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STUDI E DOCUMENTI 20...nali da Alvito, e soprattutto ha aggiunto una valenza al fenomeno, di cui si...

Date post: 08-Mar-2021
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Con il patrocinio del Comune di Alvito

Prima edizione: dicembre 2004ISBN 88-87485-41-0

© 2004 Edilazio - Editrice RegionaleVia Taranto, 178 - 00182 RomaTel. e Fax 06-7020663E-mail: [email protected]: www.edilazio.com

Progettazione e realizzazione graficaa cura della Casa Editrice

In copertina: Carta dell’Agro Romano con confini delle tenute e deiterritori comunali limitrofi alla scala 1:75000, particolare, Spinetti 1914

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Riccardo Morr i

EDILAZIO

DA ALVITO ALLA CAMPAGNA ROMANAVIAGGI DI BRACCIANTI E IMPRENDITORI TRA ’800 E ’900

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A Serena e Francesca

Lacrime di pioggia,il tuo ricordo mi parladalla tua finestraio guardo il mondo che passa ed ogni giorno ci sarai…Stringila forte quando avrà paura,che c’è il mio amore che non l’abbandonaad ogni passo della vita.

(A. Venditti)

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PREFAZIONE

Dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi de-cenni del Novecento l’agricoltura italiana è stata caratte-rizzata da intensi movimenti migratori stagionali. Si trat-ta di spostamenti di manodopera interni al Paese, che coe-sistono con i movimenti verso l’estero, e rappresentano unaricerca di integrazione del reddito per la popolazione increscita di regioni ad economia prevalentemente agricola.L’agricoltura e l’allevamento costituiscono infatti le atti-vità prevalenti in quelle aree che diventano bacini di re-clutamento di bracciantato agricolo che si sposta secondoritmi stagionali. La differenza di clima tra le aree monta-ne e quello delle aree di pianura determina lo sfasamentodei cicli stagionali e dà la possibilità di partire per presta-re lavoro lontano da casa e successivamente di tornare perassolvere ai doveri della gestione di una piccola azienda fa-miliare o, quando non si gode del possesso di un terreno, ditrovare occupazione presso terzi, ma comunque nella terradi origine. I movimenti si svolgono lungo una fitta rete dipercorsi che collegano regioni confinanti già in relazionetra loro per motivi legati ai ritmi della transumanza, o perscambi di carattere commerciale, situazioni entrambe checreano integrazione tra territori strutturalmente diversi.

In questa ottica si possono individuare nell’Italia cen-tro-meridionale due circuiti: il primo interessa le Marche,l’Umbria, l’Abruzzo, e le aree montuose dei Prenestini,Simbruini e Lepini nel Lazio, e costituisce il bacino di re-clutamento della manodopera per i lavori campestri e leattività di allevamento che si svolgevano nella Campagnae nell’Agro romano.

Il secondo, più a sud, coinvolge la Campania in cuiaffluivano periodicamente genti provenienti dalle regioni

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Abruzzo, Puglia, Basilicata e Calabria, che insieme for-mavano un unico vasto mercato del lavoro stagionale agri-colo.

Gli spostamenti avvenivano a piedi, in gruppi cheformavano le “compagnie”, si trattava per lo più di perso-ne che vivevano in collina o in montagna, “i montanari”,che scendevano a valle alla ricerca di possibili mezzi di sus-sistenza. Talvolta, quando il lavoro nei campi non sem-brava in grado di assorbire tante braccia, si adattavano amettersi in viaggio da girovaghi, suonatori ambulanti conl’organetto o con le “bestie da giuoco”, o anche come figu-rinai, termine che compare nell’inchiesta Jacini per indi-care quanti battevano piazze e mercati offrendo ai pas-santi le figurine da cui trarre pronostici per il futuro, scel-te da un uccellino tenuto in gabbia. In quest’ultimo casodi tappa in tappa raggiungevano mete lontane spingendo-si anche fino in Francia, Gran Bretagna e in Irlanda.

In questo scenario, caratterizzato da genti in movi-mento, nella seconda metà dell’Ottocento, si colloca la vi-cenda migratoria che ha origine dal comune di Alvito,nella Valle di Comino, che apparteneva allora alla Terradi Lavoro e quindi al Regno di Napoli. Se quindi consi-deriamo la collocazione di Alvito in Terra di Lavoro, ov-vero nella parte settentrionale della Campania, e le rela-zioni di scambio che questa regione aveva con quelle vici-ne, appare del tutto inconsueto il gravitare di Alvito su Ro-ma e sulla Campagna Romana.

Questo fenomeno è ancora oggi vivo nella tradizionelocale. Testimonianze orali riferiscono di compagnie dimigranti che si spostavano alla volta di Roma, sostavano aFerentino e proseguivano il giorno dopo per raggiungere latenuta dove avrebbero trovato occupazione per i lavori disemina o di raccolto. La consistenza del fenomeno nel ter-ritorio di Alvito è facilmente individuabile dal confrontodei dati relativi alla popolazione residente ed effettiva-

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mente presente al momento del rilevamento censuario. Dal1871 al 1936 si arriva a differenze che evidenziano la as-senza di circa un terzo della popolazione.

E che questa si trovasse veramente in Campagna Ro-mana è avvalorato anche dalla osservazione che il senato-re Erminio Sipari ebbe a fare nella relazione che tenne perperorare la costruzione di una ferrovia che servisse anchela Valle di Comino.

Lo studio di questo fenomeno non era stato mai af-frontato, dal momento che forse è stato ritenuto margina-le rispetto alla consistenza dei flussi migratori verso l’esteroche hanno caratterizzato le dinamiche demografiche dellaValle fino al secondo dopoguerra.

L’opportunità di confermare scientificamente la tradi-zione orale si è presentata nell’ambito di una lezione delcorso di dottorato in Geografia Storica che dal 1996 è at-tivo presso l’Università degli Studi di Cassino. L’argomen-to comportava capacità di controllo e di elaborazione del-le fonti statistiche, delle fonti d’archivio, delle fonti biblio-grafiche e cartografiche, capacità che si potevano richiede-re a livello di tesi di dottorato. Riccardo Morri ha svolto lasua ricerca ottenendo risultati significativi nel delineare icaratteri quantitativi e qualitativi delle migrazioni stagio-nali da Alvito, e soprattutto ha aggiunto una valenza alfenomeno, di cui si era persa conoscenza e della quale si èacquisita una nuova consapevolezza: da Alvito sono parti-te non soltanto persone alla ricerca di lavoro ma anche in-dividui che hanno avuto capacità imprenditoriali tali dasegnare, con l’innovazione tecnologica e con la capacità dicogliere le opportunità offerte dalle normative allora in at-to, l’inizio di forti cambiamenti nei sistemi di produzionee nell’assetto territoriale della Campagna Romana. Dome-nico Lanza, il più rappresentativo di un ceppo familiareoriginario di Alvito, opera a Roma tra la fine dell’Otto-cento e i primi del Novecento. A lui si deve, in collabora-

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zione con la ditta inglese Fowler, l’introduzione di un ara-tro con bilanciere monovomere che consentì il dissodamen-to dei suoli dell’agro romano costituiti da polveri vulcani-che compatte, particolarmente dure, noti come cappellac-cio. L’uso di un tale strumento capace di incidere lo stratoduro dei suoli vulcanici, avviò il processo di trasformazio-ne del paesaggio della Campagna Romana, il latifondo ce-realicolo e pascolativo fu progressivamente sostituito dacolture intensive e specializzate, che gettarono le basi percostruire un rapporto più stretto tra città e campagna, inun nuovo slancio economico. Contemporaneamente le leg-gi per la politica di bonifica, promulgate nel primo decen-nio del Novecento, dettero un ulteriore impulso alle tra-sformazioni del paesaggio: il prosciugamento di aree mal-sane, la costruzione di alloggi e di servizi per rendere stan-ziale la popolazione furono iniziative realizzate anchegrazie alle capacità innovative di imprenditori illuminaticome i Lanza.

Lo stato di meccanizzazione del lavoro in agricolturaera già avanzato in alcuni settori del ciclo produttivo; iBorghese avevano fatto venire dalla Scozia nel 1840 laprima trebbiatrice a vapore, nel 1866 i Rospigliosi inizia-no ad usare nella tenuta di Maccarese una falciatrice cheproduce il lavoro di 40 uomini. L’introduzione dell’aratrodei Lanza fu un ulteriore passo verso la modernizzazionedella produzione agricola.

Questa realtà segna il culmine di un percorso la cuifase iniziale può essere datata 4 agosto del 1861, ovvero ilgiorno in cui si costituì all’interno della famiglia Lanza,una prima società con lo scopo di provvedere alla “condu-zione di operai a lavorare in Campagna Romana ed effet-tuare semente per proprio conto”.

L’emigrazione da Alvito, sia che coinvolgesse impren-ditori, sia che riguardasse braccianti, testimonia il deside-rio di cercare altrove fonti di benessere e di sopravvivenza,

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e l’importanza della possibilità di usufruire di orizzontipiù ampi di quelli a cui la corona di monti della valle diComino dà un limite difficile da superare.

Rimane un interrogativo: perché migravano versonord, verso Roma e non verso Napoli; quale attrazione po-teva esercitare Roma più di Napoli, capitale del Regno? Iltentativo di dare una risposta a questo interrogativo ci in-duce a confrontarci con metodi di indagine che non trova-no soddisfazioni nel numero, nella quantificazione di unfenomeno, ma sollecitano una indagine dei comportamen-ti, degli usi, delle tradizioni che danno identità peculiarialle realtà locali, espressione di un più stretto rapporto trauomo e ambiente. Allo studio del Morri, ben si potrebbeaffiancare pertanto una nuova ricerca. Non si tratta di in-dividuare i condizionamenti che la natura impone allavita dell’uomo, ma piuttosto di cogliere i comportamentidell’uomo quando non è ancora in grado di forzare la na-tura, quando ancora non conosce tecniche che stravolgonoi tempi e i luoghi della natura. Si tratta quindi di indivi-duare il modo di sentire il luogo da parte di una comunitàumana, di comprendere il modo in cui il luogo si collocanella coscienza degli individui. È un modo diverso di ac-costarsi alla conoscenza del territorio che va oltre il concet-to di strutturalismo, è un approccio postmodernista cheprivilegia il soggetto sull’oggetto, il luogo rispetto allo spa-zio geografico, per individuare una identità del luogopiuttosto che una omogeneità, una uniformità.

Sotto questo profilo potrebbe essere di grande utilitàl’analisi della descrizione della Valle di Comino, fatta inoccasione dell’acquisto del feudo di Alvito da parte delCardinale di Como Tolomeo Gallio, nel 1595. La “Rela-tione familiare de lo Stato d’Alvito, fatta a l’Illmo sig.Cardinale di Como 1595”, testimonia come fin da allorafossero consueti i rapporti con Roma per la vendita dei pro-dotti dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’artigianato

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locali. Ancora più interessante e significativo il rapportovisivo che dalla valle si aveva con la Campagna Romanache si estendeva ai confini dell’orizzonte quando si guar-dava verso nord ovest, dall’alto di Campoli, uno dei cen-tri del ducato.

È evidente che certi comportamenti trovano origine intempi lontani, costituiscono l’espressione di tradizioni cheperdurano nel tempo e non si rimuovono con la sovrappo-sizione di strutture che l’uomo moderno ha inteso costrui-re per condizionare il territorio al fine di raggiungere van-taggi economici, o migliore organizzazione politica ed am-ministrativa.

La mancanza di una conoscenza più profonda delrapporto che una comunità stringe con i luoghi che essafrequenta ha spesso significato il fallimento della pianifi-cazione territoriale. È auspicabile una ricerca più mirataal riconoscimento delle identità locali, anche per avanzareproposte di sviluppo territoriale che siano più consone allecomunità che ne dovranno usufruire.

La ricerca di R. Morri, quindi, che potrebbe appari-re come l’approfondimento di un dettaglio, invece si ponein definitiva come la tessera che definisce l’immagine di unmosaico, che spiega rapporti tra popolazione e territorio, erelazioni complementari tra territori diversi. Lo studiocontribuisce a valorizzare il metodo e le finalità dell’inda-gine geostorica che non deve essere fine a se stessa ma assu-me significato nel momento in cui offre opportunità dimaggiore consapevolezza dei meccanismi che regolano unterritorio. Non sempre questi si possono interpretare comerelazioni di causa ed effetto, ma talvolta trovano spiega-zioni anche in motivazioni che si collocano nella sfera del-le emozioni, e che si dimostrano altrettanto valide nell’im-primere al territorio segni peculiari. Ancora oggi persisto-no tendenze di gravitazione su Sora, per la rete commer-ciale o per la fruizione di servizi, di tutta la sezione della

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Valle di Comino che va da Picinisco fino a Vicalvi, men-tre la parte che comprende S. Biagio Saracinisco,Villa La-tina e Atina, invece gravita su Cassino, ripetendo le stessedifferenze di direzione che avvenivano nel passato.

Paola VisocchiLaboratorio di Valorizzazione Territoriale

Università degli Studi di Cassino

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RINGRAZIAMENTI

Il testo che segue è il risultato della ricerca svolta perla Tesi del dottorato in Geografia storica (Università diCassino, XV ciclo) discussa dal sottoscritto a gennaio del2003. Il positivo riscontro raccolto in quell’occasione èstato lo stimolo per proporre il lavoro all’attenzione diistituzioni locali e case editrici.

Fortunatamente l’amministrazione comunale di Al-vito guidata dall’Avv. Giovanni Ferrante e la Edilaziohanno ritenuto opportuno credere e investire nel progettoche oggi arriva finalmente a compimento. Proprio al Co-mune di Alvito e alla Edilazio, in particolare nella perso-na della dott.ssa Mariarita Pocino, voglio quindi rivolge-re il mio primo grazie.

Diversi sono infatti i debiti di riconoscenza che si ac-cumulano nel corso di una ricerca impegnativa, special-mente se poi ci si ostina nel perseguire la pubblicazionedella stessa.

Desidero quindi ringraziare brevemente il Prof. Cosi-mo Palagiano e la Prof.ssa Flavia Cristaldi per la costan-za con la quale seguono la mia attività di ricerca, conti-nuità senza la quale questo progetto si sarebbe certamentearenato.

Un grazie “speciale” alla Prof.ssa Gabriella Arena peravermi indirizzato su un argomento che fosse coerente conla mia formazione e che rispondesse ai miei reali interessi,credendo nella persona prima ancora che nelle potenzialitàdel dottorando.

E un sentito ringraziamento intendo esprimere anchealla Prof.ssa Paola Visocchi, guida esperta sul territorio espesso fonte di impagabili e assai fruttuosi suggerimenti.Così come sono felice di cogliere l’occasione per ringraziareil Dipartimento di Filologia e Storia dell’Università di

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Cassino (il Prof. Andrea Riggio, la Prof.ssa Cristina Car-dillo e le colleghe/amiche Elena, Gabriella, Guglielma, Si-mona) per avermi accolto e, soprattutto, per avermi messonelle condizioni di godere appieno delle possibilità offertedal corso di dottorato.

Da ultimo voglio ringraziare tutti coloro che in di-versi vesti mi sono accanto e mi sostengono: con loro perfortuna uno sguardo, un sorriso o un abbraccio valgonopiù di parole non sempre facili da trovare.

Riccardo Morri

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INTRODUZIONE

«Ma che è quest’agro che fa di Roma una capitale intermittente, checolle sue esalazioni costringe a interrompere la vita cittadina […]? Che èquest’enigma dei naturalisti e dei medici, quest’amore dei pittori, questatomba dei contadini, questo tormento degli economisti, così tristementegrandioso, così bello e così crudele?» (Gabelli, 1881, pp. LVIII-LIX).

Ad animare la vita e la storia della Campagna Ro-mana già prima dell’Unità d’Italia e, ancora dopo il1870, fino almeno agli inizi degli anni Trenta, hannocontribuito fortemente “imprenditori” e braccianti pro-venienti da piccoli centri del Lazio, dell’Abruzzo, delMolise, delle Marche e dell’Umbria.

Le testimonianze sull’impiego di lavoratori stagio-nali nelle tenute romane sono numerose (Muratori,1907; Postempski, 1908, 1912, 1919; Metalli, 1923), eribadiscono l’importanza delle migrazioni stagionali diquesti lavoratori dalle aree appenniniche alla CampagnaRomana nel mantenimento di un’economia di “rapina”,basata su una struttura produttiva e su assetti delle pro-prietà che diventano vieppiù obsoleti sul finire del XIXsecolo e all’inizio del XX secolo (Orlando, 1991; Mer-curio, 1996; Sanfilippo, 2001).

Tuttavia, questa presenza è stata quasi sempre coltanel suo insieme, quantificando cioè l’effettiva consi-stenza di questa popolazione mobile, specialmente neiconfronti di una popolazione stabile che all’indomanidell’Unità tocca nell’Agro quasi i suoi minimi storici, li-mitata a poco più di 3.000 individui (Comune di Ro-ma, 1960). Raramente cioè ci si è soffermati sulle di-verse aree di provenienza di questa enorme massa dipersone (con punte anche di 90.000 arrivi - e partenze- in un anno, prima della Prima Guerra Mondiale,M.A.I.C., 1907), se non in relazione a una certa spe-cializzazione regionale nelle diverse attività (Sombart,1891; Cervesato, 1910; Metalli,1923).

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Tra le diverse regioni di provenienza, il Lazio meri-dionale, allora diviso tra provincia di Roma e Terra diLavoro (Caserta), non trova grande considerazione, coni “ciociari” che spesso vengono fatti oggetto di giudiziassai poco lusinghieri1.

Senza voler arrivare a sposare in blocco le tesi por-tate avanti da alcuni studiosi di storia locale, i quali cre-dono sia stata operata una rimozione quasi chirurgicadell’importanza dell’elemento “ciociaro”2 nella storiacapitolina (Santulli, 2002), si è però ritenuto opportu-no dare nuova luce a questa presenza3.

Fig. 1.1 - La Ciociaria nel 1870 (da Scotoni, 1977)

Una presa di coscienza che appare ineludibile ancheper l’importante azione che alcuni mercanti di campa-gna originari di quest’area esercitarono dapprima nellagestione di queste aziende e poi nella conduzione dellestesse nella nuova veste di proprietari.

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Tra questi spicca la figura del Cavaliere al meri-to del lavoro Domenico Lanza, originario del Co-mune di Alvito (Fr), che tra la fine del XIX e l’ini-zio del XX secolo funse dapprima da catalizzatore dimanodopera agricola, svolgendo successivamente unruolo determinante nell’avviare la modificazionedell’assetto produttivo e del paesaggio della Campa-gna Romana.

A partire infatti dalle intermittenti indicazioni for-nite dalla statistica ufficiale con lo scopo di quantifica-re e classificare i principali flussi migratori stagionali(nel 1905, nel 1910 e a partire dal 1928 con cadenzaannuale), gli individui originari del comune di Alvito,sito nella Valle di Comino, risultano essere tra i prota-gonisti di questi movimenti.

Si è dunque rovesciata completamente l’ottica finoad ora utilizzata, non parlando cioè di questi uominiuna volta arrivati nella Campagna Romana, ma andan-do a rintracciare i segni delle loro partenze direttamen-te in uno dei comuni di provenienza, attraverso l’esamedei registri di stato civile.

Grazie allo studio di 11.300 atti di nascita e quasi3.000 atti di matrimonio di individui residenti ad Alvi-to, messi cortesemente a disposizione dall’Amministra-zione Comunale, si è così potuto ricostruire un quadroabbastanza fedele dell’impatto di questi movimenti sta-gionali sulla comunità di partenza (nella struttura de-mografica, nel processo di femminilizzazione di questacomunità e nella sua composizione sociale), non trascu-rando l’importanza del confronto con l’incidenza che inquesto contesto hanno avuto anche le emigrazioni ver-so l’estero.

Attraverso l’informatizzazione (formato raster evettoriale) della Carta dell’Agro Romano dello Spinetti(1914a) è stata inoltre ricostruita un’immagine sinotti-ca e diacronica di questi spostamenti verso la Campa-gna Romana e, allo stesso tempo, sono state individua-te alcune fonti iconografiche (dipinti, in particolare) e

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letterarie che aiutassero a descrivere tempi e modi diquesta presenza nel periodo considerato.

Lo studio dei documenti conservati nell’Archiviodel Comune (Ricciardi e Di Fazio, 1991), inoltre, hapermesso di intaccare una delle tante certezze che han-no in precedenza accompagnato lo studio della presen-za “ciociara” nella Campagna Romana, tradizionalmen-te collocata quasi esclusivamente a sud di Roma, men-tre tracce evidenti di interi nuclei di questi lavoratori diAlvito sono state rinvenute anche in altre aree intornoalla Capitale.

I registri di stato civile appaiono quindi una fontericchissima di informazioni, utile non tanto per quanti-ficare con precisione il fenomeno, quanto per gettareluce sul complesso ambito delle scelte migratorie e sulcontesto in cui queste maturavano. A partire da questidocumenti è inoltre possibile identificare alcuni prota-gonisti importanti, la cui biografia fornisce un’ulteriorechiave di lettura delle trasformazioni di un dato territo-rio.

Le vicende migratorie dei diversi gruppi umanipossono essere così lette anche attraverso il divenire deidifferenti legami con il territorio di arrivo. La disaggre-gazione in numerose entità territoriali (le tenute) di unarealtà vasta come quella della Campagna Romana, an-che rispetto allo studio dei fenomeni migratori, rendepossibile individuare mete più frequentate e relazionipreferenziali tra aree e tra uomini (proprietari, mercan-ti di campagna, caporali e operai agricoli), durata dellapermanenza e processi di insediamento. Il venir menodi questa apparente omogeneità del territorio intorno aRoma come unico e indiviso bacino di immigrazioneconsente, quindi, di definire dei precisi ambiti di riferi-mento sui quali concentrare la ricerca, sia per quantoattiene le proprietà e i luoghi presso cui cercare docu-mentazione sia per quel che concerne i segni impressinel paesaggio dal succedersi delle diverse comunità nel-le varie epoche.

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Sulla Campagna Romana sono state scritte decine edecine di opere (Bortolotti, 1988), di diversa ampiezzae respiro, con un interesse che cresce progressivamentea partire dal Settecento, in particolare riguardo alle pos-sibilità di risolvere i problemi che tradizionalmente af-fliggevano l’area: spopolamento, malaria, bonifiche in-complete o effimere, diffusione del latifondo (Cachera-no, 1785), al fine di ottimizzare lo sfruttamento di que-sti vasti terreni agricoli (Mercurio, 1996).

Lo spazio agricolo e rurale intorno a Roma è statonelle varie epoche differentemente nominato e delimi-tato (Cervesato, 1910; Almagià, 1918; Scarpocchi,1999) oggetto di trattazioni monografiche tese a descri-vere le sue caratteristiche fisiche (Giordano, 1881) e/oigienico - sanitarie (Celli, 1927), a studiare e analizzarele sue strutture produttive e insediative (De Cupis,1911; Cencelli, 1918; Almagià, 1923, 1927; Paratore,1979) o, più in generale, l’assetto economico - sociale(Sombart, 1891) sia in un dato momento storico (Co-mune di Roma, 1871; Pareto, 1875; M.A.I.C., 1881a)che nel loro divenire (Tomassetti, 1979; Vallino e Me-lella, 1983). Diversi studiosi, a vario titolo (storici, geo-grafi, demografi, antropologi, storici dell’arte,…), neiloro studi su scala nazionale o extra regionale, portanospesso ad esempio quest’area per descrivere tutta una se-rie di particolari fenomeni che in qualche modo ne fan-no un unicum e quindi un inevitabile elemento di con-fronto (Sereni, 1961; Zangheri, 1977; Barberis, 1999).

Una produzione che non si esaurisce con quella dicarattere strettamente scientifico, ma annovera moltissi-mi contributi di esperti e non, ciascuno appassionatoalla materia a modo suo (Bonfili, 2001). Esiste inoltreuna gran quantità di materiale iconografico - dalle pre-gevoli raffigurazioni pittoriche, alle stampe, alle più re-centi fotografie - consultabile nei cataloghi delle mostrerealizzate su questo tema (Cooperativa Pagliaccetto,1984; De Rosa e Trastulli, 2002; Lanzillotta, Mammu-cari e Negri Arnoldi, 2003), rintracciabili presso deter-

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minati fondi (Cazzola, 2000) o nelle gallerie di piccoliantiquari presenti a Roma e nel Lazio.

Al di là dell’ovvia necessità di doversi confrontarecon questa enorme mole di documentazione, intra-prendere una “nuova” ricerca che abbia in qualche mo-do a che fare con la Campagna Romana significa, quin-di, chiarire innanzitutto in quale ambito e contesto si èscelto di muoversi. La presente ricerca ha lo scopo didefinire, in una prima fase, una metodologia utile allostudio delle migrazioni circolari secondo un approcciostorico-geografico. Successivamente, la decifrazione del-la catena migratoria consente di qualificare la presenzadi lavoratori e “contadini capitalisti” del Lazio meridio-nale nelle tenute romane, arrivando a riconoscere ilcontributo di alcuni di loro nella modificazione degliassetti produttivi e nella trasformazione del paesaggiodella Campagna Romana.

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1. IL FENOMENO DELLE MIGRAZIONI STA-GIONALI NELLA SUA DIMENSIONE STORI-CA, SOCIALE ED ECONOMICA

1.1 L’ASSETTO ECONOMICO E PRODUTTIVO DELREGNO D’ITALIA ALLA FINE DEL XIX SECOLO

L’Italia che esce dalle guerre di indipendenza e arri-va alla conquista e successiva definizione di uno Statounitario offre di sé un’immagine caleidoscopica.

Se il processo di unificazione politica messo in attoriesce finalmente a dare alla penisola italiana uno statusgiuridico e un ordinamento amministrativo comune,non arriva certo a ricomporre le molteplici contraddi-zioni di carattere sociale ed economico esistenti (Bruni,1976).

Il processo di industrializzazione, che in diverserealtà europee aveva conosciuto un deciso avanzamentosin dalla fine del XVIII secolo, in Italia presentava unadiffusione a macchia di leopardo, in qualche modoespressione della storica frammentazione preunitaria,oltre che del diverso livello di sviluppo e delle differen-ti “vocazioni” delle singole realtà territoriali (Segreto,1999).

In questo contesto, il Regno borbonico costituivaforse un’eccezione per i provvedimenti e le politichemesse in atto, favorendo in particolare la nascita di al-cune attività industriali pesanti nell’area napoletana(Alisio, 1990). Anche se, per la presenza di diversi tipidi industria, all’interno del «debole apparato industria-le che il nuovo regno aveva ereditato dagli stati preuni-tari, […], le aree che potevano essere prese in conside-razione coprivano varie regioni del paese, dal Nord alSud, comprendendo il Milanese, il Genovese, ilComasco, il Valdagno, l’area attorno a Prato, la Valledel Liri […] e l’entroterra salernitano» (Segreto, 1999,pp. 7-8).

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Inoltre, scarsissimo sviluppo aveva avuto fino aquel momento la rete ferroviaria, rivelatasi volano in-dispensabile per la crescita economica di altre nazioni,perché essenziale per una più rapida movimentazionedelle merci e, in generale, per la realizzazione di una re-te di comunicazioni sicura ed efficiente (Sereni, 1961;Caracciolo, 1985; Giuntini, 1999).

In estrema sintesi, l’Italia era, e rimarrà ancora finoalla metà del XX secolo almeno (Vivanti, 1988), unpaese con un’economia prevalentemente agricola, conuna chiara ed evidente identità contadina4. Un’econo-mia agricola che, preme sottolineare, viaggia anch’essa adiverse velocità nelle varie regioni italiane, con notevo-li differenziali di redditività, produttività e impiego dimanodopera, anche all’interno delle singole regioni(Bruni, 1976).

D’altronde, l’instabilità del quadro politico nonaveva certo favorito fino a quel momento l’avvio di po-litiche che potessero in qualche modo guidare lo svi-luppo e regolare l’azione dei proprietari terrieri. Impre-sa questa che, per inciso, produrrà risultati piuttostomodesti, se non complessivamente fallimentari, anchein epoca unitaria, come per altro stanno a dimostrare gliinsuccessi prodotti dalla politica autarchica mussolinia-na e le alterne vicende della riforma agraria varata, e so-lo parzialmente applicata, nel secondo dopoguerra(Ginsborg, 1989).

Modelli di gestione moderna delle aziende (in sen-so capitalistico) evidentemente esistevano, ed eranogrosso modo concentrati nell’area padana, terreno ferti-le di impresa economica fin dal XVII secolo (Waller-stein, 1982), dove pure era presente il retaggio dellastruttura sociale e produttiva delle aziende agrarie, sor-te intorno alle case a corte (Pecora, 1970).

In moltissime altre aree del Paese sopravviveva, in-vece, ancora una organizzazione basata su un quasi ine-sistente investimento di capitali, ma comunque capacedi garantire rendite elevate, in virtù principalmente di

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una politica fiscale favorevole ai proprietari dei latifon-di e allo sfruttamento massiccio di manodopera a bas-sissimo costo (Nenci, 1991).

Ad ogni modo, quale che fosse la realtà agricola lo-calmente prevalente, i ritmi della produzione delle di-verse colture (ancora legati per la maggior parte ai na-turali cicli stagionali) e le pessime condizioni economi-che degli abitanti dei villaggi delle aree montane e pe-demontane interne avevano storicamente determinatol’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Una compo-sizione di bisogni (di sopravvivenza per i contadini) einteressi che instaura sul territorio dei circuiti di mobi-lità stagionale della manodopera agricola riconoscibili,pur se non sempre facili da descrivere nella loro com-plessità e, soprattutto, da quantificare (Franciosa,1930).

Questa mobilità stagionale rientra ampiamentenella tradizione della realtà rurale italiana di cui la tran-sumanza, per antichità e diffusione, ha spesso costitui-to l’emblema, attirando su di sé l’attenzione principaledegli studiosi a vario titolo.

Lo studio quindi delle migrazioni interne periodi-che compare spesso a margine di indagini più ampie sudiverse porzioni di territorio in cui questo fenomeno èpresente, nel cui contesto viene quindi registrata la pre-senza temporanea di lavoratori “forestieri”, impiegatinelle diverse attività connesse al lavoro dei campi. È pri-vo però di un approfondimento organico e sistematico(Zanzi, 1995), come invece avverrà a partire dal secon-do dopoguerra, anche sulla spinta della sempre maggio-re consistenza assunta dalle migrazioni interne (Treves,1976; Sonnino, Birindelli, Ascolani, 1996).

1.2 I CIRCUITI DELLE MIGRAZIONI CIRCOLARI

Lo studio delle migrazioni inizialmente non fu di fa-cile approccio, innanzitutto per motivazioni di ordine

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politico. Sul finire del XIX secolo e agli inizi del XX se-colo, infatti, il dibattito oscillava tra la tendenza ad asse-condare tali trasferimenti di residenza, con l’obiettivo so-prattutto di alleggerire la pressione demografica e rende-re meno acuti gli squilibri socioeconomici del neonatoRegno d’Italia, e la volontà invece di regolarli, o addirit-tura limitarli, per questioni di immagine e di ordine pub-blico5. Una visione, quest’ultima, destinata progressiva-mente ad imporsi con l’avvento del fascismo, coerente-mente con il progetto autarchico in campo economico econ la volontà, da un lato, di utilizzare gli spostamenticoatti di popolazione per svuotare sacche di malcontentoe ripopolare aree depresse, come nel caso della bonificapontina e, dall’altro, di frenare il processo di inurbamen-to delle masse contadine (Mussolini, 1928).

Un’altra difficoltà era indubbiamente legata all’im-possibilità di quantificare questi spostamenti, con lamoderna statistica che in pratica muove i primi passi in-sieme con la nascita dello Stato italiano e che, in accor-do con il mutare del clima politico, cerca di svolgerepuntualmente il proprio lavoro con alterne vicende6. Inogni caso, l’attenzione era essenzialmente rivolta all’e-migrazione verso gli Stati stranieri (Palagiano et al.,2004a) cercando soprattutto di capire quanto fosse de-finitivo il carattere di questi trasferimenti di persone(Marucco, 2001).

Ma i movimenti di popolazione non si esaurivanonella fuga verso le Americhe: lo Stato unitario aveva in-fatti da un lato rimosso barriere che avevano in una cer-ta misura limitato spostamenti interni di merci, capita-li e persone, dall’altro, non era stato ancora in grado disanare squilibri o di rimuovere consuetudini esistentinei vecchi stati risorgimentali7, che spesso erano all’ori-gine di movimenti interni di breve o medio raggio8.

I lavori e le conclusioni dell’inchiesta agraria Jacinicondotta nel 1884 (Jacini, 1976), descrivendo la gene-rale arretratezza economica di gran parte dell’agricoltu-ra italiana e le pessime condizioni di vita dei suoi ad-

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detti, forniscono un’immagine precisa del contesto incui queste migrazioni stagionali si svolgevano, chiaren-do anche il loro ruolo nel mantenimento di una deter-minata struttura agraria (il latifondo) in alcune zone delPaese (principalmente nel Centro-Sud)9, (Sereni, 1961;Massullo, 1996).

In questo contesto, sulla base delle rilevazioni com-piute dall’Ufficio del Lavoro10, potevano così essere in-dividuate sei aree meta di fenomeni di immigrazionestagionale di manodopera con una diversa specializza-zione produttiva agricola (Feruglio, 1908):

1. i paesi delle risaie del bassopiano padano (in parti-colare i circondari di Vercelli, Mortara, Novara ePavia);

2. le province di Brescia, Cremona, Mantova e Verona(sedi della bachicoltura e di colture cerealicole);

3. la pianura grossetana (in particolare Orbetello,Grosseto e Magliano in Toscana, per la raccolta del-le olive, il taglio dei boschi e la preparazione delcarbone);

4. la Campagna Romana, per i lavori connessi allacoltivazione di cereali e alla transumanza;

5. il Tavoliere delle Puglie, per le diverse attività le-gate alla cerealicoltura, alla viticoltura e alla rac-colta delle olive;

6. la Basilicata, nei mesi estivi della mietitura.

La Campagna Romana, a cavallo tra il XIX e il XXsecolo, è quindi una di quelle aree ancora capaci di at-trarre diversi flussi di persone dalle zone circostanti, de-dite tanto ai lavori agricoli che alla pastorizia (Pareto,1875; Sombart, 1891; De Cupis, 1911), con una tra lepiù ampie aree di provenienza dell’emigrazione che «sipuò asserire che il punto più settentrionale della zona èRavenna, e quello più meridionale è Caserta» (Feruglio,1908, p. 252).

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In alcuni periodi dell’anno, secondo ritmi e con-suetudini radicatesi in età moderna11, giungevano grup-pi di lavoratori, reclutati dai caporali nei centri monta-ni delle Marche, dell’Umbria, dell’Abruzzo, del Laziomeridionale e della Campania (Muratori, 1907; Cen-celli, 1918; Metalli, 1923; Tomassetti, 1979; Allegretti,1987) per attendere alle diverse operazioni connessecon il lavoro e la cura di campi e pascoli. Questi “av-ventizi” erano organizzati in compagnie, e suddivisi poiin gruppi di lavoro anche più piccoli, per svolgere le dif-ferenti attività di semina, falciatura e mietitura, la mer-ca degli animali, etc. (Cervesato, 1910) nei tre tipi diazienda diffusi nella Campagna (Metalli, 1923):

– l’azienda del campo, che provvede alle varie coltiva-zioni della terra;

– l’azienda del procoio, che si occupa dell’allevamentobovino ed equino;

– l’azienda della masseria, che attende all’industriaovina.

Le condizioni di vita di tali individui erano pessime(Cacherano, 1785; Sombart, 1891; Jacini, 1976), siaper l’ambiente malsano in cui si trovavano a vivere e la-vorare durante i mesi della loro permanenza (Postem-pski, 1908, 1912, 1919; Marcucci, 1923; Celli, 1927),sia per il carattere effimero del proprio insediamento,fatto di capanne (Cencelli, 1918) e grotte nei miglioridei casi12.

D’altronde, una volta giunti nella Campagna Ro-mana, questi lavoratori erano spesso costretti a muover-si da una tenuta o da un’azienda all’altra (Sombart,1891), e questo contribuiva ad accrescere ancora di piùla precarietà e la scarsa importanza data alla qualità del-le strutture abitative.

Interessante notare, soprattutto ai fini della rico-struzione della periodicità di questi spostamenti con-dotta nei capitoli successivi, che due sembrano essere le

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popolazioni nomadi che si muovono nello scenario ro-mano: un gruppo, con caratteristiche seminomadiche,dal momento che rimane nella campagna anche per piùdi sei mesi all’anno, occupato in piccoli lavori di cura,manutenzione e preparazione dei terreni. L’altro grup-po, invece, arriva a rinforzare questo contingente in oc-casione dei grandi lavori agricoli (come la mietitura), ri-manendo per i due, tre mesi necessari a completare eraccogliere i frutti di questi lavori, per poi fare ritornonel proprio paese d’origine, secondo una circolarità icui ritmi erano scanditi dalla stagionalità della produ-zione (Breschi, Fornasin, 2000).

Rispetto a questi fenomeni i geografi dell’epocamostrarono un certo interesse, o all’interno di una piùgenerale attenzione per le vicende del Lazio (Minutilli,1905; Almagià, 1923; 1927), oppure cercando di stabi-lire il peso che alcune di queste attività economiche ave-vano avuto nel caratterizzare la storia di questa vastaarea dispiegata tutt’intorno alla città di Roma (Pullè,1915; 1929).

In generale, però, l’attenzione verso le migrazioniinterne è comunque minore rispetto a quella dedicataall’emigrazione verso l’estero, e solo in seguito compa-riranno opere di un certo peso che analizzano da vicinoil fenomeno dello spopolamento montano13 e delle areerurali e quello dell’inurbamento (Brusa, 2001). Tuttaviasi rimane sempre nell’ambito di spostamenti prevalen-temente a carattere permanente14, con studi quindi nonfocalizzati sui movimenti temporanei stagionali (Bar-bieri, 1964)15.

1.3 L’INTERVALLO CRONOLOGICO

L’intervallo cronologico di riferimento preso in esa-me (1871-1936) può essere definito grossolanamenteconsiderando la distanza intercensuaria decorsa tra il1871, primo censimento del Regno d’Italia con Roma

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Capitale16, ed il 1936, ultimo censimento pre-bellico.In realtà, questa scelta è motivata soprattutto dal-

l’intenzione di cogliere i rapporti tra le graduali trasfor-mazioni dell’Italia rurale e i flussi migratori analizzati.Alcune importanti cesure sono infatti individuabili sul-la base delle modificazioni che i movimenti migratorisubiscono in relazione ai mutamenti nella vita econo-mica e politica del Paese.

Il succedersi delle differenti stagioni migratorie nel-l’area di studio in esame può, infatti, essere interpretatoanche come uno degli emblemi della tensione esistentetra la pervicace resistenza del mondo rurale e i prodro-mi di un incipiente processo di modernizzazione dellecampagne (e della società italiana nel suo complesso,Prampolini, 1981) e di industrializzazione17 (Cafagna,1985; Crepas, 1999).

Un confronto che fino a tutto il primo decenniodel XX secolo vedrà prevalere la forza dei retaggi e deirapporti storicamente consolidatisi nell’Italia pre-unita-ria, il cui assetto tenderà poi progressivamente a tra-sformarsi (Sonnino, Birindelli, Ascolani, 1996). E unodei segni di questa evoluzione può essere colto nella cre-scita della piccola proprietà contadina, e nella sua lentatraslazione dalle zone montane a quelle di collina e dipianura (Montroni, 1990; Massullo, 1996), con unapartecipazione attiva, come si dimostrerà in seguito, neiprocessi di modificazione degli assetti preesistenti.

Il Lazio è una di quelle regioni in cui questo pro-cesso avviene in maniera assai graduale. L’estensionedell’intervallo cronologico su un arco di tempo di oltre60 anni è funzionale alla effettiva possibilità di ricono-scere, anche in relazione ai momenti di crisi che l’agri-coltura vive in questo periodo (Orlando, 1991), i mu-tamenti che sopraggiungono nelle scelte migratorie enel ruolo, quindi, che i singoli o le famiglie di emigrantiassumono all’interno di questo processo18 e nella ge-stione del territorio intorno a Roma.

In questo periodo, inoltre, sono messe in atto a li-

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vello istituzionale anche differenti politiche inerenti ilfenomeno delle migrazioni interne. Provvedimenti chenon mutano soltanto in relazione ai drastici cambia-menti di assetto istituzionale e politico che l’Italia co-nosce in quest’epoca, ma che vengono diversificate an-che dai medesimi attori. C’è così sovente il ricorso al-l’intervento governativo per la colonizzazione di areescarsamente popolate e improduttive (come nel caso diOstia, (Isaja, Lattanzi G. e Lattanzi V., 1986) e dellaPianura Pontina (Gaspari, 2001), a cui si affianca unaquasi completa noncuranza dei movimenti esistentiche, anzi, da un certo momento in poi, si trasforma inaperta ostilità (Mussolini, 1928; Treves, 1976).

All’interno del periodo studiato, nel quale la PrimaGuerra Mondiale rappresenta uno iato cronologico, sicollocano probabilmente le ultime testimonianze dellemigrazioni interne così come erano presenti sul territo-rio in epoca moderna e pre-unitaria, colte nel diveniredi un contesto che muta in maniera graduale ma so-stanziale (Nenci, 1991; Guerreri, 1991). A partire dalSecondo Dopoguerra, infatti, pur con evidenti rappor-ti culturali con le migrazioni passate, cambieranno ra-dicalmente le mete di destinazione, la lunghezza deipercorsi e la durata degli spostamenti19.

1.4 L’AREA DI STUDIO

L’analisi dei movimenti migratori stagionali con-dotta in questa sede non mira a quantificare lo stock dipersone che, annualmente, si spostavano dai comunidel Lazio meridionale per lavorare nelle diverse tenutepresenti nella campagna intorno a Roma. L’obiettivo è,piuttosto, individuare e descrivere questi flussi di indi-vidui, per arricchire ulteriormente la conoscenza diquesto fenomeno migratorio, attraverso la considerazio-ne di una componente alla quale fino ad oggi si ritienenon sia stata data sufficiente visibilità.

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Fig. 1.2 - Popolazione agricola nei compartimenti del Regno(da Marescalchi e Visintin, s.a.)

La Valle di Comino certo non rappresenta l’unicofulcro del Lazio meridionale attuale dal quale tali movi-menti avevano origine, però ha in sé tutta una serie dicaratteristiche che sono state determinanti perché l’at-tenzione si concentrasse sugli individui residenti nei co-muni di questa zona. In primis, la Valle di Comino èun’area interna del Lazio, una delle tante conche del-l’Appennino centrale, da cui tradizionalmente proveni-

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va il maggior numero di braccianti, pastori e lavoratoristagionali impiegati con diverse mansioni nella Campa-gna Romana (Cencelli, 1918; Metalli, 1923). Per dipiù, oltre ad essere una regione geografica facilmente ri-conoscibile dal punto di vista fisico, storico ed econo-mico (Almagià, 1911; Marsili, 1965), questa valle pre-sentava comunque una connotazione agricola piuttostospiccata20.

Questa peculiarità ha reso più consistente la possi-bilità che dai comuni di questo territorio emigrasserocontadini oltre che pastori21 (fig. 1.2), diminuendo co-sì il rischio che il fenomeno della transumanza o, co-munque, della cura degli armenti nella Campagna Ro-mana finisse per fare ulteriore ombra su quello dei la-vori stagionali prettamente agricoli22.

Fig. 1.3 - La Provincia di Frosinone negli anni TrentaFonte: Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, 1938

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Da ultimo, quest’area ha tra le sue prerogative quel-la di essere appartenuta amministrativamente per buo-na parte del periodo considerato alla provincia Terra diLavoro (Caserta), prima di diventare elemento fondan-te della provincia di Frosinone (1927), insieme ad altricomuni appartenenti fino a quella data alla provincia diRoma (figg. 1.3, 1.4). Questo essere sospesa tra due re-gioni fortemente tributarie di manodopera agricola daicomuni dell’interno ha, quindi, inciso notevolmentesull’interesse a investigare sui flussi provenienti da que-sta valle piuttosto che da un’altra zona del Lazio meri-dionale23. Non dimenticando di aggiungere i legamistoricamente esistenti tra questi territori e lo Stato del-la Chiesa in virtù della presenza di famiglie nobili (qua-li i Gallio e i Boncompagni, Antonelli, 1997; Bonacina,1997; Monti, 1997), che gestivano proprietà ed inte-ressi in entrambe le aree.

Fig. 1.4 - Il territorio di Alvito nell’Atlante del Regno di Napolidi Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1788-1812), scala 1: 114.000.

Stralcio da Principe, 1994

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1.4.1 IL COMUNE DI ALVITO

Data l’ampiezza del periodo cronologico preso inconsiderazione, sono stati esaminati i registri di stato ci-vile di uno solo dei comuni presenti nella valle.

Il comune di Alvito è tra i centri di più antico in-sediamento dell’area (Santoro, 1908; Iacobone, 1984;Ricciardi, 1985): lo sviluppo del nucleo originale delcastello di Alvito può essere collocato tra l’XI e il XIIIsecolo (Jacobelli, 1977; Beranger e Sigismondi, 1997),ma il centro conobbe il massimo dello splendore intor-no ai primi anni del XVI secolo, tanto che la sua cittàvantava in quel periodo oltre 10.000 anime ed era di-venuta capoluogo del feudo dei Cantelmo, famiglia le-gata da parentela con la casa reale d’Aragona (Castruc-ci, 1633). Il feudo si estendeva anche ai territori di So-ra, Vicalvi ed Atina. A cavallo del XVI e XVII secolo ilCardinale comasco Tolomeo Gallio prende possesso delsolo ducato di Alvito, affidandolo al suo nipote omoni-mo Tolomeo Gallio. Una dinastia questa dei Gallio chedurerà fino all’abrogazione del feudalesimo, decretatada Giuseppe Bonaparte, nel 1806.

Il Cardinale Gallio era una figura di rilievo nelloStato Pontificio, essendo stato segretario personale delPontefice Pio IV e, sebbene abbia mantenuto ben saldii rapporti con le sue terre di origine – a cavallo del 1600si fece costruire due ville sul lago di Como – già nel1565 ricevette in enfiteusi alcuni terreni intorno a Pri-verno (nel territorio dell’attuale provincia di Latina,Angelini, s.a.). I Gallio quindi rappresentano un forteelemento di unione tra questi territori del Lazio meri-dionale e lo Stato della Chiesa già per il periodo prece-dente a quello esaminato (Comitato per le attività cul-turali dell’anno Gallio, 1997).

Nel 1861 Alvito, con i suoi 4.851 abitanti, è il se-condo comune per popolazione della Valle di Comino(il comune più popoloso è San Donato Val di Comino,con 4.912 abitanti, Statistica del Regno d’Italia, 1865),

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ma, nonostante la vitalità delle famiglie nobili locali(Arnone Sipari, 2000), sembra rimanere ai margini del-la crescita economica e produttiva che invece investe inpieno Atina e i vicini comuni della Valle del Liri (Ca-smirri, 2000), contribuendo così questo stato di cose amantenere viva la tradizione migratoria verso la Cam-pagna Romana, facendo sì che «noi per otto mesi del-l’anno abbiamo due terze parti della popolazione cheemigra all’agro romano, e notasi, se ne va a piedi, ed an-che giunta a Frosinone non si piglia il biglietto di 3ªClasse, ma prosiegue il viaggio sul cavallo di S. France-sco» (Sipari, 1884, p. 15)24. Allo stato attuale della ri-cerca non c’è stato ancora modo di prestare attenzioneallo studio dei percorsi attraverso cui le genti di questocomune del cominense giungessero nella CampagnaRomana25. Certamente questo è un elemento che dovràessere in seguito considerato per definire con ancoramaggior precisione le dinamiche connesse a questi tra-sferimenti temporanei di popolazione.

1.5 LA CAMPAGNA ROMANA: LIMITI E STRUTTURAAGRARIA

La questione relativa alla diversa estensione e relati-ve differenti possibili delimitazioni dell’Agro Romano edella Campagna Romana esula dagli interessi precipuidi questo lavoro.

Tuttavia, essendo il territorio rurale ed agricolo in-torno a Roma la meta di destinazione dei flussi stagio-nali di manodopera oggetto di questo studio, il pro-blema non può essere completamente ignorato. In par-ticolare, per avere un quadro esauriente delle sceltecompiute dagli emigranti di Alvito sulla base dei datidesunti dai registri del comune, si è deciso di rendereconto dell’intera gamma di probabili mete dei movi-menti stagionali. Partendo da questa riflessione, si èdunque preferito innanzitutto parlare di Campagna

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Romana piuttosto che limitare l’ambito di riferimentoall’Agro Romano, coincidente anticamente con «gliimmediati dintorni dell’Urbe» (Frutaz, 1972, p. XVII),sebbene dopo il 1870 anche questo toponimo, sosti-tuendosi a quello di Comarca di Roma, tenda ad assu-mere un significato più estensivo26.

Per questo si è pensato allora di utilizzare come ba-se di partenza le indicazioni fornite da Almagià (1918),incline a far coincidere i limiti della Campagna Roma-na con quelli amministrativi del Comune di Roma. Al-lo stesso tempo, però, dal momento che ci si imbattenella presenza di abitanti di Alvito anche in tenute po-ste al di fuori di questi confini, sono state prese in con-siderazione anche interpretazioni più estensive forniteda altri autori (Giordano, 1881; Tomassetti, 1979). LaCarta dell’Agro Romano dello Spinetti (1914a) restitui-sce un’immagine coerente con questa impostazione, an-che rispetto alla demarcazione con i terreni della Pianu-ra Pontina, un’altra delle mete tradizionali per i conta-dini delle aree interne del Lazio meridionale (Morandi-ni, 1947).

Graf. 1.1 - Superficie agraria e forestale nel Comune di Roma.Incidenza % sul totale della superficie.

Elaborazione su dati del Catasto Agrario del Regno d’Italia, 1911.

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La struttura produttiva agricola dell’area in que-stione può essere considerata come il motore (il fattoredi pull) che genera e alimenta i movimenti stagionali dilavoratori agricoli27 (graf. 1.1).

In realtà, in precedenza, si è già fatto riferimento aquesti movimenti come ad una componente in qualchemodo tradizionale di quelle regioni d’Italia la cui eco-nomia agraria era legata prevalentemente alla presenzadel latifondo (Bevilacqua e Rossi Doria, 1984; Orlan-do, 1991).

In questo contesto, però, urge sottolineare il persi-stere di condizioni favorevoli al mantenimento di que-sta struttura agraria anche dopo l’annessione di Roma alRegno d’Italia, e ancora per molti anni a venire (Vivan-ti, 1988).

Prima di soffermarsi su questo punto, vale la penaanche solo accennare ad almeno due tra le cause cheprincipalmente avevano inciso su una storica carenza dipopolazione, e quindi di manodopera, in quest’area(Allegretti, 1987). Infatti, nonostante i provvedimentivarati a più riprese da alcuni papi (De Cupis, 1911),«l’eccessiva pressione fiscale e la severità con cui vengo-no perseguiti i contribuenti insolventi [...] scoraggia lepopolazioni limitrofe a trasferirsi nei territori pontificie spinge chi già vi abitava ad abbandonarle» (Scarpoc-chi, 1999, p. 132)28.

Ma accanto a questo elemento sussisteva l’ostacolo,allora insormontabile, del forte vincolo ambientale rap-presentato dalle assai precarie condizioni di vita dovutealla presenza della malaria, che «distrusse più volte ognitentativo di colonizzazione qui nell’Agro Romano e al-trove» (Celli, 1927, p. 13). Un binomio quello tra ma-laria e latifondo stretto al punto tale da formare quasiun sodalizio con lo scopo di rallentare il più possibilel’insediamento e lo sviluppo sociale ed economico inquesti territori (Bevilacqua e Rossi Doria, 1984)29.

Al persistere del latifondo in questa regione, cosìcome nell’Italia meridionale, contribuirono però anche

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le modalità con cui si venne costituendo il patrimoniofondiario della borghesia, che inizialmente non andò adintaccare tanto la proprietà nobiliare ma fu accumulatoa spese delle masse contadine (Sereni, 1961)30. D’altrocanto, furono determinanti anche alcune precise sceltepolitiche (Orlando, 1991), come il varo nel 1887 deldazio sull’importazione del grano che «consentiva aigrandi proprietari terrieri di porre la rendita al riparodella crisi agraria persistente, di conservare le antiquatestrutture agrarie e fondiarie» (Zangheri, 1977, p.142)31.

Il rinnovato vigore con cui allora queste struttureagrarie andavano legandosi ai terreni nelle diverse zonedell’Italia centro-meridionale (Prampolini, 1981), per-mise così il perpetuarsi di quei legami che tradizional-mente vedevano gli intermediari dei proprietari e deimercanti di campagna rivolgersi stagionalmente ai ba-cini di manodopera disponibili nei comuni delle areeappenniniche interne32. Ma il contesto in cui questestrutture ora si muovevano era quello più ampio delmercato nazionale ed europeo e della concorrenza ca-pitalistica (seppure corretta, come si è detto, da appo-siti interventi statali), che avevano avuto tra i loro ef-fetti anche quello di andare ad infoltire l’esercito dibraccianti disponibili a questo tipo d’impiego. Se, in-fatti, tutto ciò può essere letto come «il prezzo che ilMezzogiorno pagò all’industrializzazione, in termini diinferiorità economica, emigrazione di massa e disoccu-pazione cronica» (Zangheri, 1977, p. 142), si assistecontemporaneamente al formarsi di quella che Sereni(1961) definisce la «sovrappopolazione artificiale» del-le campagne, dove a seguito di un mancato impiegonell’industria o in altri settori produttivi, la manodo-pera in esubero mantiene il tradizionale carattere con-tadino.

Un bacino sempre più consistente, che non trovaquindi sfogo solo nell’emigrazione verso l’estero, mache a ben vedere rappresenta un’ulteriore fonte di ali-

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mentazione anche per i flussi migratori temporanei in-terni.

Tuttavia, la ricerca condotta è in grado di dimo-strare come, congiuntamente a questi flussi di lavorato-ri, giunsero nell’area anche esponenti dell’imprendito-ria del Lazio meridionale, i quali diedero il loro impor-tantissimo contributo nello scardinare i tradizionali si-stemi produttivi, grazie anche all’acquisizione di pro-prietà nobiliari.

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2. LA VALLE DI COMINO: TERRA DI LAVORO O PROVINCIA DI ROMA?

2.1 UNO SGUARDO AI CENSIMENTI

Prima di scendere nel dettaglio dei dati estrapolatidai registri comunali si può fornire una descrizione delcontesto più generale in cui si inseriscono le storie degliemigranti stagionali di Alvito.

Dai censimenti della popolazione realizzati tra il1861 e il 1936 (con l’intervallo del 1891, anno in cuinon si procedette alla rilevazione), si possono ricavareinfatti informazioni utili a tracciare un primo profilo de-mografico del comune in esame, della Valle di Cominonel suo insieme33 e del Circondario di Sora, universoamministrativo di riferimento di primo livello all’inter-no della provincia di Terra di Lavoro.

Questa provincia si componeva di cinque differenticircondari (Caserta, Gaeta, Nola, Piedimonte d’Alife e,appunto, Sora) in cui nel 1861 vivevano complessiva-mente oltre 650.000 persone. Il 20% circa di questi in-dividui conduceva la propria esistenza nella quarantinadi comuni che costituivano il Circondario di Sora.

Graf. 2.1 - Variazione della popolazione e dell’indice di natalità (‰)nel comune di Alvito (Fr).

Elaborazione su dati Istat (Istat, 1960)

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Guardando all’andamento della popolazione resi-dente alla data dei vari censimenti nel comune di Alvi-to (graf. 2.1), nella Valle di Comino (graf. 2.2) e nel-l’insieme più ampio dell’intero Circondario di Sora,possono essere messe in evidenza alcune differenze.

La popolazione dell’intera valle e quella di Alvitoregistrano un calo sensibile al 1871, a dispetto di un au-mento, seppure contenuto, registrato nel Circondario;nel 1931, invece, la diminuzione si riscontra anche nelCircondario, ma in misura comunque assai più limita-ta.

Tra il 1921 e il 1936 si evidenziano le differenze piùmarcate: per Alvito e, più in generale per la Valle di Co-mino, si può infatti parlare di una fase di forte decre-mento della popolazione, in linea quindi con quel pro-cesso di spopolamento montano che proprio in queglianni va accentuandosi (De Vecchis, 1996).

Graf. 2.2 - Variazione di popolazione nella Valle di Comino.Elaborazione su dati Istat (Istat, 1960)

Al contrario, il Circondario di Sora mostra una ca-pacità di contenimento assai più spiccata. Tanto è veroche, al calo molto contenuto rilevato nel 1931 (la po-polazione non scende sotto i livelli del 1911, come av-

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viene invece ad Alvito e nella Valle di Comino), segueimmediatamente la ripresa del 1936. Questo potrebbedenotare una certa capacità di centri come Sora e Cas-sino di assorbire, in prima battuta, le emorragie di po-polazione dai centri più interni. E infatti, proprio neiregistri civili degli atti di nascita relativi a questo perio-do compaiono i primi bambini nati a Cassino e Sora dagenitori ancora residenti ad Alvito.

Nell’insieme si può invece notare una crescita co-stante della popolazione tra il 1871 e il 1921, e questodato potrebbe sorprendere se si considera che proprio inquesto periodo il fenomeno dell’emigrazione verso l’e-stero tende progressivamente a crescere (Del Panta,1996; Bonifazi, 1998). In realtà, anche il fenomeno del-l’emigrazione verso l’estero non si presta ad una letturaaffrettata e, soprattutto, non può essere definita una re-lazione diretta tra l’emigrazione nel suo insieme e il fe-nomeno dello spopolamento. Da un lato, perché anchel’emigrazione verso l’estero aveva spesso carattere tem-poraneo (la cosiddetta migrazione “a rondinella”34 ver-so i Paesi dell’America Latina, ad esempio, Migliorini,1962), e, dall’altro, perché gli effetti delle partenze nonebbero lo stesso peso, in termini demografici, su tutti ipaesi montani. In alcuni casi, gli alti tassi di natalità euna minore spinta all’esodo (Golini, Isenburg e Sonni-no, 1976) avevano l’effetto di compensare il trasferi-mento definitivo di persone verso l’estero.

Questa breve digressione sull’emigrazione italianaall’estero si impone perché la considerazione di una par-te dei comportamenti migratori (quelli stagionali) diuna comunità non può sfuggire a un confronto, seppu-re sintetico, con l’orizzonte più generale del complessodelle scelte migratorie messe in atto nello stesso ambitoe nello stesso periodo35. Soprattutto perché i comunidella Valle di Comino corrispondono teoricamente alprofilo di quei centri appenninici in cui l’impatto del-l’emigrazione all’estero è stato più rilevante (Sonnino,Birindelli e Ascolani, 1996).

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Come si vedrà nel dettaglio nel terzo capitolo, trac-ce dell’emigrazione verso l’estero (Francia e Gran Breta-gna dapprima, successivamente gli Stati Uniti) riman-gono anche nei registri del comune di Alvito.

Graf. 2.3 - Numero di emigrati verso l’esterodal Comune di Alvito per anno (1898-1915).

Fonte: M.A.I.C., 1900ss

Questo fenomeno resta, tuttavia, piuttosto contenu-to36, coinvolgendo quote sempre minime della popola-zione (graf. 2.3), arrivando a sfiorare il 10% del totale so-lo nel 1913, sebbene nella Valle di Comino, coerente-mente con quanto avviene in tutta la provincia Terra diLavoro, crescite più marcate delle partenze verso Paesistranieri si erano già avute nel 1905 e nel 190637. Addi-rittura, nel 1901, contrariamente a quello che avvienenegli altri ambiti territoriali considerati, Alvito conosceun calo netto dei suoi emigranti verso l’estero38.

Certamente, la comunità di Alvito è dotata di unabuona vitalità demografica, considerando che l’indicedi natalità è praticamente sempre compreso tra il 20 e il30 per mille nel periodo considerato (graf. 2.1), comesta anche a dimostrare il peso mantenuto per tutti que-sti anni, in termini percentuali, nel quadro più ampiodella popolazione della Valle di Comino.

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Graf. 2.4 - Emigrazione permanente verso l’esterodalle province di Roma e Caserta (1876-1901).

Fonte: M.A.I.C., 1900

Allo stesso tempo, però, rimane valida l’ipotesi,appena accennata nel primo capitolo, relativa alla ca-pacità dei flussi migratori stagionali di rappresentareun valido sostegno all’economia di questi centri39,tanto da porsi come seria e concreta alternativa allascelta di emigrare all’estero. Per questo tali fenomeninon solo sembrano convivere, ma, sicuramente, glispostamenti periodici nella Campagna Romana han-no un ruolo di primo piano, mantenendo inalterata lapropria importanza, come si vedrà, almeno fino a po-chi anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondia-le40.

Confrontando le differenze esistenti ai vari cen-simenti tra la popolazione di diritto e la popolazioneeffettivamente presente, è possibile compiere unaprima approssimata stima delle persone temporanea-mente assenti, utile per provare ad immaginare laconsistenza di trasferimenti non definitivi di residen-za (Montroni, 1990). Anzi, quello che in genere rap-presenta un limite per il confronto diacronico di

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questi dati censuari, e cioè il fatto che siano realizza-ti in differenti mesi dell’anno (ad esempio, rendendodifficile confrontare i dati sulla popolazione effetti-vamente presente in un centro abitato, Provato,1990), può costituire in questo caso una risorsa, poi-ché la diversa stagione di rilevazione potrebbe faremergere l’incidenza di tali spostamenti non definiti-vi.

Tuttavia, l’intervallo intercensuario è troppo am-pio per poter effettivamente fare delle riflessioni sul va-riare della consistenza di questi movimenti stagionali41,per cui le considerazioni seguenti hanno più che altrovalore indicativo rispetto all’immagine della popolazio-ne assente che emerge dalla lettura dei registri di statocivile.

Innanzitutto, occorre mettere in evidenza come ilfenomeno assuma una certa importanza a partire dal1881, con un’incidenza della popolazione assente che èmaggiore nel comune di Alvito e nella Valle di Cominorispetto a quella calcolabile per il Circondario di Sora.Dato questo che sembra suffragare l’ipotesi di una mag-giore propensione di quest’area agli spostamenti tem-poranei rispetto a quella di altri contesti territoriali li-mitrofi (Zanzi, 1995).

L’elemento che, però, maggiormente spicca è ladecisa e costante crescita della quota di popolazioneassente registrata nel comune di Alvito. Gli individuiassenti sono una quota percentuale della popolazioneresidente sempre più alta di quella registrata nell’inte-ro Circondario e, in più, non conosce cali (peraltroassai contenuti inizialmente) prima del 1911 (tab.2.1).

Anche per questo fenomeno, infine, il Circondariocomplessivamente nel 1936 ha un comportamento incontrotendenza con quello di Alvito e della Valle. Maquesto dato non contrasta con quello dell’aumento del-la popolazione: lì dove questa diminuisce, infatti, pro-babilmente la competizione sul territorio per lo sfrutta-

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mento delle risorse è meno serrata, venendo così menoun possibile stimolo all’emigrazione stagionale42. Que-sto comportamento tenderebbe invece a riproporsi inun contesto in cui si va definendo una situazione con-tingente di sovrappopolamento, a cui non si accompa-gna, ad esempio, un’espansione reale dell’offerta di la-voro.

Un’evidente conferma dell’importanza di questimovimenti stagionali per l’area in questione arriva di-rettamente dalle ricerche compiute per la prima voltadall’Ufficio del Lavoro del Ministero dell’Agricoltura,Industria e Commercio per il 1905 e il 1910-1911.

La parte nord del Circondario di Sora è infatti ci-tata esplicitamente come uno dei bacini di manodo-pera stagionale della Campagna Romana (M.A.I.C.,1907, p. 52). Inoltre, leggendo i dati raccolti, si puònotare come in questo contesto spicchino i comunidella Valle di Comino, quali Casalvieri, San DonatoVal di Comino43, Vicalvi e, su tutti, proprio Alvito.Questo centro emerge sia perché durante tutto l’an-no, seppure con intensità diverse, registra un certonumero di partenze verso Roma, sia perché sembramantenere questo carattere per tutto il periodo esa-minato. Infatti, Alvito è l’unico paese di quest’area acomparire più volte tra i comuni con più di 500 emi-grati stagionali l’anno anche nelle rilevazioni avviatesotto il regime fascista dal Comitato permanente perle migrazioni interne (Comitato permanente per lemigrazioni interne, 1929, 1930; Commissariato perle migrazioni e la colonizzazione interna, 1931, 1932,1933)44.

Il riscontro di tali movimenti anno per anno e del-la loro periodicità stagionale può essere messo in evi-denza attraverso uno studio e una lettura attenta dei da-ti contenuti nei registri di stato civile.

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Tab. 2.1 - Variazione della popolazione assente nel comune di Alvito e nel complesso deicomuni della Valle di Comino e del Circondario di Sora.

Fonte: Elaborazione su dati di Censimento (M.A.I.C., Istat).

2.2 I REGISTRI DI STATO CIVILE DEL COMUNE DIALVITO

L’utilizzo delle fonti archivistiche di stato civile haassunto progressivamente importanza, particolarmentenegli studi di demografia storica, a partire dai primi an-ni Ottanta (Schiaffino, 1980; Imhof, 1981). In molticasi, infatti, per i periodi precedenti all’avvio della stati-stica ufficiale, queste, insieme ai registri diocesani e/oparrocchiali45, sono le uniche raccolte di informazionidi questo genere operate con una certa sistematicità sulterritorio. Proprio per questo, il loro uso si è vieppiùdiffuso dal momento in cui è cresciuta l’attenzione perla ricostruzione dei quadri locali tanto a livello storicoche demografico (Bussini, 1985). D’altronde, nello stu-dio dei fenomeni migratori, la tipologia delle migrazio-ni interne stagionali è proprio quella di più difficile ri-levazione, poiché non implicando un trasferimento de-finitivo di residenza, non lascia tracce dirette evidentinei registri anagrafici, solitamente fonte privilegiata perla rilevazione continua dei flussi migratori (Golini,Isenburg, Sonnino, 1976; Blangiardo, 1997).

Tuttavia, l’importanza di tali materiali non erasfuggita ai geografi più attenti, che reputavano tali do-cumenti ricchi di informazioni utili a ricostruire i “ge-neri di vita” delle singole regioni, soprattutto per «la

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continuità di segnalazioni, le indicazioni esenti o quasida simulazioni (perché non si tratta di operazione fisca-le) e quindi più oggettive e sicure, la ricchezza dellequalificazioni professionali (in genere di abbastanzaagevole interpretazione), e alfine la ricerca di rileva-mento e di informazione, che consente - con qualchecautela - di fare paragoni fra regione e regione» (Gam-bi, 1957, pp. 601-602).

Quindi, sebbene l’impiego dei registri di stato ci-vile nella descrizione dei movimenti migratori effimerisia uno strumento di ricerca introdotto e ampiamenteutilizzato dagli studiosi di demografia storica (Del Pan-ta, 1985; Moretto, 1991; Corsini, 1993), l’utilizzo chedi questa fonte si è fatto in questa sede ai fini di una ri-cerca geografica appare ampiamente giustificabile. Idati raccolti, come si vedrà, hanno infatti portato in-nanzitutto prove documentarie certe sull’esistenza deilegami, e sulla natura degli stessi, tra la Campagna Ro-mana e il Comune di Alvito. In questa maniera, si è ri-tenuto di poter idealmente ripercorrere il viaggio com-piuto dagli uomini, o da intere famiglie, nei diversi pe-riodi dell’anno dalla Valle di Comino verso le singoletenute presenti nel territorio di Roma e di alcuni deicomuni limitrofi (M.A.I.C., 1907, 1914b; Orlando,1991).

Si è così potuto guardare contemporaneamentetanto all’area di origine che a quella di destinazione, mi-surando la periodicità dei movimenti in uscita e rico-struendo la mappa delle mete più frequentate, ricono-scendo nel medio - lungo periodo dinamiche che po-trebbero aver portato all’insediamento stabile di alcuninuclei familiari in determinate zone.

Al fine di mettere in evidenza la presenza di movi-menti stagionali e descriverne la periodicità annuale,queste informazioni sono state studiate conducendoun’analisi demografica retrospettiva classica, con fina-lità cioè principalmente descrittive (Courgeau e Leliè-vre, 2001)46.

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La quota più consistente della manodopera im-piegata nella Campagna Romana era rappresentata dauomini (M.A.I.C., 1907, 1914b; Comitato per le mi-grazioni interne, 1928 e ss.), seppure la gamma dellemansioni da svolgere era talmente ampia che si assi-steva anche alla migrazione di interi nuclei familiari(Metalli, 1923). In ogni caso, la presenza di questi in-dividui nelle tenute era massicciamente necessaria so-lo in alcuni periodi dell’anno (Cencelli, 1918; Metal-li, 1923; Cooperativa Pagliaccetto, 1984; Orlando,1991), quindi i segni di questi spostamenti possonoessere dedotti da una periodicità nella celebrazionedei matrimoni e nelle nascite (risalendo a ritroso an-che al momento del concepimento), che, come si ve-drà, presentano una concentrazione in alcuni mesidell’anno e una rarefazione in altri periodi, in relazio-ne alla temporanea assenza degli uomini che si trova-no occupati «nei lavori nella Campagna Romana» 47,così come recitano gli atti di nascita presenti in alcu-ni dei primi registri consultati.

Inoltre, pur senza voler arrivare alla quantificazio-ne, anno per anno, di questi flussi, si è riusciti a rico-struire una serie storica all’interno della quale è possibi-le individuare e discutere della maggiore o minore in-tensità che questi spostamenti hanno avuto in momen-ti diversi.

Infine, le indicazioni relative alla condizione pro-fessionale e la possibilità di seguire le vicende delle di-verse famiglie, costituiscono la premessa per decifrare ilruolo che alcuni membri di questa comunità ebberonella trasformazione del paesaggio agricolo e rurale diRoma e dintorni.

2.2.1 LA STRUTTURA DEI REGISTRI E I DATI CONTE-NUTI

Come accennato in precedenza, sono state prese in

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considerazione due serie di atti registrati dal Comune,quella relativa al matrimonio e quella relativa agli atti dinascita.

La struttura dei registri dei matrimoni è piuttostosemplice, in quanto mese per mese sono progressiva-mente registrati i matrimoni celebrati48, con indicazio-ni relative all’età e la condizione professionale tanto deinovelli coniugi che dei genitori di entrambi (più di fre-quente quella del padre). Questo ha permesso di met-tere in rilievo quei mesi in cui i matrimoni sembranomostrare una certa concentrazione, naturalmente te-nendo ben distinto l’universo contadino da quello deinotabili o, comunque, da tutti coloro che esercitasserouna professione che, con ogni probabilità, non li por-tava ad essere protagonisti di questi movimenti stagio-nali.

Un’informazione in cui, in fase di raccolta dati, si èdeciso di tenere conto è stata anche quella del comunedi nascita e/o provenienza dei due coniugi. In questomodo, potrebbero essere messi in evidenza rapporti pri-vilegiati con una determinata area, oppure, si riesce aintuire se l’assenza degli uomini fosse tanto lunga dagiustificare una ricerca delle ragazze e donne di Alvitodel proprio marito altrove. In realtà, per il momento,constatata la forte tendenza all’endogamia nell’ambitodella comunità alvitana, si è potuta scartare questaeventualità e si è quindi rinunciato ad elaborare nel det-taglio questo dato49.

I registri relativi agli atti di nascita presentano inve-ce una maggiore articolazione interna perché, a partiredal 1875, accanto ad una prima parte organizzata allostesso modo dei registri relativi agli atti di matrimonio,compare una seconda parte in cui vengono annotatitutti gli atti di nascita di bambini nati in altri comuni,ma da genitori ancora residenti ad Alvito (oltre alle cor-rezioni su atti già emessi e ai provvedimenti di affida-mento di bambini orfani, oppure riconosciuti dal padresuccessivamente al momento della nascita).

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Dell’importanza di questa seconda parte si scriverànel capitolo successivo, nelle pagine che seguono im-mediatamente invece l’oggetto sarà l’elaborazione deidati desunti dalla prima parte. Lo scopo è sempre quel-lo di trovare un riscontro della periodicità di questi spo-stamenti, indicativo della stagionalità degli stessi, natu-ralmente tenendo conto della presenza o meno del pa-dre al momento dell’iscrizione del neonato nei registridel comune.

2.3 LA CICLICITÀ COMPOSTA DEGLI SPOSTAMENTI

Raramente le indicazioni relative alla periodicitàdelle migrazioni stagionali presenti nei diversi autori so-no precise.Ci sono, ad esempio, degli sfasamenti rispetto ai perio-di di maggiore concentrazione di lavoratori nelle tenu-te: secondo alcuni, infatti, il territorio intorno a Roma«è deserto in Estate» (Pareto, 1875, p. 10), mentre altrimettono in risalto soprattutto la presenza di mietitori efalciatori anche nel mese di luglio (Cervesato, 1910),pur riconoscendo il sovrapporsi di differenti flussi, le-gati spesso ad attività diverse (Muratori, 1907; Borto-lotti, 1988)50.

In realtà, la lettura più lucida delle dinamiche diquesti movimenti verso la Campagna Romana si ri-scontra nell’opera di Sombart (1891), poiché dalla suepagine emerge una distinzione piuttosto netta tra le fi-gure dei mietitori/falciatori e quella dei braccianti. Lapresenza dei primi sembra effettivamente avere un ca-rattere maggiormente estemporaneo, con una perma-nenza che addirittura sarebbe di poco superiore alle tresettimane (M.A.I.C., 1881b; Cervesato, 1910), in unperiodo, che a seconda degli anni, è compreso più omeno tra la fine di maggio (Orlando, 1991) e l’inizio diluglio.

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I braccianti, invece, possono arrivare ad abitare nel-le capanne da loro innalzate ai margini delle diverse te-nute anche sette/otto mesi:

«Su quelle montagne sassose, per ragioni di altitudine,la vegetazione del grano è più lunga, e bisogna seminarpiù presto e mietere più tardi il misero raccolto. Così, ap-pena compiuta la semina, questi agricoltori, abbandonatii vecchi genitori, calano nell’agro e vi restano per nove me-si, a compiere tutte le lavorazioni campestri, fino alla mie-titura e trebbiatura, risalendo ai cari monti in tempo pereseguire lassù, nei propri campicelli, il raccolto del grano,giunto allora a maturazione» (Cencelli, 1918, p. 3).

Il momento della partenza andrebbe allora a collo-carsi tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre, mo-mento in cui i caporali si mettevano a lavoro per re-clutare le compagnie (Metalli, 1923; Sinisi, 1993), coni ritorni che invece si sovrappongono parzialmente conle partenze degli avventizi, cioè più o meno in giu-gno51.

Le rilevazioni statistiche dell’Ufficio del Lavoro so-no ovviamente assai più circostanziate, dividendo i datiraccolti con specifiche inchieste in tre periodi: gennaio-aprile; maggio-luglio; agosto-dicembre. Il Comitato diistituzione fascista fornirà invece il computo degli spo-stamenti temporanei mese per mese.

La raccolta e l’organizzazione dei dati proposti ser-ve quindi a chiarire il quadro della periodicità di questispostamenti, fornendo, anche per gli anni non copertidalle rilevazioni, una misura orientativa del fenomeno.

2.4 MATRIMONI: PREMESSE A UNA LETTURA DILUNGO PERIODO

Preliminarmente è d’uopo sottolineare come lo sta-to di conservazione, in generale assai buono, dei registri

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contenenti gli atti di matrimonio è leggermente peg-giore di quelli relativi agli atti di nascita. Questa condi-zione ha reso impossibile raccogliere i dati per quattroanni (1871, 1872, 1886 e 1905); tuttavia si ritiene dipoter affermare in tutta tranquillità che, vista l’ampiez-za dell’arco cronologico preso in considerazione, questelacune possono considerarsi riassorbite nell’analisi deltrend generale, senza incidere quindi sui risultati otte-nuti.

Il primo step è consistito nell’analizzare la variazio-ne dei matrimoni per anno lungo tutto il periodo con-siderato, sia per cogliere l’evoluzione di questo compor-tamento, sia per metterne in evidenza possibili punti didiscontinuità. La lettura di questi dati è stata infattiportata avanti cercando di tenere conto di quegli avve-nimenti e di quelle problematiche che, tanto a livellolocale che a quello nazionale o internazionale, possonoavere avuto degli effetti sulle scelte compiute dagli indi-vidui residenti ad Alvito.

In particolare, bisogna considerare le diverse fasi at-traversate dalla produzione agricola, la quale conosceun periodo di crescita e di aumento dei prezzi fino allafine degli anni ’70 dell’Ottocento circa, a cui fanno se-guito la crisi tra il 1885 e il 1890, e la successiva con-giuntura favorevole almeno fino al 1911 (Orlando,1991).

La Prima Guerra Mondiale e, successivamente, lerestrizioni poste all’accesso degli immigrati stranieri ne-gli Stati Uniti (1921-1924), sono eventi di fondo chenon è possibile ignorare. Così come il 1929 può rap-presentare un momento di cesura forte, non solo per lacrisi finanziaria internazionale, ma anche perché nel La-zio si comincia ad avvertire il passaggio «da un’agricol-tura “tradizionale” a un’agricoltura più moderna, che siqualifica per un più elevato impiego di capitali» (Guer-rieri, 1991, p. 627). Situazione alla quale si accompa-

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gna, come già ricordato, un consolidamento degli spo-stamenti migratori interni a carattere definitivo, che bi-sogna ugualmente tenere presente (Golini, 1974; Tre-ves, 1976).

A livello locale un condizionamento sono in gradodi produrlo anche le condizioni “ambientali”, come, adesempio, l’alluvione del 1875 che stravolse pesante-mente l’assetto colturale di molti comuni del Lazio me-ridionale e, ancor più, l’epidemia di febbre malarica checoinvolse anche i comuni della Valle di Comino nelbiennio 1879-1880. Così come vanno inoltre conside-rati i riflessi prodotti nell’area di arrivo da tutta una se-rie di atti legislativi tesi ad intaccare, almeno nominal-mente, la grande proprietà terriera assenteista e a con-quistare nuovi terreni all’agricoltura per migliorarne laproduttività, soprattutto attraverso lavori di bonifica.Tuttavia, sebbene inizialmente leggi come quelle relati-ve all’abolizione del maggiorasco (20/06/1871) e all’in-demaniazione dei beni religiosi (19/06/1873), e i primiprovvedimenti per la bonifica dei terreni più paludosinelle zone di Ostia, Isola Sacra, Maccarese e Valle del-l’Almone (legge 11/12/1878), incidano sull’estensionedel latifondo e sull’aumento dei flussi dei lavoratori sta-gionali (Cencelli, 1918; Celli, 1927), la frequenza concui i vari proprietari disattendono a tutti i vari obblighifissati per loro dalle leggi successive (Celli, 1927; Tom-massetti, 1979) sembrerebbe non permettere di indivi-duare svolte significative nella gestione di questo terri-torio, almeno fino all’avvio delle bonifiche messe in at-to dal regime fascista (Gaspari, 2001).

In realtà, innovazioni determinanti saranno intro-dotte da un “contadino” di Alvito poco prima delloscoppio della Grande Guerra, innescando quel proces-so di trasformazione che produrrà effetti evidenti neglianni a venire.

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Graf. 2.5 - Variazione nel numero dei “matrimoni contadini”tra il 1869 e il 1935 nel Comune di Alvito.

Fonte: Elaborazione su Registri di Stato Civile del Comune di Alvito

Graf. 2.6 - Totale dei “matrimoni contadini” contratti nel periodo 1868-1935 per mesedi celebrazione e incidenza percentuale sul totale dei matrimoni.

Fonte: Elaborazione su Registri di Stato Civile del Comune di Alvito

2.4.1 LA VARIAZIONE NEL NUMERO DEI MATRIMONI

Alla luce di quanto sopra esposto, si è ritenuto op-portuno evidenziare cinque fasi nella lettura della varia-zione dei matrimoni contadini52 (graf. 2.5):

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a) un’iniziale ipotizzabile fase di crescita (1869-1873), che necessita riscontri sia per l’assenza dei datirelativi agli anni 1871 e 1872, sia per un confronto piùampio da operare con il periodo precedente. Tuttavia,sembra corretto avanzare questa ipotesi, soprattuttopensando all’analogo comportamento evidenziabile apartire dai dati desunti dagli atti di nascita, sulla cui ba-se si pensa di poter collocare l’avvio di una fase di spo-stamenti stagionali intensi proprio tra il 1873 e il 1874.Lo iato con la fase successiva è definito proprio dal ca-lo dei matrimoni in corrispondenza soprattutto dell’e-pidemia di febbre malarica del 1879-1880;

b) un periodo di stabilità o di crescita contenuta fi-no al 1898, nonostante in questo ventennio la popola-zione di Alvito aumenti sensibilmente;

c) una fase di crescita netta (1898-1911), dove pro-babilmente possono essere colti gli effetti di trascina-mento dell’aumento di popolazione concentratosi nei25 anni precedenti, ma che va anche evidenziata per lasua coincidenza con un periodo di «intenso sviluppo siadell’intera economia regionale sia dell’agricoltura» (Or-lando, 1991, p. 101);

d) un calo (1911-1923) inizialmente imputabile altermine della fase di espansione economica e poi enor-memente amplificato dalla partecipazione dell’Italia al-la Prima Guerra Mondiale; il vertiginoso recupero se-gnato poi tra il 1919 e il 1920 con un altrettanto rapi-do ritorno ai livelli pre -1900 nel 1925;

e) un’incipiente tendenza al calo dei matrimoniche, nonostante il picco registrato nel 1927, sembra es-sere il trend caratteristico dell’ultima fase, in cui la net-ta diminuzione del 1935 sembra rappresentare il natu-rale epilogo53.

Alla lettura di questa variabilità di lungo periodo, siaffianca l’analisi del numero dei matrimoni aggregatiper mese di celebrazione. Inizialmente sono stati consi-derati complessivamente i matrimoni celebrati in cia-

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scun mese, lungo l’intero arco di tempo oggetto di stu-dio. In questo modo, è stato così possibile mettere in ri-salto l’andamento generale del fenomeno, con l’obietti-vo di riconoscere i mesi in cui probabilmente si con-centravano le partenze. Allo stesso tempo, sono statecosì riassorbite le oscillazioni che queste partenze pote-vano avere, cioè anticipate o ritardate, seguendo quelleche erano le occasionali variazioni al naturale succeder-si delle stagioni.

I mesi in cui si concentravano le partenze sembra-no così essere maggio ed ottobre (graf. 2.6), mentre i ri-torni sono distribuiti tra agosto e settembre e tra di-cembre e febbraio. Giugno e luglio erano infatti i mesidedicati rispettivamente alla raccolta del fieno e allamietitura del grano (coerentemente con il regime di ro-tazione delle colture adottato nelle tenute della Campa-gna Romana), mentre tra ottobre e dicembre si proce-deva alla semina, alla preparazione dei terreni per le se-mine primaverili e alla vendemmia.

Naturalmente l’immagine restituita dalla distribu-zione di questo dato non è la fotografia di una realtà im-mobile, per questo occorre ad esempio cercare di spiega-re il basso numero di matrimoni che si hanno a marzo,come se si trattasse di un altro momento di partenza.Probabilmente allora l’idea di cicli successivi che parto-no quasi a scaglioni durante il corso dell’anno, seppurein concomitanza di scadenze piuttosto precise, è quellapiù aderente alla realtà di questi movimenti.

Riflettendo inoltre sulla distanza da coprire e sulledifficoltà che gli alvitani dovevano sopportare per giun-gere a Roma54, è lecito pensare che gli spostamenti dimedio-lungo periodo avessero un certo peso (MAIC,1907). Se infatti si considera una permanenza più lun-ga, tra i cinque e i sette mesi, allora le partenze di mag-gio - giugno - luglio possono esser fatte coincidere coni ritorni dei mesi di dicembre - gennaio - febbraio, quel-le di marzo con la crescita dei matrimoni in settembre,quelle di ottobre con il picco presente invece ad aprile.

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La grande concentrazione di matrimoni tra agosto e set-tembre potrebbe così essere data dal sovrapporsi dei ri-torni di coloro partiti all’inizio della primavera e quelliinvece partiti poco prima dell’estate55.

Questo studio della periodicità è stato condotto poianche per ognuna delle cinque fasi inizialmente descrit-te, e sulla cadenza dei matrimoni in due di queste valela pena spendere qualche parola.

Si è già detto come gli anni tra il 1898 e il 1911rappresentano una stagione particolarmente felice perl’economia agricola nel Lazio56, il che quindi deve avercostituito un impulso alle migrazioni circolari con laCampagna Romana. Ed effettivamente, pur in unoschema che ricalca sostanzialmente quello generale(graf. 2.7), sembra di poter scorgere una sorta di “ra-dicalizzazione” del fenomeno, con differenze più sen-sibili tra i mesi con una maggior concentrazione di ce-lebrazioni e quelli con una presenza inferiore. Questoquadro potrebbe quindi indurre a pensare ad una piùforte spinta all’esodo soprattutto tra la primavera e l’e-state. Tale situazione può derivare da una maggiore ri-chiesta di manodopera nelle settimane estive della fal-ciatura e della mietitura e, allo stesso tempo, dalla pos-sibilità di prolungare la propria permanenza nelle te-nute per un numero di braccianti superiore agli altriperiodi (da cui dipenderebbe perciò la assai scarsa di-minuzione di matrimoni in ottobre).

Si è detto, inoltre, come nel decennio che va dal1926 al 1935 ci si debba confrontare con una diminu-zione d’intensità di questi spostamenti stagionali; un ri-dimensionamento del fenomeno che sembrerebbe cosìtradursi in un addolcimento della curva relativa allaconcentrazione mensile dei matrimoni in questo perio-do, con uno schema che sembra discostarsi da quellogenerale e delle fasi precedenti, imputabile essenzial-mente ad una tendenza al livellamento delle differenzee a concentrazioni “anomale” come quelle dei mesi dimaggio e ottobre.

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Graf. 2.7 - Matrimoni contadini. Periodicità mensiledelle celebrazioni nel periodo 1899-1911.

Fonte: Elaborazione su Registri di Stato Civile del Comune di Alvito

2.5 LE STATISTICHE UFFICIALI

Quest’ultimo periodo è però anche l’unico inter-vallo di tempo per il quale esistono delle statistiche ba-sate su rilevazioni sistematiche delle migrazioni periodi-che e stagionali interne, quelle cioè prodotte dal Comi-tato - poi Commissariato - per le migrazioni interne apartire dal 192757.

Il quadro che ne emerge è confortante perché suf-fraga alcune delle ipotesi finora avanzate, oltre a ribadi-re la validità di alcuni presupposti di questa ricerca. In-nanzitutto, il ruolo di protagonista assegnato ad Alvito,e per estensione alla Valle di Comino, nella storia diquesti movimenti circolari verso e da la Campagna Ro-mana. Alvito, infatti, per ben 4 anni (dal 1929 al 1932)è l’unico comune della provincia di Frosinone58 a far re-gistrare oltre 500 emigrati l’anno (tutti per lavori agri-coli, e in maggioranza uomini, tab. 2.2), e l’unico co-mune della stessa provincia ad affiancarlo in questa par-

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ticolare graduatoria è San Donato Val di Comino, nel1930 con 582 emigranti (Commissariato per le migra-zioni e la colonizzazione interna, 1931).

Altrettanto chiaramente emerge lo stretto rapportoche lega queste zone con la Campagna Romana (nellasua interpretazione più ampia, perché accanto a Roma,comuni come Monterotondo, Frascati, Albano Laziale,Nettuno sono estremamente ricettivi)59, dal momentoche nel 1928 addirittura il 93% degli emigrati era parti-to con destinazione la provincia di Roma (Comitato perle migrazioni interne, 1929).

L’unica immagine non aderente con una delle in-terpretazioni avanzate, quella relativa ad una presenzapiù stabile nelle tenute in questo periodo, è data dalladurata dei rapporti di lavoro. Questi “contratti”, peral-tro sempre più frutto del contatto diretto con i pro-prietari, con la figura dell’intermediario, del caporale,che, quindi, perde importanza60, continuano ad avereuna durata piuttosto limitata, la maggior parte al di sot-to dei 30 giorni. L’ipotesi fatta, quindi, sebbene non siaadattabile agli emigrati dalla provincia di Frosinone, ap-pare comunque in grado di spiegare fenomeni comequelli registrati in questo periodo, dal momento inveceche la durata dei contratti di lavoro di tutti gli immi-grati nella provincia di Roma, effettivamente, cresce inquesto arco di tempo, con un aumento sensibile addi-rittura della voce “permanente”, che prefigura quindiun insediamento stabile nell’area.

2.5.1 IL RUOLO DELLA DONNA

I flussi stagionali di manodopera presentano tipica-mente una sensibile caratterizzazione di genere, denota-ta, come già accennato, da una maggiore partecipazionedi individui maschi agli spostamenti verso e da il luogodi lavoro e da una tendenza delle donne a rimanere nelterritorio dal quale si generano gli spostamenti. L’alto

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tasso di mascolinità delle partenze determina spesso unafemminilizzazione, più o meno marcata, della comunitàdi origine (Corti, 2001; Ramella, 2001). Tale elementoemerge anche per la comunità di Alvito, in maniera di-scontinua nell’ambito delle informazioni desumibili dal-la statistica ufficiale (tab. 2.2) e in maniera sistematicadall’analisi dei Registri di Stato Civile. Dallo studio in-fatti dei dati relativi alle nascite nel comune di Alvito, il-lustrato nei paragrafi successivi, la connotazione al ma-schile di questi flussi migratori emerge chiaramente perl’altissima incidenza di padri assenti per lavoro e impos-sibilitati per questa ragione a registrare personalmente lavenuta al mondo dei propri figli.

Tab. 2.2 - Emigrati per lavori agricoli stagionali dal comune di Alvito per genere (1928 -1932)

Fonte: Comitato per le migrazioni interne, 1929ss

Il minor coinvolgimento delle donne nelle migra-zioni circolari non sembra dipendere dalla struttura del-l’offerta di lavoro, dal momento che i lavoratori prove-nienti da Alvito non si distinguono per una particolarespecializzazione e/o professionalità, ma sono in assolutaprevalenza contadini e braccianti, esattamente come ledonne che restano.

È invece assai probabile che queste differenze di-scendano non solo dal diverso peso specifico che la fi-gura dell’uomo e della donna aveva nell’ambito familia-re tipico della società tradizionale, ma siano anche unaconseguenza delle caratteristiche agro-colturali delle zo-ne collinari o di alta pianura del sud Italia: la ridottaestensione e l’eccessivo frazionamento della proprietà

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contadina, l’insediamento tendenzialmente sparso dellapopolazione rurale, la diffusione della colonia parziaria.Così come la struttura del sistema agrario della Campa-gna Romana, basato fondamentalmente sulla cerealicol-tura estensiva e sullo sfruttamento di manodopera sta-gionale, comportava una ridotta partecipazione femmi-nile al lavoro agricolo.

Un contesto socioeconomico definitosi in seno allacomunità alvitana, quindi, in cui le donne per far fron-te all’assenza degli uomini, oltre ad occuparsi della fa-miglia, dovevano svolgere numerose attività rurali: la-vori nei campi, la raccolta della legna, l’allevamento e lacustodia del bestiame da cortile (Cedrone, 2004). La-vori pesanti, che spesso nuocevano alla salute delle con-tadine, per la cui condizione emergono preoccupazioninelle relazioni di alcuni medici locali che lamentavano icarichi di lavoro eccessivi che le donne dovevano sop-portare (Panizza, 1890). La temporanea lontananza de-gli uomini, oltre a produrre effetti sulla struttura de-mografica e del mercato del lavoro agricolo, in certi pe-riodi dell’anno caratterizzato quindi dalla sensibile pre-senza di donne, anziani e bambini, influiva così anchesulla salute della popolazione. Occorre infatti anchesottolineare che lavorando spesso gli uomini in zonemalsane della Campagna Romana, dove era facile con-trarre la malaria, al loro ritorno questi contadini contri-buivano alla diffusione di tale malattia nei loro paesi,con il conseguente manifestarsi di epidemie malariche,molto frequenti nell’Ottocento in tutto il circondariodi Sora.

Tuttavia in questa situazione, che inevitabilmentecomportava nuove e maggiori assunzioni di responsabi-lità da parte di mogli e madri, si possono anche scorge-re i prodromi della modificazione del loro ruolo, poichéfinirono per essere incluse in processi e dinamiche incui difficilmente donne della stessa epoca, inserite in di-versi ambiti sociali e territoriali, potevano sperare di es-sere coinvolte.

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Comunque, come stanno a testimoniare le nu-merose nascite nelle tenute intorno a Roma, alcunedonne di Alvito furono anche protagoniste di questispostamenti verso la Campagna Romana, dove però,con ogni probabilità, la partecipazione femminile allavoro agricolo era più discontinua e limitata a deter-minate mansioni, come le operazioni di raccolta, e adeterminati periodi dell’anno. Un coinvolgimentod’altronde inevitabile, dal momento che la presenzadella donna è spesso legata al reclutamento da partedel fattore di un’intera famiglia di operai, che non po-teva certo tradursi solamente in un aumento dellebocche da sfamare. Alla figura di moglie, madre eoperaia, allora, nel corso dell’anno si potevano presu-mibilmente aggiungere altre “qualifiche” e mansioni(balie e/o domestiche a servizio dei proprietari delletenute, preparazione dei pasti per gli altri lavoratori,etc.).

Certamente, comunque, il ruolo della donna in se-no ai movimenti stagionali oggetto di questo studio ètra i temi che necessitano un ulteriore approfondimen-to, sia per quel che riguarda l’analisi della consistenzadell’elemento femminile negli spostamenti, sia perquanto attiene gli specifici compiti assunti tanto nell’a-rea di origine che di destinazione funzionali al mante-nimento di differenti strutture socioeconomiche tra lo-ro connesse (Palagiano et al., 2004b).

2.6 I REGISTRI DEGLI ATTI DI NASCITA

Nelle pagine precedenti si è inteso fornire un rag-guaglio articolato dello schema interpretativo e del tipodi approccio con cui ci si è avvicinati allo studio dei da-ti contenuti nei registri di stato civile. La lettura degliatti di matrimonio ha permesso allora di ricostruire unaprima immagine della periodicità mensile e di lungoperiodo di queste migrazioni stagionali.

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Tali premesse metodologiche e interpretative resta-no valide anche per l’elaborazione delle informazionicontenute negli oltre 11.000 atti di nascita consultati,considerati una testimonianza più esplicita del peso diquesti spostamenti periodici nel condizionare gli stili divita degli abitanti di Alvito.

Entro pochi giorni dalla nascita del proprio figlio,infatti, uno dei due genitori, in presenza di due testi-moni, era tenuto a registrare all’anagrafe del comune diresidenza il nuovo nato. Questo compito spettava al pa-dre, tranne nei casi in cui questi non avesse potutoprovvedere di persona, il che poteva accadere per le se-guenti ragioni:

a) il bambino era stato abbandonato, nel qual casola registrazione spettava alla persona che aveva ritrovatoil piccolo;

b) il bambino era nato fuori dal matrimonio e il pa-dre naturale si era rifiutato di riconoscerlo; era quindicompito della ragazza madre presentarsi al comune61;

c) il padre era ammalato al momento della nascita,oppure morto durante la gestazione;

d) il padre era in carcere, oppure assente perché sot-to le armi;

e) il padre era assente per lavoro.In ciascuno degli ultimi tre casi provvedeva allora la

levatrice - raramente comunque la madre - alla dichia-razione dell’avvenuta nascita. Poiché a corredo di questiatti compaiono oltre ai dati anagrafici anche quelli rela-tivi alle condizioni professionali dei genitori, è dunquepossibile risalire con un buon margine di approssima-zione all’assenza di alcune categorie di padri in deter-minati periodi dell’anno.

Inizialmente, si è voluta valutare la consistenza delcampione in esame e rendere conto della sua variabilitàall’interno del lungo periodo considerato. I figli con ge-nitori contadini sono assai più numerosi rispetto ai figlidi altre figure professionali, e questo non tanto per una

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maggiore spiccata prolificità (sarti, falegnami e inse-gnanti sono altrettanto fecondi), quanto per la nettaconnotazione rurale della comunità alvitana. Comun-que, le oscillazioni della curva dei non contadini sonoassai più contenute rispetto a quella dei figli di contadi-ni.

Dal 1874 in poi si registra una crescita piuttostocostante, che porta il fenomeno ad attestarsi intorno ai150 nati per anno, toccando il proprio apice nel 1920a seguito dell’esplosione demografica coincidente con lafine della Prima Guerra Mondiale, per poi intraprende-re una lenta ma quasi costante caduta che riporterà, ne-gli anni Trenta, le nascite sui livelli dei primi anni ’70dell’Ottocento.

Alcune drastiche diminuzioni nel numero dei natisono comunque evidenti: quella del 1881 è con buonaprobabilità imputabile all’epidemia di febbre malaricadel biennio precedente (1879-1880), mentre quella del1902 può essere messa in relazione con l’incrementoche registra l’emigrazione verso l’estero negli anni im-mediatamente precedenti (graff. 2.3, 2.4). Sui cali suc-cessivi hanno inoltre inciso anche gli eventi bellici, i cuieffetti potrebbero essersi sommati al deflusso verso l’e-stero nel 1911, in corrispondenza della guerra alla Li-bia, ed hanno poi avuto un impatto assai più rilevanteper gli anni del primo conflitto mondiale.

Questi dati servono però, soprattutto, per avere unelemento di paragone nel momento in cui si prende inconsiderazione l’andamento della percentuale dei padricontadini assenti al momento della nascita dei propri fi-gli (graf. 2.8). In questa maniera si può vedere se le va-riazioni riscontrate siano imputabili a particolari oscil-lazioni della curva dei nati oppure vadano interpretateindipendentemente.

Si può notare, così, come il contingente dei padriassenti conosca un progressivo aumento, dopo un ini-zio altalenante, che probabilmente risente dei proble-mi già descritti che attanagliano l’economia italiana,

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in particolare quella agricola, tra la fine degli anni ’70e il 1890. Dai primi anni Novanta del XIX secolo, in-vece, l’aumento è certamente costante, e gli unici calisono esattamente in coincidenza con gli anni in cui siregistrano le diminuzioni delle nascite più sensibili. Siha quindi un duplice, evidente segnale di un momen-to di difficoltà nella vita di queste comunità, perché alcalo delle nascite corrisponde una minore propensio-ne ad allontanarsi, a volte anche al di là dei momentiin cui gli uomini sono lontani per eventi bellici.

Non è detto che ci sia una relazione diretta tra que-sti due fenomeni, anche se in genere la diminuzione de-gli emigranti anticipa un po’ il calo delle nascite, cheperaltro tendono a ricrescere solo dopo che i padri tor-nano a migrare verso le tenute romane.

È quindi la minore disponibilità di reddito che in-duce a limitare i comportamenti riproduttivi, oppure lascelta di migrare è conseguenza di un aumento dei bi-sogni dovuti alla prossima nascita di un figlio? Proba-bilmente affidarsi meccanicamente ad una sola di que-ste due ipotesi alla ricerca di un’interpretazione univocadel nesso esistente - ammesso che esista - tra le varia-zioni di questi due fenomeni sarebbe estremamente ri-duttivo rispetto alla complessità del contesto in cui ma-tura la decisione di migrare, seppure stagionalmente.Queste sono considerazioni che andranno allora tenutepresenti nel caso in cui si decidesse di studiare in mag-giore dettaglio le singole variazioni.

Per il momento qui interessa rilevare il trend gene-rale, che è quello appunto di una crescita di partenze fi-no agli anni immediatamente a ridosso del primo con-flitto mondiale, all’indomani del quale invece c’è laconferma del diradarsi di questi spostamenti, che puresi mantengono a livelli superiori della fase iniziale.

Considerando il momento della nascita, è possibi-le portare avanti lo studio della stagionalità degli spo-stamenti circolari da un duplice punto di osservazione.Da un lato, infatti, è possibile continuare a quantifica-

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re la variazione dei padri assenti mese per mese, dall’al-tro lato, però, si può risalire anche al periodo in cui,grosso modo, è avvenuto il concepimento, e metterecosì a confronto le due immagini che se ne ricavano.

I mesi con una maggiore concentrazione di parten-ze saranno cioè quelli in cui, contemporaneamente, siregistra un alto numero di padri assenti per lavoro e unbasso numero di concepimenti. Meno evidente appareinvece la possibilità di identificare il momento del rien-tro, proprio perché questi, rispetto alle partenze, sem-brano più scaglionati e quindi con una tendenza a di-stribuirsi su un arco di tempo leggermente più ampio.

Il dato che emerge va così a confermare quanto giàevidenziato con i matrimoni: le partenze sono infatticoncentrate tra aprile e maggio e tra ottobre e novem-bre, con i ritorni che invece tendono a “spalmarsi” suun periodo compreso tra luglio e settembre e tra di-cembre e febbraio (graf. 2.9).

Graf. 2.8 - Percentuale dei nati con padri assenti sul totale dei bambini nati per anno(1868-1936) nel comune di Alvito. Fonte: Registri di Stato Civile del Comune di Alvito

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Graf. 2.9 - Media percentuale del numero dei nati con padri assentiper mese sul totale dei nati con padri assenti in un anno

(1868 - 1936) nel comune di Alvito.Fonte: Registri di Stato Civile del Comune di Alvito

2.7 CONCLUSIONI

Lo studio dei registri di stato civile del comune diAlvito consente di confermare la presenza stabile dei re-sidenti di questo centro della Valle di Comino nei cir-cuiti delle migrazioni circolari, che avevano il loro ful-cro nelle tenute della Campagna Romana.

Contadini, braccianti e campagnoli di questa areadella Terra di Lavoro avevano quindi un legame fortecon il territorio intorno a Roma, un legame che tende arafforzarsi all’indomani della definitiva annessione del-la nuova capitale al neonato Stato italiano. Se in prece-denza, infatti, l’esistenza dello Stato Pontificio non ave-va certamente impedito i contatti tra queste zone, ap-pare tuttavia evidente come la fase di espansione che l’a-gricoltura romana conosce a partire dal 1870 - passan-do tutto sommato indenne alle crisi della fine del XIXsecolo - produca un forte e ulteriore stimolo all’offertadi lavoro per la manodopera agricola d’immigrazione.Una crescita che tende ad esaurirsi e ad invertire la pro-

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pria tendenza solo intorno alla metà degli anni Ventidel Novecento, sebbene Alvito conservi segnali eviden-ti del persistere di questa abitudine agli spostamenti sta-gionali fino ai successivi anni Trenta.

L’uso dei registri di stato civile permette inoltre didocumentare ulteriormente, circostanziando informa-zioni pure presenti nella letteratura coeva, la cadenzacon cui questi spostamenti avevano luogo. Emergonoinoltre i riflessi che questi comportamenti migratoriavevano sulle comunità di partenza, per effetto dellaprevalente mascolinità di questi flussi, il che si traducein una temporanea quanto periodica femminilizzazio-ne della società di partenza (Lucato, 1995), ma ancheper il condizionamento sui comportamenti riprodutti-vi e sui matrimoni. Tuttavia si è consapevoli che, inogni caso, i registri consultati sono in grado di fornirciinformazioni su delle fasce ben precise della popolazio-ne.

«In particolare, tutti coloro che non contraggonomatrimonio o che non mettono al mondo dei figli nonsono compresi nella rilevazione. È pur vero che, in ge-nere, protagonista dei movimenti migratori è proprioquella quota di popolazione più giovane e intrapren-dente che verosimilmente corrisponde anche al profilodi coloro che all’epoca decidevano di contrarre matri-monio e generare figli, ma oggettivamente, soprattuttogli individui appartenenti ad alcune classi di età rischia-no di risultare penalizzati da una analisi che non si pro-ponga di andare oltre i dati presenti nei Registri di Sta-to Civile» (Palagiano et al., 2004b).

Gli alvitani furono, in ogni caso, protagonisti chealimentarono la presenza “ciociara” nella campagna, e,soprattutto, una presenza non confutabile alla luce diquanto documentato. Esistono allora le premesse perandare alla ricerca di tali personaggi in territorio roma-no, identificando e portando così alla ribalta, tra i tantigruppi che pure erano impiegati nella Campagna Ro-mana, anche questo elemento.

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Una ricerca fruttuosa, poiché tra i protagonisti diqueste vicende migratorie emergono anche i cosiddettimercanti di campagna, affittuari cioè dei grandi pro-prietari terrieri, la cui azione assume progressivamenteuna rilevanza notevole nella conduzione di questeaziende e, più in generale, nell’economia dell’area.Un’azione che porta con sé gli elementi per un cambia-mento sensibile, nel medio periodo, dei caratteri nonsolo formali del territorio.

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3. ALVITANI E “CIOCIARI” NELLA CAMPA-GNA ROMANA

3.1 L’USO DI ALTRE FONTI ACCANTO AI REGISTRIDI STATO CIVILE

Riconoscere nel vasto territorio di Roma le traccedei diversi gruppi di contadini, braccianti, operai agri-coli, reclutati dagli intermediari per conto degli affit-tuari dei terreni (Sinisi, 1993), è operazione alquantocomplessa62. Sebbene infatti esistessero dei luoghi diraccolta consuetudinari - per effetto anche della fortetendenza a rimanere (o ad essere lasciati) in disparte(Nenci, 1991) - come Piazza Montanara (Metalli,1923) o, come si vedrà, Piazza Farnese, in realtà le dif-ferenze di provenienza tendevano a mescolarsi, dandol’impressione di annullarsi (Santulli, 2002), eccezionfatta forse per la specializzazione professionale (Corsi-ni, 1993).

Le testimonianze e le descrizioni più accurate sullapresenza di questi lavoratori avventizi sono tradizional-mente il frutto dell’interesse artistico e filantropico cheessi suscitano in un cospicuo gruppo di eruditi e intel-lettuali a partire dalla fine del XIX secolo (De Rosa eTrastulli, 2002).

Tali evidenze però raramente si prestano a ricostru-zioni di dettaglio, tese a recuperare la presenza degli ap-partenenti ad una singola comunità, sia questa il singo-lo centro, come nel caso di Alvito, sia essa una più am-pia entità regionale.

Per questa serie di considerazioni, pur non poten-do prescindere dall’offrire un saggio della documenta-zione finora più usata per testimoniare presenza e stilidi vita degli immigrati stagionali, tuttavia, buona par-te di questo capitolo è dedicata allo studio delle infor-mazioni che si evincono dai registri di stato civile e dal-le conseguenti indagini biografiche.

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3.2 GLI IMMIGRATI STAGIONALI A ROMA

Le fonti statistiche ufficiali, per il loro livello di ag-gregazione dei dati, non consentono di distinguere le di-verse zone in cui si riversavano i flussi di immigrati al-l’interno del vastissimo territorio del Comune di Roma.

Anzi nelle prime rilevazioni, quelle dell’Ufficio delLavoro, i dati relativi al Comune di Roma sono affattoassenti, per cui in prima battuta si può solamente sape-re che nell’intera provincia di Roma arrivano 92.853persone nel 1905 (M.A.I.C., 1907, p. 26) e poco più di60.000 nel 1910 (M.A.I.C., 1914b); e sebbene comunicome Albano Laziale, Civitavecchia, Frascati, Marino,Monterotondo, Nettuno, Zagarolo assorbano anch’essiquote di questa manodopera stagionale, la maggior par-te di questi lavoratori si concentrava proprio nel terri-torio della Capitale.

I numeri forniti dal Comitato permanente per lemigrazioni interne hanno certamente un livello di det-taglio maggiore riguardo la registrazione degli ingressinel solo Comune di Roma, per la fine degli anni Ventie buona parte degli anni Trenta.

In questo modo, ci si può rendere conto del fortecalo che gli immigrati avevano avuto in questi 18 anni,dal momento che nel 1928 giunsero a Roma “solamen-te” 27.336 lavoratori stagionali (M.A.I.C., 1929). Uncalo costante, che investe tanto i lavoratori agricoli chequelli industriali, che toccherà il suo minimo nel 1935,quando giungono nella Capitale poco meno di 8.000lavoratori (86% dei quali sono ancora comunque im-piegati nei lavori agricoli stagionali, M.A.I.C, 1936).

Oltre però alla discontinuità cronologica con cuiqueste informazioni sono disponibili, e ferma restandol’esigenza di coprire lo iato esistente tra il 1910 e il1928, rimane comunque sempre il problema dell’im-possibilità di addivenire ad una qualche misura della di-stribuzione degli immigrati all’interno del Comune ca-pitolino.

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Le rilevazioni censuarie, in parte, consentono diovviare a queste lacune, sia perché, seppure a inter-valli decennali (o ventennali, considerato il censi-mento non effettuato nel 1891), viene però copertol’intero arco cronologico d’interesse e sia perché, in-ternamente al comune di Roma, i dati presentano unprimo livello di disaggregazione.

I problemi permangono perché «l’Agro Romano[il cui limite coincide con quello del Comune di Ro-ma], fino al 1948, non ha avuto una suddivisioneterritoriale comunale permanente. Di conseguenza,fino a quella data, si hanno soltanto le suddivisioniadottate di volta in volta in occasione dei Censimen-ti» (Comune di Roma, 1960, p. 20); però, si può bendistinguere il numero di coloro che al momento del-la rilevazione abitavano stabilmente in città e gli in-dividui che, invece, erano temporaneamente presen-ti nelle campagne. Nella porzione di territorio nonancora densamente urbanizzata viene inoltre distintala fascia immediatamente a ridosso del tessuto urba-no (il “suburbio”) dalle aree non urbanizzate più di-stanti (“l’Agro”).

Guardando la tabella 3.1, non solo, quindi, ci sipuò rendere conto della crescita demografica ed ediliziadella Capitale prima a scapito del suburbio e poi, con lacostruzione delle borgate, erodendo anche parte del ter-ritorio dell’Agro; non solo si può notare come una quo-ta non irrilevante della popolazione residente vivesse inquegli anni in abitazioni temporanee. Ma si può arriva-re anche ad una prima misura di quanta popolazionefosse temporaneamente presente nell’Agro (graf. 3.1),sottraendo secondo la prassi già adottata il numero del-la popolazione presente da quello della popolazione re-sidente. In questo “compartimento”, la popolazione re-sidente è in numero sempre inferiore al totale della po-polazione presente, la quale inoltre vive per la maggiorparte in abitazioni temporanee, a conferma di quantogià detto più volte.

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Ma l’obiettivo era e resta quello di cogliere in ma-niera maggiormente articolata la presenza o meno nellevarie tenute dei lavoratori stagionali. Un passo deciso inquesta direzione può essere fatto rivolgendo l’attenzionea quell’azione di monitoraggio e assistenza sanitaria cheviene portata avanti nelle campagne da uno sparutogruppo di medici dall’inizio del Novecento.

Tab. 3.1 - Popolazione alla data dei censimenti per grandi suddivisioni territoriali nelComune di Roma secondo il carattere della dimora

Fonte: Comune di Roma, 1960

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Effettivamente il forte impatto che la massa di la-voratori aveva nel territorio è leggibile anche attraversol’impressione che le loro condizioni di vita e di lavorosuscitano nei notabili e nelle istituzioni romane e nelmoltiplicarsi di iniziative, istituzionalizzate e non, perl’assistenza medica e l’emancipazione di questi gruppiumani, i cui esempi maggiori sono forse l’impegno perl’alfabetizzazione di tali individui e le campagne anti-malariche della Croce Rossa.

A tale proposito, i resoconti presentati dal dott. Po-stempski sull’attività di distribuzione del chinino, siaper curare i malati di malaria che a scopo preventivo,sono una fonte utile per giungere a delle prime stime re-lative alle quote di lavoratori stagionali nelle differentitenute (Postempski, 1908, 1912, 1919).

Naturalmente, i pochi e coraggiosi medici impe-gnati in queste campagne non riuscivano a raggiungeretutti quanti i lavoratori, non potendo recarsi pressoognuna delle numerose tenute, dal momento che que-st’azione era estesa anche alle Paludi Pontine e non so-lo rivolta agli operai impiegati nella Campagna Roma-na. I pazienti a cui venivano somministrate le dosi dichinino sono, però, distinti in mobili e stabili, per po-tere testare così gli effetti della cura da un anno all’altroe valutare quindi l’efficacia della profilassi adottata.

Graf. 3.1 - Popolazione temporaneamente presente nell’Agro Romano.Fonte: Comune di Roma, 1960

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Nelle due campagne del 1907 e del 1911 vengono“chininizzati” rispettivamente 11.522 e 9.709 indivi-dui63; basi di queste operazioni erano delle “ambulan-ze”, distribuite in alcune aree della Campagna, dallequali si raggiungevano diverse tenute. Il minor numerodi chininizzati del 1911 è probabilmente imputabileanche alla scomparsa di uno di questi poli di assistenza,quello di Prima Porta64; per il resto le località in cuiquesti presidi medici avevano sede erano le stesse, e cioèCasal de’ Pazzi, Torre Nuova, Campo Morto, Pratica diMare, Maccarese e Boccea (spostata in S. Maria di Ga-leria nel 1911).

Elaborando queste informazioni si può così vederecome il ricorso all’impiego di manodopera stagionaleera assai elevato in quasi tutte le tenute, dove molto difrequente gli immigrati erano quindi la maggioranzadel personale addetto (graf. 3.2).

Graf. 3.2 - Tenute della Campagna Romana per percentuale di lavoratoristagionali impiegati nel 1911 (periodo giugno-novembre).

Fonte: Postempski, 1912

3.3 FIGLI DI ALVITO NELLA CAMPAGNA ROMANA

Gli interventi nati dall’esigenza di assicurare unaassistenza sanitaria minima ai lavoratori delle campa-

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gne si legano strettamente anche con la genesi di alcu-ni dei dati contenuti nei registri di stato civile. È giàstato messo in rilievo come i registri contenenti gli at-ti di nascita siano composti, a partire dal 1875, da dueparti, la seconda delle quali riservata all’iscrizione deibambini nati da genitori residenti ad Alvito, ma assen-ti da questo comune al momento della nascita del pro-prio figlio.

I comuni, e più tardi anche gli Stati stranieri, nelcui territorio il bambino era venuto alla luce, provvede-vano allora a trasmettere al Comune di Alvito copia del-l’atto di nascita che veniva così debitamente trascrittonei registri.

Nonostante l’apparato burocratico del nuovo Statofosse agli inizi e stante le difficoltà di comunicazioneesistenti65, le trasmissioni in genere avvenivano nel girodi pochi mesi. Questa relativa puntualità nella registra-zione delle nascite è dovuta proprio all’esistenza dellediverse stazioni sanitarie nella Campagna Romana.

Questi “centri di assistenza” vennero aperti dall’Uf-ficio di Igiene del Comune di Roma a partire dal giu-gno del 1874 - e forse non a caso i primi atti di nascitain questione sono disponibili dal 1875 - con lo scopoprincipale di monitorare e curare le diverse affezioni en-demiche e croniche cui contadini e coloni di questi ter-ritori andavano soggetti (Celli, 1927). Ma, come si èavuto modo di apprendere dalla lettura di tali carte, imedici presenti presso i presidi assai spesso assistevanoanche le donne e i bambini al momento del parto, edera poi lo stesso medico a “compilare” il certificato dinascita, che successivamente il Comune di Roma prov-vedeva a registrare.

In questa maniera hanno quindi preso corpo le te-stimonianze più dirette della presenza “temporanea” dialvitani nelle diverse tenute della Campagna Romana;infatti, nell’atto di nascita era sempre esplicitamentemenzionata la tenuta presso cui i genitori del bambinoerano impiegati al momento della sua nascita.

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Questo permette di formulare tutta una serie diconsiderazioni riguardo la distribuzione e i tempi di dif-fusione della presenza dei contadini di Alvito nel terri-torio intorno a Roma. Prima di illustrare le osservazio-ni che discendono dalla mappatura di questa presenza,corre tuttavia l’obbligo di esporre alcune premesse.

Innanzitutto, appare possibile pensare che questenascite potrebbero essere collegate sì ad una mobilitàtemporanea, intesa in particolare come il mancato tra-sferimento definitivo della propria residenza in un altrocomune, però con una cadenza diversa da quella stagio-nale.

Il fatto che l’atto in sé certifichi infatti la nascita diun bambino presuppone prima di tutto la presenza, equindi lo spostamento, di un intero nucleo familiare. Èvero infatti che, per coloro che rimanevano nelle cam-pagne un periodo sufficientemente lungo, esisteva lapossibilità che concepimento e nascita del bambino po-tessero essere avvenute nell’arco di un singolo movi-mento stagionale; ma è anche vero che in alcuni casinella stessa tenuta è la stessa famiglia ad avere più di unfiglio, con una tendenza ad un insediamento che, sep-pure non assumerà carattere definitivo, mostra peròuna maggiore stabilità. Tanto è vero che la distribuzio-ne di queste nascite per i diversi mesi dell’anno non ri-leva una sensibile periodicità come avviene invece per inati ad Alvito.

Allo stesso modo va bensì notato come, accanto atenute in cui la presenza di alcune famiglie si registraper alcuni anni di seguito, ci siano altre tenute in cui in-vece questa presenza ha carattere estemporaneo, occa-sionale.

Tali elementi, dunque, debbono essere tutti valuta-ti nell’interpretazione di questa fonte. Fonte che peròconserva intatta la sua importanza per la possibilità cheoffre di localizzare con quasi assoluta certezza66 questinuclei di alvitani nelle varie tenute. Un aspetto impor-tante per mettere in evidenza le scelte compiute e, in

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prospettiva, per cercare di rilevare se tali nuclei erano ingrado di catalizzare l’arrivo di altri lavoratori e, soprat-tutto, se queste scelte erano coerenti o discordi conquelle messe in atto da altri gruppi.

3.3.1 LA CARTA DELL’AGRO ROMANO DI POMPEOSPINETTI

La “Carta dell’Agro Romano in quattro fogli coi con-fini delle tenute e dei territori comunali limitrofi alla sca-la 1:75.000”, realizzata dal Cav. Agr. Pompeo Spinetti,è una carta tematica di grande interesse, suddivisa in 4fogli (“Roma”, “Campomorto”, “Castel Porziano” e“Lunghezza”) e corredata da un elenco delle tenute e deiproprietari (Spinetti, 1914b).

L’autore, ispettore del Ministero di Agricoltura, In-dustria e Commercio, produsse una rappresentazionedel territorio intorno a Roma (coprendo complessiva-mente un’area estesa poco più di 60 primi nel senso del-la longitudine e di 45 primi nel senso della latitudine)assai dettagliata e articolata da un punto di vista ammi-nistrativo.

Potendo infatti contare su una base georeferenzia-ta (le carte dell’I.G.M.), questi non si limitò a ripro-durre, con un’operazione conoscitiva e fiscale che pas-sa attraverso la mappa del secentesco catasto alessan-drino e dell’ottocentesco catasto gregoriano, solamentei confini delle tenute. Egli riportò sulla carta anche lacirconferenza di 10 km dal Miliarum Aureum del ForoRomano - che segna una delle aree entro cui dovevanoessere realizzati i primi provvedimenti di bonifica, se-condo alcune leggi varate subito dopo l’Unità - e il li-mite della zona soggetta a bonificamento agrario, defi-nita dalla legge del 10 novembre 1905, n. 607. Sonostati rappresentati, inoltre, i limiti di Roma secondo ilPiano Regolatore del 1909, quelli del Suburbio e dellaCinta Daziaria della città, il limite dell’Agro Romano.

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L’immagine che si evince da questo prodotto carto-grafico è in grado quindi di rendere conto della com-plessità di questo territorio, dando la possibilità di leg-gere le trasformazioni avvenute nell’area anche alla lucedell’evidente sovrapposizione di ambiti e provvedimen-ti amministrativi, non sempre tra loro coerenti.

Nella Carta dell’Agro Romano dello Spinetti sonoriportati i confini, l’estensione e i proprietari di 473tenute. In ben 89 di queste tenute (quasi il 20%) na-scono bambini da genitori entrambi residenti ad Alvi-to.

Le proprietà in cui si registra, per il periodo consi-derato, il maggior numero di nascite sono Carano(21), Ostia (12), Ponte Galera (15), Porcareccia (14),Torre del Padiglione (20), Torrimpietra (26) e Traglia-ta (10). Quasi in ognuna di queste tenute tali nascitetendono a concentrarsi tra il 1875 e il 1906, tranne cheper Ponte Galera, dove l’inizio di questa presenza si re-gistra nel 1902 e si protrae fino al 1918.

Si deve inoltre sottolineare come, dopo questo ini-ziale insediamento di carattere principalmente “litora-neo”, si assiste alla formazione di nuclei di un certo pe-so anche in tenute poste ad est e, in particolare, a norddi Roma, come quelle di Prima Porta, del Procojo Nuo-vo e del Procojo Vecchio.

In assoluto, comunque, nel primo periodo lo spo-stamento di questi nuclei familiari ha una dimensionemaggiore, tanto che mediamente si hanno circa diecinascite l’anno (con un picco di 20 nascite nel 1880 euno di 18 nel 1891), mentre dal 1906 al 1923 questamedia scende a circa 3 bambini l’anno e tra il 1924 e il1936 nascono complessivamente solo 7 bambini.

Un calo che certo è imputabile alla tendenza dilungo periodo descritta, in cui si manifesta una di-minuzione delle partenze. Accanto a questa minorepresenza nelle tenute però, per quello che si evincedalla lettura di questi documenti, si registra unamaggiore disponibilità ad insediarsi sempre più a ri-

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dosso della città. Questo non prefigura la possibilitàdi un insediamento stabile – si è visto come le abita-zioni temporanee fossero assai diffuse anche all’inter-no e nel suburbio della città (Comune di Roma,1960) – ma probabilmente la maggiore vicinanza sipoteva tramutare in un numero maggiore di oppor-tunità di lavoro. E questa interpretazione nasce dal-l’osservare che i primi alvitani a stabilirsi in città vigiungono in virtù di una migliore qualificazione pro-fessionale (sono impiegati), mentre successivamenteanche i contadini diventano protagonisti del proces-so di inurbamento.

In questo contesto, nei Registri si trova anche testi-monianza dei legami che la comunità continuava amantenere lontano dal proprio paese. Il gruppo di alvi-tani presenti a Roma si va infatti infoltendo ai primi delNovecento e l’abitazione di uno di loro, Pietro Vespa-siani, sembra fungere da luogo di incontro. Infatti, èquesto personaggio che per alcuni anni interpreta ilruolo del testimone o si reca presso gli uffici del Co-mune a registrare bambini nati da coppie di Alvito,quasi sempre venuti alla luce presso l’ospedale San Gio-vanni.

Ma la presenza dei contadini di Alvito non si esau-risce solo nelle tenute all’interno del Comune di Roma.Rispecchiando la cadenza dell’arrivo nelle tenute roma-ne, la mobilità delle famiglie contadine di Alvito inve-ste oltre una ventina di altri comuni della provincia diRoma, dove complessivamente si registrano 186 nasci-te.

I paesi nel cui territorio questi nuclei tendono adavere una presenza più stabile sono Cerveteri (15 natitra il 1877 e il 1934), Monterotondo (29 nascite tra il1875 e il 1925) e Riano (ben 49 nati tra il 1881 e il1915).

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Fig. 3.1 - Localizzazione della Tenuta di Falcognana Vecchia (cfr. cap. 4)sulla Carta dello Spinetti (foglio “Campomorto”)

3.4 MOBILITÀ E CONDIZIONE PROFESSIONALE

Come era lecito supporre, gli spostamenti degli in-dividui residenti ad Alvito non sono, quindi, esclusiva-mente diretti verso le aziende poste nei dintorni di Ro-ma. Tuttavia, il confronto con i movimenti verso le al-tre località permette innanzitutto di osservare come lacomponente romana fosse, però, quella assolutamenteprevalente. Infatti, su un totale di 612 atti di nascita ri-guardanti bambini nati in Italia, ma al di fuori del co-mune di residenza dei genitori, solo 64 sono quelli re-lativi a figli di coppie trasferitesi in regioni diverse dal-la provincia di Roma.

Più consistente è senza dubbio la mobilità “tempo-ranea” verso l’estero, in ragione delle 121 nascite regi-strate tra Europa e Stati Uniti, a partire dal 1894 (il fi-glio di un insegnante emigrato a Tunisi), quindi conuno scarto sensibile rispetto al momento di inizio dellacrescita delle migrazioni stagionali67.

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Ma al di là dell’opportunità di ricostruire, ancheper questi spostamenti, una carta delle mete raggiuntedagli alvitani, rivolgere lo sguardo a queste migrazioni alungo raggio o verso l’estero apre lo spiraglio ad un’uti-le, ulteriore, considerazione.

Si è più volte messo in rilievo come alcuni gruppidi immigrati stagionali nella Campagna Romana fosse-ro facilmente riconoscibili in virtù di una loro specia-lizzazione professionale ben precisa (Allegretti, 1987).Caratteristica questa che, invece, non sembra apparte-nere alla comunità qui in esame, come peraltro emergeanche dalla lettura dei registri, dove i padri assenti so-no, nella stragrande maggioranza dei casi, braccianti,contadini o campagnoli e, assai più raramente, artigia-ni.

Una migrazione legata alla competenza professio-nale che, in nuce, sembra invece possibile scorgere inquesti movimenti su distanze maggiori; intanto perchéraramente sono contadini coloro che si imbarcano inquesto tipo di esperienze. E poi, perché è possibile met-tere in evidenza, ad esempio, come gli spostamenti ver-so le città dell’ex Regno di Napoli fossero compiuti dapersonaggi con possibilità d’occupazione come impie-gati o nelle libere professioni, quali avvocati o ingegne-ri. Oppure, rimanendo con lo sguardo sui lavori “ma-nuali”, si può notare la presenza di mulattieri tra laCampania meridionale e la Basilicata, l’emigrazione diebanisti in Francia e di gelatai o musicisti girovaghi inInghilterra68.

L’esame della condizione professionale dei soggettimigranti non è affatto da sottovalutare, perché il qua-dro complessivo muta coerentemente con l’intensità delfenomeno migratorio. Pur non essendo state elaboratestatistiche in merito, infatti, è stato ugualmente possi-bile rendersi conto di come nei periodi in cui le quotedi migranti erano più alte, ad Alvito si registrava uncontestuale fiorire o rifiorire di mestieri assenti in altrimomenti.

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La cadenza con cui beccai, macellai, falegnami, sar-ti, calzolai, gioiellieri appaiono o scompaiono dai regi-stri dei matrimoni e delle nascite, in particolare, nonsembra infatti dipendere da comportamenti nuziali oriproduttivi peculiari di questi determinati gruppi dipersone.

In realtà, era l’aumento delle partenze verso Romaa creare le premesse per l’avvio di una fase di maggiorevitalità economica, riflesso certo della situazione con-giunturale nazionale, che a livello locale, però, testimo-nia ancora di più del peso dei proventi dei lavoratoristagionali nel determinare la disponibilità di spesa dellefamiglie alvitane. Perciò, nei periodi in cui questo feno-meno tendeva invece a contrarsi o a stagnare, le quotedi reddito da destinare all’acquisto di beni, oggi di “lar-go consumo”, come carne, vestiti o calzature, con ogniprobabilità, si assottigliavano sensibilmente, trasfor-mando nuovamente gli artigiani in contadini e campa-gnoli.

Alla base della maggiore specializzazione degli emi-grati all’estero potrebbe allora esserci la volontà di nondisperdere il capitale rappresentato dal proprio mestie-re, tornando al semplice lavoro nelle campagne, duran-te la fase di relativa depressione.

L’assenza di una specializzazione funzionale tra co-loro che lavoravano nelle tenute intorno a Roma noncondanna, però, gli alvitani a recitare un ruolo margi-nale nella storia e nella costruzione del paesaggio dellaCampagna Romana. Alcuni degli individui originari diAlvito utilizzeranno infatti i mutamenti in corso nel-l’assetto delle proprietà all’indomani del 20 settembre1870, per inserirsi e svolgere un ruolo da protagonistain questa realtà agricola.

La storia di Domenico Lanza è, senza dubbio, co-me si vedrà nel capitolo successivo, l’emblema dei risul-tati a cui fu possibile arrivare facendo tesoro della tradi-zione contadina di Alvito, degli storici legami tra que-sta terra e Roma e delle enormi possibilità che il terri-

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torio intorno alla Capitale offriva a chi avesse avuto l’in-traprendenza e l’arguzia di metterlo intelligentemente afrutto.

3.5 IL DATO ICONOGRAFICO

«La dove, per una impossibilità obiettiva o soggettiva,non sia dato ricorrere ad uno spoglio sistematico e integra-le delle fonti, una testimonianza “involontaria”, in effetti,e particolarmente una testimonianza letteraria od artisti-ca, quando sia suffragata dalla conferma di altre fonti,può - per la sua capacità di espressione “del tipico” - assu-mere un carattere di rappresentatività, che resta altrimen-ti affidata solo alla più scarna probabilità del dato stati-stico» (Sereni, 1961, p. XXVI).

La ricerca di immagini o testimonianze di produ-zione artistica ha rappresentato dapprima lo stimolo asfruttare il dato statistico per definire ulteriormente ilquadro «tipico» che emerge dalla consultazione di que-sto materiale e, in seguito, ha fornito un sostegno alleipotesi avanzate per l’interpretazione di alcuni dati.

Questa indagine può definirsi eterodiretta poi-ché, affinché il giudizio sull’autenticità delle rappre-sentazioni (intesa come prospettiva dell’autore rispet-to al soggetto riprodotto) e sui significati, anche an-tropologici (Tucci, 2002), di molte di esse non risen-tisse negativamente di un approccio dilettantesco, cisi è affidati al parere e all’opera di esperti nella sele-zione delle immagini proposte. Per quello che riguar-da in particolare la produzione pittorica, i numerosicataloghi, e relativi commenti, su mostre che hannoavuto come tema proprio la Campagna Romana rap-presentano di per sé una guida piuttosto sicura (DeRosa e Trastulli, 2002; Lanzillotta et al., 2003); a li-vello locale, con riferimento cioè all’area di originedei flussi studiati, ci si è affidati invece ai suggeri-

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menti del dott. Michele Santulli, antiquario di Cassi-no, esperto di “pittura ciociara”.

L’approccio verista dei pittori di questo periodo,molti dei quali stranieri, aumenta il carattere di testi-monianza che le loro opere possono avere (De Rosa,2002), tanto più che questa azione di “documentazio-ne” arriva ad assumere quasi forma organizzata e carat-tere sistematico, come testimoniano, ad esempio, la na-scita e l’attività del “Gruppo dei XXV” (Mammucari,1991)69.

Molte delle raffigurazioni vedono come protagoni-sti gli individui che «hanno vissuto e lavorato nellaCampagna Romana fra fine Settecento e primo Nove-cento» e ad attirare l’attenzione di tali artisti eranospesso proprio quelle attività che spingevano in que-st’area «una pluralità di lavoratori stagionali prove-nienti da diverse aree del Lazio orientale e meridiona-le, delle Marche, dell’Abruzzo, della Campania, secon-do le varie specializzazioni» (Tucci, 2002, pp. 63-64).

In effetti diversi sono i dipinti in cui appaiono ri-tratti questi lavoratori occupati nelle diverse attività ti-piche dei differenti periodi dell’anno - come la mietitu-ra, la trebbiatura (fig. 3.2a), la merca del bestiame, lavendemmia - oppure presso le loro capanne.

Quadri che non solo colgono gli aspetti più vistosidi queste attività, ma forniscono informazioni anche ri-guardo i momenti in cui alcune di esse venivano svolte(visto che l’esigenza di documentazione trova a voltesfogo anche nei titoli di queste opere, come ad esempioI lavori di maggio di Moroni del 1889, fig. 3.2b) e lecondizioni di vita di questi contadini.

La dovizia di particolari contenuti in queste rap-presentazioni spinge, tuttavia, anche alla ricerca di det-tagli utili all’identificazione di un gruppo in particola-re; il terreno in questione è piuttosto insidioso perché,naturalmente, si debbono possedere riferimenti adegua-ti per quel che riguarda la storia del costume. Un esem-pio delle difficoltà insite in questo genere di disserta-

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zioni è rappresentato, ad esempio, dal tentativo di faredella “ciocia”, calzatura artigianale contadina, un ele-mento di distinzione. L’associazione di questo termineal toponimo Ciociaria (Pratelli, 1957) può infatti por-tare ad identificare, precipitosamente, i contadini chevengono ritratti con indosso questi finimenti con quel-li originari di tale regione. Ma tale equazione non èpossibile per diversi motivi: in primis, i confini dellaCiociaria mutano storicamente (Scotoni, 1977) e spes-so vengono “stiracchiati” o ridotti a sostegno di tesi dif-ferenti (De Carolis, 1995; Santulli, 2002); inoltre, glistessi geografi, con Almagià in testa (come autore perl’Enciclopedia Treccani, 1929), hanno contribuito adestendere molto l’area di diffusione di tale calzatura, af-fievolendone così il carattere identitario. Esiste, in ognicaso, la possibilità che le “cioce”, unitamente ad altriaspetti tipici del costume ciociaro (che presenta varian-ti anche da villaggio a villaggio, fig. 3.4a), conservinouna funzione indicativa almeno di massima, dal mo-mento che, come si evince proprio dalle pitture, nontutti i contadini indossano queste “scarpe”, per cui unadifferenziazione comunque esiste.

Adottando questo ragionamento, la presenza dei“ciociari” sarebbe dunque testimoniata in alcune operein cui appunto sono ritratti lavoratori, uomini e donne,che calzano le “cioce” .

In questi anni anche la fotografia inizia ad avere unacerta diffusione, per cui le stesse attività oggetto dei di-pinti descritti iniziano in alcuni casi ad essere immorta-late sulle lastre fotografiche, ampliando così la gamma difonti dalle quali attingere informazioni (fig. 3.3).

Informazioni che per quanto precise, però, riman-gono ancora appunto di carattere generale, a menoche non si abbia la fortuna di imbattersi nei dipinti se-gnalati dal dott. Santulli, in cui i soggetti ritratti sonoproprio appartenenti alla comunità di Alvito. E questapresenza è significativa non solo perché così esplicita edichiarata, ma anche perché legata ad attività impor-

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tanti per il tema di questa ricerca. Nella prima delleopere prese in visione sono infatti raffigurate delledonne in pellegrinaggio verso Roma (fig. 3.4b), a ri-badire quindi quel legame esistente tra questo centroe l’area romana e a suffragare l’ipotesi che proprio que-sti pellegrinaggi possano aver rappresentato il circuitooriginale sul quale poi le migrazioni stagionali vannoa sovrapporsi.

Fig. 3.2 - a) Trebbiatura lungo gli acquedotti della Campagna(E. Coleman, 1846-1911)

b) I lavori di maggio, 1889 (A. Moroni, 1859-1941)Entrambi i dipinti sono ripresi da De Rosa e Trastulli, 2002

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Fig. 3.3 - Tenuta di Torrenova. Compagnia di lavoratori stagionalisorvegliati dal fattore, 1890. Foto di Giuseppe Primoli (in Cazzola, 2000)

Fig. 3.4 - a) Ciociarella di Alvito (D. Induno, 1815-1878), da Santulli, 2002b) Donne di Alvito in pellegrinaggio a S. Pietro in Roma

(J. Bertrand, 1823-1887), da Santulli, 2002

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Fig. 3.5 - Gente di Alvito in piazza Farnese (L. Bonnat, 1833-1922)

Nel secondo quadro, esposto al Louvre di Parigi, èinvece rappresentato un gruppo di alvitani in piazzaFarnese, presumibilmente in attesa di essere ingaggiatiper qualche lavoro (fig. 3.5): non solo un’ulteriore te-stimonianza diretta quindi della presenza in città diqueste persone, ma anche un possibile indizio di unaforte coesione e spirito di aggregazione degli immigratialla comunità di appartenenza, tanto da fargli eleggerecome luogo d’incontro una piazza diversa da quella in-dicata dalla letteratura coeva per la raccolta dei lavora-tori in cerca di occupazione (Metalli, 1923).

3.5.1 SCRITTORI E POETI

Ma l’orizzonte artistico della documentazione sullaCampagna Romana non si esaurisce nella produzionepittorica e fotografica. Lo spettro delle fonti può infat-ti essere esteso anche alla produzione letteraria, a quellanarrativa così come a quella poetica (Romagnoli, 1982;Gibellini, 2000), come illustrato dai due esempi che se-guono.

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Il primo è riferito alle descrizioni fornite dall’ame-ricano William W. Story (Pinto Surdi, 1999), il qualefornisce ragguagli accurati non solo sull’assetto produt-tivo delle tenute presenti nella Campagna Romana maanche sulle attività che stagionalmente vi si svolgevanoe sui ritmi e gli stili di vita propri degli abitanti, stabilie non, di questi territori:

«In aprile, e agli inizi di maggio, i contadini scendo-no dalle montagne verso Roma per arare e seminare laCampagna. Ma una volta che hanno terminato, il lorocompito è finito, e gran parte di essi tornano alle loro casedove rimangono fino a quando si avvicina il tempo dellamietitura.

[…] Si riuniscono generalmente nella Piazza Monta-nara a Roma, oppure vicino al gasometro, dove vengonoassunti dai fattori delle grandi fattorie. Quando il giornoprevisto per la mietitura arriva, ai primi bagliori dell’al-ba si riuniscono in questo luogo formando dei gruppi.

[…] Durante la mietitura non tornano mai in città,ma lavorano tutto il giorno, dall’alba al tramonto, alzan-dosi alle tre del mattino e interrompendo il lavoro solo perdue ore a mezzogiorno, quando fanno la loro siesta; allesette fanno colazione; all’una pranzano e dopo dormonodue ore sotto gli alberi o in qualunque posto vi sia ombra;alle sette di sera il lavoro termina ed è ora di cena.

[…] Si può vedere tutta una varietà di costumi, daquelli vivaci dei ciociari napoletani da un lato, a quellidella Maremma toscana dall’altro, dai candidi copricapi ecorpetti scarlatti, agli ampi e svolazzanti cappelli di pagliatoscani. Uomini, donne e bambini lavorano tutti insiemenei campi, e mentre mietono, seminascosti nel biondo gra-no, i loro costumi vivaci brillano nel sole creando un effet-to molto pittoresco.

[…] A fianco di molti casali vi è un’enorme masseriain pietra, dove i braccianti dormono di notte; ma se que-sto tipo di costruzione manca, vicino al luogo di raccoltasi montano delle capanne dal tetto di paglia. […] I pove-

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ri, oppure gli sprovveduti, che dormono sulla nuda terra,molto spesso vengono colpiti da febbri e malattie, e moltifanno ritorno a casa pallidi, disfatti e tremanti» (W.W.Story, in Pinto Surdi, 1999, pp. 66-67).

Il secondo esempio è invece un sonetto di CesarePascarella (1858 – 1940), pubblicato nel 1881, dal ti-tolo “Er morto de campagna”. Fin dal XVI secolo, infat-ti, producendo le precarie condizioni di vita una mor-talità assai alta tra i frequentatori delle campagne, erastata creata in Roma dall’Arciconfraternita della Morteet Oratione una “Compagnia della morte”, che aveva ilcompito di raccogliere e dare sepoltura a questi corpiabbandonati a se stessi.

Il sonetto racconta in versi la ricerca di uno di que-sti morti attraverso la Campagna Romana, fornendocosì ulteriore conferma sia del pessimo stato e della pe-ricolosità in cui ancora negli anni successivi all’Unità siviveva nelle campagne intorno alla Capitale, sia del-l’impatto che queste condizioni avevano sull’immagina-rio collettivo:

II

[…] Quanno stamo un ber po’ fôr de le mura,Dice: - Passamo pe’ la scortatora.Ah, Nino, dico, si nun è sicura,Bada che non uscimo piú de fôra.

Ma dice, annamo, nun avé’ paura:Ce venni a caccia pe’ la Cannelora. -E annamo. Peppe mio, che fregatura!Stassimo pe’ la macchia un frego d’ora.

Sotto a le Capannelle de Marino,Trovassimo ‘na fila de carretti, Che venivano a Roma a portà’ er vino;

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E a forza de strillaje li svejassimo,Che dormivano tutti, poveretti; E lí a lo scuro je lo domannassimo.

III

Avete visto gnente un ammazzato?Dice: - Vortate giú pe’ ’ste spallette,Annate a dritta, traversate er prato;Quanno sête arrivati a le Casette,

Dommanatelo a l’oste der Curato,Che ve l’insegna. Quanto ce se mette?Dice: - Si annate a passo scellerato,Ce metterete sempre un par d’orette.

Ritornassimo addietro viciversa, Fijo de Cristo! Co’ le cianche rotte.Quanno stassimo sotto a la Traversa,

Lí, li carretti ce se slontanorno,E noi daje a girà’ tutta la notteFinché a la fine ce se fece giorno [...].

VStava incrociato là a panza per aria, Vicino a un fosso, accanto a ‘na grottaccia,Impatassato drento a la mollaccia…C’era ‘na puzza ch’appestava l’aria.

Le cornacchie e li farchi da per ariaVenivano a beccàjesse la faccia,E der pezzo de sopra de le bracciaC’era rimasto l’osso. Che barbaria!

E ne l’arzallo pe’ portallo via,Je trovassimo sotto un istrumento

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Lungo così, che mo sta in Pulizia.Poi don Ignazio disse le preghiere;E tornassimo co’ le torcie a vento,Pe’ la macchia, cantanno er Miserere.

(C. Pascarella, 1881)

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4. LE TRASFORMAZIONI NEL PAESAGGIODELLA CAMPAGNA ROMANA ALL’INIZIODEL XX SECOLO ATTRAVERSO LA STORIADI DOMENICO LANZA

4.1 LA RICERCA SUL CAMPO

La ricerca dei segni della presenza degli alvitani nel-la Campagna Romana può andare oltre le evidenze de-sunte dai registri di stato civile del Comune e le diversetestimonianze iconografiche.

La relativa vicinanza nel tempo degli eventi studia-ti ha consentito infatti di provare a sondare anche il ter-reno dei ricordi e delle memorie, ricorrendo allo stru-mento dell’intervista.

La continua sovrapposizione tra presente e passa-to, che si genera nel corso di un’intervista, rappresen-ta certo uno stimolo ad approfondire lo studio dei te-mi trattati. Spesso, infatti, si ha l’impressione, duran-te un colloquio o nel corso di una visita, di essere adun passo dallo svelare un elemento nuovo, quasi defi-nitivo per l’interpretazione dei dati raccolti, ma, inrealtà, il terreno sul quale ci si muove è piuttosto insi-dioso.

Il presente, infatti, è spesso assai ingombrante,e invece di adagiarsi sulle forme e i ricordi del pas-sato ha di frequente la tendenza a coprire e occulta-re segni e tracce originali. Il riferimento non è soloalla fedeltà dei ricordi e delle testimonianze ai fattireali, perché l’intervista non è un interrogatorio incui si deve tendere ad accertarsi, in primis, della ve-ridicità delle affermazioni o dell’attendibilità del te-stimone. Il problema, almeno per chi scrive, è statopiuttosto affinare progressivamente la sensibilitàdell’occhio che osserva e dell’orecchio che ascolta,liberandosi dei ruoli tradizionalmente assegnati allaCampagna Romana (serbatoio di vestigia classiche

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e/o patrimonio storico-ambientale da difendere dal-l’avanzata disordinata della periferia).

Problema a cui va aggiunta la necessità di tenere di-stinti i racconti e le testimonianze dei propri anziani70,che hanno raccontato altre storie, storie di guerra e dibombardamenti, di padri emigranti, operai o contadinidi città, che non si debbono sovrapporre alle testimo-nianze che si vanno a raccogliere.

Come mostrato nei paragrafi precedenti, la secon-da parte dei registri relativi agli atti di nascita contieneindicazioni precise sulle tenute in cui molti di questi la-voratori si recavano ogni anno, oltre ai dati anagrafici ealla condizione professionale di entrambi i genitori deineonati.

Questo ha permesso di individuare delle aree incui la presenza dei braccianti di Alvito era più stabile,cioè con una minore soluzione di continuità da un an-no all’altro, e allo stesso tempo, di evidenziare il lega-me di alcuni personaggi, di alcune famiglie, con la tra-dizione degli spostamenti stagionali di manodoperaverso la Campagna Romana.

Si è quindi pensato che questa presenza costante suun certo territorio avrebbe potuto contribuire a rende-re più visibile le famiglie di Alvito tra gli altri lavorato-ri, con una maggiore possibilità di rintracciarne i segnitra i documenti dei proprietari dell’epoca delle tenute otra i ricordi degli abitanti di queste zone.

Un’operazione questa che naturalmente ha mag-giori possibilità di successo se si riesce a circoscriverela ricerca ad un ambito non eccessivamente vasto,guardando poi ad un territorio in cui l’elemento nontanto agricolo-pastorale, ma almeno rurale, sia riusci-to a sopravvivere alla crescita edilizia della Capitale.Questa condizione è stata soddisfatta concentrando lapropria attenzione su alcune tenute (“Procojo Vec-chio” e “Due Casini”, in particolare) dislocate lungol’odierna via Tiberina, tra i terrazzi e la pianura allu-vionale del Tevere, a nord di Roma, ricadenti per la

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maggior parte, allora come oggi, nei confini del Co-mune di Riano.

La tenuta del Procojo Vecchio e quella in contra-da Due Casini, inoltre, appartenevano in quegli annientrambe alla famiglia Boncompagni Ludovisi. Dal1585 al 1796 i Boncompagni erano stati i signori delDucato di Sora, fino a quando, cioè, non decisero dipermutare i loro stati (oltre a Sora, anche quelli di Ar-ce, Aquino e Arpino) con altri beni, ricadenti nelloStato Pontificio (Magliocchetti, 2000). Un ulterioreelemento questo che, congiuntamente al peso avutodal Cardinale Tolomeo Gallio nelle vicende del Duca-to di Alvito, mette in luce i legami storicamente esi-stenti tra il Lazio meridionale e la Campagna Roma-na71.

Il principe Paolo Boncompagni risulta ancora oggi,all’Ufficio Tecnico del Comune di Riano, proprietariodi ciò che resta della tenuta del Procojo Vecchio, per cuiesiste la possibilità che egli conservi memoria o docu-menti pertinenti il periodo e il fenomeno in esame nel-l’archivio di famiglia72.

Allo stesso tempo, l’azienda che ormai da una ven-tina di anni è proprietaria della tenuta dei “Due Casi-ni” (l’azienda agricola “Giorgio Lanzetta”) non possiedepurtroppo documenti precedenti all’acquisto di questiterreni. Anche i colloqui con i capi-operai più anzianiche ancora lavorano nelle tenute della zona non hannofornito riscontri utili, dal momento che la loro memo-ria sembra fermarsi al massimo agli anni ’20 del Nove-cento, quando massiccio fu l’arrivo di coloni marchi-giani in diverse tenute romane.

Solamente un pastore, al pascolo sui terreni li-mitrofi alla contrada Due Casini, anch’essi una voltadi proprietà dei Boncompagni, ha ricordato per inci-so come il padre, oltre ai soliti marchigiani, gli par-lasse anche dei “ciociari”, a suo dire dediti in parti-colare alla manutenzione delle forme (canali d’irriga-zione).

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4.2 DOMENICO LANZA, MERCANTE DI CAMPAGNAE SPERIMENTATORE

Fortunatamente, maggiore successo ha avuto inve-ce la ricerca degli eredi di alcune delle famiglie di Alvi-to i cui membri ricorrevano con maggior frequenza tragli atti dei registri consultati. Si è già messo in evidenzacome anche concentrando l’attenzione sulle informa-zioni inerenti la condizione professionale di diversi in-dividui sia possibile avanzare ipotesi interessanti rispet-to al ruolo specifico giocato in queste migrazioni sta-gionali.

Tra i membri della famiglia Lanza, in particolare, siera notata la presenza di alcuni mercanti di campagna,la cui posizione differente rispetto a quella dei brac-cianti o dei contadini emerge nei registri o per l’usoesplicito di questa formula oppure perché, quando sitrovavano nella Campagna Romana, erano lì a «dirige-re i lavori».

Tali personaggi debbono essere messi in rilievoperché testimoniano la presenza di interessi economici,che andavano oltre il semplice impiego stagionale dimanodopera, rafforzando il legame tra Alvito e laCampagna Romana, probabilmente costituendo il pre-supposto perché questa relazione si mantenesse, rinno-vandosi, nel tempo. Questi uomini di “prestigio” (Piz-zuti, 1957) sono probabilmente uno dei principalitrait d’union tra Roma e Alvito, o per avere costituitouna garanzia d’impiego per i propri compaesani o peraver rappresentato un punto di riferimento, financhemotivo di orgoglio, che incoraggiava quindi ulterior-mente gli spostamenti.

La dott.ssa Maria Teresa Lanza Del Gallo, nipote diDomenico Lanza (1866-1933), è proprietaria e gestiscetuttora a Roma, insieme al marito e ai suoi figli, la te-nuta di Falcognana (lungo la via Ardeatina) e parte del-la tenuta di Tragliata (poco oltre via di Boccea), acqui-state dal nonno sul finire del XIX secolo73.

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Sebbene per la tenuta di Falcognana non esistanonei registri tracce evidenti della presenza di lavoratoriprovenienti da Alvito - Domenico Lanza continuò adusufruire dell’opera di famiglie marchigiane già inse-diate nell’area -, evidenze in senso contrario esistonoinvece, come visto, per Tragliata. In questa tenuta, apartire dalla fine del XIX secolo - in particolare tra il1891 e il 1906 - si nota la presenza di almeno un paiodi famiglie di Alvito, le quali mettono al mondo unadecina di bambini. Questa presenza, però, non puòessere, allo stato attuale della ricerca, messa diretta-mente in relazione con l’azione della famiglia Lanza,la quale acquisì questi terreni solo nel 1920.

L’incontro con la dott.ssa Lanza Del Gallo è statomolto proficuo, poiché attraverso i ricordi di suo non-no e delle parole di suo padre e suo zio, sono emersi al-tri elementi importanti:

a) la famiglia Lanza effettivamente fu particolar-mente attiva nell’acquisto delle tenute, probabilmentesostituendosi a quei proprietari che non riuscirono a so-pravvivere alla crisi che l’agricoltura conobbe tra il 1885e il 1890; infatti anche Salvatore e Francesco, cugini diDomenico Lanza, comprarono rispettivamente terreninelle tenute di Campo di Carne e dell’Acqua Acetosa74.

b) Domenico Lanza, prima di trasformarsi in pro-prietario fu affittuario, mercante di campagna, dei ter-reni di proprietà dei Boncompagni nelle tenute del Pro-cojo Vecchio e dei Due Casini. Un’informazione di va-lore notevole, sia perché conferma la diffusa abitudinedei proprietari terrieri, ancora dopo l’unità d’Italia e no-nostante gli sforzi di legislatori ed esperti a vario titolo,di non gestire direttamente le aziende, sia perché per-mette di avanzare l’ipotesi che la presenza del Lanza co-stituisca la premessa per l’arrivo degli alvitani in quellezone.

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4.2.1 DOMENICO LANZA, CAVALIERE AL MERITODEL LAVORO

Tra le informazioni che la dott.ssa Lanza Del Gal-lo ha fornito è comparso anche il ricordo di un’onori-ficenza concessa al nonno in seguito all’introduzionedell’uso di alcune macchine agricole nella lavorazionedei terreni. L’attrezzatura in questione era costituita dadue macchine Fowler, potentissimi ed enormi macchi-nari a vapore, utilizzate per dissodare i terreni agli ini-zi del XX secolo, con risultati rilevanti per la produtti-vità delle aziende a partire dalla seconda metà degli an-ni Venti.

Questa notizia non solo ha consentito di rinveniretutta una serie di importanti riscontri documentari aquanto raccontato dalla nipote di Domenico Lanza,ma ha permesso di aggiungere particolari rilevanti sul-l’attività di questo personaggio, utili per la valutazionedegli effetti che le sue intuizioni ebbero nel modificareassetti produttivi e paesaggio di buona parte dellaCampagna Romana a partire dal 1913.

Dopo alcuni preliminari contatti con gli UfficiOnorificenze del Quirinale, della Presidenza del Consi-glio dei Ministri e del Ministero dell’Industria, si è avu-to accesso all’archivio storico della Federazione Nazio-nale dei Cavalieri del Lavoro.

La Federazione costituita nel 1923, eretta ad entemorale nel 1925, raccoglie e conserva le notizie biogra-fiche relative all’Ordine del merito del lavoro. L’istitu-zione dell’Ordine cavalleresco al merito agrario, indu-striale e commerciale risale al 1901, mentre l’archiviostorico fu fondato nel 1926 (Salpietro, 2000).

Presso l’archivio esiste un fascicolo per ognuna del-le persone, defunte o in vita, insignite di tale onorifi-cenza, e, tra questi, quello relativo a Domenico Lanza,nominato Cavaliere con decreto del 2 luglio 1914, invirtù dell’azione svolta nella veste di “bonificatore diterreni”.

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La cartella in questione si compone di 4 documen-ti: una scheda biografica in cui sono riassunti gli estre-mi dell’insignito, quelli del decreto di nomina e le mo-tivazioni per il “Ramo di agricoltura, industria o com-mercio nel quale si è particolarmente segnalato”. A que-sta scheda sono allegati 3 documenti, in forma di ap-punti dattiloscritti, contenenti rispettivamente “Notiziedesunte dagli atti del Ministero dell’Economia Nazio-nale”, “Notizie inviate dalla famiglia nel gennaio 1930”e “Appunti sulla bonifica eseguita”, redatti nel dicembredel 1929.

Il primo allegato è importante perché rimandaalla fonte originale di emanazione del decreto, for-nendo, in maniera però piuttosto succinta, una se-rie di prime conferme alle informazioni possedute:l’acquisto della tenuta di Falcognana Vecchia, larealizzazione di diverse opere di miglioria (infra-strutturali e colturali), e il dissodamento di 60 et-tari di terreno con un’aratura meccanica.

Assai più particolareggiato è il contenuto degli al-tri due allegati, attraverso i quali è possibile quindi ri-costruire l’azione di Domenico Lanza nella triplice ve-ste di imprenditore, bonificatore e sperimentatore.Azione alla luce della quale Lanza si staglia come unafigura di primo piano nel processo di modellamento emodificazione che il territorio intorno a Roma conob-be a ridosso della Prima Guerra Mondiale, tanto neisuoi assetti produttivi quanto nei suoi aspetti esteriori.

4.2.2 DOMENICO LANZA IMPRENDITORE

Domenico Lanza, figlio di Michele, «sapiente mamoderato agricoltore, e che esercitava una semina limita-ta con capitali limitati» (cfr. A.F.C.L., Notizie inviate dal-la famiglia, p. 2), conseguito il diploma di perito agrariosi impegnò, insieme al fratello Fortunato (morto nel1903), nella conduzione della tenuta di Riano e Ripalta.

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Da un documento messo a disposizione dalla fami-glia, si evince che l’attività dei Lanza in quest’area, cheinizialmente si svolgeva anche nella tenuta del ProcojoVecchio, cominciò con l’affitto dei terreni dei principiBoncompagni nel 1881, e proseguì, ininterrottamente,fino al 1917.

Esiste, quindi, una coincidenza di tempi e luoghicon la presenza di alcune famiglie di alvitani nelle te-nute di quest’area. Infatti, i primi bambini nati da ge-nitori di Alvito vengono alla luce proprio nel 1881, se-guiti poi da altre 47 nascite, fino al 1914.

Questa funzione catalizzatrice di manodopera dallapropria terra di origine non è, in verità, tra i tratti mag-giormente caratterizzanti la vita del Lanza nella Campa-gna Romana. Questi, infatti, non sembra avere impiegatomai quote particolarmente rilevanti di compaesani nelleproprie tenute, assumendo spesso alle proprie dipendenzecoloro che già lavoravano nei terreni via via acquisiti.

Tuttavia, a testimonianza sia della tradizione mi-gratoria esistente dalla Valle di Comino verso la provin-cia di Roma, sia del ruolo da protagonista che poi i Lan-za assumeranno in questo contesto, deve essere fattauna menzione relativa ad una società, costituita il 4 ago-sto 1861 in Alvito.

La fonte è ancora il documento fornito dalla fami-glia Lanza, dalle cui pagine si apprende che Felice Lan-za, nonno di Domenico, in tale data, diede vita ad unasocietà con i suoi due figli Michele e Angelo Maria, ri-spettivamente padre e zio di Domenico Lanza, che tra isuoi compiti principali si riservava quello di attenderealla «conduzione di operai a lavorare in campagna ro-mana ed effettuare semente per proprio conto» (Docu-mento Famiglia Lanza75, p. 1).

I nipoti di Felice, in particolare, si adopererannoper mettere in pratica soprattutto la seconda parte diquesto proposito, impegnandosi cioè nello sviluppo diun’attività agricola indipendente nella Campagna Ro-mana.

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L’azione dei fratelli Lanza nell’area di Riano è, in-fatti, piuttosto decisa, anche se i diversi interventi «fu-rono compiuti in modo da servire convenientementeall’uso cui sono destinati, con spesa limitata, prove-niente dalla necessità di dover il Lanza ammortizzare ilcapitale in un tempo ristretto alla durata dell’affitto»(A.F.C.L., id., p. 6).

L’autore di queste note, che sebbene assai lusin-ghiere nei confronti del Lanza non sembrano avere ca-rattere meramente agiografico, riporta quindi una la-mentela molto diffusa tra gli affittuari dei terreni inquell’epoca. I mercanti di campagna, difatti, erano soli-ti astenersi dall’effettuare consistenti investimenti permigliorare la produttività dei terreni, non avendo la cer-tezza di poter godere dei benefici ricavati entro il perio-do di durata dell’affitto, spesso insufficiente ad ammor-tizzare l’esborso sostenuto.

Nel caso di Domenico Lanza, però, questa non ap-pare come una sterile dichiarazione di intenti, poichéegli si adopera fino ad ottenere nel dicembre del 1906da D. Ignazio Boncompagni, principe di Venosa, Sena-tore del Regno, la tenuta di Falcognana Vecchia in en-fiteusi perpetua.

L’atto, del quale è stata richiesta e ottenuta copiapresso l’Archivio Distrettuale Notarile di Roma, vennestipulato presso il notaio Tito Firrao, e contiene alcuneinformazioni degne di nota. Innanzitutto vengono fissa-ti i confini e quantificata la superficie (poco meno di900 ettari) della tenuta; inoltre, viene fissato il canoneannuo, pari a L. 21.650, da pagarsi in 4 rate trimestrali.

Ma, senza dubbio, le informazioni più rilevanti so-no quelle che permettono di fare luce sui processi tra-mite i quali si realizzò progressivamente il trasferimen-to della proprietà nobiliare ad imprenditori di estrazio-ne contadina, prima ancora che borghese, quali era Do-menico Lanza.

Dagli atti in questione, innanzitutto, si desumonole ragioni che probabilmente avevano indotto Ignazio

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Boncompagni a capitalizzare il possesso di questa tenu-ta. Su questa proprietà gravava, infatti, un’ipoteca diben £ 210.000 a favore della Cassa di Risparmio di Ro-ma, a fronte di un debito di conto corrente contrattodal principe nei confronti della stessa Cassa pari a £182.000.

Tale ipoteca rimaneva totalmente a carico del Bon-compagni, anche in caso di acquisto definitivo da partedi Lanza della proprietà, e quindi non rappresentò unostacolo per la stipula del contratto. Tuttavia questo ele-mento permette quantomeno di farsi un’idea sulla si-tuazione in cui versavano verosimilmente diverse fami-glie nobiliari76.

Un ulteriore elemento utile a chiarire tali dinami-che è rappresentato dal diritto di affrancazione, ricono-sciuto all’enfiteuta nell’accordo contratto. Se è vero in-fatti che Domenico Lanza si impegnò, fornendo la pro-pria parola, a non esercitare questo diritto, tale possibi-lità è però prevista dal contratto in essere, dove il costodell’affrancazione viene fissato nell’entità del canoneannuo, aumentato di un 4% di interesse per ogni annodi usufrutto. Condizioni che possono essere considera-te favorevoli, poiché, tenendo conto del valore assegna-to alla tenuta sulla base dell’ipoteca esistente, Domeni-co Lanza ebbe così la possibilità di acquistare definiti-vamente questi terreni a poco più di un decimo del lo-ro valore.

Una possibilità di cui questi certamente approfittòcon il passare del tempo, dal momento che i suoi eredisono ancora oggi gli effettivi proprietari di queste azien-de.

Nei documenti dell’archivio storico e della fami-glia vengono poi nominati la costituzione della So-cietà del Foro Appio nel 1898 (per la gestione dell’o-monima tenuta di proprietà del Marchese Ferrajoli),la fondazione della Società Anonima per Azioni Ca-palbio (1908) - di cui Lanza fu anche presidente -per la conduzione di questa estesissima tenuta in To-

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scana, l’acquisto nel 1917 di parte della tenuta diFrattocchie e, nel 1920, della tenuta Tragliata.

Senza dimenticare, inoltre, che dal 1927, anno incui venne notificato il decreto di bonifica obbligato-ria per la tenuta di Falcognana, al 1929, furono rea-lizzati ulteriori 28 interventi in tale proprietà, tra iquali, costruzione di centri agricoli (Divino Amore,Frattocchie, Quarto dei Preti), dotazione di acqua po-tabile, costruzione di stalle, fienili e silos (riserva diMontelungo e riserva dell’Ara) e realizzazione di stra-de interne di comunicazione fra i vari centri.

Una vitalità notevole, già da sé sufficiente a rita-gliarsi un ruolo da protagonista nell’epoca in cui il cav.Lanza visse e operò. Tuttavia questa attività imprendi-toriale si esplica anche attraverso un’azione di innova-zione produttiva e trasformazione del territorio checonsegnano Domenico Lanza alla storia della Campa-gna Romana.

4.2.3 DOMENICO LANZA BONIFICATORE E SPERI-MENTATORE

L’operato di Domenico Lanza si vuole impronta-to, fin dall’inizio, da un convincimento piuttosto bendefinito: «Non v’ha debolezza maggiore che si possaaffliggere ad un paese, che distruggere la classe deicontadini. Il Lanza sapeva di questo male, e cercò diporvi riparo, provvedendo ad abitazioni per il perso-nale dell’azienda, costruite in modo decente e solida-mente» (A.F.C.L., “Notizie inviate...”, p. 5). Quelladella costruzione di abitazioni stabili per pastori eoperai agricoli è in effetti un elemento che ricorre nel-la gestione delle aziende di Lanza. E già in questo de-ve essere letto un forte elemento di rottura con il pas-sato, dove le abitazioni tendevano ad essere effimere e,comunque, assai raramente i ripari venivano offertidai conduttori delle aziende. Per altro, questo aspetto

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può servire a spiegare la continuità della presenza difamiglie alvitane nelle tenute di Riano, le quali, per-ciò, poterono usufruire di condizioni di alloggio diuna certa qualità, probabilmente fin dai primi annidel loro arrivo. Allo stesso modo, quindi, l’assenza dinuclei alvitani nella tenuta di Falcognana può esserevista come la conseguenza della sistemazione che Lan-za riuscì a garantire agli operai marchigiani che giàerano attivi in loco.

Queste strutture abitative oggi non esistono più,oppure sono andate incontro ad un’importante ricon-versione funzionale che ben poco ha lasciato in piedidei manufatti originari. Senza dubbio, però, il loroemergere segnò il paesaggio di una parte della Campa-gna Romana di quel periodo.

Ma Lanza non si limitò alla costruzione di questeabitazioni, realizzando nella sola tenuta di Riano granaiper 6.000 quintali di cereali, magazzini per macchineagricole, ponti in armatura e stalle per buoi.

Tra gli interventi capaci di produrre effetti duratu-ri nel corso del tempo, vanno sicuramente annoveratila manutenzione degli argini del Tevere e la costruzio-ne di paratoie nei fossi, oltre alla creazione di «fossi discolo che resero in molti punti, la tenuta da acquitri-nosa asciutta» (id., p. 5). Inoltre, un’attività sembraavere avuto nel tempo particolare fortuna, quella del-l’allevamento equino. Già all’epoca infatti i prodotti diquesto allevamento erano acquistati «dalle varie com-missioni di rimonta per il Regio Esercito» (id., p. 6), e,tutt’ora, lungo la via Tiberina si scorgono almeno unpaio di aziende operanti in questo settore.

Ma la decisione che valse a Domenico Lanza l’ono-rificenza e gli onori delle cronache (Strampelli, 1913), fuquella di tentare di dissodare in profondità i terreni del-la tenuta di Falcognana, per aumentarne la produttività,passando da uno sfruttamento estensivo dei terreni (de-stinati essenzialmente al pascolo) ad uno intensivo, de-dicandosi così alla coltivazione di prodotti più redditizi.

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Per addivenire a questo scopo, era necessario posse-dere all’epoca un aratro dalle caratteristiche idonee adincidere il cosiddetto “Cappellaccio”, un terreno tufa-ceo assai resistente ai tradizionali metodi di aratura ediffuso in larga parte dei terreni agricoli della Capitale.Dopo aver fatto alcuni tentativi con ditte locali, Lanzasi rivolse alla ditta Fowler che, non solo fornì due loco-mobili a vapore del peso di 19 tonnellate ciascuna, masi impegnò nella realizzazione di un aratro di 45 quin-tali di peso, con un bilanciere monovomere lungo 8metri.

In circa un mese di lavoro, tra l’aprile e il maggiodel 1913, furono così dissodati circa 60 ettari (ad unaprofondità tra i 70 e gli 80 cm), sui quali Lanza poté av-viare in via sperimentale la coltivazione di «Orzo, Cro-cetta o Lupinella, Sulla, Erba Medica e Trifoglio Ales-sandrino»77.

Fig. 4.1 - Il vomere dell’aratro prodotto dalla Flowere il solco inciso dallo stesso nel terreno,

da “La Nuova Agricoltura nel Lazio”, 1913

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Fig. 4.2 - a) L’aratro meccanico a lavoro nella tenuta Falcognana Vecchiab) La “locomobile a vapore” e l’aratro nella tenuta Falcognana Vecchia

(aprile-maggio 1913), da “La Nuova Agricoltura nel Lazio”, 1913

Questo evento riveste un’importanza notevole damolteplici punti di vista:

– innanzitutto, è uno dei primi esempi concreti diquell’agricoltura capitalistica che tanto era stata latitan-te nelle plaghe dove il latifondo era dominatore incon-trastato. Si assiste infatti ad un investimento, con uncerto margine di rischio, per introdurre un’innovazionedi processo tesa a modificare sostanzialmente l’assettoproduttivo vigente;

– l’impiego di questi macchinari, inoltre, comportòcosti per ettaro e tempi di lavoro notevolmente inferio-ri a quelli necessari con i metodi consueti di aratura.Questo risparmio rese così successivamente possibile

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destinare quote di capitale umano e finanziario verso al-tre attività e investimenti. Inizialmente, comunque, so-lo porzioni delle tenute furono lavorate con questo si-stema, contenendo quindi quel processo di espulsionedi manodopera agricola che diverrà consistente, invece,nel corso degli anni Trenta;

– la ditta Fowler, infine, operò per Domenico Lan-za con tariffe scontate, perché il suo obiettivo era anchequello di fornire un «primo saggio destinato a far cono-scere il sistema» e a conquistare quindi nuove quote dimercato78. Tanto è vero che «la casa Fowler trovandosicon il suo apparecchio in Agro Romano passò a fare loscasso in varie altre tenute e le richieste furono così nu-merose che altre ditte sorsero per l’esecuzione dei me-desimi. In seguito a tale iniziativa, la bonifica della cam-pagna romana in terreni a sottosuolo di cappellaccio staraggiungendo i più grandi risultati. Migliaia di ettari so-no stati già scassati e si coltivano a cereali, vigneto, frut-teti, orti, erbai, medicai, barbabietole» (A.F.C.L., “Ap-punti sulla bonifica eseguita”, pp. 3-4).

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale rallentòla diffusione dei benefici derivanti dall’impiego di que-ste nuove tecniche di lavorazione (durante il conflitto,tali macchinari vennero requisiti al Lanza «per il trainodei prezzi di artiglieria al fronte» e «soltanto alla finedella guerra poté acquistare una coppia delle macchineFowler come residuati di guerra», D.F.L., p. 4). Tutta-via, i sensibili effetti derivanti dall’applicazione di que-sti nuovi metodi di dissodamento dei terreni, che di-vennero evidenti tra gli anni Venti e gli anni Trenta(Guerreri, 1991), consentono di riconoscere nell’azionedi questo imprenditore di Alvito i prodromi di unaconsistente trasformazione del paesaggio delle campa-gne intorno a Roma.

Un’azione modellatrice del territorio che diventaparticolarmente visibile nell’appoderamento realizzatointernamente alla tenuta Falcognana: «La Tenuta si stadividendo in appezzamenti regolari di 30 ettari l’uno

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(quelli ai confini più piccoli e irregolari); essi sono cir-coscritti da siepe viva. Ogni appezzamento si sta divi-dendo in altre quattro di sette ettari e mezzo l’uno me-diante linee marcate da filari di olivi distanti metri 25fra loro; ed ogni appezzamento di 7 ettari e mezzo si stasuddividendo in altre più piccole di ettari uno are 87 emezzo, con filari di mandorli anch’essi a distanza di 25metri fra loro». Un’opera questa funzionale ad una piùrazionale distribuzione delle diverse colture, tesa ad ot-timizzare quindi lo sfruttamento dei terreni, ma realiz-zata anche nell’ottica di sperimentare nuovi prodotti enuove varietà. Ulteriori elementi di novità vengonoquindi introdotti nella tradizionale immagine dellaCampagna Romana.

Fig. 4.3 - Particolare dei lavori di dissodamento per mezzo di macchine agricolenella tenuta Falcognana Vecchia, da la “Rivista Agricola Romana”, 1913

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CONCLUSIONI

LA RICERCA NEL SUO DIVENIRE

La conoscenza diretta di un territorio è un elemen-to fondamentale nella fase di avvio di una ricerca comequesta svolta. Tale studio ha infatti preso le sue mossepartendo da un substrato di tradizioni, ricordi e memo-rie proprie del vissuto di famiglie e comunità radicate inquest’area del Lazio meridionale.

Queste premesse scaturiscono dal forte legame chei geografi dell’Università di Cassino, con la sapienteguida della Prof.ssa Gabriella Arena, hanno stabilitocon questo territorio attraverso anni di ricerca sulle di-verse realtà locali, tanto con analisi riguardanti gli svi-luppi degli assetti più recenti quanto, ancor di più,adottando sovente una prospettiva storico-geograficanegli studi compiuti.

Il presente lavoro aspira, quindi, ad inserirsi in que-sto solco già tracciato, definendo un metodo e fornen-do evidenze che testimoniano e chiariscono i legami delLazio meridionale con la Campagna Romana, a cavallotra il XIX e il XX secolo.

Il dato per il quale si è andati inizialmente alla ri-cerca di riscontri è rappresentato dalla presenza di lavo-ratori stagionali provenienti da alcuni paesi della pro-vincia Terra di Lavoro nelle tenute intorno a Roma.

Una prima conferma del forte impatto che questepersone hanno avuto nel caratterizzare l’immagine ru-rale della novella capitale d’Italia, e prima ancora del-la capitale dello Stato Pontificio, è arrivata dalle fontiiconografiche e letterarie. In particolare, alcuni dipin-ti sono in grado di documentare tempi e modi di que-sta attività lavorativa compiuta da stagionali, verosi-milmente provenienti dal Lazio meridionale, a cuispesso, per estensione, veniva attribuito l’appellativodi “ciociari”.

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Sebbene i segni di questa presenza siano stati iden-tificati da studi di carattere storico-artistico ed etnogra-fico e/o antropologico, compiuti negli anni su questeopere da esperti e appassionati di storia locale, appareevidente come si avesse bisogno di elementi in grado dicaratterizzare, sia quantitativamente che qualitativa-mente, l’apporto che questi uomini (in prevalenza) edonne poterono dare alla trasformazione del territoriointorno a Roma.

Il flusso di lavoratori provenienti dai comuni dellaantica provincia di Caserta fu meno consistente rispet-to a quelli provenienti da altre regioni, in particolaredalle Marche e dall’Abruzzo. Tuttavia, alcuni di questicentri si segnalavano per la continuità della loro pre-senza: il comune di Alvito, in particolare, coerentemen-te con le informazioni localmente desunte, aveva vistoemigrare, nei diversi anni, mediamente circa il 10% deipropri abitanti.

Quindi, mutuando dalla demografia storica l’inte-resse per lo studio dei registri di stato civile nella cono-scenza delle migrazioni stagionali periodiche - più cor-rettamente definite migrazioni circolari -, si è procedu-to all’analisi degli atti di matrimonio e di nascita degliabitanti di Alvito.

Lo studio sistematico di questi atti lungo un inter-vallo cronologico di tale ampiezza (1871-1936) ha per-messo innanzitutto di riconoscere e valutare elementi didiscontinuità nell’evoluzione del fenomeno, interna-mente alla comunità alvitana, messi poi a confrontocon eventi macroscopici che storicamente hanno avutoun impatto notevole sulla società italiana (eventi bellicied emigrazione all’estero).

Allo stesso tempo, è stato possibile segnalare glieffetti prodotti da questi movimenti in seno alla po-polazione di Alvito, come l’importanza della donna eil presumibile peso che i proventi di tali attività sta-gionali avevano nel determinare i livelli di reddito e,quindi, nell’influenzare l’economia locale. Inoltre, è

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emersa la mancanza di una specializzazione funziona-le di questi lavoratori nella Campagna Romana (carat-teristica propria di altri gruppi regionali), alla qualeperò fa riscontro la partecipazione a questi movimen-ti di elementi appartenenti alla sfera dell’imprendito-ria locale.

Pur nella consapevolezza di alcuni limiti intrinsecial tipo di fonte prevalentemente utilizzato, il quadrodelle migrazioni circolari sopra descritto può però esse-re considerato una ricostruzione fedele dei trend in at-to tra il Lazio meridionale e la Campagna Romana peril periodo studiato, in virtù anche dei riscontri emersidalle sporadiche rilevazioni istituzionali, dalle testimo-nianze degli eredi di alcuni protagonisti di questi movi-menti e dalla ulteriore documentazione d’archivio rin-tracciata.

D’altronde, la rilevanza geografica dei temi trattatinon si esaurisce nella ricostruzione della periodicità de-gli spostamenti stagionali, ma trae vigore dalla messa inluce delle dinamiche che prelusero alla modifica degliassetti proprietari e produttivi e alla conseguente evolu-zione del paesaggio caratteristico delle campagne intor-no a Roma.

Solamente lo studio critico di fonti diverse e l’in-terpretazione diacronica delle informazioni desuntecon l’ausilio della cartografia informatizzata hannoquindi permesso di cogliere nel dipanarsi stagionale deiflussi di manodopera la presenza di imprenditori cheebbero i mezzi e la determinazione per approfittare del-la crisi del tessuto socioeconomico romano ed ergersi aprotagonisti dei successivi cambiamenti.

La ricerca infatti si è impegnata su due fronti, ba-dando a localizzare, nell’ampio bacino d’immigrazionerappresentato dalla Campagna Romana, le aree in cuigli alvitani tendevano a concentrarsi, ma cercandougualmente di decifrare l’azione e il ruolo che gli im-prenditori di Alvito si erano ritagliati nel contesto inevoluzione della realtà agricola romana.

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Con lo studio della seconda parte dei registricontenenti gli atti di nascita, e attraverso la loro rap-presentazione diacronica sulla versione digitalizzatadella Carta dell’Agro Romano dello Spinetti, è statodefinito un metodo per discriminare e localizzare idifferenti flussi, anche a livello di singole e piccolecomunità, verso la Campagna Romana.

L’indagine biografica avviata, invece, per quel checoncerne l’attività di uno di questi mercanti di campa-gna originari di Alvito, Domenico Lanza, ha permessodi rilevare l’importanza che questi ebbe nel porre le ba-si per una considerevole trasformazione degli assettiproduttivi, con ovvi riflessi sul paesaggio della Campa-gna Romana.

Con spirito di intraprendenza, che aveva evidente-mente trovato terreno fertile già in Alvito (è lì che iLanza danno vita alla prima società per trasferire perso-ne ed avviare attività nella Campagna Romana già nel1861), si assiste così alla trasformazione di DomenicoLanza da affittuario dei principi Boncompagni ad ac-quirente di proprietà dalla stessa famiglia.

Un’evoluzione personale che si articola e si intrec-cia con le dinamiche interne alle modificazioni che laproprietà terriera tradizionale conosce a partire dal1870, diventando però a partire dal 1913 un fattore en-dogeno di trasformazione assai forte. Acquisita, infatti,la titolarità dei terreni su cui lavorare, Domenico Lanzasi cimenta nell’introduzione di innovazioni di prodottoe, soprattutto, di processo, che appaiono assai rilevanti.

Da un lato, perché queste modificazioni avvengo-no, inizialmente, in un’area al di fuori dei provvedi-menti di bonifica dettati dalla legge, e quindi sono ini-ziative frutto di valutazioni personali in merito alla pos-sibilità di ottimizzare lo sfruttamento di questi terreni.

Dall’altro lato, perché l’applicazione, per la primavolta in assoluto nella Campagna Romana, di partico-lari tecniche meccaniche di dissodamento, consentirànel medio periodo, complice l’intervallo forzoso della

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Prima Guerra Mondiale, di avviare il passaggio dallostorico sfruttamento estensivo della Campagna Roma-na (essendo quello intensivo limitato ad una fascia a ri-dosso dell’abitato di Roma) ad una agricoltura intensi-va, con maggiore investimento di capitali, minore im-piego di manodopera e più ampi margini di profitto.

Una trasformazione radicale del paesaggio ruraleromano, per l’emergere di nuove strutture e manufatti,per la progressiva scomparsa delle masse di stagionali alavoro nei campi, per la rivoluzione colturale e il diver-so appoderamento dei terreni che questa comporta.

PROSPETTIVE DI RICERCA

Una parte consistente di questo studio è stata con-dotta cercando di acquisire esperienza nella gestione diun metodo utile alla conoscenza delle migrazioni circo-lari, immaginandone le possibili ulteriori applicazioninelle analisi geografiche.

È quindi nella natura stessa di questa ricerca l’in-tenzione di aprire, con l’esame dei documenti condot-to, ulteriori campi di approfondimento relativamentetanto all’impatto di fenomeni di migrazioni stagionalisu un dato territorio, quanto al divenire delle modifica-zioni del paesaggio della Campagna Romana.

Per quel che attiene il metodo di studio basato suidati contenuti nei registri di stato civile, si ritiene diaver posto le condizioni per avviare rilevazioni sistema-tiche tese sia ad affinare ulteriormente il metodo sia avalutare la rilevanza di tali fenomeni internamente allesingole comunità.

Esiste certamente la consapevolezza che alla con-sultazione di questi registri, in genere, si procede perperiodi antecedenti a quello preso in esame, quandoquesti dati servono a colmare ampie lacune, che altri-menti renderebbero difficile ricostruire il profilo demo-grafico di alcune popolazioni. Tuttavia, in una prospet-

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tiva geografica di studio di questi movimenti, i registri,secondo almeno la struttura che hanno assunto a parti-re dal 1874, contengono i dati per abbozzare delle ru-dimentali matrici origine/destinazione, da leggere ov-viamente in chiave qualitativa più che quantitativa.

In questo modo, quindi, si spera di poter un gior-no procedere con questo tipo di studio all’interno delcomprensorio costituito dalla Valle di Comino, per di-stinguere il contributo dei diversi comuni a questi spo-stamenti, ridimensionando o confermando la “supre-mazia” assegnata in questo contesto ad Alvito79.

Altrettanto interessante sarebbe poi calare lo stessometodo in altre aree in cui queste migrazioni erano al-trettanto importanti, come la zona delle risaie nell’Italiasettentrionale o quella del Tavoliere delle Puglie nelMezzogiorno. Alla luce delle rilevazioni compiute, fer-ma restando la complessità del fenomeno in virtù deicontributi delle singole comunità e delle specificità lo-cali su cui questi circuiti si attivavano, si potrebbe arri-vare alla definizione di un modello, alla stregua diquanto già compiuto per altre aree, come nel caso delmodello alpino di migrazione periodica.

Nell’immediato, inoltre, esistono ancora una seriedi argomenti da affrontare per dipanare i legami tra ilLazio meridionale e la Campagna Romana.

La questione del ruolo che, ad esempio, esercitaro-no alcune nobili casate nell’instaurare e mantenere que-sti rapporti è stata poco più che accennata nel corso del-la presente ricerca. Sono state però fornite evidenze ri-guardo al persistere di queste relazioni, anche in un’e-poca in cui queste famiglie si erano affrancate dalle areedi tradizionale presenza, come appunto rivelano i diver-si contatti tra i Boncompagni-Ludovisi e DomenicoLanza. Lo studio dell’archivio Boncompagni dovrebbe,quindi, poter fornire elementi utili a chiarire ulterior-mente le modalità con cui questi rapporti si allacciaro-no e proseguirono poi nel tempo, ovvero riguardo l’im-piego di manodopera stagionale nelle proprietà di que-

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sta famiglia, soprattutto per il periodo precedente al1870.

In questo contesto, anche l’Archivio Notarile Di-strettuale di Roma è probabilmente una fonte docu-mentale con potenzialità notevoli, alla quale si è appe-na iniziato ad attingere.

Inoltre, si ritiene che un campo particolarmentestimolante sia quello della ricerca di materiale icono-grafico, in grado di testimoniare le progressive trasfor-mazioni subite dal paesaggio romano alla luce delle di-namiche descritte. La relativa vicinanza nel tempo ren-de abbastanza alta la possibilità che esista una buonadocumentazione fotografica per le diverse fasi di questimutamenti, che certo assumerebbero maggiore consi-stenza attraverso uno studio più approfondito anche deldato iconografico.

Proiettando poi la propria attenzione sulla storiapiù recente dell’espansione di Roma, la lettura di questilegami e delle diverse trasformazioni avutesi nel territo-rio intorno a Roma apre un settore d’indagine estrema-mente fertile. Le proprietà di cui si è discusso in questasede hanno infatti subito destini diversi con il passaredegli anni, alcune conservando la propria vocazione ru-rale, o mantenendo la connotazione agricola o riciclan-dosi in settori quali quello dell’agriturismo, altre invecesono state oggetto della speculazione edilizia.

Questa differente evoluzione rappresenta un fatto-re decisivo nella definizione del poliedrico e complessopaesaggio che contraddistingue ancora oggi l’immaginedel più grande, per estensione superficiale, Comuned’Europa.

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NOTE

1 I giudizi su modi e stili di vita dei braccianti e dei contadini av-ventizi erano sempre negativi, anche in virtù delle oggettivamente miser-rime condizioni in cui lavoravano e vivevano per la durata del loro sog-giorno nella Campagna (Pareto, 1875; Sombart, 1891; Celli, 1927); tut-tavia, generalmente, quando la descrizione scende nel dettaglio delle sin-gole comunità regionali, se per altri gruppi si dà soprattutto notizia dellaparticolare perizia nell’espletare alcune precise mansioni, sui “ciociari” ef-fettivamente si tende a dare più un giudizio di valore che di merito (To-massetti, 1979).

2 La scelta di porre tra virgolette il termine ciociari dipende dallaconsapevolezza che la Ciociaria geograficamente intesa, anche nella suaversione più ampia, arriva solamente a lambire i margini della Valle di Co-mino (fig. 1.1, Scotoni, 1977). Tuttavia, la vicinanza, non solo fisica (San-tulli, 2002), tra le due aree è tale da indurre a pensare che all’osservatoreesterno la provenienza di un abitante di Alvito da un’area solo limitrofa aquella oggi definibile come Ciociaria potesse sfuggire. Per questo motivo,quando, soprattutto nei testi dell’epoca, si è incontrato il termine lo si ècomunque interpretato nel senso lato, in mancanza di indicazioni ulterio-ri (Muratori, 1907), come un riferimento cioè ad un individuo prove-niente dalle aree interne dell’attuale Lazio meridionale.

3 Da un punto di vista meramente quantitativo, infatti, la compo-nente “ciociara”, e più in generale gli arrivi dal Lazio meridionale, non rap-presentano le quote più rilevanti di lavoratori stagionali presenti a Romanelle diverse stagioni (M.A.I.C., 1907, 1914b). Tuttavia, costumi e tradi-zioni provenienti da quest’area furono fortemente ripresi, e quindi divul-gati, da coloro che all’epoca maggiormente si dilettavano ed erano impe-gnati nell’osservazione della Campagna Romana. Per questo sembrano esi-stere dei margini di discussione sufficienti per aprire un dibattito e auspi-care un approfondimento su quanto quindi i diversi elementi regionali ab-biano inciso nel restituire e condizionare la costruzione di un’immaginecomplessiva della Campagna Romana.

4 Sulla base dei dati relativi alla popolazione classificata per profes-sioni nel censimento del 1861, è possibile affermare che oltre la metà del-la popolazione italiana (circa 14 milioni e 400 mila persone) «è costitui-ta dalle famiglie di campagnuoli, mandriani, pastori, boscaiuoli, ecc.»(Statistica del Regno d’Italia, 1865, p. XIX). Non dimenticando di con-siderare, inoltre, che al 31 dicembre 1871 la popolazione rurale era sti-mata intorno al 68,7%, mentre quella urbana superava, di contro, appe-na il 30%.

5 «A lungo quindi si gioca la partita tra i sostenitori del controllo deiflussi migratori al fine di disincentivare l’emorragia di forze valide da unaparte, e dall’altra i fautori dell’emigrazione, attenti alla dinamica econo-mico-sociale impressa dal trasferimento altrove di masse soprattutto agri-cole, le più esposte alle crisi economiche. L’eloquenza dei numeri può ser-vire indifferentemente agli uni e agli altri.» (Marucco, 2001, p. 62).

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6 In ambito scientifico l’attenzione per le migrazioni interne andavacomunque crescendo, in virtù dell’importanza che esse assumevano nei di-versi Stati con il progressivo aumento della popolazione urbana a scapitodi quella rurale. Tuttavia, nel complesso, questi movimenti erano ancorapoco studiati e le migrazioni periodiche erano ulteriormente trascurate(Sitta, 1894).

7 Con un ritmo che sembra essere ulteriormente rallentato nellaCampagna Romana (Mercurio, 1996).

8 «La raccolta del grano sul Tavoliere delle Puglie attira lavoratoridalle aree e dalle regioni vicine e lo stesso avviene nell’Agro Romano e nel-le risaie piemontesi» (Sanfilippo, 2001, p. 87). E intensi movimenti sta-gionali si svolgevano lungo tutto l’arco alpino e appenninico, dalle localitàmontane verso il vicino fondovalle e pianure (Del Panta, 1996).

9 Accanto alla maggiormente citata inchiesta dello Jacini, occorre an-che ricordare i lavori della “Commissione d’inchiesta parlamentare per ac-certare le condizioni dei lavoratori della terra nelle provincie meridionali ein Sicilia, i loro rapporti coi proprietari e specialmente la natura dei pattiagrari” istituita nel 1906 (Prampolini, 1981).

10 «Nella nuova fase delle indagini economico-sociali, emergevanotra le istituzioni di ricerca gli Uffici del lavoro, enti pubblici, la cui orga-nizzazione, sul finire del secolo XIX e nei primi anni del XX, era stretta-mente legata nei paesi capitalistici sviluppati all’avvio da parte dello statodella legislazione sociale a favore delle classi lavoratrici. […] In Italia, l’Uf-ficio del lavoro veniva istituito con apposita legge nel 1902, presso il Mi-nistero d’agricoltura-industria e commercio, e poteva iniziare solo nel1904 la propria attività d’inchiesta sotto la direzione di Giovanni Monte-martini» (Prampolini, 1981, p. 28).

11 «Il tipo di emigrazione più caratteristico del periodo [età preindu-striale in Europa] era la cosiddetta emigrazione circolare, cioè quel tipo dispostamento perlopiù stagionale di lavoratori che, in relazione all’attivitàesercitata, si assentavano ogni anno da casa per un determinato periodo ditempo. […] Una forma di emigrazione circolare molto comune era quel-la legata ai lavori agricoli.» (Breschi, Fornasin, 2000, p. 68).

12 «… nella Campagna Romana, ove è più facile trovare uomini sen-za casa che case senza uomini» (Cervesato, 1910, p. 56).

13 Esisteva infatti la consapevolezza che «nei paesi di montagna l’e-migrazione temporanea, soprattutto nel passato, mostrava la tendenza adassumere i caratteri di un fenomeno regolarmente periodico, stagionale[…].» (Migliorini, 1962, pp. 375).

14 E questo nonostante l’idea che «conservano invece più stretti le-gami colle condizioni geografiche e un ritmo regolare, dato che gli spo-stamenti avvengono alla medesima epoca dagli stessi villaggi verso le me-desime zone, in modo simile a quanto accade per la transumanza, quellemigrazioni stagionali che sono determinate da particolari esigenze del la-voro agricolo, che spinge allo spostamento di lavoratori, reclutati per la-vori d’équipe in paesi poveri e contrade sovrappopolate verso luoghi do-ve, in determinati periodi, c’è forte richiesta di manodopera: alcune col-

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ture non potrebbero effettuarsi se non fossero possibili le migrazioni sta-gionali; tali la risicoltura nella Pianura Padana e le colture cerealicoleestensive nell’Italia meridionale. In passato questi spostamenti pendolariavevano nel nostro paese un’ampiezza maggiore e il caso estremo era rap-presentato dall’emigrazione rondinella verso l’Argentina» (Migliorini,1962, p. 377).

15 Una menzione particolare si deve per lo studio di Assunto Morisulle migrazioni stagionali dei pescatori nell’alto Tirreno, e per la specifi-cità dell’argomento trattato e per mettere in evidenza come, anche inquesto caso, lo studio di questi movimenti periodici fosse comunque fun-zionale all’analisi del radicarsi di gruppi di diversa provenienza nei centricostieri contemporanei (Mori, 1948).

16 Anche se i comuni della Valle di Comino, appartenenti alla pro-vincia Terra di Lavoro, vengono censiti a partire dal 1861, solo dal 1866«la statistica del movimento della popolazione acquistò una maggiore nor-malità per effetto dell’entrata in vigore del Codice Civile» (Moretto, 1991,p. 53).

17 Basti pensare alle frequenti crisi dei prezzi verificatesi sul finire delXIX secolo e la conseguente svolta protezionista (Del Panta, 1996; Segre-to, 1999).

18 Con famiglie di braccianti che in alcuni casi si trasformano in co-loni o in intermediari per i proprietari e i mercanti di campagna.

19 D’altronde già il rallentamento che gli spostamenti stagionali sem-brano registrare sul finire del periodo qui considerato, può essere messo inrelazione con la quasi contemporanea crescita delle migrazioni interne amedio e lungo raggio, momento in cui probabilmente le possibilità d’im-piego derivanti dall’inurbamento cominciano a rappresentare una seria al-ternativa ai lavori stagionali nelle campagne (Treves, 1976).

20 «Il fondo della conca, fertilissimo, è dappertutto messo a cultura[...]. La zona d’intensa coltivazione è in sostanza la Val di Comino in sen-so stretto; il limite delle culture potrebbe anche assumersi come limite del-la regione così denominata» (Almagià, 1911, p. 27).

21 Una manodopera agricola in esubero, quindi, rispetto alle possi-bilità produttive che la assai diffusa piccola proprietà poteva assicurare, se-condo uno schema che ancora negli anni Cinquanta veniva così descritto:«[…] il già piccolo terreno di proprietà paterna verrà diviso tra tutti i fi-gli, anche quelli che hanno trovato occupazione in città, e resterà, in ognidivisione ereditaria, a ciascuno di essi una particella sempre più piccola,sulla quale non può esistere vita agricola autonoma e tantomeno una ca-sa. Pur tuttavia, per la mancanza di altre risorse naturali e per la scarsezzadi industrie, che sono poche e con carattere prevalentemente artigiano,sicché incapaci di assorbire la manodopera agricola che non ricava suffi-ciente reddito dalla terra, oltre il 75% della popolazione vive di agricoltu-ra […]» Pratelli, 1957, p. 43.

22 La pastorizia e l’attività della transumanza avevano comunque unabuona diffusione nell’area, ma i rapporti erano particolarmente stretti conla vicina Valle del Sangro, come dimostrano anche gli interessi economici

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detenuti da famiglie nobili quali i Sipari tanto ad Alvito che a Pescassero-li (Arnone Sipari, 2000), dove tuttora si conservano i patrimoni di fami-glia e gli eredi si sono reinventati albergatori.

23 Il fatto poi che la provincia di Caserta non trovasse nel suo co-mune capoluogo un centro capace di attirare su di sé le correnti migrato-rie interne, denotando nel contesto della Campania un trend in contrastocon gli altri comuni capoluogo almeno fino al 1911 (Montroni, 1990), èprobabilmente un’ulteriore dimostrazione dell’importanza della Campa-gna Romana come bacino d’impiego per i lavoratori provenienti da que-sta area.

24 Secondo alcune testimonianze raccolte, questo tragitto, percorso apiedi o su dei piccoli carri, prevedeva solitamente una sosta a Ferentino.

25 I frequenti e periodici pellegrinaggi verso Roma o alcuni centri li-mitrofi rappresentano certo una tradizione, un solco in cui inserire i per-corsi migratori dei lavoratori stagionali (Santulli, 2002), così come la reteferroviaria sembra poi aver rappresentato, mano a mano che si espandeva,un valido supporto a questi spostamenti (Sipari, 1884; Muratori, 1907;MAIC, 1907).

26 Fino al momento in cui, per alcuni autori, l’Agro Romano vienea coincidere tout court con «il territorio extraurbano del comune di Ro-ma» (Pratelli, 1957, p. 6).

27 Così come l’eccessivo frazionamento della proprietà fondiaria puòessere annoverato tra i fattori di push per quel che attiene l’area di parten-za (Marsili, 1965; Massullo, 1996).

28 «Lo Stato pontificio, è noto, era superato solo dal Regno di Na-poli nel malgoverno, l’inefficienza, la disorganizzazione e peggio, tanto cheripetutamente le potenze europee erano intervenute per cercare di con-vincere il Papa a concedere riforme, giudicate inderogabili anche da per-sonalità conservatrici» (Vivanti, 1988, p. 212).

29 «Dal 1690, cioè dal primo catasto del Cingolani di Pergola sottoAlessandro VII al 1803 al 1871, il numero dei proprietari della Campagnaandò sempre diminuendo, da 443 a 362 a 204, cioè il latifondo si estese esi concentrò sempre più. [...] E Francesco Crispi: spezziamo il latifondo,ripeteva e si adirava perché io rispondevo: il latifondo lo ha creato e lomantiene la malaria: se prima questa non si vince quello non si spezza, maspezzerà l’uomo che ci si provi» (Celli, 1927, p. 10; p. 17).

30 «Tipico, in questo senso, il caso dell’Agro Romano: [...] agli inizidel XX secolo, la proprietà borghese è salita fino a 75.000 ettari, cioè il40% del totale; ma la sua estensione si è realizzata, per la maggior parte,non tanto a spese della proprietà nobiliare – la cui superficie è diminuitadi soli 4.000 ettari – quanto a spese, appunto, della proprietà di mano-morta, che è ridotta a soli 13.000 ettari, cioè dal 30% al 7% del totale»(Sereni, 1961, pp. 348 – 349).

31 Così come alcuni anni più tardi l’ondata deflattiva conseguente al-la fissazione della cosiddetta “quota 90” per la lira da parte del regime fa-scista provocherà nuove tensioni tra affittuari e salariati da un lato e pro-prietari dall’altro, che cercheranno di mantenere saldi i propri margini di

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profitti attraverso la diminuzione di manodopera e l’aumento dei canoni(De Bernardi e Guarracino, 1988).

32 «La stessa struttura produttiva del latifondo di pianura […] nonavrebbe potuto esistere senza poter contare sulla stretta relazione con lamontagna […] per la possibilità di utilizzare la manodopera stagionale co-stituita proprio da quei proprietari particellari delle colline e delle monta-gne, sottoccupati nelle loro zone, bisognose quindi di integrare il loro bi-lancio familiare, e per i quali, d’altra parte, la coltivazione estensiva dellepianure non poteva garantire una retribuzione salariata continuativa» (Mas-sullo, 1996, p. 21).

33 Sulla base della letteratura esistente, alla valle intesa come unitàstorico-geografica appartengono i seguenti comuni: Alvito, Atina, Casa-lattico, Casalvieri, Picinisco, San Donato Val di Comino, Settefrati, Vi-calvi, Villa Latina.

34 «È tipicamente alterna la emigrazione dei contadini italiani versola Repubblica Argentina, ove essi trovano il pieno della stagione estiva edell’attività agricola, mentre in patria dura l’inverno ed ogni operositàcampagnola è sospesa» (M.A.I.C., 1914b, p. XXXIII).

35 «Ad altre conclusioni si deve pervenire quando si tratti di migra-zioni che come quelle dei lavoratori che svernano nei territori delle pro-vincie di Roma e di Foggia, stiano per lunghi mesi lontani dal paese natioe ritraggono gran parte dei loro redditi annuali dai guadagni dell’emigra-zione: giacché in questo caso sorge spontaneo nella mente di questi lavo-ratori obbligati ad assentarsi dalla loro patria, il calcolo del tornaconto chead essi può derivare dal valicare il confine, in luogo di seguire le consue-tudinarie e tradizionali correnti che conducono alla campagna romana, al-la Maremma, al Tavoliere» (M.A.I.C., 1914b, p. XXXVIII).

36 «L’emigrazione è scarsa dall’Emilia; quasi nulla dalla Toscana,tranne da Lucchesia e Garfagnana; nulla dalle Marche, dall’Umbria e daRoma; quasi nulla dal Napoletano, tranne dalla Basilicata e da alcuni co-muni della Calabria […]. All’opposto in Sardegna, nella provincia di Ro-ma, e nella Maremma Toscana, ha luogo una considerevole immigrazioneperiodica da altre provincie (dalla Lunigiana per le Maremme; dalla stessaprovincia e dalla Liguria per la Sardegna; dall’Abruzzo per la campagna ro-mana)» (Bodio, 1882, p. VI).

37 La crescita dell’emigrazione è stata valutata di proposito solo nelperiodo in cui il fenomeno tende a crescere sensibilmente, basandosi siasulle informazioni desumibili dalla copiosa letteratura in merito (Brusa eGhiringhelli, 1995; Bonifazi, 1998), sia dai dati rintracciabili per il perio-do precedente nelle apposite statistiche prodotte dal M.A.I.C. In questamaniera ci si può agevolmente rendere conto di quanto prima del1897/1898 il fenomeno fosse comunque contenuto, sebbene con delledifferenziazioni territoriali ben precise (graf. 2.4). Da notare come, a par-tire dal 1903, non compaia più nelle rilevazioni statistiche la distinzionetra emigrazione temporanea e permanente, considerata praticamente fitti-zia data la scarsa rigorosità che venne imputata ai sindaci e prefetti nellaraccolta e suddivisione di questi dati.

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38 All’interno della stessa Valle di Comino, ad esempio, il centro diPicinisco presenta una sensibile emigrazione verso l’estero, particolarmen-te rivolta verso l’Irlanda (King e Reynolds, 1990).

39 Un’ipotesi, che sembra trovare riscontro per il comune di Alvito epiù in generale per la Valle di Comino (cfr. graff. 2.1 e 2.2), secondo cui«le migrazioni temporanee, che fin dopo l’Unità hanno certamente pre-valso rispetto a quelle a carattere definitivo, che può spiegare il manteni-mento di un equilibrio, di lungo periodo tra popolazione e risorse e addi-rittura, in molte situazioni, una crescita delle popolazioni montane» (DelPanta, 1996, p. 202).

40 Un dato particolarmente significativo a sostegno di questa inter-pretazione risiede nell’aver constatato che proprio nel periodo (1871-1911) in cui nell’Italia centrale e meridionale una quota compresa tra il70% e l’80% dei comuni montani conosce fasi di spopolamento (Sonni-no, Birindelli, Ascolani, 1996), Alvito presenta una crescita netta dellapropria popolazione pari addirittura al 68%.

41 Senza dimenticare che l’informazione della popolazione presen-te/assente non è sempre immediatamente confrontabile, visto che, adesempio, solamente a partire dal censimento del 1911 c’è la distinzione tragli assenti in altri comuni del Regno e gli assenti all’estero. Inoltre, occorre ri-cordare che «buona parte dei conteggi e delle classificazioni del materialerilevato è stato delegato ai comuni stessi, senza alcuna possibilità di con-trollo da parte dell’organismo statistico centrale. Il fatto è che alle elabora-zioni fatte dai singoli comuni per lungo tempo è stata lasciata, fra l’altro,proprio la determinazione della consistenza delle popolazioni “presente” e“residente”» (Schiaffino, 1980, p. 35).

42 In realtà questa è solo una delle concause individuabili: le altre so-no certamente il modificarsi dei processi produttivi nella Campagna Ro-mana e la tendenza all’inurbamento delle popolazioni rurali con un inci-piente invecchiamento della popolazione nelle aree di partenza.

43 Una ricerca ancora in corso ha già comunque permesso di trovareuna conferma degli spostamenti stagionali dei contadini di S. Donato ver-so la Campagna Romana per gli anni immediatamente precedenti al pe-riodo qui considerato. Presso l’Archivio di Stato di Frosinone, infatti, so-no conservati i certificati di nullaosta riguardanti contadini di diversi pae-si del circondario di Sora che avevano chiesto l’autorizzazione a recarsi nel-la Campagna Romana, risalenti al 1863: ben 120 di questi permessi era-no stati concessi a contadini di S. Donato Val di Comino (SF, Sottopre-fettura di Sora bb 607-608).

44 Con decreto Regio del 4 marzo 1926 era stato istituito il Comita-to - poi Commissariato - permanente per le migrazioni interne il quale, nel-la convinzione che le migrazioni stagionali costituissero un viatico per glispostamenti definitivi di residenza, aveva il compito di monitorare questimovimenti per poterli poi meglio indirizzare (Barberis, 1960).

45 Lo Status animarum, istituito nel 1600 da Paolo V che diede aiparroci il compito di redigere i registri per controllare il rispetto del pre-cetto pasquale (Cedrone, 2004).

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46 I nuovi sviluppi dell’analisi demografica, infatti, sono propensi anon considerare più i diversi fenomeni in maniera indipendente l’una dal-l’altra, per cui anche i movimenti migratori non possono essere studiatinella loro complessità, se non si tiene conto delle strutture demografiche.Questo, ad esempio, significa che il campione in esame poteva essere di-viso per classi di età, per cogliere magari i diversi comportamenti migra-tori propri delle differenti generazioni. Tuttavia, gli apporti derivanti dal-l’analisi demografica e storica contemporanea non sono stati trascuraticompletamente, visto il rilievo dato all’indagine biografica (interviste) checerca di tenere conto della condizione professionale e dei legami familiarinell’esplicarsi delle differenti esperienze migratorie (Protasi, 2000; Cour-geau e Lelièvre, 2001).

47 Vale la pena mettere in evidenza come, fino al momento in cuiviene adottata questa formula, sostituita in seguito dalle più generiche «as-sente per lavoro da questo comune» e poi «assente da questo comune», iltoponimo Campagna Romana e quello di Agro Romano vengono utiliz-zati indifferentemente. I contadini immigrati percepiscono le tenute in-torno a Roma come un unico universo di riferimento. Questo campo distudio si arricchisce così di un elemento suscettibile di ulteriori approfon-dimenti.

48 Il nuovo Codice Civile, entrato in vigore nel 1866, stabiliva che«il matrimonio per conseguire effetti legali dovesse essere contratto difronte all’autorità municipale» (Moretto, 1991, p. 53). Inizialmente talenorma incontrò delle resistenze, soprattutto nelle regioni appartenute alloStato Pontificio (Martina, 2000), ma l’incidenza delle unioni solo religio-se fino al 1929 (anno del Concordato tra Regno d’Italia e Vaticano) nonè comunque alta.

49 Una pratica quella dell’endogamia che in qualche modo può esse-re vista anche in funzione della conservazione della già piccola e fram-mentata proprietà della terra (Sinisi, 1993).

50 «Infatti il ciclo annuale delle migrazioni si compone di tre perio-di ben distinti: il primo che va da gennaio a tutto aprile, ed in cui si han-no i lavori di potatura agli olivi ed alle viti, la raccolta degli agrumi, le sar-chiature e zappettature al frumento; il secondo che va da maggio a tuttoagosto, caratterizzato dal lavoro di taglio dei fieni, mietitura e trebbiaturadel frumento, solforazione e irrorazione delle viti […]; il terzo che va dasettembre al dicembre, e comprende tutte le migrazioni autunnali, limita-te ai lavori di vendemmia e vinificazione, di raccolta delle olive […], scas-so dei terreni per nuovi impianti di vigneti, semina del frumento» (Fran-ciosa, 1930, p. 69).

51 «La partenza dai monti ha luogo ordinatamente in ottobre, il sog-giorno sulla pianura dura circa otto mesi, per cui il ritorno avviene in giu-gno. Durante questo periodo i vincoli di famiglia sono, se non completa-mente rotti, almeno interrotti» (Sombart, 1891, p. 124).

52 I matrimoni tra appartenenti a gruppi sociali differenti, indivi-duati sulla base della condizione professionale, sono praticamente assenti.In genere notabili e possidenti si sposano tra loro, oppure le loro figlie spo-

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sano medici ed insegnanti. La stessa omogeneità è rilevabile tra i contadi-ni (al di là delle distinzioni tra contadini, campagnoli e braccianti). Ledonne di estrazione contadina sposano poi anche uomini dediti ad altreattività, artigiani, macellai, sarti e più in là domestici e autisti; data la scar-sa mobilità di queste figure, però, tali matrimoni sono stati fatti rientraretra i non contadini.

53 «Il numero complessivo degli emigrati nell’interno del Regno du-rante l’anno 1928 è risultato di 227.939 […]. Confrontando queste cifrecon quelle relative all’ultima rilevazione compiuta nell’anteguerra (anno1910), risulta nel 1928 una fortissima diminuzione delle migrazioni in-terne, pari al 63,1% per le migrazioni in agricoltura […]. La diminuzioneva principalmente attribuita alle seguenti cause: 1°) Diminuzione dellaemigrazione per l’estero […] 2°) Maggiore sviluppo delle industrie dall’ante-guerra a oggi. […] 3°) Scomparsa di alcune correnti tradizionali di emigra-zione interna per il definitivo stabilirsi degli emigrati nelle zone di immigra-zione. […] 4°) Trasformazione della cultura estensiva in cultura intensiva.Costituzione di centri rurali. […] 5°) Incremento dei mezzi di lavorazionemeccanica in agricoltura.» (Commissariato permanente per le migrazioniinterne, 1929, pp. V – VI).

54 Un’accurata selezione di fonti e letteratura relativa all’assetto via-rio e infrastrutturale della Valle di Comino e, più in generale, del Laziomeridionale è presente nell’accurato lavoro di L. Arnone Sipari sulle alter-ne vicende della ferrovia Cassino-Atina-Sora (Arnone Sipari, 2003).

55 Per completezza d’analisi, anche i matrimoni dei “non contadini”sono stati raggruppati secondo lo stesso criterio: oltre a notare la bassa in-cidenza percentuale sul totale dei matrimoni celebrati, si osserva come nelnumero dei matrimoni celebrati nei singoli mesi non sono rilevabili scar-ti tali da poter parlare di una concentrazione dei riti in particolari perio-di dell’anno. Il quadro sostanzialmente più omogeneo è quindi un’ulte-riore conferma indiretta di condizionamenti “esterni” importanti nellascelta dei contadini riguardo al mese di celebrazione del proprio matri-monio.

56 Non a caso proprio alla fine di questo periodo Domenico Lanza,imprenditore di Alvito, realizza i suoi maggior investimenti (acquisto diterreni e, tra le prime, macchine agricole) nell’area romana (cfr. cap. 4).

57 La fonte di rilevazione era costituita «dai moduli rosa statistici al-legati ai moduli speciali per la Concessione ferroviaria XI per operai viag-gianti in comitiva. Com’è noto, infatti, tale concessione ferroviaria pre-vede per gli operai che viaggiano in comitiva uno sconto del 50% sulprezzo normale del biglietto di 3ª classe; perché gli operai possano usu-fruirne è necessario però che alla biglietteria della stazione di partenza, as-sieme al modulo-richiesta della Concessione suddetta presentino ancheun modulo rosa statistico che, precedentemente, deve essere stato debita-mente compilato a cura dell’Ente (Comune, ufficio di collocamentoecc…) autorizzato a rilasciare i moduli-richiesta della Concessione stessa»(Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna, 1935, p.VII).

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58 È forse utile ricordare nuovamente come dal 1927 la provinciaTerra di lavoro - Caserta fosse stata soppressa e parte dei suoi comuni as-segnati alla provincia di Frosinone.

59 In questo contesto è bene allora sottolineare come i lavoratori pro-venienti dal frusinate risultassero impiegati principalmente nella lavora-zione del grano e del fieno, ma con una discreta specializzazione anche perquel che attiene i lavori nelle viti (Commissariato per le migrazioni e la co-lonizzazione interna, 1931, 1932, 1933, 1935).

60 Nei primi anni Trenta sembra poi entrare a regime anche la rifor-ma degli Uffici di Collocamento, i quali vedono accrescere la loro rilevan-za, almeno nelle statistiche del regime, nell’allocazione della manodoperae come fonte per la rilevazione delle migrazioni interne.

61 Per inciso, il numero delle ragazze madri che con coraggio deci-dono di presentarsi a registrare il proprio figlio senza rivelare il nome delpadre è degno di nota e, vista l’epoca, stupisce non poco, lasciando in-tuire l’esistenza di una forte rete di solidarietà a livello familiare o co-munitario che fosse magari in grado di fornire un sostegno a queste don-ne.

62 Difficoltà esistenti anche solo a livello statistico, dal momento chele già citate indagini compiute dall’Ufficio del Lavoro non presentano da-ti relativi al comune di Roma proprio per i problemi di rilevazione dovu-ti alla sua dimensione (demografica, oltre che territoriale, M.A.I.C., 1907,1914b).

63 Le due campagne sono realizzate tra i mesi di giugno e novembre,nel periodo in cui cioè c’era la maggiore concentrazione di persone in que-sti territori e in cui le condizioni ambientali erano particolarmente favo-revoli per il proliferare della zanzara anofele (all’epoca ovviamente ancoranon individuata come agente patogeno della malaria).

64 Infatti nel 1907 sono presi in cura i lavoratori di 107 tenute, men-tre nel 1911 il numero delle tenute seguite scende a 99.

65 Tali difficoltà di comunicazione sono testimoniate anche dall’im-provvisa comparsa, mano a mano che si avanza nella lettura dei registri, diatti relative a nascite avvenute in anni precedenti a quello del registro chesi sta consultando. Inoltre, soprattutto per coloro che avevano vissuto perun certo periodo all’estero, spesso si assiste alla contemporanea registra-zione di fratelli e sorelle nati a qualche anno di distanza; probabilmenteperché in quel caso gli atti erano consegnati dagli stessi genitori al comu-ne al momento del loro ritorno.

66 Il margine di aleatorietà è dovuto dai toponimi utilizzati per indi-care le diverse tenute: in rari casi infatti non si è riusciti a trovarne traccianella carta dello Spinetti oppure non sono risultati decifrabili.

67 Testimonianze del primo bambino “americano” risalgono invece al1904.

68 Un risultato questo che è conforme a quanto già rilevato per l’e-migrazione verso l’Irlanda dal vicino comune di Picinisco, secondo carat-teri che sembrano accomunare gli emigranti di questo periodo dalla Valledi Comino (King e Reynolds, 1990).

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69 «Il gruppo dei XXV (il cui inizio data al 1904, in continuità idea-le con il gruppo In Arte Libertas fondato nel 1886 per «fare un’arte seria,individuale, libera e italiana secondo le migliori tradizioni dell’arte») ave-va come regola di trascorrere la domenica, su invito del segretario, in unadelle località della Campagna Romana per andare a dipingere dal vero»(Fittoni, 2002, p. 45).

70 Tale ricerca, ad esempio, ha permesso allo stesso autore di scavareancora più a ritroso in questi ricordi. Morri, infatti, è un cognome di ori-gine romagnola, area dalla quale, in base agli studi dell’Ufficio del lavoro,provenivano pure quote di lavoratori stagionali. Tra questi migranti dove-va esserci anche il bisnonno paterno di chi scrive, il quale durante i suoiprimi anni di permanenza a Roma - ai primi del Novecento - continuò alavorare come operaio agricolo.

71 Tra le due casate confinanti non mancavano inoltre i contatti, co-me testimonia il matrimonio tra il Duca Gregorio Boncompagni e Don-na Giustina Gallio, figlia del Duca di Alvito, nel 1655. Lo stesso Ducasposò poi, nel 1681, in seconde nozze Donna Ippolita Ludovisi, dando co-sì origine all’attuale famiglia dei principi Boncompagni-Ludovisi (Lauri,1934).

72 Come per altre famiglie nobili, quali ad esempio i Borghese e iBarberini, anche per i Boncompagni è presente infatti un fondo pressol’Archivio Vaticano. I legami con lo Stato Pontificio rimasero sempre for-ti, nonostante questa famiglia dopo il 1870 si fosse schierata con il Regno(Martina, 2000).

73 Domenico Lanza compare infatti negli elenchi delle tenute e deiproprietari pubblicato a corredo della Carta dello Spinetti come proprie-tario in enfiteusi della tenuta “Falcognani Vecchi”: «Lanza Domenico fuMichele, Enfiteuta a Boncompagni Ludovisi Don Ignazio fu Antonio Eredi»(Spinetti, 1914b, p. 40).

74 Nella Carta dello Spinetti compare un Francesco Lanza proprieta-rio della tenuta di Terragnola o Mompeo. Nel 1926 Salvatore Lanza ac-quista i due terzi della tenuta Gogna S. Appetito-Campo di Carne (Tofa-ni, 1986).

75 Tale formula verrà d’ora in poi sostituita dall’acronimo D.F.L. 76 Tali personaggi spiccavano inoltre nell’amministrazione e gestio-

ne della città di Roma, visto che Ignazio Boncompagni, dopo essere statomembro della Giunta di governo della città nominata il 23/11/1870 dalgenerale Cadorna, nel 1909 faceva parte, in qualità di esperto, della Com-missione consultiva per il servizio giardini del Comune di Roma (Comu-ne di Roma, 2002). Una presenza questa nelle istituzioni che certo è do-vuta alla considerazione che il Regno d’Italia riservava agli esponenti diqueste famiglie, ma che, forse, può anche essere letta come una strada al-ternativa per conservare il proprio prestigio in un momento in cui pro-prietà ed averi conoscevano una fase di progressiva erosione.

77 Eccezion fatta per l’orzo (cereale autunno-vernino), le altre speciesono delle leguminose foraggere che si distinguono in prati (colture plu-riennali, come il Trifoglio alessandrino) ed erbai (colture annuali, come la

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lupinella, la sulla e l’erba medica) (Salsano, 1996). Oltre ad avere un ruoloimportante nell’avvicendamento colturale, questi prodotti sono comun-que tutti destinati all’alimentazione animale: l’ottimizzazione delle tecni-che produttive costituisce quindi verosimilmente un passaggio decisivo.

78 La novità e l’importanza dell’evento nel tessuto economico e pro-duttivo romano dell’epoca è testimoniata dall’attenzione che istituti comeil Comizio Agrario di Roma, il Consorzio Agrario Cooperativo e la Cat-tedra Ambulante di agricoltura dell’Agro Romano gli riservarono. Conun’eco che arrivò anche presso gli uffici del Ministero dell’Agricoltura(Strampelli, 1913; “La Nuova Agricoltura del Lazio”, 1913).

79 Chi scrive sta seguendo una Tesi di Laurea che prevede l’applicazio-ne dello stesso metodo di studio a partire dai dati contenuti nei Registri diStato Civile del Comune di San Donato Val di Comino.

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INDICE

INTRODUZIONE 5

1. IL FENOMENO DELLE MIGRAZIONI STAGIONALINELLA SUA DIMENSIONE STORICA,SOCIALE ED ECONOMICA 9

1.1 L’ASSETTO ECONOMICO E PRODUTTIVODEL REGNO D’ITALIA ALLA FINE DEL XIX SECOLO 9

1.2 I CIRCUITI DELLE MIGRAZIONI CIRCOLARI 111.3 L’INTERVALLO CRONOLOGICO 141.4 L’AREA DI STUDIO 151.4.1 Il Comune di Alvito 181.5 LA CAMPAGNA ROMANA:

LIMITI E STRUTTURA AGRARIA 19

2. LA VALLE DI COMINO:TERRA DI LAVORO O PROVINCIA DI ROMA? 22

2.1 UNO SGUARDO AI CENSIMENTI 222.2 I REGISTRI DI STATO CIVILE

DEL COMUNE DI ALVITO 282.2.1 La struttura dei registri e i dati contenuti 302.3 LA CICLICITÀ COMPOSTA DEGLI SPOSTAMENTI 312.4 MATRIMONI: PREMESSE A UNA LETTURA

DI LUNGO PERIODO 322.4.1 La variazione nel numero dei matrimoni 342.5 LE STATISTICHE UFFICIALI 372.5.1 Il ruolo della donna 382.6 I REGISTRI DEGLI ATTI DI NASCITA 402.7 CONCLUSIONI 43

3. ALVITANI E “CIOCIARI”NELLA CAMPAGNA ROMANA 44

3.1 L’USO DI ALTRE FONTI ACCANTO AI REGISTRIDI STATO CIVILE 44

3.2 GLI IMMIGRATI STAGIONALI A ROMA 453.3 FIGLI DI ALVITO NELLA CAMPAGNA ROMANA 49

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3.3.1 La Carta dell’Agro Romano di Pompeo Spinetti 513.4 MOBILITÀ E CONDIZIONE PROFESSIONALE 533.5 IL DATO ICONOGRAFICO 553.5.1 Scrittori e poeti 594. LE TRASFORMAZIONI NEL PAESAGGIO

DELLA CAMPAGNA ROMANA ALL’INIZIODEL XX SECOLO ATTRAVERSO LA STORIADI DOMENICO LANZA 61

4.1 LA RICERCA SUL CAMPO 614.2 DOMENICO LANZA, MERCANTE DI CAMPAGNA

E SPERIMENTATORE 634.2.1 Domenico Lanza, Cavaliere al merito del lavoro 644.2.2 Domenico Lanza imprenditore 654.2.3 Domenico Lanza bonificatore e sperimentatore 67

CONCLUSIONI 71

LA RICERCA NEL SUO DIVENIRE 71PROSPETTIVE DI RICERCA 73

BIBLIOGRAFIA 132

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2004

dallo Stabilimento Tipolitografico Ugo Quintily S.p.A. - Roma


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