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SPECIALE SPAGNA '36 - centrostudilibertari.it · Furio Biagini, Ornella Buti, Rossella Di Leo,...

Date post: 17-Feb-2019
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8 Anniversari: Spagna 1936-1939: libertà, rivoluzione, utopia Anarchivi: Ricordo di Aurelio Chessa Informazioni bibliografiche: La stampa anarchica durante la guerra di Spagna Storia per immagini: Cinema e rivoluzione SPECIALE SPAGNA '36 Memoria storica: Camillo Berneri un anarchico tra Gramsci e Gobetti Album di famiglia: L’anarchismo coreano
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8Anniversari:Spagna 1936-1939:libertà, rivoluzione, utopia

Anarchivi:Ricordo di Aurelio Chessa

Informazionibibliografiche:La stampa anarchicadurante la guerra di Spagna

Storia per immagini:Cinema e rivoluzione

SPECIALE SPAGNA '36

Memoria storica:Camillo Berneriun anarchico tra Gramscie Gobetti

Album di famiglia:L’anarchismo coreano

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Cose nostre• Spagna 1936:l’utopia si fa storia• Piccola autocelebrazione• Quota annua• Valerio Isca

Memoria storicaAnarchivi• Aurelio Chessa,l’impegno di una vitadi F. Biagini• Ricordo di Aureliodi P. Masiello

Memoria storicaAnniversari• Spagna 1936-1939:libertà, rivoluzione, utopiascritti di A. Bertolo, N. Berti,M. Puppini, A. Botti,M. Novarino, C. Venza• Camillo Berneri, un anarchicotra Gramsci e Gobettiscritti di G. Fofi, G. Carrozza,F. Madrid Santos, C. Venza,C. Casucci, M. Scavino• Vestivamo alla milizianadi D. Taddei

Informazioni editorialiBuenaventura Durruti

Informazioni bibliograficheLa stampa anarchica durantela rivoluzione spagnoladi F. Madrid Santos

Attività libertarieArte e anarchia in Svizzera

Storia per immaginiArchivi iconograficiImmagini della rivoluzionedi L. Pezzica

Storia per immaginiFilm• Cinema e CNT• Un autre futurdi L. Pezzica

Album di famigliaAnarchismo coreano:Foto di gruppodi F. Biagini

Hanno collaborato a questo numero, oltre agli autori delle varie schede informative,Furio Biagini, Ornella Buti, Rossella Di Leo, Lorenzo Pezzica per la redazione testi

e la ricerca iconografica, Fabrizio Villa per la redazione grafica.Foto di copertina: Manifesto della CNT-FAI stampato durante la guerra civile spagnola.

Foto quarta di copertina: Un’immagine della festa per il ventennaledel Centro studi libertari/Archivio Pinelli, Milano, 17 settembre 1996.

pagna 1936-1939: libertà, rivoluzione, utopia è iltitolo di un incontro organizzato a Milano dal nostro centrostudi che potrebbe ben essere anche il titolo di questo Bolletti-no, che è infatti in gran parte dedicato alla rivoluzione spagno-la cogliendo l’occasione del 60° anniversario. Molte delle ini-ziative e delle ricerche fatte nel corso dell’anno hanno infattiruotato intorno a queste vicende tornate alla ribalta non tantoper l’anniversario in sé quanto per il dibattito scatenato dall’or-mai famoso film di Ken Loach (più simile negli effetti ottenutia uno psicodramma collettivo che a un’opera cinematografica).Comunque sia, la rottura immaginaria e storiografica provocatada quel film ha consentito di rimettere in discussione eventi, si-tuazioni, personaggi che fino a qualche tempo fa erano statiespulsi dalla memoria della sinistra. È il caso di CamilloBerneri e del suo assassinio ad opera degli stalinisti nel 1937,fatto di cui si è riparlato lo scorso ottobre nella sede del quoti-diano comunista «il manifesto». Un segno che il rimosso neiconfronti di quegli eventi e del ruolo che vi ebbe l’anarchismosi sta dissolvendo e che l’opzione libertaria non appare più, aquella sinistra, come un incubo del passato da seppellire nei piùprofondi meandri dell’inconscio.Questi eventi, tornati sorprendentemente così vicini e sentiti,abbiamo cercato di affrontarli da più punti di vista (riflessionistoriografiche ma anche incursioni nella memoria visiva attra-verso i manifesti e i film dell’epoca), il tutto sempre nello stileconciso proprio al Bollettino, che per elaborazioni più com-plessive rimanda all’ultimo numero della rivista «Volontà»,dedicato agli eventi spagnoli, o ai vari libri usciti sul tema.Per finire, giacché questo numero del Bollettino vi raggiungeràall’inizio del nuovo anno, sono d’obbligo gli auguri. E i doni.O per meglio dire l’invio di quella quota associativa che vichiediamo ogni inizio d’anno per contare su un aiuto concreto,piccolo ma indispensabile, per continuare nelle nostre attività.Ci contiamo».

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4Cose nostre

Spagna1936:

l’utopia sifa storia

È questo il titolo del nuo-vo video sulla rivoluzionespagnola curato dal nostrocentro studi (b/n, 45 mi-nuti, prezzo 25.000 lire).Le immagini di questodocumentario sono stategirate tra il 1936 e il 1937da operatori del Sindicatode la Industria delEspectaculo di Barcellonaaderente alla CNT(Confederaciòn Nacionaldel Trabajo). Finalizzato asollecitare la solidarietàinternazionale antifasci-sta, il commento originaledel documentario, intito-lato Fury over Spain, erain inglese, con una retori-ca modellata sullo scopo.Alla metà degli anni Set-tanta, a cavallo tra il tardofranchismo e il primopost-franchismo, il Comi-tato Spagna Libertaria diMilano ebbe dagli archiviiconografici della CNTcopia di questo filmatoper il quale riscrisse la co-lonna sonora secondo lo«spirito dell’epoca». Il ti-tolo di quella pellicola in

16 mm. era Spagna ’36:un popolo in armi e il fil-mato girò ampiamente inItalia per tutta la secondaparte degli anni Settanta.Vent’anni dopo, il CentroStudi Libertari/Archivio«G. Pinelli» rimette incircolazione questo filma-to (ora in VHS) con unnuovo commento a curadi Pino Cacucci e con levoci di Paolo Rossi eFrancesca Gatto. E con lestesse immagini. Perchéla memoria di un eventostoricamente enorme nonsi perda.

Piccola autocelebrazioneCome preannunciato, il17 settembre scorso conuna gran festa organizzataa Milano nella fraterna at-mosfera dell’Osteria il

Tubetto, una serie di anni-versari, a cominciare dalnostro ventennale, sonostati degnamente celebra-ti, abbondantemente e ge-nerosamente annaffiatidal vino regalato per l’oc-casione da LuigiVeronelli (non nuovo aquesti regali: già nel 1984aveva fatto affluire a Ve-nezia ettolitri di vino ec-cellente per l’incontro in-ternazionale anarchico or-ganizzato quell’anno). Glialtri anniversari da festeg-giare sono stati quelli le-gati alle tre sezioni dellacooperativa Editrice A, ecioè i 50 anni della rivista«Volontà», i 25 anni di«A rivista anarchica» e i10 anni di Elèuthera, tutteiniziative con le quali ilnostro centro studi/archi-vio collabora strettamen-te. Abbiamo cantato conMauro Macario e EnricoMedail le canzoni di LéoFerré, con CesareBermani e BarbaraTenivelli il repertorioanarchico classico, e congli ex Franti le loro can-zoni «metropolitane». Cisiamo divertiti, siamo sta-ti bene insieme, poi ab-biamo pulito e siamo an-dati a casa pronti a rad-doppiare questi anniversa-ri. Buon compleanno atutti!

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Quota annuaAnche nel 1997, come ne-gli anni precedenti, le quo-te d’associazione annua ri-mangono invariate: 30.000lire per la quota ordinaria;60.000 per la quota sosteni-trice; 100.000 per la quotastraordinaria. Tutti i soci ri-ceveranno, come al solito,il bollettino semestralepubblicato dal nostro Ar-chivio e tutte le informa-zioni relative alle attività inprogramma sia del centrostudi che dell’archivio.Come già annunciato, neiprimi mesi del 1997 è pre-vista una riunione dei sociper parlare insieme di pro-grammi a corto e medioperiodo. Per i soci che in-vieranno la quota straordi-naria verrà spedita inomaggio la cassetta videosulla rivoluzione spagnolapresentata poco sopra; per isoci che invieranno la quo-ta sostenitrice verrà speditoin omaggio, a scelta, unodei seguenti titoli di narra-tiva utopica libertaria pub-blicati da Elèuthera:Amberland di P.M. (anoni-mo zurighese, già notocome autore di Bolo Bolo,che ci introduce con unaaggiornatissima e dettaglia-ta guida turistica alle mera-viglie sociali e naturali del-

l’isola di Amberland, pe-raltro inesistente) e Sotto ilBeaubourg di AlbertMeister (serissimo espertod’autogestione che qui sidiverte a inventarsi una im-probabile ma possibile uto-pia autogestionaria insedia-tasi in profondissimi mean-dri sotto quel tempio dellaCultura con la maiuscolache è il Centre Beaubourgdi Parigi). Le quote vannocome sempre inviate sulnostro c/c postale segnatoin quarta di copertina.

Valerio IscaNel giugno scorso è mortoa New York, a 94 annid’età, Valerio Isca, anar-chico siciliano emigratogiovanissimo negli USA.Si era avvicinato al movi-mento durante la campagna

per la liberazione di Saccoe Vanzetti e in quella occa-sione conobbe Ida Pilat,ebrea russa, traduttrice ininglese delle opere diBakunin e di altri autorirussi, che diverrà la compa-gna di tutta la sua vita.Grazie a lei, impegnata nelmovimento anarchicoebraico – movimento con ilquale Isca collaborerà sem-pre – conobbe negli anniTrenta Rudolf Rocker, rifu-giatosi a New York pocodopo l’ascesa di Hitler alpotere in Germania. CosìValerio ricordava quell’in-contro: «Un gruppo dicompagni ebrei mi avevainvitato a una riunione ri-stretta in casa di questo ri-fugiato. Avevo sentito par-lare di lui sovente, avevoletto i suoi articoli su ‘Stu-di Sociali’, il giornale cheLuigi Fabbri pubblicava aMontevideo, e su altre pub-

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blicazioni che a quel temporicevevo. Quell’incontro fuuna rivelazione, l’inizio diuna forte amicizia che sa-rebbe durata fino alla suamorte e il cui ricordo saràcon me fino alla fine» [vediBollettino n.4].Uomo buono, semplice, ge-neroso, Isca è stato per oltremezzo secolo membro delLibertarian Book Club diNew York, una delle sedistoriche del movimentoanarchico newyorchese, eha attivamente collaborato

alle ricerche storiche sulmovimento anarchico ebrai-co e italiano portate avantinel corso degli anni dallostorico americano PaulAvrich.All’Archivio Pinelli Isca hagenerosamente donato di-versi libri e opuscoli, pro-dotti negli Stati Uniti manon solo, e in particolare leopere del suo amicoRocker, come la preziosaautobiografia in tre volumipubblicata in Argentina ne-gli anni Trenta. Di grande

interesse anche le rare fotodel movimento ebraicoamericano, che ci ha donatocon gli occhi pieni di ricordiappassionati. E qui ne pub-blichiamo alcune perché cisembra la forma miglioreper ricordarlo a nostra volta.

A pag. 5: Mohegan Colony,USA 1957 (?); da sinistra adestra: Augustin Souchy,Rudolf Rocker e ArmandoBorghiIn alto: Mohegan Colony,USA 1953; da sinistra adestra: Ida Pilat Isca, MillyRocker, Rebecca Landsman,Polly (?), sorella di MillyRockerSotto: Mohegan Colony, USA1949; pic nic di raccoltafondi per la stampaanarchica del movimentoitalo-americano, da sinistra adestra in piedi: MassimaPirani, Armando Borghi,Rudolf Rocker, PasqualeBuono, (?) Ciccone, FrankLoforese, John Vattuone;sedute: Catherine Ciccone,Sarah Buono, ElviraVattuone, Catina Ciulla, IdaPilat IscaQui sopra: Valerio Isca eFederico Arcos a New York,1993

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ANARCHIVI

Aurelio Chessa, fondatore e responsabiledell’Archivio Famiglia Berneri, è mortoa Rapallo il 26 ottobre 1996. Era nato aPutifigari, in provincia di Sassari, 82anni fa e aveva cominciato ad essere atti-vo nel movimento anarchico già dallafine della seconda guerra mondiale, oc-cupandosi in particolar modo delle ini-ziative culturali ed editoriali. Di profes-sione ferroviere, fu promotore dei Grup-pi anarchici riuniti di Genova assicuran-do per oltre un ventennio l’apertura dellastorica sede di piazza Embriaci. Insiemea Giovanna Caleffi Berneri, la compagnadi Camillo Berneri, collaborò alla pub-blicazione della rivista «Volontà». Peranni fu lui ad assicurare la continuitàeditoriale ed amministrativa della rivista.Nel 1965 fu uno dei promotori dei Grup-pi di iniziativa anarchica e delgiornale «L’Internazionale»,nati dopo la dolorosa scissio-ne della Federazione anar-chica italiana.Alla morte di Giovanna,Aurelio iniziò ad occuparsidell’Archivio FamigliaBerneri, che diventò il fulcrodella sua instancabile attività.Oltre al materiale raccoltodallo stesso Aurelio a partiredal secondo dopoguerra (e aquello di un suo zio chel’aveva avvicinato all’anar-chismo), l’archivio è costitui-to dai libri e dalle carte di

Camillo e Giovanna Berneri, donate dallafiglia Giliana dopo la morte della madre,una fonte importante per lo studio delmovimento anarchico. Parte di questomateriale è stato pubblicato per i tipi delleedizioni Archivio Famiglia Berneri, comei due volumi dell’Epistolario inedito diCamillo Berneri.L’emeroteca conta circa 1500 testate, al-cune di notevole interesse storico come«Cronaca sovversiva», «Il risveglio»,pubblicato a Ginevra da Luigi Bertoni,«Il pensiero», il quotidiano «Umanitànova», «L’adunata dei refrattari»,«Guerra di classe», il giornale pubblica-to a Barcellona da Camillo Berneri, e «Ilmartello», solo per citarne alcuni.La biblioteca conserva invece circa6000 volumi, in gran parte sulla storiadel movimento operaio, sulla rivoluzio-ne spagnola e sulla storia del fuoriusciti-smo antifascista italiano. Ricordiamoche l’archivio ha acquisito nel corso del

tempo altri fondi, tra cui la bi-blioteca del Circolo di studisociali Pietro Gori di GenovaRivarolo. Da segnalare il cata-logo Documenti e periodicidell’Archivio FamigliaBerneri, curato da Sara Polla-stri e Alessandra Giovannini epubblicato nel 1982, che rap-presenta un utile strumento perla consultazione del materialed’archivio.Intensa anche l’attività edito-

Aurelio Chessa, l’impegno di una vitaa cura di Furio Biagini

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riale dell’archivio che ha pubblicato, ol-tre ad alcune opere di Camillo Berneri(Guerra di classe in Spagna, Il peccatooriginale , Mussolini grande attore,Mussolini normalizzatore e il deliriorazzista , Gli eroi guerreschi come gran-di criminali), diversi altri titoli come labiografia di Francisco Madrid Santos,Camillo Berneri: un anarchico italiano(1897-1937) e il volume di AlbertoCiampi Anarchici e futuristi: quali rap-porti?

Comunicato dell’Archivio FamigliaBerneriFiamma Chessa e Marzio Mirabello co-municano che non intendono vendere, néalienare l’Archivio Famiglia Berneri, im-pegnandosi, come già detto, a proseguirel’attività di Aurelio.

Ricordo di Aureliodi Pietro Masiello

Non è facile parlare di persone che nonci sono più quando si sono stimate e si èvoluto loro bene; specie se erano legatealle persone più care della propria fami-glia. C’è il timore di mancare di rispet-to, banalizzare, sminuire o deformare.Ma va fatto.Per me la scomparsa di Aurelio Chessasignifica anche perdere l’ultimo deicompagni di mio nonno materno. L’ulti-mo cioè di quella generazione di anar-chici e libertari che vivevano e operava-no in quella parte di Toscana che siestende da Volterra fino a Marina diCècina. Che è la zona dove Carlo

Cassola ha ambientato diversi dei suoiromanzi, ispirandosi anche ad alcune fi-gure di questi compagni, con i qualiaveva condiviso l’esperienza partigiana.Credo sia giusto, quindi, ricordare an-che loro in questa occasione.A Volterra, dove tenevano comizi siaMalatesta che Borghi, era presente ilgruppo anarchico Germinal, compostotra gli altri da mio nonno Piero Bullèri,alabastraio, (detto «Tre Piedi», «Varo»,«Bomboniera») condannato dal Tribu-nale Speciale a sei anni di carcere perattività sovversiva e poi partigiano nella23° Brigata Garibaldi Guido Boscaglia,

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dal barbiere «Venale», dallo scultoreRosi e da Luigi Fanucci, anch’egli arti-giano dell’alabastro (tipico mestiere diVolterra, dove l’anarchismo era diffusosin dal secolo scorso tra gli alabastrai,molti dei quali lavoravano con la foto diPietro Gori accanto al tornio). Tra glianarchici di Cècina vi erano RobertoToncelli, fuoriuscito in Francia, e suasorella Armida, persona straordinaria,passata per l’esperienza del campo diconcentramento. Accanto a loro va ri-cordato anche un compagno con cuierano stati in contatto: Armando Galietidi Genzano di Roma, mandato a soli di-ciotto anni prima al confino a Ponza epoi in colonia penale, dopo essere pas-sato per le violenze e i pestaggi dei car-cerieri a Regina Coeli. Non è quindi percaso che l’ultima sede dell’Archivio Fa-miglia Berneri sia stata Cècina: lìAurelio aveva sempre potuto contare,tra gli altri, sul sostegno di DomenicoOlivieri, «l’americano», e della fami-glia di questi.Sono molte le cose che colpivano diquesti compagni. Ad esempio il loro es-sere diversi e allo stesso tempo inter-cambiabili, nel senso che conoscendociascuno di loro ti imbattevi nella stessacoerenza e nella stessa moralità cheavevi trovato nelle parole e nella vitadegli altri. Oppure il livello di prepara-zione culturale che si erano costruiti dasoli, rispetto al quale ti vergognavi deituoi studi universitari. «In che cosa èlaureato Aurelio?», mi chiese una voltauna compagna con cui ero andato a tro-varlo, rimanendo stupefatta alla rispo-sta. Ed erano tanti gli aspetti di Aurelioche stupivano, a cominciare da quel di-namismo che gli ha dato la forza a ot-

tant’anni suonati di trasferire l’Archiviofino in Puglia e poi di nuovo in Toscanao di condurre un’instancabile attività diricerca ed editoriale (l’ultimo testo lopubblicò lo scorso luglio). Ogni voltache lo incontravi venivi a conoscenza dinuovi e a volte inaspettati particolarisulla sua vita: dall’esperienza di fornaioin Egitto alle battaglie contro i premi diproduzione nelle Ferrovie. Parafrasandociò che lo scrittore cèco BohuilmHrabal diceva dell’amico Egon Bondy,Aurelio poteva essere definito un teneroburbero; quando mi permisi di farglinotare che forse era un po’ troppo auto-ritario con gli obiettori di coscienza chelavoravano nell’Archivio a Pistoia mirispose: «Per essere sardo, vecchio e ol-tre tutto anarchico sono anche troppogentile» ma, appunto, quando si preoc-cupava dei tuoi problemi di lavoro, del-la tua famiglia o della vita con la tuacompagna, sentivi quell’interessamentosincero, quella confidenza e quella tene-rezza che puoi provare solo negli amicipiù cari. Può sembrare strano avere unamico di cinquant’anni più grande di te.Così come può sembrare bizzarro cheun nonno ti chieda notizie anziché sucome tu vada a scuola, sul collettivo au-tonomo del tuo liceo. Ma con Aurelio econ quegli altri «vecchi » si potevanoricostruire quei rapporti che si sarebbe-ro voluti avere coi propri padri; credosia stata una sensazione comune a moltidi coloro che hanno avuto la fortuna diconoscerli.

Nella pagina accanto: Aurelio Chessa, primoa destra di profilo, con Gino Cerrito durantela manifestazione per il 50° anniversario dellamorte di Malatesta, Ancona 1982 (ArchivioFarinelli)

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ANNIVERSARI

Spagna 1936-1939:libertà, rivoluzione, utopia

Come già annunciato sullo scorso numero del Bollettino, il nostro centro studi haorganizzato – nell’ambito del «Luglio libertario» lombardo, fitto programma di

appuntamenti che ha visto la partecipazione di una quindicina di gruppi della zona – unincontro sulla rivoluzione spagnola con questo titolo, tenutosi mercoledì 10 luglio pressola sede dell’USI/Sanità a Milano. All’incontro, introdotto da Amedeo Bertolo del Centro

studi libertari, hanno partecipato Nico Berti (Padova), Marco Puppini (Monfalcone),Alfonso Botti (Milano) e Claudio Venza (Trieste). Qui di seguito pubblichiamo i riassuntidei loro interventi, compreso quello di Marco Novarino, che non ha potuto presenziare

all’incontro ma che ci ha mandato il riassunto dell’intervento che avrebbe dovuto tenere.

Indirizzo d’aperturadi Amedeo Bertolo

La guerra civile spagnola cominciava qua-si esattamente sessant’anni fa...La guerra civile e, dentro e al di là dellaguerra civile, la rivoluzione sociale. Unastraordinaria rivoluzione di segnolibertario che ha coinvolto mi-lioni di persone – operai e con-tadini soprattutto, ma non solo– in un grandioso esperimentodi autogestione popolare.Un’utopia fattasi storia.Storia... storia, certo, ma storiaviva, storia che ancora oggiappassiona e brucia. Storia chetocca un nervo ancora scoper-to nella memoria collettivadella sinistra europea, comuni-sta, ex-comunista e non-comu-nista.Storia viva, se a trent’anni didistanza un pensatore che non

si occupa di storia come Noam Chomsky,le dedicava un centinaio di pagine di rifles-sione nel suo I nuovi mandarini. Storiacontroversa. Memoria che ancora può ser-vire al presente.Storia «attuale», come dimostra il successoinatteso di un film, Terra e Libertà di KenLoach, che più che dello scontro tra fasci-

smo e antifascismo in Spagnatratta di quella rivoluzione e del-la controrivoluzione che in cam-po antifascista le si è opposta el’ha schiacciata. Un film che nonha riempito solo le sale cinema-tografiche ma anche le paginedei giornali, non solo di recen-sioni ma anche di commenti edibattiti storico-politici.Mi hanno detto che si sono visti,all’anteprima di quel film, notiex dirigenti del gruppo del Ma-

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nifesto con le lacrime agli occhi: commos-si suppongo per la loro doppia veste di co-munisti (o ex comunisti) figli di TogliattiVidali Longo – Stalin in definitiva – fino aun certo periodo della loro storia personalee, successivamente, di comunisti (o ex co-munisti) eretici e anti-stalinisti. Eredi con-temporaneamente del PCE e del POUM,dei buoni e dei cattivi comunisti ieri, deicattivi e dei buoni oggi. Storia di famiglia.Storia di famiglia anche, beninteso, per glianarchici di ogni parte del mondo, seppureper motivi «un po’» diversi. Per gli anar-chici italiani, ad esempio, che tanto nume-rosi erano accorsi volontari in Spagna...Nel ’62 ero anarchico da appena un annoma già ero coinvolto emotivamente e ope-rativamente nella solidarietà con il movi-mento libertario spagnolo nell’esilio e nel-la clandestinità. Tanto coinvolto da orga-nizzare e realizzare, con una manciata digiovani compagni, il sequestro del vice

console spagnolo di Milano...E poi ancora per tutti gli anni Sessanta efino alla metà degli anni Settanta – finoalla morte, ahimè nel suo letto, del Genera-lissimo Franco – a quante iniziative proSpagna libertaria ho partecipato... Quantevolte mi sono trovato a manifestare davantial Consolato spagnolo...Non solo e non tanto per tradizionale inter-nazionalismo anarchico quanto nella spe-ranza (illusoria come poi la realtà si è pre-sa la briga di dimostrarmi) che, per la Spa-gna almeno se non per l’Italia, fosse imma-ginabile un futuro prossimo rivoluzionarioe libertario. Nella speranza che prestol’utopia anarchica potesse nuovamente far-si storia.Una speranza che non appariva del tuttoinfondata ancora nell’immediato post-fran-chismo, con una CNT che richiamava inpiazza 50.000 persone entusiaste a Madrid,100.000 a Barcellona...

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La rivoluzione spagnola trascende i suoiconfini spazio-temporali perché si ponecome quell’esperienza che ha riassunto econcretizzato tutti i maggiori problemi,teorici e ideologici, tattici e strategici,maturati dal movimento operaio e sociali-sta fin dalla Prima Internazionale: il rap-porto tra avanguardia rivoluzionaria emasse popolari, fra movimento specificoe organizzazione sindacale, le alleanzemilitari e politiche fra forze autoritarie elibertarie, le implicazioni e la verifica del-la reale portata dell’internazionalismo, ladimensione creativa e pluralistica dell’au-togestione sono tutte questioni infatti chesi trovano per intero nel particolare avve-nimento iberico e che come tali gli confe-riscono una valenza interpretativa genera-le. Essa rende evidente questa valenza«transitoria» che rappresenta, in una di-mensione tragica e titanica, l’universalitàdei problemi rivoluzionari di ogni ordinee grado.In modo particolare è possibile rilevare ilproblematico intreccio fra gli elementiideologici propri all’anarchismo e quellispecifici della sua versione spagnola per-ché questa, esprimendosi a livello di mas-sa, mette in luce una situazione del tuttonuova e complessa. Contemporaneamenteallo sviluppo quantitativo dell’anarchismo(diffusione ed estensione della CNT-FAI,aumento vertiginoso dei suoi aderenti),assistiamo paradossalmente ad un immi-serimento qualitativo dei suoi caratteri pe-culiari, delle sue tendenze e delle sueaspirazioni ideologiche. In altri termini,mano a mano che le organizzazioni anar-

chiche crescono e si estendono durante ilperiodo rivoluzionario, si restringono –quasi proporzionalmente – i valori etici escientifici del patrimonio ideologico li-bertario. Questo progressivo abbandonodegli insegnamenti teorici pone in risaltola specificità storica dell’esperienza spa-gnola, che si evidenzia, appunto, in questacontraddittorietà: da un lato la diffusionee l’estensione quantitativa delle organiz-zazioni storiche, dall’altro la riduzionequalitativa del sapere e dei valori rivolu-zionari.La partecipazione al governo o la resa difronte alle manovre controrivoluzionariedei comunisti nelle giornate di maggio del’37 a Barcellona non rappresentano chegli esempi più clamorosi, perché più noti,di tale incongruenza che di fatto si risolvenella generale condotta suicida delle orga-nizzazioni CNT-FAI rispetto alle possibi-lità operative aperte dalla forza storica delmovimento anarchico iberico.Questo venir meno dei presupposti ideo-logici è dovuto all’accettazione della falsadicotomia strategica fra guerra e rivolu-zione, fra fronte popolare e autonomia li-bertaria, fra antifascismo e antiautoritari-smo. L’aver praticato progressivamentetutti i primi termini di questo dilemma(guerra, fronte popolare, antifascismo) ascapito dei secondi (rivoluzione, autono-mia libertaria, antiautoritarismo), l’averaccettato l’immediata realtà storica e nonaver invece esplorato la realtà possibiledel progetto anarchico ha portato l’anar-chismo spagnolo alla contraddizione di sestesso.

Gli anarchici e il paradigma del poteredi Nico Berti

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Va detto però che contemporaneamente atale incongruenza l’anarchismo esprimeanche una diversa realtà. A riaffermareinfatti i suoi princìpi rimangono le miglia-ia di anonimi militanti che, al fronte comenelle collettività, tentano di creare, fraenormi difficoltà tecniche e materiali, frail sistematico sabotaggio dei controrivolu-zionari comunisti, l’attacco nazi-fascista eil tradimento della sinistra legalitaria –tutte forze obiettivamente confluenti – lapiù grande realizzazione politica e socialedel riscatto umano.In tutti i casi, la contrapposizione all’in-terno del movimento anarchico spagnolodei due momenti, quello dell’accettazionedei tempi storici e quello opposto di prati-care fino in fondo quelli rivoluzionari,l’obiettiva frattura fra «dirigenze anarchi-che» e masse popolari o, in termini piùprecisi, fra gli ambiti e le strutture orga-

nizzative della CNT-FAI e l’autonomia ela creatività libertarie, rende evidente lagenerale contraddizione che caratterizzal’esperienza del 1936-39, investendol’analisi anarchica del rapporto fra politi-ca e potere.Si sa infatti che per l’anarchismo questedue dimensioni sono equivalenti perchévengono identificate in uno stesso agire,precisamente nei moventi e negli esitidel principio di autorità. Esse si risolvo-no nel medesimo modo, quando taleprincipio è posto sul piano dell’effettivi-tà storica. Detto in altra maniera: la poli-tica è la fenomenologia del potere, di cuilo Stato rappresenta l’espressione stori-camente più compiuta perché ne esprimeal tempo stesso la forma simbolica e lavalenza reale.Le esperienze rivoluzionarie sembravanoconfermare, fino alla soglia della rivolu-

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zione spagnola, questo assunto della so-stanziale identificazione tra politica e pote-re, questo schematismo logico di spiega-zione della azione sociale diretta a fini co-ercitivi. Si può insomma dire che, se nonvi è stata una convincente aderenza allatesi del modello euristico, non vi è stataneppure una decisiva smentita alle sue pre-rogative ideologiche: ogni qual volta ilmoto rivoluzionario aveva imboccato –non importa sotto quali spoglie – la viadella ricomposizione del principio di auto-rità, la sua dimensione emancipatoria si eraaffossata entro i canali del tutto prevedibilidella logica istituzionale e razionalizzatricedell’esistente.Ebbene, il caso spagnolo ha posto in di-scussione tale teorema anarchico, eviden-ziandone la sua mera radice ideologica. Losvolgimento storico che va dal 19 luglio1936 al 7 maggio 1937 segna inCatalogna, cioè nella regione in cui glianarchici furono la forza maggioritaria delmoto emancipatore, una svolta epocale.Esso chiude il ciclo del protagonismo ope-raio e socialista di segno rivoluzionario,mettendo fine in Europa all’età delle rivo-luzioni popolari, anzi, per meglio dire, allaprima e ultima rivoluzione proletaria del-l’Occidente europeo. Contemporaneamen-te, apre un’altra fase storica la quale si tro-va segnata da una latente ambivalenza. Inessa permangono due tendenze eterogenee:da un lato risulta esaurita la spinta sovver-siva del movimento operaio, dall’altra, in-vece, insiste l’esigenza di una trasforma-zione radicale della società, anche se nonvi è più un esplicito soggetto ad impersoni-ficare l’azione.L’anarchismo in Spagna rende evidente lasostanziale impossibilità di un passaggionon traumatico dalla società del dominio

alla società della libertà, ma per far questodeve anche vanificare la credenza, del tuttomitica, di un’univoca modalità trasforma-trice che sarebbe data dal protagonismo in-sostituibile e determinante della forza pro-letaria. Proprio perché è stato il movimentoanarchico ad essere il solo movimento cheha reso rivoluzionario il proletariato, è daallora possibile constatarne l’esauribilitàsociale, nello stesso tempo in cui si mani-festa, palese, la persistenza «transtorica»dell’istanza universale aperta dai princìpidel 1789. Cioè, le condizioni storiche dellarivoluzione socialista vengono meno, mala domanda di una trasformazione radica-le dell’esistente continua a sussistere.

Memoria storica15

Gli antifascisti italianinella guerra di Spagna

di Marco Puppini

Descrivere i vari aspetti e momenti dellapartecipazione degli antifascisti italianialla guerra civile spagnola del 1936-1939è un compito vastissimo, dal momentoche tale partecipazione ha spaziato inmolti campi, da quello militare a quellopolitico. Quantitativamente i volontari –in massima parte combattenti, ma ancheimpegnati nell’industria di guerra e neltrasporto degli aiuti – sono stati oltrequattromila; quasi 3.500 sono quelli di cuisi hanno dati biografici certi. Un numeroinferiore rispetto al contingente franco-belga, il più numeroso, di poco inferioreanche a quello tedesco e polacco, ma su-periore a quello di tutte le altre nazionali-tà. Alcuni di questi volontari erano già inSpagna prima del 17 luglio 1936, data diinizio della guerra civile. Si tratta in granparte di membri della comunità anarchicadi Barcellona, formatasi con l’afflusso difuoriusciti da vari Paesi europei dopo laproclamazione della Seconda Repubblicaspagnola nel 1931. Altri arrivano in Spa-gna già nella seconda metà di luglio. Ilprimo caduto italiano è del 31 luglio: sitratta del veneto Agostino Sette, milizianonella colonna guidata dal notissimo anar-chico Buenaventura Durruti. Il primo re-parto interamente italiano viene invececostituito il 17 agosto, un mese esattodopo l’inizio della guerra. Si tratta dellacosiddetta Colonna italiana, frutto del-l’iniziativa comune di esponenti anarchi-ci, di Giustizia e Libertà e del Partito re-

pubblicano, comandata da Carlo Rosselli,Mario Angeloni e Camillo Berneri ed ag-gregata alla colonna guidata dall’anarchi-co Domingo Ascaso. All’iniziativa nonaderiscono i Partiti comunista e socialista,contrari in quel momento all’invio di vo-lontari. I comunisti organizzano all’iniziodi settembre una propria formazione com-posta da combattenti italiani, la Centuria«Gastone Sozzi», aggregata alla Colonnade Rosal del Partito socialista unificato diCatalogna [PSUC], partito risultato dallafusione dei comunisti e dei socialisti cata-lani.I combattenti della centuria, assieme allagran parte degli italiani entrati in Spagnaa partire dal mese di ottobre, verranno inseguito inquadrati nel BattaglioneGaribaldi, componente la XIIa

Brigata In-

ternazionale. Il battaglione doveva rap-presentare l’unità di tutte le forze dell’an-tifascismo italiano e nasceva dall’accordofirmato il 27 ottobre 1936 a Parigi tra ilPartito repubblicano, quello comunista equello socialista. Le cariche all’internodel battaglione sono distribuite in mododa riflettere gli equilibri dell’accordo diParigi: comandante è il repubblicanoRandolfo Pacciardi, commissari il comu-nista Antonio Roasio e il socialistaAmedeo Azzi. Volontari italiani farannoin ogni modo parte anche di un gran nu-mero di formazioni spagnole e «interna-zionali», comprese diverse colonne anar-chiche e reparti del Partito operaio di uni-

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ficazione marxista [POUM]; numerosi sa-ranno i combattenti nel battaglione anar-chico «de la muerte». Dall’estate del1937, le autorità repubblicane cercheran-no di inquadrare il maggior numero possi-bile di italiani nella Brigata Garibaldi, ap-pena costituitasi, affiancando loro unaquota crescente di combattenti spagnoli.Un primo gruppo di italiani uscirà dallaSpagna in quel periodo, rifiutando di con-tinuare la guerra dopo gli scontri diBarcellona e la definitiva «militarizzazio-ne». Gli altri, e saranno la maggioranza,lasceranno la Spagna nel febbraio del1939 con i resti delle Brigate Internazio-nali.Da dove venivano questi volontari? Lamassima parte era originaria delle regionidel nord e del centro Italia. Oltre la metàhanno raggiunto la Spagna provenientidalla Francia, dove erano emigrati in pre-cedenza, in misura minore dal Belgio,dalla Svizzera, dagli Stati Uniti, dal-l’URSS, dal Sud America. Circa duecen-tocinquanta sono quelli che hanno rag-giunto la Spagna direttamente dall’Italiafascista, dopo aver attraversato avventu-rosamente varie frontiere. Il 20% del tota-le dei volontari aveva subìto in Italia con-danne di vario tipo per attività antifasci-sta; molti di più avevano dovuto subirebastonature, discriminazioni e il «bando»che le squadre fasciste davano agli oppo-sitori politici più conosciuti. Oltre due ter-zi avevano nel dicembre del 1936 un’etàsuperiore ai trent’anni; avevano cioèvent’anni o più al momento del varo delle«leggi speciali» e dei primi grandi proces-si avvenuti dieci anni prima. Complessi-vamente gli italiani hanno sempre operatoin prima linea pagando un prezzo pesante:i caduti o i dispersi ammontano al 20%

del totale, una cifra elevatissima cui vaaggiunto un uguale numero di combatten-ti rimasti mutilati e permanentemente in-validi a causa delle ferite.Un problema molto dibattuto tra i volon-tari italiani allora e in seguito è quellodell’unità antifascista. Certamente allabase di una partecipazione così numerosaalla guerra civile c’è il clima di mobilita-zione unitaria contro il fascismo che siavvia dall’estate del 1936. Mobilitazioneche supera le tante diatribe e polemicheche dividevano i gruppi dirigenti delle or-ganizzazioni antifasciste e che dà una ac-celerazione a quel processo di unificazio-ne che questi gruppi dirigenti stanno por-tando avanti fra molte cautele e gelosie.La motivazione che porta in Spagna ilmaggior numero di volontari è «combat-tere il fascismo», riprendere quella lottache è stata persa in Italia nel corso della«guerra civile» del 1919-22, ma che non ècertamente finita. È una motivazione chetende a unire le varie componenti delle

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comunità di fuoriusciti italiani; in questosenso lo slogan «Oggi in Spagna domaniin Italia» di Rosselli è fatto proprio da unnumero di volontari indubbiamente supe-riore al gruppo limitato di aderenti a Giu-stizia e Libertà. Alcuni vanno in Spagnaanche per «fare la rivoluzione». In questocaso si tratta o di militanti politici di vec-chia data, soprattutto anarchici, o di colo-ro che vengono direttamente dall’Italia eche sanno poco o nulla di quanto sta av-venendo in Spagna. In questo caso per co-loro che arrivano dopo l’estate del 1937 ladelusione è evidente.L’unità auspicata si rivela però subito dif-ficilissima. La Colonna italiana entra incrisi nell’inverno del 1936-37 a causa del-le diverse opinioni sulla militarizzazionee sulle alleanze: Rosselli è esautorato e laguida del reparto passa agli anarchici. Irapporti tra le varie componenti all’inter-no della Brigata Garibaldi entrano in crisiinvece in occasione del definitivo inqua-dramento in seno all’Ejercito popular. Al-cuni, fra cui lo stesso Pacciardi, legati al-

l’idea di una «Legione italiana», con unasua autonoma organizzazione rispetto al-l’esercito repubblicano, se ne vanno inquesta occasione. Per gli altri, l’unità èora realizzata per decreto. La gran partedei volontari, in ogni modo, resta in Spa-gna sin quasi alla fine della guerra, e fraessi alcuni anarchici. Tra questi volontarinon mancano diversi motivi di critica neiconfronti del modo in cui la militarizza-zione è stata realizzata. Modi di inquadra-mento poco consoni a un «esercito popo-lare», disciplina formalistica, azioni diguerra condotte sulla carta da comandilontani e a volte incompetenti, risultanodopo la guerra testimoniati in diverse oc-casioni da questi combattenti. La loroscelta di restare in Spagna è comunquemotivata dal giudizio che il nemico dabattere resta in quel momento il fascismo,quello spagnolo e quello italiano, e cheuna sconfitta militare avrebbe comunqueavuto conseguenze tragiche – come in ef-fetti avrà – sui compagni spagnoli e nel-l’intero ambito europeo.

Ragionando di Chiesa e guerra civilein partibus infedelium

di Alfonso Botti

La considerevole distanza di tempo che cisepara da quegli anni e la disponibilità dialcuni pregevoli e approfonditi studi, purin mancanza di un lavoro complessivo peril quale solo l’apertura dell’Archivio Se-greto Vaticano creerà le condizioni, rendo-no possibile una valutazione meno ideolo-gica e più articolata della condotta dellaChiesa durante la guerra civile spagnola.

Dal punto di vista storiografico la questio-ne non è tanto quella della collocazionedella Chiesa al fianco dei «nazionali», cherisulta incontrovertibile e che nessuno met-te in discussione, quanto piuttosto quella dicapirne le motivazioni immediate e più re-mote, di distinguere le affinità e le diffe-renze – che pure ci furono – tra il progettoecclesiastico e quello che strada facendo si

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andò definendo come franchista, quella in-fine di individuare l’autonomia e le inter-connessioni esistenti fra i diversi livelli eistanze in cui dev’essere articolata l’analisiogni volta che si assume la Chiesa comeoggetto.Ovviamente non è possibile in poche bat-tute addentrarsi in un esame che risultisoddisfacente. Mi limiterò quindi a indica-re alcuni dei nodi che ogni analisi che aspi-ri alla serietà non può eludere.Esiste anzitutto un problema di scomposi-zione e distinzione. In primo luogo fraChiesa spagnola, Santa Sede e cattolicesi-mo sul piano internazionale. Poi fra gerar-chie, mondo ecclesiastico e laicato cattoli-co. Una terza scomposizione riguarda lediverse «sensibilità» presenti nel cattolice-simo spagnolo a seconda delle aree geo-grafiche e delle regioni.Così delineata la complessità del tema e lesue molteplici complicazioni, allo stato de-

gli studi risulta difficile contestare i dati diseguito proposti e il loro concatenarsi.La Chiesa spagnola, tutelata e favoritadalla confessionalità dello Stato, entra ne-gli anni Trenta di questo secolo con allespalle una naturale collocazione all’inter-no del blocco conservatore. Di fronte al-l’avvento della Seconda Repubblica essaè formalmente possibilista (anche per leforti pressioni in tal senso della SantaSede), ma sostanzialmente contraria e av-versa. La poco accorta legislazione anti-clericale repubblicana acuisce e radicaliz-za l’opposizione cattolica alla Repubbli-ca. Ciò nonostante non c’è coinvolgimen-to diretto della Chiesa nella cospirazioneche porta alla sollevazione militare diFranco. C’è, invece, in alcune regioni(Navarra, Castiglia e León) coinvolgi-mento di importanti settori cattolici e delclero. Le violenze anticlericali all’indo-mani del 18 luglio 1936 (saranno circa 7

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mila fra preti, religiosi, suore ecc. le vitti-me alla fine della guerra civile, pocomeno della metà nei primi cinquanta gior-ni) sospingono la gerarchia a leggere gliavvenimenti in chiave di «crociata» equesta interpretazione sarà nel breve peri-odo quella vincente, all’interno e sul pia-no internazionale. Certo, per tradizione ecultura, esiste una chiara predisposizionedella gerarchia ecclesiastica spagnola aleggere questo tipo di avvenimenti inchiave di crociata. Ma, allo stesso tempo,non può essere dimenticato che la rivolu-zione sociale spagnola si manifesta anzi-tutto in forma di estrema violenza anticle-ricale e che questa è la prima e principaleimmagine di sé che diffonde sul piano in-ternazionale, dove non sono certo gliespropri e le collettivizzazioni a lasciareinizialmente il segno o a commuoverel’opinione pubblica.In queste prime settimane la proverbialeprudenza vaticana trova conferme. Nonpochi vescovi spagnoli, infatti, prendonoposizione a favore di Franco, prima chePio XI si pronunci il 14 settembre 1936. Enei mesi successivi è il cardinale primate,Isidro Gomá, con i suoi rapporti a Roma econ il suo soggiorno nella capitale dellacattolicità a influire in modo decisivo sugliorientamenti e la condotta vaticana. Mache la posizione della Santa Sede non siascontata o già definitivamente stabilita lorivela lo stesso cardinale che nel propriodiario annota che la vera guerra civile sicombatte a Roma, mentre in Spagna sicombatte quella internazionale. La sor-prendente annotazione allude agli sforziche i cattolici baschi e catalani fanno pres-so i vertici della Chiesa, affinché sia tenutonel conto dovuto il pluralismo di posizionipresente nel cattolicesimo spagnolo che

vede i cattolicissimi Paesi baschi schieraticon il Fronte popolare e la Repubblica,mentre alcuni ecclesiastici di notevole sta-tura (su tutti il cardinale Vidal i Barraquer)manifestano posizioni meno «militanti» epiù consone al ruolo pacificatore che do-vrebbe essere proprio della Chiesa. Dun-que, non solo non si trattò di una crociata,perché altre e più importanti questioni era-no in gioco oltre quella religiosa (quelleeconomiche, sociali e non ultime quelledello sbocco dei cosiddetti «nazionalismiperiferici»). Ma non si trattò di una crocia-ta anche e soprattutto perché i cattolici nonsi schierarono tutti dalla stessa parte.Sappiamo, invece, che a prevalere fu la po-sizione di Gomá e l’interpretazione dellacrociata. Sappiamo che sull’esito della se-conda influì in modo decisivo la Letteracollettiva dell’episcopato dell’estate del1937. Un documento scritto su ispirazionedi Franco e con finalità chiaramente pro-pagandistiche: convincere l’opinione catto-lica mondiale che in Spagna si giocava lapossibilità di sopravvivenza della civiltàcristiana contro la barbarie comunista. Dacui si evince, senza possibilità di dubbio,che ancora un anno dopo l’inizio del con-flitto, l’opinione cattolica sul piano inter-nazionale non era né del tutto convinta del-la bontà della causa franchista, né del tuttoschierata con essa. Per convincersene ba-sterebbe, a questo proposito, rileggerequanto scrivevano personalità come donLuigi Sturzo, Maritain o Mounier e ripren-dere le iniziative di cui, con altri, furonoprotagonisti sul piano diplomatico e dellamobilitazione della coscienza democraticaeuropea al fine di conseguire una pace ne-goziata fra le parti in lotta. Ma, la vittoriadell’interpretazione della guerra come cro-ciata, bruciò le possibilità di ogni trattativa

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e mediazione. Come transigere, venire apatti, con chi voleva eliminare col ferro ecol fuoco ogni manifestazione di religiositàe la stessa coscienza religiosa?L’assunzione del paradigma della crocia-ta e la conseguente militanza in essa por-tò la Chiesa spagnola a scrivere la pagi-na più nera della sua storia in età con-temporanea. Gridò al mondo la barbariedei «rossi», ma sottovalutò e nascose labrutale repressione dei «nazionali». Diquest’ultimi sposò le falsità anche in oc-casione dei bombardamenti sulle popola-zioni civili (come nel caso di Guernica).Fu collaborazionista ed esercitò la dela-zione, senza risparmiare i poveri cristi.Ma già dal 1938, allarmata dai rapportisempre più ravvicinati tra Falange e na-zismo, iniziò a svolgere un ruolo tenden-zialmente antitotalitario, contribuendo ache il neonato regime non risultasse lafotocopia di quelli italiano o tedesco.Non era certo per la libertà e la democra-zia che si batteva. Ma lottando per la

propria libertà e il recupero dei tradizio-nali privilegi, rese più difficile l’esito to-talitario che appariva come il più sconta-to. La sconfitta dell’Asse nella secondaguerra mondiale fece il resto.Sarebbe però superficiale e sbagliatocercare le ragioni più vere della condottae della collocazione ecclesiastica nelladifesa di concreti interessi materiali o diclasse. Esse infatti risiedono altrove. Cisi avvicina ad esse considerando il tipodi visione che la Chiesa aveva negli anniTrenta della società spagnola e del pro-prio ruolo nella storia. Ad una societàche giudicava scristianizzata, la Chiesacontrappose una ricristianizzazione chedoveva essere intrapresa «dall’alto»,usando le leve del potere e il riparo chepoteva offrire lo Stato confessionale.Fu, in definitiva, un certo modello di cri-stianità quello che dettò i comportamentiecclesiastici e gli scopi da conseguire.Ed è su ciò che occorrerebbe iniziare ariflettere.

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Tra Stalin e Durruti. I comunisti dissidentidi Marco Novarino

Nel sanguinoso scontro tra comunisti e ser-vizi segreti sovietici da una parte e anar-chici e poumisti dall’altra, una tragica sortesubirono i militanti di quelle organizzazio-ni rivoluzionarie che pur essendo moltocritiche nei confronti della ConfederaciónNacional del Trabajo (CNT) e del PartidoObrero de Unificación Marxista (POUM)furono il bersaglio preferito, non solo ideo-logicamente ma soprattutto fisicamente,della repressione staliniana. Ci riferiamo inparticolare ai gruppi trotskisti e bordighistidi cui la storiografia ha sempre omessol’esistenza e che, seppur numericamenteesigui, svolsero la loro parte all’interno delmovimento rivoluzionario spagnolo.Vorremo fornire in questo intervento unbreve profilo dei gruppi comunisti che sicollocarono a sinistra del POUM ripromet-tendoci di ritornare sull’argomento perpuntualizzare il dibattito ideologico e l’at-teggiamento critico assunto nei confrontidel movimento anarchico spagnolo.A torto il POUM è sempre stato ritenutoun partito trotskista o, come scrisse HughThomas, semi-trotskista malgrado fosseronoti i pessimi rapporti con Trotsky e la IVInternazionale.In Spagna tra il luglio 1936 e la fine del1937 agirono distintamente due gruppi au-tenticamente trotskisti. Il primo, denomi-nato Sección Bolchevique-Leninista deEspaña, venne fondato nel novembre 1936a Barcellona da Manuel FernándezGrandizo, conosciuto con lo pseudonimodi G. Munis.Il gruppo di Munis, che era considerato lasezione ufficiale del movimento trotskista

internazionale, tentò inutilmente di entrarecome frazione nel POUM per modificarnela linea politica. Nel gennaio 1937 iniziò apubblicare un «Boletín» che venne sostitu-ito tre mesi dopo dalla rivista «La Voz Le-ninista», dalle cui colonne propugnava laformazione di un fronte operaio rivoluzio-nario in netto contrasto con la politica dicollaborazione con il governo catalanoportata avanti dalla CNT e dal POUM.Nei tragici fatti del maggio 1937 aBarcellona i trotskisti della SecciónBolchevique-Leninista si trovarono afianco del gruppo anarchico «Los Amigosde Durruti» e furono gli unici raggruppa-menti che cercarono di dare una direzionerivoluzionaria agli eventi opponendosi alcessate il fuoco e alla resa della dirigenzacenetista.La persecuzione stalinista colpì natural-mente e principalmente i trotskisti checombattevano in Spagna. Freund, ErwinWolf, ex-segretario di Trotsky, e Carrascofurono assassinati. La maggior parte deimilitanti del gruppo furono incarcerati al-l’inizio del 1938 e dopo un giudizio som-mario vennero condannati a morte. Rin-chiusi nella fortezza del Montjuic riusci-rono ad evadere, durante le concitate fasidella caduta di Barcellona nelle mani del-le truppe franchiste, e si rifugiarono inFrancia.La seconda formazione, denominata«Grupo (o Célula) Le Soviet» venne fon-data dall’italiano Nicola Di Bartolomeo,conosciuto con lo pseudonimo di Fosco.Emigrato a Barcellona nell’aprile 1936 Fo-sco fu nominato, allo scoppio della guerra

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civile, delegato italiano nella commissionedi ricezione e controllo degli stranieri chevolevano combattere nelle milizie delPOUM. Principale artefice della creazionedel primo gruppo bolscevico-leninista diBarcellona, fu accusato dalla IV Interna-zionale di voler dissolvere il gruppotrotskista nel POUM e per questo venneespulso nel gennaio 1937 dalla Sección B-L. Legato al Parti CommunisteInternationaliste di Raymond Molinier ePierre Frank, il gruppo dissidente pubblicòla rivista in lingua francese «Le Soviet»,sottotitolata «Organe des Bolcheviks-Léninistes d’Espagne pour la IVeInternationale».Per quanto riguarda il movimento bordi-ghista , che nel 1935 aveva assunto ilnome di Frazione Internazionale della Si-nistra Comunista, la sollevazione del 19 lu-glio provocò una spaccatura tra la maggio-ranza guidata da Ottorino Perrone e la mi-noranza rappresentata da Enrico Russo.La maggioranza considerava gli eventispagnoli una guerra imperialista in cui lafrazione fascista della borghesia si scon-trava con la frazione democratica di quel-la stessa borghesia e pertanto si opponevaa un sostegno della parte repubblicana eall’invio di volontari, mentre la minoran-za, che considerava la guerra un atto rivo-luzionario, partecipò generosamente aglieventi bellici combattendo nella Colonnainternazionale Lenin del POUM, resa fa-mosa dal film di Ken Loach, Terra e li-bertà.L’analisi della maggioranza durante laguerra civile, estremamente critica neiconfronti della CNT, e il dibattito con ilPOUM e il militante anarchico CamilloBerneri instaurato dalla minoranza, sisnodò principalmente attraverso le riviste

della Frazione, «Prometeo» e «Bilan».Soprattutto il dibattito con CamilloBerneri, che rispose attraverso le colonnedi «Guerra di classe», mise in rilievo, aldi là di divergenze ideologiche insupera-bili, una serie di convergenze tattiche si-gnificative come il ritenere Barcellona«assediata da Burgos e Mosca» e il giudi-zio totalmente negativo sulla partecipa-zione ministeriale della CNT nel governorepubblicano.Una pagina questa delle relazioni tra anar-chici e comunisti non stalinisti che merite-rebbe una più profonda analisi storica.

Bibliografia essenzialeThe Spanish civil war. The view from theleft, numero monografico della rivista«Revolutionary History», n. 4, 1991;MINTZ Frank /PECIÑA Miguel, Los amigosde Durruti, los trotsquistas y los sucesosde mayo, Campo Abierto, Madrid, 1978;PÉLAI Pagès, Le mouvement trotskystependant la guerre civile d’Espagne, in«Cahiers Léon Trotsky», 1982, n. 10, pp.47-65;CAVIGNAC Jean, Les trotskystes espagnolsdans la tourmente, in «Cahiers LéonTrotsky», 1982, n. 10, pp. 67-74;DURGAN Andy, Les trotskystes espagnolset la fondation du POUM, in «CahiersLéon Trotsky», 1993, n. 50, pp.15-5;GUILLAMON IBORRA Agustin, G.Munis, unrévolutionnaire méconnu, in «CahiersLéon Trotsky», 1993, n. 50, pp. 85-98;GERVASINI Virginia, Gli insegnamenti del-la sconfitta della rivoluzione spagnola(1937-1939), Centro Studi Pietro Tresso,Foligno, 1993;GUILLAMON IBORRA Agustin, I bordighistinella guerra civile spagnola, Centro StudiPietro Tresso, Foligno, 1993.

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La «lezione» spagnoladi Claudio Venza

Tutti o quasi gli anarchici di lingua italia-na che hanno lasciato testimonianze diret-te o che hanno scritto sul tema possiedononella loro «memoria spagnola» alcunipunti in comune. Di seguito indico sche-maticamente le lezioni che essi hanno ri-cavato dalla rivoluzione sociale e dallaguerra civile in Spagna. Questo denomi-natore comune si può così sintetizzare:1. Gli anarchici spagnoli hanno dimostra-to al mondo intero la possibilità di appli-care in concreto e su larga scala i criterilibertari di organizzazione sociale: auto-gestione, eguaglianza, federalismo, soli-darietà.2. Lo stalinismo, e più in generale il bol-

scevismo marxista, ha dato un ulteriore,terribile ed enorme esempio del proprioruolo negativo verso le aspirazioni popo-lari all’emancipazione. Infatti:2a. Gli aiuti militari dell’URSS, vero ri-catto alla Repubblica, sono stati pagati siain contropartite finanziarie (le 500 tonnel-late di oro della Banca di Spagna imbar-cate per Odessa), sia in contropartite poli-tiche (l’ascesa ai posti di comando di fe-deli esecutori della volontà di Stalin, ilcontrollo della polizia, dei servizi segreti,della propaganda). Le Brigate Internazio-nali non sono sfuggite a questo progettoegemonico comunista, al di là della buonafede e della generosa determinazione deimilitanti di base.2b. I comunisti del PCE e del PSUC cata-lano hanno perseguito il progressivo inde-bolimento delle tendenze rivoluzionariecon lo scioglimento delle milizie e la co-struzione dell’Esercito popolare e con ilcontrollo e l’eliminazione delle collettivi-tà operaie e contadine. In quest’opera direstaurazione hanno raccolto l’adesionedei borghesi e dei conservatori repubbli-cani.3. Le democrazie occidentali (Francia eInghilterra) temevano la vittoria dei rivo-luzionari e agirono solo per i propri inte-ressi diplomatici. Sia il Fronte popolarefrancese che i conservatori inglesi diffida-vano delle profonde trasformazioni incorso in Spagna e, al di là delle parole dicircostanza, boicottarono nei fatti anchela lotta armata contro i generali ribelli im-pedendo le forniture militari alla Repub-blica e permettendo alla Germania nazista

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e all’Italia fascista di sostenere con massic-ci aiuti le truppe di Franco.4. Di fronte all’immane sforzo del popolospagnolo, il proletariato internazionale nonriuscì a realizzare una effettiva solidarietàall’altezza della situazione: né con moti ri-voluzionari né con forti pressioni sui go-verni democratici per imporre loro una po-litica di appoggio alla Repubblica, peraltrounica realtà istituzionale legale e legittima.Su altri temi di notevole rilevanza le opi-nioni degli anarchici di lingua italiana di-vergevano, talora in modo conflittuale. Sipossono identificare, in modo ovviamenteschematico, almeno quattro tendenze di-verse a seconda della valorizzazione di dif-ferenti aspetti del conflitto spagnolo.A. Accettazione dell’urgenza bellica. Chiconcordava sulla priorità del «vincere laguerra» su tutti gli altri obiettivi sociali, so-steneva, come necessaria la centralizzazio-ne decisionale in un «comando unico» el’indispensabile disciplina per migliorarel’efficienza militare, vista come un datopiù tecnico che politico. Anche questianarchici erano presenti nella colonna ita-liana che giunse a Barcellona già nell’ago-sto 1936 e che combatté a Monte Pelato ein altre località aragonesi. In genere essirestarono dopo l’aprile del 1937, quandofu sciolta la colonna come atto di rifiutodella militarizzazione, e aderirono ad altreformazioni militari spagnole in reparti in-ternazionali. Tra di loro Giuseppe Bifolchiche, in varie occasioni, mostrò simpatiaper le posizioni piattaformiste di Archinove soprattutto per il ruolo essenziale dell’or-ganizzazione accettando anche sfumature,o scelte, di tipo centralista.B. Valorizzazione della rivoluzione so-ciale. In questo ambito si ritiene che dellacontraddittoria esperienza spagnola vada

salvata la parte che riguarda le collettività,sia quelle a prevalenza anarchica che quel-le più spontanee, e le milizie, strutture anti-gerarchiche e antimilitariste. La collabora-zione governativa e i frequenti compro-messi politici di vertice, fatti in nome dellaguerra antifascista e giustificati con «l’ec-cezionalità delle circostanze» appartengo-no invece agli aspetti criticabili e assoluta-mente negativi. Questi militanti avevanopartecipato anch’essi fin dai primi momen-ti, o quasi, e dopo il maggio 1937, «ennesi-ma canagliata dei bolscevichi», erano inde-cisi se restare o abbandonare il territoriospagnolo. L’elaborazione più completa diquesta critica antiautoritaria si ritrova inVernon Richards, anarchico di origine ita-liana poi trasferitosi in Inghilterra, autoredel volume intitolato appunto Insegnamen-ti della rivoluzione spagnola.Altri esponenti noti di questa tendenza siritroveranno poi in Italia nel 1965 a critica-re una presunta svolta centralista nella FAIitaliana e, come Pio Turroni, esprimerannodiffidenza verso le strutture troppo rigide edefinite e denunceranno le illusioni che laburocrazia e i movimenti di massa (semprefluttuanti) possano favorire veramente losviluppo dell’anarchismo.C. Per la «guerra rivoluzionaria». Nonsi accetta, secondo quest’ottica, la contrap-posizione fra i due grandi impegni del-l’anarchismo in Spagna. Anzi solo col raf-forzamento del processo rivoluzionario sisarebbero dati validi contenuti, e quindimotivazioni, alla lotta popolare contro i ge-nerali reazionari. Non si escludono, d’altraparte, forme di collaborazione con altreformazioni politiche per migliorare l’effi-cienza bellica. Tali accordi devono peròportare alla difesa delle conquiste rivolu-zionarie, dalle collettività alle milizie, alla

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rottura dell’egemonia culturale autoritaria.In sostanza fu la linea di Berneri che criti-cò l’ingenuità politica e i troppo frequenticedimenti, in nome dell’unità nella lottaantifascista, delle dirigenze CNT-FAI chedi fatto permisero ai comunisti di acquisireun potere sempre maggiore. Con qualchesfumatura, tale posizione, che diventaquindi un giudizio storico e politico, fu so-stenuta da militanti come UmbertoTommasini, Nicola Turcinovich, UmbertoMarzocchi, che si ritrovarono nella FAI inpratica sino alla loro morte.D. Rifiuto della violenza. L’aver vissuto ildramma della guerra con la militarizzazio-ne, il nazionalismo e l’esaltazione delle ge-sta belliche aveva suscitato in alcuni com-pagni delle riflessioni di carattere più ge-nerale sulla compatibilità fra le idee anar-chiche e le pratiche della lotta armata. Infin dei conti, essi hanno sostenuto ripetuta-mente, l’ideale anarchico è legato a una ra-dicale presa di coscienza etica che deve es-sere di tipo soprattutto individuale. L’anar-chismo di massa, come in Spagna, è un’il-

lusione, soprattutto se l’adesione si molti-plica in un ambiente, come quello degliscontri violenti, nel quale prevalgono altreesigenze e nel quale è possibile che la pro-paganda si trasformi in un’imposizione,dato insanabilmente contraddittorio conuna maturazione di tipo morale prima an-cora che politico. In questo filone, di cuiho ritrovato un numero limitato di sosteni-tori, si collocano alcuni individualisti comeGiuseppe Mascii, e pacifisti come LucianoDella Schiava, operaio carnico. Entrambierano legati a parte del movimento france-se. In conclusione queste considerazioni eclassificazioni possono essere utili in lineadi massima, come rivelatori di punti di vi-sta e di sensibilità presenti, in misura di-versa, nel movimento anarchico di linguaitaliana. Non vanno comunque intese inmodo rigido in quanto spesso, nel trarre gli«insegnamenti», le motivazioni si interse-cano e si ridefiniscono ulteriormente.Grosso modo queste sono state le tendenzeche i militanti anziani hanno trasmesso aigiovani nel corso degli anni Settanta quan-do una nuova generazione entrava nel mo-vimento e mentre in Spagna, con la mortedi Franco, sembrava affermarsi una nuovaforza libertaria.

Alle pagg. 11 e 13: Barcellona, luglio 1936;miliziani sfilano per la città prima diraggiungere il fronte d’AragonaA pag. 16: Pietro Ranieri, nato ad Ancona nel1899, muore sul fronte di Aragona l’8 ottobre1936 mentre combatte come volontario nellaColonna DurrutiA pag. 18: Miliziani si allenano a spararemirando a un monumento religiosoA pag. 20: Barcellona 1931; da sinistra adestra: García Vivancos, García Oliver, LouisLecoin, Pierre Odéon, Francisco Ascaso eBuenaventura DurrutiA pag. 23: Umberto Tommasini negli anniSettantaIn alto: Pio Turroni negli anni Venti

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Giornata di studi organizzata da «il manifesto» (Roma),dal Centro studi libertari (Milano) e dalla «Rivista storica dell’anarchismo» (Pisa),

in collaborazione con la Libreria Anomalia di Roma

Camillo Berneriun anarchico tra Gramsci e Gobetti

Roma, 19 ottobre 1996

Camillo Berneri (1898-1937) è stato tragli intellettuali italiani più creativi e im-portanti del periodo tra le due guerremondiali. Dalle fila socialiste passò an-cora diciottenne all’anarchismo, cui por-tò grande passione per l’approfondimen-to storico e filosofico. Nei primi anniVenti accompagnò costantemente all’im-pegno militante lo sforzo di conferire al-l’anarchismo dimensioni teoriche e poli-

tiche che ne valorizzassero le potenziali-tà politiche immediate, mettendo in di-scussione le molte sfaccettature dellavulgata massimalista allora prevalentenel movimento anarchico.Allievo di Gaetano Salvemini, tra i suoipunti di riferimento privilegiati nel pano-rama culturale italiano troviamo il socia-lismo libertario e il radicalismo liberale:collaborò infatti alle riviste di Piero

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Gobetti e intrecciò un dialogo/confrontocon Carlo Rosselli proseguito sino allamorte.Costretto all’esilio dai fascisti, fu espul-so più volte da diversi Paesi europei.Trasferitosi a Barcellona allo scoppiodella rivoluzione, organizzò con Rossellie Angeloni la colonna degli antifascistiitaliani divenendo uno dei più influentiesponenti anarchici. Probabilmente perquesto motivo fu assassinato dagli stali-nisti, insieme a Ciccio Barbieri, nel mag-gio 1937.Proprio per ricordare un intellettuale eun militante di questa levatura è stato or-ganizzato l’incontro romano, fortementevoluto e coordinato da Pietro Masiello,che ha visto la partecipazione di EnzoSantarelli (storico, già Università degli

studi di Roma), Goffredo Fofi (direttorede «La Terra vista dalla luna», Roma),Gianni Carrozza (Biblioteca FrancoSerantini, Pisa), Claudio Venza (docentedi storia della Spagna contemporaneanell’Università di Trieste), FranciscoMadrid Santos (Ateneo Libertario AlMargen, Valencia), Costanzo Casucci(direttore della Biblioteca G. Fortunatodi Roma), Marco Scavino (Centro studiP. Gobetti di Torino). Alle relazioni è se-guita una tavola rotonda coordinata daAldo Garzia (Il manifesto), con NicoBerti (Università degli studi di Padova),Gabriele Polo (Il manifesto), ValentinoParlato (Il manifesto), Enzo Santarelli,Claudio Venza.Qui di seguito pubblichiamo i riassuntidelle relazioni presentate.

Attualità del pensiero di Berneridi Goffredo Fofi

Nato a Lodi nel 1897, assassinato dai co-munisti a Barcellona il 5 maggio 1937 peraver difeso il POUM e i trotskisti e «l’uti-lità della libera concorrenza politica inseno agli organismi sindacali e l’assolutanecessità dell’unità d’azione antifascista»,Camillo Berneri ha rappresentato nellastoria dell’anarchismo italiano, sulla sciadel suo maestro Errico Malatesta, il mo-mento della crisi e della revisione ideolo-gica, nel confronto teorico-pratico conun’epoca di rivolgimenti immensi che vadalla rivoluzione russa alla guerra di Spa-gna, dalla prima guerra mondiale agli al-bori della seconda.Laureatosi a Firenze con Salvemini, cor-rispondente di Gobetti e di Rosselli, egli

fu un anarchico in crisi con le fossilizza-zioni teoriche dell’anarchismo ottocente-sco, e cercò con tutte le sue forze di co-niugare i valori dell’anarchia con un pro-getto adeguato ai nuovi tempi e ai nuovibisogni, ai nuovi ordini di fattori. La suaopera è varia e vivacissima, certamentenon organica. Berneri non ci ha lasciatomolti saggi compiuti, né un sistema coe-rente, non ne ha avuto il tempo, e troppeerano le suggestioni della realtà perchépotesse fermarsi a ragionarne estranian-dosi dall’azione. Personaggio di cernierae di contraddizione, egli ha però indivi-duato ed elucidato nodi che non riguar-davano solo l’anarchismo, alla confluen-za tra le grandi correnti di pensiero, sia

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pure minoritarie e perdenti, che hannocercato di tener vivi i valori della libertàe del socialismo in tempi di dittature sof-focanti, tra bolscevismo e fascismo, e uncapitalismo in crisi non per questo menoaggressivo.Le domande cui Berneri cercò di rispon-dere, scrive Berti in Un’idea esagerata dilibertà. Introduzione al pensiero anarchi-co. (Elèuthera, 1994), non erano semplici:«Qual è il ruolo dell’anarchismo dopo lavittoriosa rivoluzione d’ottobre? Che po-sizione devono prendere gli anarchici difronte all’avvento dei regimi totalitari?Ha ancora senso il rifiuto categorico delladialettica politica dopo i decenni infrut-tuosi dell’attesa rivoluzionaria? È veroche l’anarchismo muore se media conl’esistente? Gli schemi ideologici del vec-chio patrimonio scientifico sono capaci dirispondere alle domande poste dal muta-mento strutturale avviato dai nuovi assettisocio-economici? L’anarchismo, per esse-re tale, deve rimanere ancorato a un oriz-zonte filosoficamente materialistico?Cosa significa essere anarchici dopo lasvolta epocale della psicoanalisi? Cos’èl’anarchismo oltre ad essere un’ideologiapolitica?».Per Berneri si è trattato di ragionare, nelfuoco della pratica (della militanza antifa-scista, dell’esilio, parigino, della guerraspagnola) e nella confusione e nel disagiodelle correnti anarchiche dominanti, orarigidamente nichiliste e individualiste sul-la scia di Nietzsche e di Stirner, cheBerneri detestava, e ora aggrappate a mi-tologie socialiste di stampo positivista,sulla possibile vitalità dell’idea anarchica.Di essa bisogna preservare le basi etiche eideologiche, confrontandole però ai nuovitempi e ai nuovi compiti.

Se gli capitò di sottovalutare il pericolodel bolscevismo, prendendo troppo sul se-rio le affermazioni sovietiste, la concre-tezza del suo muovere lo preservò daglierrori di una sinistra che, semplicemente,cavalcava cinicamente la storia o si face-va potere, oppure si contrapponeva al po-tere con mezzi troppo fragili, con tattica eambigua provvisorietà. Colpisce inBerneri il rispetto della realtà, la necessitàche egli avverte di partire dalla realtà e ditornare alla realtà, ma senza mai sminui-re i valori di riferimento da cui partire, acui rifarsi, sul cui metro giudicare le azio-ni proprie e altrui e operare le scelte.Più che all’individuo e al suo culto egli fuattento ai gruppi, alle minoranze, ma con-tro le illusioni scientiste dei marxisti nontrascurò mai l’importanza della scelta indi-viduale, del «non accetto», e del «mi ribel-lo» del singolo e dei gruppi. Proprio perquesto fu possibilista in economia (sono larealtà e il momento a determinare le sceltepiù adatte – in una perenne condizione diattenzione che si potrebbe accostare ad al-cune posizioni dei «liberal-socialisti»); fuintransigente in politica, nella consequen-zialità di una critica costante del potere, enella speranza di poter riassorbire il politi-co nel sociale; e fu agnostico in religione,cosciente della vicinanza che poteva stabi-lirsi tra il credente e l’anarchico – mossi dauna base etica, anche oltre «la lezione» deifatti e della storia, e le sconfitte e le vitto-rie, dei progetti collettivi o del progetto divita del singolo.La sua fu una visione dinamica dell’anar-chismo che dell’anarchismo preservava ilfondo utopico e la base ribellistica, peròcomparati con la necessità del cambia-mento e dell’aggiornamento non opportu-nistico allo scenario dell’epoca. «Sovieti-

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sta, federalista, comunalista», liberalista elibertaria, dentro la tradizione ma nella re-visione costante della realtà, la riflessionedi Berneri ha dato indicazioni e strumenti,ha aperto la strada a coloro che sarebberovenuti dopo di lui, permette oggi, in unafase di crisi dello stato, di mondializza-zione dei problemi, di fine del modellorusso-sovietico, di fine della classe opera-ia nei modi in cui due secoli l’hanno co-nosciuta, di faticoso assestamento del pia-neta attorno a nuovi poli di potere, ma pursempre nella differenza fondamentale trachi ha e chi non ha (e noi occidentali sia-mo la parte di chi ha...), permette di rifarsiai suoi scritti con la coscienza che la sto-ria gli ha dato ragione in molte cose fon-damentali e che il suo «metodo», aperto,di tensione morale, di scelta individuale,di insistenza sulle minoranze, di rispettodei valori e degli ideali verificati e appli-cati nel confronto con le realtà nuove che

volta volta si prospettano, è un metodoche ci serve, che ci aiuta.«Il problema sociale, da classista, si faràproblema umano. La rivoluzione sociale,classista nella sua genesi, è umanista neisuoi processi evolutivi. Chi non capiscequesta verità è un idiota. Chi la nega è unaspirante dittatore» scriveva Berneri nel1936. E ancora: «L’umanesimo si è affer-mato nell’anarchismo come preoccupa-zione individualista di garantire lo svilup-po delle personalità e come comprensio-ne, nel segno dell’emancipazione sociale,di tutte le classi, di tutti i ceti, ossia di tut-ta l’umanità». Da qui dovremmo oggi,noi, ricominciare – nella coscienza delfallimento dell’umanesimo, e nella difesa,se così si può dire, delle maggioranze dase stesse, in nome di valori umanistici cheesse hanno contribuito ad avvilire o di-struggere. I valori sono gli stessi, la realtàè di nuovo diversa.

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Berneri e il fascismodi Gianni Carrozza

I termini del dibattito nel movimento anar-chico sulla natura del fascismo negli anni’20 e ’30 sono più o meno gli stessi deglialtri gruppi in esilio: che cosa ha determi-nato l’emergenza del fascismo, quali sonole responsabilità del proletariato e deigruppi politici che a esso si richiamano.Dunque una riflessione critica e autocriticasulle pusillanimità, le insufficienze, i tradi-menti, oltre che sulla natura sociale, politi-ca, psicologica del fenomeno, ma anchesulle reazioni (o sull’assenza di reazioni)popolari nel Paese.Due libri segnano questa riflessione, perl’acume dell’analisi o per le insufficienzeche rivelano: La controrivoluzione preventi-va di Luigi Fabbri, del 1922, e L’Italia fradue Crispi di Armando Borghi, del 1924.

Tutti gli scritti di Berneri vanno inquadratinel contesto di questo dibattito e soprattut-to dell’azione militante contro il fascismo.Non è un caso infatti che rimanga in Italiafino al 1926, collaborando a tutte le pub-blicazioni anarchiche che escono fino aquella data, nel tentativo di ricostituire larete di un movimento disperso sotto l’ef-fetto delle aggressioni fasciste prima, edella repressione statale poi.Nello stesso tempo, nell’ambiente del-l’emigrazione politica italiana in Francia,un tentativo di riprendere l’iniziativa sichiude con la scoperta di una provocazio-ne. Le «legioni garibaldine» che avrebberodovuto suonare la riscossa del proletariatoitaliano erano sotto l’occhio attento dellapolizia fascista e Ricciotti Garibaldi, guida

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dell’iniziativa, al soldo del regime.Molti anarchici, sperando in una azione,avevano assunto responsabilità importantiin questa impresa. Altri avevano criticatoquesta alleanza fin dall’inizio. Il suo clamo-roso fallimento fa esplodere una serie discontri che segneranno tutta l’emigrazioneanarchica fra le due guerre.Berneri arriva in Francia in un clima avve-lenato dalle polemiche. Alle difficoltà ma-teriali dell’esilio si aggiungono la sua rela-tiva marginalità rispetto ai gruppi più im-portanti del movimento e i tentativi dellapolizia fascista per implicarlo in una seriedi provocazioni.La sua risposta è decisa. Si impegna a fondonella denuncia dello spionaggio poliziesco enon lesina il suo sostegno materiale e politi-co ai militanti che in Italia o all’estero si di-fendono dalle aggressioni fasciste, rispon-dono con le armi, o attentano alla vita diMussolini. Questa sua posizione ne farà perun lungo periodo l’anarchico più sorveglia-

to d’Europa. Ovviamente il suo lavoro teo-rico non è estraneo alla sua attività di mili-tante. Non a caso nella sua produzione oc-cupa un posto importante l’analisi della fi-gura di Mussolini, sia per quel che riguardail suo ruolo sia per quel che riguarda la suapsicologia e quella delle masse rispetto allafigura del capo carismatico.Nell’analisi del fascismo Berneri proponeun concetto direttamente legato alla sua vi-sione libertaria: quello di statalismo (o di fe-ticcio dello Stato) che gli permette più diuna volta di comparare la politica del regi-me fascista e quella stalinista.L’importanza della volontà è centrale nel-l’analisi berneriana e spiega la ricerca di unterreno di dibattito e d’intesa, sul piano del-l’azione, con altre forze politiche antifasci-ste. Interviene difatti nel dibattito dei repub-blicani, dei socialisti, di Giustizia e Libertà,fino a quando lo scoppio della rivoluzionein Spagna non gli offre la possibilità concre-ta di una azione comune contro il fascismo.

La passione critica:il pensiero federalista di Berneri

di Francisco Madrid Santos

Una delle caratteristiche che meglio defini-scono Berneri è quella di aver avuto unpensiero in costante formazione e di avercoscientemente cercato di dare all’anarchi-smo un livello critico tale da consentirglidi affrontare una realtà in continua trasfor-mazione. Il che non significava una messain discussione dei suoi principi, i quali –come ebbe a dire – gli apparivano, nellesue linee fondamentali, più che mai confer-mati dai fatti.

Il suo obiettivo era di conseguire «un anar-chismo attualista, consapevole delle pro-prie forze di combattività e di costruzionee delle forze avverse, romantico nel cuoree realista col cervello, pieno di entusiasmoe capace di temporeggiare, generoso e abi-le nel condizionare il proprio appoggio, ca-pace insomma di un’economia delle pro-prie forze. Ecco il mio sogno».Si rendeva ben conto che per raggiungerequesto obiettivo – quello di un anarchismo

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costruttivo – uno dei cardini principali erarappresentato dall’opzione federalista, chesupponeva uno studio sistematico delloStato e della sua burocrazia e una lotta co-stante per l’autonomia individuale e collet-tiva. A tutto questo dedicò gran parte dellasua vita. E anche se il suo assassinio impe-dì la maturazione e sistematizzazione delsuo pensiero, è possibile estrapolare dai

suoi numerosi scritti alcune linee maestreche configurano un impianto teorico-criti-co sufficientemente consistente.Seguendo, attraverso la sua biografia, unsottile filo conduttore, è possibile ricom-porre le sue geniali intuizioni; intuizioniche, seppur per pochi mesi, ebbe il privile-gio di sperimentare personalmente durantela rivoluzione spagnola.

Berneri nel labirinto spagnolodi Claudio Venza

Per molti militanti accorsi a combattere, laSpagna rappresenta una realtà più immagi-naria che reale. A non pochi sfuggono lacomplessità e le profonde differenze regio-nali, linguistiche e politiche del territorio asud dei Pirenei. (Di qui l’immagine del la-birinto presa in prestito dall’ispanistaGerald Brenen).Dal canto suo Camillo Berneri possiede,già a partire dagli anni ’20 numerosi e pro-

ficui contatti con esponenti del movimentoanarchico spagnolo, anche per la sua colla-borazione con riviste e giornali. Per questomotivo, subito dopo il 19 luglio 1936,quando il golpe appare sconfitto nellegrandi città, è Berneri a tenere i contattinecessari con l’anarchismo a Barcellonaper dare vita alla sezione italiana della Di-visione Ascaso della CNT-FAI, più notacome «Colonna Rosselli». E il 29 agosto

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1936 Berneri partecipa alla battaglia diMonte Pelato, sul fronte aragonese, neipressi di Huesca. È il primo scontro armatodi un gruppo antifascista di lingua italiana,per i tre quarti composto da anarchici, conle truppe militari dei golpisti.La vittoria sul campo, in condizioni sfavo-revoli, costituisce un fatto di grande impor-tanza simbolica e politica e alimenta l’en-tusiasmo e la convinzione del possibilesuccesso dei rivoluzionari anche sul terre-no bellico. Le precarie condizioni fisichedi Berneri lo inducono però a accettare lepressioni dei compagni e a trasferirsi aBarcellona, dove comunque si getta inun’attività frenetica.Le sue lettere alla famiglia dalla metropolicatalana indicano un impegno intellettualee fisico al limite della resistenza: dall’aiutopratico ai miliziani di lingua italiana chearrivano a Barcellona dalla Francia, al so-stegno materiale della colonna italiana alfronte, dalla lotta agli agenti fascisti tuttorapresenti nella comunità italiana diBarcellona alla redazione del giornale«Guerra di classe» che riprende una notatestata anarcosindacalista. Inoltre Bernerisi dedica all’analisi della documentazionedel Consolato italiano di Barcellona, occu-pato dal novembre 1936 dagli antifascistiitaliani, insieme a Gisele Angeloni, vedovadi Mario, militante repubblicano ucciso dai«nazionali» a Monte Pelato. Anche questolavoro è sentito come urgente e i risultatidaranno vita al volume Mussolini alla con-quista delle Baleari. Da un lato Berneri ot-tiene notevoli appoggi dal potente movi-mento anarchico e anarcosindacalista cata-lano, dall’altro entra in conflitto con certescelte della CNT-FAI favorevoli, anche acondizioni svantaggiose, alla collaborazio-ne con le altre formazioni antifasciste. Ad

esempio, la denuncia delle repressioni incorso nell’URSS nel 1936, che appare su«Guerra di classe», causa la sospensione perun breve periodo del giornale in seguito alleproteste dell’ambasciatore sovietico. È l’av-visaglia di una crescente divergenza fraBerneri e alcuni settori della CNT-FAI cata-lana, più inclini ad accettare compromessi ecedimenti in nome dell’urgenza bellica.Barcellona, la Catalogna, la Spagna, inizia-no a presentarsi anche a Berneri come unlabirinto dove è difficile rimanere se stessi,contribuire allo sviluppo del movimentoanarchico, applicare i principi libertari, so-stenere le pressioni sempre più forti dellecircostanze avverse. La coerenza ideale el’efficacia politica erano d’altronde duetemi che egli aveva sempre cercato di farconvivere negli scritti e nell’attività. Nelcaso spagnolo, nel quale le idee antiautori-tarie avevano caratterizzato il movimentooperaio e contadino, il problema sembra ri-solto positivamente nell’estate del 1936: lecollettività rurali e industriali, le milizieegualitarie, la tensione culturale anticleri-cale e le tendenze per l’emancipazionefemminile rappresentano tappe concrete diliberazione allo stesso tempo individuale ecollettiva. La ricostruzione dell’apparatostatale repubblicano, la militarizzazione,gli effetti degli aiuti militari sovietici, l’in-sufficiente solidarietà del proletariato euro-peo e mondiale, il crescente peso dei co-munisti staliniani, sono però altrettanti pe-santi fattori negativi per la prospettiva del-la rivoluzione in Spagna. Berneri affrontaquesti nodi politici negli articoli e nei di-scorsi sostenendo la possibilità, anzi la ne-cessità, di una «guerra rivoluzionaria»dove l’unità di comando e la strategiaguerrigliera, insieme all’indipendenza delMarocco, possano interrompere il processo

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di degenerazione autoritaria e centralista.A questa ipotesi avrebbe potuto collabora-re anche quella parte di comunisti che sirendevano conto e criticavano la derivadittatoriale moscovita. Anche per questo,ai primi del maggio 1937, da RadioBarcellona Berneri rendeva omaggio alla

figura, intellettuale e militante, di AntonioGramsci, da poco scomparso.La mattina del 6 maggio 1937 il corpo diCamillo Berneri sarà ritrovato crivellato dicolpi, poco distante da quello di FrancescoBarbieri, nei pressi della piazza dellaGeneralitat, nel cuore di Barcellona.

I rapporti tra Rosselli e gli anarchici:primo incontro: critica di Luigi Fabbri aSocialismo liberale, opera ritenuta non li-bertaria, ma ancora liberale perché troppolegata alle esigenze del governo e delloStato (1930).secondo incontro: critica degli anarchicial programma di GL. Rosselli ribadiscel’esigenza dell’organizzazione e la fun-zione insopprimibile dello Stato (1932).terzo incontro: discussione del dicembre1935 sul federalismo. Rosselli concordacon le esigenze degli anarchici di autono-mia della base, di iniziativa delle forze lo-cali, sorrette però da una guida centralesia pure nella forma della federazione.

Carlo Rosselli e Camillo Berneri: unadiscussione politica e un dramma umano

di Costanzo Casucci

quarto incontro: articolo Come vedo ilmovimento giellista, «Adunata dei refrat-tari», 4-4-1936. Distinzione tra cenacolodi straordinario fervore e setta in procintodi maturare a partito, condotto con metodiautoritari.quinto incontro: intervento nella guerradi Spagna e crisi della colonna italianadove Rosselli viene messo in minoranzadai componenti anarchici e destituito dalcomando (1936).conclusioni: giornate di maggio 1937;problemi della militarizzazione e necessi-tà di fare della vittoria militare l’obiettivoprioritario.

Berneri e Gobetti, rivoluzionari ereticidi Marco Scavino

Dopo una breve premessa sulle fonti attual-mente conosciute per lo studio dei rapportifra Berneri e Gobetti (piuttosto scarne e chein realtà nulla ci dicono sulle relazioni per-sonali eventualmente esistite fra i due: co-noscenza diretta, frequentazioni, eccetera),la relazione affronterà il tema principalmen-

te alla luce delle assonanze (veramente im-pressionanti) fra le loro posizioni politico-culturali. Pur muovendosi l’uno nel campoliberale e l’altro in campo anarchico (comemaestri: Croce per uno, Malatesta per l’al-tro!), Gobetti e Berneri parlano linguaggiper molti versi simili (è noto, d’altra parte,

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che Berneri nel 1923 definì su «La Rivolu-zione Liberale» gli anarchici come «i libe-rali del socialismo»...).Su molti aspetti della battaglia politica eculturale del primo dopoguerra, i due lascia-no trasparire assonanze comuni: un comunedebito verso la lezione salveminiana, un at-teggiamento in larga parte simile verso laRussia sovietica, una sorprendente aperturatattica in occasione della crisi aventiniana,ma soprattutto una ricerca per molti aspettianaloga di una coniugazione politica fra iprincipi del liberismo individualista e le ra-gioni della moderna lotta di classe e del mo-vimento dei lavoratori. È su quest’ultimoterreno, in particolare, che si sviluppa laparte più feconda della ricerca e della rifles-sione dei due; ed è su questo terreno cheambedue sembrano in effetti degli «eretici»nei rispettivi campi di appartenenza:Gobetti, liberale, che esalta il movimentooperaio come base di una nuova classe diri-

gente, e Berneri, anarchico, che riprende(sempre su «Rivoluzione liberale») propo-ste schiettamente laburiste di organizzazio-ne del movimento dei lavoratori (e non acaso, quindi, finirà anni dopo, quandoGobetti sarà già morto, per aderire alla for-mazione di Giustizia e Libertà, discutendocriticamente con l’ideologo del socialismoliberale, Carlo Rosselli).Attraverso questa chiave di lettura specificaè possibile pertanto definire Berneri eGobetti come due figure che, nei rispettivicampi politici, intuirono alcune linee di fon-do dello sviluppo in atto nella società capi-talistica, (ambedue, per esempio, furonomolto attenti alle tematiche fordiste) e necolsero le profonde implicazioni rivoluzio-narie sul terreno delle culture politiche: inaltre parole, due intelligenze che (pur senzaliberarsi completamente – sia chiaro – dascorie ideologiche ed elitarie) si resero con-to di come lo sviluppo capitalistico in sensoindustrialista fosse destinato a sconvolgerenon solo gli assetti delle classi e dei gruppisociali, ma anche le tradizionali definizionidella scienza politica. Da qui la loro «ere-sia», che è dunque proprio l’elemento chene fa ancora oggi due personaggi tanto affa-scinanti e stimolanti.

A pag. 26: Barcellona 1936; riconoscibili dasinistra a destra: Pietro Pirola (seduto difaccia), Camillo Berneri (seduto in fondo colbasco), Virgilio Gozzoli (seduto al fiancosinistro di Berneri), (?) Castagnoli (di fiancoa Gozzoli) e Amleto AstolfiA pag. 29: Enzo Santarelli, Goffredo Fofi,Pietro Masiello (foto di Giuliano Galluzzi)A pag.30: Costanzo Casucci, Marco Scavino,Pietro Masiello (foto di Giuliano Galluzzi)A pag. 32: Immagine della tavola rotonda conValentino Parlato, Gabriele Polo, ClaudioVenza, Nico Berti, Enzo Santarelli e AldoGarzia (foto di Giuliano Galluzzi)Sopra: Francisco Madrid Santos (foto diGiuliano Galluzzi)

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Vestivamo alla milizianadi Dino Taddei

Nel luglio 1936, di fronte al collassodell’esercito repubblicano, le organizza-zioni sindacali, i partiti ed i movimentipolitici approntano immediatamentedelle milizie popolari che si interpongo-no efficacemente alla riuscita del solle-vamento militare.Queste formazioni sono ben lontane dalricordare un esercito regolare: vieneabolito il saluto, il codice militare, lagerarchia insieme ai gradi (i comandantivengono eletti direttamente dai milizia-ni) e naturalmente la divisa, sostituitadai vestiti da lavoro del proletariatospagnolo, ovvero il tradizionale cappel-lo contadino di paglia, le espadrillas dicorda, il mono (ovvero la tuta) opera-io... tutti simboli di una rivoluzione so-ciale in atto.Il miliziano, combattente antifascistama anche militante rivoluzionario, ar-ricchisce il suo scarno vestiario con faz-zoletti da collo rossi o rossoneri, con lebustine miliziane con i colori della CNTe con i distintivi delle rispettive orga-nizzazioni.Un testimone d’eccezione, lo scrittoreinglese George Orwell, volontario nelleformazioni del POUM, così descrive inOmaggio alla Catalogna l’abbigliamen-to delle colonne in partenza per il fron-te: «...Ho parlato di ‘uniforme’, ma nonvorrei avere dato un’impressione ingan-nevole. Non era esattamente un’unifor-me: forse ‘multiforme’ sarebbe il nomeadatto. I panni di ognuno obbedivanoallo stesso criterio generale, ma nonerano mai gli stessi per due persone di-

verse. Praticamente, ognuno che facesseparte dell’esercito portava brache digrosso cotone, ma qui l’uniformità fini-va. Chi portava fasce, chi uose di coto-ne, chi gambali di cuoio o stivaloni.Tutti indossavano una giubba a chiusuralampo, ma certe giubbe erano in cuoio,altre in lana e d’ogni tinta e coloreimmaginabili. Le specie di berretti era-no tante quanti coloro che li portavano.Usava adornare la parte anteriore delproprio berretto con un distintivo dipartito, e inoltre quasi ogni milizianoportava un fazzoletto rosso o rosso enero intorno al collo. Una colonna dellamilizia, in quei giorni, costituiva unaciurmaglia d’aspetto straordinario».Nei primi mesi della rivoluzione tuttosembra possibile e facile, le decrepiteconvenzioni sociali sembrano avviate altramonto e naturalmente per un volonta-rio straniero sono proprio questi simbolia dare il primo benvenuto in questa faseespansiva, come testimonia, congermanica attenzione, il socialdemocra-tico H.E. Kaminski che, dopo esserestato folgorato dal vestiario miliziano,precisa: «La Spagna fu sempre il Paesedelle uniformi: al di fuori dell’esercitoc’era una mezza dozzina digendarmerie, e ogni corpo aveva la suadivisa particolare. A questo quadromanca soltanto la sottana nera dei preti:essi sono spariti».Anche nelle retrovie nascono nuovi modidi abbigliarsi creando alle volte veri epropri conflitti ideologico-produttivi.Impietosamente Kaminski ce ne riporta

Memoria storica37

uno significativo:«Non si vedono piùcappelli. Gli uomini portano spesso ilbasco, ma le donne non portano assolu-tamente niente, nemmeno una veletta oun fiore tra i capelli, come nella Spagnadel sud. Anche quando piove a dirotto,camminano a testa nuda sotto i para-pioggia. [...] Era soprattutto il cappelloche per gli operai e ancor più per leoperaie simboleggiava la classe nemica.Nei primi giorni della rivoluzione scop-piarono talvolta battibecchi in cui le si-gnore perdevano i cappelli come in altrerivoluzioni i re perdevano le corone.

Le autorità si sono adoperate controquesti eccessi e hanno pubblicato ordi-nanze per proteggere i cappelli e l’indu-stria del cappello. [...] Un giornale haperfino affermato che solo il cappello ècatalano, mentre il berretto basco ècarlista e per conseguenza fascista».Certo, di fronte all’ampiezza e profon-dità della rivoluzione queste sono ine-zie, anche se rivelatrici di uno statod’animo. E d’altronde, non fu al gridodi «morte ai cappelli!» che cominciòl’insurrezione popolare di Bronte?

38Informazioni editoriali

Buenaventura DurrutiSe le celebrazioni per il 60° anniversario del-la guerra civile e della rivoluzione erano pre-vedibili, non così scontate erano le celebra-zioni per il 100° anniversario della nascita diBuenaventura Durruti, che coincide per altrocon il 60° della sua morte avvenuta sul frontedi Madrid alla fine del ’36. Invece, soprattut-to in Spagna ma non solo, questa ricorrenza èservita per parlare e scrivere di uno dei perso-naggi più noti – prima, durante e dopo i fattidel ’36 – del movimento anarchico spagnolo.Uno dei pochi personaggi che hanno rag-giunto già in vita una notorietà che rasentavala leggenda, come dimostrano i suoi funerali,cui parteciparono un milione di persone: pra-ticamente tutta Barcellona.Diversi sono i libri su Durrutipubblicati di recente a livello in-ternazionale. In particolare ricor-diamo, oltre il libro fotograficoin quattro lingue, pubblicato inItalia da Zero in Condotta (vediBollettino 7), la monumentalebiografia data alle stampe daAbel Paz, ovvero DiegoCamacho, in collaborazione conla Fundación de EstudiosLibertarios «Anselmo Lorenzo»di Madrid. Una prima versionedi questa biografia era uscita inFrancia – dove allora Camachoviveva esule – nel 1972 con il ti-tolo Durruti: le peuple enarmes. Quest’anno è stata pub-blicata in spagnolo una secondaversione riveduta e ampliata, in-titolata Durruti en la Revoluciónespañola, che è stata tradotta invarie lingue tra cui il greco, il

turco e il giapponese. L’opera, un tomo di771 pagine arricchito con un’ampia sezioneiconografica e con un prezioso indice deinomi, va dalla nascita di Durruti nel 1896

sino alla morte avvenuta il 20 no-vembre 1936, passando per tutte lefasi della sua vita di militante anar-chico, e dunque per tutte le fasi chehanno caratterizzato il movimentoanarchico spagnolo e la CNT inparticolare. Il libro – che può esse-re consultato presso l’ArchivioPinelli – è in vendita a 3.750pesetas e può essere richiesto allaFundación «Anselmo Lorenzo»,Paseo de Alberto Palacios 2,28021 Madrid, Spagna.

In alto: Barcellona 1936, da sinistraa destra, gli allora sedicenni DiegoCamacho, Liberto Sarrau e FedericoArcos (Archivio Federico Arcos)

39 Informazioni editoriali

Per saperne di piùsulla rivoluzione spagnola

La casa editrice Elèuthera ha da pocostampato un testo di Carlos SemprunMaura dedicato agli eventi della guerracivile spagnola. Una versione più am-pia di questo testo era già stata stampa-ta nel 1976 dalle Edizioni Antistatocon il titolo Rivoluzione e controrivo-luzione in Catalogna . Ora vieneriproposta una nuova versione di que-sto libro, rivista dall’autore e da luistesso ridotta, con il titolo Libertad! ri-voluzione econtrorivolu-zione inCatalogna (236pp. / 25.000lire).Ed è appuntosulla Catalogna,epicentro realee immaginariodi una rivolu-zione libertariache coinvolsemilioni di per-sone in ungrandioso espe-rimento di auto-gestione socia-le, che si ap-punta l’atten-zione diSemprunMaura. E non ètanto di fasci-smo e di antifa-scismo che si

parla in queste pagine quanto di quellautopia messa in pratica, spesso con lot-te cruente anche fra democratici, co-munisti e anarchici. Narrazione non ac-cademica e un po’ «faziosa» di cosefatti e persone che toccano un nervoancora scoperto nella memoria colletti-va della sinistra europea.Carlos Semprun Maura, scrittore egiornalista, è nato a Madrid nel 1926 evive a Parigi dagli anni ’60. Ha scritto

una ventina dilibri, in france-se e spagnolo,tra cui opere te-atrali (comeL’hommecouché, 1971 eLe bleu del’eau de vie,1982), romanzie racconti(come L’anprochain à Ma-drid , 1975, Labarricade soli-dale , 1984 e LePotomac enaile volante,1993) e saggi(come Francoest mort dansson lit, 1980 eil recentissimoVida y mentirade Jean-PaulSartre, 1996).

40Informazioni bibliografiche

La stampa anarchica durante larivoluzione spagnola

di Francisco Madrid Santos

Una delle fondamenta più importanti del-l’anarchismo è stata ed è tuttora la propa-ganda. Contrario alla politica parlamenta-re, e in generale refrattario alle istituzioniche in diverse forme reggono lo Stato,l’anarchismo lega la sua pratica all’azionediretta, alla critica e alla denuncia dei rap-porti di sfruttamento insiti nelle relazionisociali basate sulla gerarchia e sull’autori-tarismo; ma soprattutto lega la sua praticaalla critica contro lo Stato. La propagandasi concretizza, da un lato, con la pubblica-zioni di libri e opuscoli di criti-ca sociale, o di esposizione deipostulati dell’anarchismo, o dielaborazione di una teoriaanarchica nella prassi sociale;dall’altro, con il dar vita a pe-riodici, riviste e persino quoti-diani. I suoi obiettivi sonomolteplici, tra questi l’offrireuna informazione antagonista,che raccolga in special modola denuncia dellesopraffazioni; un’informazionepuntuale sugli scioperi, dalmomento che spesso questa sirivela l’unica fonte comunica-tiva (e così fornendo a quelliun appoggio); un’esposizionedi carattere teorico con il di-battito sulle questioni tatticheo strategiche; un ambito per ladiscussione degli eventi socialicongiunturali.Il movimento anarchico in

Spagna ha fatto e continua a fare un usostraordinario della propaganda. Nell’arcodi tempo che si estende dalla Prima Inter-nazionale (1869) alla fine della guerra ci-vile (1939), il volume propagandistico delmovimento è un buon analizzatore dellasua forza nelle singole circostanze, sia inrelazione alla pubblicazione di libri edopuscoli che della stampa periodica. Diquest’ultima, lungo il citato periodo stori-co, si contano 900 diverse testate, delle

quali 175 nei soli tre anni delperiodo rivoluzionario, equi-valenti al 20% del totale. Sefino al 1931 la pubblicazionedi riviste e periodici è impor-tante, con la proclamazionedella repubblica nell’apriledello stesso anno, si produceun ulteriore incremento, ancorpiù cospicuo dopo la solleva-zione militare del luglio 1936e il processo rivoluzionariogenerato da questo fatto. Il fe-nomeno risponde ad una evi-dente spiegazione logica, manel contempo rivela l’intrinse-ca coerenza di un movimentoquale quello anarchico chevitalmente necessita, peresplicitarsi, di una tribunapubblica. Nel luglio 1936, laCNT disponeva di due quoti-diani: il primo, «SolidaridadObrera» di Barcellona, conta-va già vent’anni di vita come

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quotidiano; il secondo, «CNT» di Madrid,era stato fondato nel 1932. Quasi imme-diatamente dopo lo scoppio rivoluziona-rio, i quotidiani del movimento anarchicospagnolo si moltiplicarono nelle zone sot-to la sua influenza. Non c’era città di unaqualche minima importanza dove non sene pubblicasse almeno uno; in alcune cit-tà, come Madrid, Barcellona, Valencia, sipubblicavano addirittura più quotidiani.In totale, nell’arco di quei tre anni, nenacquero venticinque. In alcune occasio-ni, il quotidiano anarchico nasceva graziealla requisizione delle rotative tipografi-che legate più o meno direttamente allasollevazione militare; in altre circostanze,esso nasceva in seguito ad unaintensificazione dell’attività sociale porta-ta avanti da una delle varie tendenze esi-stenti in seno al movimento libertario.Comunque fosse, tanto la lotta contro ilpronunciamiento quanto l’appoggio alprocesso rivoluzionario poterono contaresull’incondizionato appoggio di questi pe-riodici e riviste.Come è facile supporre, nelle zone cadutesotto il controllo della reazione fascista lepubblicazioni anarchiche, e in generaletutte quelle che si riconoscevano nelloStato repubblicano, sparirono in modofulmineo. Nelle zone invece dove trionfòla rivoluzione, le testate che già si pubbli-cavano anteriormente al 18 luglio, conti-nuarono di norma le loro attività, comeper esempio l’eccellente rivistavalenciana «Estudios». Tuttavia ci furono

delle eccezioni. La più rilevante fu senzadubbio la chiusura della «Revista Blanca»di Barcellona: il suo ultimo numero, il388, reca la data del l5 agosto 1936. Que-sta rivista era una delle migliori testatedella pubblicistica anarchica spagnola.Sin dall’inizio del secolo, nelle sue duestagioni (Madrid e Barcellona), avevacontribuito in modo determinante tantoalla propaganda quanto alla crescita delmovimento in ogni angolo del Paese.In quegli inquieti anni rivoluzionari, tuttele tendenze del pensiero anarchico ebberopropri mezzi di espressione; persino l’in-dividualismo, che in questo Paese nonaveva incontrato grande favore, poté con-tare su propri periodici. Tra questi «AlMarane» di Barcellona, trasferito in unsecondo tempo ad Elda, presso Alicante,e «Ideas» di Hospitalet. Nell’aprile del1936, dopo mesi di fervidi preparativi,nasceva l’organizzazione Mujeres Libres[Donne Libere], che nello stesso aprilediede vita in Madrid alla rivista «MujeresLibres», suo portavoce. Qualche tempodopo la sollevazione, la rivista si trasferì aBarcellona, dove risiedeva il nucleo piùimportante e compatto dell’organizzazio-ne. Senza dubbio, si guardava con un cer-to sospetto ad un’organizzazione anarchi-ca esclusivamente composta da donne. Difatto Mujeres Libres, sin dalla sua nascita,incontrò numerose difficoltà all’internodel movimento. Le ragioni cui si alludevarimandavano alla mancata coesione e aldivario che all’interno del movimento

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anarchico avrebbe potuto arrecare un’or-ganizzazione specificamente femminile:un fenomeno che si supponeva in grado diripercuotersi negativamente sullo svilup-po della classe operaia. In linea generalefurono queste le risposte date, quandoMujeres Libres pretese il riconoscimentocome branca autonoma del movimento li-bertario, alla stessa tregua della CNT, del-la FAI e della FIJL. Quantunque la rivistacontinuò le pubblicazioni, i numerosi pro-blemi cui dovette far fronte ne resero laperiodicità estremamente irregolare. Cio-nonostante, tutto questo non impedì al-l’organizzazione di portare a termine, sianella retroguardia come al fronte, un lavo-ro silenzioso quanto sommamente effica-ce: assistenza ai feriti, manodopera nellefabbriche, cura dei bambini; e persino nelcombattimento in prima linea.Anche la Federazione Anarchica Iberica(FAI) sviluppò un’intensa attività propa-gandistica. A Valencia venne fondato ilquotidiano «Nosotros», mentre diversisettimanali nascevano nel resto del Paese.La storica testata «Tierra y Libertad», ap-parsa per la prima volta a Barcellona nel1888, era diventata l’organo ufficiale del-l’organizzazione anarchica non appena siera instaurata la repubblica; tuttavia man-tenne la sua cadenza settimanale, senzamai convertirsi in quotidiano. La stessa

Federazione Iberica della Gioventù Liber-taria (FIJL) esplicò un’intensa attività nelcampo della propaganda. Questa organiz-zazione era sorta nei primi anni della re-pubblica, dettata dalla necessità di inte-grare le nuove generazioni in uno specifi-co movimento, che non poteva essere co-perto né dalla CNT, né dalla FAI, né dagliAtenei Libertari troppo generici per assol-vere a questa funzione. Anche per la FIJLnon fu facile ottenere il riconoscimentoda parte delle altre organizzazioni anar-chiche, sebbene alla fine venne integratacome organizzazione autonoma nel movi-mento libertario. È probabilmente questala ragione che spiega la scarsità dei perio-dici giovanili antecedenti al luglio 1936:«Fructidor» di Mahon, «Vida Nueva» diVilanova e pochi altri di cui possediamoinformazioni carenti. Non appena irrompela sollevazione militare, questo desolatopanorama delle pubblicazioni giovanili sitrasforma in selva rigogliosa; furono pub-blicate circa venticinque testate, tra rivistee periodici, di cui due quotidiani:«Juventud Libre/FIJL», fondato a Ma-drid, ed un altro omonimo a Valencia, dadove in un secondo tempo si trasferì aBarcellona.Persino qualche colonna di milizianiconfederali si dotò di propri organid’espressione: la Colonna di Ferro, pro-

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veniente da Valencia e di stanza sulfronte di Teruel, pubblicò «Linea deFuego»; la Colonna Ascaso pubblicò«Más Allá», le colonne confederali delcentro del Paese pubblicarono il quoti-diano «Frente Libertario» in duplice edi-zione: spagnola ed italiana.Contarono su propri mezzi d’informazio-ne anche gli anarchici provenienti dal-l’estero, venuti ad integrarsi nella lottarivoluzionaria, come queste testate tuttepubblicate a Barcellona: «Guerra di clas-se», edita da Camillo Berneri, VirgilioGozzoli ed altri, portavoce dei volontarianarchici italiani; «L’Espagne Antifasci-ste», portavoce degli anarchici francesi,e «Die Soziale Revolution», l’organo de-gli anarco-sindacalisti tedeschi (DAS).Non mancarono anche riviste e periodiciculturali rivolti all’analisi dei diversiaspetti dell’anarchismo, al suo ruolo nel-la rivoluzione, alla critica delle relazionisociali. Alcuni esprimevano una raffinataelaborazione teorica, come «Cultura yPorvenir» di Seo de Urgel, oppure si de-dicavano a tematiche diverse con note-voli capacità, non solo per il contenuto,ma anche per la veste grafica, le illustra-zioni, la presentazione complessiva. Al-cuni esempi sono la «IllustraciónIberica» di Barcellona, alla quale colla-borarono le migliori penne dell’anarchi-

smo spagnolo, e «Umbral» di Valencia.In ogni caso, il grosso della propagandaera svolto dagli organi della CNT, porta-voce dei vari sindacati e delle federazio-ni. La penuria di carta fu una costanteminaccia per la continuità della propa-ganda: infatti, molte pubblicazioni si tro-varono costrette in determinati momentia sospendere le attività. Quando la crisidella carta si acutizzò, si dovette persinogiungere all’accordo di chiudere alcunepubblicazioni definitivamente.Le speciali circostanze di una prolungataguerra civile, con il conseguente aumen-to delle attività di propaganda, favoriro-no la comparsa di un certo numero dicorrispondenti e cronisti, seppure questefigure professionali non siano mai statemolto numerose, per ovvie ragioni, pres-so la stampa anarchica. Tra i corrispon-denti di guerra che ebbero modo di for-marsi in quel periodo, alcuni, comeMauro Bajatierra, furono molto noti.Questo anarchico madrileno ha poi rac-colto in un libro le sue cronache dalfronte di Madrid. Ma anche le collettivi-tà, tanto quelle industriali quanto quelleagricole, rappresentarono un altro fertileterreno per le cronache sulla vita civile,così come i resoconti dalla retroguardiain tutti i suoi aspetti.(traduzione di Carlo Ghirardato)

44Attività libertarie

Arte eanarchia inSvizzera

Nel giro di qualche mesesi sono tenute – una nelCanton Ticino, l’altra nel-la Svizzera tedesca – duemanifestazioni che hannoconiugato in modi diversi itermini arte e anarchia. Laprima aveva come sogget-to addirittura il «grandevecchio dell’anarchia»,ovvero Mikhail Bakuninnel 120° della sua morte.L’altra ha avuto luogo nel-la compassata Basilea, cheha rivissuto in modo in-consueto il suo passatoanarchico. Entrambi lemanifestazioni, che quipresentiamo sommaria-mente, sono in effetti ope-ra di due artisti italiani:Enrico Baj, protagonistadell’iniziativa ticinese, eLuca Vitone autore di que-sta rivisitazione libertariadi Basilea.

Smonumento aBakuninÈ questo il nome che Bajha dato alla sua opera piùrecente, nata nell’ambitodi quella mostra interna-zionale, tutta dedicata a

Bakunin, che la KarinKramer Verlag ha organiz-zato a Berlino lo scorsogiugno. Lo «Smonumen-to» è poi stato presentatolo scorso 5 ottobre a Mon-te Verità, nei pressi diLocarno, nel corso di unamanifestazione che ha vi-sto la partecipazione, oltreche di Enrico Baj, di di-versi storici comeMarianne Enckell, PierCarlo Masini, RomanoBroggini e Franco DellaPeruta. La presentazione èstata arricchita da una pic-cola mostra su Bakuninpreparata dall’ArchivioCarlo Vanza di Minusio.Nel dibattito seguito allerelazioni è naturalmentesaltata fuori la domanda sesia o no legittimo «imbal-

samare» Bakunin in mo-numenti e celebrazioni.Per Baj si può se il monu-mento – anzi, lo smonu-mento – non risponde acriteri di retorica celebrati-va ma di identificazionecreativa. E anzi rilancial’idea, proponendo un al-tro smonumento aBakunin da collocare neiluoghi del suo periodo ti-cinese. Per altri il proble-ma rimane aperto, come sipuò arguire dalla propostaavanzata dagli stessi orga-nizzatori dell’iniziativaberlinese che, con un toc-co di ironia che non gua-sta, sollecitano l’adesione,con le schede che qui pub-blichiamo, ai due circolinati a seguito di questa di-scussione:

CIRCOLO DEGLI AMICI PER LA

DISTRUZIONE DEFINITIVA

DI TUTTI I MONUMENTI ABAKUNIN [CADI]POSTFACH 440 417, D -12004 BERLIN

Con la presente dichiarola mia adesione al Circolodegli amici per la distru-zione definitiva di tutti imonumenti a Bakunin[CADI]. Il Circolo haquale obiettivo la promo-zione della distruzione ditutti i monumenti aBakunin e intende portarea compimento esso stesso

45 Attività libertarie

la distruzione di tutti mo-numenti a Bakunin. Poi-ché condivido l’idea el’obiettivo del Circolo de-gli amici per la distruzio-ne definitiva di tutti i mo-numenti a Bakunin, di-chiaro con la presente lamia adesione al Circolodegli amici per la distru-zione definitiva di tutti imonumenti a Bakunin.Con l’adesione al Circolodegli amici per la distru-zione di tutti i monumentia Bakunin [CADI] mi im-pegno a titolo personale ein qualità di membro delCircolo degli amici per ladistruzione di tutti i monu-menti a Bakunin, di pro-muovere sempre e ovun-

que la distruzione di tutti imonumenti a Bakunin.Nome:Via:CAP/Località:Data/Firma:(da inoltrare all’indirizzosu esposto)

CIRCOLO DEGLI AMICI PER LA

POSA DI UN NUMERO INFINITO

DI MONUMENTI A BAKUNIN

[CAPI]POSTFACH 440 417, D -12004 BERLIN

Con la presente dichiarola mia adesione al Circolodegli amici per la posa diun numero infinito di mo-numenti a Bakunin[CAPI]. Il Circolo ha qua-le obiettivo la promozionedella posa di un numeroinfinito di monumenti aBakunin e intende portarea compimento esso stessola posa di un numero infi-nito di monumenti aBakunin. Poiché condividol’idea e l’obiettivo del Cir-colo degli amici per laposa di un numero infinitodi monumenti a Bakunin[CAPI], dichiaro con lapresente la mia adesioneal Circolo degli amici perla posa di un numero infi-nito di monumenti aBakunin [CAPI]. Conl’adesione al Circolo degliamici per la posa di unnumero infinito di monu-

menti a Bakunin [CAPI]mi impegno a titolo perso-nale e in qualità di mem-bro del Circolo degli ami-ci per la posa di un nume-ro infinito di monumenti aBakunin, di promuoveresempre e ovunque un nu-mero infinito di monumen-ti a Bakunin.Nome:Via:CAP/Località:Data/Firma:(da inoltrare all’indirizzosu esposto)

Itinerario anarchicoa BasileaLuca Vitone ha invecepartecipato ad una manife-stazione artistica che si ètenuta in questa città sviz-zera la scorsa estate, al-l’interno della quale è sta-to realizzato il progetto –intitolato « Liberi tutti!» –di tracciare un itinerarioanarchico segnato dal-l’esposizione di bandiererossonere all’esterno diluoghi che sono stati signi-ficativi per il movimentolibertario di Basilea.«Inizialmente – come ri-porta la presentazione delprogetto – i posti scelti ri-mandavano sia a siti stori-camente importanti sia aquelli di riferimento attua-li. Basilea, al pari di Gine-

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vra e della zona del Jurasvizzero, è stata un centroimportante per il movi-mento anarchico. La cittàha ospitato il 4° Congres-so della Prima Internazio-nale nel settembre del1869 nei locali del CaffèSpitz sul Reno. Nei decen-ni successivi ha visto for-marsi diversi gruppi, coo-perative, circoli, costituitida autoctoni, immigrati eesuli di Paesi dittatorialiche si riconoscevano nel-l’ideale anarchico». Per ilrifiuto degli attuali pro-prietari, non è stato possi-bile apporre una bandieraall’esterno del Caffè, cheidealmente si sarebbe po-

sto come il punto d’iniziodi questo viaggio dellamemoria. L’unico luogostorico in cui è stato possi-bile appendere una bandie-ra è l’attuale sede del sin-dacato in Claraplatz, cheprima della seconda guerramondiale aveva ospitato ilsindacato anarchico e nelperiodo post-bellico diver-si circoli libertari.Gli altri luoghi identificatiper costruire quest’itinera-rio sono stati invece spazioccupati o gestiti da coo-perative con caratteristichelibertarie.«L’idea del lavoro era dipasseggiare in città e tro-vare cenni simili che ri-

mandavano gli uni agli al-tri, atti a sottolineare deiluoghi, estranei a quellidell’arte, tra cui si era per-sa la relazione». Oltre allebandiere, il progetto com-prendeva anche la giganto-grafia, tratta da una diapo-sitiva aerea, di un deltafluviale molto diramatoaccompagnata da una ban-diera e da una mappa de-bordiana che tracciava ilpercorso ipotetico che uni-va i diversi luoghi segnatidalle bandiere.

A pag. 45: Enrico Baj,«Smonumento a MikhailBakunin»In alto: Basilea 1996,Infoladen Sowieso

47 Storia per immagini

Immagini della rivoluzionea cura di Lorenzo Pezzica

ARCHIVI ICONOGRAFICI

Il Centre International de Recherchessur l’Anarchisme di Losanna ha raccol-to e conservato un nutrito archivio dimanifesti anarchici ma non solo. Attual-mente il CIRA conta più di cinquecentomanifesti di cui 57 riguardano specifi-camente la rivoluzione spagnola.

La maggior parte dei manifestisono stati realizzati dallaCNT-FAI e da vari gruppianarchici. Ma la raccolta con-tiene anche manifesti realiz-zati dal Comitato per la Spa-gna Libera, dal Ministerodella Propaganda e dal Mini-stero di Stato della Repubbli-ca. Valencia, Madrid eBarcellona, ma in generalel’intera Catalogna, sono iluoghi più ricorrenti dellaloro realizzazione.I manifesti sono di dimensio-ni diverse (si va dal formato40x30; 50x70; 70x100 fino

al formato 100x150) e sono tutti realiz-zati nel biennio 1936-1937.Diversi sono gli argomenti rappresenta-ti: dai ritratti dei militanti più noti –come ad esempio Durruti, ritratto diprofilo davanti ad un paesaggio – alleimmagini di vita sociale nelle città e

nelle campagne liberate dallarivoluzione. Ricorrenti le im-magini di guerra, sia deifranchisti – ad esempio unbombardamento aereo fasci-sta sulle scuole, dove si ve-dono le macerie dell’edificioed i cadaveri dei ragazzi –dove si ritrova la più tradi-zionale propaganda contro ilnemico, sia delle milizie,dove accanto allo sforzo bel-lico appare evidente l’entu-siasmo rivoluzionario.

48Storia per immagini

Libertat!

Tra i manifesti posseduti dal CIRA c’èanche quello, assai famoso, qui ripro-dotto. Da pochi giorni, debitamente in-corniciata, una riproduzione di questomanifesto fa bella mostra di sé nel no-stro archivio. La peculiarità di questa ri-produzione è che è stata firmata e dona-ta all’archivio dal suo autore, il graficocatalano Carles Fontseré, passato di re-cente a Milano.Ventenne allo scop-pio della rivoluzio-ne, Fontseré ha di-segnato nel pienodegli eventi rivolu-zionari questa cele-bre immagine, par-tecipe di quel grup-po di giovani dise-gnatori che hannomesso la propriaarte al servizio dellarivoluzione. CarlesFontseré non si li-miterà però a dise-gnare la rivoluzionema combatterà in-quadrato nelle Bri-gate Internazionalifino al 1939, cono-scendo poi l’esilio ei campi di concen-tramento in Franciae approdando infinenegli Stati Uniti,dove lavorerà comegrafico e scenografoper oltre vent’anni.Tornato aBarcellona negli

anni Settanta, Fontseré ha scritto un li-bro di memorie, Memóries d’uncartellista català (1931-1939)[Editorial Pòrtic, Barcellona, 1995] nelquale narra le sue vicende di graficomilitante [vedi anche l’intervista cheEnrique Santos gli ha fatto su «A rivistaanarchica», n.9, 1996]. Ora un po’ dellasua storia e della sua (e nostra) passionemilitante la si può ammirare sui muridel nostro archivio.

Storia per immagini

Cinema e CNTa cura di Lorenzo Pezzica

Quale posto occupa la guerra di Spagnanel cinema di ieri e di oggi? È questa ladomanda che Mateo Moral, sollecitatodall’ormai famoso film di Ken LoachLand and Freedom, (Terra e Libertà) haposto alla base del suo opuscolo Guerred’Espagne et cinema [edizioni Reflex,Parigi, 1996] interessante librettino sulrapporto tra cinema e guerra di Spagna.Partendo da un veloce sguardo alla pro-duzione cinematografica spagnola du-rante la Seconda repubblica, dal 1931 al1936, Moral si sofferma lungamentesulla produzione di film durante gli annidella guerra e della rivoluzione che in-terrompono la tradizionale produzionecinematografica spagnola e si indirizza-no verso realizzazioni più militanti. Ilcinema a partire dal 1936 diviene il mi-glior mezzo di propaganda e diffusionedi idee, in particolare per il movimentoanarchico. Va ricordato infatti che lagrande maggioranza dei lavoratori dellospettacolo in Spagna appartenevano allaCNT.Tra il luglio 1936 e l’aprile 1939 furonogirati, da parte dei repubblicani, più di200 cortometraggi e una ventina di lun-gometraggi.Tre furono le correnti cinematograficheprevalenti: i film di ispirazione anarco-sindacalista, che furono i più numerosi,realizzati in prevalenza dalla CNT-FAI,i film della Generalitat de Catalunya,una produzione specificamente catalanae di ispirazione repubblicana ed infine i

film progressivamente controllati dalPartito comunista spagnolo.Ma il saggio di Moral passa in rassegnaanche il cinema franchista, che produs-se ben pochi film durante la guerra emai in terra spagnola (i film venivanorealizzati nel Marocco spagnolo, a Li-sbona, a Berlino e a Roma), la produ-zione di Hollywood negli anni tra il1937 e il 1938, e infine il cinema ameri-cano ed europeo prodotto a partire dalsecondo dopoguerra fino ai giorni no-stri.Il saggio è accompagnato da una riccarassegna di titoli prodotti dagli anarchi-ci durante gli anni della rivoluzione,come quelli diretti da Mateo Santos,fondatore e redattore insieme a ArmandGuerra della rivista «Popular film», an-tagonista della rivista comunista«Nuestro cinema» di Piqueras.L’opuscolo riporta anche un articolo daltitolo Buñuel, l’envers d’un film di JeanLouis Comolli, redattore e direttore dei«Cahiers du cinema», autore del filmL’ombre rouge (L’ombra rossa, 1981)nel quale Comolli mostra le macchina-zioni staliniste contro la rivoluzionespagnola.Qui di seguito pubblichiamo un branotratto dall’opuscolo di Moral che af-fronta in particolare i rapporti tra CNTe cinema:«I film realizzati dalla CNT tentano dimostrare la passione rivoluzionaria, esin dai primi giorni, gli operatori filma-

FILM

50Storia per immagini

no gli avvenimenti. ‘Trale produzioni più scot-tanti della Generalitat diCatalogna – scrive B.Amengual su ‘Positif’–si distingue Reportajedel movimientorevolucionario di MateoSantos, probabilmente ilprimo film sulla guerraessendo stato girato pro-prio nel luglio del 1936dalla CNT-FAI’. Si trattadi un montaggio di dieciminuti di straordinariaviolenza, dove ‘l’illusio-ne lirica’, ‘il disordinefondamentale dell’ele-mento emozionale’ comedice Malraux, attraversocui l’impossibile si con-cede e viene vissutocome possibile, sonopressoché palpabili. Ècomprensibile che questeimmagini abbiano ulte-riormente nutrito i piùgrossolani pamphlet an-ticomunisti (Francesi,avete la memoria corta,per esempio, montato nel 1942 da JeanMorel e Jacques Chavannes). Ma il suofurore anticlericale si riallaccia anche aquello degli iconoclasti della Rivoluzio-ne francese che le guide turistiche stig-matizzano ritualmente davanti alle scul-ture decapitate sulla facciata delle no-stre cattedrali. (Di quante offese ine-spiabili tuttavia questi eccessi sonol’espressione).Gli operatori cenetistas mettono conti-nuamente in relazione la guerra con la

rivoluzione sociale realizzando sia filmsu operazioni militari sia film sulle tra-sformazioni sociali in atto nei negozi,nelle fabbriche, negli alberghi e nei ri-storanti collettivizzati, nell’ambito del-l’istruzione e della pedagogia, ecc. (enumerosi sono i film che cercheranno diesplorare i più svariati ambiti sempre inrelazione al conflitto in corso, comeAragon trabaja y lucha di FelixMarguet e Barcelona trabaja para elfrente di Mateo Santos).

Storia per immagini

Così, se vengono prodotti filmati comeCastilla se liberta, dove la CNT-FAIspiega i compiti della collettivizzazioneagraria, altri mostrano invece il fronte,come Los Aguiluchos de la FAI portierras de Aragon, che un giornalista diCinémonde, assistendo al lavoro dimontaggio realizzato dagli anarchici,commenta così: ‘Vediamo lentamentescorrere gli interminabili altipiani diAragona, le file di camion irti di ban-diere e fucili. Si vede il lento risvegliodi uomini sdraiati all’ombra delle case,la partenza da Bujaraloz per le localitàsenza alberi e senz’acqua, il braccio chescaccia la mosca, la testa che si solleva,la sorprendente varietà di uomini checompongono l’esercito più variopintodel mondo... La strada che scorre... Unasuccessione di facce dagli occhi lucidi...Il film si conclude a Gelsa davanti allerovine fumanti della chiesa mentrel’esercito fascista continua con i suoibombardamenti... Documento autentico,onesto e lento, senza trucchi cinemato-grafici, dove i primissimi piani mostra-no miliziani sconosciuti e non mettonoin risalto il leader indiscusso, l’operaioelettricista Durruti, né il generale Mera,che si riconosce dal suo sombrero (‘Ehi,Pancho Villa!’ gridano in sala)’.Ma attorno al personaggio di Durruti sicrea comunque il mito. Il film Castillase liberta è l’unico esempio, durante laguerra, dove un personaggio della rivo-luzione viene interpretato al cinema daun attore professionista che recita laparte di Durruti accanto a CiprianoMera nel ruolo di se stesso. Ma Castillase liberta non è un film realizzato inonore di un leader anarchico: è prima ditutto un film sui movimenti collettivi

avviati dallo scoppio della rivoluzione.Ciò nonostante, i funerali giganteschi diDurruti filmati dalla CNT contribuiran-no certamente al suo ingresso nella leg-genda.Lo slancio rivoluzionario presente an-che in quest’ambito si riversa su espe-rienze di autogestione che portano allarealizzazione, oltre che dei documenta-ri, anche di opere di finzione: ‘La sfida– spiega Paranagua su ‘Positif’ – era direalizzare né più né meno dei lungome-traggi tecnicamente comparabili a quel-li americani e superiori nel contenuto aifilm sovietici. Ecco gettate le basi di unnon allineamento libertario: néHollywood né Mosca’».

Un autre futur. L’Espagnerouge et noir

Realizzato in Francia da militanti dellaCNT questo film di Richard Prost mostrala visione anarchica della rivoluzione spa-gnola. Il video è diviso in tre parti. Nellaprima Prost racconta gli anni antecedentila guerra di Spagna, mostrando la forzadel movimento anarchico spagnolo e lerepressioni feroci subite dal movimentodurante gli anni della Seconda Repubbli-ca. La seconda parte riguarda gli anni del-la rivoluzione, analizzata sia dal punto divista della lotta armata sia da quello del-l’organizzazione della vita sociale ed eco-nomica nelle città e nelle campagne. Nel1936, due milioni di spagnoli vivonol’esperienza del comunismo libertario. Inquegli anni sorgono 240 collettività inCastilla, 503 nel Levante, 450 inAragona, 350 comunità in Catalogna e210 in Andalusia.

52Storia per immagini

La terza ed ultima parte racconta dei com-battimenti contro le forze franchiste econtro gli stalinisti; della sconfitta e del-l’esilio in Francia nei campi dei rifugiati;della resistenza negli anni successivi lafine della guerra civile.Per la realizzazione del film Prost si èavvalso del poderoso materiale di imma-gini girate dalla CNT-FAI du-rante gli anni della guerra eper molto tempo ignorate dal-la storiografia ufficiale: docu-mentari e film fiction, imma-gini di repertorio, cinegiornalirealizzati dal Sindicato de laIndustria del Espectaculo diBarcellona, ecc. In particolarel’autore ha utilizzato quattrofilm a soggetto realizzati dal-la CNT. Film che, contraria-mente a quanto ci si possaaspettare da una produzionedi carattere militante, per lascenografia, la sceneggiaturae l’intera struttura filmicanulla hanno da invidiare aifilm di autore di produzionefrancese dello stesso periodo(Pagnol, Renoir o Buñuel). Ititoli dei film sono: Barriosbajos di Pero Puche (durata92 minuti), Nuestro culpable,Nosotros somos asi, un filmmolto particolare in cui prota-gonisti sono dei ragazzi ed idialoghi sono scritti in versi,Aurora de esperanza, il filmpiù conosciuto dalla comunitàesiliata in Francia, perché ilpiù militante nel suo genere.Il video raccoglie anche unaserie di interviste a militanti e

protagonisti di quegli anni (tra cui Fede-rica Montseny, Maravilla Rodriguez,Miguel Celma, Joaquín Dieste Ramos).

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Anarchismocoreano:foto digruppo

a cura di Furio Biagini

L’anarchismo coreano hale sue radici nel movimen-to di indipendenza control’occupazione giapponesedel Paese, avvenuta nel1894.Tuttavia prima degli anniVenti il movimento è di-sperso, minoritario e fram-mentato. Molti militantivivono all’estero soprat-tutto in Cina e in Giappo-ne dove esistono forti co-munità di immigrati corea-ni. È proprio in questi duePaesi che nel 1923 nascel’embrione del movimentoanarchico coreano. Inquell’anno, sempre inCina, Shim Chai-Ho(1880-1936), giornalistanonché uno dei maggioriscrittori del tempo, stilavail Korean Revolution Ma-nifesto, mentre in Giappo-ne Park Yeol (1902-1973)preparava un attentatocontro l’imperatore. È apartire da questi due epi-sodi che si svilupperàl’anarchismo coreano.Nell’aprile dell’anno suc-

cessivo, Lee Hwae-Young(1867-1932), Shin Chae-Ho, Yo Ja-Myeong, LeeEul-Kyn, Lee Jeong-Kyn,Jeong Wha-Am e PaikJeung-Ki organizzavano inCina la Federazione anar-chica coreana e pubblica-vano propri organi di stam-pa dal titolo «JusticeBulletin» e «Recapture».Precedentemente, nel 1922,Park Yeol insieme ad altrianarchici, tra cui alcunigiapponesi, fondavano aTokyo il gruppo anarchicoLa Rivolta da cui ebbe ori-gine anche il movimentoanarchico giapponese.La Cina dei primi anni delsecolo attraversava un pe-riodo di profonda crisi po-litica e sociale. L’insuc-cesso della rivoluzione del1911 e l’occupazione delle

aree costiere da parte dellegrandi potenze occidentaliaggravarono questa situa-zione. I richiami alla soli-darietà nazionale, alla de-mocrazia politica e allamodernizzazione indu-striale del Paese erano for-ti e si univano al desideriodi liberare il territorio na-zionale dall’occupazionedelle potenze straniere. Glianarchici cinesi non pote-vano ignorare i sentimentinazionali, ma volevano in-serirli in un programmachiaramente libertario.La situazione in Corea eraidentica a quella cinese e ilKorean Revolution Mani-festo, redatto da ShimChai-Ho, rappresentava larisposta politica ai proble-mi che i due Paesi doveva-no affrontare. Diverso ilcaso del Giappone. Il Pae-se aveva completato lapropria modernizzazione,condotto due guerre vitto-riose, la guerra cino-giap-ponese e la guerra russo-giapponese, e si avviavaad entrare a pieno titolonel novero delle potenzecapitalistiche. In conse-guenza dello sviluppo in-dustriale era cresciuta ra-pidamente una classe ope-raia di tipo occidentale e alsuo fianco un consistentemovimento socialista. Te-nendo conto di questa re-

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altà, il movi-mento anar-chico coreanoche si era svi-luppato inGiapponeconcepiva lalotta di libera-zione nazio-nale stretta-mente con-nessa alla lot-ta di classe,mentre glianarchici co-reani presentiin Cina lavo-ravano per organizzare unvasto fronte di forze chelottassero per raggiungerel’indipendenza nazionale.Le differenze socio-politi-che dei due Paesi sono allabase delle diverse posizio-ni assunte dall’anarchismocoreano.A partire dal 1920 la storiadel movimento anarchicocoreano può essere suddi-visa in due periodi: il pri-mo – sostanzialmente glianni della amministrazio-ne coloniale terminata nel1945 – è caratterizzatodalla lotta contro l’occu-pazione giapponese, daposizioni anti-imperialiste,anti-militariste, e dal rifiu-to di ogni attività politica.Il secondo – dalla sconfit-ta giapponese fino aglianni Ottanta – vede gli

anarchici coreani abban-donare alcune delle posi-zioni precedentemente so-stenute e interrogarsi sullepossibilità di costruire unasocietà che si armonizzicon gli ideali libertari.Tra il 1925 e il 1930 na-scono in tutto il Paese nu-merosi gruppi anarchici, inparticolare a Seoul, Pyon-gyang e in molte altre lo-calità. Nel novembre 1929la Kwanseo Black FriendLeague, organizzava unafederazione nazionale dacui avrà origine la Federa-zione anarco-comunistacoreana, un’organizzazio-ne clandestina su scala na-zionale.Nel frattempo gli anarchicicoreani che vivevano inCina fondavano a Pechino,nel 1924, la Federazione

anarchica coreana di Cinache successivamente si af-filiò alla Federazione anar-chica orientale organizzataa Shanghai nel 1928. Nel-lo stesso tempo a Haelim,nel nord della Manciuria,nasceva un’altra federa-zione anarchica che lavo-rava con i due milioni dicoreani presenti in quellaregione. Questa organizza-zione si impegnò per otte-nere forme di autogovernolocale, ma si scontrò conle forze di occupazionegiapponesi che la costrin-sero a trasferirsi aShanghai. In Giappone, in-vece, erano i gruppi diTokyo e di Osaka a mante-nere vivo il movimentoanarchico.Tra il 1931 e il 1945 ilmovimento anarchico co-

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reano fu impegnato nellalotta contro l’invasoregiapponese. Le autoritàmilitari di occupazione or-dinarono lo scioglimentodi tutte le organizzazionipolitiche e sociali e arre-starono un gran numero dimilitanti. Il risultato diquesta operazione di poli-zia fu che il movimentoanarchico coreano vennequasi del tutto annientato.Nel 1937, conclusa laguerra contro la Cina, igiapponesi intensificaronole persecuzioni contro lapopolazione coreana e ob-bligarono tutti i movimentipolitici a condurre clande-stinamente le loro attività.Nel corso della secondaguerra mondiale il movi-mento anarchico coreanocontinuò la lotta control’esercito giapponese e isuoi militanti entrarono afar parte dell’esercito di li-berazione nazionale. Nel-l’agosto 1940 due anarchi-ci, Yu Ja-Myeong dellaFederazione rivoluzionariacoreana e Yu Rim dellaFederazione anarchica co-reana, furono eletti al Par-lamento provvisorio ed en-trarono nel governo di uni-tà nazionale insieme a na-zionalisti e comunisti.Alla fine della guerra glianarchici ancora detenutifurono liberati. Il 29 set-

tembre 1945 si tenne a Se-oul un incontro per riorga-nizzare il movimento anar-chico e in quell’occasionefu fondata la Federation ofFree Society Builders (Fe-derazione per la costruzio-ne di una società libera).La federazione adottò unprogramma nel quale sichiedeva un sistema basa-to sull’autogoverno localee il controllo operaio delleindustrie.Ma fu con il ritorno a Se-oul di Yu Rim, leader dellaFederazione anarco-comu-nista coreana e membro delgoverno provvisorio, che ilmovimento anarchico ri-prese in pieno la sua attivi-tà. Nell’aprile 1946 glianarchici coreani tenevanouna conferenza nazionaleche sottolineava la necessi-tà di costruire un partitoche rappresentasse gli inte-ressi degli operai e dei con-tadini. I singoli militantiavrebbero deciso in pienaautonomia se aderire omeno al partito, ma qua-lunque fosse stata la lorodecisione ne avrebbero co-munque sostenuto le attivi-tà. L’Independent Workersand Farmers Party, questoil nome del nuovo partito,tenne la sua seduta inaugu-rale il 7 luglio 1946 alYeok-Gyeong Hall e inquella occasione Yu Rim

fu eletto presidente.Con l’aggravarsi delle ten-sioni tra Est e Ovest el’inizio della «guerra fred-da» la penisola coreana di-venne il teatro in cui siconfrontarono il bloccocomunista e quello occi-dentale. Nel 1948 la divi-sione della Corea, e suc-cessivamente la guerra trala Corea del Nord e laCorea del Sud, indeboliro-no il movimento anarchicoe costrinsero l’IWFP aconcentrare le sue attivitànella parte del Paese sottoinfluenza occidentale.Nell’aprile 1961, all’età di68 anni, Yu Rim moriva.Un mese dopo, un colpo distato organizzato dal gene-rale Park Jeong-Hee pone-va il Paese sotto l’ammini-strazione militare. Le atti-vità politiche furono proi-bite e i membri dei gruppiradicali arrestati. La vitapolitica tornò alla normali-tà solo dieci anni dopo, enel febbraio 1972 Yang Il-Dong, Jeong Hwa-Am, HaKi-Rak dettero vita alDemocratic UnificationParty, erede dell’IWFP.Ma il nuovo partito ebbevita breve e venne scioltonel 1982 durante il regimedi Chun Doo-Hwan.

Pag. 54: Anui, Corea,Congresso anarchico del 23aprile 1946

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DICEMBRE 1996

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