior parte dei moderni giuramenti non hanno menzione della pena, non vi è alcun pericolo della perdita dell’esercizio medico o anche della “faccia” per i potenziali trasgressori. Con tutto questo in mente, alcuni medici ve-

dono il giuramento come poco più di un rituale pro-forma con poco valore oltre quello di difendere la tradizione." Il giura-mento originale è pregno di un patto, è un trattato solenne e vincolante ", scrive il dr. David Graham su JAMA del 13/12/2000. Alcuni medici sostengono che quello che chiamano il “Giuramento Hypocritico" dovrebbe essere radical-mente modificato oppure abbandonato del tutto. Se da una parte l’etica ippocra-tica è forse considerata inattuale perché non riconosce completamente l’autonomia del paziente, dall’altra è in grado di insegnare un valore che la me-dicina moderna ha perduto: una compo-nente imprescindibile del profilo del buon medico, accanto alle competenze strettamente scientifiche: è la dimensio-ne umana ed etica che deve guidare la sua condotta. L’oblio della componente umanitaria della professione medica è dipeso dalla continua specializzazione e parcellizzazione della medicina in forza della quale al letto del paziente si avvici-na un numero sempre maggiore di medi-ci, senza che nessuno di essi instauri con lui un solido rapporto personale ba-sato sulla fiducia.

Raimondo Russo

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Il 14 marzo 2014 si è tenuto l'ormai tradi-zionale seminario BIAS: anche quest’anno SAS Institute ha ospitato l’evento, che è stato dedicato agli stan-dard proposti dal consorzio internaziona-le CDISC (Clinical Data Interchange Standards Consortium). Il titolo stesso del seminario “CDISC SDTM and ADaM: moving from theory to practice” metteva in evidenza l’intento del seminario: non la solita carrellata di esperienze azien-dali o personali, a volte difficilmente re-plicabili, ma un’introduzione ragionata ed approfondita ai due principali stan-dard proposti da CDISC (SDTM e A-DaM), con particolare attenzione alle applicazioni pratiche. L’esigenza di orga-nizzare un siffatto evento è nata dall’osservazione che la presentazione

di dati in formato CDISC diventerà pre-sto obbligatoria presso la FDA, e che altri enti si stanno muovendo in questa direzione (il Japan PMDA ha annunciato una fase pilota con l’uso di CDISC). L’adozione di standard internazionali per la raccolta e l’analisi dei dati ha permes-so di semplificare lo scambio di dati negli studi clinici, riducendo costi e tempi di elaborazione e facilitando la validazione dei sistemi e dei dati stessi. Non ultima, la sensazione condivisa che in Italia la conoscenza di CDISC non sia ancora

abbastanza diffusa ci ha convinto a dare al seminario il taglio descritto sopra. La giornata è iniziata con una breve in-troduzione sulla missione e la storia del consorzio CDISC a cura di Glauco Cap-pellini (Quintiles). Nicola Tambascia (Accovion) ha gettato successivamente le basi per il lavoro dell’intera giornata, delineando i concetti alla base dello standard SDTM (Study Data Tabulation Model). Nel suo intervento Nicola ha spiegato con estrema chiarezza i con-cetti di “Domain”, “Class”, “Controlled Terminology” e “Metadata”, alla base dello standard sviluppato per armonizza-re la tabulazione dei dati raccolti durante uno studio clinico, facendo capire come devono essere interpretati e applicati in pratica. Angelo Tinazzi (Cytel) ha poi

completato la sezione teorica relativa a SDTM, focalizzando l’attenzione anche sugli aspetti pratici della migrazione e della mappatura di dati originariamente non raccolti secondo gli standard CDISC. Alla ripresa dei lavori, Tineke Callant (SGS) ha introdotto lo standard per l’analisi dei dati (AdaM - Analysis Data Model), evidenziando come struttu-ra dei dati, tracciabilità e metadati costi-tuiscano il fondamento su cui tale mo-dello è costruito. Mark Lambrecht (SAS), giocando in casa, ha illustrato la soluzio-

ne sviluppata da SAS per CDISC (SAS Clinical Data Integration), evidenziando-ne la comodità di utilizzo e l’attenzione che SAS dedica ai più recenti progressi in ambito CDISC. Nella sezione finale dell’evento due esempi pratici dell’applicazione di CDISC SDTM e A-DaM: Pantaleo Nacci (Novartis Vaccines & Diagnostics) ha illustrato l’approccio utilizzato nell’implementare SDTM pres-so la propria Azienda e David Izard (Accenture) ha presentato l’approccio al problema da parte di una CRO. L’evento si è concluso con una breve sessione di domande ai relatori, prima che il comita-to BIAS comunicasse agli iscritti le pro-spettive future e la nuova gestione dei rapporti con SSFA e chiudesse l’evento con i doverosi ringraziamenti.

Al seminario hanno partecipato circa 90 persone, relatori e rappresentanti degli sponsor compresi. L'interesse è stato elevato: ci auguria-mo che la qualità degli interventi abbia soddisfatto le attese. Il comitato BIAS rin-grazia tutti i parteci-panti, gli sponsor, DDway e SAS Insti-tute, e SSFA per il supporto organizzati-vo e logistico, sem-pre prezioso. Archiviato positiva-mente il seminario, il comitato BIAS sta

organizzando il congresso annuale che, quest’anno, si svolgerà a Genova a fine ottobre, in concomitanza con il Festival della Scienza, con l’obiettivo di trovare un collegamento scientifico tra le nostre attività e quelle del Festival. Inoltre, cre-d iamo che pot rebbe essere un’occasione per i partecipanti di avvici-nare i propri ragazzi al mondo della scienza.

Fabio Montanaro

NOTIZIE BIAS

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L’uso dei farmaci in Italia rapporto relativo al periodo gennaio-settembre 2013

Il 6 febbraio 2014 ho partecipato, in AI-FA, alla presentazione del rapporto sull’uso dei farmaci in Italia nei primi 9 mesi del 2013. Sono intervenuti: il prof. Luca Pani, direttore AIFA, il prof. Sergio Pecorelli, presidente AIFA, il dr. Claudio De Vincenti, sottosegretario alla sviluppo economico, la dr.ssa Marcella Marletta, direttore dispositivi medici, servizio far-maceutico e sicurezza delle cure, Mini-stero della Salute, e il dr Massimo Scac-cabarozzi, presidente Farmindustria. Molti i temi illustrati e dibattuti: l’andamento della spesa, i farmaci più utilizzati, i medicinali a brevetto scaduto ed equivalenti, l’appropriatezza prescrit-

tiva, la sostenibilità, l’aderenza terapeuti-ca: la maggior parte dei dati illustrati è contenuta in un volume consegnato a tutti i partecipanti e presente anche sul sito AIFA. La spesa farmaceutica complessiva, nei primi 9 mesi, è stata di 19,5 miliardi di euro, di cui il 74,7% rimborsati dal SSN, con un dato interessante: aumentano i consumi mentre si osserva una riduzio-ne della spesa farmaceutica territoriale a carico del SSN, effetto dovuto, principal-mente, alla riduzione dei prezzi dei far-maci. E’ cresciuta del 2,1% la spesa per

compartecipazioni a carico del cittadino. A livello regionale si conferma la diffe-renza nord-sud con valori bassi al nord ( provincia autonoma di Bolzano), e con valori superiori alla media nazionale nel mezzogiorno (principalmente Sicilia). Si profila, quindi, un andamento della spe-sa farmaceutica simile a quello del 2012, con un aumento della spesa ospedaliera del 3,3% e con un aumento della spesa privata del 3,9%, ma con una diminuzio-ne della spesa in farmacia del 3,9 % rispetto al 2012. Tra i farmaci più utilizzati si confermano, in prima linea, sia per consumo che per spesa, i cardiovascolari e tra di essi spiccano gli ACE-inibitori e le statine; seguono i farmaci per l’apparato gastro-enterico e per il metabolismo, tra di essi gli inibitori della pompa protonica, men-tre le più recenti terapie innovative per il diabete di tipo II sono responsabili di un aumento di spesa per il SSN; in terza posizione troviamo i farmaci del sangue e degli organi ematopoietici, con le epa-rine che si distinguono per la spesa maggiore mentre gli antiaggreganti pia-strinici hanno il numero maggiore di pre-scrizioni. Al quarto posto si collocano i farmaci per il SNC, ed in particolare gli antidepressivi; in aumento anche il con-sumo dei farmaci antidolorifici ad azione centrale. I farmaci per l’apparato respi-ratorio si attestano al quinto posto e ve-dono nelle associazioni dei beta-2 ago-nisti i più usati per il trattamento della BPCO e dell’asma. Un rilievo particolare merita l’aumento del consumo degli anti-biotici rispetto all’anno precedente (+5,4%), incentrato sulle penicilline, se-

guite da macrolidi e fluorochinoloni, e caratterizzato da una notevole variabilità regionale che vede Campania, Puglia, Calabria all’estremo alto dei consumi rispetto al nord ( provincia autonoma di Bolzano, Liguria, Friuli Venezia Giulia) che presentano volumi più contenuti. I medicinali a brevetto scaduto ed equi-valenti mostrano un incremento dell’uso del 7,7% rispetto al 2012 e costituiscono il 65% dei consumi ed il 46% della spe-sa, con un aumento del 4,9%. Questa tendenza va avvicinando l’Italia alle quo-te presenti negli altri paesi europei. L’appropriatezza prescrittiva è un tema importante ma ancora da approfondire. La sostenibilità è una questione rilevan-te per l’arrivo dei nuovi farmaci biotecno-logici e condizionerà l’impiego di nuovi mezzi di valutazione e di assegnazione

dei prezzi. L’aderenza terapeutica si è manife-stata in crescita per i farmaci utilizzati per il sistema cardiovascolare.

Francesco De Tomasi

Prof. Luca Pani e dr.ssa Marcella Marletta

Il dr. Paolo Siviero e, sullo sfondo, la proie-zione della copertina del volume “L’uso dei Farmaci in Italia”

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GLUCORTICOIDI ORALI E RISCHIO AUMENTATO DI PANCREATITE ACUTA ASSOCIATION OF ORAL GLUCOCORTICOID USE WITH AN INCREASED RISK OF ACUTE PANCREATITIS: A POPULATION-BASED NESTED CASE-CONTROL STUDY Sadr-Azodi O, Mattsson F, Bexlius TS, et al. JAMA Intern Med, pubblicato on line il 25 febbraio 2013 Questo ampio studio caso-controllo indica che l'uso corrente di glucocorticoidi orali aumenta il rischio di pancreatite acuta. I pa-zienti, in particolare quelli a maggior rischio di pancreatite acuta, come quelli con consumo di alcol elevato o calcoli biliari, do-vrebbero essere strettamente monitorati durante il primo mese di uso di questi farmaci. IMPORTANZA L’uso di glucocorticoidi orali è stato suggerito come causa di pancreatite acuta in diversi case report. Tuttavia, nessuno studio epidemiologico ha esaminato questa associazione. OBIETTIVO Condurre uno studio caso-controllo a livello nazionale, per analizzare la potenziale associazione tra uso di glucocor-ticoidi per via orale e pancreatite acuta. DISEGNO In questo studio caso-controllo con base di popolazione sono stati identificati tutti gli individui di età compresa tra 40 e 84 anni che avevano sviluppato un primo episodio di pancreatite acuta tra il 2006 e il 2008 in Svezia. Studio con base di popola-zione, a livello nazionale, basato sui registri. PARTECIPANTI In totale, 6161 casi con un primo episodio di pancreatite acuta e 61.637 controlli sono stati inclusi nelle analisi finali. I casi erano tutti i pazienti con diagnosi di un primo episodio di pancreatite acuta durante il periodo di studio, definito dal codice diagnostico K85 della International Statistical Classification of Diseases, 10th Revision (ICD-10). I controlli sono stati sele-zionati in modo casuale dalla popolazione a rischio di sviluppare pancreatite acuta. Per ogni caso, sono stati selezionati dalla popolazione generale in modo casuale 10 controlli appaiati per età, sesso e periodo di calendario. L’uso di glucocorticoidi orali è stato valutato dal registro svedese dei farmaci prescritti. Gli attuali utilizzatori, gli utilizzatori recenti e gli ex utilizzatori sono stati definiti rispettivamente come pazienti che avevano la loro prescrizione dei glucocorticoidi entro 30 giorni, da 31 a 180 giorni e oltre 180 giorni prima della data indice. END POINT PRIMARI E’ stata effettuata un’analisi di regressione logistica per calcolare gli odds ratio (OR) con intervalli di confi-denza al 95% per l'associazione tra uso di glucocorticoidi per via orale e pancreatite acuta. L’aggiustamento multivariato è stato fatto per potenziali confondenti tra cui, tra gli altri, l'abuso di alcool, il diabete e l'uso di farmaci concomitanti. RISULTATI Lo studio ha incluso 6161 casi di pancreatite acuta e 61.637 controlli. Il rischio di pancreatite acuta era aumentato tra gli utilizzatori attuali di glucocorticoidi orali rispetto ai non utilizzatori (OR 1,53; IC 95% 1,27-1,84). Tale rischio era più alto nel periodo compreso tra 4 e 14 giorni dopo la dispensazione dei farmaci (OR 1,73; 1,31-2,28) e successivamente diminuiva. Non c'era alcuna associazione tra uso di glucocorticoidi orali e pancreatite acuta subito dopo la dispensazione dei farmaci. Non c'era alcun aumento del rischio di pancreatite acuta tra gli utilizzatori recenti o passati di glucocorticoidi rispetto ai non utilizzatori. CONCLUSIONI L’uso attuale di glucocorticoidi orali è associato a un aumentato rischio di pancreatite acuta.

A cura di Raimondo Russo

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GLUCOCORTICOIDI ORALI ED EFFETTI AVVERSI PSICHIATRICI ORAL GLUCOCORTICOID-INDUCED PSYCHIATRIC SIDE-EFFECTS: FOCUS ON CLINICAL SPECIFICITIES, IN-CIDENCE, RISK FACTORS AND TREATMENT Ricoux A, Guitteny-Collas M, Sauvaget A, et al. Rev Med Interne La terapia con corticosteroidi orali è prescritta per varie indicazioni e comprende un gran numero di specialità mediche utilizzate in pazienti sia ricoverati in ospedale che trattati ambulatorialmente. Gli effetti indesiderati neuropsichiatrici si verificano a prescindere dalla condizione da trattare e, pertanto, riguardano tutte le specializzazioni mediche. I glucocorticoidi orali sono stati utilizzati per diversi decenni e possono essere responsabili di effetti collaterali psichiatrici. Questa revisione discute i dati più rilevanti delle specificità cliniche, l'incidenza, i fattori di rischio e i farmaci per la prevenzione e la cura di questi episodi. E’ stata condotta una revisione della letteratura, utilizzando il database PubMed. Sono stati scelti e discussi gli articoli e gli studi con il più alto standard di evidenze. La comparsa di sintomi psichiatrici è piuttosto frequente. L'intensità variabile delle caratteristiche cliniche va da segni minori (impregnazione) a episodi psicotici acuti che possono verificarsi nel 5-30% dei pazienti. I sintomi o i disturbi affettivi sono le caratteristi-che cliniche più importanti. Può verificarsi delirium e il rischio di suicidio potrebbe essere aumentato. I fattori predittivi significativi sono dosag-gio di prednisone oltre 40 mg/die, specie se la dose è aggiustata per il peso, e storia di disturbi psichiatrici. Quando la riduzione del dosaggio di glucocorticoidi non è sufficiente a controllare la sintomatologia, la terapia farmacologica si basa principalmente su antipsicotici atipici quali olanzapina. Gli studi sulle complicanze neuropsichiatriche dei glucocorticoidi presentano risultati diversi ed eterogenei. Futuri studi clinici pro-spettici dovrebbero basarsi su una stretta collaborazione tra i medici e sulla consulenza degli psichiatri. Questa cooperazione è necessaria per una gestione ottimizzata dei pazienti che ricevono glucocorticoidi.

A cura di Raimondo Russo

The cost-effectiveness of periodic safety update reports for biologicals in Europe.

Clin Pharmacol Ther May 2013; 93(5) :433-42 Abstract We analyzed the cost-effectiveness of all Periodic Safety Update Reports (PSURs) submitted for biologicals in Europe from 1995 to 2009 by comparing two regulatory scenarios: full regulation (PSUR reporting) and limited regulation (no PSUR reporting, but all other parts of the phar-macovigilance framework remain in place). During this period, PSUR reporting resulted in the detection of 2 out of a total of 24 urgent safety issues for biologicals: (i) distant spread of botulinum toxin and (ii) edema/fluid collection associated with off-label use of dibotermin-alfa. We used Markov-chain life tables to calculate costs and health effects of PSURs. The incremental cost-effectiveness ratio (ICER) of full regu-lation (PSUR reporting) vs. limited regulation (no PSUR reporting) for the base-case scenario was \[euro]342,110 per quality-adjusted life year (QALY) gained. It is possible to assess the cost-effectiveness of regulatory requirements using the same methods as those used in assessing the cost-effectiveness of medical interventions.

A cura di Raimondo Russo

I BENEFICI DELLA CERTIFICAZIONE QUALITÀ - ISO 9001FARMACOVIGILANZAIl Regolamento 520/2012 della Commissione Europea indica i Requisiti minimi del Sistemadi Qualità per lo svolgimento dellʼattività di farmacovigilanza e la Guideline EMAon Pharmacovigilance Practices richiama espressamente la norma ISO 9001 tra gli standardper la costruzione del Sistema.

RIDUZIONE DELLE FIDEiUSSIONI NELLE GARE OSPEDALIEREIl codice degli appalti pubblici (D. Lgs 163/06) ha previsto incentivi per aziende in possessodella certificazione ISO 9001.In particolare, lʼarticolo 75 del Decreto riconosce alle aziende in possesso della certificazionedel Sistema Qualità ai sensi della norma ISO 9001 una riduzione del 50% sullʼimportodelle fideiussioni a garanzia dell'offerta.

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Bouvy JC, Ebbers HC, Schellekens H, Koopmanschap MA

Evaluation of awareness about pharmacovigilance and adverse drug reaction monitoring in resident doctors of a tertiary care teaching hospital. Pimpalkhute SA, Jaiswal KM, Sontakke SD, Bajait CS, Gaikwad A Indian J Med Sci ; 66(3-4) :55-61 Abstract Adverse drug reactions (ADRs) are associated with significant morbidity and mortality and have a major impact on public health. Pharmacovigilance helps in early detection of ADRs and identification of risk factors. Underreporting of ADRs can be improved by imparting knowledge regarding pharmacovigilance to healthcare professionals. This study was aimed at investigating the knowledge and attitude of resident doctors about ADR reporting and suggesting possible ways of improving ADR reporting. Ma-terials and Methods: This study was a cross-sectional, questionnaire-based survey conducted in a tertiary care teaching hospital. The respondents were resident doctors. Study instrument was a self-developed, pre-validated, semi-structured questionnaire consisting of open- and close-ended items. Results: A total of 84 questionnaires were considered for analysis, giving a response rate of 93.33%. In all, 64.28% of the respondents were aware about pharmacovigilance, 52.38% were aware of ADR reporting system in India, 83.33% opined that only serious ADR with any medicine should be reported, and 35.72% believed that ADRs should be reported only for newly marketed agents. Although 67.85% of respondents observed an ADR, only 25% reported it; 44.04% were aware about the complete procedure of ADR reporting. General attitude of the respondents about ADR reporting was as follows: ADR reporting should be compulsory (15.19%), volun-tary (41.66%), remunerated (3.57%), identity of prescriber should be concealed (21.42%), and identity of reporter should be con-cealed (29.7%). Conclusion: Increasing awareness about pharmacovigilance will be helpful in improving the status of ADR re-porting. Other measures such as making ADR reporting guidelines available in the form of booklets and displaying posters can also play a useful role.

A cura di Raimondo Russo

Anno VIII numero 43 Pagina 37

No differences between men and women in adverse drug reactions related to psychotropic drugs: a survey from France, Italy and Spain. D'Incau P, Lapeyre-Mestre M, Carvajal A, Donati M, Salado I, Rodriguez L, Sáinz M, Escudero A, Conforti A Fundam Clin Phar-macol Apr 2013; Abstract A large number of studies have suggested that being a woman represents a potential risk factor for the development of adverse drug reactions (ADRs). The aim of this study is to further explore the differences between men and women with regard to re-ported ADRs, particularly those associated with psychotropic drugs. We used spontaneous reports of suspected ADRs collected by Midi-Pyrénées (France), Veneto (Italy) and Castilla y León (Spain) Regional Pharmacovigilance Centres (January 2007-December 2009). All the reports including a psychotropic medica-tion were selected in a first step; age distribution, seriousness and type of ADRs were compared between men and women. Re-ports of non-psychotropic drugs were similarly identified and treated. The absolute number of reports and the proportion, considering population, were higher in women than in men. This was ob-served for all reports, but was particularly higher for psychotropic drugs (592 vs. 375; p < 0.001) than for non-psychotropic drugs (5193 vs. 4035; p < 0.001). Antidepressants were the most reported (women, 303; men, 141; p < 0.001); the reporting rates (number of reports divided by exposed patients in the same period, estimated through sales data) for these drugs, however, were not significantly different between women (0.87 cases per 10 000 treated persons per year) and men (0.81 cases per 10 000 treated persons per year). Although there was a higher number of reports of ADRs in women, ADR reporting rates might be similar as highlighted by the case of antidepressants. Antidepressant ADRs in fact were similarly reported in men and in women. Gender differences are sometimes subtle and difficult to explore. International networks, as the one established for this study, do contribute to better analyze problems associated with medica-tions.

A cura di Raimondo Russo

Anno VIII numero 43 Pagina 38

Alterazioni nella percezione dei colori indotta da farmaci

Le alterazioni nella percezione dei colori possono derivare da disturbi oculari, neurologici o metabolici. Talvolta, possono essere indotte dai farmaci. Sulla rivista Prescrire è stato pubblicato un articolo che focalizza l’attenzione su questa problematica. Eccone una sintesi.

Disturbi transitori della percezione dei colori sono stati segnalati con sildenafil. In una revisione e meta-analisi di 14 trial clinici effettuati su 3780 pazienti, i disturbi della visione si sono manifestati nel 3% dei pazienti trattati ad una dose di 25-100 mg versus 0,8% nel gruppo e-sposto a placebo. I colori percepiti tendono verso tinte blu o blu-verdastro (la cosiddetta “visione blu”). Questi disturbi si manifestano di solito 1-2 ore dopo l’assunzione del sildenafil, sono reversibili e scompaiono solitamente nell’arco di 3-6 ore. Gli effetti del sildenafil sulla retina sono dose-dipendenti e sono legati all’effetto inibitorio del sildenafil sulle fosfodiesterasi presenti nella retina. Non è stata riscontrata associazione tra inibitori della fosfodiesterasi e danni oculari di grado severo; tuttavia, è bene rivolgere una particolare attenzione ai pazienti con problemi degenerativi della retina che intendono assumere tali farmaci. Alterazioni della visione sono state riportate anche per il vardenafil e per il tada-lafil che provoca cianopsia (visione blu), anche se con frequenza minore rispetto al sildenafil.

La digossina presenta un intervallo terapeutico ristretto. Un segno precoce del sovradosaggio è rappresentato dall’alterata visione dei colori, con una predominanza di giallo (più raramente verde, rosso, marrone, blu o bianco). Quando si manifestano sintomi di sovradosaggio è necessario misurare i livelli ematici di digossina, aggiustare la dose e monitorare attentamente il paziente.

L’acido tranexamico, un agente antifibrinolitico, può causare danni retinici associati a disturbi visivi, tra i quali l’alterata percezione dei colori. Questi disturbi spesso si risolvono nell’arco di pochi giorni dalla sospensione del farmaco, ma raramente può persistere qualche distur-bo in condizioni di poca luce. Visione a tinte gialle è stata invece riscontrata con l’utilizzo di due diuretici: l’idroclorotiazide e la furosemide.

L’interferone alfa può provocare danni alla retina. Sono stati descritti, anche se rari, casi di diminuzione severa ed irreversibile dell’acutezza visiva e alterazione del campo visivo. La frequenza di disturbi oculari sintomatici/asintomatici nei pazienti che ricevevano interfe-rone alfa (pegilato e non) è stata stimata tra il 20% e l’80% nei primi tre mesi di trattamento.

La didanosina, un farmaco antiretrovirale, può danneggiare la retina e il nervo ottico. Sono consigliati follow-up oculistici annuali. L’etambutolo può causare neuropatia ottica con un’incidenza tra l’1% e il 18%, in base alla dose giornaliera assunta, durante cicli di trat-

tamento della durata > 2 mesi. Questi disturbi possono riguardare l’acutezza della visione, il campo visivo e la percezione dei colori soprattut-to del rosso e del verde; di solito regrediscono nell’arco di settimane o mesi anche se a volte i danni sono irreversibili. Anche l’isoniazide sem-bra causare neuropatia ottica.

I chinoloni, l’acidonalidixico e la flumechina hanno effetti collaterali di tipo neurosensoriali, tra i quali visione offuscata e cianopsia transi-toria. Casi di neuropatia ottica sono stati imputati al linezolid, un farmaco in grado di determinare neuropatia periferica quando utilizzato per trattamenti che durano oltre 28 giorni. Il meccanismo può essere legato all’inibizione della sintesi proteica mitocondriale. Inoltre al metronida-zolo sono stati correlati casi di neuropatia ottica, che porta ad alterazione della visione a colori, riduzione dell’acutezza visiva e scotomi. Un deficit residuo può talvolta permanere anche dopo la sospensione del farmaco. Gli antifungini imidazolici, come il voriconazolo, possono alte-rare la visione dei colori.

La clorochina può danneggiare la retina, soprattutto nei trattamenti a lungo termine e ad alte dosi. Questi danni si manifestano con visio-ne offuscata, difficoltà nel mettere a fuoco, alterazione della percezione dei colori e diminuzione severa dell’acutezza visiva. Questi disturbi possono permanere o addirittura peggiorare una volta sospeso il farmaco. L’overdose da chinina può provocare tossicità a livello oculare. In uno studio su 165 pazienti con sovradosaggio acuto di chinina, il 42% ha manifestato disturbi visivi, quali visione offuscata, alterazione della visione dei colori e dei campi visivi e cecità. Deficit residui possono persistere anche dopo la sospensione del farmaco. I meccanismi eziologi-ci coinvolti includono un danno vascolare e un’azione tossica diretta sulla retina.

La deferoxamina può causare disturbi visivi, specialmente se usato a dosi elevate e per lunghi periodi. Questi disturbi includono catarat-ta, neuropatia ottica e alterazioni della visione periferica, di quella notturna e dei colori e di norma si risolvono.

FANS, quali l’indometacina ed i suoi derivati, possono provocare neuropatia ottica e alterata visione dei colori. L’idrossiclorochina viene usata a volte nella terapia dell’artrite reumatoide, e come la clorochina può causare retinopatia e alterata percezione dei colori.

Alterata percezione dei colori è stata associata alla carbamazepina ed è dovuta principalmente al danno retinico. Le fenotiazine possono causare disturbi della pigmentazione retinica, fenomeno dipendente dalla dose e dalla durata. Disturbi della percezione dei colori sono stati descritti anche come visione a tinte marroni dovute alla tioridazina ed il fenomeno può anche peggiorare dopo la sospensione del farmaco. Gli inibitori delle mono-amino-ossidasi possono causare danni oculari irreversibili.

L’isotretinoina può indurre alterazioni in tutte le mucose ed epiteli compresi i componenti dell’occhio. Sono state descritte molte reazioni avverse oculari tra cui rare alterazioni nella percezione dei colori risoltesi poi alla sospensione del farmaco.

Il dimenidrinato è un antistaminico che altera la distinzione dei colori. Il disulfiram invece può causare neuropatia periferica, neuropatia e atrofia ottica. E’ stata descritta un’alterazione della percezione dei

colori che persisteva anche fino a due anni dopo la sospensione del farmaco.

A cura di Raimondo Russo

Anno VIII numero 43 Pagina 39

CONTRIBUTO DEI PAZIENTI ALLA RILEVAZIONE DI SEGNALI DI SAFETY HOW DO PATIENTS CONTRIBUTE TO SIGNAL DETECTION? A RETROSPECTIVE ANALYSIS OF SPONTANEOUS REPORTING OF ADVERSE DRUG REACTIONS IN THE UK’S YELLOW

CARD SCHEME Hazell L, Cornelius V, Hannaford P, et al. Drug Safety, pubblicato on line il 27 febbraio 2013 CONTESTO Nel 2005, la segnalazione spontanea delle reazioni avverse da farmaci (ADR) allo Yellow Card Scheme (YCS) del Regno Unito è stata estesa per includere i report dei pazienti. In questo articolo si indaga l'impatto potenziale delle segnalazioni fatte dai pazienti sulla farmacovigilanza. OBIETTIVI Lo scopo di questo studio è stato quello di indagare il contributo relativo delle segnalazioni dei pazienti alla rilevazio-ne del segnale attraverso l'analisi di disproporzionalità. METODI Sono stati analizzati i dati da tutte le segnalazioni presentate direttamente allo YCS tra l'ottobre 2005 e il settembre 2007. Sono stati creati tre set di dati di coppie farmaco-ADR: uno per i report dai pazienti, uno per i report dagli operatori sanitari (HCP) e uno per tutti i report combinati. E’ stato utilizzato il metodo del Proportional Reporting Ratio (PRR) per identificare i se-gnali di disproporzionalità (SDR) per ogni set di dati. Sono stati confrontati i numeri di DSP identificati dalle segnalazioni dei pa-zienti e degli HCP, così come il tipo di ADR e farmaco sospetto coinvolto. E’ stata condotta un’analisi di sensibilità per esaminare come la combinazione tra le segnalazioni di pazienti e HCP possa influenzare gli SDR individuati. RISULTATI I dati ricevuti riguardavano 5180 report di pazienti e 20.949 report di HCP, per 16.566 e 28.775 coppie farmaco-ADR, rispettivamente, con 4340 coppie (10,6%) riscontrate in entrambi i set di dati. Una percentuale significativamente più eleva-ta di SDR individuati da report di HCP riguardava reazioni classificate come gravi dalla Medicines and Healthcare products Re-gulatory Agency (MHRA) rispetto ai report dei pazienti (n 931, 48,0% vs n 185, 28,5%), o coinvolgeva farmaci di recente com-mercializzazione (n 596, 30,7% vs n 71, 10,9%). La percentuale di SDR valutati come non elencati nel Riassunto delle Caratteri-stiche del Prodotto (RCP) era simile nei gruppi (~15%, sulla base di un campione casuale). Dopo aver combinato i report di pa-zienti e HCP, 278 (~11%) degli SDR identificati nell’analisi separata non rispondevano più ai criteri di SDR, comprese 12 ADR gravi non incluse nel RCP. D'altra parte, l'insieme di dati combinati identificava ulteriori 508 SDR che non erano stati identificati quando le segnalazioni di pazienti e HCP erano state analizzate separatamente. Circa il 10% (n 47) di questi SDR supplementari sono stati valutati come reazioni avverse gravi che non erano elencate nel RCP. CONCLUSIONI Anche se questo studio è limitato all’esperienza del Regno Unito, nel complesso i risultati suggeriscono che le segnalazioni dei pazienti possono fornire un contributo positivo complementare a quella degli operatori sanitari. Le segnalazioni dei pazienti possono contribuire in modo importante alla sicurezza dei farmaci, individuando diversi SDR non desunti dai soli report degli HCP. La combinazione delle segnalazioni di pazienti e operatori sanitari, tuttavia, quando utilizzata ai fini della rileva-zione del segnale mediante analisi di disproporzionalità, può causare la perdita di alcune informazioni. Una possibile strategia è quella di condurre tali analisi utilizzando i report di pazienti e operatori sanitari insieme e separatamente per ogni gruppo.

A cura di Raimondo Russo

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CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente: Marco Romano VVice—presidente: Anna Piccolboni SSegretario: Salvatore Bianco TTesoriere: Luigi Godi Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo. Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo CComitato editoriale: Giovanni Abramo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo, Francesco De Tomasi, Luciano M. Fuccella, Marco Romano Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni SSegreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected]

Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Abramo - [email protected] Domenico Barone - [email protected] Salvatore Bianco - [email protected] Elena Bresciani - [email protected] Sergio Caroli - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected]

Francesco De Tomasi - [email protected] Roberto Di Virgilio - [email protected] Luciano M. Fuccella - [email protected] Luigi Godi - [email protected] GiovanBattista Leproux - [email protected] Fabio Montanaro - [email protected] Raimondo Russo - [email protected]

Ecco gli undici consiglieri du-rante la prima riunione dello scorso 6 maggio 2014. Seduti al tavolo (da sinistra):

Luigi GODI, Anna PICCOLBONI, Marco ROMANO, Salvatore BIANCO. In piedi (da sinistra):

Giuseppe ASSOGNA Sergio CAROLI Rossana BENETTI Marie-Georges BESSE Gianni DE CRESCENZO Domenico CRISCUOLO

NUOVI SOCI BASSANINI STEFANIA NOVARTIS FARMA

BERNAREGGI MICAELA JANSSEN-CILAG

CICERONE MARINA Comitato Etico Policlinico Gemelli

CILIA EMANUELE CSS-MENDEL

DEL FIACCO MATTEO ALCON

DI LAURO ESTHER JANSSEN-CILAG

GATTI BRUNELLA JANSSEN-CILAG

LEONARDO ROSALIA JANSSEN-CILAG

MERCADANTE DOMENICO DI RENZO

PORPIGLIA PASQUALE ALBERTO NOVARTIS FARMA

PREVITALI EMANUELA Libero Professionista

RAICHUK IULIIA ALCON

RANDAZZO NAOMI ALCON

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