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IALE
SPEC
IALE
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IALEIRRORATRICI
SPECIALE
Macchine Agricole maggio 2007
Domenico Pessina, Davide Facchinetti
I parametri per una scelta attenta e ragionata; uno sguardo sulle novità più interessanti.
Il punto sulle irroratrici
Le macchine per la distribuzione di agrofarmaci, anche dette “macchine irroratrici”, possono essere classificate in macro-categorie, in base alle modalità di polverizzazione della miscela e di trasporto delle gocce. Sono deputate a polverizzare meccanicamente una miscela di acqua e principio attivo, distribuendola poi sul bersaglio. Le più diffuse sono denominate “barre irroratrici”, e producono una polverizzazione meccanica, per pressione. Esistono anche altre macchine, caratterizzate sempre da
polverizzazione meccanica, che è però generata per reazione centrifuga, e poi ancora umettatrici e barre gocciolanti. I tipi più sofisticati sono invece dotati di apparati eiettori a due fluidi, dei quali il primo è la miscela da distribuire, mentre l’altro è rappresentato dall’aria che serve a seconda dei casi, a trasportare la miscela verso il bersaglio, oppure anche a frantumare la vena liquida e a generare le gocce. Queste macchine sono definite “atomizzatori”: con maggior dettaglio, possono essere ulteriormente classificate in
modelli a polverizzazione
meccanica (per pressione e trasporto della miscela con corrente d’aria) e modelli “pneumatici”, detti comunemente anche nebulizzatori, nei quali la corrente d’aria generata da un potente ventilatore provvede sia alla polverizzazione che al trasporto della miscela. Ci sono poi irroratrici ad aeroconvezione rotative (sono presenti peraltro pochissimi modelli sul mercato), e generatori di aerosol o “fogger”. Generalmente, le barre irroratrici non devono vincere
la forza di gravità per portare il prodotto a bersaglio, e quindi non hanno bisogno di una corrente d’aria atta al trasporto delle goccioline; gli atomizzatori invece utilizzano proprio un flusso d’aria appositamente creato per far arrivare il prodotto sul bersaglio (e purtroppo a volte anche ben oltre). La classificazione illustrata non è però valida in tutti i casi: da alcuni anni sono infatti in commercio barre irroratrici dotate di “manichetta ad aria”, così come viceversa operano sul territorio vecchi modelli di irroratrici utilizzate per trattamenti
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di colture arboree (come i vigneti) che non utilizzano una corrente d’aria, in quanto costituite essenzialmente da una doppia barra operante in verticale. Le irroratrici non vengono utilizzate in esclusiva per l’esecuzione di trattamenti fitosanitari, ma sono anche impiegate (sempre più spesso) per la concimazione fogliare.
Lo scopo dei trattamenti fitosanitariDal punto di vista agronomico, il principale obiettivo da raggiungere operando con le macchine per la distribuzione di prodotti fitosanitari in forma liquida, è quello di
distribuire la quantità di principio attivo prevista, con la massima uniformità possibile, massimizzando la quota a bersaglio (cioè la parte che giunge sulla coltura, nel caso dell’effettuazione di trattamenti fitosanitari, o sul terreno nudo nel caso dei diserbi in pre-emergenza), minimizzando al contempo le inevitabili perdite nell’atmosfera che si verificano: a causa della deriva dovuta a correnti d’aria (fig. 1); per evaporazione della miscela, specie con alte temperature; per percolazione della miscela irrorata dalla vegetazione o per prodotto
erroneamente distribuito fuori bersaglio. Operando con attenzione con una moderna barra irroratrice, in buono stato di manutenzione, è
relativamente facile ottenere risultati più che soddisfacenti. Viceversa, con un atomizzatore la situazione si complica notevolmente: con quest’ultimo
Fig. 1 - Il fenomeno della deriva causa notevoli perdite di miscela nell’atmosfera.
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caso, nella normale operatività
si verifica infatti una molteplicità
di situazioni non riscontrabili con
le barre irroratrici. Generalmente,
con una barra irroratrice si opera
su bersagli distanti 50-100 cm dalla
barra e sotto di essa: in virtù della
forza di gravità, le gocce irrorate si
dirigono già naturalmente verso
il bersaglio, aiutate poi dall’energia
cinetica derivante dalla pressione
con la quale vengono espulse
attraverso l’ugello. Invece, con
il medesimo atomizzatore può
essere necessario dover irrorare sia
un vigneto a spalliera praticamente
spoglio (con la parete vegetativa
distante magari poche decine di
cm dagli ugelli), sia la parte apicale
di un pioppo o di un melo a vaso,
distante diversi metri in verticale,
per di più in presenza di una
vegetazione molto fitta (fig. 2). È
del tutto evidente che nel primo
caso sarà opportuna una corrente
d’aria molto debole, mentre nel
secondo sarà necessario un flusso
con portata e velocità elevate.
Cesari (1998) ha calcolato che
la “dose” di principio attivo può
essere ridotta anche del 20-25 %
in virtù della corretta regolazione
della macchina, grazie alla
quale la riduzione delle perdite
fuori bersaglio può arrivare al
50 %, ottenendo al contempo
una migliore copertura, specie
adottando bassi volumi di miscela.
Fortunatamente, sono sempre
più numerose le macchine
irroratrici dotate di sistemi in
grado di adattare le modalità di
Efficacia EffEttiva fig. 2 a e b – Diversa è l’operatività di un atomizzatore in presenza di vegetazione scarsa o rigogliosa; nel primo caso le perdite per deriva sono notevoli.
volume irrorato
perditefuori
bersaglio
dispersionisu
bersaglioeccessivoaccumulo
dilavamento
gocciolamentoa terra
depositoefficace
depositoutilizzato
volu
me
effic
ace
deriva
evaporazione
a terra
fig. 3 – Dettaglio di un gruppo di distribuzione DPM (Distribuzione Proporzionale al regime Motore).
tipico diagramma di destinazione del prodotto irrorato.
Una serie di autorevoli ricerche internazionali (tra le quali la più famosa è certamente quella di Matthews, 1979) ha adeguatamente messo in evidenza come, operando con un atomizzatore su vigneto o frutteto, in condizione di vegetazione molto sviluppata, solamente una piccolissima frazione del prodotto irrorato (secondo alcuni pari a solamente il 2-3 %) giunge a bersaglio e soprattutto viene proficuamente utilizzata dal punto di vista biologico. Perdite e dispersioni sono quindi di elevatissima entità: è da considerare che
non solo la quantità di prodotto che va correttamente a «bersaglio» è minima, ma che un’altra quota viene sovrapposta alla precedente, risultando inutile o addirittura fitotossica. È da tenere ben presente che le dosi di agrofarmaco ed acqua generalmente consigliate in
etichetta vengono stabilite aggiungendo al quantitativo necessario le “normali” dispersioni; massimizzare quindi la quantità di prodotto a bersaglio può assicurare un’efficacia fitosanitaria equivalente del trattamento sia con un minore utilizzo di acqua, sia soprattutto di principio attivo, con un sicuro risparmio economico, a volte considerevole.
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irrorazione del flusso alla forma e
alla densità della coltura, nonché
alla posizione del bersaglio
rispetto alla macchina, così da
migliorare la penetrazione nella
vegetazione, la sua copertura
e diminuire le perdite a terra.
Anche i sistemi meccanici o
elettronici per adeguare la portata
del prodotto da distribuire alla
velocità di avanzamento riescono
a mantenere praticamente
costante la quantità di prodotto
distribuita sull’unità di superficie.
Per ottimizzare l’efficacia
del trattamento fitosanitario,
bisogna inoltre attuare la
miglior tempestività d’azione,
conoscendo le modalità di azione
del principio attivo impiegato;
essere consapevoli delle migliori
tecnologie utilizzabili, in relazione
alla situazione agronomica
della coltura; conoscere a
fondo le proprie attrezzature,
in particolare le regolazioni
possibili (fig. 3). Purtroppo, gran
parte delle macchine irroratrici
attualmente all’opera non
risultano essere più appropriate,
sia a causa della scarsa
manutenzione e/o della loro
notevole obsolescenza tecnica
(fig. 4), sia per il diffuso utilizzo
di macchine e/o regolazioni
che comportano l’erogazione di
correnti d’aria eccessive, che
provocano notevole deriva. Tra
l’altro, ciò si traduce in un inutile
consumo di energia, e quindi di
combustibile.
La concentrazione del principio attivoUn'eccessiva diluizione del p.a.
(principio attivo) nel veicolante
(l'acqua) potrebbe portare ad una
sua parziale o totale inefficacia,
mentre elevate concentrazioni
potrebbero generare fenomeni di
fitotossicità. Gocce con diametri
compresi tra 100 e 350 µm
(micron), che portino ad una
densità di almeno 100 impatti
per cm2, sono ideali per p.a. che
agiscono per contatto. Viceversa,
per trattamenti insetticidi
dove il p.a. viene ingerito, pur
risultando comunque importante
curare la densità e l’uniformità
dell’applicazione, il parametro
maggiormente determinante
per la riuscita del trattamento
è la sua concentrazione,
che deve essere più elevata
possibile. Nel caso invece di
trattamenti biologici effettuati
con Bacillus Thuringiensis,
l’efficacia ottimale è ottenuta
con elevati volumi di miscela,
e quindi basse concentrazioni.
Da non dimenticare che anche
i coformulanti (adesivanti,
antievaporanti, emulsionanti)
possono favorire il successo del
trattamento, limitando fenomeni
sfavorevoli e/o esaltando effetti
voluti.
Dimensione delle gocceÈ ormai fuor di dubbio che gocce
più grandi (utilizzate con gli alti
volumi) determinano una minore
efficacia fitosanitaria; il passaggio
da gocce di 500 μm a 200 μm di
diametro porta ad un raddoppio
dell'efficacia dell'intervento.
Riducendo le gocce a 100 μm,
si ottiene un ulteriore aumento
del 18-20%. Operare con gocce
più piccole rende più arduo il
controllo delle perdite per deriva
e per evaporazione, specie in
presenza di forti correnti d’aria.
Peraltro, le gocce più grandi
(> 500 μm) hanno una minore
adesività e sono quindi causa di
maggiori perdite per ruscellamento
dalle foglie per il conseguente
gocciolamento a terra. Inoltre,
la loro notevole inerzia, unita ad
un'alta resistenza aerodinamica,
ne pregiudica in modo notevole la
capacità di penetrazione all’interno
delle masse vegetali. In ogni
caso, la deriva è il fenomeno più
difficile da limitare: pertanto, le
gocce finissime (< 100 μm) sono
assolutamente da evitare.
Eso- ED EnDo-FarMacII principi attivi utilizzati nei prodotti fitosanitari si dividono in eso- ed endo-farmaci. I primi vengono applicati all’esterno della pianta, e non sono in grado di attraversarne la cuticola, per penetrare poi all’interno dei tessuti vegetali; esercitano quindi un’azione soltanto preventiva, per cui il trattamento dovrà essere effettuato nei momenti più opportuni e in maniera tempestiva. In tal caso, la vegetazione protetta sarà solo quella direttamente a contatto con il p.a. (principio attivo); l’azione curativa sarà attiva soltanto in presenza di patogeni che si sviluppano esternamente alla pianta. Gli endofarmaci riescono invece a traslocare all’interno dei tessuti vegetali, e risultano efficaci anche su patogeni insediati all’interno della coltura. Pertanto, la tempestività di intervento e una perfetta copertura non sono imperativi per questi p.a. A loro volta, gli endofarmaci possono essere classificati in diverse categorie, a seconda delle modalità di traslocazione:- sono “citotropici”, se possono compiere percorsi inter- o intra-cellulari, limitatamente alla zona adiacente alla penetrazione; - sono “translaminari”, se sono in grado di passare dall’una all’altra delle due pagine fogliari; - sono “sistemici”, se sono trasferiti in ogni organo della pianta mediante la circolazione linfatica.Gli endofarmaci comportano un vantaggio importante, e cioè che la loro penetrazione all’interno della coltura evita perdite di prodotto per dilavamento nell’eventualità di piogge successive al trattamento.
Fig. 4 – Una tipica barra irroratrice obsoleta, dalla manutenzione trascurata.
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Il volume di miscelaCon “volume” si intende
comunemente il quantitativo
di liquido (acqua + formulato +
eventuali coadiuvanti) distribuito
su una determinata superficie
unitaria (generalmente 1 ha),
seppur in certi casi il medesimo
termine possa riferirsi a parametri
quali il volume d'aria soffiato
da una ventola o la quantità di
vegetazione. L’acqua non ha
realmente una funzione attiva, ma
funge da “veicolo” per il p.a., in
pratica con lo scopo di distribuire
il più uniformemente possibile una
certa quantità di formulato su una
determinata superficie. I termini
“alto”, “medio”, “basso”, “molto
basso” e “ultra basso”, se correlati
al volume, indicano solitamente
una quantità (approssimativa) di
miscela distribuita su 1 ha, ma si
caratterizzano con valori numerici
molto differenti, se riferiti di volta
in volta a trattamenti su terreno
nudo, su colture erbacee o su
colture arboree (tab. 1).
Una corretta scelta del “volume”
da distribuire deve quindi
considerare:
- le caratteristiche di deposizione
del formulato utilizzato;
- il tipo di applicazione;
- le caratteristiche dimensionali
del bersaglio (posizione, distanza,
spessore della chioma);
- le condizioni meteorologiche.
È però importante considerare
anche il costo totale
dell'effettuazione dei trattamenti,
che aumenta proporzionalmente
insieme ai volumi, dati i
maggiori tempi necessari per
la preparazione della miscela,
il ripetuto riempimento del
serbatoio, e il relativo trasporto
fino alla zona di operatività
(se non è disponibile acqua in
loco). È relativamente semplice
determinare il minimo volume
necessario per “coprire” un
terreno nudo (ad esempio per
diserbi in pre-emergenza),
mentre la difficoltà aumenta
quando si devono trattare delle
superfici fogliari di una parete
complessa. Fino a pochi anni fa
(ma accade ancora oggi, in certi
comprensori) il volume utilizzato
era assolutamente esagerato; oggi
si sta assistendo ad un’auspiscabile
riduzione, con risvolti positivi
sia dal punto di vista economico,
che da quello tecnico/ambientale.
L'aumento della concentrazione
della miscela porta al problema
del (ri)calcolo dei dosaggi sulla
base delle informazioni fornite sul
prodotto: purtroppo, ancora oggi
spesso le etichette definiscono
la concentrazione (o la dose) ad
ettolitro, ed è quindi necessario
correlare tale valore con un
determinato volume di riferimento,
sempre riportato in etichetta
(fig. 5). Se, addirittura, neppure
questa informazione è fornita,
bisogna rifarsi ad una vecchia regola,
cioè quella del “volume standard”,
che è riferito a 1000 l/ha per i vigneti
e 1500 l/ha per i frutteti.
Ad esempio:
- dose in etichetta: 600 g/hl;
- volume di riferimento: 1000 l/ha
(= 10 hl/ha)
- dose ad ettaro: 600 g/hl x 10 hl/ha
= 6000 g/ha
- volume realmente distribuito:
3 hl/ha
- dose da miscelare: 6000 g/ha /
3 hl/ha = 2000 g/hl (= 2 kg/ha)
Per le barre irroratrici, alcune
ricerche hanno accertato
che i valori più consoni per la
massimizzazione dell’efficacia dei
trattamenti rientrano all’interno
degli intervalli illustrati in tab. 2.
Per quanto riguarda gli
atomizzatori, la situazione
sull'intero territorio nazionale
è troppo difforme (sia per le
forme di impianto e le cultivar
utilizzate, sia per quanto riguarda
la meteorologia), e risulta
quindi davvero impossibile
la preparazione di un quadro
universalmente valido. Basti
pensare al riguardo che i volumi
possono variare da un minimo
di 50 l/ha (per nebulizzatori
pneumatici che intervengono ai
primi stadi vegetativi, ad esempio
su vigneti o frutteti a spalliera),
fino ad oltre 20 volte tanto (> 1000
l/ha), per atomizzatori tradizionali
su frutteti a vaso.
Uniformità di polverizzazioneLa qualità del trattamento,
specie se di copertura, dipende
moltissimo da una corretta
polverizzazione, che deve
primariamente mirare alla massima
uniformità dimensionale possibile
delle gocce e alla migliore stabilità
dell’erogatore rispetto al bersaglio,
per mantenere costante nel
tempo e nello spazio la distanza
Tabella 1 - Quantità di miscela distribuita (riferita all’unità di superficie = 1 ha), in relazione alle comuni definizioni di “volume”, per coltivazioni erbacee e arboree (da Matthews, 1986).Volume Coltureerbaceedipienocampo(l/ha) Colturearboree(l/ha)alto > 600 > 1000medio 200 - 600 500 - 1000basso 50 - 200 200 - 500molto basso 5 - 50 50 - 200ultra basso < 5 < 50
Fig. 5 – Etichetta di un agrofarmaco, con indicazione della dose e del volume di riferimento (EnvIDor®240 sc, Bayer cropscience srl).
Tabella 2 - Volumi di distribuzione massimi ammissibili e consigliati per alcune comuni colture.TipodiColtura Trattamentodiserbante Trattamentofungicida (l/ha) oinsetticida(l/ha)*
massimo** consigliato massimo** consigliatoCereali vernini 400 150-250 500 300Mais, girasole, sorgo 500 pre =150-250 600 400-500 post =300-400Riso 400 150-300 600 250-300Pomodoro, patata 500 300 1000 600-700Barbabietola 400 pre =150 post =300 700 300-400* volumi riferiti al massimo sviluppo vegetativo.** non è consentito superare le dosi massime di sostanza attiva/ha indicate in etichetta.
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maggio 2007 Macchine Agricole 81
tra gli ugelli e la vegetazione.
Per diminuire le oscillazioni in
senso trasversale, sulle irroratrici
trainate è opportuno privilegiare
assi a carreggiata larga, dotati
di pneumatici a bassa pressione
(fig. 6), ed eventualmente dei
sistemi di sospensione. Per le barre
irroratrici, sia su modelli portati
che trainati, è raccomandabile
adottare sistemi stabilizzatori
(fig. 7), che possono essere di
tipo passivo (ormai molto diffusi)
o attivo (purtroppo ancora rari e
molto costosi).
È fondamentale marciare ad una
velocità che sia la più costante
possibile, affinché si mantengano le
condizioni che sono state definite
come “ottimali” in sede di taratura.
Ciò è importante non solo per le
macchine a “pressione costante”,
ma anche per le macchine con
distribuzione proporzionale alla
velocità di avanzamento o al
regime di rotazione della pdp. Per
il mantenimento di una buona
qualità di spruzzo è fondamentale
sostituire periodicamente gli
ugelli ed è corretto effettuare la
loro sostituzione quando erogano
una portata del 10% superiore
rispetto al valore nominale. Il
problema non è tanto l’aumento
della portata, quanto piuttosto il
grave peggioramento della qualità
di spruzzo, con la produzione di
una gamma dimensionale di gocce
estremamente disomogenea, e
una conformazione irregolare della
geometria dello spruzzo (fig. 8). Dal
punto di vista della durata, il miglior
materiale per le punte di spruzzo
è la ceramica, seguito dall’acciaio
temprato, dai polimeri plastici
e infine da ottone e alluminio;
questi ultimi due risultano essere
i materiali dalle prestazioni più
modeste. Anche i filtri rivestono una
notevole importanza per il corretto
funzionamento della macchina,
in quanto riducono l’abrasione
degli ugelli ed evitano fastidiose
occlusioni. Tutti i filtri presenti
sulla macchina (all'ingresso della
cisterna principale, sull'aspirazione
e in mandata della pompa) devono
essere ispezionabili anche a
serbatoio pieno, e caratterizzati da
maglie progressivamente più fitte
lungo il circuito; la dimensione
delle maglie del filtro più selettivo
(quello più a valle nel circuito)
deve logicamente essere inferiore
al diametro del foro degli ugelli.
Anche la pressione di lavoro
è un parametro fondamentale,
considerando che ogni ugello è
progettato per lavorare entro un
determinato intervallo
di pressione, al di fuori
del quale la qualità
dello spruzzo peggiora
(a volte non di poco).
Inoltre, le variazioni
cicliche di pressione
(pulsazioni) delle
pompe volumetriche
vanno minimizzate,
gonfiando adeguatamente
il compensatore (definito
comunemente anche “polmone”)
ad una pressione pari a circa l’80%
di quella di esercizio.
Penetrazione della miscela nella massa vegetaleIl trasporto e la penetrazione
del prodotto all’interno
della vegetazione è la fase
probabilmente più difficile da
controllare. In assenza di un
ventilatore, ovvero usando
le “vecchie” barre irroratrici
disposte in verticale, si ottiene
una ridottissima penetrazione,
cui si cerca di ovviare adottando
pressioni di esercizio spesso
superiori a 50 bar, onde caricare
di una notevole energia il getto
di acqua. Questa tecnica è
però deleteria, perché prevede
l'adozione di volumi molto alti,
generando allo stesso tempo
elevato percolamento a terra e
gocce finissime estremamente
soggette all’effetto deriva. È
quindi evidente che per effettuare
un buon trattamento su piante
arboree in piena vegetazione è
sempre necessario l’ausilio di
una corrente di aria, che realizza
il trasporto della miscela. La
soluzione del problema prevede
che il flusso d’aria trasporti le
gocce sulla e all'interno della
vegetazione da trattare, senza
però passare oltre; il getto d’aria
va poi possibilmente direzionato
solo dove si vuole applicare il
prodotto, anche perché l’aria
fuori bersaglio genera comunque
Fig. 7 – I sistemi di stabilizzazione passiva sulle barre irroratrici hanno una notevole inerzia, che causa problemi in caso di terreno accidentato e con larghezze di lavoro notevoli.
Fig. 6 – Un atomizzatore equipaggiato con pneumatici larghi; i solchi creati dal passaggio del trattore che lo traina sono notevoli, ma l'operatrice non li aggrava.
Fig. 8 – ad una conformazione irregolare della geometria dello spruzzo e ad indesiderati gocciolamenti contribuiscono anche tubazioni mal posizionate.
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Macchine Agricole maggio 200782
turbolenze che si trascinano le
gocce, rappresentando tra l'altro
un dannoso dispendio energetico.
Il mantenere una ridotta distanza
dal bersaglio porta ad una migliore
distribuzione, con un aumento
del 20% circa nella quantità
depositata ed una marcata
riduzione di potenza necessaria al
funzionamento del ventilatore. Nel
lontano 1971 Randall dimostrò che
per una buona penetrazione una
portata d'aria notevole è fattore
molto più favorevole che un'elevata
velocità, poiché dal punto di vista
energetico nel primo caso l'energia
viene maggiormente conservata,
rispetto ad un getto veloce ma
con bassa portata. In pratica,
per stabilire quale sia la velocità
dell’aria ideale caso per caso è utile
fare una semplice verifica pratica,
tecnicamente definita “prova in
bianco” (cioè effettuata con sola
acqua e aria, ma nelle effettive
condizioni di lavoro). Come
indicazione visiva, su un vigneto a
spalliera bisognerebbe regolare il
ventilatore affinché il flusso d'aria
faccia ondeggiare leggermente
le foglie più esterne: a ciò
corrisponde una velocità dell’aria
di circa 2 m/s, che è considerata
sperimentalmente la velocità
limite per la massimizzazione del
deposito fogliare. Su un frutteto
a vaso la cosa si complica, poiché
la penetrazione della miscela
nella parete vegetativa più vicina
agli ugelli e in quella più lontana
sono estremamente differenti. In
tal caso, bisogna operare come
illustrato precedentemente,
osservando però anche le foglie
disposte a circa 2/3 della distanza
tra la macchina e parte distale
della vegetazione: se sono tese
a bandiera, il getto è eccessivo,
e pertanto saranno elevate le
dispersioni di p.a. oltre il bersaglio.
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